Giorgio Linguaglossa
13 giugno 2019 alle 16:49
Trascrivo qui un Questionario di 4 domande che nel 1995 inviai ad alcuni autori; le risposte poi apparvero quel medesimo anno su un numero del quadrimestrale di letteratura Poiesis che a quell’epoca facevo con alcuni amici.
1) Vorrei porre la seguente domanda: se è vero che oggi la poesia è «libera», nel senso che non deve nulla a nessuno e che non deve rispondere a nessuno in quanto non v’è interrogazione o, detto in altri termini, mandato, se comunque è vero che la poesia sia soltanto l’impronta digitale di chi la scrive, e quindi un fatto «privato», ritiene che questa situazione storica sia favorevole o sfavorevole alla sopravvivenza della poesia?
2) Un tempo la poiesis (da poiéo= faccio) fu azione che, unita al canto divenne incantesimo, e unita alla mimica divenne dramma (drama da drao=faccio) rituale, cioè operazione magica, rappresentazione destinata a realizzare una presenza sacrale.
Oggi, nel laico mondo tecnologico, cosa è divenuta la poesia che ha ormai compiuto il divorzio dall’incantesimo, dal dramma rituale e dalla rappresentazione?
3) Il problema dell’interrogazione appare strettamente unito al quesito sull’ispirazione; se noi diamo a questa parola il significato etimologico, essa ci indica che la poesia sia qualcosa che nasce non dentro lo «spirito individuale» (formula infelice, lo ammetto) dell’uomo ma come qualcosa, un soffio, uno spirito? – che viene dal di fuori e si impadronisce dell’uomo; se noi riconosciamo al termine entousiasmos, entousiastes un significato affine a quello dell’ispirazione, cioè un qualificativo riferito alla Pizia vaticinante, «plena deo», non possiamo non riconoscere che l’essenza della poesia risieda fuori della poesia stessa, cioè nel mondo.
4) Ora, vorrei porre un problema, e precisamente: il legame che unisce il dentro con il fuori, cioè il mondo e la poesia, ovvero, il tempo e la temporalità della poesia, è un legame che vorrei chiamare istanza radicale o istanza temporale, che altro non è che quella problematica che il proprio tempo pone all’artista, come anche allo scienziato (anche se in modi differenti).
Quale è il Suo pensiero?
Un cordiale saluto. Giorgio Linguaglossa
Francesco Paolo Intini
14 giugno 2019 alle 22:34
domande interessantissime soprattutto l’ultima, caro Giorgio. La temporalità dello scienziato e dell’ artista che si confronta con il tempo secondo lo scienziato e l’artista. Da quello che posso arguire il tempo per il primo è qualcosa di misurabile, una delle sette grandezze fondamentali, una coordinata come quelle dello spazio. Per l’artista invece cos’è? Possiamo averne un’idea confrontando le loro opere?
Lo scienziato ha fiducia nella ripetizione dell’esperimento. Se le condizioni sono le stesse, il risultato finale sarà lo stesso.
Il tempo come successione di istanti uguali è garanzia di una successione di eventi uguali ad altri passati o futuri.
Si può dire lo stesso di un artista?
Come dire che se la Gioconda venisse dipinta oggi avrebbe i baffi.
Perché questa disparità?
E’solo perché la ripetibilità non è un concetto che appartiene all’arte o c’è qualcosa che riguarda la diversa concezione del tempo?
A parer mio è il concetto di successione di istanti tutti uguali a non avere a che fare con l’opera d’arte dove a c’entrare invece è il concetto di temporalità, ossia della problematica dell’epoca, ciò che emana dallo spirito del tempo.
Cosa c’è allora nella mente dell’artista se il tempo così concepito non gli lavora dentro? Probabilmente nulla, nient’altro che far zero il tempo a cui corrisponde un pensare per idee assolute come quelle della simmetria, valide nel definire i canoni di bellezza, per l’attrazione sessuale ma altrettanto valide in cristallografia e nella formazione dei legami chimici e in svariati altri campi. Il poeta non si discosta da questa linea di ricerca di entropia alla rovescia.
Se il tempo non esiste ogni epoca è uguale alle altre ed è legittimo, ultra attuale pensare in termini di polittico o di Commedia e di versi senza un verbo. Pensa tu allora cosa debba girare per la testa di uno che abbia abitudine per poesia ed esperimenti!
Alfonso Cataldi
15 giugno 2019 alle 15:12
Con lo studio del mondo subatomico, il concetto di tempo ha costretto a rimettere tutto in discussione, fino ad arrivare a descrivere fenomeni con equazioni in cui non esiste più la variabile tempo. Il tempo così come noi abbiamo imparato a conoscerlo e a misurarlo forse è un’illusione? Nei miei testi scrivo ormai quasi esclusivamente al tempo presente, anche azioni che la mia memoria o la memoria collettiva pone in tempi passati, superando così la convenzione che ci fa usare il tempo come classicamente ce lo hanno insegnato per meglio organizzare la nostra vita pratica. tutto esiste contemporaneamente? Ieri leggevo un’intervista dell’artista Mimmo Paladino, che fa “apparire frammenti di figure, mani, teste, elementi di una poetica che fonde spazi e epoche diverse, definendo un alfabeto di segni molto riconoscibili, che però non hanno un significato di senso univoco. Per Paladino l’artista dà vita a una materia informe che preesiste a lui. E’ un demiurgo, un essere dotato di capacità creatrice e generatrice, senza la quale “è impossibile che ogni cosa abbia nascimento”. Il demiurgo per eccellenza per Paladino è Don Chisciotte: “colui che vede cose che altri non vedono”.
Gino Rago
13 giugno 2019 alle 18:18
Benché avverta il peso ( in grado persino di schiacciarmi) delle 4 domande che Giorgio Linguaglossa srotola sul panno verde del piano inclinato del nostro tempo, tempo umano e tempo poetico, non posso sottrarmi all’invito impegnativo, sì, ma ineludibile e anche attraente dell’amico Linguaglossa se non altro per le questioni etico-estetiche ma anche tematico-stilistico-formali che le 4 domande linguaglossiane in sé contengono.
Vecchio Testamento
[contro il «no» che dentro mugghia]
La bella pittura postcubista?
Il nobile medium dell’olio?
Rimarrebbero forse le frasi piu turpi
Contro il «no» che dentro mugghia.
[…]
Nuove immagini da materiali nuovi.
Materiali eterocliti. Materiali poveri.
Il poeta del nuovo paradigma
Lascia in eredita lamiere malamente saldate.
Legni combusti. Cenci.
I segni d’amore o d’affinita per epoche remote.
I materiali effimeri. I materiali rozzi.
Le altre parole.
[…]
Le parole che negano
Sensazioni e idee della durata eterna.
I cenci. Gli stracci. Le velature.
Gli impasti. Le ombreggiature.
I sacchi vuoti
Ma pieni più di uomini vuoti.
[…]
Il ritorno an den Sachen selbst del poeta nuovo
Lascia in eredità l’arte del «no» libero
Contro il «sì» obbligato di Ferramonti e Belsen.
Viaggio incompiuto. Sorriso amareggiato.
E Milton che urla dal Paradiso Perduto: «E’ inferno.
Ovunque vada è inferno. Io stesso sono inferno.
Nessun uomo è un’isola».
[…]
Nuovo Testamento
[Vi lascio parole senza suono]
Vi lascio le schegge. Vi lascio il sole.
Vi lascio la grandine, la pioggia, il vento.
Vi lascio i cascami delle fonderie,
Le scorie radioattive,
La ricchezza del mondo in poche mani,
Le macromolecole di veleni.
Vi lascio le vernici, la plastica, i trucioli.
E il grafene.
Vi lascio parole senza suono,
I sentieri del dolore,
Le vie della mano sinistra,
Il catrame, le maschere, le colle,
L’alluminio in lamine per le scodelle dei cani,
Le limature, la calce viva, le polveri sottili.
Vi lascio il sorriso del prigioniero.
L’ansia d’azzurro di madri nel nero.
Vi lascio.
Vi lascio le stelle che brilleranno
E le schegge di quest’uomo nel fango.
Vi lascio il fango.
Vi lascio il canto d’un nuovo Big Bang.
E il Nulla che è tutto lo Spazio.
Vi lascio l’energia centripeta del Grande Scoppio,
L’estensione, l’esplosione, l’espansione dell’uomo
Nella Parola “altra” di Poesia.
Gino Rago
13 giugno 2019 alle 18:49
Una sintetica meditazione sulla parte finale della nota critica di Giorgio Linguaglossa sui versi che seguono:
[…]
Troppo spesso – pensavo – troppo,
troppo spesso noi animali ci affidiamo
alla bontà curiosa della nostra indole.
E laggiù dove andrò, remoto,
nella patetica smorfia verticale muore
l’impronta, e non lo sa, e replica
se stesso, ancora, nell’ultimo conato
costruttivo. Del resto
ci piace assaporare, puerili,
la più elementare forma di dominio,
espressione del nostro costume
e la natura ci ingombra, ci pesa ma consiglia
le terre più estreme, dove l’attrito procede
e si consuma ancora più violento
e fisico, più naturale.
Scrive Linguaglossa:
“Se si legge con attenzione questa composizione, ci accorgiamo che non è citato nemmeno un oggetto, tutte le espressioni appartengono al genere della decrescita felice del soliloquio plenipotenziario che è sito in un angolo remoto della mente; una ruminazione che non dice niente, che non parla al lettore, una composizione che si allontana dagli oggetti e si avvicina alla ruminazione interiore. Retropensieri di una retropia, o retropie di retropensieri, fate voi. Anzi, mi correggo, retrovie di retropie…”
E’ per me la certificazione della irreversibilità del coma etilico di un tipo di poesia che per anni abbiamo letto e visto scorrazzare da libro a libro, di antologia in antologia, di rivista in rivista…
Nelle vesti di medico legale Giorgio Linguaglossa ha poi fatto l’autopsia sul cadavere di questa poesia decretando la morte del cadavere freddissimo all’obitorio delle case editrici potenti dell’impero di creta della nostrana poesia.
Giorgio Linguaglossa
13 giugno 2019 alle 19:47
Lo storico della romanità, Mazzarino, ci ricorda che nella polemica Contro gli Gnostici, Plotino (203/205-270 d.c.) prospetterebbe il contrasto tra spirito pagano e spirito cristiano come «un contrasto tra chi ama il mondo ritenendolo eterno pur con tutte le sue disuguaglianze, e chi invece non l’ama, predicandone la fine». Premesso che amare il mondo non significa accettarne le diseguaglianze e le ingiustizie ma amarlo nonostante le disuguaglianze e le ingiustizie, qui è in questione un prius, una cosa che sta prima della divisione dell’etica dall’estetica e dello stesso politico, si intende la disposizione all’apertura verso il mondo.
Il disprezzo del mondo proprio dello spirito giudaico-cristiano nutre in sé l’idea della rottura della temporalità. Il mondo esisterebbe non in sé ma in un per noi, in quanto soggetto a passiva subordinazione alla potenza del dominio sulla physis. La temporalità del dominio è la temporalità del dominio e del disprezzo.
Di contro alla concezione greca della «pienezza del Tempo», l’escatologia giudaico-cristiana piega il Tempo al «compimento del Kairos», fin alla palingenesi in un altro tempo, il tempo della redenzione e della resurrezione. La macchina calcolante della tecnica prende posto nella temporalità giudaico-cristiana come temporalità del dominio e annichilamento della physis.
Il pensiero di Heidegger intende questo quando scrive che occorre attraversare «la storia del nichilismo e della metafisica» per potere arrestarsi dinanzi alla ineffabilità dell’essere. Il perché dell’essere sarebbe intraducibile con i mezzi del logos.
Il concetto moderno di rappresentazione presuppone l’esperienza del cogito che dà forma e sostanza agli enti. Il principio pratico-produttivo del concetto di rappresentazione riduce il mondo a «immagine» (Bild) della cosa e a oggetto che sta di fronte (Gegenstand).
Il concetto classico di Teorein significa corteo, processualità che si dispiega. La nozione moderna di rappresentazione pone in termini invalicabili la distanza del punto di vista in quanto esterno all’ente, insomma, come cogito. E il concetto di arte che ne consegue sarebbe l’immagine esterna dell’oggetto che si forma sulla superficie retinica dell’occhio.
L’arte del Moderno sarebbe quindi un’arte dell’impressione o, al massimo concedibile, dell’espressione ma mai di penetrazione del mondo, si arresterebbe alla prenotazione di una immagine. L’arte del Moderno è sostanzialmente cartesiana da almeno tre secoli, e la psicologizzazione del cogito che ne fa il freudismo si configura come una variabile dipendente, un adattamento alle nuove circostanze storiche con le quali si presenta il cogito. L’epoca della psicologizzazione del cogito verrebbe a coincidere con l’epoca dell’attraversamento della metafisica.
Le recenti tendenze dell’arte del Dopo il Moderno sembrerebbero accentuare il processo di psicologizzazione dell’arte moderna, con il che si ha il trionfo dell’estetica da oreficeria e della diffusione dell’estetica fuori dal concetto dell’estetico. Così che se tutto è estetico, nulla è estetico. E l’arte non può che defungere.
«Le ispirazioni che non fanno anticamera vanno in fumo impotenti».
«Le opere parlano come le fate nelle favole: tu vuoi l’incondizionato, ti sia concesso l’irriconoscibile».
«L’estetica non può capire le opere d’arte se le tratta da oggetti ermeneutici. Mundus vult decipi».
(T.W. Adorno, Teoria estetica, Einaudi, 1970 p, 231 e segg.)
Lo sguardo che cade dalla poesia sul lettore deve essere come lo sguardo cifrato d’un marziano.
La poesia per essere vera, deve essere irriconoscibile.
L’arte che si sottrae al principio del montaggio è kitsch. L’arte è montaggio elevato all’ennesima potenza
Giuseppe Talìa
13 giugno 2019 alle 23:52
Lo storico della romanità, Mazzarino, ci ricorda che nella polemica Contro gli Gnostici, Plotino (203/205-270 d.c.) prospetterebbe il contrasto tra spirito pagano e spirito cristiano come «un contrasto tra chi ama il mondo ritenendolo eterno pur con tutte le sue disuguaglianze, e chi invece non l’ama, predicandone la fine».
Il vero cambio di paradigma sarebbe, non tanto “tutti dobbiamo morire”, quanto, invece, “tutti dobbiamo vivere.”
Celso, Il discorso vero, Adelphi
Risvolto del libro
Questo libro è una testimonianza decisiva dello scontro dottrinale fra Pagani e Cristiani. Celso, filosofo medioplatonico del II secolo, sferrò con Il discorso vero un attacco radicale contro lo scandalo della nuova religione che veniva dalla Palestina e pretendeva di sostituirsi a culti immemorabili. Col gesto di un aristocratico cosmopolita, lo osserviamo reagire all’invadenza della pìstis, della fede, là dove dovrebbe regnare soltanto la conoscenza. E insieme rivoltarsi contro la boria antropocentrica dei Cristiani, che gli appaiono simili «a un grappolo di pipistrelli, o a formiche uscite dalla tana, o a rane raccolte in sinedrio attorno a un acquitrino, o a vermi riuniti in assemblea in un angolo fangoso che litigano per stabilire chi di loro è più colpevole». Dalla parte cristiana, Celso incontrò, dopo qualche decennio, l’avversario più temibile: Origene. E, per un’ironia della storia, mentre Il discorso vero, nella sua interezza, andò perduto, ciò che sopravvisse furono i frammenti che Origene ne citava nella poderosa opera di confutazione che gli dedicò. In essi, qui presentati per la prima volta in edizione italiana, possiamo riconoscere, in tutto il suo vigore, la voce di una grande civiltà su cui incombe il declino, ma che non vuole rinunciare a se stessa.
Giuseppe Talia
Cari Germanico e Mario M. Gabriele,
Ho ritrovato una traccia che credevo perduta nella prosodia.
Una traccia audio di sovrapposizioni e interruzioni dialogiche.
Una speculazione arbitraria. Una disfluenza. Una violazione.
Qualcosa o qualcuno si è introdotto. Ho chiamato il 118.
Gli esiti contradditori e la loro durata temporale preoccupano.
Non sto bene. Non sta bene. Non si sta bene. La violazione
Degli spazi interlocutori, anomalie tecniche, interruzioni,
Rare presenze regolamentari, conversazioni polifunzionali.
Pre-occupano le hit estive problematiche/non problematiche
Tra intoppi e perturbazioni, lapsus linguae e calami stratiformi.
Una meteora pre-termine. Audioregistrazioni sub-corpus.
La pragmatica descrittiva di Geoffrey Leech che attribuisce enunciati.
Le parole sono polisemiche. Le espressioni allocutive. “Ci sei?”
Il parlante Zimmermann si sovrappone con violenza intenzionale.
Durata breve e violenta: i muscoli involontari, all’unisono,
Supportano il parlare corrente e le variazioni di tono e di volume.
Ascoltate (mi)
Alfonso Cataldi
Cari amici dell’Ombra,
Ho problemi temporanei di vista, ho dovuto fare un laser d’urgenza per problemi alla retina di un occhio. Posso leggere poco. Volevo riallacciarmi alla riflessione di Gino Rago sulla “bontà curiosa della nostra indole animale” e sulla necessità di dominio che siamo chiamati ad esercitare nei confronti della natura, dal grado di civiltà raggiunto, che non mettiamo in discussione, con un mio testo:
“Quel monile sciamanico…”
direbbe chi osserva il polso della maestra Milena.
«I suoi alunni e tutto il corpo insegnanti erano gli unici assenti»
comunica il collaboratore scolastico.
Tra i piatti da sparecchiare
Francesca termina l’ultima stesura sulle origini della 3a C.
A Pripyat gatti selvatici di ogni forma e dimensione
hanno occupato le abitazioni abbandonate.
Un gruppo di alieni in tuta e maschera antigas
prende appunti il sabato sera:
- l’equilibrio del disastro nucleare.
- Le bugie allungano il naso
Dopo mille peripezie
Pinocchio scopre che il segreto della vita è nell’amore. Umano?
Troppo umano confidarsi con il legno
sradicare silenziosi di fronte alla luna.
[a dx Donatella Giancaspero, Roma, San Paolo, 2017)
Giorgio Linguaglossa
14 giugno 2019 alle 16:46
L’articolo n. 1) del Manifesto della Nuova Poesia Metafisica, pubblicato sul n. 7 del quadrimestrale di letteratura “Poiesis” nel 1995 si apre con il precetto, in consonanza con la massima di Plotino, di amare l’esistenza del mondo:
1) Dobbiamo amare l’esistenza del mondo più del mondo stesso e l’esistenza dell’uomo più dell’uomo stesso. L’arte vera raffigura l’uomo intero al centro delle tre dimensioni. Il Senso abita l’intero, la totalità. La nostra casa è il mondo e la lingua che lo delimita. Ampliare la lingua ai limiti dell’indicibile significa ampliare il mondo e la nostra integrale umanità.
L’articolo ricalcava testualmente il primo articolo del terzo manifesto dell’acmeismo vergato da Osip Mandel’stam, il quale invitava ed ammoniva ad amare il mondo.
Ecco, dall’acmeismo mandelstamiano del terzo manifesto del 1919 ad oggi, siamo arrivati alla «poesia polittico» e alla «nuova ontologia estetica». C’è un filo rosso che comunica attraverso i secoli ed i millenni, e questo filo rosso è l’amore per il «mondo» inteso come esistenza delle cose che sono in esso.
Il mio pensiero è che con la «nuova ontologia estetica» e la «poesia polittico» siamo usciti fuori dalla poesia della tradizione giudaico-cristiana, che in questi ultimi secoli qui in Occidente si è sviluppata sulla matrice petrarchesca, per aderire ad una visione più antica, e quindi più attuale: la visione della poesia come Commedia, ovvero, in termini moderni, come «polittico» in grado di abbracciare tempi e spazi plurimi e diversissimi.
Giorgio Linguaglossa
15 giugno 2019 alle 17:04
Scrive Alfonso Berardinelli nel libro Poesia non poesia, Einaudi, 2008:
«La poesia in una certa misura cambia storicamente (ammettiamo per un momento che la storia esista), cioè non è sempre uguale a se stessa e va quindi descritta di nuovo quasi a ogni generazione (o epoca o periodo). Compito specifico dell’attività critica è appunto descrivere, registrare e valutare questi cambiamenti.
Ma d’altra parte la poesia conserva una sua identità di principio, se non di fatto. È interessante notare che almeno da un quarto di secolo la continuità fra oggi e ieri sembri stare a cuore agli autori più di quanto avvenisse (per esempio) negli anni sessanta, decennio apocalittico e presuntivamente rivoluzionario, quando la nozione, l’identità, la tradizione della poesia venivano contestate e sottoposte a un giudizio radicale in termini di critica marxista (e avanguardista) della società borghese».
Il ragionamento salomonico di Berardinelli è qui vistosamente ironico verso questi anni di stagnazione e recessione del pensiero critico sulla poesia, il critico romano dice cose ovvie, tanto ovvie da non poter essere confutate: che oggi nessuno o quasi si occupa di critica, anzi, la stessa parola è caduta in disuso e in dispregio. Io di solito se qualcuno mi chiama critico, interloquisco subito dicendo che non sono un critico, ma un calzolaio della poesia e che i miei strumenti sono i chiodi e il martello, oltre, naturalmente, l’incudine. Anzi, lo strumento più importante è l’incudine, lo strumento immobile contro il quale il martello può battere.
Sembra incredibile lo stupore e la meraviglia di quanti dinanzi alla nuova ontologia estetica gridano metempsicosi e apocatastasi, questo fattore dovrebbe farci venire l’orticaria per la stupida ottusità che rivela una mentalità che manifesta orrore verso un pensiero critico dell’esistente. Come spiegare a questi signori che la nuova ontologia estetica non è nulla di definito ma è un percorso, un cammino in una certa direzione…
Ho saputo che è corsa voce a Milano e in certi ambienti romani, di non dare troppo credito alla ricerca intrapresa dall’Ombra, di non farne parola o menzione per nessun motivo, di erigere una barriera di silenzio. Buffo vero? Soprattutto meschino oltre che auto liquidatorio, ma che rivela bene con che tipo di personaggi abbiamo a che fare oggi, con quelle persone che hanno le mani in pasta… come tanti Lotti che maneggiano e maneggiano al CSM per le prebende e le nomine politiche…
Per fortuna questa sembra essere la tegola definitiva per Renzi e i renziani i quali adesso possono andarsi a fondare un partitino personale…
Caro Germanico, bisogna sistemare Caproni
Spargere le ceneri di Gramsci nell’aria Satura
Sotto il pitosforo nano del belletto minimal-chic
Dove non cresce oramai che il trifoglio di Malvoglio.
Tu sai, Germanico, quanto i Fortini della politica
Discendenti di Ascanio, dalla Suburra abbiano
Tratto giovamento fin dal regno di Numa Pompilio.
Quanto il “finger food” e lo “street food” siano degni
Del castrato in salsa di cipolla e tortelli di piccione.
Bisogna sistemare Caproni, rileggere il sessanta
E il settanta, capire perché sia fallita l’osteria familistica
I buoni contorni una volta saltati in padella di ghisa
Per l’odierna smania nervosa verso l’antiaderente.
Lucio Mayoor Tosi
13 agosto 2018
Complimenti.
Anche per le precisazioni. Ma non avevo dubbi, sei per me uno scrittore poeta di pennino – termine preso in prestito dalla pittura – capace di segni inaspettati e forti.
Giuseppe Talia
13 agosto 2018
Nell’applicare il linguaggio non si può ad esso attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del fonatore e del relativo muscolo cricotiroideo?
.
Giorgio Linguaglossa
13 agosto 2018
caro Tallia,
ti scrivo questa missiva tra gli ozi di Capua
e i negozi di Ercolano in compagnia del passito di Pantelleria.
Germanico consuma fast food con Orestilla
la figlia di quel coccodrillo di Fasullo
che si è dato al commercio di schiavi
mentre la sua amante, Gaia Priscilla, si gode
un muscoloso negro d’Egitto, nipote dei Tolomei,
dice il manigoldo, rampollo della nobile stirpe
di Osiride e di Anubi. Che vuoi, l’impero è tanto grande
che un frammento di esso occuperebbe
il Circo Massimo e il Foro di Traiano dell’Urbe.
A proposito, hai notizie del poeta Gino Rago?, sai
sono un po’ preoccupato, ultimamente ha cambiato lo stile
della sua poesia, adesso scrive in distici,
ma la sua Musa risulta alquanto attempata e impettita
come una mercenaria di infimo rango
che impiega il belletto e il soffritto di alghe
per i suoi capelli untuosi…
.
Gino Rago
Due inediti
[a Giuseppe T., ad Alfonso C., a Giorgio L., a Mauro P., a Lucio M. T., a Roberto B., e ai poeti oggi non presenti su L’Ombra]
1- Ciò che ci ha amato non ha una via di uscita
L’onda esala odori di libeccio e nei marosi tremano i pontili.
[A noi di terra serve per partire nello sgomento della vastità].
Chi valica i fili degli ultimi orizzonti forse più non torna.
Chi s’imbarca per l’esilio farà ritorno come un’ombra
perché ciò che ci ha amato non ha una via di uscita
2 – Parla il saggio [i marinai lo chiamano «il filosofo»]:
«Meglio non partire,
chi rimane ha sempre la certezza d’una tomba.
Mette i suoi confini all’immensità.
Una pergola fra gli orti.
Un filare di pioppi fra l’avena e il grano.
Un frangivento fra l’arancio e il cedro.
Un canneto fra la marina e il mondo.
Un muro a secco fra se stesso e l’altro.
Tu mi chiedi a chi basta il mare?
Il corallo trattiene le voci dei morti,
la tolda nell’afa di agosto
spande odori di boschi bruciati.»
Ma sugli scogli nella bora insonne il mare mette ali all’anima.
Il grido d’un gabbiano
segno d’eterno fra la spuma e il cielo.
[non resta altro da fare che una rinegoziazione di un passato che non si consegna se non nella forma di una latenza]
.
Giuseppe Talia
13 agosto 2018
Caro Germanico,
anche io preso dall’ozio dello Jonio con Nosside
ed Afrodite che bevono una detox alla rucola.
Parlano di Kavafis, “Ionio abbraccia Ionio”, dicono
E ridono di Gallieno che in primavera si fa costruire
Giacigli di rose e imbandisce la tavola con vasellame
D’oro: “la memora è come morta”, va affermando
Preso come sempre dalla Playstation e dal gioco
D’azzardo, ironizza sul prossimo Decreto Dignità.
Che serie danno stasera su Sky? Domanda Nosside
L’Ispettrice Athena Licinia con quel gran pezzo di
Claudio Marcello in un thriller nella Gallia Cisalpina?
Afrodite, invece, si è fatta un nuovo tatuaggio
Una banda nera all’altezza del braccio alla maniera
di Dybala e come lui calcia cocomeri in giardino.
Del poeta Rago non ho notizie certe tranne,
qualche straccio che m’è rimasto in un sacco di iuta.
A Marasà l’aspetto il Rago in distici e ditirambi
caro Tallia,
qui nell’Urbe malatempora currunt, il console Salvinus,
quel bellimbusto padrone della Padania,
che se la spassa con la sua Sofonisba, la terrona
della Libia, ha emanato un decreto di coscrizione obbligatoria
per tutti i cittadini sfaccendati della città eterna,
lo chiama, il becero, Decreto dignità…
al fine, dice il manigoldo, di rinfoltire i ranghi
delle legioni del Nord, dice il ribaldo che una nuova guerra
si avvicina con le bande di germani e di alemanni
che scorrazzano nell’impero fino ad Aquileia!
Stattene nella tua Nosside, caro Tallia, qui rischieresti
le legioni del Reno e del Danubio, i freddi fiumi
invernali, le battaglie ingloriose contro i barbari,
bèati dei sicomori e dei fichi secchi della Bitinia
finché sei in tempo…
.
Alfonso Cataldi
14 afosto 2018
Caro Giorgio, Cari avventori,
ho incontrato per caso la Musa dell’Ombra delle parole
all’ufficio postale. Mentre scrivo, gesticola
dietro lo sportello dei distici non ritirati.
C’è un gran ressa, chi ha espletato la pratica
riceve un biglietto omaggio per il foro Traiano.
Tra mezz’ora è atteso il poeta Gino Rago
che spiegherà le ragioni della conversione.
Io non riuscirò a fare in tempo ed altro non so dirvi
ho ancora trenta numeri avanti
le pratiche sono lunghe, manca l’aria condizionata
tutti hanno da spedire un alibi su cui posare il cappello.
.
14 agosto 2018
piove e non piove qui sulle pietre del molo
il cielo si è ridotto ad una frase
le navi che partono hanno ciascuna
una lettera di commiato scritta sopra le vele
e noi dovremmo essere così coscienziosi
da leggere anche le parole cancellate
le navi che ritornano invece
hanno scritte troppo sicure di se stesse
ma questo non ci disturba, è da gran tempo
che dobbiamo inventare i nostri alfabeti.
Mauro Pierno
14 agosto 2018
La propaganda dei nostri sguardi intravede l’ozio delle parole tra nuvole filiformi di batteri incompresi. Questi mostri di discorsi che attraversano le mani.
Nei gesti le estenuanti nude dichiarazioni.
Questo fumo di vento
Ha il volto perso.
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Maria Rosaria Madonna
da Stige. Tutte le poesie (1990-2002), Progetto Cultura, Roma, 2018 pp. 150 € 12
Sai, nel Dottor Zivago c’è il protagonista
chiuso nella casa gelida immersa nella neve…
fuori dalle finestre l’ululato dei lupi.
E’ un poeta. –che cosa fa? –
fa quello che fanno tutti i poeti: scrive poesie.
Scrive poesie, poesie, poesie.
Si deve sbrigare perché tra poco le guardie rosse
lo verranno a prendere. Davvero,
c’è così poco tempo per scrivere poesie.
.
Se Maria Rosaria Madonna avesse saputo che per qualcuno, un giorno, Lei sarebbe stata d’avanguardia, chissà cosa avrebbe pensato. Sono tante e tali le somiglianze…
Le poesie in neolingua sono capolavori, ma sono cosa a parte, sovrumane, fuori dal tempo e per me impossibili da ri-considerare. Ma gli inediti, le ultime poesie scritte nel 2002, insegnano chiarezza e irregolarità. Nel 2002 era già fuori, aveva fatto il salto… Neve inattesa. Sulla fronte. – Fa bene alla pelle.
(citata da Lucio Mayoor Tosi)
.