Realismo terminale, Che cos’è? Riflessione di Davide Chindamo, assomigliamo sempre più agli oggetti tecnologici, “Mamma, stacca un po’ la spina! Sdraiati sul divano e ricarica le batterie”

Gif Automa

“Mamma, stacca un po’ la spina! Sdraiati sul divano e ricarica le batterie”

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REALISMO TERMINALE

Un vero e proprio chido fisso

Non si può sapere cosa la vita abbia in serbo per noi. Ognuno crea una sorta di sentiero, cammina lungo il proprio percorso, ma a volte incontri strabilianti deviano il tracciato. La vita, quindi, tramuta in sorpresa, in un alternarsi di gioie e dolori che rendono questa giostra una collana di sfide. Ed è quello che mi è successo con il Realismo terminale.

Durante il corso magistrale di Filologia moderna, presso l’Università Cattolica di Milano, ho avuto la fortuna, e l’onore, di avere Giuseppe Langella come professore di Teoria e storia della modernità letteraria. «Lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno» direbbe Leopardi: però, a differenza del recanatese, affascinato dall’«opre femminili» e dal «suon della […] voce» della fantomatica Silvia, io ero incantato dal carisma di quell’uomo. Incurante del tempo, speravo che le sue spiegazioni non finissero mai, consapevole che sarebbero state rivelazioni di inestimabile valore, sia culturale che umano. Per tutto questo gli sono grato.

Consolidata nei mesi una arricchente confidenza, ho rivelato al Professore il desiderio di elaborare la tesi su di lui, in quanto poeta, sul Realismo terminale e inevitabilmente su Guido Oldani. Dopo aver superato l’imbarazzo iniziale, considerando che avrebbe dovuto gestire i panni del regista e del protagonista, ha accettato la mia proposta e mi ha suggerito di intervistare l’ideatore del movimento.

Nonostante io fossi un giovane autore, apprezzato dai miei pari, con tre titoli all’attivo e diversi riconoscimenti in bacheca, di fronte ad Oldani mi sentivo un piccolo televisore a tubo catodico accanto al maxischermo di un cinema moderno; un telefono in bachelite accanto all’ultimo modello di smartphone. Sapevo che era appena stato candidato al Nobel per la Letteratura e mi chiedevo cosa potesse nascere dall’incontro tra lui e un giovane poeta devoto alle lettere. Ricordo ancora quel 14 novembre di un anno fa. Un pomeriggio uggioso, abbastanza smorto, con un cielo grigiastro: per dirla alla Oldani, un «cielo di lardo». Nella sua officina di idee, a Melegnano, mi attendeva su un manzoniano seggiolone. Lì, finalmente, ho potuto degustare sia la genesi del Realismo terminale che la caratura profetica del suo fondatore. Quella chiacchierata, durata quasi due ore, si è rivelata la chiave di volta verso la piena conoscenza del movimento. Ricordo tutto. Le risposte, i sospiri, le preoccupazioni. Le risate, le pause, i silenzi. Tutto. E ricordo con affetto i racconti privati di quel poeta, che si faceva sempre più uomo e meno autore. Tuttora, li conservo con gelosia.

Da quel momento, non ho mai smesso di pensare a ciò che avevo imparato. Il Realismo terminale, da rivelazione, era diventata quasi un’ossessione: un vero e proprio chiodo fisso. E in questi mesi così intensi, ricchi di convegni e letture in gruppo, ho appurato che la poesia, come direbbe Saba, ha realmente il compito di riverberare la «verità che giace al fondo». Di certo, non esiste una sola verità, ma la poesia ha il potere, e il dovere, di avvicinarsi maggiormente a quella più universale.

Ecco la verità del Realismo terminale: l’uomo si sta dimenticando di essere tale ed è sempre più suddito degli oggetti; anche la natura è stipata in un cassetto, nel dimenticatoio, ed è diventata «azionista di minoranza». La parola chiave è «accatastamento». Già nel 2010, anno di teorizzazione del Realismo terminale, nell’omonimo libricino Oldani preannunciava le «pandemie abitative»: uomini che si agglomerano nelle metropoli, vittime di una «bulimica» fame di manufatti.

Tutto questo perché gli oggetti hanno assunto un valore sempre più segnaletico. «Dimmi che oggetti hai e ti dirò chi sei» dichiara Oldani, e l’uomo del Terzo Millennio finisce per demolire il detto «l’abito non fa il monaco». Tutto è apparenza, non c’è più sostanza. Impera il vuoto delle idee.

La «similitudine rovesciata», altra creatura di Oldani, è lo strumento retorico più distintivo del movimento. Non sono più le cose ad assomigliare alla natura, bensì il contrario (non è più consuetudine esclamare «sei veloce come una lepre», bensì «sei veloce come un treno»). Io ripeto a mia madre, vittima delle faccende domestiche nel fine settimana: “Mamma, stacca un po’ la spina! Sdraiati sul divano e ricarica le batterie”. Garantisco che mia madre non è un’aspirapolvere, ma a tutti gli effetti la mia sensazione è quella di vedere un elettrodomestico che deambula per casa senza sosta. Ecco che l’essere umano diventa sempre più parente prossimo degli oggetti, e così anche il vocabolario si modula sugli elementi artificiali che lo circondano.

Oggi percepisco Oldani come il mitologico Atlante, curvo a sorreggere il mondo: quella sfera, però, non è l’agglomerato di terra e di mare che tutti pensano, bensì una sorta di sacro ostensorio al cui interno risiede lo spirito umano. Immagino Oldani raccogliere l’ultimo brandello di umanità, caricarselo sulle spalle e condurlo laddove è sicuro. Ma il peso è opprimente, e chiama a sé tutti coloro che condividono la sua missione: bisogna salvare ciò che di umano resta dell’uomo e contribuire a questa titanica impresa con la forza di chi non teme sfide arrischianti.

Oggi il Realismo terminale ha un compito temerario. Tra tutti, dimostrare che la grandezza dell’uomo sta nell’essere tale, non nella sua proiezione, sia essa in un oggetto tangibile o in un futuribile metaverso, e che questo cambiamento irreversibile può essere quantomeno limitato. Walter Benjamin, nell’Angelus novus, diceva che l’Angelo della Storia non può intervenire per mettere ordine tra le macerie, perché il violento vento del progresso lo allontana dai suoi doveri. Il Realismo terminale, invece, ha l’asperrimo dovere di placare il vento e vivisezionare la modernità: non bisogna essere antimoderni ma poeti engagé, e cercare di salvare quello che di buono esiste.

Ma come fare? Innanzitutto confermando un linguaggio intriso di «ironia filosofica», quella che io tendo a considerare figlia dell’umorismo pirandelliano; successivamente, coinvolgendo più interpreti, provenienti da ambiti diversi e complementari, così da sbrogliare le intricate sfide a cui il progresso ci sta sottoponendo (tra tutte, l’Intelligenza Artificiale): siano dunque benvenuti i fisici, i chimici, gli ingegneri informatici, i medici, gli astronomi, seguendo l’invito di Montale verso una poesia «inclusiva» e non «esclusiva», sia per temi che per maestranze; di seguito, è perentorio candidarsi a nuovo sistema di valori e proporsi come guide e modelli per i giovani, zattere in un oceano senza fari; inoltre, tutti noi dobbiamo cooperare in maniera coesa, seguendo un’unica direzione, in modo tale da rendere la nostra filosofia sempre più dominante, e sempre più profetica.

Gif Danza di bottiglie

Homo homini machina

L’uomo vede il suo simile come pedina
su una grande scacchiera: in base alla
situazione, o questa o quella posizione.

L’uomo è la macchina di un altro uomo:
si usa, si consuma, si spreme, e infine
si butta via, senza concedere spiegazione.

E se c’è un problema, non esiste la toppa,
e l’idea dell’aggiustare è diventata fané:
e tutto si scarica come acqua nel bidet.

(Davide Chindamo)

Davide Chindamo è nato a Como il 28/05/1998. Poeta e scrittore, è laureato in Scienze dei Beni Culturali (2020) e in Filologia moderna (2022) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha pubblicato le raccolte di poesie Apollo (Transeuropa edizioni, 2020) e Allegrezza solitaria – Riflessioni di un eremita socievole (Rosabianca edizioni, 2021 – menzione speciale Premio “Michelangelo Buonarroti”). Ha pubblicato il romanzo Il trionfo dell’Arte (Rosabianca edizioni, 2022). È responsabile della sezione cultura per la testata giornalistica «Aliseo». Docente a contratto presso scuole secondarie di primo e secondo grado. Allievo di Guido Oldani e membro del Realismo terminale. Ha vinto numerosi riconoscimenti, tra cui il Concorso Letterario Europeo “OSCAR WILDE” (I classificato, con la poesia Il suono della tua ombra, 2021).

24 commenti

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24 risposte a “Realismo terminale, Che cos’è? Riflessione di Davide Chindamo, assomigliamo sempre più agli oggetti tecnologici, “Mamma, stacca un po’ la spina! Sdraiati sul divano e ricarica le batterie”

  1. Bella la poesia di Chindamo: allora, perché si continua a scrivere?

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    • Davide Chindamo

      Gentile Luciano,
grazie per il suo commento.
Provo a risponderle, sebbene quanto sto per scrivere possa sembrare pessimistico.
Mi rifaccio al Montale vincitore del Nobel: “la poesia è un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo”. Di conseguenza, si scrive per una forma di missione, perché il poeta non è capace di voltare lo sguardo dall’altra parte, non può andare sottocoperta quando il mare è in burrasca. Ma, a malincuore, credo che la poesia, e l’arte tutta, abbiano sempre meno impatto sulla società, abbindolata da altra forme di indottrinamento (es. influencer tramite i social, molto più semplici e immediati). Inoltre, gli strumenti a disposizione sono spesso imbelli di fronte ai problemi del nostro tempo: è sufficiente da una scrivania, di una casa magari al caldo e al riparo, esprimere un parere sulla guerra? Ecco “l’inutilità montaliana.
Ma nonostante questa progressiva erosione del potere dell’arte, e in particolare questa deposizione della poesia, tutto questo non è mai “nocivo”. E l’artista sarà sempre, come il poeta, in prima fila a districare la matassa dei paradossi del mondo. Forse, con un po’ più di malinconia, ma senza rassegnazione.
      Cordialmente,
      Davide Chindamo

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  2. tiziana antonilli

    Ho letto con curiosità le parole di Davide Chindamo. Molte riflessioni sono condivisibili, ad esempio la reificazione dell’essere umano, il predominio dell’apparenza, la preoccupante tendenza ad andare oltre l’umano, più di una volta su l’ombra ho denunciato il pericolo del transumanesimo.
    Confesso, però, che leggere frasi quali ‘ verità universale’ oppure ‘seguendo un’unica direzione’, ‘rendere la nostra filosofia sempre più dominante e profetica” …mi incute paura, mi rende inquieta : torniamo all’ipse dixit?

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    • Davide Chindamo

      Gentile Tiziana,
      grazie per il suo commento.
      Con “verità universale” non si intende inconfutabile, ma quella che più di tutte possa essere condivisa dalla maggior parte di coloro che la ricercano. Tutta l’arte è portatrice della sua verità, e che allo stesso tempo ambisce ad essere la più valida e la più apprezzabile.
      “L’unica direzione” era un invito rivolto ai membri stessi del movimento: tutti, con le loro diversità e originalità, devono lavorare e collaborare in un’unica direzione, come tanti rematori eterogenei su una barca.
      Infine, la nostra “filosofia deve essere dominante”. Purtroppo sì. Ma non per una sorta di arrogante saccenza o di “ipse dixit”, bensì per contrastare una tendenza a non assumersi mai la responsabilità. Vorremmo avere lo spazio che necessitiamo (mentre se lo meritiamo lo direte voi), così da poter essere smentiti o magari conosciuti meglio. Ma oggi, e non parlo di certo di Lei in particolare, pochi intellettuali vogliono sporcarsi le mani. 
      Spero di averle risposto, e la ringrazio ancora per il suo intervento.
      Cordialmente, 
      Davide Chindamo 

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  3. Nel post che precede il presente, quello dedicato ad Annachiara Marangoni ho scritto.

    «Il realismo oggi è lo stato vegetativo permanente della poiesis.

    I prodotti dell’attività immaginativa ricadono sulla immaginazione

    Il realismo terminale, la poetry kitchen o altro dispositivo poietico terminale, ricadono sulle attività produttive mediante il loro reimpiego per mezzo della tecnica (vedi il reimpiego che del cannocchiale ne fece Galileo che lo puntò verso la luna inaugurando così la rivoluzione dell’astronomia e il cambio di paradigma scientifico).
    Il ruolo dell’immaginazione nell’epoca del digitale è cambiato, e questo cambiamento investe anche la poesia, il romanzo, la fiction e le arti figurative.»

    *

    Il collasso del sistema simbolico è pienamente avvertibile nella nuova poesia.
    L’attrazione gravitazionale sulla superficie di una stella di neutroni sarebbe circa 1 miliardo di volte più forte dell’attrazione gravitazionale sulla superficie della Terra. L’unico oggetto con una densità maggiore di una stella di neutroni è un buco nero, che si forma anche quando una stella morente collassa.
    I sistemi fisici, così come i sistemi politici, i sistemi estetici, etici, linguistici e religiosi collassano, sono tutti destinati, prima o poi, a collassare. Dal collasso dei sistemi sortirà una nuova ignota dimensione.
    Della nuova poesia (terminale o kitchen) direi che si tratta di una poesia di ciò che resta della poesia esistenzialistica del novecento, dopo la fine annunciata da Adorno, dell’esistenza, dopo l’invasione delle emittenti linguistiche delle società metal mediatiche del mondo globale e glocale.

    La nuova poesia si mostra restia alla ermeneutica, ostile a qualsiasi vorace indagine interpretatoria. E sarebbe incongruo per un critico dover spiegare come sia divenuto problematico oggi scrivere poesia nel nostro tempo pandemico; anche il critico, al pari del poeta, è rimasto senza le parole ed è costretto a piegare il discorso ermeneutico sulle criticità in cui versa il mondo del «poetico».

    Anche il critico è costretto ad utilizzare pochissime parole per tentare di afferrare l’oggetto-poesia; direi che Intini dialoga con l’improprio e con l’ultroneo, l’intraneo e l’estraneo, con ciò che non può più essere ri-appropriato, ri-utilizzato né pubblicizzato; ciò che non può essere assimilato alla significazione e alla giustificazione dei discorsi da risultato del «politico» e del «poetico», giacché se oggi tutto il mondo globale e glocale è divenuto «politico», non v’è più «politica», il mondo si è de-politicizzato, così come si è esteticizzato e privatizzato, ed è ovvio che nel mondo de-politicizzato, esteticizzato e privatizzato corrisponda oggi una poesia de-politicizzata e privatizzata.

    È lampante che il nuovo linguaggio poetico si rifiuti di «mondeggiare» in modo laudatorio e predatorio dei linguaggi da risultato sicuro, gioca a baseball con il «mondo», vuole fuorificare l’interno e si rifiuta di dentrificare l’esterno. La nuova poesia in fin dei conti rispecchia la condizione predatoria e laudatoria in cui versa la poiesis nel nostro mondo amministrato e de-politicizzato: il non esser né di qua né di là, il trovarsi in un luogo ultroneo ed erraneo dove si parla un linguaggio ultroneo ed estraneo.
    È questa la condizione della poiesis nel nostro mondo globale e glocale.

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  4. L’uomo con l’impermeabile grigio

    L’impermeabile aprì il frigorifero, ne trasse una bottiglietta di gazzosa
    Si sedette. Prese a fare tip tap con la pencil sul tavolo.
    Iniziò a fischiettare
    (un orrendo motivetto anni sessanta percorse la stanza).

    «C’è del correlativo oggettivo ma ribaltato e ribasato, il cateto che diventa ipotenusa e il quadrato che diventa trapezio, con il teorema di Pitagora che va a farsi benedire», disse il figuro.

    Poi si alzò, fece un giretto attorno al tavolo.
    Si arrestò.
    «2 + 2 = 4 vero?», pronunciò in tono perentorio.

    Attraverso il monocolo il suo occhio bianco mi osservava attentamente

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  5. Lettera n. 1) agli interlocutori avatar (Tallia, Alf. Galacticus, Gneo Fabius, Gaius Gallus, Memmio, Scintilla, Tizyfardwell, Sic Stantibus, Lucio Vero)

    .

    Vi informo che oggi è giorno di equinozio, la notte non gioca più a pari e dispari con il giorno, il polo nord si trova sempre a nord, al solito posto, e il polo sud si trova sempre a sud, al solito posto, anche se l’inclinazione dell’asse terrestre si è aggravata di un grado… cmq niente timori, il mondo è ancora in piedi, il signor Putler ha ottenuto l’85 % di consenso alle elezioni e anche il leggendario Trump corre verso il traguardo della rielezione, a scanso dell’impeachment, il che, per l’eternità, fa lo stesso. Penso che dovremo ricorrere presto al Liquido Reagente dell’Ottimismo (LRO) per coprire un saggio pessimismo per come vanno le cose di questo rispettabile teatro; del resto chi può assennatamente asserire che dietro la finestra ci sia qualcosa che assomiglia a qualcosa e non il nulla che assomiglia a se stesso?
    In entrambi i casi, Vi informo del mio plauso per le poesie paludate del poeta di Mediolanumi al quale invio il mio più cordiale arrivederci dal Dorotheenstädtischer Friedhof di Berlino Est.

    .

    Lettera n. 2) agli interlocutori della nuova ontologia estetica (Tallia, Alf. Galacticus, Gneo Fabius, Gaius Gallus, Memmio, Scintilla, Tizyfardwell, Sic Stantibus, Lucio Vero)

    cari interlocutori della nuova ontologia estetica, comunico che per il momento dio ha fatto le valigie.

    E si è sistemato per le vacanze presso l’esopianeta Proxima Centauri B, considerato il più simile alla Terra, e quindi abitabile, temperatura di base – 32° (gradi centigradi), distanza 4,22 anni luce dalla Terra, ubicazione galattica.

    Braccio a spirale di Orione, stella madre Alpha Centauri C, distanza dalla stella 7,48 milioni di chilometri.

    .

    Lettera n. 3) gentili abitanti del pianeta Terra (Tallia, Alf. Galacticus, Gneo Fabius, Gaius Gallus, Memmio, Scintilla, Tizyfardwell, Sic Stantibus, Lucio Vero)

    vi comunico che da quando dio si è recato in villeggiatura presso l’esopianeta Proxima Centauri B, è accaduto un fatto bizzarro: le Muse si sono azzittite.
    Un fatto davvero inspiegabile se consideriamo la velocità dell’onda di Bohm, che coincide con quella dell’onda d’urto dell’Oscurità, ovvero, 300.000 chilometri al secondo.
    Il fatto inspiegabile, però, come sappiamo, deve pur sempre avere una spiegazione.
    È probabile che tra le tre «onde» d’urto, considerando «onda» anche quella delle Muse… dicevo, ci dovrebbe essere una relazione di causa ed effetto, ovvero, di concausalità o di entanglement tra i tre fenomeni. Diversamente, non potremmo spiegarci la triplice coincidenza, a meno che le coincidenze non si de-coincidano nell’istante stesso della loro coincidenza.
    Il che è un paradosso non resolubile.

    In verità, le Muse si sono intirizzite per via del Grande Freddo.
    Il Grande Attrattore ha inviato il Grande Freddo.
    Infatti, si narra che una piccola glaciazione si sia stabilita in Europa a seguito di cataplasmi interstellari.
    Di una stella gemella del nostro sole, denominata Nemesis, la quale compie un giro completo intorno al nostro sole ogni 35 milioni di anni, quando raggiunge il perielio della sua orbita che va ad interferire con la cintura di Kuiper e la nebulosa di Oort, con depistaggio di meteoriti e comete di ghiacci e polveri dalle loro orbite… con le conseguenze di cataplasmi intrasolari che può immaginare…
    Tra tutti questi frangenti-cataclismi il buon dio ha pensato bene di traslocare e passare la villeggiatura sul satellite Proxima Centauri B, galassia di Andromeda a distanza di sicurezza dal nostro pianeta Terra.

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  6. PIETRO EREMITA

    “il suono della tua ombra” ( (I classificato, con la poesia Il suono della tua ombra, 2021) oppure l’ombra del tuo suono….
    ricorrono diverse volte nei versi di Antonio Sagredo
    p.e. in questi suoi versi:

    Orfeo

    Guardati, Orfeo,
    dalla corda
    o dal cerchio di una nota,
    dal suono che ha trafitto il viaggio
    o da un eco
    che mai ha visto ombre – umane!

    1989

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    • Davide Chindamo

      Gentile Pietro,
      grazie per il suo commento.
      In verità, ad essere sincero, il titolo è preso da altra fonte:

      “Ecco l’unica cosa che mi piacerebbe veramente di tenere in pugno, il suono dell’ombra”
      (A. Merini, “Purissima”, in “Il ladro Giuseppe. Racconti dagli anni Sessanta”, Scheiwiller, 1999).

      Tuttavia, leggo con piacere i versi che ha riportato.
      Cordialmente,
      Davide Chindamo 

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  7. milaure colasson

    Ciò che scrive Giorgio Linguaglossa :

    «Il realismo oggi è lo stato vegetativo permanente della poiesis.

    I prodotti dell’attività immaginativa ricadono sulla immaginazione

    Il realismo terminale, la poetry kitchen o altro dispositivo poietico terminale, ricadono sulle attività produttive mediante il loro reimpiego per mezzo della tecnica (vedi il reimpiego che del cannocchiale ne fece Galileo che lo puntò verso la luna inaugurando così la rivoluzione dell’astronomia e il cambio di paradigma scientifico).
    Il ruolo dell’immaginazione nell’epoca del digitale è cambiato, e questo cambiamento investe anche la poesia, il romanzo, la fiction e le arti figurative.
    […]
    Ci sono dei parallelismi, delle concordanze e delle ricordanze evidenti tra la poesia della Marangoni e quella di Ciccarone, entrambe sono fondate sulla “similitudine rovesciata” (che è il cardine sul quale è impiantata la poesia del realismo terminale) e sulla “procedura serendipica» e la “voce degli Avatar (che sono i cardini sui quali è impiantata la poesia della poetry kitchen”».

    che sono dei postulati da cui dipende tutta la “nuova poesia”, non si può non prenderne atto, con tutte le implicazioni che ne conseguono. MA tutto ciò non sono degli epifenomeni del Grande Collasso del Simbolico di cui abbiamo ampiamente fatto cenno in decine di post? (di cui le ultime 4 poesie titolate Lettere agli interlocutori sopra postate da Linguaglossa ci forniscono un ampio resoconto).
    La politica del profitto azientale promossa dalle scelte azientali del trio Mondazzoli ha sicuramente contribuito a penalizzare ulteriormente la nuova poesia italiana relegandola in soffitto e promuovendo le poesie femminili e riduzionistiche come quelle di Franco Arminio, della Vivien Lamarque e sorelline affiliate (vedi le scelte di un programma radiofonico pubblico come Fahrenheit-poesia).

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    • cara Marie Laure,

      il «realismo» terminale è nato nel 2010 grazie alla originalità e all’impegno del poeta milanese Guido Oldani, si trattava di una forma-poesia notevolmente diversa da quella interpretata da poeti dell’area esistenzialistico-realistica della scuola lombarda, o meglio, milanese come Maurizio Cucchi, Mario Benedetti, Antonio Riccardi, Milo De Angelis ed altri, ma a considerarla oggi, ex post, il pregio della proposta oldaniana impersonava anche dei limiti interni alla proposta stessa forse troppo dipendente dalle intuizioni dell’Oldani cui non hanno fatto seguito, nei tredici anni che intercorrono dal lancio del 2010 al 2023, adeguati sviluppi teorici e poetici soprattutto da parte dei poeti sodali ai quali va riconosciuto il merito di aver perseguito una forma-poesia decisamente di sorprendente novità ed efficacia.
      Oggi, dinanzi alla stagnazione in Italia della poesia post-elegiaca e post-lirica sempre più invasiva, è sempre più avvertibile la necessità di una forma-poesia dotata di un saldo spessore teorico-critico, una poesia che prosegua il lavoro del «realismo terminale». In questa direzione si pone il tentativo della nostra rivista per una poesia che abbia la sua base su un pensiero di rifondazione di una nuova ontologia del poetico. La poesia kitchen e la poesia delle voci degli Avatar che parlano in luogo dell’io de-valutato è una forma-poesia che intende interpretare il Collasso del Simbolico con annesso collasso dei suoi linguaggi e delle sue cerimonialità.

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      • Caro Giorgio,

        ho avuto modo di seguire con interesse la produzione del Realismo Terminale e se da un lato è evidente il senso di una lacerazione ontologica e direi anche epistemologica delle istanze manifestate da Oldani e da cui la corrente ha preso le mosse, mi sembra che però in gran parte tali articolazioni non siano state sviluppate dagli altri componenti del movimento oltre l’assunto di principio iniziale, precisando che posso esprimermi per ciò che ho letto o ascoltato in reading, ma ovviamente non ho avuto modo di compulsare l’intera produzione del Realismo Terminale .
        Trovo interessante la lettura di Chindamo, ma se penso ai risultati espressi finora dal movimento in generale, mi sembra che il risultato determinatosi (per quanto abbia potuto vedere) sia quello di una poesia contraddistinta da un lavorio di variazione lessicografica, che non mi pare giungere però ad una vera e propria riformulazione ontologica, espressiva e linguistica strutturale, della scrittura poetica, coerentemente all’intuizione di Oldani.
        Voglio dire (non è un riferimento specifico a Chindamo, ma a a lavori che ho avuto modo di leggere in precedenza) che non credo, per come la vedo, che sia sufficiente sostituire per esempio la raffigurazione idillica di un albero stagliato sul panorama di un bosco con – faccio per dire – le schegge di una testata missilistica nucleare, per modificare la sostanza costitutiva della scrittura poetica: se non si procede alla fondazione di una nuova sintassi, la testata nucleare verrà comunque semantizzata con le stesse categorie dell’albero e la sostanza non si sposterebbe di una virgola. Si tratta di sviluppare un registro espressivo ed un canone linguistico che ricalchino realmente la frammentazione profonda che in questi ultimi vent’anni si è venuta a creare nello statuto ontologico della nostra civiltà, pena altrimenti il rischio che tutto si traduca semplicemente (parafrasando il titolo di un celebre album di Leonard Cohen) solo nell’esibizione di “nuova pelle per la vecchia cerimonia”.
        Da un punto di vista più strettamente antropologico, mi lascia un po’ perplesso del Realismo Terminale, l’idea della condizione di alienazione dell’uomo rispetto alla natura, che invece rimane un grimaldello fondamentale della dalla contestualizzazione esistenziale storica dell’uomo (e che oltretutto non è un elemento statico rispetto all’evoluzione storica, perché anche la morfologia e le manifestazioni della natura la riflettono) ed oggi evidentemente più che mai e la riduzione ad una visione quasi meccanicistica del rapporto tra individuo ed oggetti che in realtà un discorso a mio avviso più complesso.
        Al di là di tutto ci sono sicuramente delle intersezioni di fondo all’origine del percorso della Poetry kitchen e del Realismo Terminale, che potrebbero condurre ad un confronto proficuo.

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        • caro Vincenzo,

          Hans Magnus Enzenzsberger in un famoso libro, “Questioni di dettaglio” del 1962 ha così sintetizzato la situazione della poesia europea: «l’inverso di ogni distruzione della poesia è la costruzione di una poetica nuova».
          Ho sempre tenuto presente questa massima di Enzensberger, che penso possa essere condivisa da tutti noi della poetry kitchen come da tutti i poeti del realismo terminale. È uno sforzo che mi auguro possa continuare per il futuro, soltanto restando uniti, pur nelle singole differenze di ciascuno di noi, potremo contribuire a scrivere la poesia del presente e gettare un ponte verso il rinnovamento della poesia italiana. A tal proposito nel post odierno ho ripubblicato una mia intervista a Daniele Santoro, del 2009 nella quale indicavo un percorso e formulavo un auspicio.
          Saluti a tutti gli intervenuti, a Davide Chindamo e alla poesia del realismo terminale.

          POESIE SCELTE di Hans Magnus Enzensberger con una nota di Alfonso Berardinelli

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          • Carissimo Giorgio,

            intanto ti ringrazio per aver citato Enzensberger, che come sai è un punto di riferimento fondamentale anche per me.
            Condivido in toto il tuo auspicio ed anzi rafforzo ulteriormente il pensiero da me già espresso in conclusione del mio precedente intervento, esprimendo il convincimento dell’utilità di un confronto tra tutti coloro che collettivamente o individualmente siano mossi dalla volontà di trovare dei nuovi canoni per la poesia italiana (che poi purtroppo non sono uno stuolo innumerevole) con l’intento di riuscire a rivitalizzare quello che altrimenti rischia di diventare un rudere.

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  8. antonio sagredo

    “Realismo terminale, Che cos’è? Riflessione di Davide Chindamo, assomigliamo sempre più agli oggetti tecnologici, “Mamma, stacca un po’ la spina! Sdraiati sul divano e ricarica le batterie””
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    Non si tratta di as-somiglianza e né si tratta di “oggetti tecnologici” (perché di questi non ne abbiamo una idea precisa o quanto meno comprensibile). Il fatto se mai è un altro e di tutt’altra natura, cioè è puramente un tema “linguistico”. Conosciamo pochissimo la nostra lingua (e vale per le altre lingue, come p.e. quella che ci circondano)… non usiamo a dovere la nostra lingua (italiana per quanto ci riguarda). Invece di dire semplicemente :” Mamma, hai lavorato troppo oggi, cerca di riposarti…) – Oppure “ sdraiati sul divano per recuperare energie…”
    E allora perché non esprimersi così in maniera semplice e naturale, come dicevo a mio padre o a mia madre? Si ricorre a metafore banali e nocive: a oggetti di “tecnologia”, perché non vi è più una cultura linguistica ( di come saper usare la lingua).
    Ma mia nonna usava il ferro da stiro a carbone, pesantissimo coi carboni dentro che bisognava ravvivare di continuo perché fosse caldissimo e pronto all’uso! Se avessi detto allora “Nonna stacca la spina” mi avrebbe preso per pazzo o demente, mentre ancora meno comprensibile per lei “ricarica le batterie”.
    La diacronia e sincronia della lingua devono fare i conti con la storia della langue, la sua cronologia a noi ci sbalestra di continuo.
    Consiglio al signor Davide Chindano di andarsi a leggere le analisi di linguistica (generale) di Roman Jakobson e dei suoi colleghi linguisti, e di quelli che sono venuti dopo di loro.
    Grazie as

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    • Davide Chindamo

      Gentile Antonio,
      grazie per il suo commento.
      Provo a risponderle, con l’auspicio di essere il più esaustivo possibile.
      Ho affrontato esami di linguistica e conosco Jakobson, ed è proprio il linguista russo a dimostrare che qualsiasi messaggio non si fonda unicamente sul puro significato dei termini, ma dipende anche da altri fattori (es. 6 funzioni linguistiche). 
      Anche se condivido la sua denuncia (la nostra lingua è sempre meno approfondita, studiata e conosciuta, e di conseguenza si adottano forme più banali e meno appropriate), per me il problema non è prettamente linguistico.
      Oggi il problema è antropologico.
      La verità è che mia nonna, figuriamoci la mia bisnonna, vivevano ancora in contatto con la natura e quei pochi manufatti (se non vogliamo chiamarli “oggetti”) avevano uno spazio vitale ben definito. Si usavano e poi si riponevano via, anche perché spesso erano finalizzati al lavoro. Non si era loro sudditi per potersi dire vivi o affermare utili (altra questione, ma non è l’oggetto della discussione). Oggi, d’altro canto, siamo invasi da una miriade di elementi artificiali, anche extralavorativi, ed è come se non riuscissimo a vivere senza. “Nomina sunt consequentia rerum” scriveva Dante, riprendendo Giustiniano: nella nostra epoca, l’uomo ricorda molto di più un elemento inanimato che un individuo di 100 anni fa, per tanti motivi. Ma già lo scriveva Pirandello nei “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”: “Sono una mano che gira una manovella”.
      Potrei dire anche a mia madre: “Interrompi le attività domestiche e coricati sul divano, così ti rilassi e sicuramente starai meglio”. Dal punto di vista linguistico, è sicuramente più canonizzato e tradizionale.
      Ma il compito dell’arte è quello di riflettere il volto del proprio tempo, anche a costo di rompere gli schemi: mia madre, per tutta una serie di motivi, ricorda molto di più l’aspirapolvere frizzante e roboante, un motorino scoppiettante, piuttosto che una semplice donna stanca. I ritmi sono cambiati, le esigenze anche, e la poesia incarna tutti i mutamenti.
      Di conseguenza, il Realismo terminale non vuole svendere la poesia, o abiurare l’uso corretto della parola, ma raccontare una società che è sempre più familiare ai manufatti che la circondano e la manovrano. 
      Spero di averle risposto. 
      La ringrazio ancora per il suo commento.
      Cordialmente, 
      Davide Chindamo 

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  9. Un cattivo maestro è pur sempre un maestro, qualcosa ti insegnerà. È come per la crescita sentimentale, tante esperienze anche dolorose ma poi si impara. Non siamo la copia di nessuno.

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    • Davide Chindamo

      Buonasera Lucio,
      mi dispiace leggere questo commento.
      Spero che lei conosca sia Guido Oldani che Giuseppe Langella prima di scrivere quanto condiviso, ma visto il contenuto credo di no. 
      Tuttavia, ringraziare dei Maestri non significa diventare loro epigoni, ma semplicemente manifestare riconoscenza per i tanti e preziosi insegnamenti ricevuti, in un mondo arduo e complesso come quello della letteratura. 
      Le auguro una buona serata.
      Cordialmente,
      Davide Chindamo 

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      • Gentile Davide,

        riconosco che mio commento era del tutto immotivato, e me ne scuso. Ho conosciuto Guido Oldani anni fa, mi pare ricoprisse allora un incarico alla Permanente di via Turati. Mi interessai alla sua poesia ma non ne rimasi affascinato quanto lei, cito “di fronte ad Oldani mi sentivo un piccolo televisore a tubo catodico accanto al maxischermo di un cinema moderno”. Invece io lessi nel suo discorso una semplificazione del discorso più complesso di Pasolini, quella di Oldani solo una furba saggezza contadina. Chissà, forse per reazione al comportamento intellettualistico di tanti poeti di allora. E non mi piaceva il ritorno a una forma di poesia marcatamente strutturata (il periodo era post sperimentale, imperava il verso libero), mi ricordava le filastrocche delle nonne, il loro umorismo. Ma c’era del pop, si capiva subito che era scrittura ben congegnata. Sì, un possibile maestro, anche se non per le mie corde.

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  10. antonio sagredo

    …come la tecnologia si piega docilmente alla Poesia…..
    questo esempio :

    ——————————————————–
    Da quand’io trascorsi nel timore i miei anni recidivi
    per rivedere in fotocopia i sani crimini celebrati
    dai trionfi, e il passo d’oca dominare marziale l’epoca
    della bilancia, più non mi fido della testimonianza

    e della giustezza imparziale che insane sollecitano a nuovi
    atti e antichi incontri, e che nel discorrere del sangue
    rinnovano le fughe e i fasti di una armonia irrazionale,
    e di una legge unica che nel tremore altrui ha un fine

    e un terrore da perseguire, come in un sogno – il suo potere!
    Consumare lo sguardo oleoso in un fissato olio di lino
    è far parte dei colori e degli umori spalmati senza requie,
    per una tortura non mia, per un perdono di palma – egiziano!

    E dall’indaco al blu di Prussia con cadmio, e non Cromo, voglio
    un non piombato verde dov’io cammino con rigore e conoscenza
    sulla scena, ma per il salto di un elettrone al terzo giro non sia tossica
    la mia parola ai delicati uditi dei poeti passionisti dell’equivoco.

    Ed è questo Oriente che mi canta una novella storia di deserto,
    non più dormono le orme, e palpebre di mani e noci di malleoli
    per nuovi archi e sonate di trionfi. E quel sangue che tu spargi infine
    è la Via dei Fiori Ineludibili, Gioia dei Vessilli, e dei tuoi sette Veli!

    antonio sagredo

    Roma, 7 maggio 2011

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  11. Mimmo Pugliese

    CONSUETUDINE DI SOGNI

    “Torna a spade!!” esclamò il quarto di luna
    un siluro distrusse la raccolta di francobolli del signor K

    Non sanno bene perchè ma anche stanotte
    i droni si travestono da fantini

    Molossi hanno per compagna la tela di Penelope
    dalle grondaie del planetario gocciola la pubblicità

    Un urlo barcolla sul balcone
    intere colonie di celenterati insidiano la Chioma di Berenice

    I polpastrelli illuminano la città che non finisce
    granchi blu rosicchiano ciminiere

    Barbe finte scavalcano positroni
    i lacci delle scarpe masticano murales

    Una strana fretta stordisce le sequoie
    ai pavoni restano in gola i mesi di maggio

    Quest’anno il vento è un binocolo
    sono secchi tutti i triangoli acquistati in leasing

    Eri scalzo lanciavi il cappello agli albatros
    era la consuetudine sognata dai laghi

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  12. antonio sagredo

    a proposito di “realismo terminle” leggete questi miei versi del 2008:

    Ai poeti grecolatini, i miei debiti

    Quel torpore che agli angeli dona un volo di disarmonie
    è l’istanza di una finzione che reclama un osceno canto,
    un salmodiare che nei miei impuri versi agli Enti Eterni
    lo sguardo distoglie dalle catastrofi tra ceneri di morti.

    Eppure io gradisco poco un verso fatto e limato,
    ma tu con le parole mi raggiri, e un patibolo per me,
    distratto, costruisci: tu sei il solo che dà retta alle mie inezie!
    La condanna è irriverente, come l’artiglio di una tragedia.

    La Notte che mi sfidava come il flauto di Marsia
    coronava di spazi strani i punti cardinali
    e la fronte di Antonio che crollava coi suoi natali –
    ma le sue pagine sono eterne, ben oltre la sua fine.

    Era quel rogo terminale fra coriandoli e scintille
    il capezzale dove la Trinità danzava come Valpurga,
    le mie narici si gonfiavano come vele infernali –
    sono stato inquietato dai canti e dai trionfi!

    Il sigillo dei miei canti mai spezzato da nessun oblio,
    né dal sole, non sarà più di una trascorsa terra,
    ma un pianeta altrove su altre cave orbite mi offrirà
    in ginocchio un’altra umanità –e sarò letto, io, ancora!

    E fra crudi inverni e balsami persiani saprò là
    ritrovare le mie cadenze, studieranno i lirici
    le mie canzoni, le elegie domino come i lauri,
    sarò sempre con voi, versi miei: schiavi, signori!

    antonio sagredo

    Vermicino, 28 febbraio 2008

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  13. PIETRO EREMITA

    il Nobel a John Fosse?
    è un ennesimo flop…
    ————————————————–

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  14. Instant poetry metafisica:

    Mi piace il tempo presente, ti va di parlarne?

    Ascolta. Si aprono centimetri alla volta celeste.
    Scrivi valore, valore. Altrimenti sposami.

    LMT

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