Edipo è stato sostituito da Vivian Lamarque e dagli influencer, il Principe di Salina è stato sostituito dal commissario Ingravallo e il Presidente del Consiglio Draghi dalla Meloni con i suoi accalappiacani. Con il che l’essere si allontana indefinitamente e l’Esserci non sa più che pesci prendere, non abbiamo più un linguaggio poetico con cui trattare questi argomenti, e così il linguaggio poetico rischia di andarsene a ramengo – Poesie di Francesco Paolo Intini, Antonio Sagredo, Lucio Mayoor Tosi, Commenti di Marie Laure Colasson, Giorgio Linguaglossa

Penelope che di giorno fila la tela e di notte la sbroglia è una mentitrice, al pari del suo congiunto Odisseo che ha inventato la menzogna quale struttura ermeneutica e comunicazionale, difensiva-offensiva. Dall’itacense e da Penelope il mondo (cioè il linguaggio) ha adottato la menzogna come una forma di organizzazione del discorso (del logos). Entrambi, Penelope e Odisseo, sono i protagonisti primordiali di questa rivoluzione del mondo (leggi linguaggio). Di qui la ressa dei significati che vengono legittimati e codificati e de-legittimati e sbrogliati tramite la politica. La politica è diventato il regno del logos, della disinformatzia, delle opinioni di parte, degli interessi di parte, delle ideologie. Il logos stesso è diventato di parte. I significati sono anch’essi di parte. Credere ad un significato inconcusso è un atto di ingenuità oltre che di falsa visione del mondo. E questo inquinamento del linguaggio avvenuto in tempi primordiali lo possiamo dire noi a buon diritto dopo Auschwitz e la guerra di invasione dell’Ucraina. Ne deduco che la poiesis debba prendere le distanze critiche dal significato, da ogni significato. E andare oltre, «fuori  significato», saltare oltre l’ombra delle parole.
Fare una poiesis del significato claro e acclarato oggi lo considero un atto di ingenuità e di superstizione.

(Marie Laure Colasson)

Francesco Paolo Intini

FRITTAGLIE
La coscienza si vide trascinare in terrazza
Fu lì che scrisse agli uomini terribili.

Doveva essere bella e spaziosa come l’occhio di Giove
per accogliere i pianeti sottostanti
su tappeto rosso sangue.

Perché suonare la tromba
per delle pentole a pressione?

Scese la Luna come rappresentante di profumi
ma se ne stette in un angolo per svanire senza storia
perché nessuno poteva credere a limousine e canzoni d’amore.

Le fondamenta devono toccare il cuore
senza sfiorare la segatura del micio.

Ecco Marte che non finge correlativi
Sgomitare tra nuvole e sbarazzarsi delle radici.

Si vedono xylelle armeggiare gru
Ed ascensori progettare cannoni.
Cos’è successo al ferro dei pilastri?

Le balene bianche sembrano piuttosto irrequiete.
Di solito vendono pomate in Africa
e le recuperano su navi al largo di Venere.

Aorta che grida all’impostura:
Ah il tagliagola della vena porta ha colpito ancora!

Ulivo che non comprende la concorrenza
Dei granchi blu.

Domande che strisciano in corpi di mamba
come poliziotti dentro casa
alle cinque del mattino.

.

Lucio Mayoor Tosi

Instant poetry metafisica

Mi piace il tempo presente, ti va di parlarne?

Ascolta. Si aprono centimetri alla volta celeste.
Scrivi valore, valore. Altrimenti sposami.

Per chi voglia raccapezzarsi un po’ circa il problema dell’io, legga di Sergio Benvenuto qui:

https://drive.google.com/file/d/1Xm3mhJBdNl8AkyG0n9nsxx9KLUZ_PA29/view?pli=1

Nella poesia di Francesco Paolo Intini abbiamo la esemplificazione della destituzione dell’io sostituito dalla «metodologia delle equivalenze», ovvero, delle multipresenze che sostituiscono lo shifter dell’io all’interno delle proposizioni creando un gigantesco crash, un effetto di effetti, esplosioni terroristiche che avvengono in una città assediata senza che nessuna polizia riesca a rimettere in ordine e in sicurezza la città. È esattamente questo il Collasso del Simbolico, che non si può rappresentare se non per via indiretta e in diagonale, dove le parole vengono sottratte al logos assertorio in quanto dipendenti esclusivamente dall’entanglement e dal correlativo casuale, ovvero, dall’ossessione suicidaria delle parole.

Antonio Sagredo

Dove va la poesia contemporanea?

Va dove non c’è il Poeta. Là dove non esiste Lei stessa.
Va dove non deve andare. Va dove meno te lo aspetti.
Va dove non c’è nessun dove.
Semplicemnte: va.
Va dove c’è uno Spazio e non esiste il Tempo.
Va dove non esiste alcuna dimensione come la intendono i “terrestri”. Va dove c’è una tendenza che la giustifichi: Poesia e tendenza sono la medesima cosa. meglio creatura.
Là dove la Vita e la Morte (come la intendono gli umani-terestri)
non esistono nemmeno come parola: dove per il termine “definizione” non v’è alcuna diemnsione p spazio possibile.
Va, semplicemnte va, anche senza il Poeta che la contiene o è semplicemente assente, perché fra assenza e presenza non vi è distinzione.

Va, semplicemente va…

Doveva essere il secolo breve

Le guerre dovevano durare il tempo di un lampo. C’era ancora un orizzonte. Si pensava che l’umanità prima o poi sarebbe stata redenta. E invece il secolo non smette mai di finire. I conflitti si spostano, mutano, si verificano in ogni parte della Terra, si smaterializzano, scompaiono, ricompaiono, sembrano specchi per le allodole, e invece sono specchi ustori. E l’orizzonte non si è avvicinato nemmeno di un passo, anzi, sembra essersi allontanato (questa questione dell’orizzonte mi sembra una cosa davvero seria!), Edipo è stato sostituito da Vivian Lamarque e dagli influencer, il Principe di Salina è stato sostituito dal commissario Ingravallo e il Presidente del Consiglio Draghi dalla Meloni con i suoi accalappiacani. Con il che l’essere si allontana indefinitamente e l’Esserci non sa più che pesci prendere, non abbiamo più un linguaggio poetico con cui trattare questi argomenti, e così il linguaggio poetico rischia di andarsene a ramengo. Per cambiare di segno a questa fine che si trascina senza mai finire occorre individuare degli indizi (le prove le stiamo cercando). Siamo così giunti all’ultima spiaggia, siamo nel campo dell’Ereignis inteso come rapporto dei rapporti o relazione delle relazioni, o relazione indiziaria. Ogni differenzialità e relazionalità, per quanto pure, sono, per Agamben, già da sempre inscritte nel pensiero occidentale – almeno a partire da Aristotele. Resta però il fatto che Aristotele è stato sostituito con il ministro Sangiuliano e dal valletto Sgarbi. Resta il fatto che alla poesia oggi non resta altro che avere a che fare con gli sgarbi e gli sgorbi.
La «nuova poesia» va alla ricerca di questi minimi indizi, è una poesia indiziaria, nei suoi momenti più riusciti è uno sguardo dal di fuori, rivela l’alterità irriducibile della poesia e l’estraneità e l’intramontabilità del mondo, il mondo non tramonta mai, semmai è l’uomo a tramontare e a periclitare, sembra essere proprio qui, proprio nella forma della destituzione di ogni relazione e di ogni relatività, che si snoda, dalla forma-di-vita all’«ontologia modale», ci dice Giorgio Agamben, quella «ontologia modale» che ci rende liberi come uccellini nel bosco, che ci sottrae alla «terra» heideggeriana e ci getta nella terra di nessuno di nessuna ontologia, ovvero, di una «ontologia del pressappoco».

(Giorgio Linguaglossa)

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24 risposte a “Edipo è stato sostituito da Vivian Lamarque e dagli influencer, il Principe di Salina è stato sostituito dal commissario Ingravallo e il Presidente del Consiglio Draghi dalla Meloni con i suoi accalappiacani. Con il che l’essere si allontana indefinitamente e l’Esserci non sa più che pesci prendere, non abbiamo più un linguaggio poetico con cui trattare questi argomenti, e così il linguaggio poetico rischia di andarsene a ramengo – Poesie di Francesco Paolo Intini, Antonio Sagredo, Lucio Mayoor Tosi, Commenti di Marie Laure Colasson, Giorgio Linguaglossa

  1. Si è detto molto su questa rivista dell’importanza del punto come interruzione, non necessariamente del discorso ma come interruzione del flusso dei pensieri. Talmente importante che, spesso, dopo il punto va a trovarsi un doppio spazio. Il fatto è che nella grammatica dei segni manca il segno di pausa e silenzio. – Che non manca alla scrittura musicale…

    Le pause sono fondamentali per comprendere la poesia kitchen in lettura; va capito che ogni distico, terzina o strofa, non sono altro che l’apparire di parole vive, in mezzo alle morte; nel frastuono televisivo, faccende e chincaglierie domestiche. Qualsiasi cosa. Le pause servono alle parole, le quali sono isole e intorno c’è silenzio. Tempo e silenzio.

    Le pause nella poesia di Francesco Paolo Intini, ad esempio, a mio avviso sono purissime pause kitchen. Senza quelle pause, leggendo di seguito, si avrebbe una narrazione affastellata. Per orecchie assuefatte al rumore di fondo. Penso valga per tutti i poeti kitchen, Pugliese, Colasson, Ciccarone… anche le mie cose, ma io i tempi di silenzio li scrivo. O vorrei scriverli, se esistesse un segno.
    A Roma, durante la presentazione della seconda Antologia Poetry Kitchen, ho tentato l’esperimento di leggere le pause tra un verso e l’altro: 10/15 secondi di silenzio, microfono in mano, davanti al pubblico in ascolto. Penso si sia capito.

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  2. Una poesia di Giorgio Linguaglossa appartenente al primo periodo della poetry kitchen 2021-2022

    All’improvviso un elettrolizzatore integrato
    per la produzione di H2

    nei pressi dell’isola di Helgoland
    iniziò a sbuffare vapore acqueo da un comignolo offshore

    le pale eoliche presero a girare
    e l’io prese il posto dell’IO

    il pronome personale divenne finalmente una persona
    e l’olocene iniziò a litigare con l’ukulele

    Nel 2077 inviai il ritaglio di una mia poesia kitchen
    ad André Breton

    al famoso indirizzo 42, rue Fontaine, Parigi
    al quale aveva spedito una sua poesia anche

    lo scrittore ceco Pavel Řezníček
    Breton mi rispose qualche tempo dopo, nel 1963

    da via dei legionari in Brno
    Su retro di una cartolina che raffigurava una tigre

    c’era scritto: «Tigre di carta»
    Incoraggiato dal buon esito

    avvenne che nel 1913 presentai dei miei testi
    ad Aragon, Tzara, Dalì e Péret

    uscì anche una breve nota critica sul Literární noviny
    di Brno il 7 gennaio del 1922

    con un fazzoletto che raffigurava il mio viso dopo sbarbato
    con Spray Palmolive idratante

    Mi guardai allo specchio:
    ero felice come un gambero in padella

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  3. «L’illusione che si ripresenta a ogni frase è che il nome e la cosa coincidano e che il soggetto parlante sparisca non come enunciante della frase ma perché vi ha preso completamente dimora. L’unico modo che abbiamo di maneggiare questa illusione non è farla sparire, ma – al contrario – riconoscerla, farla pesare sulla frase: attraverso il margine di paradossalità che resta praticabile, in un gioco inevitabilmente in perdita e che deve saperlo di esserlo».1

    Certo è che Francesco Intini o Lucio Tosi sono allergici ad offrire soluzioni spendibili o attese remunerate come fa la poesia dello zero idrometrico e dello zuccherificio che oggi ci affligge e ci annoia. Certo, le attese del discorso sono importanti, ci facilitano il compito di dare una lettura moralizzatrice e convenzionale del mondo: ci aspettiamo sempre che il mondo vada nella direzione dei nostri pregiudizi, e così stiamo tranquilli. Intini invece ci consegna un costrutto verbale dove le attese sono disattese, disintegrate, de-urbanizzate, de-localizzate, de-misticizzate, delle parole mitridatizzate; ci dice che quelle attese di «quelle» parole vanno invece disattese, che tra una parola e l’altra va inserita una distanza, un distanziamento psicologico e sociale in quanto la parola comune è portatrice di un virus contro il quale non abbiamo ancora un vaccino efficace.

    Questo gioco del rimpatrio della parola nella sua lettera è fatto per stordire il lettore, per stordire una lingua divenuta un tranello nel quale l’homo sapiens corre il rischio di cadere. Ogni parola va fatta giocare nell’eterna oscillazione tra l’Immaginario e il Simbolico, e, in questa oscillazione, va fatta cadere, non a filo a piombo, ma «fuori dal significato»; bisogna imprimere, attraverso il rimpatrio, una deviazione, un clinamen alla parola, ad ogni parola in modo che essa venga s-postata dal suo luogo «naturale» (il significato) verso il quale naturalmente tende, ed indirizzata ad un altro luogo che non avevamo previsto, che non conoscevamo. E questo è salutare, è un esercizio che ci evita l’impostura e la menzogna del linguaggio consolidato. E questo è il compito precipuo della poesia, oggi.

    «Se non si esce mai davvero dalla logica del pensiero che pensa in bianco e nero, il problema è allora non come uscirne (il che si convertirebbe in una sanzione senza appello) ma come starci dentro. Come ospitare un giallo in una logica del bianco e nero».2
    1 P.A. Rovatti, Abitare la distanza Raffaello Cortina Editore, 2007, p. XXIX
    2 Ibidem p. 33

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  4. tiziana antonilli

    Allergia

    Una processione di macchie di unto
    si è fermata nella Sala della Lettura
    e applaude la madre di Inconsapevole junior
    che stende un tappeto di jazz persiano.
    La signora dello zero assoluto
    veste un completo Armani
    fatto di trecento buchi a perdere
    spalmati su parole di marmellata di mirtilli,
    buona per le unghie spezzate sul davanzale engagè
    del convegno sannitico.
    Nuda sotto i fori strabuzza la pelle:
    è allergica al nichel dei neuroni.

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  5. milaure colasson

    caro Lucio,

    la tua poesia, recitata con gli spazi di silenzio, è eccellente. Sufficientemente folle.

    La mia ultima:

    La Goulue* avale une sonde robotique
    au “Moulin de la Galette”
    pour mettre les images en état d’arrestation

    Le KGB des miettes cathodiques
    enfile sa robe de bure avec capuche
    en disant “le faux fait le vrai”

    Des feuilles de choux fermentées
    trouvent un sens au néant
    à travers un miroir déformant

    Des imbus du pouvoir secrètent
    du venin et des balivernes montées en épingle
    comme les inquisiteurs de l’élégance au chocolat noir

    Des filaments de non-dits crèvent
    l’aorte de l’épaisseur du vide
    pour produire des effects pervers

    De longs poils soporiphiques
    dépiauntent des petits riens
    contre la liberté d’expression

    Et tout tombe à plat

    *nome di una donna ritratta da Toulouse Lautrec

    *

    La Goulue inghiotte una sonda robotica
    al “Moulin de la Galette”
    per mettere le immagini in stato d’arresto

    Il KGB delle briciole catodiche
    infila il suo saio con cappuccio
    dicendo “il falso fa il vero”

    Foglie di cavolo fermentate
    trovano un senso al nulla
    attraverso uno specchio deformante

    Degli ebbri di potere secretano
    del veleno e delle scempiaggini arrampicati sugli specchi
    come inquisitori dall’eleganza al cioccolato fondente

    Filamenti di non-detti scavano
    l’aorta dello spessore del vuoto
    per produrre degli effetti perversi

    Lunghi peli soporiferi
    scorticano dei piccoli niente
    contro la libertà d’espressione

    E tutto ricade a terra

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  6. …mi è venuto in mente un famoso aneddoto, di quando Andrea Zanzotto commentò Laborintus (1956) di Sanguineti dicendo che «Sanguineti era stato colto da un esaurimento nervoso».
    Sanguineti gli rispose poco tempo dopo che «non si trattava di un esaurimento nervoso ma di un esaurimento storico».
    Ecco, come si può notare Zanzotto giudica il testo di Sanguineti in chiave «privatistica», lo giudica come un disturbo dell’apparato psichico del suo autore. Sanguineti nella sua risposta rimette le cose a posto, chiarisce che Laborintus nasce da «un esaurimento storico», cioè da una situazione molto più complessa (sociale, politica, filosofica, estetica).
    Ecco, direi che valutare la poetry kitchen come prodotto di borborigmi e di dispepsie nervose è una valutazione analoga a quella che Zanzotto diede della poesia di Sanguineti. È un riduzionismo e un ostruzionismo nei riguardi della «nuova poesia» per la quale non si dispone di strumenti ermeneutici adeguati,
    Giudicare la poetry kitchen come «pubblicità» o come uno «scherzo», come è stato fatto da alcuni commentatori, rivela da parte di chi la definisce così, una sordità e un accecamento, una visione conservatrice del linguaggio poetico e delle cose del mondo.
    Ma c’è di più, il giudizio di Zanzotto deriva da un auto compiacimento riduzionistico e narcisistico, il poeta di Pieve di Soligo parla un linguaggio de-politicizzato che riduce tutte le questioni a risentimento privato o a problemi psichici privati. La risposta di Sanguineti invece rimette il discorso sui giusti binari, parla di una condizione storica politico-esistenziale sottintendendo che è da quella condizione storica che il suo libro prende l’abbrivio.
    Analogamente, i nostri «critici» parlano un linguaggio de-politicizzato, rivelano un «privatismo» e uno psichismo di matrice conservatrice, non riescono proprio ad uscire fuori dalla loro posizione de-policizzata e conservatrice.

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  7. antonio sagredo

    Sinceramente non capisco cosa voglia dire secolo breve e secolo lungo e le correllazioni che vi sono fra di loro. Davvero non capisco se in senso temporale o spaziale. Temporalmente sono sempre 365\6 giorni allì’anno per 100 anni; e 100 anni non si abbreviano o si allungano a piaciemnto nostro; spzialmente dipende dagli eventi in un determinato luogo in un anno o in secolo, tenendo conto delle ricorrenze, ecc.
    ———————————
    L’Essere o l’Esserci non hanno più senso, e questa perdita non dà alcun valore al “breve” o al “lungo”. Ma non si è sicuri se sia davvero una perdita o una valida acquisizione, tenendo conto che la perdita può essere qualcosa di positivo anche, poiché nessuno può stabilire se sia qualcosa di negativo. Dunque siamo in pieana confusione, anche nella progressione cronologica o sincronica della Poesia. E talvolta la sincronia (secondo Jakobson) può esssere più dinamica della diacronia. E se quest’ultima è inficiata dalle ripetizioni è più statica della stessa sincronia.
    ——————————–
    Da un punto di vista linguistico, ed è l’unico punto che conti in Poesia, poichè il linguagiio poetico può anche precedere gli eventi o manifestarsi in ritardo e ciò dipende dal fatto unico se la Poesia stessa “canti” l’Essere oppure l’Esserci. Per quanto mi riguarda non hanno più il significato filosofico o logico che avevano all’inizio,poichè tutto si è esaurito nel secolo trascorso, che ha posto fine ad ogni velleità storico-linguistica.
    —————————————
    Il poeta deve assolutamente essere padrone di tutti gli strumenti tecnologici a cui va incontro, e questo per dire dell’epoca che vive o addirittura per anticipare taluni eventi: dalla progressione quotidiana alla progressione extraquotidiana, dal personale all’impersonale, ecc,
    La tendenza che ciascun Poeta adotterà e che realizzerà determinerà la Poesia di questo secolo. In cosa consite questa tendenza?
    Nella maniera, la forma, con cui detterà se stesso a se stesso la materia che gli si presenta davanti sempre in moto. Domare e asservire questo moto dirà se la Poesia è ancora qualcosa su cui contare per definire la Storia nel suo svolgimento in generale e la forma della Storia della lingua che vuole adottare… ecc.

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  8. scrive Leopardi nello Zibaldone:

    “Chi vuole o dee fare un mestiere al mondo, se vuol trarne alcun frutto, non può scegliere se non quello dell’impostore, in qualunque genere. La letteratura è stato sempre il più sterile di tutti i mestieri. Il vero letterato (se non mescola alla verità l’impostura) non guadagna mai nulla. Eppur l’impostore arriva a render fecondo anche questo campo infruttifero, e uno de’ maggior miracoli dell’impostura si è di render fruttuosa la letteratura. L’impostura è una condizione necessaria per tutti i mestieri o veri o falsi. Se le lettere e la dottrina frutta mai nulla, ciò è all’impostore, e in virtù non della verità (quando anche vi sia mescolata), ma dell’impostura.”
    (G. Leopardi, Zib. 1787-1788)

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  9. Lucio Mayoor Tosi

    Frammenti per Sally.

    Oltre le finestre della casa non c’è nulla.
    Solo bianco dipinto su se stesso.

    Qualcuno lentamente scompare. Resto
    in silenzio. Oltre il grigio vetro smeriglio

    il lembo di una camicia a quadri. Molti
    pensieri sparsi nell’aria come lucciole.

    Cielo di tanti palazzi. Nello specchio
    un uomo curvo con il cappello in testa.

    Pare gobbo. Cammina a lunghi passi,
    sempre guardando a terra. Il pollice

    infilato nella cintura, con l’altra mano
    tiene sottobraccio il bastone da passeggio.

    Mi pervade una dolcezza senza fine.
    Le stelle si stanno allineando, finché

    musica le scompone. Una donna nuda
    porta l’anfora piena di latte.*

    *Sally è mia nipote. Oggi compie gli anni. Ho preso dei frammenti alla rinfusa, qualcosa di vecchio e qualcosa di nuovo, li ho confezionati ed ecco pronto un regalo per lei. Che senso ha? Dire che ne ha uno soltanto sarebbe sbagliato, dire che ne ha molti altrettanto. Qui il senso va da ogni parte perché non è svolgimento. Il puro frammento è come neve, polvere, atomi che interagiscono in una danza senza musica.

    (Lucio Mayoor Tosi)

    1. giorgio linguaglossa ha detto:
    30 giugno 2017 alle 12:15 pm

    Come e perché nasce una poesia nessuno lo sa, sono così tanti i fattori che intervengono e così complesse le loro interazioni, che nessuno mai riuscirà a spiegare la nascita di una poesia. Secondo me qui c’è la consapevolezza di quel «solido nulla» di cui scriveva Leopardi, e la tenerezza per la nipotina che compie gli anni e ancora nulla sa del «nulla» e delle complesse questioni ontiche che invece riguardano da vicino l’autore della poesia. Una poesia che è fatta di riflessi, di specchi che specchiano alcune immagini strappate al «nulla», alcuni dettagli insignificanti (?) C’è un «Solo bianco dipinto su se stesso», e poi c’è «Qualcuno» che «lentamente scompare». Il «cielo di tanti palazzi» sta lì, appeso ad un quadro inesistente, che comunque c’è, c’è e non c’è… Una magica malinconia ci accompagna leggendo questi versi che parlano di un uomo, col «pollice infilato alla cintura», che « pare gobbo», ma forse non lo è, è soltanto il nostro sguardo impreciso che ci dà dei dettagli deformati… il «nulla» è qui, tra di noi, ospite irriguardoso e incauto, lascia trapelare i suoi tentacoli fino a noi fatti di corpo, «solido nulla», direbbe Leopardi.
    È una poesia leopardiana nel senso alto della parola, prosegue l’indagine leopardiana sul «nulla» come lo deve fare una vera poesia.

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    • Simone Carunchio

      L’enjambement stimola, soprattutto se, oltre a tirare l’attenzione verso il verso successivo, riporta alla lettura di quello appena letto.

      Mi piacciano anche molto i giochi sintattici in cui il soggetto e l’oggetto si confondono.

      COME DIMENTICARE

      Fasti dei mattini di albe in bottiglia
      Tempi di feste Fiamme di cuore e
      Battiti di baci Sporche verità
      Di stagioni celesti frutti d’oro assaporano

      Tessono lontano voci tremolanti
      Mari e oceani di notti pallide

      Nei paesi arcipelaghi ove i capelli
      Donne d’ambra e lava si lavano
      Col balsamo della luna e uomini
      Frutti della passione nelle palpebre
      Di angeli ubriachi si mutano

      Bigiotterie Colori Fate Flauti
      Feste Cuori bagnati di lacrime
      Amori Senza fuoco Morti e dimenticati
      Attese Popolazioni di speranze
      Orizzonti di eventi
      Aliti di leopardesco lirismo e alibi

      Come ricordare
      Come dimenticare

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  10. milaure colasson

    è una poesia (del luglio 2021 che spero tu abbia ricompreso nel libro che sta per uscire), piena di mistero, ben congegnata, ben scritta, in distici che danno risalto ai vuoti e al nulla, che promana un grande mistero sulla condizione dell’uomo nella storia. E il mistero, si sa, non può essere sciolto ma soltanto annunciato mediante dei riflessi, degli accenni, dei segnali debolissimi.
    Adoro il semplicissimo verso:

    Solo bianco dipinto su se stesso

    che non significa nulla, ma, appunto, può significare tutto. E questo è il mistero.

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  11. “Fate anche in modo che, leggendo la vostra storia, il malinconico rida e il gaio lo diventi ancora di più, l’ignorante non si annoi e il colto ne ammiri l’ingegno, il serio non la disprezzi e il saggio non manchi di lodarla. Insomma, mirate a demolire questa malferma macchina dei libri di cavalleria”

    Così scriveva Cervantes nel Donchisciotte. L’appunto, di questi giorni, è parte del maldestro tentativo di recuperare i classici che mancano alla mia formazione di artista. All’inizio della pandemia, 2019, mi sono letto accuratamente la Divina Commedia. E, ad esempio, due anni prima, “Essere e tempo”. Fa ridere questo ritardo? Spero di sì. D’altra parte, se avessi iniziato prima, pigro come sono non avrei capito nulla.

    “Il vero letterato (se non mescola alla verità l’impostura) non guadagna mai nulla.”

    Parzialmente d’accordo col Leopardi, ma io l’impostura non la tollero. Nella poesia “A Selly” ve n’è, ed è facile che per questo non l’abbia inserita nel libro che sta per uscire. Impostura è un termine forte, sicuramente Leopardi assegnava a questa parola un significato alto. A me viene istintivo rifiutare l’impostura (l’uomo gobbo col bastone da passeggio nella poesia “Selly”). Può funzionare, anche scrivere buone poesie funziona. Se ne sono scritte e se ne scrivono tante.

    Ora penso alle mie come medaglie, bassorilievi che non mi riguardano. Ne scrivo una valida ogni dieci. Le chiamo poesie da stampa. Mi fanno sentire un Benvenuto Cellini, anche se me le figuro come dipinti sumi-e astratti. Segni.
    Resto fondamentalmente un artista. Se il poeta c’è è all’origine, nei versi, poi passa e non ci penso più. Capisco perché il nostro amato divo Tomas Tranströmer passò gradualmente alle poesie haiku.
    Entrare nell’afasia e nel silenzio contemplativo è stare con i morti, come adesso in Ucraina o in Palestina. O come dopo Auschwitz, mancano le parole. Tutto quello che si fa è cercare di recuperarle, in qualunque forma e sostanza si presentino. Le parole si annidano nei pensieri, ma è con i pensieri che si compiono tante stragi.
    Diventa questione di piacere e sopravvivenza.

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  12. caro Lucio,

    si parlava nel post odierno del fatto (caricaturale e drammatico) che Edipo è stato sostituito dalla Signora Vivian Lamarque. Viviamo, ci stiamo avviando a vivere nel nuovo mondo del Collasso del Simbolico. Prima la pandemia del Covid19, poi la guerra di invasione dell’Ucraina, la ripresa della guerra fredda tra il blocco orientale Russia e Cina e l’Occidente, il colpo di stato in Niger, la guerra civile strisciante in Sudan, la destabilizzazione politica dell’Africa intera e adesso la guerra tra Hamas e la democrazia di Israele (con pericolo di allargamento del conflitto agli stati circonvicini) e, in prospettiva, la Guerra Grande che sempre più si avvicina quella tra Stati Uniti e i suoi alleati e la Cina per l’isola di Taiwan e la conquista della superiorità tecnologica.
    In tutto questo frangente, la poesia italiana celebra lo Strega alla Signora Lamarque. La cosca dei letterati italiani non si vergogna di nulla, altro che la Santanchè, non ha il minimo senso della vergogna. La poesia italiana ufficiale non ha niente da dire, continua a srotolare il suo ruolino di marcia di sempre che premia la medietà e la minorietarietà senza vergogna, senza vergognarsi della propria insipienza, neanche un minimo di decenza, neanche un presentimento della fine di un’epoca di beata infingardaggine e goffaggine.

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    • Mi sembrano ottimi consigli spirituali;)
      Il distico serve a stringere il verso in modo che la mente non se ne vada per i fatti che crede suoi. Poi però è meglio scrivere con brevi periodi, isole circondate da silenzio e buona attesa. Se ce la si fa, perché questo è da sempre un mondo di pazzi.

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  14. da RivistaStudio

    Ecco un aneddoto che, come riportò Damion Searls nel lontano 2015 sulla Paris Review, parlando della sua esperienza come traduttore dello scrittore norvegese Jon Fosse, oggi insignito del Premio Nobel per la Letteratura, Karl Ove Knausgård ha raccontato almeno due volte in occasione di eventi a New York: a quanto pare, Jon Fosse, suo professore di scrittura creativa, stroncò una poesia che aveva scritto, affermando che «un aggettivo non era male ma il resto non era affatto poesia», un commento con cui l’allievo Knausgård si trovò sorprendentemente d’accordo. L’aneddoto compare anche nel quinto libro di The Struggle di Knausgård, pubblicato nel 2016 sul New Yorker in un estratto dal titolo “At the Writing Academy”.

    «La mia poesia, che è stata l’ultima che abbiamo analizzato, parlava della natura. Avevo provato a descrivere la bellezza e l’apertura della campagna, e la poesia si chiudeva con l’erba che sussurrava “vieni”, come se parlasse al lettore ed esprimesse la sensazione che avevo provato quando avevo visto il dipinto. Dato che si trattava del dipinto di paesaggio, non c’era nulla di moderno nella poesia, e mi ero seduto per un po’ provando varie tecniche per renderlo più contemporaneo e all’improvviso avevo pensato a una parola, “wide-screen”, che ho usato in “wide-screen sky”, che dava lo stesso tipo di impressione che avevo creato nella mia prosa, la realtà dei ragazzi era colorata da ciò che avevano visto in tv e letto, ma soprattutto visto in tv. Questo produceva lo stesso effetto, indirettamente. Rappresentava una rottura con la descrizione lirica e poetica della natura, avevo pensato, e quando lessi la poesia ad alta voce agli altri mi sembrò avere quella funzione. Fosse, che indossava una camicia bianca con le maniche rimboccate e jeans, barba incolta sul mento e borse scure sotto gli occhi, non studiò la poesia subito dopo che l’avevo letta, come aveva fatto con alcuni degli altri, ma andrò dritto al punto. Disse che gli piaceva Astrup, e che ero sono stato il primo a scegliere un suo dipinto, lo aveva fatto anche Olav H. Hauge. Poi cominciò con la poesia. La prima riga, disse, è un cliché, puoi cancellarla. Anche la seconda riga è un cliché. E la terza e la quarta. L’unico valore di questa poesia, ha detto dopo aver rifiutato ogni singolo verso, è l’espressione “wide-screen sky”. Non l’ho mai vista prima. Puoi tenerlo. Il resto lo puoi togliere. “Ma allora della poesia non è rimasto più nulla”, dissi. “No”, rispose lui. “Ma la descrizione della natura e il tuo entusiasmo per essa sono cliché. Non c’è nulla della mistica di Astrup nella tua poesia. Lo hai completamente banalizzato. Ma “”wide-screen sky”, come ho detto, non è male”. Alzò lo sguardo. “Allora è tutto. Qualcuno vuole venire a bere una birra da Henrik?”».

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  15. Ip.

    Biodiversità. Cime innevate. In fuga
    con Lilly.

    Quand’ero giovane. Zio Enrichetto.
    Cani e gatti. La prima volta in Dalmazia.

    Al funerale.

    LMT

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  16. Tiziana Antonilli

    Un grazie a Giorgio Linguaglossa per aver ricordato l’aneddoto riguardante Zanzotto e Sanguineti, illuminante, poche parole che spiegano tutto, sia della poesia del passato che del presente. E non solo della poesia, purtroppo…

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  17. Mimmo Pugliese

    LA LINGUA INCIAMPA

    La lingua inciampa contro cordoni ombelicali
    ferite fanno tornare indietro la notte

    Parole tronche spengono giochi da tavolo
    gli zoccoli dei bisonti sbandano dalle scialuppe

    Zarathustra sbalordisce il numero civico
    fate abbandonano il circo sulle punte

    L’energia elettrica scioglie le squame delle mitraglie
    branchie convesse ripassano lezioni di storia

    Castelli di colibrì consumano bordi di bicchieri
    autostrade sopravvissute recintano acquerelli

    Alberi con camici mimetici guidano bus
    dentro orologi con la forfora evaporano
    tapparelle

    Ranuncoli accartocciano rughe
    nozze morganatiche ammutoliscono schizzi di DNA

    Cani da slitta affittano treni
    comprano like per viaggi interstellari

    La bussola travolge tavoli verdi
    con uno schiocco imbavaglia l’umore dei citofoni

    La neve ha febbre alta
    nuda si dilegua dove c’è soltanto mare

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  18. milaure colasson

    Quando in un paese il Principe Salina viene sostituito dalla Signora Lamarque, che cosa volete che vi dica di altro?, ma ce lo vedete voi nel film “Il Gattopardo” la Signora Lamarque che parla a nome e per conto del Principe di Salina? Ecco, questa è diventata l’Italia, l’Europa e… addirittura anche Israele! Allora, in questo mondo capovolto non mi meraviglia affatto che l’unico modo di esprimersi sia un linguaggio capovolto di sana pianta. Qui c’è poco da sorridere (e neanche gratis, caro Lucio), la faccenda dell’ingolfamento del mondo è una cosa estremamente seria, e la poesia kitchen è una cosa tremendamente seria! Perché mai allora un poeta post-lirico come Mimmo Pugliese una poetessa post-lirica come Tiziana Antonilli avrebbero scelto di esprimersi in un linguaggio kitchen se il mondo non si fosse nel frattempo del tutto capovolto? – In realtà né Mimmo Pugliese né Tiziana Antonilli si sarebbero espressi in un linguaggio kitchen se il mondo non si fosse nel frattempo capovolto!, avrebbero continuato ad esprimersi nel vecchio e rinomato linguaggio post-lirico che impiegano tutti coloro che si sentono e si percepiscono “poeti”!

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  19. A che punto è arrivata la febbre?

    Risponde negli ultimi due versi Mimmo Pugliese:

    La neve ha febbre alta
    nuda si dilegua dove c’è soltanto mare

    Ecco l’ultimo verso della poesia di Lucio Tosi:

    Al funerale

    Ecco l’ultimo verso della poesia di Marie Laure Colasson:

    Et tout tombe à plat
    (E tutto ricade a terra)

    Ecco l’ultimo verso della prima strofa della mia poesia:

    Che poi i conti si faranno alla fine…

    È evidente, nella poetry kitchen c’è, ed è vivissimo, il senso della fine, del pericolo massimo, dell’avvicinarsi all’orizzonte degli eventi. C’è la consapevolezza di trovarsi nel mezzo del capovolgimento delle cose del mondo e del linguaggio.

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    • Non solo perché tutte le storie hanno una fine, e attardarsi a parlarne è un rivissuto che nemmeno assomiglia agli accadimenti, ma forse perché la fine è più incoraggiante della speranza. La fine non è consolatoria. Fine e inizio sono nella grammatica delle poesie kitchen.

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