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La scrittura poetica invalsa oggi è una «ontologia della im-posizione», una «produzione di significati», un atto di im-posizione del linguaggio alle cose. Mia impressione è che la poesia italiana di queste ultime decadi sia un genere di scrittura privatistica priva di valore culturale, un genere di scrittura non retta da alcuna poetica, alcuna episteme. Una scrittura imbonitoria. Una scrittura da obitorio. Poesie di Antonio Sagredo e degli Avatar di Alfonso Cataldi, Tiziana Antonilli, Marie Laure Colasson, Francesco Paolo Intini

macchia gialla 50x50, acrilico, 2023

Marie Laure Colasson, macchia gialla, acrilico, 50×50, 2023

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La scrittura poetica invalsa oggi è una «ontologia della im-posizione», una «produzione di significati», un atto di im-posizione del linguaggio alle cose.

Invece la posizione del «poetico» dovrebbe essere un ritrarsi dal linguaggio condiviso, una distanziazione, un passo indietro un attimo prima che la parola ci raggiunga dall’esterno, con la sua dote di «im-posizione», di Gestell avrebbe detto Heidegger.

Se procediamo verso il linguaggio con attese, ideologemi, posiziocentrismi, con «im-posizioni», con Gestell, quel linguaggio ci imporrà le sue regole di condotta e le sue scelte, verrà inficiato dalla «im-posizione» dei linguaggi che provengono dal mondo della utilitarietà, delle condotte, delle pratiche, da ciò che è redditizio, dagli interessi in competizione, dall’interesse dell’io alla propria auto conservazione e alla propria auto im-posizione.

Il problema ha molte sfaccettature e non riducibile in poche battute, ma certamente l’ideologema referendario delle narrazioni e della poesia dell’io (vedi  il successo del sotto genere diaristico) che impera nel mondo delle società tele-mediatiche non aiuta a pensare in poesia e a scrivere in un linguaggio poetico critico. L’io ha bisogno dei linguaggi dell’utilitarietà, della comunicazione, della im-posizione, non può farne a meno pena la sua implosione comunicativa. L’io è una macchina infernale che lavora sempre per la propria autotutela, per i progetti di auto organizzazione, non può fare altrimenti, è un epifenomeno delle ideologie utilitaristiche che imperversano nel mondo e non può sfuggire alla ontologia della im-posizione.

La totalità della poesia che si fa oggi nell’Occidente mediamente acculturato, anche tra i poeti più «accreditati» dalle istituzioni accademiche, non è che un epifenomeno dei linguaggi mediatici: scrittura utilitaria, impositiva, progettata per la comunicazione, quella che più volte ho chiamato scrittura assertoria, suasoria, incantatoria che è l’altra faccia della medaglia di una scrittura definitoria, scrittura da risultato, che parla con un linguaggio suasorio, giustificato, giustificatorio.

Qualcuno ha chiesto: «Che cosa intende per linguaggio giustificatorio»? Ecco la mia risposta: con l’espressione «linguaggio giustificatorio» intendo la posizione del «poeta referendario» che si pone in un angolino del «mondo» e di lì si interroga e interroga leopardianamente  il «creato» o il Sé alla ricerca di un «senso» che giustifichi la propria auto imposizione. Ebbene, questa è una finzione e una ipocrisia, una posizione imbonitoria, auto assolutoria in quanto si assume un Gestell, un podio, e ci si mette in posa, in alto, sullo zoccolo, proprio come una statua, e di lì si sciorinano pensieri meditabondi, efflorescenze di egotismi. La poesia che si fa oggi è ricchissima di tali «poeti» che sono di moda e vengono amministrati dagli uffici stampa degli editori.1

Qualche tempo fa un autore mi ha scritto che non «condivide affatto il [mio] giudizio apocalittico» «sulla morte della poesia italiana», che invece godrebbe, a suo dire, di «ottima salute». Al di là dei convincimenti personali sull’argomento, tutti legittimi e tutti opinabili, ho argomentato che la poesia di questi ultimi decenni è stata fatta per esigenze privatistiche, psicologiche, per ragioni encomiastiche, di status symbol, per personalismi, per posiziocentrismo, senza  progetto culturale e consapevolezza storico culturale delle criticità della poesia del novecento e del post-novecento. Mia impressione è che la poesia italiana di queste ultime decadi sia un genere di scrittura privatistica priva di valore culturale, un genere di scrittura non retta da alcuna poetica, alcuna episteme. Una scrittura imbonitoria. Una scrittura da obitorio.

(Giorgio Linguaglossa)

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 1 Un nome per tutti: Franco Arminio, incomparabile nell’adamismo della sua positura auto assolutoria dalla quale sciorina incensamenti alla pacificazione, buonismi e banalismi in grande quantità.

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Antonio Sagredo

da La gorgiera e il delirio, (2020)

La gorgiera di un delirio mi mostrò la Via del Calvario Antico
e a un crocicchio la calura atterrò i miei pensieri che dall’Oriente
devastato in cenere il faro d’Alessandria fu accecato…
Kavafis hanno decapitato dei tuoi sogni le notti egiziane!
Hanno ceduto il passo ai barbari i fedeli inquinando l’Occidente
e il grecoro s’è stonato sui gradini degli anfiteatri…

(luglio 2015)

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Marie Laure Colasson
1 novembre 2023 alle 19:01

caro Gaius Gallus,

come intuisco, vivi nel nulla (anche tu) dove la materia è inerte,
il mio spazio invece è ovunque, dunque, nulle part.

In conseguenza, il conteggio dei morti abolisce totalmente la punteggiatura… le margherite, mi hanno detto, fioriscono solo al buio in Arabia Saudita e vanno a manifestare insieme alle stelle filanti.

Ti dirò che sono sospesa tra il bianco e il nero su una altalena, come nel film “Lo sceicco bianco” di Fellini, con qualche pennellata di rosso paesaggistico multitasking e giallo smart.

Certi capi di stato, mi hanno detto, si sono convertiti in droni per andare all’inferno, però l’inferno, mi hanno sempre detto, è qui sulla terra.

Per fortuna né tu né io lo abitiamo.
Nessuno è profeta nel proprio colore.

(Scintilla)

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  • Nulle part est un endroit … Una conferenza danzata in cui Nach mostra in scena la storia e i movimenti del krumping, dirompente danza urbana nata nei sobborghi di Los Angeles come forma di protesta della comunità afro-americana. La coreografa mette il suo corpo al servizio del racconto personale che l’ha fatta innamorare della disciplina, restituendoci uno spettacolo affascinate, intenso e viscerale. (Creazione e interpretazione: Nach – Regia: Vincent Hoppe)

Francesco Paolo Intini
1 novembre 2023

Caro Germanico,

finalmente sono a casa.
Peccato però che l’albero della Libertà sia stato divelto dalle truppe sanfediste. Ora è accartocciato su sé stesso come il gigante alle porte di New York alla fine del Pianeta delle scimmie mentre il Re Cerbero caccia tranquillo tra le sue forche e le sue mannaie.

E dunque temo proprio di trovarmi nella pellicola di quel film. Per giunta qualcuno ha provato a vestirlo da sanculotto ma ahimè un tagliaerba gli ha moncato le gambe prima che potesse sedersi da qualche parte e mostrare il pendolo dei fatti che ora vanno avanti e poco dopo ritornano indietro.

Che vita mi aspetta? Dipende da questo cielo che si scioglie riempiendo di fanghiglia putrida e radioattiva ogni istante che intenda battere la sua ora.

Pur tuttavia scenderò da cavallo e fonderò una colonia. I miei figli costruiranno alberi di celluloide, respireranno acetone e si batteranno per ogni millimetro di colonna sonora.

I terrestri sanno queste cose. Sono salvi dal disastro per l’illusione di poter sopravvivere in sotterranei degni di topi campagnoli. Mi chiedo altresì come sia potuto accadere che dei corpi si siano svestiti di carne e ossa e abbiano rimediato le parole di un regista o peggio, quelle di un poeta per poter esistere.

I fatti dunque hanno la stessa natura del sonoro e puzzano dello stesso urlo in cui si risolve la pellicola.

Eserciti di emoticon armati fino ai denti scorrazzano nel deserto di piante e animali.
Mastini della realtà, tutti uguali, liberi finalmente di abbaiare e mordere questo o quell’antilope e sbranarla fino all’ultimo villo.

Non pensare però che tutto finisca in questo modo. Nel nuovo mondo non finisce proprio nulla. Monconi di terre rare si uniscono a strofe per farne chip, cloro pianta coltelli verdi sulla città, lune di fosforo bianco accompagnano i bambini nel tornare a casa, persino tori incornano toreri in strofe dolenti, serpi e tecnezio bollente affollano Wall Street cercando carbonio per raffreddare il ventre.

E’ nella natura della pellicola l’impossibilità di isolare una molecola di viver male.

La materia prima non manca al coraggio e il capriolo che rifugge il caos lascia orme sulla calce viva.

Al capitano di ventura non chiedere come snidi queste figure dai loro miseri nascondigli. Abbrutito dal compito non prova alcuna avversione contro la nausea.

Ah il Walalla attende le faccine che condensano il piacere e il dispiacere, un rossore di mela da masticare nel giorno della certezza ma per il momento siamo tutti esposti a pioggia e sodio che hanno cessato di reagire concedendosi all’infangare.

(Gneo Fabius)

Marie Laure Colasson

2 novembre 2023 alle 20,00

caro Fabius,

finalmente anch’io sono a casa, mi sono fatta i bigodini, ho dismesso il rossetto e mi sono messa comoda sul divano, i fatti, caro Fabius, non so cosa siano, hanno la stessa natura del trauma e puzzano di aglio…

Perché hai scritto che la valutazione dei manoscritti è una pratica oncologica?, io penso invece che sia una pratica da obitorio essendo la letteratura tutta una attività di natura medico legale.
Lo so, il dover pronunciare diagnosi infauste è penoso, ogni volta. È terribile.

Tutta la colpa è di Aristotele che nella “Poetica” ha istituito il (CEF) Controllo Elettronico della Felicità, da allora le cose sono andate di male in peggio.

Lo sai?, i watussi che sono andati sulla spiaggia a fare il bagno con i nani hanno sviluppato una orticaria di origine radioattiva che porta in breve al decesso con pustole fritte e piattole arroganti.
Se Sartre fosse vivo avrebbe oggetti degni di studio da par suo, però Picasso sa dove mettere i piedi, al limite, c’è una fessura nella tela della “Les Demoiselles d’Avignon”, lì ci starebbero bene, al caldo, negli stivali di feltro

Chissà quanti I like e retwitter avrebbe il filosofo!
Sai, sono indecisa se inviarti una faccina con gli occhiali o un’altra con la parrucca, nell’indecisione ti lascio perché devo fare la doccia…

«La scelta se inviare una bomba al tecnezio, al boezio o al polibio sono argomenti da non sottovalutare affatto – ha dichiarato Xi -, un bombardamento del Donbass produrrebbe hightech, ciniglia e vapore acqueo…»
La reazione del Cremlino non si è fatta attendere: il portavoce Dmitri Peskov con la camicia sbottonata si è presentato ai microfoni dicendo di preferire les gauloises imbottite di molibdeno ai ciclamini di campo…

Con una musichetta in bemolle si è presentato l’Avatar del Linguaglossa presso l’abitazione della pittrice Marie Laure Colasson, in Circonvallazione Clodia 21, il quale si è limitato a manifestare, con un lessico diplomatico, il proprio dissenso…

(Scintilla) Continua a leggere

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