Archivi del mese: aprile 2022

Una poesia di Francesco Paolo Intini, Indovina chi intinge nel piatto del ragù, È il collasso dell’ordine simbolico ciò di cui tratta la poesia, il collasso dei significati; la poesia ha cessato di essere una «posizione di significati» per diventare una «indisposizione dei significati», la guerra di invasione di uno stato sovrano come l’Ucraina ha reso tutto ciò assolutamente evidente, Il conto è fatto in entalpia ma bisognerà convertirlo in entropia

Francesco Paolo Intini

INDOVINA CHI INTINGE NEL PIATTO DEL RAGÙ

Premessa:
“Parole che hanno un nucleo instabile, su cui è scritto “FRAGILE”
Viaggiano da un paese all’altro. Piccoli neutroni fermano alle frontiere
Si mostrano gentili, rovistano tra i quark. Nel portabagagli le provviste:
Pacchi di odio legati con lo sputo.
-Tutto in ordine però-, rassicura l’airbag.”

Il sole pascola i suoi pianeti al largo di Andromeda ma un protone si alleva come un pollo.
-Dice l’amministratore delegato dei Tiraemolla-
Poi è difficile distaccarsene, pensare alla fine tragica, alle costruzioni di penne iridescenti.
Il canto mattutino che diventa brace. Che ne sarà delle creste maestose?
L’orrenda bocca che si solleva dal fiero pasto.

La confraternita dei neutroni ha un bel daffare ultimamente viaggia da un continente all’altro
E che fatica con Americio. Tutti quei quark sempre in movimento, a buttar giù un nucleo e piantaci vento.

Senza alcuna referenza con una mossa scritta nel DNA dell’agnello procede il timido rosmarino. -Ci sono anch’io sussurra. Il tegame di patate non è completo se non ci metti l’Austria-Ungheria.

Princip ha portato il forno alla temperatura critica.
La massa è lì che attende, effervescente, lievitata al punto giusto.

Mendelevio da par suo prepara soffritti.
Cosa vuoi che siano due o tre nuclei in meno nell’olio bollente?
I ragazzi si scaldano ogni giorno. L’accademia pullula di pulcini pronti a sacrificare il tramonto dell’occidente, la pasta asciutta, l’ energia cinetica chiusa nelle matrioske.

Il tempo cola dalla pentola, come burro si sciolgono le lancette.
Per ogni clessidra che si perde ci sono dieci meridiane fresche di giornata.

Scappa di mano persino il sale. Da un buffet all’altro viaggia la fragranza dei cingoli. Un barattolo di marmellata venduto al prezzo di un carrarmato. Una pantofola vale più di un missile terra aria. Via di casa dunque l’energia potenziale. La mite acqua partorirà sbarchi di marines. Schiuma da barba e candeggina diventano generali a sei stelle.

Il conto è fatto in entalpia ma bisognerà convertirlo in entropia. Ce la mettono tutta i ragazzi prodigi per la relazione semestrale. Tecnezio e Piombo seguiti da Titanio e Ferro lavorano sodo per tutta la notte ma il risultato finale è sempre lì che sfugge. Un po’ di massa non si converte al nichilismo.

La tavola è imbandita. Ciascun elemento si raccoglie in preghiera.

Un antiuniverso interviene con pallottole antibomba.
Qui si svendono neutroni e grattacieli. Tatuaggi Sioux al comando dei continenti. Il codice civile degli Apaches. I neonati, squartati e bruciati nei teepee governano il mondo.
Si è fieri di essere libri tra bisonti.

Organesson si stringe al petto del Carbonio. Si raccontano grandi cose accadute ai confini dell’universo. Ossigeno fa la sua narrazione di un miliardo di anni. Di quando si esagerava nella produzione dei polmoni. Troppo grandi, ingombranti, feroci.
E gli errori di progettazione. Quei figli nati senza una ragione con la devastazione in corpo.
Ma ora ci sono e bisogna calmarli, amarli, educarli alla vita di caserma.

Lucio Mayoor Tosi
26 aprile 2022 alle 15:38

La poesia prende il volo dopo attimi di prosa incerta. Ma poi non si ferma, da vero canto di disperazione. Versi che sono idee, come “Tatuaggi Sioux al comando dei continenti”. Curioso modo pubblicistico di concepire poesia. Ma lo sdegno arriva eccome.

Giorgio Linguaglossa
27 aprile 2022 alle 7:53

alla fin fine la poesia di Intini non è altro che una tipica poesia che viene dopo una deflagrazione nucleare, ma il fatto è che la bomba è già esplosa da tempo e non ce ne siamo accorti, si è trattato di una Bomba H, quella al neutrone che lascia le cose intatte e uccide gli esseri viventi. Una bella trovata, non c’è che dire, dell’Inner circle di Putler e dei suoi accoliti.
Intini è tra i poeti NOe quello che più di tutti si è avventurato in quella zona grigia dei linguaggi significazionisti dove sono caduti tutti i significati, proprio tutti, così che non ne è rimasto più niente. Una poesia per il tempo di guerra, perché non ci sarà più alcun Dopo Guerra dopo questa della Bomba al Neutrone, e la poesia della NOe ne è rimasta fulminata. Già, siamo arrivati al dunque: la Russia ha disposto che dalle ore 8.00 di questa mattina verrà interrotta l’erogazione di gas russo alla Polonia e alla Bulgaria. E cos’altro è questa roba qui se non una dichiarazione di guerra alla Polonia e alla Bulgaria, è inutile fare come fa lo struzzo che all’avvicinarsi di un pericolo ficca la testa sotto la sabbia, qui siamo già da un pezzo dentro una guerra dichiarata da Putler e i suoi accoliti. La poesia di Intini e quella dei poeti post-significazionisti presenti in questo post è la dimostrazione che siamo già entrati nel Dopo Guerra.

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Parole nel tweet di Mimmo Pugliese

Lucio Mayoor Tosi
27 aprile 2022 alle 8:56

Se il conflitto si estenderà, la rabbia crescerà tra la gente, il prezzo della guerra lo pagheranno gli interventisti di oriente e occidente.

Francesco Paolo Intini
28 aprile 2022 alle 12:02

Caro Giorgio,

È vero, non c’è significato che tenga. È come se dall’arco della porta sia saltata via la chiave di volta. Pericoloso starci sotto, altrettanto per l’intero palazzo. Chi dovrebbe provvedere è in vacanza e non ha nessuna intenzione di tornare.
Tu telefoni ma risponde una segreteria telefonica e dall’altro capo non sai se la voce diamantina che risponde solo alle proprie angosce è di Putin o Biden o Johnson o altri di pari durezza.
L’insulto, la falsità, la malafede il complotto, il tradimento sono zombi che attraversano le strade dell’Europa. Halloween imperversa da mesi nei salotti e nelle piazze.
Uomini trafitti da lance enormi, appartenenti a tutte le epoche schiacciano bottoni che innescano fiamme e bombe.
Ad aprile sono tornati gli sterpi e maggio si preannuncia il mese dei morti. Nascono tante varietà di crisantemi nei giardini, insistenti come cookies e i ragazzi imparano dalla pubblicità che forse a novembre farà primavera.
Il significato era proprietà privata dei poeti, la casa in cui si allevavano i versi che ammaliavano le pietre scagliate contro da baccanti invidiose, ma una specie di radiazione malefica, ha fatto nascere tritolo da un uovo.
E dunque addio alla vecchia alchimia dei suoni, delle allegorie, delle allitterazioni, della metrica , dei significati alti che accompagnavano i grandi della terra, allietando i loro pranzi e il loro passaggio sotto l’arco del trionfo. L’alessandrino si è mescolato ad una formula di detersivo e dal nuovo Dna è venuta fuori un sapone che interessa il corpo ed il suo bell’aspetto davanti allo specchio.
Chi altri si incontra se non questi monumenti dell’IO che camminano a testa alta potenziandosi di dolcezza ortofrutticola senza sporcarsi le mani di pile scariche e bucce di patate?
Già, tutto dipende dal Tempo che si attraversa e in questo il futuro sembra proprio che stia alle spalle del presente.
Imparare a parlare al contrario svela dunque il segreto del significato. Così diventa naturale sostituire l’identità con la contraddizione e la poesia con lo SCRASH di un auto che si libera delle lamiere.
Il vecchio Orfeo riposa suo malgrado nel greto del fiume sacro e a dettar legge sono furie scatenate con la tuta mimetica del neutrone capace di rompere tutto ma sempre in sintonia con i postumi del nucleo rotto e sepolto.
Non sono gli alberi della Tracia, incatenati al suolo dalla maledizione ma funghi malefici che spuntano qui e là. Una nuova generazione assaggia quest’aria di cesio 137 e lavatrici che si pensano libere dal giogo della centrifuga.
Vuole essere guerriglia senza pretesa di Potere e ogni tanto scrive un report, che è poi fare il punto della situazione senza senso alcuno, in versi più antartici che antalgici tanto meno nostalgici.

Giorgio Linguaglossa
29 aprile 2022 alle 9:34
caro Francesco,

scrive Marie Laure Colasson:

«i poeti kitchen si muovono in quella zona grigia di indiscernibilità e di indistinzione in cui tutte le vacche sono bigie, cioè, in cui tutte le parole sono bigie… dove non si possono più scegliere le parole se non per approssimazione o per scommessa o per esservici inciampati, per ritagli, per scuciture, perché il mestiere kitchen si muove tra le scuciture delle parole…» Continua a leggere

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Disinformazia, Nei testi kitchen gli enunciati sono ricchissimi di disinformazia, alludono sempre a qualcosa di diverso da ciò che indicano, Odessa, foto di Stefano Rosselli, Poesie kitchen di Marie Laure Colasson, Alfonso Cataldi, Raffaele Ciccarone

Odessa

Odessa: la vita al tempo della guerra, foto di Stefano Rosselli – Gli abitanti di Odessa continuano a condurre la stessa vita che facevano prima dell’inizio della guerra di invasione. Subito dopo il violento bombardamento alla raffineria di petrolio le vie si sono riempite di persone, i caffè sono sempre stati aperti, i negozi anche, la gente passeggia in mezzo ai cavalli di frisia e ai palazzi bombardati. È un modo inconscio per sconfiggere l’invasore russo: non mostrare paura, rispondere alla paura della morte con l’amore per la vita che continua… Le democrazie parlamentari, pur con tutti i loro difetti, fanno paura alle autocrazie del globo… I dittatori temono le democrazie, le demonizzano, vogliono sanificarle, denazificarle, deucrainizzarle, saponificarle, derattizzarle… ma le democrazie sono più forti delle autocrazie e delle loro menzogne, e vinceranno con la forza stessa della democrazia. È appena iniziata la spartizione geopolitica del globo tra le democrazie da una parte e le autocrazie dall’altra… e la poesia kitchen è stata colpita sulla via di Odessa…

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Testi kitchen
sulla disinformazia

Nei testi kitchen gli enunciati sono ricchissimi di disinformazia, alludono sempre a qualcosa di diverso da ciò che indicano, la disinformazia forma il cuore stesso degli enunciati e dei contro-enunciati :

 Covid, l’Oms “raccomanda fortemente” l’antivirale di Pfizer: ha meno rischi e riduce i ricoveri Il Paxlovid dovrebbe essere preferito al Molnupiravir o al Remdesivir della Merck.
La combinazione di Nirmatrelvir e Ritonavir «è il farmaco d’elezione» per i pazienti non vaccinati, anziani o immuno compromessi, secondo un articolo del British Journal of Medicine. Per lo stesso tipo di pazienti e sintomi, l’Oms ha anche emesso una «debole raccomandazione» per il Remdesivir del laboratorio americano Gilead, che aveva precedentemente sconsigliato.

 Il Paxlovid dovrebbe essere preferito al Molnupiravir o al Remdesivir della Merck, così come agli anticorpi monoclonali.

 La dottoressa Janet Diaz, capo del team di risposta clinica per il Covid-19, in un briefing con la stampa a Ginevra ha detto che il Paxlovid «riduce l’ospedalizzazione più delle alternative, ha meno rischi potenziali rispetto all’antivirale molnupiravir ed è più facile da amministrare rispetto alle opzioni endovenose come il Remdesivir e le terapie anticorpali.

 Questa raccomandazione non si applica alle donne incinte e che allattano. Inoltre, la verità ha le stesse diottrie di chi le guarda e la lotta di classe inizia già all’asilo, come affermato dalla scrittrice Silvana Baroni.

 Il missile intercontinentale Sarman di Putler corre ad una velocità 10 volte superiore di quella del suono fino a a 18.000 km con o senza testata nucleare e sfugge alle difese missilistiche della Nato.

La Moskva è diventata una moscà.

Una overdose di Remdesivir la si può prendere ad Abukir.

È stato testato dal Signor Putler un budino all’isotopo di polonio in grado di abbattere in un sol colpo una intera brigata aviotrasportata della Nato.

 Il Signor Putler e il Signor Salvini una volta erano dei bambini.

 «Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari».
(Anton Pavlovic Cechov)

Se in una poesia appare una bianca geisha, bisogna contemplarla.

Etc. etc. etc…

(Giorgio Linguaglossa)

Marie Laure Colasson

… i poeti kitchen si muovono in quella zona grigia di indiscernibilità e di indistinzione in cui tutte le vacche sono bigie, cioè, in cui tutte le parole sono bigie… dove non si possono più scegliere le parole se non per approssimazione o per scommessa o per esservici inciampati, per ritagli, per scuciture, perché il mestiere kitchen si muove tra le scuciture delle parole, e questo è evidentissimo nelle poesie dei quattro autori pubblicate in questo post, dove ciascun autore imprime la propria soggettività sul linguaggio come il proprio sigillo di inautenticità. Chi cerca l’inautenticità del linguaggio prima o poi trova invece l’autenticità, è un momento dialettico e un momento contraddittorio insieme, è come nel gioco del gatto e con il topo, le parole sfuggono fin quando il gatto tenta di afferrarle, ma non possono più sfuggire al gatto che non tenta più di acciuffarle.
È questo il segreto della poesia kitchen.

1.

Un cocon de bave dorée prend le train l’avion
traverse les frontières laisse des traces

Une encre noire se ballade en gondole
les fanfares tristement résonnent

La blanche geisha boit son thé dans un dé à coudre
se parfume au bois de santal

Les danseurs de Kathakali roulent
dans les cercueils les sarcophages se momifiant

Marie Laure et la blanche geisha
jouent à la balle avec le cocon de bave dorée

Les ampoules éclatent le metal se transforme
le cocon s’abreuve l’humanité se liquéfie

Un bouclier baigne l’obscurité
restent seulement quelques traces

*
Un bozzolo di bava dorata prende il treno l’aereo
attraversa le frontiere lascia delle tracce

Un inchiostro nero deambula in gondola
le fanfare tristemente risuonano

La bianca geisha beve il suo tè in un ditale d’avorio
si profuma al legno di sandalo

I danzatori di Kathakali rotolano
nelle bare i sarcofagi mummificano

Marie Laure e la bianca geisha
giocano a palla con il bozzolo di bava dorata

Le ampolle scoppiano il metallo si trasforma
il bozzolo si abbevera l’umanità si liquefa

Uno scudo bagna l’oscurità
restano soltanto alcune tracce

Alfonso Cataldi

Saltellamenti tra i piani

«Cambiare i piani nella disciplina della dentatura
alleggerisce le aspettative della cena»

Piero aggredisce il sentiero degli Appalachi
come l’ultimo capitolo che non riesce a consegnare.

Nel formicolio intorno ai giochi del parco
Giacomo chiede «per favore, posso scivolare?»

Ringrazia e corre tra le braccia della madre.
Cosa resterà di una caduta sui pattini

protetti da casco e ginocchiere?
L’inconscia beatitudine della distrazione.

-Gli arti assumono la forma dell’inconoscenza-
annota Eudora Fletcher, a margine di una lacerazione.

Mistero Hifeng turba l’ormai deserta Piazza del Duomo
su Second Life, esponendo le sue sculture da otto euro l’una.

Gesù o Barabba libero

Mai vista una strategia così spudorata
puntare solo sulla consapevolezza della fortuna.

Le controverse rotondità della regina di picche
vennero eterordinate dalle incredule smerigliature.

L’eterogenesi arriccia uno sbadiglio la sera di Natale
calano le perplessità acquisite dall’alta definizione

– Preferisci una mano a ramino o i tarocchi?
– Che mi smonti la plafoniera dell’androne.

Un quarto di giro antiorario. Una leva eccentrica o tre viti.
Nureyev si dilegua da una scala di servizio

troppo alta per gli agenti del Kgb
e inaccessibile, come da regolamento condominiale da scrivere

approvare, firmare e affrancare.
Il sole soffocante sul consesso non lasciava alternative.

La masnada improvvisò una risata
nell’ultimo trasloco è andata persa la filigrana.

La boccia fa una carezza al boccino e si allontana verso la cassiera

Gesù o Barabba libero
al minimarket non fu mai pronunciato.

 

Raffaele Ciccarone

Set 109

Quando si fece buio l’ombra sparì intimidita. Il regista,
letto il copione, impose a Spider-Man di saltare senza fili
tra i grattacieli.
Gatto Silvestro non riesce a toccare Tweety
ha speso tutti i peli della lingua.
Pur tra incomprensioni Charlie Brown porta a spasso Snoopy
che preferisce fare la siesta.
Alla fine Marvin il Marziano si accontenta di pane
pomodoro e olio, con origano e sale.
Winnie The Pooh finisce il miele che Cappuccetto Rosso porta
ogni giorno alla nonna.
Gli Youtubers mettono il pollice verso; con la PS4
giocano a Minecraft, un creeper lampeggia e scoppia.
Altri Youtubers guardano i sogni delle formiche.
Pericle gira tra le colonne del Partenone con Alcibiade
discutendo della legge.
Un gruppo di aspirapolvere raccoglie la polvere, la rende
a una stampante 3D che ricicla tutto in oggetti.
Non è magnifico! – esclama Mr Kitchen.
Arianna consegna il filo rosso di Scozia a Teseo, che salva
dal Labirinto il Minotauro, poi lo porta in tournè nei teatri
per fantastici meravigliosi spettacoli.

Raffaele Ciccarone, nato a Bitonto (Ba) nel 1950, consegue la laurea in Economia e Commercio a Bari si traferisce a Brescia, ove insegna per pochi mesi. Poco dopo si trasferisce a Milano, lavora presso una primaria banca sino alla maturazione dell’età pensionabile. Dipinge, ha pubblicato con pseudonimo poesie su piattaforme on line. Nel 2022 ha pubblicato tre racconti col titolo di: Sull’orlo, con Porto Seguro Editore.

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Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. È in corso di stampa la sua prima raccolta di poesia, Les choses de la vie

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Alfonso Cataldi è nato a Roma, nel 1969. Lavora nel campo IT, si occupa di analisi e progettazione software. Nel 2007 pubblica Ci vuole un occhio lucido (Ipazia Books). Le sue prime poesie sono apparse nella raccolta Sensi Inversi (2005) edita da Giulio Perrone. Successivamente, sue poesie sono state pubblicate su diverse riviste on line tra cui Poliscritture, Omaggio contemporaneo Patria Letteratura, il blog di poesia contemporanea di Rai news, Rosebud.

 

 

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La vita è troppo psicopatica per la psicologia, troppo romanzesca per il romanzo, troppo impoetica per la poesia, la vita fermenta e si decompone troppo rapidamente per poterla conservare a lungo in frigorifero, la vita è impresentabile, intrattabile e irrappresentabile, Aforismi di Silvana Baroni: La lotta di classe inizia già all’asilo, Poesie kitchen di Francesco Paolo Intini, Mauro Pierno, Raffaele Ciccarone, Mimmo Pugliese, Acrilico di Marie Laure Colasson, astratto concreto, 60×60 cm, 2022

Marie Laure Colasson acrilico 60x60 2022Marie Laure Colasson, acrilic, 60×60, 2022

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Una zona di indistinzione, di indiscernibilità, di indecidibilità, di disfunzionalità tra le parole

di Marie Laure Colasson

La vita è troppo psicopatica per la psicologia, troppo romanzesca per il romanzo, troppo impoetica per la poesia… la vita fermenta e si decompone troppo rapidamente per poterla conservare a lungo in frigorifero… la vita è impresentabile, intrattabile e irrappresentabile.
Asserire la tesi secondo cui la poesia debba affidarsi ai significati e ai significanti perché solo in essi si può cantare e perché sono l’ossatura del linguaggio, come ha pensato il modernismo nel corso del novecento e in questi ultimi anni di normologia della ragione, non può che incartarsi nelle aporie della propria ambiguità. Chi pone così la questione considera le pratiche discorsive dipendenti dalla parte del significato e del significante, le pensa in modo erroneo e non sa altrimenti pensarle se non dalla parte del significato, non è uscito da quell’incantesimo dal quale proprio il pensiero delle pratiche discorsive intendeva liberarlo. Uscire fuori dal significato e dal significante come fa la poesia kitchen, significa fare poesia finalmente liberata da una allucinazione consolatoria e totalitaria che ha impoverito il linguaggio poetico.

Una zona di indistinzione, di indiscernibilità, di indecidibilità, di disfunzionalità si stabilisce tra le parole e le frasi come se ogni singola unità frastica attendesse di trovare la propria giustificazione dalla unità frastica che immediatamente la precede o la segue.

Una «azione retrograda», una azione ritardata, ritardante e anticipatoria, una zona altamente compromissoria e auto contraddittoria

Se il battito delle ali di una farfalla a Vladivostok ha effetti sulle maree nel Mediterraneo, figuriamoci gli effetti che una guerra in Ucraina come quella in corso può avere persino nel nostro frigorifero e nel serbatoio di benzina della nostra auto.
La Rückfrage (il domandare all’indietro di Heidegger), è il domandare di cui si deve appropriare il nuovo discorso poetico. Ma anche il domandare in avanti è indispensabile al discorso poetico il quale non può non prendere in considerazione la zona di compromissione che si situa tra l’azione dell’atto linguistico con ciò che non è linguistico, con ciò che deve de-finire senza mai finire veramente e che può però finire in un discorso poetico; questa zona del discorso poetico, deve e può fare riferimento a tutto ciò che si trova in quella zona di compromissione che definiamo Es, Inconscio, Preconscio, in quella zona accidentale e accidentata nella quale la pratica delle parole mette in moto una «azione retrograda», una azione ritardata, ritardante e anticipatoria, una zona altamente compromissoria e auto contraddittoria inficiata di anacronismi inconsci e preconsci e coscienzialismi ideologici del tutto slegati e non dipendenti dagli anacronismi inconsci. Proprio in quella zona di compromissione si situa la massima vulnerabilità e, quindi, la massima attualità del discorso poetico kitchen. È pur sempre il linguaggio che descrive il passaggio dal non-linguistico al linguistico, ed è il linguaggio poetico quella zona di compromissione e di indistinzione recettizia di questa zona compromissoria. La manifesta paradossalità del linguaggio poetico kitchen che si presenta agli occhi di un lettore ingenuo della communis opinio come incomprensibile, irragionevole, gratuito, arbitrario deriva dal fatto eclatante che esso si situa, appunto, in questa «zona di indistinzione e di indiscernibilità tra le parole» dove il linguaggio del business è preponderante.
Non ha veramente senso parlare di un «soggetto» creatore se non come il prodotto di pratiche discorsive che riguardano i correlativi soggettivi del soggetto e i correlativi oggettivi dell’oggetto, insieme con i correlativi inconsci e preconsci, non certo un presunto soggetto plenipotenziario attore centrale del discorso poetico. È di un «soggetto scabroso» (ticklish subject – dizione di Slavoj Zizek) ciò di cui stiamo parlando.

(Giorgio Linguaglossa)

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Come si fanno a ottenere risultati quando si fa business? Conviene partire piano, senza farsi troppo notare, mentre il business ingrana? Oppure conviene cercare di farsi spazio? Ne parlo in questo video.

Silvana Baroni

da Per amor di dubbio, puntoacapo, 2022 

Gli aforismi di Silvana Baroni ci dicono che oggi abbiamo bisogno di intelligenza perché la verità ha le diottrie di chi la guarda, in un mondo di manipolazione programmata della verità dei fatti come è evidentissimo nella guerra in Ucraina dove i fatti vengono capovolti dalla propaganda del Cremlino, in cui si cambia il nome ai fatti, anzi, si capovolge la verità dei fatti è indispensabile mettere in ordine le parole, ottimizzare le parole, renderle precise, inequivocabili, responsabili. Una volta, dieci anni fa, un letterato ha scritto che la poesia deve essere «irresponsabile». Ricordo che sono rimasto sbigottito. Oggi non c’è più tempo, non abbiamo più tempo per giocare con le parole «irresponsabili» e con i significati, anch’essi irresponsabili» le parole rischiano di dimenticare altre parole, di tradirle… quando si sovvertono le parole anche i fatti se ne vanno a ramengo e non si sa più che cosa sia la verità delle parole. Quindi, questi aforismi di Silvana Baroni sono un esercizio salutare per l’intelligenza delle parole. Un saluto cordiale quindi a Silvana Baroni per questa sua testimonianza in aforismi, l’arte dell’inteligenza concentrata in poche parole. E vorrei iniziare le citazioni di alcuni aforismi da quello, direi, più ovvio:

La lotta di classe inizia già all’asilo.

Il linguaggio specialistico è il vallo di cinta d’ogni potere arroccato.

Anche a nascer calice, si finisce nella campana di vetro.

La verità ha le stesse diottrie di chi le guarda.

La vita è una strana staffetta: giorni che corrono senza passarsi il testimone.

Chi s’affida alla logica, chi ai fondi di caffè.

Il consumismo ci trasforma da beati in beoti.

Ogni religione tende a scagionare Dio.

Molti scrivono per espellere tossine.

S’è ferro lo vedi dalla ruggine.

Le idee più originali sono furti senza saperlo.

Viveva a giorni alterni per farla breve.

Non c’era nessun futuro anteriore in quel suo infinito passato remoto.

Ci sono anime gemelle e anime doppioni

C’è chi vive la vita e chi la frequenta.

Nei libri, o trovi pagine di scrittori, o scrittori di pagine.

Mauro Pierno

Abbiamo nominato il pane invano le porte
i fabbricati le finestre gli antidoti le minestre

gli infissi i divani le scatolette le conche le mollette
le mutande i reggiseni gli stivali gli scolapasta

le ortiche l’orzo il grano il farro le lenticchie
gli asciugamani le bandiere i cannoni

i missili l’acciaio i cassetti i portafogli le camicie
le fabbriche gli isolotti le acciughe la luna i falò

le lavatrici i rossetti le portaerei i fiammiferi
i sugheri gli accendini le sigarette i tombini

i cavatappi le bottiglie gli stendini i binocoli gli aratri
i carrarmati gli aerei gli elicotteri i fenicotteri

gli archi gli architravi le saune le fragole i biscotti
le grucce i pantaloni le valigie i libri le edicole

gli occhiali gli ombretti gli ombrelli le auto le stufe
i camini la legna il carbone il magnesio il radio

il cromo il selenio la borragine le penne le gomme
i tromboni i violini le zattere le margherite.

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(Da anni l’unica scrittura che pratico è sul foglio elettronico di codesta rivista. È un continuo work in progress, uno stimolo costante alla ricerca di un’idea condivisa di poesia e di risoluzioni poetiche)

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Francesco Paolo Intini

Qualcuno bussa al XXX

C’era da aspettarselo? Capocchio si girò incuriosito.
Gianni lo azzannò al nodo del collo.

Il punto critico delle ossa fece un crac.
Ci rimise una banca, tre banconote e un cent.

La clavicola cedette un ponte.
Se il Don si avvitava il Reno avrebbe brindato
o viceversa?

Un torrente di linfa scende lungo le spalle
L’osso sacro si spezza e una gamba corre più rabbiosa dell’altra.

Il tavolo cresce in lontananza ma non in lungimiranza
Per due punti qualità si perde un pollo arrosto.

L’intimo era già perduto quando il botulino
Imperversò nell’olio del girasole.

Mirra si affacciò dal palazzo in fiamme.
Era la sua voce o un verso di corvo?

La sentivamo triste e aggressiva ma non riuscivamo a sbarazzarci di lei.

Accusava i dolori reumatici della perdita di obiettivo
Avrebbe portato all’Aia il capo degli streptococchi
E alla flora intestinale disse che poteva mettersi in pensione.

Un carro armato presidiava l’aorta ma non osava entrare nel ventricolo.

A un tratto il microfono afferrò un mezzobusto alla gola
intimandogli di smetterla col Brazil
Gridò: c’è Dante, lo faccio entrare?

Jashin con i baffi fiammanti apparve tra i pali.
Una bolgia contro l’altra armata.

Come s’impedisce a un missile di entrare nell’epoca sbagliata?
Burgnich e Facchetti, Molotov a mediano.

Il grande portiere ha una pausa di terrore.
Il rasoio solleva un palazzo, Cislenko fa cilecca.

Il fornello ad est fa una mossa geniale.
Ricorda Cesare quando scese tra i suoi e la battaglia fu vinta.

Ora si trattava di dare al reporter fiorentino
la chiave di chiusura del gas. Continua a leggere

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Stanislav Dvorský (1940-2020): L’inizio del gioco a cura di Petr Král, traduzione di Antonio Parente, Dvorský  Chiama questa poetica “costellazione di parole”, l’uso coerente del potere specifico, proprio solo della poesia, dei singolari collegamenti tra le parole stesse: di ingannevoli collegamenti lessicali, nei quali l’aspetto verbale – per metà di idee e per metà puramente fonico – e quello grafico coprono tutti gli altri (narrativo, riflessivo e metaforico), si rendono indipendenti  

Lucio Mayoor Tosi, stampa digitale, Pomodoro

Stanislav Dvorský

L’inizio del gioco

non ho nessun amico dietro le finestre scure d’azzurro
lancio soltanto dei sassolini con accortezza per non rompere nulla
ricordiamo ancora i giochi giudiziosi quando sull’acqua si formano dei cerchi sbadiglianti
il cordoglio sorride non ho nulla da perdere
nemmeno le mie mani mobili
nemmeno i miei amici
nella vuotezza zincata del profondo banco di mescita
tanti avanzi convincenti dell’eternità usignola
una volta ero un eccellente tiratore e i miei amici continuano ad applaudirmi
ho sparato già quasi tutte le cartucce
non riesco a fare centro continuo ad essere
come vivo come vivo

* * *

Tarda estate

il ponte di fili bianchi sospeso
sulla baia assente di palombari inchinati

una seppia morta da tre giorni
contempla qualcuno di loro con occhio riconoscente
tutto il limaccio al centro della maestà stagnante del vetro
non volge altrove il capo
culla in grembo il bimbo d’inchiostro

gli raccontai le mie allucinazioni jazzistiche
innalzai un recinto brunito intorno all’idiota
infastidito dagli ordini perenni sul foglio senza righe
alzai i tacchi
delle scarpe sotto il tavolo
pittai il recinto color pelle con vernice color pelle
in modo da non essere troppo visibile
in modo da non stare in piedi
avevo i miei riposi illuminati i ceppi floreali
del resto è la mia missione
poche volte il sistema solare comprende tutti i simboli esterni
perché persino facendo notevole attenzione l’intonazione sfugge dalle narici

lo chiamai col nome di battesimo
nessuno si voltò

Zborcené plochy (Piani distrutti, 1996)

* * *

Bottiglia Molotov

le fiamme disegnano mandrie di animali galoppanti lungo il soffitto del vagone frigorifero che con un ampio tornante si precipita sui binari chissà dove
apicoltori portalettere spazzini intere stazioni di inseminazione un’unica enorme moltitudine armata di forconi asce e attizzatori
si precipita con terrore su piazza Democrazia popolare

questi fenomeni sono visibili nelle nostre bevande
dove cala di sbieco il basso sole primaverile
quando un vento fresco spinge a soffi la tenda nel profondo della stanza

* * *

Tra le cosce di questa primavera

pezzi di cannelli di paraffina nell’attimo in cui cambiano sostanza

della tua eterna nudità (buia: sussurro “di nicotina”)
è anche così il punto focale della notte il resto della pelliccia
dopo un istante pieno di sego caldo

poi le arterie pulsano gemi il nastro al buio fruscia
(mettiamo Wheels of Fire basso basso)
e alla finestra si accendono azzurri i fumi alcolici
invano
senza futuro

Dobyvatelé a pařezy (Espugnatori e ceppi, 2004)

Stanislav Dvorsky 2018 Petr Kral

Stanislav Dvorsky e Petr Kral

.

Petr Král

Black and Blue[2]

Quando conobbi Standa Dvorský, alla luce arancione della leggendaria “stagione del ‘59”, diventò subito per me l’amico-iniziatore (secondo la definizione di Sarane Alexandrian), colui col quale è possibile instaurare un vero dialogo, complice e contendente allo stesso tempo, colui che ci apre le porte del mondo e di ciò che vi sarà per noi di fondamentale, e che ci aiuta in maniera decisiva a chiarire i nostri pensieri.

[…]

Molti erano i tratti da noi condivisi, che costituivano la nostra esperienza e la nostra “memoria” comuni, se non altro grazie alla sistematica e reciproca comunicazione: l’esistenzialismo e il surrealismo, il poetismo e il dadaismo, la decadenza di fine secolo e l’ubriacamento degli anni Venti, le incisioni e le comiche mute, i vizi dei salottini e gli amori delle gite scolastiche, la canzone Zasu di Jaroslav Ježek e il Castello di Kafka, i vaporetti domenicali e i salotti in fondo al lago, Voskovec + Werich e Rimbaud con Verlain, la cicoria di Pečky e l’Hispano Suiza, gli smoking bianchi e i maglioni alla beatnick, l’assenzio e il jazz… Ognuno poneva l’accento su cose diverse e costruiva tutto in maniera differente; Standa lo faceva in maniera meno casuale, come se sapesse fin dall’inizio quello che voleva.

[…]

Dopo aver letto i suoi primi testi, fu chiaro che la nostra generazione aveva in Dvorský uno dei suoi autori chiave, il proprio poeta, il quale in modo unico ma essenziale riassumeva le idee, “le sensazioni” e le posizioni degli altri. In molti di quelli che allora lo conobbero i suoi testi ebbero di colpo un influenza determinate; ad esempio, l’opera di Karel Šebek non sarebbe stata la stessa senza di loro, e anch’io non sono sicuro se le mie “visioni” poetiche non siano per metà di Standa – tanto intimamente alcune delle sue immagini si sono impresse nella mia memoria.

Nei suoi testi poetistico-dadaistici del periodo precedente il 1959, nei quali andava assumendo sempre più vigore l’influenza surrealista, traspare la sua caratteristica concezione delle tre componenti che – in diverse proporzioni e relazioni – formeranno l’intera sua opera: il lirismo, la narrazione poetica, il discorso sarcastico. Se la sua narrazione ha, fino a quel momento, una comunanza con le poesie-sogno del Nezval surrealista e il suo discorso con la provocazione dadaista, dietro il lirismo di Dvorský trapela soprattutto, ed è cosa non senza significato, Halas. E ciò sia per quel che riguarda la visione del mondo del poeta e il suo sviluppo personale, sia per il ruolo dello stesso Halas nello sviluppo della poesia ceca. Continua a leggere

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Il tempo: dal passato verso il futuro o dal futuro verso il passato? Tempo ciclico, Tempo lineare, Tempo puntiforme, Tempo distopico, Il concetto di Tempo nella nuova ontologia estetica, di Vincenzo Petronelli, Se il tempo, come il fiume congelato, non scorre ed è già tutto creato, può essere possibile viaggiare nel futuro o nel passato, Poesie kitchen di Mauro Pierno, Vincenzo Petronelli, Francesco Paolo Intini, Gerhard Richter, foto di Ulrike Meinhof, 1977

gerhard-richter-Ulrike Meinhof, 1977 foto

Gerhard Richter, foto di Ulrike Meinhof, 1977

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Il tempo: dal passato verso il futuro o dal futuro verso il passato?

di Vincenzo Petronelli

Ho sempre ritenuto che l’abbattimento della concezione lineare spazio – temporale, sussumendo conseguentemente anche tutti i paradigmi su cui si basa l’operazione mimetica poetica, inclusa la dialettica soggetto/oggetto, sia la dinamica di base di una reale operazione di revisione della costruzione poietica.
La riflessione antropologica – anche mediante le sua filiazioni della Storia delle religioni e della Storia dell’immaginario – così come il dibattito filosofico nelle varie branche pertinenti alla materia, si interrogano da sempre sull’analisi del rapporto tra l’individuo e la realtà, preoccupandosi anche leggere i vari piani possibili di questo rapporto, dalle proiezioni socialmente e culturalmente mediate, alle sue concrezioni più profonde e che sottendono le costruzioni convenzionali.

Naturalmente, il punto nodale dell’analisi sulla realtà è la concezione di tempo.
Il pensiero classico definiva due livelli temporali, in realtà tra loro interconnessi. Il primo livello era quello del tempo suggerito dalla percepibilità del movimento: un tempo “misurabile”, ciclico, degli anni, delle stagioni, dei ritmi della vegetazione, un tempo scandito dalla natura.
Il secondo livello postulava invece l’eternità, come astrazione assoluta nella quale si cercava di fermare il tempo, come condizione per cercare di interpretare il senso dell’esistenza stessa. Nella prima dimensione prevaleva il divenire con il suo avvicendarsi mutevole di nascite, eventi e dinamiche reiterate mediante la replicazione ciclica, mentre la seconda era caratterizzata dall’immobilità dell’Essere.
In realtà, questi due livelli temporali coincidono con quelli della suddivisione ontologica platonica, cioè il tempo assoluto della realtà immutabile eterna (corrispondente al mondo delle idee) da un lato; quello relativo del divenire del mondo, in cui si inscrive la componente fisica della vita umana con la sua temporalità e finitezza.

In concreto però, questi due livelli temporali erano tra loro complementari e videro riflessa questa complementarità anche nei riti delle antiche religioni, riprese successivamente dalla codificazioni cosmologiche delle dottrine cristiane, basate sulla concezione ciclica del tempo legato ai ritmi della natura – di cui le religioni ed i loro riti rappresentano la canonizzazione – ma che al tempo stesso, nella loro reiterazione immutabile, riconducevano ad una scansione eterna, immutabile, del tempo sacro che poneva l’uomo direttamente in contatto con il supremo, con le concrezioni profonde dello spirito.
E’ a questa visione cosmologica che si rifà un’opera antropologica fondamentale quale Il mito dell’eterno ritorno del grande storico delle religioni romeno Mircea Eliade, che evidenzia appunto come le religioni antiche fossero legate a questa visione eterna del tempo e del cosmo, che ricongiungeva la sfera del quotidiano e del profondo.
Gli studi della storia dell’immaginario collettivo di scuola francese legata alla cosiddetta “Scuola delle Annales” che ha rivoluzionato la metodologia della ricerca storica, hanno dimostrato la frattura creatasi nella concezione del tempo a partire dal basso medioevo, con la distinzione che il grande storico Jacques Le Goff ha definito, in suo saggio memorabile, “Tempo della chiesa e tempo del mercante”: la distinzione cioé, e l’affermazione di un senso lineare del tempo che è quello della borghesia degli affari, dei commerci, concezione legata allo sfruttamento intensivo e “progressivo” del tempo quale unità di misura della realizzazione dei propri affari.
Gradualmente, con l’affermarsi del mondo di valori della borghesia, attraverso lo sviluppo della cultura capitalistica e la nascita della rivoluzione industriale, accompagnate dalla componente culturale scientista – che si affermerà con la corrente illuministica – e materialista, che troverà eco nella filosofia positivista, la concezione lineare e economicamente redditizia del tempo finisce per imporsi, in quanto dettai ritmi dell’esecuzione delle attività lavorative.

È proprio in contrapposizione al rischio alienante di questa tendenza materialistica del tempo, che già gli antropologi di fine ‘800 cominciano a relativizzare il concetto di tempo ed il suo corrispondete della considerazione dello spazio, come evidenziato da Emile Durkheim e Marcel Mauss – tra i padri fondatori dell’antropologia e della sociologia, pubblicato nel 1902 ed intitolato Su alcune forme fondative di classificazione. Nel libro, i due studiosi, sostengono che il tempo, inteso come un fenomeno oggettivo e naturale, è una pura astrazione. Le attività organizzate attorno alle quali l’uomo impernia il suo tempo , sono un costrutto storico-culturale e il calendario scandisce il ritmo delle attività collettive regolarizzandole.
Le indagini antropologiche sulle dimensioni del tempo e dello spazio, pongono l’accento sul valore qualitativo della concezione del tempo presso le società preindustriali ed ancora oggi, si ritiene che il senso di un tempo non quantizzato, ma carico di significati speciali, sia presente in tutte quelle società che hanno bisogno di rievocare periodicamente l’atto che considerano il fondamento della propria esistenza, il che ci riconduce all’estrinsecazione della teoria del “Mito dell’eterno ritorno” dell’opera omonima di Eliade.

Nel 1920, lo studioso svedese Martin P. Nilsson, pubblicò un libro che ebbe una grande fortuna, Primitive time-reckoning; a study in the origins and first development of the art of counting time among the primitive and early culture peoples; in esso l’autore sosteneva che nelle cosiddette società “primitive” il tempo era concepito in maniera “puntiforme” e i riferimenti non corrispondevano a frazioni temporali omogenee e quantificabili, ma ad eventi naturali o sociali o a stati fisiologici, utilizzando ad esempio locuzioni come “due raccolti fa”, come equivalente di “due anni fa”, oppure “un sonno” per indicare il giorno precedente.

Il filosofo polacco Krzysztof Pomian ha evidenziato come durante il XIX secolo, filosofi, intellettuali, storici, concepirono il tempo solo nelle versione lineare, cumulativa, ritenendo erroneamente ed arbitrariamente, che le società ancora ai margini del processo di industrializzazione fossero prive di senso storico, mentre gli stessi studi antropologici hanno dimostrato come queste comunità poggiano semplicemente il loro senso della diacronia sulla reiterazione dei loro miti fondanti.
Le ricerche condotte nel campo della filosofia, dell’antropologia e della sociologia, sono approdate alla conclusione che sia fondamentale, per un rapporto equilibrato nella concettualizzazione del tempo nell’ambito di una civiltà industriale moderna, approdare alla coesistenza dei due piani: tempo quantitativo e tempo qualitativo, poiché da un lato una concezione esclusivamente lineare sottindenderebbe l’idea secondo cui gli eventi non si sovrapporrebbero mai, traducendosi nell’erosione dell’inteliggibilità stessa della categoria di tempo, in quanto vorrebbe dire che ogni istante del futuro fosse sempre e completamente diverso da ogni istante del passato. Al contrario, una concezione esclusivamente ciclica del tempo, renderebbe inconcepibile qualsiasi percezione dei nessi causali degli eventi, il che condurrebbe all’annullamento della distinzione tra passato e futuro, condannandoci a vivere in un eterno presente.
Sussunta alla categorizzazioni delle rappresentazioni temporali vi è, all’interno degli studi di antropologia culturale, anche la riflessione sulla memoria e come essa possa essere studiata, partendo dal presupposto che la memoria rappresenta una griglia interpretativa fondamentale per la nostra esistenza.
La possibilità di ricordare dipende dalla capacità di dimenticare e il rapporto tra memoria ed oblio permette l’atto stesso del pensiero. La memoria non è semplicemente un processo soggettivo, ma è anche un processo collettivo e la stessa è radicata nella sua idea di tempo.

Accanto alla dimensione della linearità primaria, che pone gli eventi oggettivi su una linea progressiva tra di loro che va dal passato verso il futuro, vanno estendendosi rappresentazioni culturali del tempo che procedono in senso contrario, ossia dal futuro verso il passato. Sono riflessioni che mettono al centro la rappresentazione culturale di tempo secondo la fisica occidentale odierna: infatti i fisici si chiedono, in rapporto all’idea di tempo, perché gli eventi non procedono all’indietro. Per riflettere su questa possibilità occorre tuttavia costruire una particolare concezione culturale, e filosofica, di tempo. In fisica, per esempio, vi è l’idea secondo cui il passato non scompare e il futuro non è inesistente; passato, presente e futuro esistono alla stessa maniera. In altre parole, secondo la fisica odierna ciò che è accaduto e ciò che dovrà accadere esiste già. È sicuramente un’idea di tempo che noi classifichiamo “scientifico” e quindi non calato all’interno della percezione quotidiana umana.

Per spiegare questa rappresentazione di tempo, i fisici usano il concetto di «fiume temporale», secondo cui, come sulla pellicola è già impresso un film intero esiste già nella pellicola, così nella la fisica odierna sarebbero già codificati già tutti i momenti della nostra vita. La differenza è che però per il film c’è un proiettore che sceglie ed illumina un fotogramma dopo l’altro, nella fisica invece non ci sono prove della presenza di un criterio ordinativo che scelga un istante piuttosto che un altro. Noi possiamo percepire la percezione dello scorrere regolare del tempo, ma il tutto potrebbe essere, secondo i fisici, pura illusione. Oggi infatti gli studiosi riflettono sul fatto che, se il tempo, come il fiume congelato, non scorre ed è già tutto creato, può essere possibile viaggiare nel futuro o nel passato e che anzi, si ritiene che ciò sarà presto possibile, sfruttando, come teorizzato a suo tempo da Einstein, una strana proprietà della gravità, che influenza il tempo rallentandone il passaggio. Più intensa è la forza gravitazionale e più il tempo rallenta. La fisica sostiene infatti che, viaggiando vicino un buco nero, i nostri movimenti apparirebbero rallentati. Si è anche ipotizzato che due ore in orbita attorno ad un buco nero equivarrebbero a circa cinquanta anni sulla Terra. Tornando dall’orbita di un buco nero, sarebbe quindi possibile, per i fisici, viaggiare nel futuro della Terra.

Un’ulteriore evoluzione di questa formulazione la teoria quantistica dei campi (Loop quantum gravity in inglese) in cui la geometria di riferimento è quantizzata. Nelle teorie classiche della relatività ristretta e della gravitazione la geometria di riferimento è continua: ragionando in una sola dimensione (anziché in 3), dati due punti distinti A e B sicuramente esiste un punto A’ intermedio tra A e B, un punto A” intermedio tra A e A’, un punto intermedio A”’ tra A e A” e così via all’infinito. Con la teoria quantistica dei campi, compiendo la stessa operazione di suddivisione tra A e B, tra A e A’ e tra A e A” si arriverà alla situazione di avere due punti A e A^ tra i quali non è presente nessun altro punto. Tornando alle tre dimensioni spaziali, ciò significa che partendo da un volume e suddividendolo in volumetti sempre più piccoli, c’è un valore minimo di volume non ulteriormente divisibile. In particolare il vuoto, quando esiste, appare dipendere dalla traiettoria dell’osservatore attraverso lo spazio-tempo.
Tutto ciò ci porta a considerare che evidentemente sempre più l’arte debba interpretare, nella sua rappresentazione mimetica della realtà, la disarticolazione dei paradigmi tradizionali, perché è solo nella frammentazione dell’apparente e dell’egocentrismo correlato, nel vuoto in cui si annidano i detriti delle segmentazioni profonde, che si possono ritrovare quelle tracce fondamentali per poter ricostruire le traiettorie di un mondo liquido come il nostro, esattamente secondo i dettami della poetica Noe.

Mauro Pierno

Mettiamo dei proiettili nei nostri fiori
infiliamoli nei siluri nelle camere da letto
nei soggiorni sulle spiagge nel ragù della domenica
nelle case nei telegiornali nelle televisioni sulle autostrade in mezzo al traffico nelle vacanze attorno a giardini ai parchi agli ospedali agli aereoporti ai teatri a bordo campo sui tram sui treni
sugli elicotteri nei giocattoli nelle merende tra una forchetta ed un coltello tra un bicchiere dell’acqua ed una caraffa di vino in mezzo ai piedi tra le mani tra le natiche i coglioni le fiche i pannolini i pannoloni le ciabatte le scarpe i santi le puttane.

Vincenzo Petronelli

TEATRO

Nessuno ne seppe più nulla
fino a quel giorno di marzo 2016.
I traghetti da Durazzo hanno orari incerti.
All’imbarco, una fila ordinata di transfughi
in pigiama e ciabatte.

Tre mesi di prugnole selvatiche e tabacco da masticare:
questo il referto.

“Avete solo il menù del giorno
o anche à la carte, Suor Pasqualina?”.
“Oggi pranzo fisso: stricnina e carne di cavallo”.

Ogni ultimo lunedì del mese
l’avvocato si recava in banca per effettuare i prelievi.

Cercarono a lungo, ma invano, la chiave della tenuta di Montaltino.
Un’icona di madonna ilirica
dietro il décolleté in conference call.

Nella vecchia madia
solo libri di poesie di Paul Muldoon e Rafael Alberti.
Non rimase più traccia
degli affreschi sui muri e delle vecchie auto.

Lo tsunami spazzò le isole per sempre.

Risuonano voci dai fondali marini:
“Se Dio vuole, il prossimo anno sarà migliore”

Cocomeri e grigliate sulle spiagge del Gargano
nelle domeniche d’estate:
per dessert, parmigiana di melanzane.

Gli arrotini di Cerignola, forgiavano parole nella pietra.
“Yo soy más valiente que tu: más gitano y más torero”.

Solo gli elettricisti ormai
continuano a coltivare la metafisica.
“Ha visto il mio ultimo quadro elettrico, Signora Grace?”

“Per quello che ho, non sto soffrendo”.
Al Saint John’s Hospital
Gordon Lachance ricordava i giorni felici a Castle Rock
nel suo ultimo romanzo.
“This is the end: my friend, ma la notte equatorial ti fa sognar”.

Oliva è uscito stamattina nella nebbia
per recarsi a scuola, baciando sulla fronte sua madre e sua sorella:
sarebbe rientrato per pranzo.

[1] Trad. dallo spagnolo: “Sono più coraggioso di te: maggiormente gitano e torero”. Verso tratto dal famoso brano di Federico Garcia Lorca: “En el café de Chinitas”

DANUBIO

Zuppe di cavolo e cipolla nel refettorio della vecchia scuola.

“Hogy vagy, Vittorio?”.
“Jól, köszönöm: csak nagyon hídeg van kint”.

Káta Néni aveva l’abbonamento all’opera:
adorava Mozart e Liszt.
“Una figlia di Liszt è nata a Como, lo sapeva?”.
“Certo: era molto prima delle “croci frecciate”

Alla fermata di Gyöngyösy útca, si cammina
con la mano sulle borse
guardando le incisioni di Barnard. Veloci,
scorrono mani zingare lungo fianchi ormai di donna.

“Stasera abbiamo appuntamento con Pétra e Zita
per “quattro matrimoni e un funerale”.
“Sul Rakpart , assaporerai l’umido del mio autunno.”

In fila per la distrubuzione del gulyás levés
a Keleti Pályudvar .
Per la notte, una luce da campo nelle cuccette del Venezia Express.
Il sermone del pastore calvinista, stasera
ricorda che gli ultimi saranno i primi.
“Padre, preferisco i primi: possibilmente anche con dei secondi”

Zsuzsa la bidella è rincasata tardi: le hanno offerto un contratto
ed un biglietto per Lugano.
Un numero in tasca ed una chiave pass partout.
“A víszontlásra továris” .
Le domeniche ai mercatini di Praga.

“Lassie Come Home, Furia, Rin Tin Tin.
Hanno rubato il tempo ai giorni nostri.
Al crepuscolo si attraversa volentieri la deriva.
Pizza all’ananas e birra Borsodi in bottiglia.

Nelle boutiques in centro la collezione autunno-inverno Nietzsche
annuncia le prime correnti dall’Himalaya.

With our lives we give lives e Remebrances
risuonano nel Parco degli Eroi.
Coppie di pattinatori danzano sul lago ghiacciato.
“Amo quest’atmosfera.
Non è male Budapest d’inverno, vero?”.

Un’auto in corsa con i finestrini neri.
Scrivere, in fondo, non ha molto senso.
Dissolvenza in campo lungo.

.

Trad. dall’ungherese: “Come stai Vittorio?”. “Bene, grazie: solo che fa molto freddo fuori”.
Zia Kàtàlin in ungherese
Milizie fasciste ungheresi
Lungo Danubio
Trad. dall’ungherese: “Zuppa di gulasch”: E’ questa la denominazione corretta del noto piatto della cucina magiara.
È una delle stazioni ferroviarie di Budapest: la stazione orientale
Trad. dall’ungherese: “Arrivederci compagni”. “Compagni”, qui inteso nel senso del glossario comunista, è riportato con la magiarizzazione del termine russo.
Brani tratti dalla colonna sonora del film Schindler’s List del compositore John Williams.

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Vincenzo Petronelli è nato a Barletta l’8 novembre del 1970, laureato in lettere moderne con specializzazione storico-antropologica, risiede ad Erba in provincia di Como, dove è approdato diciotto anni fa. Dopo un primo percorso post-laurea impegnato come ricercatore universitario nell’ambito storico-antropologico-geografico e come redattore editoriale, ha successivamente intrapreso un percorso professionale nel campo della consulenza aziendale che lo ha condotto all’attuale profilo di consulente in tema di comunicazione ed export. È ricercatore nelle problematiche inerenti i sistemi di rappresentazione collettiva, l’immaginario collettivo, la cultura popolare e la cultura di massa. Dal 2018 è presidente del gruppo letterario Ammin Acarya di Como, impegnato nella divulgazione ed organizzazione di eventi nell’ambito letterario e poetico. Alcuni suoi scritti sono presenti nelle antologie IPOET 2017 e Il Segreto delle Fragole 2018 (Lietocolle), Mai la Parola rimane sola, edita nel 2017 dall’associazione Ammin Acarya di Como e sulla rivista on line lombradelleparole.wordpress.com.

Francesco Paolo Intini

LA BILE SI MOSTRÒ IN CALZE NERE E GIARRETTIERA …MA LA NOTTE… MA LA NOTTE…

Il pianeta risucchiava la lava nei polmoni
senza un residuo di gravità avrebbe superato l’asticella a 2 e 50 Ampere

Dove sono i coccodrilli? Il Nung è infestato dagli gnu ripeteva
Il direttore delle poste
Tirò fuori dalle retrovie il ritratto del Caudillo.

La rivolta dei timbri contro i posacenere
Chi da una parte chi dall’altra le canzonette sconce, la roulette russa
le catene di sant’Antonio osè, gli appening tra mouse.

Bisognava fare squadra, sorprendere, insultare
Fucilare Lorca all’Oscar.

Si trattò di richiamare alle armi roncole e bastoni
Carte napoletane, puttanieri, sifilitici del terzo tipo.
Che imparassero il ramino finalmente.

Sapete? Signor Kurtz, sarà un gioco da ragazzi. Qui nel sacco della tombola
ci sono medaglie per il 1812, carrozze e surgelati del 1799, altre che vedranno la luce del 1975.Cipolle e

carciofi in bustine da tre fucilati per muro a secco.
L’ultimo elicottero da Mergellina.Penzola da un ramo libero la donna di bastone.

E’ un’iguana, ma avrei giurato sugli artigli di un ramarro
Che Federico avrebbe avuto salva la coscienza.

Oh il più liquido tra i surreali non meritava funghi al suo debutto in terra
Davvero brutale recitare versi con la bocca piena di rane.

Allo stato larvale un thè al nickel è più che gradito.
Come faranno le spighe a sopportare quest’orrore?

Il toro ringrazia.
Persino il cobra scendendo da Wall Street non trova la foresta,
Sia dunque benedetto l’errore del verso profeta.

Il valore di Ruffo è nel non tenere fede
Penzoli l’amministratore tra i conti del bilancio preventivo
nessuna pietà per chi usava il pitale della regina.

Ora il Re è a caccia. Passerà da Portici il treno di lumache.
Se il Borbone si tuffa dal suo naso, Nelson prepara la frittata di limoni.
E dunque niente green pass al gran buffet soltanto restrizioni in stile impero.

I cannoni intonano la nona di Beethoven.
L’albero della libertà fuma il sigaro cubano.

All’onore della mensa nessun fantasma vale una brasciola barese.
Qui e là tornano i giullari a soffiare sulla minestra di Ferdinando

Mantenere i nervi saporiti, il soffritto in versi endecasillabi.
Mentre il Vesuvio mangia la pizza a metro e la gotta avanza.

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Francesco Paolo Intini (Noci, 1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti  (Words Social Forum, 2016), Natomale (LetteralmenteBook, 2017) e Nei giorni di non memoria (Versante ripido, Febbraio 2019). È presente alla antologia La pacchia è strafinita di AA VV a cura di Versante ripido. Nel 2020 pèubblica la raccolta  Faust chiama Mafistofele per una metastasi (Progetto Cultura).

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Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di  alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014), Compostaggi (2020). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”.

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Arsenij Tarkovskij (1907-1989), Poesie “Vita, vita” e “Ricordo di Anna Achmatova”, traduzione di Donata De Bartolomeo, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

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Arsenij Aleksandrovic Tarkovskij nasce nel 1907 a Elizavetgrad, oggi Kirovograd, in Ucraina. È all’ambiente familiare che Arsenij deve l’amore per la letteratura e le lingue – il padre è poliglotta e autore di racconti e saggi – come anche la conoscenza del pensiero di Grigorij Skovoroda. Nella seconda metà degli anni Venti frequenta i Corsi Superiori Statali di Letteratura e scrive corsivi su «Il fischio», rivista dei ferrovieri, a cui collaborano anche Bulgakov, Olesa, Kataev, Il’f e Petrov. Tra il ’29 e il ’30 inizia a scrivere poesie e drammi in versi per la radio sovietica, ma nel ’32, accusato di misticismo, è costretto ad interrompere la sua collaborazione. Nello stesso anno nasce il figlio Andrej. Inizia a tradurre poesie dal turkmeno, ebraico, arabo, georgiano, armeno. Nel dicembre ’43, dopo essere stato insignito dell’Ordine della Stella Rossa per il suo eroismo in guerra, è ferito gravemente e gli viene amputata una gamba. Nel ’46 viene rifiutata l’edizione del suo primo libro in quanto i suoi versi vengono ritenuti ‘nocivi e pericolosi’. Solo nel ’62 esce il primo volume di poesie: Neve imminente, cui seguiranno nel ’66 Alla terra ciò che è terreno, nel ’69 Il messaggero, nel ’74 Poesie, nel ’78Le montagne incantate, nel 1980 Giornata d’inverno, nel 1982 Opere scelte. Poesie. Poemi. Traduzioni. (1929-1979), nel 1983 Poesie di vari anni. Nel 1986 muore in Francia il figlio Andrej. Nel 1987 esce Dalla giovinezza alla vecchiaia, titolo deciso dalla casa editrice contro il volere dell’autore, e Essere se stesso. Muore a Mosca il 27 maggio ’89.
Le sue opere pubblicate finora in Italia in volume sono: Poesie scelte, Milano, Scheiwiller, ’89. Poesie e racconti, Pescara, Edizioni Tracce, ’91. Poesie scelte, Roma, Edizioni Scettro del Re, ’92. Costantinopoli. Prose varie. Lettere, Milano, Scheiwiller, ’93.

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Arsenij Aleksandrovic Tarkovski

Vita, vita

I

Non credo nei presentimenti e dei segni
non ho paura. Né la calunnia né il sarcasmo
io fuggo. Nel mondo non c’è la morte.
Tutti sono immortali. Tutto è immortale.
Non bisogna temere la morte né a diciassette anni
Né a settanta. Esistono solo la realtà e la luce,
in questo mondo non ci sono né buio né morte.
Noi tutti siamo già sulla riva del mare
ed io sono tra quelli che tirano le reti
mentre passa a branchi l’immortalità.

II

Vivete in casa – e casa non crollerà.
Io evocherò uno qualunque dei secoli,
entrerò in esso ed in esso una casa costruirò.
Ecco perché sono con me ad un unico tavolo
i vostri figli e le vostre mogli.
Ma c’è un unico tavolo per il bisnonno e per il nipote.
Il futuro si compie ora
e se io sollevo la mano
tutti e cinque i raggi rimarranno presso di voi.
Io ogni giorno del passato, come una puntellatura,
con le mie clavicole ho sostenuto,
misurai il tempo con la catena dell’agrimensore
ed attraverso esso sono passato, come attraverso gli Urali.

III

Io mi sceglievo il secolo secondo la grandezza.
Andavamo al sud, alzavamo la polvere sopra la steppa;
l’erbaccia fumava; il grillo campestre faceva il birichino,
toccava con i baffi i ferri dei cavalli e profetava
e, come un monaco, minacciava per me la rovina.
Io il mio destino alla sella allacciavo;
io, anche adesso, in epoche future,
come un bambino mi solleverò sulle staffe.
Sono soddisfatto della mia immortalità,
che il mio sangue scorra di secolo in secolo.
Per un angolo sicuro di costante calore
io avrei arbitrariamente pagato con la vita,
qualora il suo mobile ago
non mi avesse, come filo, condotto per il mondo. Continua a leggere

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Riprendere il filo dell’eredità Dada oggi è particolarmente significativo dopo gli eventi della pandemia Covid, della guerra di invasione dell’Ucraina e della conseguente belligeranza tra un Occidente delle democrazie che ricorre alle sanzioni e un Oriente neoimperiale guidato da potenze autocratiche e antidemocratiche. È chiaro che il gesto Dada di rottura radicale con le espressioni politiche e artistiche del passato è utilissimo oggi per ripensare una nuova forma di espressione artistica e un nuovo modo di comportamento etico, poietico e politico, Manifesti e testi del movimento Dada, Tristan Tzara, Francis Picabia, Philippe Soupault, Benjamin Péret, Erik Satie, a cura di Marie Laure Colasson

foto Marquis de Sade 1921 collage di Erwin Blumenfeld 24, 5 × 25

Marquis de Sade, collage 1921, Erwin Blumenfeldt

La maggior parte degli storici dell’arte fissa la data di nascita del movimento dada il febbraio 1916, la data di apertura a Zurigo del Cabaret Voltaire per iniziativa di Hugo Ball e della sua compagna Emmy Henning, con la collaborazione di Arp, Huelsenbeck, Janco e Tzara. In realtà la data di nascita di dada è immersa nel buio. La data di nascita di dada in Svizzera dovrebbe essere spostata al dicembre 1918, la data di apparizione sul terzo fascicolo di “Dada” del Manifesto Dada nel 1918 da parte di Tzara. Fino a quella data il movimento non appare dissimile da quelli di avanguardia che si affacciavano in quegli anni. Dada accoglie tra i suoi membri i cubisti, i futuristi, gli astrattisti e gli espressionisti, un eclettismo che è evidente nei primi due fascicoli di “Dada”, qui vengono pubblicati testi di Savinio, Meriano, Moscardelli e le illustrazioni di Picasso, Delaunay, Kandinsky e De Chirico, compresi gli espressionisti di “Der Sturm” di Berlino.

Però un generico spirito dadaista in Europa è già visibile nell’aprile del 1912, quando Cravan edita a Parigi “Maintenant” che può essere considerato il primo periodico dada. Nel 1913 a Neuilly, Duchamp crea il primo prototipo di opera plastica dada: la Ruota di bicicletta. Nel 1913 vengono realizzate in Russia e a Praga eventi che anticipano le famose serate dada di Zurigo, Parigi e Berlino, protagonista è Jaroslav Hasek, e in Russia i poeti futuristi David Burliuk, Majakovskij e Kamenski. È del tutto erronea l’ipotesi che il movimento Dada sia nato per filiazione dal futurismo italiano e russo, in Francia le origini sono più letterarie che artistiche (Jarry, Cravan, Vaché), in Europa centrale e in Belgio Dada è imparentato con l’espressionismo tedesco. Non esiste quindi un Dada puro e vergine ma vi sono tante diramazioni Dada quanti sono i dadaisti, ma è in Francia e in Svizzera che il movimento svilupperà le tendenze più estreme di ribellione ai valori borghesi indicati quali responsabili della prima guerra mondiale. Schematicamente, l’arco temporale in cui avviene l’intensificazione dei progetti dada varia dal 1916 al 1921, anche se alcune propaggini si estenderanno fino al 1925. L’attività dada è la più varia: manifesti, proclami, articoli, conferenze, poesie, aforismi, collages, rappresentazioni teatrali, narrativa breve, disegni, incisioni, pittura, assemblaggi, copertine di libri. Possiamo riassumere dicendo che Dada varia in corrispondenza del variare delle circostanze storiche e politiche dei tempi, Dada non si è mai configurata come una «scuola» quanto invece come uno spirito di rivolta totale e drastico nei confronti della produzione artistica e letteraria ufficiale, come ripulsa, liberazione e negazione di ogni valore borghese.

Riprendere il filo dell’eredità Dada oggi è particolarmente significativo dopo gli eventi della pandemia Covid, della guerra di invasione dell’Ucraina e della conseguente belligeranza tra un Occidente delle democrazie che ricorre alle sanzioni e un Oriente neoimperiale guidato da potenze autocratiche e antidemocratiche. È chiaro che il gesto Dada di rottura radicale con le espressioni politiche e artistiche del passato è utilissimo oggi per ripensare una nuova forma di espressione artistica e un nuovo modo di comportamento etico, poietico e politico.

(Marie Laure Colasson)

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“Parade” is a ballet with music by Erik Satie and a one-act scenario by Jean Cocteau. The ballet was composed in 1916–17 for Sergei Diaghilev’s Ballets Russes. The ballet premiered on Friday, May 18, 1917 at the Théâtre du Châtelet in Paris, with costumes and sets designed by Pablo Picasso, choreography by Léonide Massine (who danced), and the orchestra conducted by Ernest Ansermet.

Balletto Dada

La tecnica del taglio è un’estensione del collage alle parole, Tristan Tzara lo descrive nel Manifesto Dada:

PER FARE UNA POESIA DADAISTA

Prendi un giornale.
Prendi delle forbici.
Scegli da questo foglio un articolo della lunghezza che desideri per la tua poesia.
Ritaglia l’articolo.
Quindi ritaglia con cura ciascuna delle parole che compongono questo articolo e mettile tutte in un sacchetto.
Agita delicatamente.
Quindi togli ogni taglio uno dopo l’altro.
Copia coscienziosamente nell’ordine in cui hanno lasciato la borsa.
La poesia ti assomiglierà.
Ed eccoti qui: un autore infinitamente originale di affascinante sensibilità, anche se non apprezzato dal branco volgare.

Tristan Tzara

Drogheria-coscienza
da “Cronache Letterarie”, n. 3-4, febbraio 1919

dalla lampada d’un giglio nascerà un principe così grande
che i getti d’acqua le fabbriche ingrandiranno
e la sanguisuga trasformandosi in albero di malattia
io cerco la radice immobile signore immobile signore perché allora sì tu capirai
vieni muovendoti a spirale verso l’inutile lagrima

umido pappagallo
cactus di lignite gonfiati tra le corna della nera vacca
il pappagallo scava la torre il santo manichino
nel cuore c’è un bambino – una lampada
il medico dice che non passerà la notte

poi se ne va in linee corte e acute silenzio formazione silicosa

quando il lupo cacciato si riposa sul bianco
colui ch’è scelto caccia i suoi prigionieri
mostrando la flora uscita dalla morte che sarà causa
e apparirà il cardinaldifrancia
i tre gigli chiarezza folgorale virtù elettrica
rosso lungo secco che liscia pesci e lettere sotto il colore

il gigante il lebbroso del paesaggio
si blocca tra due città
ci son dei ruscelli cadenza e le tartarughe delle colline si accumulano pesantemente
sputa sabbia impasta i polmoni si lana si schiarisce
l’animo e l’usignolo volteggiano nel suo riso-girasole
egli vuol cogliere l’arcobaleno il mio cuore è una stella marina di carta
nel missouri nel brasile nelle antille
se pensi se sei contento lettore divieni per un istante trasparente
il tuo cervello spugna trasparente
e in questa trasparenza un’altra ci sarà più lontana trasparenza
lontana quando un nuovo animale di blu si vestirà in questa trasparenza Continua a leggere

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