Archivi del mese: novembre 2022

Concept Kitchen di Alfonso Cataldi, Dieci poesie con una Anamnesi sulla genesi delle poesie kitchen, Il primo testo è nato per gioco, utilizzando molte doppie consonanti con la lettera ‘s’. Volevo creare una poesia “veloce” che scivolasse tra gli ombrelloni e il bar dei bagni Bahia Blanca

Anamnesi sulla genesi delle mie poesie kitchen

Su invito di Giorgio Linguaglossa, provo a spiegare la genesi di questi dieci testi inediti e il loro sviluppo. Innanzitutto, parto da un commento lucido di Lucio Mayoor Tosi di qualche mese fa a dei miei testi che più o meno diceva così: “Mi pare che le poesie di Alfonso Cataldi, a differenza di altri poeti kitchen, si basino su fatti realmente accaduti”. In genere è esattamente così: scrivo partendo da esperienze reali, anche se poi gli eventi e i personaggi vengono strattonati, dirottati e boicottati dopo pochi versi. In questo caso tutto è nato dalla voglia di approfondire Joaquim, un uomo di colore immigrato sui quarant’anni, che da anni, in estate, vende libri di favole africane tradotte in italiano, sullo stesso pezzo di spiaggia, tra Bergeggi e Spotorno, In Liguria. Joaquim è loquace, conosce il carattere dei bagnanti, di anno in anno si ricorda degli avventori, sa intrattenere, ha imparato ad usare la retorica con le modalità dei nostri politicanti. Ho deciso di affiancare a Joaquim una spalla, Giacomo, mio figlio di sette anni, perché spesso ha uscite spiazzanti che sembrano fatte apposta per la poesia Kitchen. Si è formata quindi l’idea di raccontare, attraverso un numero sufficiente di poesie, le gesta di questa coppia sul litorale Ligure, in provincia di Savona. I due protagonisti dovevano servirmi come grimaldelli per entrare in una dimensione politica, sociale, che è sempre alla base del mio interesse nella scrittura. Una specie di concept album di quelli che scrivevano le band musicali negli anni ’70. Il primo testo è nato per gioco, utilizzando molte doppie consonanti con la lettera ‘s’. Volevo creare una poesia “veloce” che scivolasse tra gli ombrelloni e il bar dei bagni Bahia Blanca. Poiché ho difficoltà a rimanere a fuoco sulle cose, anche per poco tempo, già a metà del primo testo la mia attenzione si è spostata “sul fatto” che questa estate mi ha portato in terra ligure ed ho introdotto un terzo personaggio, un indizio che lo anticipa e che ho deciso di sviluppare più avanti. Una persona mi ha consigliato di continuare a scrivere i testi successivi usando altre doppie consonanti. Inizialmente mi è sembrato complicato, poi l’ho presa come una sfida. Ho cercato siti internet in cui è possibile filtrare tutte le parole con sequenze di consonanti. Ho letto e riletto queste parole, le ho approfondite sui vocabolari on line (lo faccio spesso, anche per parole semplici come scarpa, pane, ombrello…). A un certo punto, il fatto, il luogo e le problematiche di contorno sono diventate centrali e così drammatiche che ho sentito la necessità, in stile Kitchen, di scompaginare le carte con una figura “ingombrante”, un «regista dj», mi viene da dire Kitchen anche lui. Joaquim e Giacomo li ho fatti sopravvivere con fatica, ma inghiottiti da un contesto cambiato.
(Alfonso Cataldi)

*
Alfonso Cataldi è nato a Roma, nel 1969. Lavora nel campo IT, si occupa di analisi e progettazione software. Nel 2007 pubblica Ci vuole un occhio lucido (Ipazia Books). Le sue prime poesie sono apparse nella raccolta Sensi Inversi (2005) edita da Giulio Perrone. Successivamente, sue poesie sono state pubblicate su diverse riviste on line tra cui Poliscritture, Omaggio contemporaneo Patria Letteratura, il blog di poesia contemporanea di Rai news, Rosebud. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

Concept Kitchen di Alfonso Cataldi

Porco Giuda

Anche oggi le meduse dovranno prendere il passo
sotto un biplano che ausculta lo squasso di Agosto.
Joaquim ha portato fiabe dall’altra parte del mondo ai tavolini del bar
la propaganda lascia Giacomo di sasso
più del topless disabitato in uno spiazzo
lecito grandangolo discerne, per conto dell’assise marinara
il prete gradasso che non vuol sentire storie
sui peccati commessi dalla badante a cavalcioni sul bancone
in mano la cedrata Tassoni
in osservanza del lusso a ribasso allo scaletto dei pescatori.
«Chi non vuol cedere a un sonoro salasso
è invitato al concerto in re minore alle prime luci del mattino
violini e contrabbasso presso le Fornaci»
Nel porticciolo si festeggia l’assalto all’associazione dei consumatori
l’intermezzo di un sindacalista di passaggio
«Giacomo lo vuoi assaggiare uno gnocco al pesto?»
«Si, ma porco Giuda, ho sbagliato compromesso»

.

Sotto sotto

Chi mantiene lustro il veliero al porto antico?
Chi ha trattenuto stretti stretti i tentacoli alle spalle?
Joaquim, è chiaro ormai, adotta una tattica sfacciata
mica si accontenta della solidarietà
Vive di retorica d’attracco ai contanti da gelato e fritto misto.
Giacomo è tentato dai bastioni di Ponente
vuol deviare dall’acquario per studiare sotto la lanterna.
Sui gruppi di letteratura è arrivato, indigesto
il primo apprezzamento per Spatriati di Desiati.
«Sono entrata in contatto con la strega che è dentro di me
ho riscoperto gli istinti sottili sotterrati da generazioni… un testo sottovalutato»
La ferrovia sotterranea tuttora cattura espedienti salva reietti
pettinini afro venduti da Luciano Pavarotti sulla Walk of fame.
24/08/2022

.

Il nonnulla quotidiano

Un cancello si chiude alle spalle del molo
l’Angola è tagliata fuori. Joaquim è fermo al palo
in equilibrio sul castello di libri che ha dietro
saluta di là, il latte prodotto dalle pale eoliche.
Due sorelle che paiono mammelle gemelle,
prima di lasciare l’ombrellone cedono alle intemperie della loquacità.
Come manca un decilitro, l’aggiunta giunge all’istante
con un cavaliere delle gendarmerie.
Di Milo è rimasto il nonnulla quotidiano delle inalazioni acide
qualche groviglio di peli scampato al fardello delle pulizie.
Il frullato di sbagli e rovelli è finito
dritto dritto nel lavello della residenza protetta Santa Lucia.
Giacomo alleggerisce l’alba con la notizia impellente
«Mamma ho il pisello indemoniato!»
Elle est pas belle la vie?
30/08/2022

.

In ammollo

L’imprevisto cambio gomme prima del ritorno, costringe all’ammaraggio
su uno specchio di promesse in ammollo.
Il parcheggio lungo la via Aurelia non si è commosso
Joaquim ammicca alla notizia con i denti ammaestrati.
«317 euro? Ti avrei mollato l’intero immobile di libri dell’estate
gran macchina la Ford, la mamma come sta?»
Ammirare la salita San Giacomo è immorale
su non c’è la redenzione.
Il direttore del Santa Lucia ammette
una imminente mummificazione.
Le foto sul divano a Genova mostrano Milo ammorbidito
al di là dell’ammutinamento di Savona.
Giacomo prepara lo zaino delle dimissioni
solo ora nota la commistione tra i fiori di lavanda artificiale dell’ingresso
e il lascito nel bagno-tana.
11/09/2022

foto Ombrelli

Continua a leggere

46 commenti

Archiviato in poetry-kitchen

Da Mario Lunetta (1934-2017), Poesia di Satana, con video di Gianni Godi, a Davide Galipò passando per la Poetry kitchen, poesie di Giorgio Linguaglossa, Esercizio per violino e tamburo, Mitoglifici, Lettura del romanzo di Céline Menghi, Dire Mu (2019), È plausibile ipotizzare una nuova avanguardia oggi dopo la fine del post-moderno?

Giorgio Linguaglossa

Davide Galipò e Charlie Nan sono sulla strada giusta, il loro tentativo è beneaugurante e va salutato con favore… ma il problema della stagnazione della poesia italiana di questi ultimi decenni non può essere risolto facendo riferimento esclusivamente al lavoro del Gruppo 93, quello era un movimento tutto interno alla nicchia del «letterario» e del «poetico» e, inoltre, non possedeva un solido ancoraggio filosofico, non andava al di là del «letterario» e delle forme del letterario, di qui la sua presa insufficiente sullo stesso «poetico» e sul «letterario», i problemi di fondo della poiesis rimanevano esclusi dal loro raggio di pensiero. Il mio invito è andare oltre, procedere in avanti con la riflessione critica, affrontare le questioni che stanno alla base del fare poiesis oggi.

Tempo fa chiedevo :

– Dopo la distruzione delle forme avvenuta nel novecento, siamo arrivati alla distruzione dell’orizzonte di attesa. È stato qualcosa che ha colpito al cuore la poesia del soggetto panopticon, dell’io plenipontenziario. L’io è stato de-fondamentalizzato, il soggetto legiferante è stato de-localizzato e l’ontologia negativa di Heidegger è stata sostituita con una ontologia positiva.

– Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?
– Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?
– Quale è il compito della poiesis dinanzi a questi eventi epocali?

Risposta (indiretta) di Maurizio Ferraris:

«Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».

(Maurizio Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017, p. 113)

Esercizio con violino e tamburo

K. sbatte la porta. Resto là, sulla soglia, per qualche minuto.
Impalato. Poi mi scossi e guardai la porta aperta. [1]

Madame Hanska aprì tutte le finestre, «Sa, le finestre sono nere», disse.
E fece entrare le madamigelle con il grembiulino.

«Buonasera Cogito – esordì Hanska – le cose sono cambiate
negli ultimi tempi». Prese una forbice e un posacenere

e li posò sulla siepe di capelvenere e di acanti.

«Sa, c’è una tigre e un pianoforte… Ecco, metto la forbice
sul pianoforte, adesso Vivaldi può suonare.

Woland ha ordinato ai gatti di suonare, il Requiem, quello, sì.
Solo quello. La musica uccide gli uccelli», aggiunse.

«Lo specchio avrà la sua vendetta», disse Baudrillard,
«Non resta che reinventare il reale», aggiunse tra il serio e il faceto.

Era seduta in mezzo alla camera. La tigre sorrideva.
«Per oggi basta con la musica – disse – dovrebbe esercitarsi più spesso.

Impari a suonare piuttosto. La rappresentazione è finita.»

(2018)

23 novembre 2022 alle 10:37 

È plausibile ipotizzare una nuova avanguardia oggi dopo la fine del post-moderno?

Mettiamo il problema nei giusti termini marxiani e chiediamoci:

Il soggetto scabroso (the ticklish subject) di Zizek è l’altra faccia della medaglia dell’oggetto scabroso (the tickish object)? Sì, o no?

Il rapporto soggetto oggetto è un rapporto dialettico e conflittuale, l’alterità dei due Fattori implica una loro riconoscibilità che è sempre data all’interno di un contesto, ovvero, di una serie di rapporti di produzione e di forze di produzione. È l’equilibrio tra queste forze contrastanti ciò che produce il soggetto e ciò che determina l’oggetto. (L’io che acquista una Fiat Punto è esattamente ciò che la merce Fiat Punto riconosce in me come acquirente. È il Capitale che sovraintende all’intero processo).

Sia il soggetto che l’oggetto sono entrambi scabrosi, osceni, inemendabili, indomandabili. La vera domanda che occorrerebbe porre al soggetto è: Che cosa sono io che compro la Fiat Punto?, o meglio, Che cosa sono diventato io per prediligere l’acquisto della Fiat Punto?

Non diversa è la posizione di un «poeta» che voglia porsi nel mercato pubblico. Il mercato pubblico riconosce in me esattamente ciò che io sono: un venditore di merci. Questo è quanto. Se «io» come «autore di poesia» mi metto sul mercato delle merci poetiche, sarò riconosciuto dal mercato delle merci poetiche esattamente così come io mi sono messo in vendita. Che poi la mia personale predilezione sia verso una nuova avanguardia e verso una nuova retro guardia non fa alcuna differenza. Il nuovo Capitalismo cognitivo queste cose le ha digerite da alcuni decenni, sa che l’io come soggetto, che l’attività del soggetto è quella di sottomettersi alle condizioni poste dal mercato delle idee e dal mercato delle merci, altra via di fuga non c’è, se non nella fantasia.

E allora, chiederà il lettore, quale deve essere la posizione del soggetto nelle attuali condizioni? –

Semplice, rispondo: la posizione del soggetto scabroso sarà quella di tentare di sottrarsi alle condizioni produttive che relegano il soggetto nella soggettità e l’oggetto nella oggettità, cioè porsi Fuori del meccanismo identitario e di riconoscibilità del Capitale all’interno delle quali prospera il processo produttivo e la stessa soggettività.

Davide Galipò
24 novembre 2022 alle 15:44

Caro Giorgio, mi permetto di integrare il tuo discorso con alcune riflessioni. Pasolini scriveva che l’arte è “la merce che non può essere consumata”. A tal proposito, la Neoavanguardia ha riportato, con il Gruppo 63 e l’esperienza del Mulino di Bazzano, l’oggetto-libro e nella fattispecie il libro di poesia alla sua condizione materiale di oggetto, appunto, per decostruirlo attraverso le opere dei poeti neoavanguardisti, che attraverso il collage, la performance e il segno tentavano di fuggire dalla forma-libro. La loro poesia è rimasta comunque merce, così come il loro tentativo di decostruire la narrativa degli anni ’60, ma per lo meno il loro si registra come tentativo in tal senso (leggasi a tal proposito Adriano Spatola, “Verso la poesia totale”, 1978).

Dopodiché ci sono stati gli anni del riflusso, gli anni di Piombo hanno lasciato posto agli anni della Milano da bere, nel 1989 il muro di Berlino crolla e con esso le ideologie, il neoliberismo sembra aver vinto la sua battaglia egemonica sul resto del mondo. Il Gruppo 93 e i suoi seguaci non possono, per forza di cose, contrapporsi con la loro poesia al mercato: poiché solo il mercato esiste, pena la dissoluzione totale o peggio, l’insensatezza del loro agire poetico (rimando all’articolo “Contro il presenzialismo” su Neutopia).

Con la fine del postmodernismo e l’apertura della nostra epoca pre-moderna, che io faccio coincidere con l’11 settembre 2001, anno dell’attentato a Ground Zero, ma a detta di Roberto Bolaño e degli infrarealisti potrebbe risalire benissimo all’11 settembre 1973, anno del golpe americano in Cile e della destituzione di Salvador Allende, con l’instaurazione della dittatura militare di Augusto Pinochet, si potrebbe dire che oggi l’avanguardia abbia assunto una nuova urgenza e una nuova spinta propulsiva.

Ma è un’avanguardia differente dalle avanguardie passate, che parte dalle pratiche e non dai manifesti. Una poesia che voglia essere rivoluzionaria oggi dovrebbe innanzitutto occuparsi di rivoluzionare le forme, poiché ci sono molti modi per scrivere una poesia reazionaria: la prima è nei contenuti, la seconda è nella forma.

Cinque anni fa, con NEUTOPIA e con il gruppo d’azione poetica SALINIKA abbiamo provato a dare alcune risposte in questa direzione, partendo dalle avanguardie storiche (futurismo, dadaismo, costruttivismo russo) per capire quale fosse il senso di una nuova avanguardia nella contemporaneità. Alcuni di noi l’hanno vissuta in chiave più situazionista, altri oggi sono partiti dall’ipertesto e dalla realtà virtuale. per comprendere quale possa essere il terreno sul quale le nostre poesie possano diventare totali, dunque entrare interamente nella realtà per proporre un campo differente da quello del mercato editoriale.

Il Liminalismo, i Mitilanti e la Poetry Kitchen secondo me sono esempi che si stanno muovendo in tal senso. A tal proposito, vi lascio il mockumentary sulla nostra attività poetica, girato a Torino nel 2017. Spero ci sarà presto occasione di approfondire il discorso. Continua a leggere

18 commenti

Archiviato in poetry-kitchen

L’Elefante ha generato un gran numero di corvi, Il corvo ha iniziato a parlare ma parla con il linguaggio delle fake news, delle ipo-verità, delle iper-verità, delle post-verità, con i linguaggi serendipici e post-edipici, cioè con i linguaggi del Labirinto e del Minotauro, Il kitchen è finto-finto, non c’è nulla di vero, nulla di mimetico, i “compostaggi kitchen” sono il finto-finto al quadrato, Poesie kitchen e commenti di Lucio Mayoor Tosi, Francesco Paolo Intini, Marie Laure Colasson, Giuseppe Gallo, Giorgio Linguaglossa

foto Lucio Mayoor Tosi Washington Il Colosseo

Compostaggio finto x finto di Lucio Mayoor Tosi

.

Lucio Mayoor Tosi
18 novembre 2022 alle 11:54

Dieci caravelle. R. Crowe nei panni di Nettuno
giunto da Marte per fare sci nautico. Lago di Como,
Illinois.

Tazza di camomilla. Nonno sul divano.
Come essere felici in dieci secondi. Crowe
non ammette ritardi.

In questa poesia, pubblicata sull’antologia Poetry chitchen, il vero finto è resto manifesto nei primi versi. In vero finto sono scritte le recenti composizioni di Giorgio Linguaglossa, di Gino Rago, Marie Laure Colasson, oltre che nelle sorprendenti “ragnatele” di Francesco Intini e di altri. Nelle poesie di questi autori emerge anche l’elemento fantastico, non esattamente surreale, al quale va accostato il fuori senso. Sembra proprio che Vero finto, Fantastico e Fuori senso siano categorie esclusive della poetry kitchen.
Mi chiedo però se queste modalità possano bastare a se stesse, o invece debbano servire a qualcosa, cioè se debbano essere indirizzate a concretezza; quindi capire quale attinenza vi sia tra queste e l’Intenzione e la Traccia. Qui chiedo a Giorgio…

Giorgio Linguaglossa
18 novembre 2022 alle 12:03

La poetry kitchen, come un virus, aspetta il corpo vivente del linguaggio per distruggerlo e portarlo allo stato inorganico

«Ora, se c’è una forma di vita che pericolosamente muove sul confine più estremo tra l’organico e l’inorganico, questa è il virus, con la sua capacità anfibia di abitare due stati distinti. Quando non è in contatto con una cellula ospite, il virus rimane completamente inattivo. Durante questo periodo, al suo interno non si dà alcuna attività biologica. Nondimeno, questo ha poco dell’inorganico, e mostra quanto falsante sia l’opzione a tutta prima intuitiva e plastica dell’inorganico come opposto all’organico. Il virus, in effetti, è un organismo obbligato all’attesa, fermo in uno stato semplice, privo di vitalità, in cui è detto “virione”. Insensibile com’è ai tempi lunghi, il virione aspetta l’ospite appropriato, che gli consenta quel minimo, o massimo, di attività vitale mediante cui poter superare la soglia dignitosissima del vivente e sfoderare quella panoplia di arnesi e sotterfugi che lo portano all’auto-replicazione. Capacità, quest’ultima, che gli permette di correggere il viziaccio tipico degli specchi e della copula, che Bioy Casares ritiene abominevoli perché moltiplicano il numero degli esseri umani. Essì: perché l’auto-replicazione dei virus tempera, e non di poco, quella umana.»
(Mariano Croce)
da minimaetmoralia oggi

Giorgio Linguaglossa
18 novembre 2022 alle 14:28

L’Elefante ha generato un gran numero di corvi

L’Elefante è soddisfatto. Ha fracassato le suppellettili, i ninnoli di dubbio gusto, i piatti di porcellana, i bicchieri di cristallo e i lampadari di Murano. Si è accomodato in poltrona. Adesso si gode un Campari con le noccioline e le patatine usufritte; ma tant’è, noi facciamo finta di non vederlo.
Il corvo ha iniziato a parlare ma parla con il linguaggio delle fake news, delle ipo-verità, delle iper-verità, delle post-verità, con i linguaggi serendipici e post-edipici, cioè con i linguaggi del Labirinto e del Minotauro, che poi Teseo ebbe buon gioco a dismetterli e ricacciarli nell’inconscio. I corvi dunque hanno iniziato a parlare: amano la parallasse, l’ekfrasis, la perifrasi, la peritropè, il salto, la metonimia, l’ultroneo. Il pensiero micrologico e topologico diagnostica la situazione tellurica e sismicizzata del contemporaneo, indugia su singoli temi, singole problematiche, su poesie kitchen, spunti, dettagli, aspetti secondari, microchips, le nanotecnologie del mondo dell’ipermoderno. Il pensiero micrologico giunge così ad una sorta di orografia delle superfici complesse e dei dispositivi problematici della poiesis di oggi, indaga la de-psicologizzazione del linguaggio, la diafania e la disfania delle parole, l’assordante presenza del rumore, la de-colonizzazione dell’apparato metafisico e il sorgere del nuovo paradigma ortolinguistico. Che cos’è il contemporaneo?, la poiesis kitchen?, il soggetto serendipico?, che cosa è avvenuto dopo il declassamento del soggetto parlante?, dopo che il locutore è diventato mero fonatore?, dopo la disfunzionalità radicale del significante?. È avvenuta la de-colonizzazione dell’apparato metafisico, risponde Linguaglossa; il residuo è ciò che resta, il carico residuale, il taxi del mare, ciò che si sottrae al consumo in quanto defecatio, in quanto residuale è utile per indagare fenomeni quali l’ibridazione, l’entanglement, l’entrelacement, l’aspettativa, la parallasse, il das Ding, lo zapping: appunti, commenti, glosse, incontri, diverbi, ubbie, pensieri interrotti e poi ripresi; il pensiero compie una circumnavigazione intorno all’iceberg della nuova ontologia estetica fino agli esiti ultimi della poetry kitchen.

Francesco Paolo Intini
UN TAVOLO IMBANDITO DI BLU

Che il colombo abbia la penna di Sioux
E la messa in piega alla Crudelia.

Il falco paghi sette ergastoli a centimetro quadro
per aver spennato una cornacchia e torturato tre libellule.

Al tavolo imbandito di primizie siede il logaritmo naturale:
Si sale in fila indiana sul palloncino delle dieci
Ministri primi e cifre pari, virgole e decimali
Tarli sugli scalini, nello spiffero del sasso in partenza da Kabul.
Quante vite ha Saigon?

Ultima cifra incerta:
La logica reclama un ministero:
1-coltivare bossoli nei cassetti.
2-Divinare scrutando missili.

Una ragade solleva obiezioni al protocollo.
Mettetela a tacere con un tratto di frittura.

Il duodeno dei misteri accetta consigli dagli elettori.
Che significa TNT sui sacchi di farina?

Per le velocità c’è un accordo:
a tempi di svuotamento cortissimi

saranno assegnati compiti durissimi.
Tra sfere ed elissoidi è guerra di gratta e vinci
Chi schiaccia la spoletta sui testicoli?

Cadono pecore per intenderci
fredde al punto giusto.
Cosciotti ustionati dall’elio liquido
e niente fiocchi per quest’anno,
soltanto azoto per emorroidi
e diversivi al cortisone nelle trincee.

La neve intavola una protesta contro Pasqua.
L’uso di bombe al fosforo è prassi per i pulcini di via Pal

ma tra i pastorelli si lotta all’arma bianca.
Se il velociraptor siede ad un tavolo di pace
Il drago di Komodo reclama la sua testa.

E intanto il big bang sputa nero
A causa di un polipo nel retto. Continua a leggere

37 commenti

Archiviato in poetry-kitchen

L’importante è essere quanto più possibile sopra le righe. Creatività sovreccitata, priva di contenuti… perché non ci si crede più, e i contenuti non ‘rendono’ nell’immediato (settore di mercato medio basso), come invece fa la brutta pittura, la quale perché sia convincente ha da essere ovunque e ovunque ripetuta. A patto che sia finta, chiaramente finta, totalmente finta, Poesia kitchen di Mimmo Pugliese, Raffaele Ciccarone, Poesia di Davide Galipò, Commenti di Lucio Mayoor Tosi, Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Collages di Marie Laure Colasson, collage, Complotto sul tetto del 1992

foto Complotto sul tetto collage

Foto Complotto sul tetto 3
foto Complotto sul tetto 4
Marie Laure Colasson, Collage, Complotto sul tetto, 90×18 cm. 1992

Il collage è per eccellenza un artifex del Moderno, è un vero-finto, in esso non si sa ciò che c’è di vero e ciò che c’è di finto, dove finisce il vero e dove inizia il finto; il collage nella fotografia è analogo al compostaggio in poesia, entrambe tecniche dell’artificio, prodotto seriale, serializzazione fatta in anonimato e in aenigmata; qui delle donne, presumibilmente arabe, anonime, colte di spalle, tengono un surreale colloquio in cima ad un tetto, forse stanno organizzando un complotto, forse no, stanno semplicemente conversando, ognuna con la propria solitudine, ognuna mediante discorsi criptati, messaggi in bottiglia… (g.l.)

Lucio Mayoor Tosi

Sembra che alle fiere d’arte che si svolgono ogni anno in moltissime città del mondo, i galleristi abbiano deciso che il pubblico apprezza il vero-finto; cioè, l’opera d’arte, affinché sembri tale, ha da essere totalmente finta. Da qui, dalla presa d’atto che il Reale si sottrae alla narrazione e che non sia raggiungibile dal senso, da questa rinuncia nascono immagini neo-pop il cui unico intento è quello di mantenersi sopra le righe: colori sfacciati, provocazioni fine a se stesse… scopiazzature in stile Bansky – totalmente dimentichi di Warhol o Rauschenberg – quindi un pop di finta denuncia, di ribellismo infantile, per dare un tocco di attualità all’interior design. L’importante è essere quanto più possibile sopra le righe. Creatività sovreccitata, priva di contenuti… perché non ci si crede più, e i contenuti non ‘rendono’ nell’immediato (settore di mercato medio basso), come invece fa la brutta pittura, la quale perché sia convincente ha da essere ovunque e ovunque ripetuta. A patto che sia finta, chiaramente finta, totalmente finta.

Questo dilemma, il vero/finto, è presente anche nella poesia kitchen. Alcuni praticano il tutto finto, il vero finto invece della illusione di avvicinarsi al Reale, ma ci si aspetta che il Reale possa far sentire la propria presenza tramite il totalmente inventato, il parossismo, lo sketch. Ci riusciamo? Io qualche dubbio ce l’ho. Il tentativo di abbassarsi, togliersi dal concettuale, deriva dalla rinuncia a operare entro canoni estetici e ontologici considerati obsoleti, ma ci riusciamo solo procedendo, nel deserto, con frasi gratuite e affermazioni sfumate e velleitarie, attraversando il totalmente finto. Penso che il “qui e ora” abbia poco a che fare con i messaggi in bottiglia. Purché sia qui e ora, senza l’inganno di un’altrove.

Raffaele Ciccarone

Ritagli minimi 1

Il merlo canta la Traviata alla Fenice di Venezia
Violetta incantata offre Dom Perignon ai presenti

Dopo un lungo viaggio il merlo accusa mal di gola
il tampone è positivo, il medico lo mette in gabbia per tre giorni

Robert Frost al ristorante Arlecchino mangia
bucatini all’amatriciana, un merlo recita “L’infinito” di Leopardi

dei poeti elegiaci in smoking vanno sul tapis rouge
a ritirare il premio di poesia, un merlo canta “Libiamo nei lieti calici”

tra il becchime il merlo preferisce quello biologico
shampoo d’orzo e farro perlato tra addizioni e sottrazioni di vitamine

Set 136

Si trattava di richiamare la rucola, visto che il limone si spremeva
per trattenere i pezzi di parmigiano sul carpaccio di bresaola.

La balena ingoia un rospo, lo rigetta sulla spiaggia, lo chef serendipico
prepara filetto di pesce con la coda dorata alla griglia in Piazza Castello

La bombola del gas non trova un forno a microonde a Venezia
mentre un coccodrillo litiga con un boa in gondola, nel giardino da nominare.

Il pregiato vino rosé blankpink fa due passi all’Expo Kitchen di Parigi
un bavarese offre birra parallattica bionda in assaggio.

Il fegato di merluzzo si spina per un posto al sole, il Vesuvio
gli offre crema abbronzata per rigassificare i canali di scolo.

Oltrepassati i portici una squadriglia di bombardieri lancia confetti serendipici
al cioccolato, dei merli li rubano al volo, le cannoniere fanno fuoco d’artificio

L'Elefante sta bene in salotto Cover DEF
L’Elefante sta bene in salotto. E questo è l’incipit del libro saggistico sulla Poetry kitchen (Progetto Cultura, 2022 pp. 221 € 18)

L’Elefante sta bene in salotto. Intanto, con la sua proboscide fracassa il vasellame, le suppellettili e i ninnoli; ci dice che siamo già oltre i confini del Moderno, che siamo in pieno Dopo il Moderno, nell’epoca del modernariato e del vintage come repertorio permanente di stili defunti che possono essere ripescati e riciclati; il SuperModerno ci dice che non c’è alcun elefante, che tutto è a posto, che i nostri dubbi sono in realtà miraggi, prodotto di scetticismo e di cinismo; che abitiamo il migliore dei mondi possibili e ci invita a costruire con uno stile patico le nostre abitazioni di cartapesta e i lungometraggi con i quali allietiamo le nostre solitudini sociali. Il Signor Capitale ci ammannisce la sordità e la cecità ad obsolescenza programmata, ci dice che l’ultroneo va bene per situazioni ultronee e va bannato, che il reale è razionale e che ci troviamo nel migliore dei mondi possibili e immaginabili. Viviamo come se si fosse a bordo di un sommergibile, respiriamo quanto basta, amiamo senza le isoglosse del desiderio e della passione, in realtà siamo tutti diventati apatici e atopici, cittadini di un mondo glocale e insociale. (g.l.)

Mimmo Pugliese

Uova di girasole

Dalle porte protese sul resto del mondo
una foglia sbanda sul ghiaccio

Ai cerchi concentrici lasciati alle spalle
si aggrappano tutte le membra del falco

Il respiro spigoloso trema sui vetri
motori sordi farciscono medaglie e cicatrici

Nel cerchio rosso più alto si erano radunati gli ottoni
le diatribe avevano ancora tutte le carte in mano

I sogni dei cavalli pendono dalla caffettiera
le asole sono le bocche della luna

Sulle sedie restano briciole di mercurio
ai posti di blocco derubano le zattere

Uova di girasole risolvono quiz d’intelligenza
quadrilateri sudati transitano nel cielo di Marte

Equilibri incerti si appoggiano alle pareti
alambicchi scontrosi si ribellano alle ulne

Cristalli di sale si spogliano nelle camere oscure
le nuove isole avranno dita verdi

Nelle tasche hai chilometri di cicale
in penombra vene varicose e persiane giocano a dadi

Nell’indifferenza generale

Nell’indifferenza generale il cammello scala l’Everest.
Le pentole hanno sapore di fieno bagnato
al mediatore internazionale è saltata la dentiera
e il mezzobusto sbriciola il gobbo.

Poco importa l’altezza al velociraptor
non suona mai al citofono
cura l’emicrania con il kung-fu
mentre gomme americane al gusto di vodka partoriscono amebe.

Fotoni girovaghi scolpiscono il marmo,
mettono il giorno sottochiave
nelle stanze dei carriarmati,
provvedono a dissetare l’acqua.

Il risveglio è sulle fronde delle scale,
pioppi disseminati di strade
maestri in pantofole dietro la lavagna
e la febbre che scappa dal termometro.

Greggi preparano testamento,
vanno a nozze gli ideogrammi,
allodole sulla collina sbirciano le ciminiere,
mettete al riparo i funghi.

Le barche hanno la pancia piena
non si fermano più al pit-stop,
adesso assaggiano la sabbia
è molto facile che gli dei rìdano.

Non sai mai

Non sai mai
se puoi raccogliere
stelle in una pozzanghera
comprendere il raspo d’uva
che svuota il Trasimeno
sentire il fragore di dei
che si nascondono in un menisco
e le scale musicali diroccate
uguali a tagliole
a campi minati di mirto
dissolti in un lenzuolo
con ai capi artigli
e bavero di gallio
in stagioni sfogliate al contrario
diademi di cubi cuciti sugli obici
dentro un pugno senza uscita di sicurezza
aspettando il prossimo volo
da un lato all’altro della testa
per scoprire gli angoli
di soli in esubero

foto Complotto sul tetto 2

Marie Laure Colasson, Collage, Complotto sul tetto, 1992

.

Gli adulti assennati che sono stati educati alla poesia del Pascoli di Myricae (1891- 1903) avevano della poesia una rappresentazione illibata e intonsa, posizione che il Croce ha poi eternizzato nella la famosa forbice dicotomica: o è poesia o non lo è, risolvendo a suo modo, in modo semplicistico e al modo del liberalismo italiano post-ottocentesco una questione che avrebbe dovuto comportare una ben altra problematizzazione; quegli adulti poi sarebbero andati come ufficiali cadetti e soldati a invadere la Libia nel 1911 e a compiere massacri senza falsa coscienza e senza colpo feìrire… ammesso e concesso che le poesie del Pascoli avessero la funzione sanatoria di silenziare rimorsi (semmai ve ne fossero stati), le rimozioni e i dubbi sui massacri che essi stavano compiendo.
Oggi ai poeti post-pascoliani e post-minimalisti non viene certo in mente la situazione del mondo (di allora e di ora), quella cosa lì non li riguarda, infatti continuano a produrre poesie dozzinali ed epigonali che vengono incensate sul “Sole 24 Ore”; in confronto ad esse, le poesie di Mimmo Pugliese sono solo binocoli che osservano da molto lontano il mondo ridotto a fumo e cenere che il minimo alito di vento le farebbe volare via se non ci fosse il ferro di cavallo lontanissimo e quasi in disparizione della colonna sonora della poesia del Pascoli ma così scolorita da renderla irriconoscibile, e infatti irriconoscibile lo è la poesia di Pugliese, proprio come tutta la poesia della natura de-naturata e della natura de-formata della migliore e consapevole poesia di oggidì che fa capo alla poetry kitchen..

Quanto appare nel discorso poetico di Mimmo Pugliese come evidenza è questo aver superato le resistenze che il soggetto (je) pone all’oggetto, il linguaggio poetico; lavorando ad assottigliare le difese del soggetto Pugliese ha incentivato la possibilità di recepire il discorso poetico come discorso dell’Altro, discorso di un Estraneo che è entrato nella tradizione e la rilegge a suo modo e con i suoi occhiali. È questo che caratterizza la libertà del discorso poetico di Pugliese, il suo non prestare più il fianco alla vulnerabilità del soggetto, l’aver reso il soggetto (je) un Altro che rilegge la poesia della tradizione.

L’io (moi),  l’ego dell’immagine speculare, cioè quello del discorso poetico si oppone al soggetto (je) della parola degli altri, quello della tradizione; per dirla con Jacques-Alain Miller, «l’ombelico dell’insegnamento di Lacan».1 «L’io è», afferma Lacan, «letteralmente un oggetto – un oggetto che adempie una certa funzione che chiamiamo funzione immaginaria».2

Come sappiamo l’io costituisce un ostacolo al discorso del soggetto, che è il luogo in cui si esprime il desiderio. Lacan non cessa di sottolinearlo: esso è un’interruzione, un oggetto inerte che si oppone alla tenace insistenza del flusso di parola inconscio che disturba, mistifica, inquina il discorso. Nella misura in cui il soggetto trae godimento, l’asse immaginario è pensato da Lacan come un ostacolo che perturba l’elaborazione simbolica, di cui l’io non ne vuole sapere. Il linguaggio poetico avviene sempre e soltanto allorquando si verifica una smagliatura nell’ordine del Simbolico, smagliatura attraverso la quale può fluire il linguaggio poetico.

Contrariamente a ciò che comunemente si crede, il discorso locutorio della poesia di Mimmo Pugliese è sempre la voce dell’estraneo che entra nel discorso poetico della tradizione e la stravolge. La tradizione è ciò che si oppone al soggetto (je), che fa resistenza… fino al punto di cedimento in cui accade una rottura delle resistenze del soggetto (je). Solo da questo momentum il discorso poetico può fluire in quanto ha finalmente superato la resistenza alla riscrittura che le oppone la tradizione.

1 J. A. Miller, Linee di lettura, postfazione a J. Lacan, I complessi familiari, cit. p. 86
2 J. Lacan, Seminario II, cit. p. 56

Davide Galipò

Lo spettatore è introdotto
in una sala cinematografica
senza sedie, ai cui lati
vengono disposti degli altoparlanti.

Da questi si diffonde
una serie di discorsi alle nazioni europee
dei grandi dittatori del passato:
Mussolini, Franco, Hitler, Pinochet.

Avvicinandosi agli altoparlanti
possono essere compresi
nella loro interezza.

Sul fondo della sala, su uno schermo
viene proiettato un film muto
consistente in due labbra femminili.

Il filmato presenta poi dei frame
provenienti dai CIE libici:
radiografie di fratture, contusioni, traumi
che – spesso – vengono inviate
alle famiglie per chiedere un riscatto.

Le fotografie durano pochi secondi
e non vengono percepite dallo spettatore
se non a livello subliminale.

Man mano che il filmato va avanti
il volume dei discorsi alle nazioni aumenta
fino a sovrapporsi l’un l’altro.

Un suono acuto interrompe il brusio.
Sullo schermo un veloce montaggio
delle fotografie dei prigionieri libici.

Due altoparlanti all’uscita diffondono
il plagio di massa necessario
ad abbassare presso un’intera comunità
il livello di coscienza e accettare
passivamente tale prevaricazione.

Il testo è riportato integralmente
sullo schermo e scorre
a caratteri bianchi su sfondo nero
come i titoli di coda di un film.

https://davideidee.wordpress.com/2022/10/19/discorsi-alla-nazione/

Sono nato a Torino nel 1991 e cresciuto in Sicilia. Nel 2015 mi sono laureato all’Università di Bologna, con una tesi sulla poesia dadaista nella Neoavanguardia italiana. Nel 2016 ho partecipato al Premio Alberto Dubito di poesia e musica con il progetto spoken word music LeParole, arrivando tra i quattro finalisti. Nel 2020 sono arrivato in finale al Premio InediTO con il progetto spoken word music Spellbinder, menzionato dalla giuria tra i migliori testi di canzoni. Nel 2022 ho iniziato il mio progetto cantautorale, Galipœ. Sono autore delle raccolte di poesia visiva VIC0LO (2015) e di poesia lineare Istruzioni alla rivolta (2020) e degli EP Volontà di vivere (2016), Madrigale (2020) e La Terra La Guerra E Noi (2022). Dirigo il magazine «Neutopia – Rivista del Possibile» e organizzo il festival Poetrification, nel quartiere torinese Barriera di Milano. Sono referente del Premio Roberto Sanesi di poesia in musica. Vivo e lavoro a Torino come operatore culturale.
.

Finalmente un giovane che non scrive poesia epigonale. Una eccellente composizione che sembra senza futuro e senza passato, uscita fuori da una cinepresa d’altri tempi. Dinanzi ad una poesia dobbiamo innanzitutto soffermarci sul lessico (Mussolini, Franco, Hitler, Pinochet, sala cinematografica, altoparlanti, schermo, sala, filmato, caratteri bianchi su sfondo nero, film, titoli di coda etc.); in secondo luogo, sullo stato di cose, ovvero, sullo stato del luogo (un cinema); in terzo luogo, l’azione che vi si svolge; in quarto luogo, lo stile, in questo caso dichiarativo, ovvero, nominale, cioè che semplicemente espone le cose e lo «stato delle cose»; in quinto luogo, le immagini. Tutte queste cose insieme formano una rappresentazione, ovvero, una composizione di nomi di cose messi in modo tale da dare al lettore una sensazione prima ancora che una impressione. La sensazione contagia e determina l’impressione. Nel caso della composizione di Davide Galipò abbiamo una rappresentazione neutrale e neutrofilica, come se le cose venissero viste dal di fuori dello «stato di cose» e dello «stato dei luoghi», proprio come avviene al lettore il quale vede le cose dal di fuori attraverso una rappresentazione ortogonale tutta di superficie, in piena visibilità.
È chiaro a questo punto che qui siamo fuori della ontologia negativa del novecento che perorava che l’essere è ciò che non si dice, qui siamo entrati nell’ontologia positiva per cui l’essere è ciò che si dice.

(Giorgio Linguaglossa)

Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

.

Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

.

Raffaele Ciccarone, sono del 1950, ex bancario in pensione, risiedo a Milano, dipingo e scrivo. Le mie poesie sono inedite per lo più. Per un periodo ho pubblicato su una piattaforma online con uno pseudonimo, circa un centinaio di poesie, e qualche prosa. Ho partecipato a gruppi di poesia a Milano. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

34 commenti

Archiviato in poetry-kitchen, Senza categoria

Letizia Leone, Estasi  della  Macellazione, da How the Trojan War Ended I Don’t Remember  – Come è finita la guerra di Troia, non ricordo, Chelsea Editions, New York, 2017,  330 pagine $ 20, Lettura di Giorgio Linguaglossa, contro l’accettazione remissiva dell’ontologia della guerra

antology-how-the-troja-war-ended-i-dont-remember

(Uno stralcio del poemetto è stato pubblicato anche su How the Trojan War Ended I Don’t Remember . Come è finita la guerra di Troia, non ricordo, Chelsea Editions, New York, 2017,  330 pagine $ 20)

L’idea forte di questa Antologia pubblicata negli Stati Uniti con Chelsea Editions nel 2017 è la individuazione di una Linea Modernista che ha attraversato la poesia italiana del tardo novecento e di queste due ultime decadi. Non riconoscere o voler dimidiare l’importanza della Linea Modernista nella poesia italiana di queste ultime decadi è un atto di cecità e di faziosità, penso che rimettere al centro dell’agorà della poesia italiana la questione della poesia modernista implichi il riconoscimento che la dicotomia tra una «linea innica» e una «linea elegiaca» di continiana memoria, non abbia più alcuna ragion d’essere, siamo entrati in una nuova situazione stilistica e poetica, il mondo, quel mondo che si nutriva di quella «dicotomia» si è dissolto, oggi il mondo è diventato globale e glocale e la poesia non può non prenderne atto ed agire di conseguenza.

Il mio personale impegno di queste ultime decadi è sempre stato quello di favorire l’emergere di una linea modernistica dalla rivalutazione di poeti come Alfredo de Palchi, Ennio Flaiano, Angelo Maria Ripellino, Helle Busacca, Giorgia Stecher, Maria Rosaria Madonna, Mario Lunetta, Anonimo Romano, Anna Ventura fino a Letizia Leone indebitamente trascurati e lateralizzati. Una storia letteraria non può farsi a suon di rimozioni e di espulsioni, compito della ermeneutica è quello di ripristinare le regole del gioco e ripulire il terreno delle valutazioni dettate da interessi di parte. Letizia Leone si pone nella linea di coloro che hanno optato per una scrittura poetica modernistica che si rifacesse al mito come fonte originaria di nuova interpretazione. La poetessa romana sviluppa il mito del satiro Marsia che sfidò il dio Apollo ad una tenzone musicale per essere poi sconfitta con un sotterfugio dal dio e condannata ad essere scorticata viva. La Leone adotta il traslato, immagina il mito dal vivo, entra direttamente nella «macelleria» dove è stato compiuto l’olocausto della ninfa Marsia (o del satiro Marsia?), il terribile misfatto da cui avranno inizio tutti i misfatti e i delitti perpetrati contro le donne e i diversi. Marsia è morto ma Marsia è vivo (viva?), e lo sarà per migliaia di anni fin quando ci saranno dei diversi e delle donne che vengono torturate e uccise per un ciuffo di capelli fuori ordinanza come l’iraniana Masha Amini che ha dato il via all’autunno di rivolta e di proteste nel paese islamico, ma il mito di Marsia ripreso da Letizia Leone vuole indicarci anche le tribolazioni di tutti i diversi e di tutte le donne che hanno lottato e lottano contro i soprusi e le angherie degli uomini di potere e degli dèi proconsolari, contro tutte le ideologie del potere maschilista, contro l’accettazione remissiva dell’ontologia della guerra.

Anche da Letizia Leone si diparte la individuazione della linea che segue la poesia modernista di fine novecento, ovvero, la nuova ontologia estetica, che altro non è che un approfondimento e una rivalutazione delle tematiche della linea modernistica su un altro piano problematico. Certo, la problematizzazione stilistica e filosofica della nuova ontologia estetica è l’indice dell’aggravarsi della Crisi rappresentativa delle proposte di poetica personalistiche e posiziocentriche che continuano inconsapevolmente la grammatica regionale ed epigonale di una poesia ancora incentrata sull’io post-elegiaco. Ecco, questo è il punto forte di discrimine tra le posizioni epigonali e quelle della nuova ontologia estetica che ritengo caratterizzata da uno zoccolo filosofico di amplissimo respiro e dalla consapevolezza che una stagione della forma-poesia italiana si sia definitivamente esaurita. E che occorra aprire una nuova pagina.

Riporto, per completezza, il brano di Giorgio Agamben sulla vexata quaestio della linea innica e della linea elegiaca:

«Tra le cartografie della poesia italiana del Novecento, ve n’è una che gode di un prestigio particolare, perché è stata stilata da Gianfranco Contini. La caratteristica essenziale di questa mappa è di essere incentrata su Montale e sulla linea per così dire “elegiaca” che culmina nella sua poesia. Nel segno di questa “lunga fedeltà” all’amico, la mappa si articola attraverso silenzi ed esclusioni (valga per tutti, il silenzio su Penna e Caproni, significativamente assenti dallo Schedario del 1978), emarginazioni (esemplare la stroncatura di Campana e la riduzione “lombarda” di Rebora) e, infine, esplicite graduatorie, in cui la pietra di paragone è, ancora una volta, l’autore degli Ossi di seppia (1925). Una di queste graduatorie riguarda appunto Zanzotto, che la prefazione a Galateo in bosco (1956) rubrica senza riserve come “il più importante poeta italiano dopo Montale” (…) Riprendendo un cenno di Montale, che, nella recensione a La Beltà (1968), aveva parlato di “pre-espressione che precede la parola articolata”, di “sinonimi in filastrocca” e “parole che si raggruppano per sole affinità foniche”, la poesia di Zanzotto viene definita nello Schedario nei termini privativi e generici di “smarrimento dell’identità razionale” delle parole, di “balbuzie ed evocazione fonica pura”; quanto alla silhouette “affabile poeta ctonio”, che conclude la prefazione, essa è, nel migliore dei casi, una caricatura. (…)

L’identificazione di una linea elegiaca dominante nella poesia italiana del Novecento, che ha il suo culmine in Montale, è opera di Contini. Di questa paziente strategia, che si svolge coerentemente in una serie di saggi e articoli dal 1933 al 1985, l’esecuzione sommaria di Campana, il ridimensionamento “lombardo” di Rebora e l’ostinato silenzio su Caproni e Penna sono i corollari tattici. In questo implacabile esercizio di fedeltà, il critico non faceva che seguire e portare all’estremo un suggerimento dell’amico, che proprio in Riviere, la poesia che chiude gli Ossi, aveva compendiato nell’impossibilità di “cangiare in inno l’elegia” la lezione – e il limite – della sua poetica. Di qui la conseguenza tratta da Contini: se la poesia di Montale implicava la rinuncia dell’inno, bastava espungere dalla tradizione del Novecento ogni componente innica (o, comunque, antielegiaca) perché quella rinuncia non apparisse più come un limite, ma segnasse l’isoglossa al di là della quale la poesia scadeva in idioma marginale o estraneo vernacolo (…) Contro la riduzione strategica di Contini converrà riprendere l’opposizione proposta da Mengaldo, tra una linea “orfico-sapienziale” (che da Campana conduce a Luzi e a Zanzotto) e una linea cosiddetta “esistenziale”, nella polarità fra una tendenza innica e una tendenza elegiaca, salvo a verificare che esse non si danno mai in assoluta separazione.»1]

(Giorgio Linguaglossa)

1] Giorgio Agamben, Categorie italiane, 2011, Laterza p. 114

(da Letizia Leone, La disgrazia elementare, Giulio Perrone Editore, Roma, 2011)
(da AA.VV. Poesia Italiana Contemporanea, a cura di G. Linguaglossa, Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2016)
(Uno stralcio del poemetto è stato pubblicato anche su How the Trojan War Ended I Don’t Remember – Come è finita la guerra di Troia, non ricordo, Chelsea Editions, New York, 2017, 330 pagine $ 20)

Giorgio Ortona Letizia celestina 42 x 70 olio su tela 2020

Opera di Giorgio Ortona, ritratto di Letizia Leone

.

Letizia Leone

Estasi Della Macellazione
Chi conosce l’indirizzo dei mattatoi?

Supplizio fossile
(Del Satiro Marsia che osò sfidare in gara musicale il dio Apollo e finì scorticato vivo: strumento cantante.)

No,
non avresti dovuto scherzare col suono
col grido di do
questo drago illeso nel fuoco della campana,
nell’arca di bronzo. Né usare

le note
dell’uovo spaccato
quasi fossero venti, Marsia!
Per non dire delle folate d’aria
sullo scheletro vibratorio delle sillabe.

Hai immolato il tuo corpo.
Raggiante di silenzio e morte
sembra il lavoro di un sadico
ma c’è troppa letizia di un dio
in questo fasto del sangue.

E che altro?
Il canto di lode
travolse gli alberi da olocausto,
era dunque musica incosciente
la risata quadrata della natura?
Poi si sa, un dio
in questo caso Apollo,
è un mezzo vivo con poca musica,
affamata di grida guerriere
la sua sordità.
E come si canta?

I

Dapprima il gioco di Apollo

fu pantomima del tuono
grande musica totemica.
Imitava – lui, dio pappagallo-
i rumori robusti delle materie:
folgori mareggiate sfregamenti
di bestie contro cortecce
poi passò agli animali,
esaurito il coro della natura,
prese dai vivi il fiato per un canto,
l’invidioso.
Ma gli inni primaverili, l’accompagnamento
dei cembali, i tintinnii, in fondo
lo mettevano a disagio
che farsene di un Cantico solare?
Costruire un tamburo di pelle
dura e gonfia con pezzi d’animale
e assordare Marte con quest’arma sonora
al ritmo delle arterie
una crociata di rombi, urla
a squarciagola
e le lingue profonde dei selvaggi
farle volare mozzate con la freccia sibilante
di un suono e gli schizzi di sangue,
questo si che è uno strumento cantante
da pestare con mani e piedi
su una terra assetata
– se è vero che i suoni incurvano e spezzano-
e poi si potrebbe amplificare tutto in un
antro! Questo pensava Apollo.

Oppure un altro ordigno: il corno.
Con tamburo e corno
sarebbe stato più facile imboccare la via dell’inferno.

II

Ma questi, di far risuonare caverne
erano desideri inespressi
profondi. Che qui come dio
gli toccava accoppiarsi al sole
all’armonia delle piante
alla forza altalena di una scala maggiore,
una gru di toni e ipertoni
dai ritmi edificatori,
insomma
all’unisono con i bocci
tanta musica alata
a nutrire gli insetti non nati
pronti a tuffarsi nella luce.

Perché un cantare supremo era il suo compito
apollineo, celebrare il culto
della vita con la lira.
Altro che clamori infernali. Continua a leggere

23 commenti

Archiviato in antologia di poesia contemporanea, Antologia Poesia italiana, Senza categoria

Dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia positiva dei recenti orientamenti fiolosofici, Una poesia di Montale e Poetry kitchen di Francesco Paolo Intini, Mauro Pierno, Marie Laure Colasson, Lucio Mayoor Tosi, Giuseppe Talìa, Giuseppe Gallo, Ewa Tagher, a cura di Giorgio Linguaglossa, Aggiungo una postilla sulla Nuova poesia

La gioconda in bikini

Da Vico ad Heidegger si compie il tragitto che traduce e trasborda le categorie antropologiche del pensiero poetico del filosofo napoletano nelle categorie dell’ontologia del novecento, con Heidegger il pensiero mitico di Vico viene assorbito e tradotto nei termini di una moderna filosofia dell’esistenza intesa come indagine ontologica dell’EsserCi.

Con la parola Heimatlosigkeit (senza patria), Heidegger accenna mnesicamente all’assenza-perdita della «patria» quale «casa», «dimora» per l’uomo dell’Occidente.
«Wir irren heute durch ein Haus der Welt» – «Noi erriamo oggi nella casa del mondo»1, scrive Heidegger, perché ci manca il linguaggio. Senza casa e senza linguaggio, l’uomo vaga alla ricerca di una dimora da abitare e una parola da pronunciare; l’uomo erra nel mondo come uno straniero perché privo di una «patria» rimane privo anche di un «linguaggio», è il tempo della povertà che si annuncia, quella povertà inneggiata da Hölderlin, Quell’antico apoftegma: «il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo», non è più pronunciabile nel mondo moderno, l’uomo del capitalismo cognitivo è costretto ad abitare una casa linguistica non più accessibile e così viene spinto a costruirsi una dimora provvisoria, precaria, instabile, che fluttua all’imperversare degli eventi avversi senza sapere a quale corrimano aggrapparsi e quale maniglia afferrare.

L’ontologia negativa di Heidegger era incentrata sull’assioma: «l’Essere è ciò che non si dice». Da qui il passo successivo è il silenzio come impossibilità di dire ed esperire il silenzio. La grande poesia primo novecentesca di Eliot, La terra desolata (1922) e gli Ossi di seppia di Montale (1925) ne sono la eloquente esemplificazione; il non detto diventa più importante del detto, il non si dice più importante del si dice. Tutta l’impalcatura della colonna sonora della poesia primo novecentesca viene calibrata sul parametro del silenzio, di ciò che non si dice, di ciò che non può essere detto. Tutta l’impalcatura indicativo-ostensiva del linguaggio poetico primo novecentesco più maturo tende a periclitare nello spazio del silenzio quale «altro» indicibile per impossibilità del dicibile. L’intenzionalità significante tesa all’estremo tenderà a sconfinare nel silenzio dell’impossibilità del dire. Montale sarà il maestro indiscusso di questa impossibilità del dire:

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.1.
(Eugenio Montale, Ossi di seppia, 1925)

Il pensiero filosofico e la pratica poetica di questi ultimi decenni è orientata invece verso una ontologia positiva, afferma che l’Essere è ciò che si dice, ciò che non è detto sconfina non più nel silenzio del dire ma nel nulla dell’essere. Ci troviamo davanti ad una rivoluzione copernicana nella sfera del pensiero filosofico e del linguaggio poetico.
Le poesie della nuova ontologia estetica, sono una calzante esemplificazione di questa rivoluzione copernicana. Il dire che si esaurisce nel detto, il detto che si esaurisce nell’esser stato detto, in un passato che non è più. Tutta l’impalcatura fraseologica e la denotazione proposizionale di ogni singolo verso della nuova fenomenologia del poetico indicano una compiuta ostensività della significazione, chiudono la significazione nel detto e non la riaprono che nella proposizione successiva, che si chiude anch’essa nel detto. Così, la poesia diventa composizione di singole tessere, di frammenti, enunciati assiologicamente non-orientati che periclitano verso il nulla della significazione, enunciati che non possono sporgersi oltre nel silenzio dell’essere per la priorità del nulla che percepiscono, per la estrema vicinanza del nulla di cui hanno percetto.

Aggiungo una postilla.

La «nuova poesia» si muove all’interno di un orizzonte del positivo significare, va alla ricerca del significato come di un positivo assoluto, e così facendo, ogni enunciato viene inghiottito nel significato positivo, nel positivo significare: un darsi che è un togliersi, un positivo che si rivela essere un negativo. Le fraseologie restano come appese all’appendiabiti di una sospensione trascendentale, intersoggettiva, sopra l’abisso del nulla dal quale provengono e nel quale torneranno. Paradosso nel paradosso: il positivo significare che periclita nel negativo significare in quanto il discorso poetico si situa proprio sul crinale della differenza tra il così posto e il togliersi del così posto in non-posto. Esemplari in proposito sono queste composizioni:

L’orologio sonnecchia e regredisce a tempi di forchetta
Tutta questa responsabilità in mano agli interrogativi.
I testi risultano incomprensibili
La legge dei puzzle violata come donna nel bottino di guerra.

Persino i punti esclamativi inorridiscono
risalgono le mura a pugnalate e colpiscono oltre i merli.

Bisognerà porre rimedio alla sintassi.
Perché collegarla al logos?

Forse funziona con un pistone in meno
e tagliando i dentifrici.

Dunque niente tubi e se necessario farli saltare
Prima che arrivino ai denti.

La locusta, una delle tre posate in tavola, pronuncia le preghiere a rovescio
Il suo Dio opera a meraviglia senza maschera e divieti.
Promette di preparare l’espresso dalla posa del caffè.

Il bicchiere si fa beffe di chi apre le labbra?

Nel sogno l’autore si cancella volontariamente
– Voglio che un’ape entri nell’incubo 2022 – dice

Almeno una, ma il produttore è schiavo di una voglia incontrollabile
E il sole del risveglio non fa che prendersela con l’ astro del momento
Il parassita che lo rende zombi.

(inedito di Francesco Paolo Intini, 2022) Continua a leggere

28 commenti

Archiviato in poetry kitchen