La scrittura poetica invalsa oggi è una «ontologia della im-posizione», una «produzione di significati», un atto di im-posizione del linguaggio alle cose. Mia impressione è che la poesia italiana di queste ultime decadi sia un genere di scrittura privatistica priva di valore culturale, un genere di scrittura non retta da alcuna poetica, alcuna episteme. Una scrittura imbonitoria. Una scrittura da obitorio. Poesie di Antonio Sagredo e degli Avatar di Alfonso Cataldi, Tiziana Antonilli, Marie Laure Colasson, Francesco Paolo Intini

macchia gialla 50x50, acrilico, 2023

Marie Laure Colasson, macchia gialla, acrilico, 50×50, 2023

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La scrittura poetica invalsa oggi è una «ontologia della im-posizione», una «produzione di significati», un atto di im-posizione del linguaggio alle cose.

Invece la posizione del «poetico» dovrebbe essere un ritrarsi dal linguaggio condiviso, una distanziazione, un passo indietro un attimo prima che la parola ci raggiunga dall’esterno, con la sua dote di «im-posizione», di Gestell avrebbe detto Heidegger.

Se procediamo verso il linguaggio con attese, ideologemi, posiziocentrismi, con «im-posizioni», con Gestell, quel linguaggio ci imporrà le sue regole di condotta e le sue scelte, verrà inficiato dalla «im-posizione» dei linguaggi che provengono dal mondo della utilitarietà, delle condotte, delle pratiche, da ciò che è redditizio, dagli interessi in competizione, dall’interesse dell’io alla propria auto conservazione e alla propria auto im-posizione.

Il problema ha molte sfaccettature e non riducibile in poche battute, ma certamente l’ideologema referendario delle narrazioni e della poesia dell’io (vedi  il successo del sotto genere diaristico) che impera nel mondo delle società tele-mediatiche non aiuta a pensare in poesia e a scrivere in un linguaggio poetico critico. L’io ha bisogno dei linguaggi dell’utilitarietà, della comunicazione, della im-posizione, non può farne a meno pena la sua implosione comunicativa. L’io è una macchina infernale che lavora sempre per la propria autotutela, per i progetti di auto organizzazione, non può fare altrimenti, è un epifenomeno delle ideologie utilitaristiche che imperversano nel mondo e non può sfuggire alla ontologia della im-posizione.

La totalità della poesia che si fa oggi nell’Occidente mediamente acculturato, anche tra i poeti più «accreditati» dalle istituzioni accademiche, non è che un epifenomeno dei linguaggi mediatici: scrittura utilitaria, impositiva, progettata per la comunicazione, quella che più volte ho chiamato scrittura assertoria, suasoria, incantatoria che è l’altra faccia della medaglia di una scrittura definitoria, scrittura da risultato, che parla con un linguaggio suasorio, giustificato, giustificatorio.

Qualcuno ha chiesto: «Che cosa intende per linguaggio giustificatorio»? Ecco la mia risposta: con l’espressione «linguaggio giustificatorio» intendo la posizione del «poeta referendario» che si pone in un angolino del «mondo» e di lì si interroga e interroga leopardianamente  il «creato» o il Sé alla ricerca di un «senso» che giustifichi la propria auto imposizione. Ebbene, questa è una finzione e una ipocrisia, una posizione imbonitoria, auto assolutoria in quanto si assume un Gestell, un podio, e ci si mette in posa, in alto, sullo zoccolo, proprio come una statua, e di lì si sciorinano pensieri meditabondi, efflorescenze di egotismi. La poesia che si fa oggi è ricchissima di tali «poeti» che sono di moda e vengono amministrati dagli uffici stampa degli editori.1

Qualche tempo fa un autore mi ha scritto che non «condivide affatto il [mio] giudizio apocalittico» «sulla morte della poesia italiana», che invece godrebbe, a suo dire, di «ottima salute». Al di là dei convincimenti personali sull’argomento, tutti legittimi e tutti opinabili, ho argomentato che la poesia di questi ultimi decenni è stata fatta per esigenze privatistiche, psicologiche, per ragioni encomiastiche, di status symbol, per personalismi, per posiziocentrismo, senza  progetto culturale e consapevolezza storico culturale delle criticità della poesia del novecento e del post-novecento. Mia impressione è che la poesia italiana di queste ultime decadi sia un genere di scrittura privatistica priva di valore culturale, un genere di scrittura non retta da alcuna poetica, alcuna episteme. Una scrittura imbonitoria. Una scrittura da obitorio.

(Giorgio Linguaglossa)

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 1 Un nome per tutti: Franco Arminio, incomparabile nell’adamismo della sua positura auto assolutoria dalla quale sciorina incensamenti alla pacificazione, buonismi e banalismi in grande quantità.

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Antonio Sagredo

da La gorgiera e il delirio, (2020)

La gorgiera di un delirio mi mostrò la Via del Calvario Antico
e a un crocicchio la calura atterrò i miei pensieri che dall’Oriente
devastato in cenere il faro d’Alessandria fu accecato…
Kavafis hanno decapitato dei tuoi sogni le notti egiziane!
Hanno ceduto il passo ai barbari i fedeli inquinando l’Occidente
e il grecoro s’è stonato sui gradini degli anfiteatri…

(luglio 2015)

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Marie Laure Colasson
1 novembre 2023 alle 19:01

caro Gaius Gallus,

come intuisco, vivi nel nulla (anche tu) dove la materia è inerte,
il mio spazio invece è ovunque, dunque, nulle part.

In conseguenza, il conteggio dei morti abolisce totalmente la punteggiatura… le margherite, mi hanno detto, fioriscono solo al buio in Arabia Saudita e vanno a manifestare insieme alle stelle filanti.

Ti dirò che sono sospesa tra il bianco e il nero su una altalena, come nel film “Lo sceicco bianco” di Fellini, con qualche pennellata di rosso paesaggistico multitasking e giallo smart.

Certi capi di stato, mi hanno detto, si sono convertiti in droni per andare all’inferno, però l’inferno, mi hanno sempre detto, è qui sulla terra.

Per fortuna né tu né io lo abitiamo.
Nessuno è profeta nel proprio colore.

(Scintilla)

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  • Nulle part est un endroit … Una conferenza danzata in cui Nach mostra in scena la storia e i movimenti del krumping, dirompente danza urbana nata nei sobborghi di Los Angeles come forma di protesta della comunità afro-americana. La coreografa mette il suo corpo al servizio del racconto personale che l’ha fatta innamorare della disciplina, restituendoci uno spettacolo affascinate, intenso e viscerale. (Creazione e interpretazione: Nach – Regia: Vincent Hoppe)

Francesco Paolo Intini
1 novembre 2023

Caro Germanico,

finalmente sono a casa.
Peccato però che l’albero della Libertà sia stato divelto dalle truppe sanfediste. Ora è accartocciato su sé stesso come il gigante alle porte di New York alla fine del Pianeta delle scimmie mentre il Re Cerbero caccia tranquillo tra le sue forche e le sue mannaie.

E dunque temo proprio di trovarmi nella pellicola di quel film. Per giunta qualcuno ha provato a vestirlo da sanculotto ma ahimè un tagliaerba gli ha moncato le gambe prima che potesse sedersi da qualche parte e mostrare il pendolo dei fatti che ora vanno avanti e poco dopo ritornano indietro.

Che vita mi aspetta? Dipende da questo cielo che si scioglie riempiendo di fanghiglia putrida e radioattiva ogni istante che intenda battere la sua ora.

Pur tuttavia scenderò da cavallo e fonderò una colonia. I miei figli costruiranno alberi di celluloide, respireranno acetone e si batteranno per ogni millimetro di colonna sonora.

I terrestri sanno queste cose. Sono salvi dal disastro per l’illusione di poter sopravvivere in sotterranei degni di topi campagnoli. Mi chiedo altresì come sia potuto accadere che dei corpi si siano svestiti di carne e ossa e abbiano rimediato le parole di un regista o peggio, quelle di un poeta per poter esistere.

I fatti dunque hanno la stessa natura del sonoro e puzzano dello stesso urlo in cui si risolve la pellicola.

Eserciti di emoticon armati fino ai denti scorrazzano nel deserto di piante e animali.
Mastini della realtà, tutti uguali, liberi finalmente di abbaiare e mordere questo o quell’antilope e sbranarla fino all’ultimo villo.

Non pensare però che tutto finisca in questo modo. Nel nuovo mondo non finisce proprio nulla. Monconi di terre rare si uniscono a strofe per farne chip, cloro pianta coltelli verdi sulla città, lune di fosforo bianco accompagnano i bambini nel tornare a casa, persino tori incornano toreri in strofe dolenti, serpi e tecnezio bollente affollano Wall Street cercando carbonio per raffreddare il ventre.

E’ nella natura della pellicola l’impossibilità di isolare una molecola di viver male.

La materia prima non manca al coraggio e il capriolo che rifugge il caos lascia orme sulla calce viva.

Al capitano di ventura non chiedere come snidi queste figure dai loro miseri nascondigli. Abbrutito dal compito non prova alcuna avversione contro la nausea.

Ah il Walalla attende le faccine che condensano il piacere e il dispiacere, un rossore di mela da masticare nel giorno della certezza ma per il momento siamo tutti esposti a pioggia e sodio che hanno cessato di reagire concedendosi all’infangare.

(Gneo Fabius)

Marie Laure Colasson

2 novembre 2023 alle 20,00

caro Fabius,

finalmente anch’io sono a casa, mi sono fatta i bigodini, ho dismesso il rossetto e mi sono messa comoda sul divano, i fatti, caro Fabius, non so cosa siano, hanno la stessa natura del trauma e puzzano di aglio…

Perché hai scritto che la valutazione dei manoscritti è una pratica oncologica?, io penso invece che sia una pratica da obitorio essendo la letteratura tutta una attività di natura medico legale.
Lo so, il dover pronunciare diagnosi infauste è penoso, ogni volta. È terribile.

Tutta la colpa è di Aristotele che nella “Poetica” ha istituito il (CEF) Controllo Elettronico della Felicità, da allora le cose sono andate di male in peggio.

Lo sai?, i watussi che sono andati sulla spiaggia a fare il bagno con i nani hanno sviluppato una orticaria di origine radioattiva che porta in breve al decesso con pustole fritte e piattole arroganti.
Se Sartre fosse vivo avrebbe oggetti degni di studio da par suo, però Picasso sa dove mettere i piedi, al limite, c’è una fessura nella tela della “Les Demoiselles d’Avignon”, lì ci starebbero bene, al caldo, negli stivali di feltro

Chissà quanti I like e retwitter avrebbe il filosofo!
Sai, sono indecisa se inviarti una faccina con gli occhiali o un’altra con la parrucca, nell’indecisione ti lascio perché devo fare la doccia…

«La scelta se inviare una bomba al tecnezio, al boezio o al polibio sono argomenti da non sottovalutare affatto – ha dichiarato Xi -, un bombardamento del Donbass produrrebbe hightech, ciniglia e vapore acqueo…»
La reazione del Cremlino non si è fatta attendere: il portavoce Dmitri Peskov con la camicia sbottonata si è presentato ai microfoni dicendo di preferire les gauloises imbottite di molibdeno ai ciclamini di campo…

Con una musichetta in bemolle si è presentato l’Avatar del Linguaglossa presso l’abitazione della pittrice Marie Laure Colasson, in Circonvallazione Clodia 21, il quale si è limitato a manifestare, con un lessico diplomatico, il proprio dissenso…

(Scintilla)

Alfonso Cataldi
1 novembre 2023 alle 10:15

Cara Tizyfardwell,

le dicerie sul piano di evasione dal pianeta Terra sono fuori controllo.

Le conseguenze visibili a occhio nudo.
Gli umani hanno sviluppato un cratere in più per affrontare lunghi viaggi.

Sabato viene a trovarmi un’amica sulla galassia NGC 185
«a metà strada, se tiene l’eruzione», ma non vuole fare la turista.

Qui non ci sono ristoranti come li immagina lei
dove posso portarla? Hai qualche idea?

Mi ha chiesto se ricordo il Chiostro del Bramante con il bar caffetteria
e le opere contemporanee appese alle pareti. In decomposizione.

Tizyfardwell, cos’è contemporaneo? Ricordo in tanti perpetrare i vagheggiamenti senza patria.

Barbero il giorno che ammonì gli astanti a una conferenza stampa
«State attenti a non sviare i pronipoti con i fumi dell’illusione temporale»

(Alf. Galacticus)

Tiziana Antonilli

1 novembre 2023 alle 17,30

Caro Alf Galacticus,

in effetti sono in corso flussi migratori dalla Terra, fonti del black virgin web dicono anche verso la tua Galassia, ma molti di noi hanno sviluppato clorofilla per sopravvivere come vegetali.

Per quanto riguarda la tua amica, ti suggerisco di portarla su una postazione abbastanza alta da poter contemplare la supernova di cui si parla tanto da noi, pare che le siano sfuggiti dei fuorionda, tutti qui ne sono innamorati e offrile cibo cosmico, ma mi raccomando, rispetta l’equilibrio lipidico, al ritorno potrebbero internarla per sovrappeso.

Mi chiedi cosa voglia dire contemporaneo, per noi accade una volta al mese, io e i miei sodali, però, stiamo scavando una trincea per capire il perché.

P.S. In pieno multitasking sto scrivendo la mia autodifesa, il total body checking sospetta che la desinenza del mio nome si riferisca a Orwell, devo convincerli che derivi da bene, tutto bene perché in realtà va tutto bene fino a quando sarà legale dipingerci il cervello di grigio.

(Tizyfardwell)

Antologia_cover_popAlfonso Cataldi è nato a Roma, nel 1969. Lavora nel campo IT, si occupa di analisi e progettazione software. Scrive poesie dalla fine degli anni 90; nel 2007 pubblica Ci vuole un occhio lucido (Ipazia Books). Le sue prime poesie sono apparse nella raccolta Sensi Inversi (2005) edita da Giulio Perrone. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022

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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nelle Antologie Poetry kitchen 2022, Poetry kitchen 2023, e nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologie Poetry kitchen 2022 e Poetry kitchen 2023, nonché nella  Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Tiziana Antonilli ha pubblicato le raccolte poetiche Incandescenze (Edizioni del Leone), Pugni e humus (Tracce). Ha vinto il premio Eugenio Montale per gli inediti ed è stata inserita nell’antologia dei vincitori “7 poeti del Premio Montale” (Scheiwiller). Tre sue poesie sono entrate a far parte di altrettanti spettacoli teatrali allestiti dalla compagnia “Sted” di Modena. Il suo racconto Prigionieri ha vinto il Premio Teramo. Ha pubblicato il romanzo Aracne (Edizioni Il Bene Comune) e la raccolta di poesie Le stanze interiori (Progetto Cultura, 2018). Insegna lingua e letteratura inglese presso il Liceo Linguistico “Pertini” di Campobasso. Sue poesie kitchen sono presenti nella Agenda 2023. Poesie kitchen edite e inedite, Progetto Cultura, 2022, nonché nella Antologia Poetry kitchen 2023.

27 commenti

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27 risposte a “La scrittura poetica invalsa oggi è una «ontologia della im-posizione», una «produzione di significati», un atto di im-posizione del linguaggio alle cose. Mia impressione è che la poesia italiana di queste ultime decadi sia un genere di scrittura privatistica priva di valore culturale, un genere di scrittura non retta da alcuna poetica, alcuna episteme. Una scrittura imbonitoria. Una scrittura da obitorio. Poesie di Antonio Sagredo e degli Avatar di Alfonso Cataldi, Tiziana Antonilli, Marie Laure Colasson, Francesco Paolo Intini

  1. 22 luglio 2015 alle 16:12

    Per Severino tutta la storia dell’Occidente è la storia del nichilismo, inteso come l’identificazione dell’essere col nulla. Il pensiero occidentale, prima che raggiunga la sua piena trasparenza nel pensiero di Leopardi, non affermerà mai direttamente l’identificazione dell’essere con il suo opposto, eppure questa identificazione scorre sotterraneamente lungo tutta la storia dell’Occidente. Concetti quali divenire, nichilismo, tecnica, poíesis, volontà di potenza, hýbris, arte, poesia, sono l’inconscia espressione di questa folle identità.

    La storia dell’Occidente è la storia dell’inoltrarsi del pensiero lungo il sentiero della notte, indicato per la prima volta da Parmenide, e che egli stesso mostrava come impossibile ed impraticabile. Eppure, è proprio questo sentiero della notte l’unico sentiero che l’Occidente ha percorso.

    Il culmine di questo sentiero è la nostra epoca, quella che vede nella tecnica la nuova matrice dell’esistenza dell’uomo. Se in tutta la storia dell’Occidente il divenire annientante delle cose è stato sempre contrapposto all’epistéme dell’essere eterno e trascendente, che come tale sta al di là del divenire, con il compimento della storia dell’Occidente, l’eterno deve inesorabilmente tramontare, in quanto rende impossibile l’evidenza del divenire nichilistico, quell’evidenza che è già presente quando l’Occidente fonda l’epistéme dell’eterno, ma, appunto, in lotta con quest’ultimo. La storia dell’Occidente è dunque la storia della dialettica tra l’eterno e il divenire, dialettica che, però, deve tramontare, perché il divenire sia l’unica verità. La tecnica compie questo tramonto, perché aderisce completamente alla tendenza annientante del divenire nichilistico, è esso stesso divenire. La sua struttura è ipotetica in quanto tale, ed è solo per questa sua capacità di non radicarsi su un fondamento stabile, che permette alla tecnica di dominare tutto l’essente. Sciolto da qualsiasi legame la tecnica diventa la struttura che più si può adattare ai continui mutamenti del divenire, di quel divenire che per tutta la storia dell’Occidente rimane l’evidenza assoluta della realtà. Ma perché la tecnica diventi l’espressione più coerente del divenire, gli immutabili della metafisica debbono tramontare, Dio stesso deve morire.

    Questa continua ed inesorabile purificazione del divenire dall’eterno trascendente la troviamo compiutamente espressa nella storia del concetto della poíesis, quale fondamento stesso dell’arte. La poíesis indica il produrre in quanto tale, il portare fuori qualcosa nell’apparire. All’inizio della storia dell’Occidente la poíesis è possibile solo perché si fonda su un sapere mimetico, che ha il suo fondamento nella verità immutabile dell’essere, come le idee platoniche. Lungo la storia dell’Occidente la poíesis ha dunque un referente ultimo che è la verità immutabile, ma questa verità deve al termine di questo sentiero tramontare. Ma con questo tramonto la poíesis, perdendo il suo referente ultimo, deve aderire esclusivamente al divenire nichilistico, diventare essa stessa divenire nichilistico “senza perché” e senza una meta ultima. Ed è solo per questa sua completa aderenza al divenire nichilistico che si è reso possibile qualcosa come l’arte contemporanea, che appunto ha sgretolato i principi millenari dell’arte. L’hegeliana «morte dell’arte» può essere intesa come lo scioglimento del produrre artistico dal referente eterno ed immutabile su cui tale produrre si era sempre fondato.

    La grandezza dell’arte sta nella sua capacità di cogliere la tendenza fondamentale delle epoche e di mostrarla nella sua opera. Al di là di qualsiasi riduzione dell’arte a qualcosa di meramente ludico e frivolo, essa è uno degli occhi privilegianti dove l’essenziale viene colto e mostrato. In particolare, Severino mostra come l’opera poetica di Eschilo e Leopardi non si riduce ad opera prettamente letteraria, ma in essa si esprime la profondità di tutto il pensiero occidentale, dal suo inizio fino al suo compimento. L’opera di Eschilo e Leopardi è opera eminentemente pensante, il suo essere poetante è un tutt’uno col suo essere pensante.

    La poesia può inoltrarsi attraverso il sentiero della Notte nelle profonde radici dell’essere, essa può ciò che gli dèi le concedono, anzi, propriamente, essa è nelle mani di una dea, la Musa, che presiede alla sua identità e al suo canto… ma bisogna pensare, proprio come fai tu nella tua poesia, la profondità di questa identificazione tra essere e niente, il nichilismo della nostra epoca…

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  2. Maria Pia Latorre

    Tutto suggestivo.
    Leggo con interesse e condivido certi notevoli passaggi.
    Ma pratico la speranza perché essa è in me. La speranza è l’ultimo respiro.
    Abbraccio a voi.

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  3. Ci sono poeti che danno alla gente ciò che le gente si aspetta.

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  4. CARA SCINTILLA

    Dal tema fuggono persino i fatti che non hanno ragion d’essere.

    L’ algebra dell’ odio non ammette il positivo e dunque che matematica si potrà costruire se dal suo interno partorisce metastasi?

    E’ vero, ci fu un tempo, provarono a salire a bordo di maiali e affondare un incrociatore che navigava sulla lingua alla ricerca di papille vive e portarle in tavola.

    Ricadde negli abissi ma l’intestino lo soccorse.

    Evviva il ribaltone, dunque!

    Con quale segno infatti sarebbe logico uccidere e non averne conseguenze?

    Tutto questo fu fatto per tenersi in forma, con il salvagente addosso senza tener conto delle operazioni che intanto affollavano le liste di disoccupazione.

    Logaritmi e derivate sempre più esigenti che lasciavano le banconote per rimediare qualche nichelino dalle tasche di Charlot.

    Sembrò provvidenziale incanalare tutti i numeri al denominatore e metterci sopra la luna piena, lontano dalle città piene di sottrazioni e divisioni che bisticciano con un tergicristallo per ripulire il vetro.

    E che macchine camminano?
    Qui si vedono solo rotatorie che fanno giostre e trasportano famiglie tra le nuvole e poi ridiscendendo sul lungomare leccano carboni ardenti.

    E se in cielo volano leopardi è perché l’antilope si lascia sbranare da una colomba bianca.

    Il positivo è in salvo però.
    Se la gode in qualche Hawaii dell’universo, ormai privo d’impegni con la pancia all’aria finchè un buco nero gli porta un drink e sul giradischi mette il Sole e le altre stelle.

    ALLA RICERCA DI ALTRE FORME DI ESAURIMENTO NERVOSO

    Escono dall’ODIO lasciando odore d’alcol e birra.
    Le bottiglie sono fatte così ma stridono e pisciano all’aperto
    come astronauti sulla Luna.

    Indossano spume ingovernabili
    e si spalmano tute per passare nel fuoco.

    C’è il lavoro pulito da fare. La DIALETTICA ha un avatar stretto al collo ma serve a convertire il frigo e fargli confessare il forno.

    E dunque una nuova metafisica si avverte nell’aria
    Una volta avvistata Guantanamo si specula di Kolyma
    Ma ci sono letti di detenzione persino all’ontologico.

    Infilzare uno yogurt (che simbolo è?) e servirlo al tavolo del GIVENTI che con tutti i sorrisi fanno quaranta.

    C’è JOKER, noto assassino di cinghiali, che racconta barzellette ai sant’uomini.

    La DIALETTICA ha avuto una notte difficile- una bazzecola di mercurio convertita in oro fumante- ma se la cava genialmente con un incidente e diecimila morti.

    La carotide è stata chiusa al traffico. Un tir di traverso e il sangue irrancidito.
    Il cappuccino non manca al tavolo dei grandi.

    L’ODIO riprende a ruminare, accavalla le gambe mungendosi i capelli, mangia un cell bagnato nel rhum, dice qualcosa che la DIALETTICA converte in palazzi di vetro.

    Ci scappa un muro, fulminato mentre attraversava il mediterraneo.

    Il puntino luminoso è appena visibile da Nettuno.
    Domani però saremo su Plutone.

    Gneo Gaius Fabius

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    • caro Gneo Gaius Fabius,

      L’irresistibile leggerezza del tergicristalli che procede con il passo dei tank sui vetri del parabrezza
      Lo scuotimento del paraombrelli che all’unisono scherza con la giacca che pende dall’appendiabiti, il lampadario che oscilla

      «Il sisma del nono grado della scala Mercalli vuole indicare l’inindicabile e l’insindacabile, e cioè che il lupo divora l’agnello, non certo il contrario…
      Ci sono brande di detenzione perfino al reparto oncologico
      Nietzsche e Hölderlin stringono la mano al Signor Leopardi»

      Pronunciò la voce senza testa

      «This is not an ordinary vacuum cleaner!»
      said yesterday Mr Kleenex
      «It has more unexpected functions…»

      Anni fa circolava una voce: Attenti a quel critico, è un teppista!

      La finzionalità del divenire, la pre-sup-posizionalità del sintagma «diventa ciò che sei» (come se il divenire fosse altro, una sovrapposizione di qualcosa su qualcosa di indicibile)
      Un esserino finzionale, una scacchiera con gli scacchi pronti all’uso, un cittadino che sale sull’autobus, mero sovvertimento della semplicità serendipico-ontologica che tu, io, noi tutti siamo…

      Per ribadire sempre e di nuovo che la plenitudo ontologica appartiene ai rospi al pari che all’homo sapiens, agli F 16, agli Atacsm, agli Storm-Shadows con i lobi ripieni di tritolo e mentolo
      Per ciò che concerne e deve e dovrà concernere ogni onto-logica al di là di ogni sovra-posizione e pre-sup-posizione
      Si è e si ha-luogo semplicemente esistendo, perché solo esistendo si ha-luogo, e, dunque, (se qualcosa come un ‘divenire’ si dà) così, tal quali si diviene:

      «Sii ciò che non potrai mai diventare»:

      Ingiunzione dell’imperativo,
      Ingiunzione della tal-qualità onto-logica.

      Così è, comment c’est – questo, e non altro, è il tuo, il mio, il suo divenire; nessun compito, nessuna assunzione ontologica-seconda, terza, quarta, nessuna ammissione di responsabilità, correità, nessuna ipoacusia, nessun fosfeno, nessun duodeno…

      Nessuno

      (Germanico)

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    • milaure colasson

      caro Gneo Gaius Fabius,

      Ci fu un tempo nel quale i fatti avevano un Risponditore dei fatti, gli umani gli avevano delegato la consequentia rerum.

      Per un po’ le rerum si adeguarono, cercarono di uniformarsi al Risponditore… in seguito però l’Olimpo entrò in sciopero e i fatti si dileguarono… intervenne il Riformatore dei fatti il quale li derubricò a omeomerie, così i fatti furono messi alla berlina e licenziati.

      Nel mondo odierno viviamo senza fatti, ci troviamo nella dimensione delle omeomerie. E questo è propriamente l’ambito del kitchen, che è un kitsch elevato alla ennesima potenza.

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      • milaure colasson

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  5. Protagonista indiscusso del Dispositivo ontologico dell’Occidente è, per Agamben, l’Aristotele delle Categorie e della Metafisica.
    Essenziale è che «nella tradizione della filosofia occidentale l’essere, come la vita, sarà interrogato sempre a partire dalla scissione che lo traversa», «qualunque siano i termini in cui la divisione si articola nel corso della storia (essenza prima/essenza seconda, esistenza/essenza, quod est /quid est, vanitas/ quidditas, natura comune supposto, Das sein/ Was sein, essere/ente)» (p. 155) – anche essere ed ente non sono altro che questa scissione relazionale – altro che componenti di questa demonologia della scissione. La quale, qui, assume davvero proporzioni quasi inquantificabili: tutta l’ontologia, cioè l’onto-logica, cioè il linguaggio, cioè la storia occidentale, cioè (ancora) l’Occidente stesso, stanno in questa demonologia – essi sono, hanno-essere, sussistono, solo in quanto stanno nella scissione pre-supponente, nella relazione scindente.

    Agamben afferma che la sera del tramonto è la proliferazione della scissione assoluta. Aristotele è il paradigma della scissione. Le Categorie ci mostrano tanto il paradigma dell’onto-logica, per cui essere-è-(essere-)dire e dire-è-(dire-)essere, quanto il paradigma della scissione ontologica, per cui l’ousía è ciò-che-va-a-fondo e si-scinde come «ciò che giace sotto ogni predicazione»
    (M. Heidegger, La questione della tecnica, 1950 p. 159).

    L’ousía è quella che potremmo chiamare esistenza singolare. La realità della realtà di questo singolare, è l’(essere della) ousía.
    Che questo singolare sia, io non ne ho, dice Aristotele, altra esperienza che il dirlo – il predicarlo.

    «Aristotele tratta delle cose, degli enti in quanto sono-significati dal linguaggio e del linguaggio in quanto si-riferisce alle cose. La sua ontologia presuppone il fatto che l’essere si dice (to ón léghetai), è già sempre nel linguaggio. L’ambiguità fra logico e ontologico è così consustanziale al trattato, che, nella storia della filosofia occidentale, le categorie si presenteranno tanto come generi della predicazione che come generi dell’essere»
    (Heidegger, La questione della tecnica, 1950 p. 157)

    Severino vede l’ontologia come essenza destinale dell’Occidente, destino della civiltà occidentale, ma la filosofia moderna (vedi Metafisica concreta di Massimo Cacciari, 2023 e Giorgio Agamben), ha ribaltato questa impostazione, considera il «destino» (Geschick) come mero fatto, un narrato. L’ontologia non è (più), né deve (più) essere, un Destino, ma risolversi, rivolgersi, rifrangersi, l’essere dev’essere tutt’uno col suo essere. Per Agamben l’essere dell’essere non sarà un Destino, ma, semplicemente, un «sarà».

    M. Cacciari, Metafisica concreta, Adelphi, 2023
    «Metafisica è la riflessione su ciò che nell’ambito della epistéme, all’interno stesso della scienza riguardante tà physiká e le forme del discorso che ne permettono lo studio, e a partire da esse, costringe a procedere oltre, a interrogare ancora, a ricercarne l’arché, e cioè quali princìpi diano il senso del loro operare; la connessione tra i loro diversi rami (se essi siano davvero tali, appartenenti a un albero comune); l’analogia costruibile tra ciò che è fenomenicamente osservabile e precisamente (nel senso che il termine assume nella scienza fisica contemporanea) calcolabile e ciò che dobbiamo cercare di dire o in-di­care, poiché è semplicemente impossibile tacere della propria vita. Concreto in verità è solo questo insieme – e la metafisica, oltre la scienza teorica della natura, è il sapere concreto di questo insieme.
    […]
    Metafisica è l’attenzione per l’inosservabile dello stesso osservabile, in quanto questo, sub specie aeternitatis, rimane avvolto nell’Infinito. Nient’affatto uno sguardo teso a un al di là dell’essente, ma, all’opposto, alla inesauribile ricchezza del suo essere­-relazione. Sguardo rivolto a un sapere concreto, un sapere, cioè, che nasce-e-cresce con la cosa stessa; sapere di sé possibile soltanto se con-cresce con quello della cosa, e viceversa. E sapere che, alla fine, si rivela sempre come anche non-sapere, poiché la cosa è osservabile soltanto sullo s-fondo della sua abissale provenienza e del suo imprevedibile avvenire. Lo sguardo metafisico sta così radicalmente ac­canto a tà physiká, ne ha così essenzialmente cura, ne è tanto phílos da cercare di esprimerli secondo ‘ciò’ che ne oltrepassa l’osservabilità, alla luce di ‘ciò’ che secondo l’ordine del tempo appare di essi indicibile. Nessuna osservazione delle cause finite e dei loro nessi può svolgere da sé tali problémata, e tuttavia questi ci vengono incontro, si impongono proprio a partire da quella osservazione e dalla theoría che ne sorge; il fenomenicamente osservabile si affaccia sul loro abisso e ne reclama l’esplorazione. Metafisica significa volerli affrontare, non rimuoverli, non dimenticarli, e nient’affatto pretendere di risolverli.»
    .

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    • Stanotte ho fatto un sogno, si è presentato un Signore, ben vestito, ma era privo di testa. Lui girava per la stanza mentre io ero occupato a prepararmi un caffè, e, all’improvviso gli ho rivolto la domanda che tenevo nella memoria:

      «È Lei il Risponditore dei fatti?»
      «Sì, sono io», mi ha risposto.
      «E perché è senza testa?», gli ho chiesto.
      «Perché la testa è superflua».

      Inutile dire che la risposta mi sorprese non poco, ma finsi di accettare quella risposta assurda. L’aspetto grottesco era che il Risponditore aveva parlato, parlava, avevo udito la sua voce, anche se era senza bocca, privo di apparato fono-labiale. Allora, mi sono insospettito, ho capito che le parole che udivo non erano state pronunciate da nessuna bocca ma erano le parole della sua mente che raggiungevano la mia come se fossero delle parole vive, fatte di suono umano.

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  6. antonio sagredo

    Ottima scelta quei versi tratti da “La gorgiera e il delirio” così profetici che sono stufo di sentir dire da tantissimi che sono anche un profeta.
    COMUNQUE DI QUEI VERSI… similari ve ne sono a decine e decine perchè il destino dell’Occidente e dell’Oriente è sempre stato in cima e al fondo dei mie pensieri.
    ———————
    Quanto a quel che scrive Nanni Luciano…
    della gente me ne fotto (vi è un mio componimento che ha questo titolo: vedi sotto) ed è inutile che da me aspetti qualcosa… questo qualcosa non esiste, e se esistesse non certo lo darei in pasto al collettivo idiota.
    ——-
    Me ne fotto!

    Non ho mai incrociato una fede umana o divina con un pianto di legno nella Casa,
    – sul pianerottolo una marionetta gioca con la testa di Maria Stuarda.
    Ha di gelatina gli occhi e non lacrime vomita, ma trucioli e colla di coniglio!
    Il lutto non s’addice ai Cesari e alle stelle… Gesti, gesti a me! Soccorrete le mie mani!

    Ma io che faccio qui o altrove se il boia non ha un nobile rancore sulla lingua
    e mescolare non sa con l’accetta dell’attesa e dell’accidia un colore di Turner.
    Il Nulla azzera i giudizi sui patiboli, e il resto di un delirio è nello specchio.
    E dov’era vissuto il mio corpo quando offriva sangue alla sua ombra?

    Sono rose nere queste quotidianità, ma non sono le mie rose!
    E come posso rifiutare un destino che ad ogni sua domanda mi risveglia?
    Io sono esente per grazia umana, e nella mia parola non c’è risposta!
    E non ho l’acrimonia del vivere, solo voglio esserci quando accadrà.

    Svegliatemi dopo la mia immortalità! La pantomima è piena
    di vento nelle apocalissi, negli incendi e nelle distruzioni! – i tre profeti
    farfugliano : Scusi – lei – sente – molto – la – nostra – differenza?
    La confessione è un’arma terrificante… il Poeta: io me ne fotto!

    antonio sagredo

    Roma, 29 ottobre 2011

    ——————————————————–

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  7. Il componimento di Marie Laure Colasson:

    «caro Gneo Gaius Fabius,

    Ci fu un tempo nel quale i fatti avevano un Risponditore dei fatti, gli umani gli avevano delegato la consequentia rerum.

    Per un po’ le rerum si adeguarono, cercarono di uniformarsi al Risponditore… in seguito però l’Olimpo entrò in sciopero e i fatti si dileguarono… intervenne il Riformatore dei fatti il quale li derubricò a omeomerie, così i fatti furono messi alla berlina e licenziati.

    Nel mondo odierno viviamo senza fatti, ci troviamo nella dimensione delle omeomerie. E questo è propriamente l’ambito del kitchen, che è un kitsch elevato alla ennesima potenza».

    Occorre preliminarmente riallacciarsi al pensiero di Walter Benjamin sulle cosiddette «immagini dialettiche». Scrive Benjamin: «l’immagine dialettica è una costellazione di fattori concreti e fenomeni interrelati basata su una polarità tra ciò che è avvenuto nella storia e ciò che di nuovo si presenta nell’evento». Ciò significa che il passato conserva sempre una vitalità residua, un residuo vitale di cui il tempo presente, l’«ora» e l’«adesso» hanno bisogno. Nel testo della Colasson, e più in generale in alcuni autori della poetry kitchen, l’indicibile viene reso concreto e presente mediante l’introduzione di un Fantasma, di un Avatar che prende luogo nel testo. Nel brano in esame è il «Risponditore dei fatti» che interviene nel testo, esso è una presenza anonima che parla per «omeomerie», cioè sostituendo i «fatti» con similitudini, con simiglianze, ovvero, con dei falsi, delle copie. È questo il tema del testo, che viene presentato con un linguaggio anonimo, neutro, come neutralizzato, un linguaggio che presenta il conto allo stile decorativo della narrativa e della poesia commerciali. Tra testo e stile si situa una distanza, ed è in questa distanza che avvengono gli attriti semantici che fanno del testo della Colasson un testo esemplare per la novità della impostazione. Ad un certo punto, ecco che prende luogo nel testo un secondo Fantasma o Avatar: il «Riformatore dei fatti», è questo secondo personaggio che «riforma» i fatti in altri fatti, che porta a compimento l’azione di falsificazione dei fatti. Con il che la storia viene falsificata in storialità e il testo in testualità, cioè in surrogati, in falsificazioni. Tutto ciò accade per via di uno «sciopero» «dell’Olimpo», cioè di una controrivoluzione (o di una rivoluzione) che trasvaluta e capovolge l’ordine delle rerum e l’ordine dei fatti.

    In seconda battuta, seconda non per ordine di importanza, è utile richiamare Roland Barthes che nel rapporto lingua-stile-scrittura, (come i tre gradi fondamentali del linguaggio, secondo Barthes) in Il grado zero della scrittura (1953, trad it. 1960), nella Introduzione (pag.15) scrive:

    «tentavo allora di distinguere nel linguaggio scritto tre piani: della lingua, dello stile e infine della scrittura, a cui devolvevo il compito politico e di cui feci lo strumento proprio della responsabilità letteraria».

    Questa ermeneutica della composizione della Colasson parte dal principio che se la scrittura è ciò che lega lo scrittore alla sua società, la lingua si definisce come un corpus di prescrizioni e di abitudini comuni a tutti gli scrittori di una stessa epoca, mentre lo stile è invece strettamente connesso alla soggettività o, per dirla con le parole dello stesso Barthes:

    «lo stile è connesso a quello che è il corpo dello scrittore […] lo stile è la voce decorativa di una carne sconosciuta e segreta».

    Così, se la lingua è come una natura e lo stile va visto come un’appropriazione soggettiva della lingua, la scrittura assume invece il ruolo di una vera e propria funzione, di un rapporto «tra la creazione e la società» (Ivi, Barthes)

    La scrittura di questo testo della Colasson, in accordo con il pensiero barthesiano, è qualcosa che sta al di là del linguaggio (di relazione), mentre la lingua e lo stile si situano al di qua dell’atto di scrivere. Ed è ciò che si verifica in questi versi della Colasson la quale raggiunge il grado zero della scrittura mediante l’adozione di due Avatar (o Fantasmi), e la stesura del testo in un linguaggio depauperato da ogni ornamentalità scrittoria, un linguaggio nudo che stride e collide con la presenza dei fantasmi in azione.

    Gino Rago

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  8. Due versi faticosi di oggi. Da cardiogramma, ma per smitizzare. Se avessi aggiunto un terzo verso – ragioni misteriose lo imporrebbero – si andrebbe a conclusione. Lo si impara dagli haiku. Invece ogni verso è finito. Farà ridere (spero) ma così mi piace. Non c’è giudizio, nessuna morale, nessun insegnamento o partigianeria. Il mondo è talmente evidente che non si avrebbe tempo per pensare. Tranne come fare per salvare vite.

    Spaghettata 2. Il seguito.

    Freni a disco. Invece di Baleari.

    LMT

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  9. caro Lucio,

    non c’è bisogno di scomodare gli haiku per esercitarsi ad un linguaggio essenziale, c’è il linguaggio della pubblicità che utilizza la semantica inconscia, quella che si dirige all’ascolto dell’inconscio, perché l’inconscio, al contrario della coscienza, è sempre in ascolto. L’Es memorizza all’istante e dimentica all’istante. La potenza delle emittenti mediatiche è tutta qui, non ha bisogno di dimostrare logicamente alcunché, le basta ripetere infinite volte che “Ava come lava!” per indurre gli ascoltatori ad acquistare il prodotto “Ava”; il linguaggio del politichese riposa sul medesimo concetto: se si ripete migliaia di volte che non bisogna pagare le tasse perché quello è un «pizzo di stato”, dopo un po’ ci convinceremo che le cose stanno così. Sono tutti linguaggi da risultato sicuro. Quella che segue è una mia poesia kitchen scritta con un linguaggio da risultato Non-sicuro:

    Odisseo è tornato a Itaca
    Ha messo le camicie sporche e i calzini in lavatrice, le bretelle e i calzoni nel baule
    Ha inaugurato la nuova politica di austerity
    Ha messo in piedi il Ministero della Verità ed ha istituito il “Grande Fratello”
    Ha messo a terra il PNRR
    Ha istituito anche il Ministero del Futuro
    Ha avviato il compromesso storico con il partito dei proci
    Ha anche dichiarato di voler aiutare i miserelli e i menestrelli
    I critici sono utili per suonare il piffero
    I poeti sono di là, nell’anticucina, a lavare i piatti
    I filosofi sono addetti alla centrifuga,
    I narratori sono tutti nell’antibagno, sono addetti alle lavatrici
    I filosofi sono impiegati al Ministero della verità
    Il Ministero della Verità controlla i passaporti, le carte di identità e le disfunzioni erettili
    Omero è un impiegato della Agenzia delle Entrate
    È addetto ai prelievi fiscali e alle onoranze funebri con il compito di accompagnare i feretri nell’ultimo viaggio per l’Ade
    Il Sig. Draghi è stato sostituito dal Sig. Lollobrigida
    Dio è stato sostituito dal Signor Piantedosi
    I nani giocano a lascia o raddoppia

    Ecco due versi niente affatto faticosi, presi dalla pubblicità, qui c’è conclusione… si prenda a prestito dal linguaggio pubblicitario che è, per essenza, un linguaggio da risultato sicuro, linguaggio da conclusione, e si facciano delle composizioni kitchen lasciando in sospeso il risultato (che nel kitchen non è mai sicuro):

    «This is not an ordinary vacuum cleaner!»
    said yesterday Mr Kleenex
    «It has more unexpected functions…»

    anni fa circolava una voce: Attenti a quel critico, è un teppista!
    Uno pseudo-poeta di Roma (iniziali P.P.) telefonava spesso al poeta Alfredo De Palchi dicendogli: «Giorgio Linguaglossa è un esponente del sottobosco poetico italiano», e lo ripeteva ogni volta. Me lo riferì Alfredo, visibilmente corrucciato. Il tentativo di screditarmi perché l’interlocutore era intellettualmente smaliziato e capiva benissimo il suo linguaggio che era indirizzato solo al Conscio. Quel tipo di messaggio non funzionò perché trascura che il significato di un messaggio è tanto più denotativo quanto più è obliquo, indiretto, inconscio.

    In realtà, la poesia kitchen è l’esempio più eclatante di una poesia rimasta senza parole. Il poeta di oggi non ha nulla da dire, nessun messaggio, nessuna tematica, nessuna problematica, niente di niente tranne la scatola vuota del vuoto sotto vuoto che è l’io, quell’io che è la quintessenza della metafisica della volontà di potenza e del mondo come rappresentazione e volontà. Quella metafisica è giunta al capolinea. E con essa tutta l’argenteria bella (in realtà impresentabile) della poesia della tradizione. Quella argenteria è oggi inservibile, inutilizzabile, un poeta consapevole lo sa, non può non saperlo.

    All’ordine del giorno c’è pensare, immaginare una nuova economia politica dell’Immaginario, reintrodurre il Politico nell’Immaginario ed estromettere il privato dall’Immaginario come fanno Francesco Paolo Intini, la Marie Laure Colasson e via via tutti gli altri poeti kitchen è indispensabile, ciò comporta la de-territorializzazione del linguaggio poetico della tradizione e la ri-territorializzazione di quel linguaggio in un nuovo linguaggio, in un nuovo immaginario. C’è sempre da apprestare una nuova economia del Fantasma. Anche i fantasmi peraltro devono sottomettersi agli indici di borsa, alle leggi del PIL e dello Spread. Chi vuole sottrarsi alle leggi, in realtà cade calpestato sotto le leggi del PIL, chi si accontenta di una manutenzione ordinaria del significante, cade prima o poi, insieme alla caduta del significante, sotto la legge della caduta tendenziale del significante che produce il profitto del significato.

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    • Le head-line pubblicitarie sono comprensibili, esprimono quasi sempre la ragione per cui dovresti acquistare un prodotto (reason why). Es. Compro perché “Lava più bianco”.
      I miei versi “pubblicitari” non offrono alcun risultato sicuro. Da un lato cancellano il “poetico” tradizionale, dall’altro assumono la grazia e la sintesi di un saluto, superficiale ma sentito. Tanto mi basta. La tecnica, versi “head-line”, è adottata, più o meno consapevolmente, da quasi tutti gli autori kitchen. È ormai tipica, perché attigua al frammento, che diviene frammento “creativo”. Ma che sia poetico è da vedere. Molto dipende dall’autore, se in ogni verso riesce a mantenersi distante dal risultato sicuro. Il vuoto non offre garanzie, e noi ne facciamo spettacolo. Che vi si legga, come in uno specchio, l’inconsistenza. Non la truffa, perché i poeti non sono di questo mondo.

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  10. caro Lucio,

    dobbiamo essere ipercritici e auto critici, sapere che il parlare del soggetto (il nostro parlare) rimanda sempre ad un altro soggetto, il soggetto dell’inconscio; soggetto che è un effetto, effetto di linguaggio, effetto di un ordine (o di un disordine) e dunque di una struttura sottostante. Questa struttura è generatrice, crea nella misura in cui è originata da un vuoto, da una mancanza, è il vuoto centrale che dà luogo all’inconscio, alle sue rappresentazioni, ai suoi ritorni, alle sue pulsioni, alle sue abreazioni… Ecco perché il linguaggio pubblicitario punta tutto sul significante dell’inconscio, sulla dis-economia del significante. Pubblico è tutto ciò che avviene nella polis, pensare di bypassare il significante del pubblico è una auto illusione; anche il privato, nel modo di vita odierno, è un pubblico, cioè esposto in pubblico. Tutta la narrativa che punta al pubblico salvaguardando il privato compie un esorcismo, una genuflessione, un Ahllalì.
    Come afferma Adorno, nella società pubblicitaria e plebiscitaria delle società amministrate pensare di avere una vita privata è una battura di spirito buona per le belle persone, è una ideologia. In verità non c’è vita alcuna.
    Ciascuno ha il significante che si merita.

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  11. Giuseppe Gallo

    Caro Lucio, capisco il tuo lavoro poetico, o meglio, cerco di capirlo, ma spesso ricavo l’impressione che tu voglia comporre graficamente i tuoi pensieri, trascrivendo il vissuto quotidiano delle tue parole filtrate dalle tue sensibilità. Le vuoi isolare nell’oggettività? Le vuoi calare nel vuoto delle sensazioni? A me sembra che quando prendi all’amo qualche parola-immagine ne segui il percorso, ne valuti il tremolio, l’ambiguità e la chiarezza, e poi la incidi sul bianco della carta con lo spillo del punto fermo. Così facendo tendi a soggettivare il messaggio, rovesci l’oggettività delle immagini e impedisci al lettore la sua stessa leggibilità. La comunicazione svanisce. Ora, se questo è il tuo intento, ci riesci benissimo. Ma non credo che si tratti di questo. Infatti ogni poeta, o artista in genere, ha una visione personale del mondo, ma questa ha pregnanza solo se la trasmissione è percepibile, non dico da tutti, ma almeno da buona parte dei lettori, se questo non accade, allora si scivola verso la confusione, o meglio, ci si addentra nel marasma dei “codici”, dove certi messaggi linguistici e visivi sono compresi solo dai soggetti che quei codici li conoscono già.
    Con l’affetto di sempre, Giuseppe.

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    • Caro Giuseppe, grazie per l’attenzione che mi dedichi. Posso dire così, che porto lo stile nominale all’estremo. Ma per dire cosa? Solo quello che resta di pensieri andati, come se i versi fossero riassunti (in una scaletta in fondo al libro); titoli, sempre inventati, per libri che non sono mai stati scritti. Argomenti riassunti, messa in scena di cose (appena) passate, solo nominate in creativa sequenza. Ma la comunicazione c’è, alterno nomi con versi di basso registro, molto colloquiali; oggetti stupidi e modi di dire (alcuni noti ed altri inventati).
      Non credo tu sia disposto a dare significato a tutto ciò che vedi… un albero, il nome di quell’albero, una palazzina…
      Poesia sofisticata e robotica, eppure “populista”. Che però richiede un’immersione: bisogna leggerne più d’una, in serie, allora ecco, dovrebbe apparire il linguaggio che mi sono scelto. E poi io “scrivo” il silenzio, tra una parola e l’altra so aspettare. Non trascrivo pensieri, mi guardo da inseguire con parole fantasiose immagini.
      Il libro che sta per uscire, a giorni, contiene poesie leggere, prive di finalità salvifiche. La ricerca è formale, si va alla scoperta di questo linguaggio che manca di tutto. Poi non so, è questione di feeling, diceva una vecchia canzone.
      Chiedo alle Muse di starci in due parole, in un titolo. E loro eseguono, sono bravissime.

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      • milaure colasson

        caro Lucio,

        ritengo le obiezioni di Giuseppe Gallo (Gaius Gallus) fondate.

        1) nella tua procedura c’è un vizio di fondo, che si nasconde e che ha origine in quello che Giorgio definisce un “atto di imposizione” che l’io irroga alle parole, alle immagini; cioè tu poni un limite (inconsapevolmente) alle parole (e quindi al discorso); il tuo intento di fare a meno del discorso, ti porta inevitabilmente verso una aporia insolubile. Se tu fossi conseguente alla tua impostazione ideologica, una volta abolito il discorso dovresti anche abolire le parole (che possono vivere soltanto all’interno del discorso), invece tu ti fermi a metà strada: abolisci il discorso ma non le parole, e così ti involgi in una aporia insolubile.

        2) Trovo fondata anche la seconda obiezione di Giuseppe Gallo, cioè che una volta individuata una immagine o una parola tu metti un punto, come per appuntare con uno spillo la parola alla pagina bianca, dice Gallo con una buona dose di ragione a mio avviso. E così il tuo metodo di composizione cade nel soggettivismo impositivo, invece di liberarti dell’io, fai rientrare l’io che era uscito dalla porta, dalla finestra.

        L’imputazione di fondo è che con questo tuo modo di operare non solo non indebolisci l’io ma rischi di rafforzarlo, e la tua poesia rischia di essere indebolita da un surplus di soggettivismo.
        Insomma, a mio avviso, una volta fatto sloggiare l’io dalla porta, poi devi chiudere anche tutte le finestre, altrimenti quell’io che avevi fatto sloggiare rientra da una finestra rimasta incautamente aperta.

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  12. Polibio ha indicato nell’«oclocrazia» la degerazione inevitabile della democrazia. “ Oclos” in greco significa “ folla”.

    La tecnocrazia è la forma di governo alla quale tende per involuzione la civiltà postmoderna

    La robot-crazia e la AI-crazia saranno le forme di governo alla quale tende per evoluzione la civiltà dell’ipermoderno

    In quest’ultima forma di civiltà la poiesis tenderà probabilmente a scomparire

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    • Raffaele Ciccarone

      Collisione con lo spazio a curvatura negativa

      Fu la collisione con lo spazio a curvatura negativa
      a spostare AEW World Championship mentre tutto
      l’ologramma era a Dubai a fare il bagno

      tutto l’amore riversato in una bacinella
      ammalia Loredana amica del mago Woody
      ora la TVS fa pagare certi servizi
      ma teme punti di congelamento

      tant’è che il progetto olografico
      di S. Hawking si presenta sotto l’albero
      di Natale per sciogliere le palle gialle limone

      in tanti hanno disertato il reading di poesia
      Kitchen tranne Filiberto assillato dal risentimento
      quantico ora che il divano è ripulito

      dopo l’ostentazione del raro incunabulo Beatrice
      si ritira in clausura a Firenze per dedicarsi
      alla pittura figurativa visto la vendita delle nuvole azzurre

      by car

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  13. L’importanza di scrivere bene: le 40 regole di Umberto Eco.

    1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
    2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
    3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
    4. Esprimiti siccome ti nutri.
    5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
    6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
    7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
    8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
    9. Non generalizzare mai.
    10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
    11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
    12. I paragoni sono come le frasi fatte.
    13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
    14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
    15. Sii sempre più o meno specifico.
    16. L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
    17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
    18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
    19. Metti, le virgole, al posto giusto.
    20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
    21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
    22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
    23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
    24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
    25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
    26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
    27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
    28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
    29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
    30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
    31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
    32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
    33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
    34. Non andare troppo sovente a capo.
    Almeno, non quando non serve.
    35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
    36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
    37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
    38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
    39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
    40. Una frase compiuta deve avere.

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  14. Tiziana Antonilli

    È vero, ‘ Ci sono poeti che danno alla gente ciò che la gente si aspetta’ come scrive Luciano Nanni.
    Tuttavia, la parola ‘ poeti’ penso possa essere sostituita dalle parole : politici, registi, giornalisti, cantanti, pubblicitari più o meno creativi. L’elenco è lungo. Anche il compagno o la compagna con cui viviamo potrebbe avere questa inclinazione nei nostri confronti. Conformismo o quieto vivere o entrambi.
    Nuotare controcorrente affatica i muscoli e le sinapsi.

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  15. milaure colasson

    Caro Germanico,

    tu affermi che tutto ebbe inizio dal Cavallo di Troia.

    Mi è difficile darti completamente ragione perché all’epoca fui trasportata in lettiga da una tempesta elettromagnetica su una galassia fatta di ripide montagne, full of azoto, ossigeno e borotalco.

    Qui incontrai lo scheletro di Napoleone seduto su un fungo bianco mentre mangiava dei sibemolle.

    Raggi gamma e stelle nane infusero in me una stravagante vitalità robotica.

    Vidi però un corvo appollaiato sul cofano di una peugeout ma non tossiva, beveva una coppa di un allegro prosecco di Treviso

    Non c’erano gli dei dell’Olimpo ma lampade alogene e polveri solari travestite da ballerine di can can

    (Scintilla)

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  16. milaure colasson

    Riprendo da Umberto Eco due principi:

    16. L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
    17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

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  17. Simone Carunchio

    Purtroppo le questioni sono forse insuperabili. Il linguaggio è giuridico per sua natura, così come ogni testo è comunque autobiografico. E per questo la sfida è interessante! Il rischio è il nichilismo.

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