Nunzia Binetti
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Nunzia Binetti nata a Barletta in Puglia, dopo il Liceo Classico e studi in medicina ha intrapreso quelli di Lettere moderne e Beni Culturali , laureandosi presso l’Università degli studi di Foggia con una tesi sulla Poesia Contemporanea femminile in Puglia. È impegnata nel sociale, e in particolare nella promozione delle donne nelle Arti e Affari (già presidente della Fidapa BPW. sezione di Barletta e già membro della task force twinning BPW International). Cofondatrice del “Comitato della Dante Alighieri Barletta”, è anche membro del Consiglio Direttivo. Ha recensito e prefato raccolte poetiche di autori e pubblicato articoli letterari su “Vivicentro Notizie Rassegna Stampa” e su “ Versante Ripido”, in web. Sue poesie sono presenti in molte antologie poetiche (Campanotto Editore), (ED.Giulio Perrone –Roma), ( LietoColle) e nelle antologie: Fil Rouge (CFR editore) e Il ricatto del Pane (CFR Edizioni ). Nel 2010 ha esordito con la prima Silloge completa In Ampia Solitudine (CFR – Editore) e nel 2014 con la Raccolta Di Rovescio (CFR .Editore), tradotta anche in francese nel 2017 da Roberto Cucinato, pubblicata in Francia e regolarmente depositata presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. La rivista serba “Bibliozona” (della Biblioteca Nazionale di Nis) ha pubblicato una sua poesia in lingua serba. È stata recensita nelle Riviste letterarie: Capoverso (Ed. Orizzonti Meridionali), I fiori del male (Ibiskos Ed.) , dal quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno”, dalla Gazzetta di Verona” e, in web, nella rivista on line lombra delle Parole.wordpress.com . Nel gennaio 2019 ha pubblicato la sua ultima raccolta poetica Il Tempo del Male (Terra d’ulivi edizioni). Progetta di pubblicare, a breve, una nuova silloge poetica che includa una sezione vicina allo sperimentalismo.
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Commenti
Prosa troppo diligente e lessico ricercato, o anche solo doverosamente appropriato, possono creare difficoltà per chi voglia accomodarsi nella stretta della frammentazione. Il frammento è cura dimagrante, i suoi affetti sul linguaggio sono immediati. Stop and go, interruzione (morte del pensiero e sue parole) sono costanti, e così le riprese (vero e proprio reset). Il fuori-senso, le repentine deviazioni, inseriscono e rendono visibile, anche in lettura, il fattore T-tempo, che è parte costitutiva del pensare originario: il qui e ora, ma del tutto inventato.
(Lucio Mayoor Tosi)
Il virus kitchen nella tradizione saponificata, sanificata e ininterrotta della poesia narrativeggiata a vocazione maggioritaria
Le poesie di Nunzia Binetti sono la riprova di come la contaminazione e la infiltrazione tra un linguaggio poetico ereditato (quello narrativizzato) e quello nuovo della poetry kitchen stia dando ottimi risultati. La Binetti parte dal linguaggio poetico dell’io che si confessa allo specchio di questi ultimi decenni per allontanarsene in direzione di un linguaggio ibrido, meticciato, con inserti kitchen, cioè lateralizzati, spostati dal significato consueto e condiviso e dalla soggettività registrata. Il risultato è probante, l’autrice dimostra che la transizione e la transazione tra un linguaggio noto e conosciuto, addomesticato, e uno nuovo, ignoto e non addomesticato può dare ottimi risultati. E noi non possiamo che incoraggiarla in questa direzione. E non è detto che tra infiltrazione e transazione vi sia inimicizia o contraddittorietà, la prassi kitchen ci dice che nelle modalità kitchen l’infiltrazione del virus kitchen in un corpo «sanificato» e saponificato come quello della tradizione post-lirica italiana può dare ottimi risultati.
Alla base della poesia di accademia incentrata sulla perorazione di una soggettività in preda di una particolare esantema soggettoalgico c’è la convinzione che la forma-poesia debba essere una veicolazione narcisistica di un’istantanea reazione emotiva, invece alla base della poesia della nuova fenomenologia del poetico c’è la convinzione che la forma-poesia debba essere una forma di «incomunicazione» (per riprendere una dizione di Alfredo de Palchi degli anni sessanta), di non-coincidenza permanente tra la parola e la cosa. Come si vede, i conti tornano, anche a distanza di sei, sette decenni dalla poesia depalchiana e dalla neoavanguardia. Ma i conti sono destinati a tornare e a ritornare imbrogliati nella matassa dei nodi di Gordio e dei nodi scorsoi della tradizione saponificata e sanificata e ininterrotta della poesia narrativeggiata a vocazione maggioritaria.
Quello che nella poesia della tradizione saponificata è il momento epifanico, ovvero, una istantanea reazione emotiva che vorrebbe tradursi in una parola epifanica, nella poetry kitchen diventa lo spazio vuoto, lo iato di un significante vuoto ed eccedente che prende corpo in una parola; la parola incomunicativa, incomprensibile del momento kitchen, come si vede bene nella poesia di Nunzia Binetti, è una parola parlata dall’Estraneo o, come recita la Binetti, da un «avatar». L’io ne resta diviso, spiazzato («Pensai a un intralcio, a una devianza di percorso»), e veniamo proiettati in un’altra dimensione («La musica si interruppe»), e l’avatar prende posizione, prende direttamente la parola, ecco il momento diegetico («l’avatar assunse un tono perentorio,/ sfilò per tutto il corridoio…»); ed ecco il momento mimetico dove parla l’io: («Errore, delitto preterintenzionale!»), interviene l’avatar femminile («No. Il croco, il tuorlo, ci mostrano il giallo che è il retro dell’identità»). Subito dopo si cambia fotogramma, ecco che interviene un terzo personaggio “Lady Tristezza” (o forse è ancora l’avatar che parla?). In definitiva, la poesia delle modalità kitchen altro non è che una de-costruzione ininterrotta una volta che il virus kitchen si sia introdotto in una tradizione saponificata e imbalsamata.
Noi sappiamo che la soggettività non è mai «autentica», è sempre impura, contaminata; fin dall’inizio è impregnata di impersonale, perché solo la lingua pubblica (cioè di nessuno, arbitraria e presoggettiva), le offre i dispositivi grammaticali per formare l’“io”, infatti, Lacan ha scritto: «Lalangue sert à de toutes autres choses qu’à la communication». In conformità a questa impostazione, il pre-individuale precede la soggettività, ergo la lingua del pre-individuale è più vera di quella della soggettività, ecco la ragione della modalità kitchen: posizionarsi e direzionarsi verso il pre-individuale del linguaggio poetico è la via prescelta dalla poesia della nuova fenomenologia del linguaggio poetico.
(Giorgio Linguaglossa)
Dieci Poesie inedite di Nunzia Binetti
«Il La è Bemolle». Così si presentò l’avatar.
Pensai a un intralcio, a una devianza di percorso
La musica si interruppe, l’avatar assunse un tono perentorio,
sfilò per tutto il corridoio…
«Errore, delitto preterintenzionale!» replicai.
«No. Il croco, il tuorlo, ci mostrano il giallo che è il retro dell’identità» Ella rispose.
Lady Tristezza emerse da un mare di suoni,
sirena per finta. Frammenti di sughero poi vennero a galla.
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Elisa amò Beethoven. Non lo confessa.
Oggi non sa più amare.
Tra Schengen e Lampedusa affondò il mare.
Ruth Benedict volse lo sguardo a un crisantemo e ad una spada.
Il crisantemo è divenuto nero.
Ogni Bellezza uccide.
La gara è tra i gerani, sui balconi a farsi cogliere.
Il mito d’Elena ritorna per (s)fiorire.
Nessuna Giustizia è scienza esatta.
La luce della luna echeggia tra le foglie morte.
Notte, sii sempre buona!
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Il meccanismo del sistema accelerato ha piglio tribale e
ritmo di danza.
I figli uccideranno sempre i padri.
Mendel in tutta fretta mobilitò caratteri alieni dominanti.
I vincitori persero tutto, anche l’onore.
«Siatemi almeno voi fedeli nei miei infiniti modi d’essere».
Così l’ameba parlò alle sorelle ortiche.
Tossine apolidi affiorarono dal mare.
Un seme scivolò nel solco sbagliato
Così nacque un australopiteco super sapiens.
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«Ho perso l’anello che portavo al dito perché mi sono sposato con la poesia».
Scrisse Dunn, pensando a Puskin, ma la lettera tornò indietro,
non fu recapitata.
Ma qui vivono uomini mezzo-gatti, ad essi tutto è indifferente.
Hanno comportamenti gattici.
Bifore di cattedrali ospitano gabbiani.
La profilassi è solo antibatterica.
E l’Angelus trasalisce per certe maldicenze dei credenti contro i preti.
Inutile agire sui tufi spolpati dagli eventi.
Ed ora discorriamo dell’autunno.
«Cosa sai, tu, dei melograni?», mi chiese.
«Intonano canti funebri sulle terrazze di novembre»,
risposi non molto convinta. Continua a leggere