Lorenzo Giovanni Antonio Calogero nasce il 28 maggio 1910 nel piccolo centro di Melicuccà, in provincia di Reggio Calabria, da Michelangelo Calogero e Maria Giuseppa Cardone. Terzo di sei fratelli, Lorenzo inizia le scuole elementari a Melicuccà e le conclude a Bagnara Calabra, dove vive presso gli zii materni. Nel 1922 la famiglia Calogero si trasferisce a Reggio Calabria, dove Lorenzo frequenta prima l’Istituto Tecnico, poi cambia corso di studi conseguendo la maturità scientifica. Nel 1929 la famiglia Calogero si trasferisce a Napoli per avviare i figli agli studi universitari. E’ di questi anni la scrittura dei primi versi, che legge solo alla madre. Lorenzo inizia ad Ingegneria, ma l’anno successivo decide di cambiare facoltà iscrivendosi a Medicina. Nel 1934, per ristrettezze economiche, la famiglia Calogero è costretta a tornare in Calabria. Segue con profitto gli studi ma contemporaneamente legge i poeti e scrive: in questo periodo compone buona parte dei versi che formeranno le raccolte 25 Poesie, Poco suono e Parole del Tempo. Comincia a manifestare le prime patofobie.
Di formazione cattolica, segue la scena letteraria che si raccoglie intorno a “Il Frontespizio”, di Pietro Bargellini e Carlo Betocchi, ai quali invia le prime poesie con la speranza che vengano pubblicate. I versi gli vengono però restituiti, allora scrive a premi letterari e riviste spurie, vuole pubblicare ad ogni costo. Nel 1936 esce a sue spese il primo libro, Poco suono, presso Centauro Editore. Nel ’37 si laurea in Medicina, ma continua la corrispondenza con Betocchi, che gli promette di pubblicarlo ne “Il Frontespizio”; la pubblicazione non avviene ed egli ne trae la conclusione che il suo destino non è quello del poeta. Inizia un lungo periodo di distanza dalla scrittura, in cui non v’è traccia di tentativi di pubblicazione o contatti con il mondo letterario. La sua salute è precaria, tuttavia consegue l’abilitazione e nel 1939 inizia ad esercitare la professione medica in diversi centri della Calabria. Ma tende a tornare a Melicuccà, a rifugiarsi dalla madre, con cui intrattiene un’intensa corrispondenza. E’ sempre più instabile. Nel 1942 tenta per la prima volta il suicidio sparandosi in direzione del cuore. Viene salvato a fatica. I fratelli sono in guerra, fa il medico sempre più a malincuore: “sono vissuto nella mia professione come se scrivessi versi”.
Nel 1944 inizia una lunga corrispondenza epistolare con una studentessa di Reggio Calabria, Graziella, cui seguirà un fidanzamento di cinque anni. La sua vita è sempre più caotica, abbandona i posti di lavoro, si rifugia dalla madre con più frequenza. Si getta in tutte le letture: filosofia, scienze biologiche, matematica, teologia, poesia. Rompe con Graziella ma non la dimentica, e tenta invano di riallacciare il rapporto attraverso lunghissime lettere disperate. Ha ricominciato a scrivere: dal 1946 al 1952 compone le poesie poi incluse in Ma questo… e Come in dittici. Dal 1951 al 1953 invia i suoi manoscritti a molti scrittori, poeti, uomini di cultura, l’esito è sempre negativo. Nel 1954 invia dattiloscritti all’editore Einaudi, da cui non riceve risposta. Decide allora di partire per incontrare Giulio Einaudi personalmente, ma va a Milano e sbaglia redazione. Giunge a Torino maEinaudi è fuori sede e i suoi scritti non si trovano. E’sempre più sfiduciato ma continua a scrivere a editori e riviste , che gli rispondono evasivamente. Lo stesso anno riceve l’incarico come medico condotto a Campiglia d’Orcia, in provincia di Siena; qui scrive in soli undici giorni Avaro nel tuo pensiero, che rimarrà inedito. Dopo appena un anno, una delibera del consiglio comunale lo dimette dall’incarico di medico-condotto, così nel 1955 si ritira definitivamente nel suo paese. Riscrive a Einaudi che risponde, ma negativamente. Nel settembre, sempre a sue spese, pubblica Ma questo…, presso Maia.
Scrive anche a Betocchi, di nuovo dopo vent’anni, chiedendogli di pubblicare con Vallecchi. Nel gennaio del 1956 esce la raccolta Parole del tempo, che contiene 25 Poesie, Poco Suono, Parole del Tempo. A causa di un peggioramento delle sue nevrosi viene ricoverato nella casa di cura “Villa Nuccia” a Gagliano di Catanzaro. Tornato nel suo paese, scrive invano a numerosi critici e poeti per farsi recensire Ma questo… Ne spedisce una copia anche a Leonardo Sinisgalli, accompagnata da una lunga lettera in cui chiede la prefazione per un nuovo libro che sta per essere pubblicato “anche se dovesse dirne tutto il male che si può immaginare”. Inizia così il rapporto con chi invece sarà il primo a riconoscere le sue qualità poetiche, e che gli sarà amico fino alla fine. Nel mese di settembre esce Come in dittici con la prefazione di Sinisgalli. In seguito alla morte della sua amatissima madre, però, avvenuta poco dopo, viene nuovamente ricoverato per un tracollo nervoso a “Villa Nuccia”. Si innamora di un’infermiera, Concettina. Tenta nuovamente il suicidio recidendosi le vene dei polsi.
Nel 1957 vince il premio letterario “Villa San Giovanni”, conferitogli dalla giuria presieduta da Falqui, e composta da G. Selvaggi, G. B. Angioletti, G. Doria, S. Solmi. Sinisgalli presenzia alla premiazione. Nonostante il prestigio del premio non riceve nessuna proposta editoriale, che cerca disperatamente, sempre più stretto da una ingenerosa incomprensione. Mangia pochissimo, sostenendosi con sonniferi, sigarette, caffè. Tra il 1956 e il 1958 scrive le novantanove poesie della raccolta Sogno più non ricordo. Viene ricoverato nuovamente a “Villa Nuccia”. Nel 1960 si reca per alcuni giorni a Roma, dove conosce Giuseppe Tedeschi, che racconterà il loro incontro nell’introduzione al primo volume di “Opere Poetiche”, pubblicato postumo. La sua irrefrenabile necessità di scrivere si intensifica, scrive i 35Quaderni di Villa Nuccia, così come li intitolerà Roberto Lerici, editore di “Opere Poetiche”, che costituiscono forse la sua più alta produzione letteraria.
Trascorre gli ultimi anni da solitario e sventurato poeta nel suo paese natale, consacrato alla poesia, corteggiando la morte.
Il corpo del poeta senza vita fu trovato nella sua casa di Melicuccà il 25 marzo 1961. Nell’ultima pagina di un quaderno trovato sulla sua scrivania, è stata trovata quella che forse è la sua ultima poesia, “Inno alla morte”. Un biglietto trovato accanto al suo corpo, recita la frase:
“Vi prego di non essere sotterrato vivo”.
Nel fascicolo di aprile 1961 di “Europa Letteraria”, Giancarlo Vigorelli pubblica alcune sue poesie con note di Leonardo Sinisgalli. Nel 1962 con l’uscita del I vol. di “Opere Poetiche” in un’elegante edizione della collana “Poeti europei” della casa editrice Lerici, esplode il “caso letterario Lorenzo Calogero”. Centinaia di articoli della stampa italiana e straniera lo definiscono “nuovo Rimbaud italiano”. Il clamore dura quasi ininterrotto fino al 1966, quando, quasi subito dopo la pubblicazione del II vol. di “Opere Poetiche,” la casa editrice Lerici pone fine alla sua attività editoriale. Per anni è stato atteso l’ultimo dei volumi della Lerici che avrebbe dovuto contenere Avaro nel tuo pensiero, ancora oggi inedito, insieme ai circa 800 quaderni manoscritti, fittissimi di liriche, numerosi scritti in prosa e lettere con poeti, critici, editori, intellettuali. Attualmente il corpus inedito è composto da più di 15.000 versi che attendono un’adeguata collocazione nella più alta letteratura del ‘900.
Inediti. FRAMMENTI ESTRATTI DAI MANOSCRITTI DEL 1936
La migliore cosa proprio per giudicare dell’essenzialità di una certa poesia, delle sue immagini, è di studiarla nelle righe della sua continuità di pensiero. Ciò che non concorre a rendere più chiaro l’unico pensiero del cui suono deve vibrare il suono e la metrica della poesia, deve essere giudicato inessenziale. Così ci sembra che la maggior parte della poesia pura, in cui alcuna continuità non è visibile essendo per lo più una serie ingiustificata di interrompimenti senza una linea ed una direttiva che possa essere giustificata ed appoggiata dalla logica, deve essere giudicata inessenziale e perciò stesso arbitraria e quindi non poesia. Tutto al più per essa si potrebbe dire, che solo le immagini distaccate, di cui si compone ogni singola poesia, prese singolarmente sono poetiche, rappresentanti di uno stato poetico molto indeterminato persino nella coscienza del poeta, il quale non avendo visto bene nella sua stessa coscienza le ha abbandonate così, rappresentanti esclusive di un mondo frammentario.
*
20-Marzo 1936
Bellezza sovrumana alza in te i fianchi
e d’ardere desidera tutto il giorno
Noi nel nostro lavoro di poesia non facciamo altro che cercare di riattivare la scintilla del pensiero che in noi non par spenta perché ci dia riposo nel suo splendore sovrumano
molte parti
di me sono nel dolore infeconde alla poesia
Struttura delle mie poesie
Frammenti di vita
buttati così a caso
sulle liquide onde
fra terreni disseminati di pietra
sono le mie poesie,
mentre qualcosa che mi tiene per mano
mi spinge a vedere
montagne gloriose di case e d’uomini,
case e sostanze meravigliose,
terreni scoscesi e ripidi
dove passano a trotto i mulattieri
che scegliendo tra mille
sentieri uno solo
prima che sopraggiunga
coi suoi melliflui la notte,
Qualcosa di lucido intanto
scivola sul terreno,
brilla fra sabbia e fango,
fa belle le case dei poveri
e splende lontano
sull’altura invisibile.
I fantasmi poi dileguano
sulle liquide spume.
Di un oceano maestoso hanno l’aspetto
sempre diverso e sempre presente
la cui vena urge, disseta
i cavi assiepati dell’aria.
*
L’arte svela il tormento della vita e svelando lo rende sanabile
L’arte ha il compito di svelare il destino della natura e il significato
recondito delle cose
*
steso sul letto dei monti
sta all’aria libera guarda
le aperte campagne che gli fanno
sconfinato orizzonte da ogni parte
– non ha pace nel suo insonne dolore
sempre ripensa a quella
cui sperava il legare il suo destino
un giorno – felice amante
si prometteva d’essere sulla terra
come non lo era stato mai
alcun nato mortale – Si sentiva
promesso alla felicità d’ogni cosa.
Nella felicità sapeva sognare
il suo destino: ogni cosa credeva
creata per mantener quella sola
immortale – Così gli piaceva
fingere nel suo pensiero –
Forza avversa, contraria
non sapeva immaginare.
Discacciava ogni infelice cura
si parasse nella mente.
Eternamente gli sembra essere
legato a quella
eternamente invocava quella
che sopra tutte il suo cuore
di uomo prediligeva. E quante volte
gli piacque nella notte
chiamarla per nome – applicargli
i più dolci verseggiativi
che al cuore d’amante (…)
come se ignota mano
consentisse di tenerli celati
fino al punto in cui debbono
rimanere celati nella coscienza
per illuminarla di un subito bagliore
quale nessun’uomo sa immaginare
immaginarla in vastissima quiete
sognare i più dolci svenimenti
con lei e rimanendo discosti
in un / due punto / punti della notte – Tenendosi per mano (…)
di eventi indistinguibili
piombarsi addosso baciando
dirsi le più tenere parole
che mai amante avesse immaginato.
Quante cose gli piacque favoleggiare (…)
nella sua feconda mente
di vergine adolescente e di fanciullo. Arcano destino!
Era mille miglia distante
dagli eventi che pur oggi si compivano –
Non sapeva ancora di qual sciagura
lo volesse segnare il destino!
E così moriva abbandonato amante
da quella che compagna che lo respinse
con un amaro disegno
che compagna avea prescelto in vita cui aveva teso
con tutte le forze del suo desio
se la sorte avara non gli fosse stata
di quella che aveva chiesto
con ardente anelante cuore.
E pur (…) lo vedevan morire
compiere l’estremo disfacimento
del suo corpo esangue che non poteva più vivere
consumato dall’ingente sacrificio
che aveva perpetrato su di sé
attanagliato sempre da più e più vivaci
desideri.
Moriva abbandonato amante
lungi dai parenti e dai compagni
solo quanto può esser solo
colui che aspira agli infiniti
firmamenti dell’umano operare
al pensiero sopra tutte le forme.
(…)
Ascendere vuole a Dio
con tutte le sue forze
non deturpare
sulla macerie dei rimpianti
donde sarà difficile sollevarsi –
Tutto vuole lasciare sulla terra.
selvaggia vendetta
gridano gli istinti repressi.
Egli sta seduto al suolo su una sedia immobile
Senza potersi muovere:
al varco oceanico sono protese
tutte le sue forze
tutti i suoi aneliti discordi
vede a tratti passare
le forme i vulcani spenti
del suo desiderio grandioso:
aspettano di passare aldilà
con un’altra stretta
un subito bagliore
della sua coscienza
d’essere relegati nel buio
nel fondo della perpetua notte.
Ferve pugna sanguinosa oscena
Nei suoi istinti discorsi
Il suo sangue ferve rigurgita
Come l’anelito del mare.
*
Bisogna ritornare ai più piccoli valori morali ed edificare su di essi – se si vuole ricostruire secondo un modello di salvezza il mondo e far si che esso adesso sia uno specchio di salvezza.
La filosofia moderna idealistica (…) si dimostra fallace, quando tenta, mediante i valori da lei stabiliti, di ricostruire una visione estetica del mondo – Perciò è ben falsa.
Perché non può esistere una filosofia ed essere veramente vera se si oppone già colla sua semplice esistenza ad una ricostruzione estetica del mondo.
E ciò perché un paradiso immanente non può esistere.
Del pari la poesia se vuole essere veramente poesia, e non fare cioè il suo tempo come tutte le altre cose umane che dopo un periodo più o meno lungo si estingua decadono e muoiono –
Si deve guardare dal fare il benché minimo torto alle cose che la precedono ed in un certo senso la generano, se non vuole esporsi a sicuro rischio di morte. E quali cose precedono il mondo poetico se non gli effettivi valori umani, quelli cioè che hanno una solida ed indissolubile esistenza da per sé stessi cioè autoctonamente, essendo essi niente altro che raggio di Dio?
(…) Perché tutte le nostre cose siano durature ed abbiano un carattere di eternità come noi aspiriamo. (…) Ma in quale coraggio in quale forza noi recideremo e butteremo lontano da noi, quello la cui esistenza dà a noi un miraggio di cosa eternamente e non peritura che noi potremo raggiungere?
Come mai dunque rinneghiamo la nostra fede anche se la nostra debolezza ci consiglia di non metterla in pratica.
frammenti tratti da copie di quaderni manoscritti inediti risalenti al 1936, consegnateci dal fratello del poeta Avv. Francesco Calogero, e trascritti da Arianna Lamanna in occasione della tesi di laurea in Estetica sul poeta Calogero, presso l’Università di Firenze