Joseph Cornell (1903-1972), scatola delle ombre
.
Questa poesia del ’93 è un mirabile esempio di poesia rimasta senza parole:
Predrag Bjelošević
Аhi, sonetto
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(93.)
con la poesia postata sopra di Predrag Bjelošević, il poeta serbo è andato d’un colpo, al di là dell’avanguardia, l’ha scavalcata, ha ridotto il testo a una serie di crocette con segno più. E la poesia è fatta. È andato oltre per un semplice motivo: che OGGI non si dà più nessuna avanguardia e nessuna retroguardia, la sperimentazione che si fa nella poesia kitchen è FUORI da questi binari, è deragliata. Per sempre. Questo è un punto che contraddistingue la nuova poesia, comunque la si voglia nominare.
La poesia che si farà, se si farà, ne dovrà tenere conto.
(Marie Laure Colasson)
Una poesia inedita di Alfonso Cataldi
Reven è atterrata in una bolla di fieno e fiori profumati.
Scava il primo tunnel
all’uscita sorprende le velleità preindustriali della ruota.
“Cosa avrò sbagliato nella vita?”
Esterrefatta, Francesca separa i bianchi dai capi colorati.
“Non cadrà più la neve sulle agenzie immobiliari di nuova apertura”
si sbilancia il guardiano all’ingresso della città
che alza e abbassa la sbarra
su nessuno che entra e nessuno che esce.
Il massaggiatore spunta nei sottotetti esistenziali
porta con sé il lettino a valigia sempre carico
I residenti attendono la meraviglia della resa
della cecità che prepara il riscatto.
(31/12/2021)
Raffaele Ciccarone
Set 38
…
con le spalle rivolte
alla Fontana di Trevi
i poeti di Kitchen Poetry
lanciano monetine nella fontana
augurandosi un buon nuovo anno
un drone Kitchen dall’alto
scatta foto ricordo
Giorgio Linguaglossa
A proposito di alcuni enunciati standard
Posto qui alcuni enunciati standard che abbondano nei siti web e nelle comunicazioni via web. Si tratta di alcuni esempi di messaggi anisotropi, neutri, standard, impersonali, oggettivi, persuasivi, assertori, direi gentili della gentilezza di un linguaggio robotizzato, standardizzato, programmato. Si tratta di un linguaggio allo stato cristallino, sostanzialmente ambiguo ed eterodiretto che può essere interpretato in molti modi diversi a seconda delle sollecitazioni psichiche ed endopsichiche che intercettano.
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Così Treccani definisce la «anisotropia»:
«Proprietà per cui in una sostanza il valore di una grandezza fisica (velocità di accrescimento, indice di rifrazione, conducibilità elettrica e termica ecc.) dipende dalla direzione che si considera. Fenomeni di anisotropia naturale si manifestano nelle sostanze allo stato cristallino e mesomorfico, ma non nelle sostanze amorfe; fenomeni di a. artificiale possono prodursi in sostanze amorfe in conseguenza di determinate sollecitazioni: per es., un’a. ottica, che si manifesta nel fenomeno della birifrazione, può insorgere in alcuni vetri e in alcuni liquidi in conseguenza di sollecitazioni meccaniche o dell’azione di un campo elettrico.»
L’assimilazione di questo genere di linguaggi in un testo poetico o narrativo è un fenomeno del tutto naturale che si verifica in modo inconscio in ogni istante della nostra vita di relazione. Ovviamente, in un testo poetico plurilingue e pluristile questi linguaggi vengono, per così dire, messi in vetrina, esposti alla visibilità, cioè, esposti alla verificazione e alla falsificazione, vengono cioè demistificati nei loro contenuti ipoveritativi e meramente strumentali.
È per queste ragioni che, ad esempio, nei miei testi poetici impiego (cito) questo tipo di messaggi comunicazionali, per esporli nella loro nudità, esporli nella loro falsa coscienza.
È per queste ragioni che questo genere di enunciati si possono rintracciare in gran quantità nella poetry kitchen di vari autori.
“Lo strumento fondamentale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se puoi controllare il significato delle parole, puoi controllare le persone”, ha scritto Philip K. Dick, talento visionario del romanzo fantascientifico.
L’epoca del Covid segna fine del post-moderno. Le parole imbruttite, le parole smargiasse e ipoveritative che pronunciano i politici italiani e le massaie di pordenone, le parole erranee dei filosofi italiani (Cacciari e Agamben), le parole dei cabarettisti dei media e delle televisioni a pagamento pubblicitario, le parole pubblicitarie, le parole zambracche stanno seminando una zizzania malefica e obbrobriosa. La Commedia kitchen è appena agli inizi, è appena agli indizi.
Ha scritto Umberto Eco:
«L’avanguardia storica (come modello di Modernismo) aveva cercato di regolare i conti con il passato. Al grido di Abbasso il chiaro di luna aveva distrutto il passato, lo aveva sfigurato: le Demoiselles d’Avignon erano state il gesto tipico dell’avanguardia. Poi l’avanguardia era andata oltre, dopo aver distrutto la figura l’aveva annullata, era arriva all’astratto, all’informale, alla tela bianca, alla tela lacerata, alla tela bruciata, in architettura alla condizione minima del curtain wall, all’edificio come stele, parallepipedo puro, in letteratura alla distruzione del flusso del discorso, sino al collage e infine alla pagina bianca, in musica al passaggio dall’atonalità al rumore, prima, e al silenzio assoluto poi.
Ma era arrivato il momento in cui il moderno non poteva andare oltre, perché si era ridotto al metalinguaggio che parlava dei suoi testi impossibili (l’arte concettuale). La risposta postmoderna al moderno è consistita nel riconoscere che il passato, visto che la sua distruzione portava al silenzio, doveva essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente.
Se il postmoderno è questo, è chiaro perché Sterne o Rabelais fossero postmoderni, perché lo è certamente Borges, perché in uno stesso artista possano convivere, o seguirsi a breve distanza, o alternarsi, il momento moderno e quello postmoderno. Si veda cosa accade con Joyce. Il Portrait è la storia di un tentativo moderno. I Dubliners, anche se vengono prima, sono più moderni del Portrait. Ulysses sta al limite. Finnegans Wake è già postmoderno, o almeno apre il discorso postmoderno, richiede, per essere compreso, non la negazione del già detto, ma la sua citazione ininterrotta».1
1 Umberto Eco, Di un realismo negativo, in Bentornata realtà, a cura di Mario De Caro e Maurizio Ferraris, Torino, Einaudi 2012
Chiedo: ma veramente il postmoderno è finito là dove comincia il Covid?
Con il Covid è finito il postmoderno. E con il postmoderno è finito un certo modo di considerare il passato, cioè la tradizione… ed è finito anche un certo modo di guardare il futuro. Nell’epoca presente c’è qualcosa che ci sfugge, come sfugge ai radar dei filosofi della «libertà», Cacciari e Agamben. Ebbene, la loro filosofia non è più in grado di leggere il presente, parlare del Green Pass come di un passaporto sovietico per il controllo dei cittadini mi sembra una enormità, io mi sento privato della mia libertà dal Covid, non dallo strumento di protezione denominato Green Pass. Ma se Cacciari e Agamben avessero letto un poeta come Predrag Bjelošević si sarebbero accorti che il poeta serbo da almeno venti anni parlava di «buio», tutta la sua poesia ruota intorno a questa macro metafora per spiegare il nostro presente. Viaggiamo, camminiamo, ci scambiamo strette di mani e insulti ma nel «buio», siamo semplicemente nel «buio», dove non c’è filosofia che ci possa illuminare. E la poesia non può fare altro che indicarci la necessità di un altro paio di occhiali e magari l’aiuto di una torcia elettrica: occorre vedere bene, molto bene il «buio», guardarlo bene in faccia. E la poetry kitchen, se ha ancora senso parlare di poiesis, scommette tutta la propria integrità nello scandaglio di questo «buio».
PROMEMORIE
Arrivano col silenzio della condotta sottomarina.
Un contatore sussurra all’altro.
E dunque che dire a una nuvola impigliata?
Cosa opporre alle grida di cipolla nel vicolo di fornello?
Povero fratello. Scuoti il pino e non sai la pass dell’ago.
Ce n’è per le antenne che ridono dei corvi.
Beato chi conosce l’accesso alla buccia e il buongiorno dell’ arancia.
Qualcuno dall’altro capo del gomitolo sfila la lana dal gilè.
Oh nudità di bosco, il rubinetto scola l’ Antartide
in un caveau dell’ Amazzonia.
L’altro anno vendevano il ‘900 in bottiglia
e il bello fu di ritrovarla in bocca a Monna Lisa.
Tolto quello rimase un filetto di merluzzo.
Il fumo delirava sul congelatore e che dire dei camini?
La memoria si lasciò andare ad un salasso di neuroni
ma cantava ancora quando cambiò l’olfatto
con qualcosa di presentabile a una tastiera.
Una rosa rossa che muovesse le spine
come artigli di leopardo. Ma più televisiva.
(Francesco Paolo Intini)
a Francesco Paolo Intini e alla sua poesia indirizzo questa riflessione
La cultura è kitsch, spazzatura e la poetry kitchen è conseguente ai suoi assunti: assume la spazzatura a proprio contenuto.
La cultura è kitsch, spazzatura e l’arte ne dipende come la nettezza urbana dall’immondizia. Parlare di contenuto di verità a proposito dell’arte moderna è come parlare di ircocervi dello spirito. L’oggetto dell’estetica è qualcosa che non sta né qua né là, e l’arte non ha modo di acciuffarlo se non con l’accalappiacani o l’acchiappafarfalle. In ciò, il concetto di arte è affine a quello delle nuvole, è un concetto rarefatto, un concetto meteorologico.
L’arte che vuole essere fondazionale, si ritrova ad essere funzionale, perché l’arte non fonda più alcunché tranne la propria metessi con lo spirito fatto di ircocervi. Così, l’arte scopre la propria natura meteorologica e merceologica. L’arte suprema è la forma suprema di merceologia dello spirito. L’arte suprema di Baudelaire ha mostrato che quella «Promesse du bonheur» che essa promette è, in realtà, una truffa, in quanto nella società delle merci essa è sempre meno sicura della propria esistenza e della propria sopravvivenza. L’arte però risponde alla propria insussistenza con il ritorno del rimosso, ripresentando ogni volta quella promessa fedifraga sapendo della menzogna, ma tacendola. Ed ecco come il silenzio si insinua nella sua struttura con il ritorno del rimosso. Baudelaire ci ha mostrato in maniera indiscutibile quanto quella «Promesse du bonheur» sia una truffa dello spirito servile e quanto la pacchianeria sia vicina all’arte nella sua più alta forma di espressione.
Esplorare la potenza del linguaggio, i suoi enunciati, le sue espressioni vuol dire indagarne il potere propriamente in-significazionale. L’assioma secondo il quale compito del discorso poetico è la sua capacità portarci vicini alle cose, all’essere stesso si rivela un inganno, un effetto ottico del soggetto che indossa gli occhiali della intenzione significante.
È proprio questo il punto.
Infatti, il linguaggio poetico kitchen mina l’intenzione soggettiva, de-stabilizza il «luogo del soggetto», la poesia kitchen segue il segno fin dove esso marca l’esplosione del linguaggio verso l’altro da sé, la sua apertura. Questa esplosione è il proprio della pratica kitchen, mostra l’assurdo, il fuori-luogo del «dire». Il luogo di questa esplosione è appunto il discorso poetico kitchen, lì infatti il linguaggio sfugge sempre a sé stesso e ci sfugge, e tuttavia è anche il luogo dove viene a sé stesso, il luogo dove il linguaggio mostra la sua incomprensibilità e la potenza del dire, mostra di dover tacere davanti a ciò che dice e di dover continuare a dire. La funzione ontologica del linguaggio originata dalla intenzione significante del soggetto, è questa assiomatica che la poesia kitchen deve ad ogni costo smobilitare e de-pauperare, è proprio l’intenzione significante che deve essere annichilita, altrimenti si ricade indietro nel «luogo del soggetto» e delle sue perifrasi, dei suoi enunciati sibillini.
Esplorare la potenza del linguaggio, i suoi enunciati, le sue espressioni vuol dire indagarne il potere propriamente in-significazionale. L’assioma secondo il quale compito del discorso poetico è la sua capacità portarci vicini alle cose, all’essere stesso si rivela un inganno, un effetto ottico del soggetto che indossa gli occhiali della intenzione significante. È proprio questo il punto. Infatti, il linguaggio poetico kitchen mina l’intenzione soggettiva, de-stabilizza il «luogo del soggetto», la poesia kitchen segue il segno fin dove esso segna l’esplosione del linguaggio verso l’altro da sé, la sua apertura. Questa esplosione è il proprio della pratica kitchen, mostra l’assurdo, il fuori-luogo del «dire». Il luogo di questa esplosione è appunto il discorso poetico kitchen, lì infatti il linguaggio sfugge sempre a sé stesso e ci sfugge, e tuttavia è anche il luogo dove viene a sé stesso, il luogo dove il linguaggio mostra la sua incomprensibilità e la potenza del dire, mostra di dover tacere davanti a ciò che dice e di dover continuare a dire. La funzione ontologica del linguaggio originata dalla intenzione significante del soggetto, è questa assiomatica che la poesia kitchen deve ad ogni costo smobilitare e de-pauperare, è proprio l’intenzione significante che deve essere annichilita, altrimenti si ricade indietro nel «luogo del soggetto» e delle sue perifrasi, dei suoi enunciati sibillini.
Gino Rago
*
Bubù de Montparnasse fa il gigolò
con l’amante di Jean-Luc Nancy
Domani torno a Paris avec Madame Batignolles
aspettami alle Tuileries
scrive madame Fru-frù all’ispettore Poirot
bisogna arrestare il poeta Iacopò Ricciardì
e tutti gli altri della kitsch poetry
*
Sul notturno Roma-Paris
Ne pas se pencher au dehors
dice Madame Colasson all’uccello Pettì
Un talebano dice Ohibò al pappagallo Totò
e fa la pipì sulla moquette del wagon-lit
Si salvi chi può dice da un oblò
il Presidente Biden al nano Cocò
*
A Parigi, sotto la finestra dell’atelier
di Marie Laure Colasson
in Rue du Lapin, près du marché aux puces,
un tenente de ll’Armée Française,
Edition par Lucien Rousselot,
arresta la danseuse Etoile de l’Opéra.
*
Giorgio De Chirico guida il taxì,
Marcel Duchamp espone l’orinatoio a Trinità dei Monti
Ennio Flaiano ci fa la pipì,
prende al volo un colibrì
Lucio Mayoor Tosì entra nel “Notturno” di Madame Colasson
e invita l’uccello Pettì al Caffè de Paris
(i miei complimenti a Mauro Pierno!)
mauro pierno
12 settembre 2021 alle 14:39
Hai tratto delle strane conseguenze. Fin troppo ammorbidente nelle proiezioni, nei panni sporchi.
Stasera del resto resti immobile. E di Milaure la concezione immacolata ha la crema chantilly.
La porporina Covid ha soppiantato la lotta di classe,
la scala mobile e tutte le torte Sacher.
Eppure dopo il terzo tentativo la sorpresa divenne un placebo da undici settembre. Milaure,
tu si che sapresti cosa dire, cosa fare e a che ora spegnere, col tentativo estremo, le parole.
🤹🤹🤹😉💐
T.W. Adorno
Sul concetto di «Nuovo»
“Gli argomenti contro l’estetica «cupiditas rerum novarum», che così plausibilmente possono richiamarsi alla mancanza di contenuto di tale categoria, sono intrinsecamente farisaici. Il nuovo non è una categoria soggettiva: è l’obbiettiva sostanza delle opere che costringe al nuovo perché altrimenti essa non può giungere a se stessa, strappandosi all’eteronomia. Al nuovo spinge la forza del vecchio che per realizzarsi ha bisogno del nuovo… Il vecchio trova rifugio solo nella punta estrema del nuovo; ed a frammenti, non per continuità. Quel che Schömberg diceva con semplicità, «chi non cerca non trova», è una parola d’ordine del nuovo […] Quando la spinta creativa non trova pronto niente di sicuro né in forma né in contenuti, gli artisti produttivi vengono obbiettivamente spinti all’esperimento. Intanto il concetto di questo (e ciò è esemplare per le categorie dell’arte moderna) è interiormente mutato. All’origine esso significava unicamente che la volontà conscia di se stessa fa la prova di procedimenti ignoti o sanzionati. C’era alla base la credenza latentemente tradizionalistica che poi si sarebbe visto se i risultati avrebbero retto al confronto con i codici stabiliti e se si sarebbero legittimati. Questa concezione dell’esperimento artistico è divenuta tanto ovvia quanto problematica per la sua fiducia nella continuità. Il gesto sperimentale, nome per modi di comportamento artistici per i quali il nuovo è vincolante, si è conservato; esso però indica ora un elemento qualitativamente diverso… indica cioè che il soggetto artistico pratica metodi di cui non può prevedere il risultato oggettivo”. “la categoria del nuovo è centrale a partire dalla metà del XIX secolo – dal capitalismo sviluppato -“. “L’oscuramento del mondo rende razionale l’irrazionalità dell’arte: essa è la radicalmente oscurata”. “Nei termini in cui corrisponde ad un bisogno socialmente presente, l’arte è divenuta in amplissima misura un’impresa guidata dal profitto” .1
1 T.W. Adorno, Teoria estetica, Einaudi trad. it. 1970, pp. 32,33
di Maria Rosaria Madonna
La soggettività non è mai «autentica», è sempre impura, contaminata; fin dall’inizio è impregnata di impersonale, perché solo la lingua pubblica (cioè di nessuno, arbitraria e presoggettiva) le offre i dispositivi grammaticali per formare l’“io”, Lacan: «Lalangue sert à de toutes autres choses qu’à la communication». Il pre-individuale precede la soggettività, ergo la lingua del pre-individuale è più vera di quella della soggettività
la pratica poietica kitchen serve a far emergere, seppur in modo obliquo e in controluce, il punto cieco di ogni significazione. È la différance dal significato ossificato che serve alla pratica decostruttiva del testo della tradizione. La decostruzione della tradizione non vuole semplicemente svelare dietro alla storia del senso l’operare silente di una traccia rimossa, non è un’operazione che ha come fine quello di porre il problema della différance, è esattamente il contrario: è porre il problema della différance dalla tradizione, è l’evocarla e il mettersi sulle sue tracce che ha il proprio fine; la de-costruzione della tradizione è intesa come ethos che sospende i significati ossificati per non frequentarli in modo irriflesso. La torsione diventa ripescaggio di frasari del registro convenzionale; mettersi sulle tracce della tradizione scomparsa è un espediente pratico-poietico Questo pensiero della pratica poietica è un esercizio di torsione, la si riconosce per il suo fare, le sue procedure, il suo orizzonte di fuori-senso.
in un articolo degli anni Dieci intitolato “Sull’interlocutore”, Mandel’stam, fa una notazione geniale, dice questo: che uno non si sognerebbe mai di accendere una sigaretta dalla fiamma della lampada ad olio in quanto, molto più semplicemente siamo abituati ad accendere la sigaretta dalla fiamma di un accendisigari. Questo Mandel’stam lo dice per far capire che noi nella vita di tutti i giorni seguiamo delle abitudini gestuali e linguistiche senza che ce ne avvediamo, che diamo per scontate, seguiamo in maniera inconscia certi gesti e usiamo certe frasi in maniera inconscia in base a «credenze» (Ortega y Gasset) e a quelle che Heidegger definisce «precomprensioni».
Analogamente, avviene in poesia. Noi scriviamo in base a delle «credenze» linguistiche, a delle convenzioni stilistiche e a delle «precomprensioni» di modi di scrivere che abbiamo già letto e digerito nella memoria; si tratta di atti memorizzati che compiamo «naturalmente», in modo irriflesso.
Quello che mi colpisce con favore è che i nuovi poeti cechi non scrivono più in base alle «credenze», alle convenzioni stilistiche, alle abitudini linguistiche invalse ma che cerchino nuovi modi, nuove modalità linguistiche e stilistiche, più «normali», più vicini alla sensibilità della lingua naturale che parliamo ogni giorno. E questo lo ritengo un valore inestimabile, il linguaggio poetico deve scendere dal suo piedistallo e portarsi verso la comunità, sì, magari diventare un po’ pop. Insomma, deve entrare in cucina, aprire il frigorifero e vedere cosa c’è da mangiare oggi. La soggettività è la fame di qualcosa, è qualcosa di linguisticamente articolato, è letteralizzazione di fonemi in una «voce» in un linguaggio e in una polis. L’uomo può fare esperienza delle passioni soltanto mediante il linguaggio e la polis, due luoghi che dispiegano la sua dimora etica, luoghi che non confinano in alcun principio ineffabile bensì nel linguaggio che abita l’uomo il cui luogo è nella articolazione fra linguaggio e polis.
La poetry kitchen con le sue varianti fa esattamente questo, si comporta come il virus Covid che produce sempre nuove varianti, è una poesia pop: si rivolge al pubblico, vuole essere assimilata prima che compresa, vuole che il pubblico se ne appropri, e la dimentichi. La condivisione non interessa alla poesia kitchen; kitchen è una modalità, non una assiologia, è una possibilità del linguaggio, una fantasy, una fantasizzazione non una realizzazione, non sta dalla parte del reale, ma da quella dell’Anti-reale.
Francesco Paolo Intini
GIROTONDO QUASI OBLIQUO
Tutti intorno all’uomo nero.
Toh! Ecco un attimo di giornata,
trancio di tonno e chiusura lampo
è la mazurka di periferia…
E dunque la donzelletta vien dalla campagna.
Bella. Dolce e chiara la chioma di polpessa
E quest’è! Una lettera di presentazione.
Il curriculum di poeta o la chimica del Plutonio?
Hai fatto il master?
A cosa t’è servito il ginger?
Un Munch e due Van Gogh per penitenza
e dopo due molari un canino cariato.
Oppie apre un varco nella Bastiglia. Boletus Satana
senza riguardi per Cappuccetto Rosso.
Dov’è il lupo cattivo? E Gay-Lussac?
Einstein in porta. Filini tira al pioppino
Meglio se trifolato.
Meglio se occhialuto e palombaro.
Rimetti l’Artico al suo posto che poggio i piedi.
Ora sen va per l’Adriatico, un pied-à-terre il porto di Bari
Sbarcano Fantocci, saranno in mille, di sicuro a cento all’ora.
Nel blu dipinto di …fiu
Ulisse vide i proci mangiarsi gli archi
Cocca al dente e freccia del tempo.
Non c’è ordine a Itaca.
La punta si fa il giro del palazzo. Punge Polifemo
il sangue all’ occhio per un calcolo di millesimi.
La maggioranza al colesterolo.
Due o tre piume sollevano un coso ad Alamogordo.
Un Chianti un po’ più amaro in una botte.
Che colpa ha uno spaghetto scotto?
E l’elettrone rispetto al positrone?
“Il navigatore italiano è giunto nel nuovo mondo
E gli indigeni?
Ottima la pasta al dente.
Anche la melanzana è cotta e fritta.
giorgio linguaglossa
11 agosto 2021 alle 9:43
Potremmo definire la poetry kitsch di Francesco Intini come archeologia anarchica della superficie kitsch del mondo di oggi. Ecco la formula di Intini Kitsch + Caos = Anarchia – La lalangue di Intini proviene dalla Immaginazione e dalla fantasizzazione, non dalla mente, così l’autore è, giuridicamente, inimputabile perché sottratta alla categoria giuridica della imputazione che sottende tutto il nostro vocabolario; inimputabile in quanto proveniente da un soggetto «incapace di intendere e di volere». Come noto, i pazzi sono inimputabili, e perciò non possono essere giudicati in base alle norme sanzionatorie del codice penale. È una strategia di sopravvivenza delle parole che si vogliano sottratte alla categoria della imputabilità. Le parole diventano kitsch e basta, cessano di funzionare secondo il referente di turno in quanto funzionarie della imputazione e della logica giuridica della semantica, e così ritornano libere e volatili. L’Anarchia delle parole inimputabili salverà il mondo. Questo è il motto di Intini.
«È nel linguaggio e mediante il linguaggio che l’uomo si costituisce come soggetto; poiché solo il linguaggio fonda nella realtà, nella sua realtà che è quella dell’essere, il concetto di “ego”. La “soggettività”di cui ci occupiamo in questa sede è la capacità del parlante di porsi come “soggetto”. Essa non è definita dalla coscienza che ciascuno prova di essere se stesso (nella misura in cui se ne può dare conto, tale coscienza non è che un riflesso), ma come l’unità psichica che trascende la totalità delle esperienze vissute che essa riunisce, e che assicura il permanere della coscienza. Noi riteniamo che questa “soggettività”, che la si consideri da un punto di vista fenomenologico o psicologico, non importa, non è altro che l’emergere nell’essere di una proprietà fondamentale del linguaggio. È “ego” chi dice “ego”. In ciò troviamo il fondamento della “soggettività”, che si determina attraverso lo status linguistico della “persona”».1
1 E. Benveniste, Problemi di linguistica generale, tr. it., Il Saggiatore, Milano 1994, p. 312.
Sfondare porte, aprire scatole, imbarcare acqua,
otturare falle.
Le banconote con le effigi di topolino. Con topolina per le quote rosa. Un solo conio.
A favore di telecamera l’onorevole alla buvette beve un caffè, in piazza del Parlamento la Senatrice.
Non nominare il Suo Nome Invano.
Nella circonferenza il pigreco tiene.
Grazie OMBRA.
.
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