Scrivere una poesia priva di identità. È questo uno dei compiti della «nuova poesia». Alfredo de Palchi, come tutti i poeti dell’epoca del post-moderno, ha perseguito una poesia della identità, dalla identità fortemente definita, ma oggi forse siamo entrati in un nuovo eone, ci viene richiesto di fare una poesia senza carta di identità, senza indirizzo del mittente e del destinatario.
Forse oportet insegnare ai poeti a non essere un poeta, che la poesia è una pratica di vita, forse la più alta e astratta, che da essa possiamo imparare a seguire le nostre passioni, le nostre inquietudini, che essa è un’etica proprio in quanto esula dall’etica, o è vero il contrario, che l’etica viene prima dell’estetica, perché essa ha a che fare con il «sacro», con il recinto, il «versus», il recursus delle parole che abitano la patria metafisica. E un poeta non può tradire le sue parole (ma le parole, sì, le parole lo possono tradire).
Oserei dire che la nuova poesia è un tentativo radicale di costruire una nuova ontologia modale, un nuovo modo di porsi tra il linguaggio e il mondo. Una sola sostanza per tutti gli attributi. Fantasia e realtà, dopotutto, sono fatti della medesima sostanza, no? Forse, davvero, dobbiamo tornare a pensare che tutto è sostanza, e tutto è fantasia. L‘ idea di Agamben della possibilità che la nostra vita plasmi l’archetipo sulla base del quale siamo stati creati, dice con tutta evidenza l’importanza assegnata dal filosofo al principio poetico dell’immaginazione. E dato che non vi è memoria senza immagine e senza immaginazione, come ci ricorda Agamben per il tramite di Aristotele, la storia dell’umanità è sempre una storia di immagini e di fantasmi, più precisamente, è vero il contrario di quanto comunemente si crede: è la realtà che viene edificata tramite l’immaginazione poetica.
(Giorgio Linguaglossa)
Per il 93° compleanno di Alfredo de Palchi, Parte IV
Alfonso Cataldi
«A rivederci dalla balaustra al ginocchio
sulle intenzioni pre-matrimoniali.»
L’incipt è disdicevole, si vocifera nei portierati, più dello strapiombo reale
tra il leggìo e le parole in decantazione.
Sul lato di via San Barnaba il procuratore capo distribuisce volantini
“vietato sporgerti se non sei degli anni 30”
Meno slanciati, certo, ma tutti ritiravano
le uova cautamente allo sportello del new deal.
«Giacomo è tardi, andiamo a fare la doccia»
«La doccia no, preferisco a spezzatino»
col corpo in equilibrio sulla trave
in equilibrio sulla calce che bolle
Anas Al-Bashar sbilenca il cravattino
e prepara il piano terra per i futuri sposi.
“Deontologia professionale” insiste il picchetto antistante
l’onore e l’ossobuco sfrigolanti. Col naso all’insù
il cinghiale inciampa al primo tormentone del bozzagro
appena fuori città.
Luciano Nota
Nessuno al mondo è rondine
Poggia il sesso sul rizoma delle felci
e muori eiaculando sulla linfa
affinché tu rinasca sulle acque dell’oceano.
E parla d’amore, dei sogni revocabili
dello spazio nelle stanze perpendicolari.
Non chiedere la primula al primo passante
a chi transita granitico sulla festa della vita.
Nessuno al mondo è rondine
ma strascico del proprio cammino.
Sii il silenzio dell’essere definito
nascosto per essere visto
da un occhio e da un tormento profumato.
(da Intestatario di assenze, Campanotto, Udine, 2008)
Giuseppe Gallo
Zona gaming 22
per A. De Palchi
Nessuna certezza…
Ancora senza isole…
Il gabbiano, escrescenza arcaica,
gesticola sul cratere spirituale.
Ovunque bocche sbilanciate a mordere
vesciche d’alghe.
Esistere significa. Annerire il cielo.
Capovolgerlo come uno specchio.
Zona gaming
…it’a macht…
A volte il nostro nihil
per un cavallo zoppo.
Per la sua bocca a fico d’India.
Per il fruscio di un cyborg.
Avevo uno zio. Si chiamava Alfredo.
Finse un suicidio d’amore.
Zona gaming
… it’ a macht…
Non esistere significa.
Stringiamo al petto croci di cioccolata.
-Scopri l’infinito!
-Fai un carico di energia!
-Scegli la tua destinazione!
Il trionfo della spazzatura * (E. Montale)
Cos’è la vita? Nessuna certezza.
Abbaglio di isola nell’occhio distorto del gabbiano.
Zona gaming
… it’s a macht made in heaven…

sabino caronia
Sabino Caronia
La prima stella
Nel cielo terso
come di zaffiro
la prima stella
guarda sul giardino,
al tramonto del sole.
Siede lassù,
solitaria e lontana,
oltre il pino
l’alloro e la mortella,
il bianco e il giallo interno
delle calle.
Il domani sin d’ora
morde il freno
dietro l’osceno buio
che invano s’illudeva
di prenderci alle spalle.
L’inverno intanto,
urlando più lontano,
agita il mare
e sospende nell’aria
immobili gabbiani
sulla distesa immensa.
Veglia nella notte
la sentinella
anelando al mattino,
eterno,
che verrà.

Guglielmo Aprile
Gugliemo Aprile
Parlo a occhi chiusi
Forse anche chi mi vede passare su queste strade
ripenserà a un Cristo portacroce
di scuola fiamminga,
almeno dall’abnegazione con cui
sbuccio lampadine da cento watt,
fino a che assumano un aspetto in tutto simile
a un ippodromo alla vigilia
di un intervento di appendicectomia
(chi ama palpare superfici bombate
può capirmi sa bene di cosa parlo),
parlo a occhi chiusi parlo a carte scoperte,
la colpa è sempre delle infermiere e dei loro modi spicci
se i ricoverati raccontano così spesso
di aver sognato un foglio bianco tagliuzzato in tante strisce sottili;
le altalene non vedono l’ora di essere srotolate,
i dirigibili ammaestrati aspettano nelle piscine
di esibirsi nel loro numero preferito,
i passanti si affacciano a turno alla mia finestra
e guardano all’interno con occhi vuoti
inquietanti come le espressioni di certi pesci tropicali,
bambini staccano nel sonno
le pinne pettorali alle grandi mante oceaniche;
parlo a nastri bucati parlo a molti strati,
gli alberi sembrano stupiti di trovarsi sui due lati di questo viale
come quel celebre nuotatore d’acqua dolce
quando riemergendo si rese conto
che con le pinne andava molto più veloce –
parlo a peso morto parlo a salve,
devo fare qualcosa
perché il sole non termini il suo idrogeno
e non vanifichi anni di giardinaggio.
Mauro Pierno
Tuca tuca le soglie
tuca tuca la notte a tutte le voglie,
una carezza sui morsi. Signorina?
sgargiante! Una camicia ledyntermittente,
per uno amico lontano che manco conosco.
Ne ha sentito parlare?! Tuca tuca la fronte,
le spalle, il bacino.
Tuca tuca una vita.
NEL TEMPIO ( SENZA ASSASSINI )
In fondo all’elisir c’era un giorno obliquo, con una finestra cieca. Affacciata a un cielo stretto e lungo, gremito di Van Gogh.
Col farmaco sbagliato, alto sulle terrazze.
Vivevo in quell’errore. Fra il codice delle foglie morte, e i sorrisi della Gioconda. Con una chitarra straniera e due angeli appassiti.
Mia madre scompariva a tratti, nelle ferrovie.
La sottana affamata mi scacciò dal tempio. Le spose si degradavano lungo i fiumi, pallide e felici da far paura.
Tutto ricadeva nel teleschermo, senza pena. I morti sostenevano i grattacieli.
Un sax lottava con l’amore.
In primavera rifiorirono gli addii del museo. Entrai in quel sogno. La Bestia e la Dea sedevano al centro, in forma di donna-ragno. Per amarla attraversai il corallo, lasciando l’anima in un oscuro singhiozzo.
La sposa mi chiamava dalla porta-finestra. Con una mezzanotte eterna e molti serpenti. Disse che mi aspettava sulla quinta strada. Assediata dalla giungla morta.
Seguii il pensiero aperto dalle polveri. Un istante d’oro in un cielo a lutto.
Lei mi aspettava fra statue di vento. Disse che non poteva più seguirmi.
Che non poteva lasciarmi. Che era pazza d’amore. Che il dolore era l’entrata.
Che i morti mentivano. Che avremmo lasciato uniti la mente sbagliata. Che ricordava tutto. Che eravamo altro. Che eravamo…
Claudio Tugnoli
recensione a Emanuele Severino, La potenza dell’errare. Sulla storia dell’Occidente, Rizzoli, Milano 2013
Il volume si apre con un’analisi della poesia di Dante e Leopardi, in base all’assunto che la poesia può essere compresa nella sua essenza
solo se messa in relazione alla lotta contro il dolore, perché «all’origine la poesia appartiene al gesto essenziale che l’uomo compie contro il dolore e la morte» (p. 15).
La poesia è parte del rimedio essenziale nella dimensione originaria della festa, la quale comprende in se stessa quel che in seguito sarebbe diventato canto, mito, rito,danza, poesia, arte, sapienza, saggezza, filosofia, tecnica e scienza. Nel suo significato originario, pienamente dispiegato all’interno della
festa, la poesia esprime la potenza del rimedio del dolore e della morte. Ma separata dalla festa, la poesia è destinata a indebolirsi nella forma del godimento estetico e a subire la richiesta insensata di dimostrare la propria necessità. La poesia, tollerata a stento nelle sue espressioni più persuasive, è tuttavia degradata a prodotto discutibile dell’ozio improduttivo o di psicopatie più o meno conclamate. L’etimo di poesia, osserva giustamente Severino, mostra come nella sua essenza originaria essa sia ben altro.
Poíesis significa produzione;infatti la poesia è produzione come tutti gli altri componenti della festa. Che cos’è la festa? «La festa è il primo rimedio contro la paura del dolore e della morte perché è l’immagine della lotta umana contro di essi» (p. 17).
L’immagine permette quel distacco, quel sollevarsi al di sopra di ciò di cui è immagine – il dolore, la morte – che fa sentire già vincenti e salvi.
Dante all’inizio dell’Inferno dice che la paura della morte è ancora più amara della paura suscitata dalla consapevolezza di essersi allontanato dalle leggi divine. In sostanza, per Dante «la paura che è vinta dalla festa è più originaria e angosciante della paura di chi, ormai all’interno del regno della ragione e della fede cristiana ha «paura» perché si è allontanato dalle leggi divine, dalla «diritta via della salvezza» (p. 17).
Leopardi però non può consolarsi con la speranza di uscire dalla selva e di salvarsi. Infatti «la ginestra è il poeta stesso; il «poeta» è insieme il «filosofo»; il «genio» è l’unità di poesia e filosofia, e questa unità è lo stato più alto che l’uomo può raggiungere prima di essere afferrato dal nulla della morte (e dopo che la tecnica ha invano tentato di salvarlo)» (p. 18). Severino ha dedicato tre libri all’analisi della poesia pensante o pensiero poetante di Leopardi (Il nulla e la poesia. Alla fine dell’età della tecnica, 1990;
Cosa arcana e stupenda. L’Occidente e Leopardi, 1997; In viaggio con Leopardi. La partita sul destino dell’uomo, (2015).
La festa arcaica vuole essere il rimedio contro il terrore del nulla, della morte, del dolore; essa cerca di accrescere la potenza del rimedio. La volontà della festa di diventare sempre più potente come rimedio contro l’angoscia del divenire inteso come annientamento, si prolunga lungo i secoli fino ai nostri giorni, finché oggi si presenta nella sua ultima espressione: la tecnica. La festa però s’indebolisce dal momento in cui il potenziamento dell’immagine festiva si svolge secondo due direttrici: del contenuto dell’immagine e della forma, il modo in cui l’immagine esprime il contenuto.
Tale sdoppiamento comporta un indebolirsi dell’originaria potenza festiva. «Il potenziamento del contenuto, spiega Severino, è il sorgere e l’articolarsi di ciò che sarà chiamato arte, poesia, tecnica. Gli abitatori originari della casa festiva tendono a separarsi e la separazione diviene violenta e irreparabile quando il contenuto sapienziale del mito non sa resistere alla propria volontà di sapienza e diventa lógos, ragione, filosofia» (p. 19). La volontà di sapere nel mito diventa intransigente, perché vuole la salvezza e pretende quindi un sapere che non dubita, irrefutabile, incontrovertibile; la volontà di sapere deve quindi volgersi alla verità della filosofia, a ciò che si manifesta in chiara evidenza. Il mito si separa dalla festa e la verità nel suo senso radicale si separa dal mito. E così tutti gli elementi che si sono separati dall’unità originaria della festa (arte, poesia, tecnica,sapienza) s’indeboliscono nella loro capacità di salvare dal dolore e dalla morte.
Dante scrive la Commedia solo per testimoniare in una forma speciale un contenuto di verità che è già depositato nella tradizione? Dante in realtà non mette in pratica e non agisce come poeta in base a ciò che pensa della poesia, in cui vede solo una «bella menzogna»; non si limita a esprimere un contenuto dottrinale, il cui potere salvifico è garantito dalla tradizione e dall’insegnamento della Chiesa. Dante va oltre, recuperando e celebrando la dimensione della festa che salva.
Ma rinnovando la festa che salva, producendo la nuova immagine salvifica della festa, Dante ha inferto un duro colpo alla tradizione.«Che Dante scriva la Commedia significa cioè che per lui la grande sapienza della tradizione greco-cristiana e la stessa vita a essa conforme hanno una potenza salvifica
inferiore a quella della dimensione dove la verità e la vita adeguata alla verità sono il contenuto del canto e della poesia» (p. 21).
La veste poetica conferisce al contenuto una potenza salvifica molto superiore a quella posseduta dal nudo contenuto di verità. Dante promuove così una riunificazione festiva di poesia e filosofia. L’insegnamento ufficiale contenuto nel messaggio cristiano, tuttavia, non prescrive di ricostituire l’unità del regno di Dio e della poesia.
https://www.academia.edu/18920260/Recensione_e_commento_di_Emanuele_Severino_La_potenza_dell_errare._Sulla_storia_dell_Occidente_Rizzoli_Milano_2013?email_work_card=thumbnail
L’ha ripubblicato su RIDONDANZEe ha commentato:
Tuca tuca…