Anamnesi sulla genesi delle mie poesie kitchen
Su invito di Giorgio Linguaglossa, provo a spiegare la genesi di questi dieci testi inediti e il loro sviluppo. Innanzitutto, parto da un commento lucido di Lucio Mayoor Tosi di qualche mese fa a dei miei testi che più o meno diceva così: “Mi pare che le poesie di Alfonso Cataldi, a differenza di altri poeti kitchen, si basino su fatti realmente accaduti”. In genere è esattamente così: scrivo partendo da esperienze reali, anche se poi gli eventi e i personaggi vengono strattonati, dirottati e boicottati dopo pochi versi. In questo caso tutto è nato dalla voglia di approfondire Joaquim, un uomo di colore immigrato sui quarant’anni, che da anni, in estate, vende libri di favole africane tradotte in italiano, sullo stesso pezzo di spiaggia, tra Bergeggi e Spotorno, In Liguria. Joaquim è loquace, conosce il carattere dei bagnanti, di anno in anno si ricorda degli avventori, sa intrattenere, ha imparato ad usare la retorica con le modalità dei nostri politicanti. Ho deciso di affiancare a Joaquim una spalla, Giacomo, mio figlio di sette anni, perché spesso ha uscite spiazzanti che sembrano fatte apposta per la poesia Kitchen. Si è formata quindi l’idea di raccontare, attraverso un numero sufficiente di poesie, le gesta di questa coppia sul litorale Ligure, in provincia di Savona. I due protagonisti dovevano servirmi come grimaldelli per entrare in una dimensione politica, sociale, che è sempre alla base del mio interesse nella scrittura. Una specie di concept album di quelli che scrivevano le band musicali negli anni ’70. Il primo testo è nato per gioco, utilizzando molte doppie consonanti con la lettera ‘s’. Volevo creare una poesia “veloce” che scivolasse tra gli ombrelloni e il bar dei bagni Bahia Blanca. Poiché ho difficoltà a rimanere a fuoco sulle cose, anche per poco tempo, già a metà del primo testo la mia attenzione si è spostata “sul fatto” che questa estate mi ha portato in terra ligure ed ho introdotto un terzo personaggio, un indizio che lo anticipa e che ho deciso di sviluppare più avanti. Una persona mi ha consigliato di continuare a scrivere i testi successivi usando altre doppie consonanti. Inizialmente mi è sembrato complicato, poi l’ho presa come una sfida. Ho cercato siti internet in cui è possibile filtrare tutte le parole con sequenze di consonanti. Ho letto e riletto queste parole, le ho approfondite sui vocabolari on line (lo faccio spesso, anche per parole semplici come scarpa, pane, ombrello…). A un certo punto, il fatto, il luogo e le problematiche di contorno sono diventate centrali e così drammatiche che ho sentito la necessità, in stile Kitchen, di scompaginare le carte con una figura “ingombrante”, un «regista dj», mi viene da dire Kitchen anche lui. Joaquim e Giacomo li ho fatti sopravvivere con fatica, ma inghiottiti da un contesto cambiato.
(Alfonso Cataldi)
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Alfonso Cataldi è nato a Roma, nel 1969. Lavora nel campo IT, si occupa di analisi e progettazione software. Nel 2007 pubblica Ci vuole un occhio lucido (Ipazia Books). Le sue prime poesie sono apparse nella raccolta Sensi Inversi (2005) edita da Giulio Perrone. Successivamente, sue poesie sono state pubblicate su diverse riviste on line tra cui Poliscritture, Omaggio contemporaneo Patria Letteratura, il blog di poesia contemporanea di Rai news, Rosebud. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Concept Kitchen di Alfonso Cataldi
Porco Giuda
Anche oggi le meduse dovranno prendere il passo
sotto un biplano che ausculta lo squasso di Agosto.
Joaquim ha portato fiabe dall’altra parte del mondo ai tavolini del bar
la propaganda lascia Giacomo di sasso
più del topless disabitato in uno spiazzo
lecito grandangolo discerne, per conto dell’assise marinara
il prete gradasso che non vuol sentire storie
sui peccati commessi dalla badante a cavalcioni sul bancone
in mano la cedrata Tassoni
in osservanza del lusso a ribasso allo scaletto dei pescatori.
«Chi non vuol cedere a un sonoro salasso
è invitato al concerto in re minore alle prime luci del mattino
violini e contrabbasso presso le Fornaci»
Nel porticciolo si festeggia l’assalto all’associazione dei consumatori
l’intermezzo di un sindacalista di passaggio
«Giacomo lo vuoi assaggiare uno gnocco al pesto?»
«Si, ma porco Giuda, ho sbagliato compromesso»
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Sotto sotto
Chi mantiene lustro il veliero al porto antico?
Chi ha trattenuto stretti stretti i tentacoli alle spalle?
Joaquim, è chiaro ormai, adotta una tattica sfacciata
mica si accontenta della solidarietà
Vive di retorica d’attracco ai contanti da gelato e fritto misto.
Giacomo è tentato dai bastioni di Ponente
vuol deviare dall’acquario per studiare sotto la lanterna.
Sui gruppi di letteratura è arrivato, indigesto
il primo apprezzamento per Spatriati di Desiati.
«Sono entrata in contatto con la strega che è dentro di me
ho riscoperto gli istinti sottili sotterrati da generazioni… un testo sottovalutato»
La ferrovia sotterranea tuttora cattura espedienti salva reietti
pettinini afro venduti da Luciano Pavarotti sulla Walk of fame.
24/08/2022
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Il nonnulla quotidiano
Un cancello si chiude alle spalle del molo
l’Angola è tagliata fuori. Joaquim è fermo al palo
in equilibrio sul castello di libri che ha dietro
saluta di là, il latte prodotto dalle pale eoliche.
Due sorelle che paiono mammelle gemelle,
prima di lasciare l’ombrellone cedono alle intemperie della loquacità.
Come manca un decilitro, l’aggiunta giunge all’istante
con un cavaliere delle gendarmerie.
Di Milo è rimasto il nonnulla quotidiano delle inalazioni acide
qualche groviglio di peli scampato al fardello delle pulizie.
Il frullato di sbagli e rovelli è finito
dritto dritto nel lavello della residenza protetta Santa Lucia.
Giacomo alleggerisce l’alba con la notizia impellente
«Mamma ho il pisello indemoniato!»
Elle est pas belle la vie?
30/08/2022
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In ammollo
L’imprevisto cambio gomme prima del ritorno, costringe all’ammaraggio
su uno specchio di promesse in ammollo.
Il parcheggio lungo la via Aurelia non si è commosso
Joaquim ammicca alla notizia con i denti ammaestrati.
«317 euro? Ti avrei mollato l’intero immobile di libri dell’estate
gran macchina la Ford, la mamma come sta?»
Ammirare la salita San Giacomo è immorale
su non c’è la redenzione.
Il direttore del Santa Lucia ammette
una imminente mummificazione.
Le foto sul divano a Genova mostrano Milo ammorbidito
al di là dell’ammutinamento di Savona.
Giacomo prepara lo zaino delle dimissioni
solo ora nota la commistione tra i fiori di lavanda artificiale dell’ingresso
e il lascito nel bagno-tana.
11/09/2022
Ingaggi
Pioviggina e va via
la distanza neutrale aggiudicata settimane fa.
La spiaggia di Bergeggi è un agglomerato di rinunce e resistenze
il rifugio necessario per i paggi imbiancati.
Nessuno può sfuggire agli agguati di Joaquim
in venti metri quadri di riparo.
«Bella famiglia, agghindata per la campagna elettorale
Meglio le fiabe africane aggiustano il cuore senza raggiri»
Antonia regge il ricordo della panna cotta
poggia un sorriso leggero su Giacomo.
Giacomo risponde come un ostaggio:
la saletta ricreativa del Santa Lucia saggia la pazienza di un debugger.
«Milo ha ingaggiato un salvadanaio
si è messo in testa di risparmiare sui dileggi prematuri andati a male»
15/09/2022
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L’accordo
Joaquim ha sognato un cocchiere con la giacca di scoglio
staccava le sue fiabe sopra gli eccidi di Marzo.
Giacomo lì accanto si nascondeva con il suo peccato
non riusciva a memorizzare quella toccata a lui in sorte.
«Anche tu figlio mio? Facciamo un accordo:
me la racconti quando ripasso»
Alla cassa del bar c’è un baccano: il proprietario, accecato dai sopravvissuti
ha terminato le cannucce per la bibita di Antonia
mezzo bricco di estaTHE resiste a una promessa poco accorta
una scena di Pulp Fiction ha fatto cilecca al Santa Lucia
il direttore è succube del corrucciato Tarantino
lo imparrucca di NFT venduti all’asta.
Macché poteva saperne Milo, divenuto il re del baldacchino in un accidente di secondo
della sua padrona pasticciata in lungo e in largo
dei coccodrilli tattici nei canali ostruiti?
18/09/2022
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Appesantisce
Un cappotto d’alghe appesantisce il passo
nella prima tappa del mattino – un km di spiaggia – a Joaquim.
Di lato, la mareggiata gli ha disseppellito la mappa dei polipetti
«Capperi, sembra un appello per Antonia!»
Sanguina, sotto il cappello appeso al ramo alto d’un pioppo
nel giardinetto del Santa Lucia.
Il direttore si appresta a segnalare le trappole accoppiate di soppiatto
grida in faccia a Quentin Tarantino che è un bastardo
«Si rifiuta di appioppare un happy end agli appestati residenti»
Giacomo è appiccicato alla macchina da presa
pronto con l’applauso e la sua battuta
«Mamma ho troppa fame, ma non darmi le pappine pronte
ti supplico, preparami i supplì»
Il trasportino anticipato era una scialuppa che gli ha tolto il cappio
Milo cerca approvazione mostrandosi da un’app su un tappeto profumato.
28/09/2022
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Annettere
Prima di annettere l’urgenza della separata sede
Il fennec ricorda l’anniversario delle cannonate al Priamar.
In realtà è una calunnia di Annibale il saccheggio genovese
il match winner annualmente è ridiscusso.
Joaquim annovera le garçonnière in cui ha preso vita una fiaba al giorno
Anna che ninnava le rivalità tra gambe e braccia.
Le fasce strette agli arti posteriori sono una manna per Quentin Tarantino
ispirato, gira “l’innocente condanna degli internati”, al Santa Lucia.
Il direttore, benché assennato, è esausto
depenna le inesattezze tanto osannate da Giacomo.
Raccoglie gli scarti dannunziani per il pranzo, Milo fannullone
fannullone con dignità.
01/10/2022
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Abbondantemente
Giacomo si vanta di essere abbondantemente abbronzato.
Nero. Uno scarabeo agitato in cerca della preda, tra la ghiaia chiara di Bergeggi.
«Nero come un babbeo, mamma, che non ricorda la fiaba affibbiata»
Joaquim bercia. Rabbrividisce
di fronte all’obbrobrio dei residenti bendati sopra un barbecue.
«Ignorano l’abbiccì della propaganda
Io cominciai ad abbellire le labbra in un abbaino abbandonato»
Nessuno sa dove va a ficcarsi in inverno
se l’abbazia dei libri invenduti lo snobbi.
«Al Santa Lucia abbiamo un posto e un regista ingombrante»
«La febbre ha diradato la nebbia, il finale non può essere girato qui»
Milo scuote con la zampa il pubblico hobbista
chiede l’accensione della garbage collection.
05/10/2022
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Davvero
«Ci avviamo verso l’uscita prima di avvistare l’evento clou della stagione?»
Joaquim chiede tempo all’avvocato e l’avverbio più avvenente.
A mente fredda, Milo avvisa gli ex che era tutto ovvio.
«Davvero il passaggio di consegne per voi era solo inconscio?»
Quentin Tarantino è un avvoltoio che plana improvvido sugli avvenimenti
«Si è lasciato avviluppare ingenuamente dall’avvento del gran-via-vai»
Gli sceneggiatori avversi improvvisano un sit-in al quinto piano.
Poseidone abbandona l’isolotto di Bergeggi e si accontenta di una particina in un b-movie
Giacomo bullizza gli avvolgibili distratti
«Su e giù senza criterio
avvalorate l’energia dispersa nell’ultima riserva dei mohicani»
07/10/2022
Concept kitchen
Vorrei richiamare in questa sede le funzioni della risonanza e della sinestesia, figure retoriche presenti nei testi di Alfonso Cataldi.
La risonanza per paradosso e per eccesso; si tratta di una forma particolare di amplificazione e deformazione semantica poiché associa entità percepibili da sensi diversi e da parole diversissime e inaccostabili che normalmente vengono processate per vie separate. In Alfonso Cataldi si hanno costruzioni del tipo: «residenti bendati sopra un barbecue», «scarti dannunziani»; sono presenti però anche abbinamenti sinestetici più evanescenti e complicati che in qualche modo coinvolgono una sensorialità psicologica che sembra avere poco a che fare con i referenti fisici, ad esempio quella dell’emotività e a questa si riconducono formule del tipo: «Milo cerca approvazione mostrandosi da un’app su un tappeto profumato». Isoliamo per un istante le ultime due considerazioni, l’affiancamento di informazioni incompatibili e lontanissime per creare effetti di significato ultronei o di non-significato e il coinvolgimento di una sensorialità psicologica di complessa fatturazione, ci accorgiamo che tutti questi espedienti sono impiegati in vista del rafforzamento di significati inusitati e ultronei. Per quanto riguarda la prima, va evidenziato il paradosso della sinestesia, essa viene considerata dalla comune opinio una scelta arbitraria, ma le cose non sono così semplici, infatti è significativo che in ogni caso il lettore comprende immediatamente i significati reconditi e non manifesti che essa veicola; in secondo luogo va considerata la risonanza che si apre a diapason proprio in quanto l’affiancamento di due o più parole diverse dalla semantica lontanissima (di solito sostantivo e aggettivo, ma può presentarsi anche il caso di un sostantivo seguito da altro sostantivo), producono un rafforzamento dei semantemi e della forza di ricezione dei medesimi.
Il caso di sinestesia più frequente è quella associata alla percezione grafema-colore; ebbene recenti dati statistici hanno rilevato che una elevata percentuale della popolazione umana (tra il 4% e il 10%) è in grado di percepire con immediatezza un colore diverso per ogni grafema percepito. Il dato di fatto contribuisce a mettere in evidenza la grande varietà e versatilità di cui è dotato il linguaggio umano il quale appare dotato a livello inconscio di una semantica del colore che perverrebbe alla coscienza con un quantum di ritardo; in particolare, la risonanza e la sinestesia sembrerebbero agire in parallelo, con il che avviene la concentrazione di una più grande quantità di informazioni estetiche e psicologiche che il testo letterario è in grado di sprigionare alla lettura.
E’ molto interessante la parte finale legata alla sinestesia grafema-colore. In particolare recenti ricerche hanno suggerito l’esistenza di una relazione significativa tra sinestesia e disturbi dello spettro autistico. Secondo i risultati dello studio di Baron-Cohen et al. (2013), infatti il fenomeno sinestetico si mostra più frequentemente in soggetti con autismo rispetto alla popolazione generale, con tassi di prevalenza pari al 18,9% nel gruppo sperimentale, a fronte di un 7,22% dei casi del gruppo di controllo. Sul piano comportamentale, sia i sinesteti che le persone con autismo si trovano a sperimentano esperienze sensoriali insolite, come un’aumentata percezione sensoriale di alcuni stimoli (Ward et al., 2017).
Ulteriore prova del legame tra le due, è data dagli studi di neuroimaging che mostrano come le persone con autismo presentino un’attività cerebrale simile a quella dei sinesteti, caratterizzata da un’alterazione della connettività neurale (McIntosh et al., 2008). Un’ipotesi che si sta facendo strada è quella della iper-connessione, secondo la quale il cervello dei soggetti appartenenti ai due gruppi di ricerca sarebbe anatomicamente e funzionalmente differente da quello tipico per la presenza di maggiori connessioni locali a corto raggio (Hubbard e Ramachandran, 2005). La presenza di intense connessioni neurali locali potrebbe dunque giocare un ruolo rilevante nella genesi dei sintomi dell’autismo e dei fenomeni sinestetici.
https://www.istitutobeck.com/beck-news/autismo-a-colori?sm-p=134316460
Mi permetto di proporre due domande: La semantica serve alla poesia Kitchen ? Fa bene alla poesia in generale?
gentile Emma Pretti,
la semantica è, a mio avviso, una componente essenziale e ineliminabile della poesia kitchen, il poeta non ha alcun potere sulla semantica, non può adottare un Decreto ministeriale per l’abolizione o la modifica della semantica… quello che può fare è rielaborare i tropi retorici della poesia, considerare il linguaggio poetico dal punto di vista dei cambiamenti che intervengono in esso a insaputa dello stesso poeta ma che il poeta, se vè un poeta serio, non può negare. Quando il poeta non ha sufficiente consapevolezza delle questioni interne ed esterne del linguaggio, fa poesia epigonica, di derivazione passiva, cioè fa letteratura di seconda o terza mano.
La sua risposta è esauriente, anche se mi chiedo come un poeta, serio, possa ignorare i cambiamenti in cui siamo avviluppati. Mi permetto un’altra domanda: a chi si rivolge la poesia kitchen con il suo bagaglio semantico ?
Tre mie nuove poesie kitchen
Il figlio
Il figlio in Erasmus aveva perso i pantaloni negli incendi d’Australia.
Le certificazioni Cambridge sudano sulla pancia.
Flora piangeva per le lingue intrecciate in deroga.
Lui nascose nella toilette dell’aereo
i panni sporchi rifiutati dalla lavatrice di casa.
Chiusure
Un’incursione di panda ha contaminato la biglietteria.
Un pioppo divelto continua a piangere fiocchi di neve.
Il viale tornato pulito è stato acquistato dalle pompe funebri.
Ognuno ha masticato la brochure per non intasare
il sistema fognario del Comune.
Freddo
Il borsone era una pera farcita.
Con la panchina il mattino giocava a dama
ma nessuno si è fermato.
A notte fonda la coperta si trascinò in un bar
e partorì sul pavimento un lombrico viola.
GATTI E PAVONI
Gatti nelle steppe tengono per mano arance
vele schiacciano briciole sul cartongesso
un trattore elettrico scuote alberi di catrame
nel garage del Colosseo
hanno profili di melagrana le donne gitane
i fucili degli argonauti ululano alla serotonina
l’abilità dei licheni persuade l’inviato speciale
il pollice di Robin Hood è depresso
no, è vivo! fa la corte alla glottide
gli acini non si radono da tempo
il gallo allude
gladiatori contaminano l’olio di oliva
gli apostrofi corrono in salita
dalla punta dell’Adriatico si vede Stonehenge
il bonus casa telefona alla luna
il cerume soffre di insonnia
Paperone starnutisce ai pavoni
Si è sempre parlato o scritto di Poesia Kitchen, ma se ricordo bene mai di PROSA KITCHEN… ne dò un esempio o presunto tale di un celebre scrittore americano – JOHN CISTERNA:
—-
Me ne andai sbattendo i portali della 77-ma street e mi insozzai alla JG Melon o forse giù di lì era road, street, way, path, avenue… non compresi le insegne orientali – mi trovavo a chinatown o no? – confuse o fuse dal neon elastico e l’occhio basedowico era compresso dall’emortaggia dei papaveri rossi… pioveva a scartamento dirotto come sulle rotaie un treno pulpcult e il passo non poteva essere felpato a chiazza di leoprado mentre me ne andai bastendo i portali della 77-ma street e mi insgozzai alla JG Melon o forse giù di lì era road, street, way, path, avenue… non compresi le insegne orientali – mi trovavo a chinatown o no? – sconfuse o sfuse dal bombastic neon elastico e l’occhio basedowianico era compresso dalla raggìa dei papaveri rossi… pioveva a carstamento dirotto come sulle rotaie un treno cultpulp e il passo non poteva essere felpato a schiazza di leopardo e che per questo la sera era intrascorsa dai riflessi lucidocatramosi degli asfalti dall’umidore e dal colore giallognonilo del piscio umanoostico sulla neve incalpestata che sul Ponte delle mie Legioni mentre scannavo i pietrosi angeli non sapevo ancora quali metasfore di cariatidi m’offrivano catastrofi sulla neve incaprestata se l’occhio basedowionico generò lo sgiardo… lo sgiardo?
No! Era, ah, lo sguardo otrantino levantino salentino di Brunswich… accanto a quel punto del ponte che vigilava gli occhi della Marina ed è ormai la quarta sera che infilo nel cappotto un pezzo della città vltavina notturna, nebbiofangosa e fumocaliginosa, con un ponte ora in lontananza, ora d’un tratto con te, proprio davanti agli occhi vado da qualcuno offertomi per caso dalla sequela degli affari quotidiani o dalla memoria, e con la voce rotta ti consacro in quell’abisso di lirica abbagliante… sminuzzamento delle note…
Me ne andavo squassato e sgassato dai selciati e spargiuti frammenti del piano sonanti il soldiesisminore…..
Castello come Astronave: possibile?
Ma il fattevento è che quando incontrai per la prima volta K. nel 1962, un anno prima che giungesse sulla Terra (di nuovo?), l’anno 3378 era già trascorso da alcuni lustri e la Poesia attendeva il suo Rinascimento, proprio come K., che s’era spissolato sotto le mura in fuga dal Castello in attesa di essere sgridato dal Custode. Ma K. dopo tutto e prima non desiderava entrarvi: gli asportava più essere cresente E PRESENTE al Processo dove si sarebbe celebrato il trionfo della Condanna che l’avrebbe insediato alla Colonia Penale -Volle essere accompagnato da Orson durante il tragitto in discesa verSo il Ponte Carlo dove ad aspettarli c’era Nezval che cercava di istigare il Pellegrino al suicidio, altrimenti non l’avrebbe cantato nel suo celebre poema l’Edison. Il Pellegrino però voleva dapprima che il Poeta gli cantasse alcuni versi di Poesia Kitchen, prima di essere tradotto in altre rare terre, come p.e. in Amer-rika, dove di serto succinto lo spettava uno dei più grandi roditori statunitensi, se non il più grande, e cioè JOHN CISTERNA, che prima del dipartimento su un marciapiedi di una square malfamata e malassetata della metropoli gli aveva inviato l’inizio di un prodigioso cunto di radiazione picaresa del West Side….
È davvero apprezzabile caro Alfonso questo racconto diario Kitchen. Affascinante, dalle location alle sceneggiatura con frammezzo di apparizione registica.
La nostra consueta quotidianità si scontra inevitabilmente coi tempi che viviamo interni ed esterni. La lettura Kitchen di tutto questo, privato e pubblico è esemplare. L’ho sempre sottolineato nella lettura delle tue poesie…
Avviene uno scontro tra queste due sfere che da abile giocoliere riesci a gestire magistralmente.
Un abbraccione Alfonso.
Grazie Mauro per la tua lettura
a proposito del «noi»
Non ci resta che uscire definitivamente dalla forbice concettuale tipica delle avanguardie e della politica leninista del novecento: distruzione/costruzione, avanguardia/retroguardia, élite/massa, classe borghese/classe subalterna, egemonizzati/omogeneizzati, apocalittici e/o integrati. In realtà siamo tutti diventati egemonizzati e omogeneizzati, eterni subalterni, mediatizzati e mitridatizzati, integrati nell’apocalisse e nell’apocope; siamo tutti diventati dipendenti delle apocope, siamo scomparsi e al nostro posto c’è una virgoletta, lassù, in alto. È l’epoca dello sdoganamento del nucleare facile e prêt-à-porter. Mi si dirà che sono un pessimista: forse che sì forse che no, non c’è altra via di uscita dallo standard della merce (la merce non rivela mai il suo arcano di feticcio) e dei prodotti culinari quali sono diventati i feticci «artistici». In queste condizioni la nuova fenomenologia del poeticoe e la poetry kitchen sono l’unica via (molto stretta, un vero e proprio collo di bottiglia) che può perseguire la poiesis oggi nel nuovo mondo semi globale e semi glocale, un mondo parallattico, nella accezione che ne dà Slavoj Žižek.
Comunque se accettabili o no certi principi della poesia kitchen pongono il quesito se per caso – ma non troppo un caso – sia necessaria una linguistica del kitchen.
Quali dunque sono le motivazioni che sommuovono le varie forme del dire che percorrono i sentieri del mondo “kicheniano”?
Ci eve essere perciò una rilettura profonda di quelle che furono le linee essenziali della “linguistica generale”, specie quella dello Jakobson: è qui la sorgente non ancora esaurita della langue universale… ed è da non sottovalutare tutta le semiologie e le semiotiche dietro ogni parola e segno più o meno corrispondente.
Una rilettura profonda di quella non è cosa facile, perché non è stata del tutto superata quella linea rossa che la distingue dai successivi traguardi – fino ai nostri giorni – progressivi che ancora la rendono valida e vivente,
—
La progressione kitkeniana può porsi in uno stato parallelo che all’inizio ha conosciuto una unica origine, e che da questa si sia distanziata partendo dai fonemi (fonetica distintiva direbbe Jakosbson e altri studiosi insgni)… la fonetica perciò ha reso la parola frantumata da cui soltanto coi suoi propri “tratti distintivi” possiamo estrapolarla dal resto dei linguaggi (qui interessa noi estrapolarla dal resto dei linguaggi (qui interessa noi quelli poetici) e differenziarla da altri liguaggi.
E il mio augurio è che vada oltre il linguaggio poetico o non di J. Joyce, che ancora ci attrae perché ancora non superato e compreso come dovrebbe.
Spero che il prossimo post linguaglossiano affronti questo tema.
as
caro Anthony,
ma io non ho la competenza per dover correggere la linea rossa di Jakobson!… però, sì, diciamo che c’è una linea rossa… ed è la storia che la sta tracciando…
un abbraccio
giorgio
Poesia in stile kitchen
Alfonso Cataldi vende quotidiani a Roma
in Via Panisperna e urla:
“Quentin Tarantino è un avvoltoio che plana improvvido sugli avvenimenti”
Poco più in là
Ennio Flaiano ha i piedi ben piantati nelle nuvole.
Le Clézio dice che non si esce più dal linguaggio
una volta entrato.
«Il dietetico si azzuffa con il peripatetico,
poi dichiara guerra all’aritmetico»,
commenta in suo verso il poeta Gino Rago
rivolgendosi a uno scrittore pappone figlio di un leghista
mentre dalla confezione di schiuma da barba
esce del dentifricio sbiancante
dicendo:
«Abbasso il chiaro di luna»
Complimenti al video di Gianni Godi sulla poesia di Mario Lunetta, una poesia che meriterebbe di essere in prima linea tra le migliori poesie del secondo novecento italiano, un intellettuale e un amico indimenticabile, sferzante e ironico, pieno di vita, esuberante… e, soprattutto, qualità assai rara tra gli intellettuali di oggi, integro e non disposto alle mezze misure.
Molto bello anche l’altro video di Gianni Godi sulle parole della poesia di Linguaglossa.
Quanto al linguaggio poetico di Alfonso Cataldi i miei complimenti per la compiuta costruzione delle sue poesie che rivelano una notevole maturità poetica.
Vi aspetto tutti alla Nuvola dell’Eur per la Fiera del Libro, domenica 11 dicembre ore 17.00 Sala Giove, gli autori presenti leggeranno le proprie poesie dalla Antologia Poetry kitchen.
Grazie Milaure per le tue parole sulla mia poesia. Un balsamo.
Alla base del nuovo concetto di poiesis e della poetry kitchen c’è una nuova fenomenologia tipica della civiltà attuale: lo sguardo distratto, il lapsus, il tic linguistico, la sconnessione, il disallineamento mentale delle parole, lo zapping involontario… tutti fenomeni tipici della modernità mediatica nella quale viviamo.
Il distico e il polittico impongono, che lo si voglia o no, un cambio di passo. Ecco il punto: il passo e il cambio di passo. Una poesia che non abbia in sé questo «passo» e questo «cambio di passo», è una poesia polifrastica generica come se ne legge a miliardi di esemplari. È il passo che detta il ritmo, e il ritmo detta il tipo di versificazione, non viceversa.
Prima viene il «soggetto polittico», bisogna lavorare sul «soggetto molteplice e moltiplicato», e solo in un secondo momento si potrà adire alla «poesia polittico», se è vero che la crisi del logos è la crisi del soggetto, è da qui che bisogna ripartire, è questo il luogo su cui occorre lavorare.
Per quanto riguarda il «polittico», poiché qualcuno sussurra che si tratti di un espediente di carattere sperimentale, dico che ha completamente frainteso la ragione profonda del «polittico», cosa difficilissima a farsi, molto ma molto più agevole è fare una filastrocca basata sull’io e sulle sue ubbie; lì tutto è facile, basta mettere in riga qualche battuta di spirito… ma questa non è, ovviamente, poesia, sono chiacchiere.
L’andatura atetica della «nuova poesia» è fatta di vacillamenti, di zoppicamenti, di passi all’indietro (ma dove?); un passo in avanti e due all’indietro. Si va per passi laterali, per tentativi, per scorciatoie, per smottamenti laterali, e ribaltamenti e ritrosie, per tracciamenti di sentieri che si rivelano Umweg e ritracciamenti all’indietro, di lato… È che non essendoci più una fondazione sulla quale fondare il discorso poetico, anch’esso se ne va ramengo, senza un mittente e senza un destinatario, contando unicamente sulla destinazione: si invia, si destina qualcosa a qualcuno pur sapendo che non giungerà nulla a nessuno, la destinazione è priva di destino, si vive alla giornata seguendo il Principio di Piacere del Principio Postale, la spedizione della cartolina, delle cartoline è un in sé privo del sé, una destinazione priva di destino.
Il «polittico» si presenta come una sommatoria di cartoline, di invii, di rinvii, di post-it, di scripta improvvisati. Si tratta di un meccanismo di invii e di tracciati destinati allo sviamento e all’evitamento, dove il messaggio, che reca impresso il desiderio, la pulsione, non arriva mai a destinazione in quanto per definizione freudiana inibito alla meta, e il Principio di Piacere che ha prodotto il desiderio approda infine al Principio di Realtà. E così facendo perpetua il meccanismo di riproduzione del capitale del piacere il quale è sempre piacere tras-posto, tras-ferito.
(2019)
Ma è già tempo di stabilizzare i rapporti fra i principi del surrealismo europeo e i principi kitcheniani.
Credo che ci siano tantissime suggestioni da estrapolare quando i risultati del surrealismo si combinano con quelli kitcheniani, a cominciare dalle immagini che vi si generano…
allora si scoprirà quanto surrealismo vi è p.e. nella poesia o prosa kitcheniane.
E allora comonciate la caccia!
caro Antonio,
hai visto la pubblicità dei sistemi di sicurezza dele abitazioni “Verisure”? Ecco, lo stile narrativo adoperato dalla Pubblicità è quello neoverista delle telenovelle. E funziona.
Il 99,99% per cento dei romanzi e dei libri di poesia pubblicati adoperano senza complessi la stilematica neoverista della Pubblicità, perché funziona.
La poetry kitchen funziona invece come un pettine che passa tra i capelli: fa incagliare nel pettine i nodi dei capelli, rende visibili quei nodi.
Non di surrealismo si tratta ma di inciampi decostruttivi della narrazione a significato univoco. Il fuori senso di Alfonso Cataldi è funzionale alla scrittura evento, ma ha basi iperrealiste, in certo senso fotografiche. Questioni linguistiche hanno poco a che vedere con sussulti inconsci. Se è vero che certa spettacolarità surrealista è presente in alcuni testi kitchen, la cosa non sembra riguardare Cataldi.
cari Antonio Sagredo e Lucio Tosi,
c’è un certo suffragio universale della normologia applicata (da Franco Arminio a Valerio Magrelli fino ai neoveristi milanesi che fanno neovintage e neoModern e giù fino ai populismi con annessi i comportamenti di paghi tre e prendi uno, dei bonus gratta e vinci, bonus supermercato, bonus vacanze e bonus 110% il tutto a scapito della finanza pubblica per le tasche dei privati)… tutta questa pestifera normologia applicata c’entra e come nella forma-poesia perché altrimenti non si spiegherebbero certe cose, non si spiegherebbe tutta la paccottiglia di narcisismi, corruttismi e populismi da “va dove ti porta il cuore”, come dire: va dove ti portano i soldi (tradotto). caro Lucio, Verisure funziona, eccome! Il neoverismo funziona eccome! E per fortuna che c’è stato un certo surrealismo (che nella poesia italiana è stato un perfetto Estraneo) che con il populismo e la normologia non ha niente ma proprio niente a che fare. Quel surrealismo, rivitalizzato e rimesso in piedi sulla testa dalla poetry kitchen, è un potentissimo antibiotico in grado di ammazzare il virus Omicron o Ebola che sia… tanto è vero che i poetini della messa della domenica mattina si coalizzano spontaneamente per tentare di silenziare e screditare l’unica forza eruttiva dirompente che c’è in Italia: la poetry kitchen!
Una lucida retrospettiva circa la caduta del governo Draghi
Se UN MATEMATICO È UNA MACCHINA PER TRASFORMARE CAFFÈ IN TEOREMI” (PAUL ERDOS), COSA È UN POETA?
Il caffè crede di rimanere in tema.
Non immagina la iena che azzanna dal duodeno.
In una jeep, un grizzly
il cui unico piacere è spalmare dolore su un würstel.
Oh, il corso d’opera del distinguo sul mangiare
La misura? La sesta non copre i capezzoli.
Ma un buon caffè merita il paradiso solo a sentirlo discutere con l’aria.
-Tu hai gambe grasse per star fermo e riflettere, io ci tengo allo jogging tutte le mattine
Un fruscio qui, uno là e le malve si saziano, persino un’agave sorride
E parla di calcio, omettendo tristezze.
La debacle degli ammogliati è stato un disastro.
Speriamo l’anno prossimo. Qui tra pali del telegrafo
Non c’è modo di trovare un cent di allegria
L’ultimo Morse partì per l’Australia ma tornò vestito da poeta
Con un lenzuolo nell’obitorio e le ceneri sotto braccio.
Che serve fasciarsi di ridicolo in Parlamento?
I granchi intanto si affacciano al tema.
-È una palestra per soli scapoli. La tendina nasconde il cabaret “Allo scoglio”.
Una palla al centro si trova sempre.
Basta guardare giù in fondo e afferrare una coda di rospo.
La tv viene a galla
con i polpi attaccati ai raggi fiammanti
Un cormorano risale deluso:
c’è noia tra i programmi della lavastoviglie
E per giunta il fritto di alici ha ripreso a guizzare
Anche se rimase stecchito a gambe in su.
(F.P.Intini)
“Questioni linguistiche hanno poco a che vedere con sussulti inconsci”. (Mayoor Tosi)
—
Caro Mayoor non sono assolutamente di acocrdo con questa Tua asserzione.
La dislessia p.e. ha motivazioni esclusivamente inconscie così tutti i disturbi della langue (che Tu chiami “questioni”) hanno origine nell’incosncio. Ed è improprio usare il termine “sussulto”
legato alle problemayìtiche dell’inconscio.
La stessa poesia ha in se “presenze” dislessiche e tutti disrìturbi di origine linguistica. Vi è dunque in qualsiasi manifestazione o fenomenologia linguistica una prsenza patologica anche dei suoni relativi alle parole. Nel delirio del poeta p.e (di cui non si sa bene quanto e come la patologia siano presenti) è evidente qaunto di più sciamanico sia essenzialmente incoscio: le parole che fuoriescono dalla bocca dello sciamano (meglio dalla sua lingua)
non hanno senso, ma solo apparentemente.
P.e. molta della poesia di Pasternak ha questa caratteristica per cui sembra incomprensibile: il poeta declamava le sue poesie come fosse appunto uno sciamano (ho ascoltato più volte le sue declamazioni). Stalin ne fu soggiogato da questa sua strana cantilena e il poeta forse si salvò per questo (Ripellino).
Ma la linguistica sciamana appartiene al dire e al fare del poeta, e mi devi scusare se il mio ultimo libro di poesia si intitola ” Il delirio e la gorgiera” dove io accomuno la gorgiuera (quella sorta di collare che avvolge la gola (abisso che ospita la fuoriuscita delle parole) e il delirio che è la forma delle parole manipolate proprio dalla gola-gorgiera.
E la poesia e prosa kitcheniane è una delle tante forme linguistiche sciamane; che poi vi sia o no una patologia linguistica
è ffare quasi privato del poeta.
un abbraccio
antonio
Byung-Chul Han, Psicopolitica
Il neoliberalismo e le nuove tecniche del potere Traduzione di Federica Buongiorno, Nottetempo, 2021:
Il neoliberalismo, come mutazione del capitalismo, fa del lavoratore un imprenditore.
Non la rivoluzione comunista, bensí il neoliberalismo elimina la classe operaia che è sfruttata da altri. Oggi, ciascuno è un lavoratore che sfrutta se stesso per la propria impresa. Ognuno è padrone e servo in un’unica persona. Anche la lotta di classe si trasforma in una lotta interiore con se stessi.
Le attuali forme di produzione non sono determinate dalla “moltitudine” cooperante, che Antonio Negri innalza a successore del “proletariato”, ma dalla solitudine dell’imprenditore isolato in sé, che lotta con se stesso e si sfrutta volontariamente. Perciò, è un errore credere che la “moltitudine” cooperante rovescerà l’“impero parassitario” realizzando un ordine sociale comunista. Questo schema marxiano, al quale Negri si attiene, è destinato arivelarsi sempre un’illusione. Nel regime neoliberale, infatti, non esiste alcun proletariato, alcuna classe operaia sfruttata da chi detiene i mezzi di produzione. Nella produzione immateriale ognuno possiede allo stesso modo i mezzi di produzione: il sistema neoliberale non è piú un sistema di classi in senso stretto. Non si basa su classi tra loro antagoniste: proprio in questo risiede la stabilità del sistema. La distinzione tra proletariato e borghesia non può piú essere mantenuta. Il proletario è letteralmente colui che possiede solo la propria prole. La sua autoproduzione è limitata alla riproduzione biologica. Oggi, invece, è diffusa l’illusione che ognuno, in quanto progetto che delinea liberamente se stesso, sia capace di un’autoproduzione illimitata.
La “dittatura delproletariato” è, ai giorni nostri, strutturalmente impossibile: oggi tutti sono dominati dalla dittatura del capitale. Il regime neoliberale trasforma lo sfruttamento da parte di altri in un autosfruttamento che investe ogni “classe”. Questo autosfruttamento senza classi è del tutto sconosciuto a Marx: esso rende impossibile, appunto, una rivoluzione sociale basata sulla distinzione tra sfruttatori e sfruttati. Inoltre, in conseguenza dell’isolamento del soggetto di prestazione che sfrutta se stesso, non si forma neppure un Noi politico capace di un agire comune.
Nella società della prestazione neoliberale chi fallisce, invece di mettere in dubbio la società o il sistema, ritiene se stesso responsabile e si vergogna del fallimento. In ciò consiste la speciale intelligenza del regime neoliberale: non lascia emergere alcuna resistenza al sistema. Nel regime dello sfruttamento da parte di altri, al contrario, è possibile che gli sfruttati solidarizzino e si sollevino insieme contro gli sfruttatori. È su questa logica che si fonda l’idea marxiana della “dittatura del proletariato”, che presuppone, però, dei rapporti di dominio repressivi. Nel regime neoliberale dell’autosfruttamento, l’aggressione si rivolge, invece, contro noi stessi: quest’aggressività indirizzata contro se stessi non rende gli sfruttati dei rivoluzionari, bensí dei soggetti depressi.
[…]
Oggi, non ci riteniamo soggetti sottomessi, ma progetti liberi, che delineano e reinventano se stessi in modo sempre nuovo. Il conseguente passaggio dal soggetto al progetto è accompagnato dal sentimento della libertà: ormai, il progetto stesso si rivela non tanto una figura della costrizione, ma piuttosto una forma ancora piú efficace di soggettivazione e di sottomissione.
L’io come progetto, che crede di essersi liberato da obblighi esterni e costrizioni imposte da altri, si sottomette ora a obblighi interiori e a costrizioni autoimposte, forzandosi alla prestazione e all’ottimizzazione. Viviamo una fase storica particolare, in cui la stessa libertà genera costrizioni. La libertà di
potere (Können) produce persino piú vincoli del dovere (Sollen) disciplinare, che esprime obblighi e divieti. Il dovere
ha un limite: il potere, invece, non ne ha. Perciò, la costrizione che deriva dal potere è illimitata e con ciò ci ritroviamo in una situazione paradossale. La libertà è, nei fatti, l’antagonista della costrizione, essere liberi significa essere liberi da costrizioni. Al momento, questa libertà – che dovrebbe essere il contrario della costrizione – genera essa stessa costrizioni. Disturbi psichici come depressione e burnout sono espressione di una profonda crisi della libertà: sono indicatori patologici del fatto che spesso oggi essa si rovescia in costrizione. Il soggetto di prestazione, che si crede libero, è in realtà un servo: è un servo assoluto nella misura in cui sfrutta se stesso senza un padrone.
[…]
La libertà individuale è per Marx un’astuzia, una perfidia del capitale. La “libera concorrenza”, che si fonda sull’idea della libertà individuale, è soltanto “la relazione del capitale con se stesso in quanto altro capitale, ossia il reale comportamento del capitale in quanto capitale”. Attraverso la libera concorrenza, il capitale riesce a riprodursi rapportandosi a se stesso come a un altro capitale. Grazie alla libertà individuale, copula con l’altro se stesso. Mentre concorriamo liberamente tra noi, il capitale si moltiplica. La libertà individuale è una schiavitú nella misura in cui, in funzione del proprio accrescimento, il capitale la monopolizza. Il capitale, dunque, sfrutta la libertà dell’individuo per riprodursi: “Nella libera concorrenza non sono gli individui, ma è il capitale che è posto in condizioni di libertà”. Attraverso la libertà individuale si realizza la libertà del capitale.
Di conseguenza, l’individuo si degrada a organo genitale del capitale. Lalibertà individuale presta al capitale una soggettività “automatica”, che stimola la riproduzione attiva. Cosí, il capitale “procrea” ininterrottamente“ individui viventi”. La libertà individuale, che assume oggi una forma eccessiva, è infine nient’altro che l’eccesso del capitale stesso.
[…]
Oggi, ciascuno è un lavoratore che sfrutta se stesso per la propria impresa. Ognuno è padrone e servo in un’unica persona. Anche la lotta di classe si trasforma in una lotta interiorecon se stessi.
[…]
Nella società della prestazione neoliberale chi fallisce, invece di mettere in dubbio la società o il sistema, ritiene se stesso responsabile e si vergogna del fallimento. In ciò consiste la speciale intelligenza del regime neoliberale: non lascia emergere alcuna resistenza al sistema. Nel regime dello sfruttamento da parte di altri, al contrario, è possibile che gli sfruttati solidarizzino e si sollevino insieme contro gli sfruttatori. È su questa logica che si fonda l’idea marxiana della “dittatura del proletariato”, che presuppone, però, dei rapporti di dominio repressivi. Nel regime neoliberale dell’autosfruttamento, l’aggressione si rivolge, invece, contro noi stessi: quest’aggressività indirizzata contro se stessi non rende gli sfruttati dei rivoluzionari, bensí dei soggetti depressi. Oggi non lavoriamo piú per i nostri bisogni, ma per il capitale. Il capitale sviluppa bisogni propri, che per errore percepiamo come nostri. Esso rappresenta una nuova
trascendenza, una nuova forma di soggettivazione.
Carissimo Giorgio,
riprendendo questo articolo dello scorso novembre, motivato dalla volontà di leggere le poesie qui presentate del nostro Alfonso, ho avuto modo di approfondire questo tuo intervento e quello immediatamente successivo, che non solo condivido totalmente (e ciò non è evidentemente una novità), ma che sintetizzano con straordinaria efficacia il quadro socio-antropologico che caratterizza il panorama della nostra economia odierna; un’economia in cui viene frantumata totalmente la cornice umana che nell’ambito del capitalismo “d’ancien régime” riusciva a trovare ancora diritto di cittadinanza, per quanto sia evidente che negli ultimi trent’anni i processi imposti alle dinamiche economiche, altro non siano stati che una marcia progressiva verso la polverizzazione ed atomizzazione della componente umana ed umanistica dell’economia.
Evidentemente in tale contesto, il risultato come giustamente evidenzia Giorgio è l’annientamento di qualsiasi elemento identitario nel rapporto tra l’uomo ed il capitale, che pone l’uomo in una condizione di totale asservimento ai detentori del potere capitalistico, privo di qualsiasi referente antropologico e di qualsiasi capacità di contrattazione in termini antropologicamente redentivi.
La conclusione connessa a questa frammentazione dell’identità umana di fronte all’economia, come ancora una volta osserva Giorgio, è però anche la difficoltà di riuscire a coniugare adeguatamente, in questo contesto le teorie marxiane, che indubbiamente (pure in un contesto che apparentemente riecheggia il sottofondo delle condizioni di squilibrio fine ottocentesche/inizio novecentesche) non riesce più ad individuare adeguatamente il termine oppositivo alla componente umana, che è sempre nelle leve che detengono il controllo sul capitale, con la differenza però, che queste si sono ormai spostate dalle stanze della produzione a quelle decisamente più liquide ed impersonali della finanza, che soverchia in realtà indistintamente l’imprenditore e l’operaio.
In tale quadro è evidente che i paradigmi siano cambiati completamente per cui c’è bisogno in ogni ambito della vita intellettuale di una sintassi in grado di riflettere questo stato di cose, non più riproducibile con le categorie di pensiero e di espressione sedimentatisi nei decenni scorsi.
Il problema però in tal senso è che buona parte della produzione intellettuale è asservita o incorporata in tale dinamica di potere, per cui individuare delle nuove declinazioni di significato è un’impresa edificante, ma che richiede anche la consapevolezza ed il coraggio di un lavoro di ricerca intellettuale encomiabile e che contribuirà allo svecchiamento della conoscenza ed al mantenimento del ruolo critico della cultura, ma che nell’immediato condanna comporta il rischio della marginalizzazione della propria opera rispetto ai meccanismi del mondo editoriale e mediatico.
Una metafisica bancomat
Oggi il regime neoliberale si nutre di psicopolitica come i regimi autocratici extraeuropei si nutrono di ideologie etnopolitiche espansive.
Mentre i regimi psicopolitici neoliberali sono espansivi soltanto nei termini del mercato mondiale, di qui la mondializzazione dell’economia perseguita negli ultimi decenni dalle democrazie parlamentari dell’Occidente, nei regimi autocratici del resto del mondo la mondializzazione dell’economia è vista come un intralcio, un impedimento alle mire dei loro progetti etnocentrici espansivi e coloniali.
Tipico fenomeno collegato al concetto di libertà vista come «progetto» individuale è l’altro fenomeno della de-colonizzazione individuale dell’apparato metafisico; vale a dire, nei sistemi neoliberali ciascuno è libero di autocostruirsi la propria de-colonizzazione portatile della metafisica, una sorta di post-metafisica portatile, una metafisica bancomat.
In queste condizioni non si vede proprio come sia possibile, nei regimi neoliberali, costruire un qualcosa basato sul “Noi” come obliterato da due professori di letteratura che abbiamo ospitato nel precedente post; il “Noi” altro non è che un Io” attraversato da autoconflitti irrisolvibili e irricevibili alla coscienza. Se non che non si potrà più parlare di «falsa coscienza» e di «autocoscienza» nei termini marxiani ortodossi e classici ma di fenomeni che allignano nelle zone inconsce dell’Io considerato (in epoca di neoliberalismo dispiegato) come progetto-per-la-libertà, quando invece si tratta soltanto dell’Io come progetto-per-la-illibertà, autoprogetto sottomissorio, autoprogetto coloniale del Sé.
Cari Giorgio, Lucio, Alfonso,
ho inteso considerare come esempio di “montaggio” la prima pagina di un qualunque quotidiano che ogni giorno è presente nelle edicole e cade sotto i nostri occhi. Che ne pensate?
Propongo questi nuovi tentativi di poetry kitchen
Gino Rago
“Se non che non si potrà più parlare di «falsa coscienza» e di «autocoscienza» nei termini marxiani ortodossi e classici ma di fenomeni che allignano nelle zone inconsce dell’Io considerato (in epoca di neoliberalismo dispiegato) come progetto-per-la-libertà, quando invece si tratta soltanto dell’Io come progetto-per-la-illibertà, autoprogetto sottomissorio, autoprogetto coloniale del Sé”. (Linguaglossa)
—
Non posso fare a meno di sottoscrivere la considerazione finale dell’intervento del Linguaglossa. Ma sostituisco soltanto al termine “illibertà” quello di “crudeltà” più adatto e specifico per
un “autoprogetto sottomissorio, autoprogetto coloniale del Sé”.
E questo “auto” trova subito il pernicioso sentiero di un qualcosa diretto invece verso l’opposto cioè verso un altrui che è più facile sottomettere e colonizzare. E’ vero, esiste l’autocrudeltà ma fin tanto non si trova o si inventa un altrui – che diviene e\o si muta il\in nemico.
Il poeta di solito se non è idelogizzato è un auto lesionista, e l’esempio più conclamato nel secolo trascorso fu il poeta della Rivoluzione russa, Vladimir Majakovskij: che si auto martirizzava per suoi prolemi interiori e che veniva martirazzava da chi lo cirocndava, compresa la sua “epoca terribile”.
E qui, per questo poeta, scatta la prima parte dell’intervento linguaglossiano. Questo poeta era tutto un progetto che dalla “illibertà” agognava con tutto il suo sangue al progetto di una libertà assoluta e totale – cosa di per se impossibile: sbagliò epoca, ma se ne accorse negli ultimi tre anni della sua vita. Ma non fece in tempo a denunciare (ma le sue opere dopo la Rivoluzione lo testimoniano) perchè fu ucciso (la narrazione dice suicidio!).
as
Sarà perché tutto ciò che scrivo giornalmente, dalle ore 14 alle 19 – senza peraltro ricavane nulla di buono – non mi riguarda… Non nego che vi siano stretti collegamenti tra parola e inconscio, è che li so riconoscere, quindi li evito… È facile dettato.
Del surrealismo non amo l’ostentata spettacolarità. Preferisco di gran lunga la semplice creatività, che il poeta esercita con parole.
Le meraviglie dell’inconscio sono dovute a mancanza di indagine introspettiva, non sono pochi i poeti che si affezionano al proprio disagio, se con questo riescono a produrre buone poesie. In mancanza di vero disagio, se lo inventano.
Il surrealismo kitchen sconfina nel fantastico. Fantastico è l’assurdo mondo che ci circonda. Fa bene Francesco Intini a formulare versi che ricalcano la brevità dei messaggi pubblicitari, ne evidenziano l’assurdità.
È vero, siamo specchi. Tutto sta a decidere se la voce parlante sta da questa parte dello specchio, oppure se a parlare, cosa assurda, è l’io riflesso. Dell’io riflesso non possiamo avere alcun controllo.
Tutto ciò sfugge all’analisi marxista di Giorgio. Da buon critico, geniale innovatore, interpreta l’esteriorità del poetico. Ma a farlo sono in tanti; o troppo pochi, dipende da dove si pone l’osservatore.
Ho dimenticato qualcosa:
di POESIA VELOCE se ne parlò nelle prime fasi del futurismo italiano e qualche anno dopo ma per diversi anni nel futurismo russo. Dunque è da specificare in che senso poesia “veloce” che pur io rileggendo non ho compreso bene il concetto… credo che sia io un po’ tardo a comprendrere.
Però la poesia kitkeniana non può e non deve essere “veloce” in nessun senso o non senso. Essa sta lì a indicarci una direzione e una destinazione (questa nell’accezione dell’antico Egitto che significa qualcosa che va oltre il terreno o terrestre, insomma superamento delle basi su cui si appoggia per approdare in un luogo e in un tempo ben assestati, altrimenti sarebbe una poesia effimera)…
E dato che non vogliamo sia effimera si deve e si può fare poesia kitchen in qualsiasi spazio e tempo dove possa attecchire con convinzione.
Odisseo è tornato a Itaca
Odisseo è tornato a Itaca, ha stabilito il Ministero della Verità ed ha istituito il Grande Fratello
I proci sono rientrati nei ranghi
La longa manus del Grande Padre aiuta i miserelli e i menestrelli
I poeti sono utili per suonare il piffero
Il Ministero della Verità controlla i passaporti e le carte di identità
Omero è un impiegato della Agenzia delle Entrate
È addetto ai prelievi fiscali e alle onoranze funebri con il compito di accompagnare i feretri nell’ultimo viaggio
Dio è stato sostituito dal Signor Capitale
A vicende alterne la Guerra Calda subentra alla Guerra Fredda
La parola Felicità è stata cancellata, anche la parola Dolore è scomparsa dai dizionari
Analgesici e antipiretici vengono somministrati agli abitanti in grandi quantità
Byung-Chul Han, Psicopolitica
Il neoliberalismo e le nuove tecniche del potere Traduzione di Federica Buongiorno, Nottetempo, 2021:
Il Grande Fratello benevolo
La lingua immaginaria parlata nello stato di sorveglianza orwelliano è detta “neolingua” : essa deve sostituire la “archelingua” e ha un unico scopo, quello di limitare lo spazio di pensiero. Anno dopo anno, le parole diminuiscono, e la libertà di coscienza si riduce sempre di piú. Syme, un amico di Winston – il protagonista di 1984 –, è entusiasta della bellezza insita nell’annientamento delle parole. I reati di pensiero dovrebbero essere resi impossibili già per il fatto che le parole necessarie a commetterli sono eliminate dal vocabolario della neolingua. Viene abolita, in tal modo, anche la libertà di pensiero. Proprio da questo punto di vista, lo stato disorveglianza orwelliano si distingue radicalmente dal panottico digitale, che fa un uso smodato della libertà: l’odierna società dell’informazione sarebbe caratterizzata non dall’azzeramento, ma dall’incremento delle parole. Il romanzo di Orwell è dominato dallo spirito della Guerra Fredda e dalla negatività dell’antagonismo. Il paese si ritrova in una guerra permanente: Julia, l’amante di Winston, suppone persino che le bombe, che quotidianamente cadono su Londra, siano sganciate dallo stesso partito del Grande Fratello, per mantenere gli esseri umani in una condizione di paura e terrore. Il “Nemico del Popolo” si chiama Emmanuel Goldstein: è a capo di una rete di cospiratori che opera in clandestinità e persegue la caduta del governo. Il Grande Fratello conduce una guerra ideologica contro Goldstein: ogni giorno, sul “teleschermo” vengono trasmessi i “Due Minutid’Odio” contro di lui. Nel Ministero della Verità (che in effetti è un ministero della menzogna) si controlla il passato per adattarlo all’ideologia. La psicotecnica, cui si ricorre nello stato di sorveglianza orwelliano, comporta il lavaggio del cervello per mezzo di elettroshock, la privazione del sonno, la detenzione in isolamento, la somministrazione di droghe e le torture fisiche. Il Ministero dell’Abbondanza (Minabbon, nella neolingua) sipreoccupa che non siano disponibili troppi beni di consumo: provoca unamancanza artificiale.
Lo stato di sorveglianza orwelliano, con i suoi teleschermi e le sue stanze di tortura, è del tutto differente dal panottico digitale, con internet, gli smartphone e i Google Glass, dominato com’è dall’illusione di una libertà e di una comunicazione illimitate. In questo panottico non si viene torturati, ma twittati o postati: non c’è, qui, alcun misterioso Ministero dellaVerità. A sostituire la verità sono la trasparenza e l’informazione. Il nuovo obiettivo del potere non è controllare il passato, ma indirizzare in senso psicopolitico il futuro. La tecnica di potere del regime neoliberale non è proibitiva, protettiva o repressiva, bensí prospettiva, permissiva e proiettiva. Il consumo non viene represso ma massimizzato. Non si produce alcuna mancanza, bensí un’abbondanza, anzi un eccesso di positività: siamo tutti sollecitati a comunicare e a consumare. Il principio di negatività, che caratterizza ancora lo stato di sorveglianza orwelliano, lascia il posto al principio di positività: i bisogni non sono repressi ma stimolati. Al posto delle confessioni estorte con la tortura, subentra il denudamento volontario. Lo smartphone sostituisce la camera di tortura: il Grande Fratello assume ora un volto benevolo.
La sua benevolenza è ciò che rende la sorveglianza cosí efficace.Il Grande Fratello di Bentham è certamente invisibile, ma è onnipresentenelle menti dei detenuti, che lo hanno introiettato. Nel panottico digitale,invece, nessuno si sente davvero sorvegliato o minacciato. Perciò, lalocuzione “stato di sorveglianza” non è del tutto adeguata a descrivere ilpanottico digitale: in esso ci si sente liberi, però proprio questa libertà percepita, che manca completamente nello stato di sorveglianza orwelliano,rappresenta un problema.Il panottico digitale fa uso di una rivelazione volontaria da parte dei suoidetenuti. L’autosfruttamento e l’autoesposizione seguono la stessa logica:ogni volta è la libertà a essere sfruttata. Nel panottico digitale manca quel Grande Fratello che ci estorce informazioni contro la nostra volontà. Piuttosto, siamo noi stessi a svelarci, a metterci a nudo volontariamente.
È diventato leggendario lo spot di Apple che, nel 1984, fu trasmesso sul maxischermo durante il Super Bowl: nello spot, Apple si presentava come il liberatore dallo stato di sorveglianza orwelliano. Marciando, una fila dilavoratori apatici e privi di volontà entra in una grande sala e ascolta il discorso fanatico del Grande Fratello sul teleschermo. Nella sala irrompe una donna che corre, inseguita dalla polizia del pensiero: continua a correre imperturbabile, reggendo un grande martello davanti al seno che sobbalza. Corre determinata verso il Grande Fratello e scaglia il martello con tutta la sua violenza contro il teleschermo che, di conseguenza, esplode in una fiammata. Gli uomini si risvegliano dalla loro apatia e una voce annuncia: “Il 24 gennaio, Apple Computer lancerà Macintosh. E voi capirete perché il1984 non sarà come 1984”
Contrariamente al messaggio di Apple, il1984 non ha segnato la fine dello stato di sorveglianza, ma l’inizio di una società del controllo di nuovo genere, la cui efficacia supera di molto lo stato di sorveglianza orwelliano. La comunicazione coincide interamente col controllo. Ognuno è il panottico di se stesso.
Un alfabeto LIS ricchissimo, questi versi di Catladi, mi viene da dire.
Ho sempre letto le poesie di Alfonso intuendo un livello psicologico
nel senso che le ho sempre analizzate come un report di una seduta, almeno così mi viene da dire ora riflettendoci.
In queste nuove poesie i livelli semantici esplodono, si intrecciano in una diversa soluzione, una triangolazione con diversi sfondi, “Joaquim ha portato fiabe dall’altra parte del mondo ai tavolini del bar, Giacomo è tentato dai bastioni di Ponente”.
La generazione che Desiati ha fotografato dei quarantenni, si sente e siamo lì, in quella fluidità, ma con contraccolpi, con scambi, con ambiguità e con confessioni. Alle volte sembrano versi thriller, “Chi ha trattenuto stretti stretti i tentacoli alle spalle?”, altre volte siamo in presenza della sineddoche, “il latte prodotto dalle pale eoliche”, una commistione, un liquido che si mescola, che appare e scompare, si sposta in più punti focali, “l’intermezzo di un sindacalista di passaggio”.
L’analessi delle doppie, come Cataldi ha scritto in premessa, permette all’anafora di di scorrere su dei piani che si allungano, i versi stessi si allungano e si restringono, come nella respirazione. Il verso di Cataldi esce dal quotidiano, porta il quotidiano in vacanza.
Giuseppe Talìa
Giuseppe Talìa
Le bugie hanno le gambe lunghe se indossano pantaloni,
hanno le gambe corte se indossano minigonne.
È una questione di proporzioni rispetto alla lunghezza o cortezza
Della bugia, la bugia fa poca strada ma è lunga.
Più grande è la bugia più si diventa complici.
Faccio seguito al commento di Giuseppe Talìa per dire che il modo di raccontare di Alfonso Cataldi parte da due personaggi reali: il figlio di sette anni e il venditore ambulante sulla spiaggia Joaquim; lo storytelling ha dunque una base di realtà ma il procedimento poetico non è mimetico, si allontana dalla mera mimesis per approdare, in modo personalissimo, ad uno storytelling in modalità kitchen. Il risultato è di ragguardevole originalità. L’ho detto molte volte che la poetry kitchen è una serie di modalità kitchen, non c’è un modello o un ombrello di realismo o di irrealismo, tantomeno il kitchen è una scuola di poiesis, il supermoderno ha messo fuori gioco e fuori campo tutte le idee di poesia racconto che abbiamo conosciuto nel secondo novecento e che sono finite con l’ultimo storytelling di Pierluigi Bacchini, lo storytelling di un mondo vegetale disertato dagli umani. Tutte quelle categorie e mini categorie che sono state impiegate nel tardo novecento: il mini canone, la poesia ottica, mnestica, memoriale, elegiaca, antielegiaca, neoorfica, adamitica, sperimentale, quotidianista etc. si sono rivelate di scarso peso e di scarsissimo orizzonte teorico e poietico.
Il fatto è che non c’è più nulla di sperimentale nel mondo di oggi perché tutto è diventato sperimentale, ogni branca di attività segue il marchio di fabbrica dello sperimentalismo, il Capitale, per la legge della riproduzione allargata, ha bisogno di reinventare se stesso ogni giorno in modo nuovo; il capitalismo cognitivo di oggi ha assunto a tempo pieno e indeterminato lo sperimentalismo delle post-avanguardie e lo ha messo a reddito, a produrre reddito; dirò di più (e questo lo dico ai giovani come Davide Galipò che pensano ancora in termini di neosperimentalismo e di post-avanguardia), lo sperimentalismo è oggi divenuto un ideologema, una stampella di sostegno del mercato che ogni giorno deve sperimentare nuove forme-merce, nuove parole d’ordine, nuovi cliché, nuovi apparati. Nelle nuove condizioni del capitalismo glocale e globale di oggi, come ha bene indicato Byung-Chul Han in Psicopolitica, la poiesis non ha più alcuno spazio di manovra e di resilienza, neanche residuale ed epigonico; deve, se vuole superare il fosso, saltare il guado, andare sulla sponda opposta del futuro. La nuova poesia nasce soltanto andando verso il futuro, facendo un «salto» e uno «scatto» verso il futuro, mettendo tra parentesi il passato, la tradizione e la sua storia ideologica. Ancora è da fare il progetto agambeniano della Storia d’Italia attraverso la storia delle sue categorie, le categorie a saperle leggere e individuare, rivelano sempre il lato in ombra della storia culturale e politica del Paese.
CHIACCHIERA E PAROLA
Anche questa di Alfonso Cataldi, com’è in tutti gli autori presenti sia nell’Antologia Poetry kitchen, sia nell’Agenda 2023, è una scrittura che tiene presente la differenza fra «parola» e «chiacchiera», fra la parola che getta ponti fra chi parla e chi ascolta, fra chi scrive e chi legge, e la chiacchiera che, invece, fluida e irresponsabile com’ è, alza muri fra chi parla e chi ascolta, fra noi e gli altri.
Una scrittura sulla quale l’autore ha sempre vigilato per non perdere di vista la distinzione fra lo statuto della parola e quello della chiacchiera perché la chiacchiera è senza peso, vuota, irresponsabile, muta direzione e contenuto senza che ciò sollevi alcun problema: ” Il suo abito è aleatorio, la sua disposizione camaleontica, la sua volubilità senza consistenza…”, (Recalcati).
La chiacchiera è priva di coerenza etica e logica.
La parola invece implica l’esistenza di un peso. Non è un vento che segua direzioni incerte.
La parola può essere più simile a una lama che taglia e lascia il segno…
La parola non è mai separata dalle sue conseguenze poiché, diversamente dalla chiacchiera, “… porta con sé la responsabilità della risposta” (Recalcati).
La parola può avere ancora un peso?
Sì, perché può rispondere responsabilmente ad una chiamata e anche come tale si distingue dalla chiacchiera.
Nuovo tentativo kitchen
Twitter poetry
di Gino Rago
Sei personaggi in cerca di prosecco
escono dal libro di Luigi Pirandello
parlottano con Marcel Proust
entrano nel suo romanzo il quale diventa
“sei personaggi in cerca dello spritz perduto”
Aldo Palazzeschi per dispetto rifiuta a Liolà
di entrare nel suo libro “Il codice di Perelà”
Concordo pienamente con quanto dice Giorgio a proposito del modo originalissimo con cui Alfonso Cataldi ha espresso una modalità kitchen a partire dallo storytelling, storia tra reale e immaginaria. A partire dall’intero plot che in quanto artefatto è di per sé kitchen, vi sono parecchi versi kitchen nella silloge, “un biplano che ausculta”, “in re minore alle prime luci del mattino”, cito questi versi perché il testo Porco Giuda, mi fa riflettere sulla simbologia sessuale che lo anima nello specifico, simbologia che troviamo a macchia anche in altri testi a partire da, “topless disabitato”, “i peccati commessi dalla badante a cavalcioni”, “porco Giuda”, “sorelle mammelle”, “il pisello indemoniato”. Antinomie in un rapporto di contraddizione tra reale e apparente.
Caro Talia,
perché ha citato uno scrittore mediocre come Desiati?
Caro Sagredo,
ho citato Alfonso Cataldi che ha citato Desiati.
“Sui gruppi di letteratura è arrivato, indigesto
il primo apprezzamento per Spatriati di Desiati.”
Cataldi esprime con, indigesto, l’apprezzamento.
Saluti
Il libro… oggi
Il libro aprì le mie mani per segnarmi come un monatto irriverente,
nella mia mente avvilita i misteri della metonimia antica,
e quella malattia che traverso il nome si chiama, se volete, Poesia.
Sorrise il lucido dorsale per mostrarmi la sua identità cartacea.
E mi sfogliò le epoche come uno stregone distilla il suo veleno cortigiano.
Mi accecò come un bardo la parola per cantare la mia corteccia irrazionale.
Il furore dell’infanzia esondò come la bellezza di Rosalia!
Come la beatitudine di Smeralda inquisì lo spasimo della materia!
Per coprire d’oscurità i triviali segreti celebrò le distinzioni delle pagine
con le affilate misture di Salafia, e gli spettri delle sue formule
per vincere d’immortalità i suoi sembianti. Per il trionfo della maschera
il trucco di una pelle si ritirò sdegnoso dietro la propria inconsistenza.
Il libro… oggi, è un cavaliere insopportabile e vincente.
La macchina non ha piedi, né cammini tracciati dai sentieri,
e passi tardi e lenti per stampare i tempi e gli ignobili pensieri.
Come un geniale attore che alle scene assegna gli atti, i gesti, e i fallimenti.
Antonio Sagredo
Roma, 5/12 novembre 2011
È l’ora del Piemonte. Davvero cretino.
Passo.
LMT
… è instant poetry. Meglio dirlo;)
Mi inserisco, seppur in ritardo, in quest’articolo, per complimentarmi con Alfonso Cataldi per la sua scrittura, che evidenzia ancora una volta la grande vitalità della nostra ricerca, con la varietà delle proposte sottoposte da ogni poeta, ognuno contribuente al progetto di innovazione della scrittura poetica che ci accomuna, ma secondo delle prospettive personali, senza condizionamenti “dall’alto” come invece stupidamente mi sono sentito dire in passato da detrattori che come spesso accade, parlano perché costituzionalmente si pongono l’obiettivo di parlare, ma totalmente a vanvera.
La peculiarità della poesia di Alfonso è intanto nella sua grande capacità narrativa, che avvicina la sua scrittura quasi a delle sceneggiature cinematografiche, che ci illustrano scenari, contesti, ambientazioni, personaggi, in una modalità che al contempo narrativa ed immaginifica.
Partendo da un disegno iniziale narrativo infatti, Alfonso Cataldi crea una sua originalissima sintassi che disarticola il rapporto tradizionale delle significazioni, attivando nuovi intrecci e nuove relazioni semantiche, che dischiudono l’interpretazione a più ripiani di lettura, che è esattamente la chiave per poter spalancare le porte degli edifici della strutturazione antropo-filologica della nostra epoca e consentire alla poesia di poter ancora costituire uno strumento adeguato per una rappresentazione poetica ed un esercizio di critica intellettuale valida e vitale.
Chapeau, caro Alfonso.
Caro Vincenzo,
Grazie per essere tornato a queste mie poesie e per le tue parole di apprezzamento per il mio percorso nella Poetry Kitchen. La verità è che in questo posto, qui sul blog, ho sempre sentito estrema libertà di espressione compositiva e possibilità di “osare”, di sperimentare, di trovare una strada, come dici, una mia sintassi. Ci sono arrivato per gradi, grazie a tutti voi.