La nuova Poesia in Distici, Giuseppe Gallo, Alfonso Cataldi, Giuseppe Talia, Franco Intini, Edith Dzieduszycka, Gino Rago, Lucio Mayoor Tosi, con Commenti di Mario M. Gabriele e Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

cari amici,

qui ormai stiamo fuori del «timbrificio tipografico» come si esprime con brillantissima espressione Mario Gabriele:

«c’è un apposito sportello [ndr. la NOE], dove trasferire nella rete fognaria il bel verso, la retorica, la mitologia, l’iperbato, il soggetto, la continuità,la retorica ecc., come timbrificio tipografico.

“Il distico”, con parole nostre o di autorevoli filosofi,” istituisce visivamente il nulla. Si tratta di una percezione singolarissima. Può scrivere un distico soltanto chi ha questa percezione singolarissima”».

E Lucio Mayoor Tosi:

«Gianni Godi esce dal tempo, e sembra provenire dal futuro – indietreggiando, rivolto al nostro presente. Però sembra non avere memoria, tanto del presente, quanto del futuro. Di conseguenza, un po’ ne soffre la comunicazione. Anche perché i testi sono portati all’estremo della sconnessione… sconnessi ma, se riuniti, arrivano a comporre in mosaico…».

Sia chiaro che la brillantina tipografica della poesia dei nostri giorni con iperbato fondato sull’io è roba da timbrificio tipografico, da dentifricio fono simbolico… noi qui stiamo facendo una cosa davvero nuova e rivoluzionaria. Ad esempio, prendere cognizione e possesso di un concetto elementare che in filosofia circola da almeno duecento anni, che «le parole sono ponti interrotti», che la procedura della colonna sonora di voler dare loro un senso con una colonna fono simbolica ben costruita come ha fatto il più grande poeta del novecento, Montale (almeno il primo Montale), è da archiviare con sollecitudine. Tutta la poesia riepilogativa ed epigonica che oggi come ieri continua acriticamente a confezionare confetti e confetture dell’io, è roba da indirizzare nella pattumiera della storia stilistica, roba da passatisti in vacanza colliquale. Pensare che il poeta possa o debba dare un senso alla poesia per il tramite dei suoi alambicchi fonosimbolici e tipografici è davvero una pia illusione di professorini innocui e vanagloriosi.

Come scrive Lucio Mayoor Tosi, qui siamo in un «cantiere aperto», c’è chi afferra dal passato e dalla memoria frammenti di significato, come fa Donatella Costantina Giancaspero, e chi invece recupera dal non-tempo degli spezzoni, delle zattere linguistiche un tempo significative come fa Gianni Godi nelle sue poesie volumetriche, e chi come Gabriele riutilizza e rimette in circolo lacerti e sintagmi dei cartelloni pubblicitari della cultura occidentale ridotti ad elementi frastici non più significativi. La sostanza della NOE è varia e ampia, ciascun poeta può scandagliare i propri strumenti espressivi in piena libertà. Aver paura del «nulla» che ci si trova di fronte, indietreggiare, come fa Claudio Borghi, respingere il «nulla» accusandoci di «nichilismo», implica una fuga dalla realtà del nostro tempo e una fuga dalle proprie responsabilità stilistiche e formali. Lo spirito umano conosce soltanto le idee, demonizzare le idee significa demonizzare il mondo.

Il «frammento» compare all’improvviso, nell’immenso disordine degli oggetti, è esso stesso un prodotto di quel disordine, ma, affinché vi sia «frammento» esso deve sortire fuori da una marcatura del tempo. È il tempo il demiurgo del «frammento», suo capostipite e suo padrone. Nel «frammento» c’è tutta la potenza detonante del significante, ma come raggelato e immobilizzato, ed esso ci appare estraneo (Unheimlich), chiuso nell’ambra di un milione di anni millimetri e sepolto nella memoria. E l’assurdo è che il «frammento» ci guarda. Dal lontano passato sembra osservarci e, una volta libero dal nostro sottosuolo, esso ci domina dalla profondità della sua Contingenza.

Giuseppe Gallo

Lilli

Lilli sorrise alle macchie sul muro,
aveva intravisto il colbacco di Lenin.

Elena per scendere scelse i gradini più comodi.
Ormai dipingeva in grigio solo scale in salita.

La primavera era sopraggiunta in treno.
E i papaveri si vergognavano di rosseggiare in città.

– La morte non sa che può fare male,
ha ancora i calzoni corti e la minigonna di Mary Quant!-

Oggi non è più oggi.
…attenda in linea…

Le carpe d’argento assalivano le barche dalle sponde.
Se non hai parole non puoi avere fantasmi.

Si scrive soltanto il passato
per sorreggere la potestas e l’auctoritas.

La voce è un gesto: la bocca mi baciò tutto tremante…
ma dopo, quando si spara…

Intorno alle acacie si agita la luce,
il pappagallo la sfoglia come un libro.

Ha imparato a leggere lungo la traversata.
…è un’inchiesta sulla qualità del servizio…

La morte è una scavezzacollo… deve fare esperienza.
Ha ancora i calzoni corti e la mini gonna di Mary Quant.

.

Alfonso Cataldi

 “Pratiche da niente” in fila indiana dentro il dormiveglia.
Il contabile richiude il guardaroba.

– Le adozioni bruciavano alle spalle del convento
gli americani impararono gli orari delle prove corali.

Philomena interpreta il destino da una foto-testamento
nulla può aggiungere l’indagine di un serial killer.

Il corpo è sepolto al punto di partenza.

«Nessun riflesso ha inciso le pupille della Virgin Morena»
conferma l’entourage di Rafael Torija.

Due ex continuano a studiare i dettagli dell’abbronzatura.
Al presidio scarseggiano i mantelli taglia XXL.

È sufficiente un’altra notte di scampoli cuciti
a una madonnina che sta nel palmo d’una mano.

Giuseppe Talìa

                                   A Mario M. Gabriele e Godi

“Ehi dude! Close to me.”
“No, se non sei tra i miei contatti!”

Io sono un gi pi esse, non sono più un essere.
Il re è morto. Lunga vita ai microcip.

Arriva il vento. Il vento. Il vento.
Anemossssssssss… Kathorosssssssss…

Il freddo di ponente. Il caldo di levante.
Il vento morente. Il vento emergente.

Arriva. Arriva. Arriva.
Sfarina i fondali.

Un doppio vincolo ci unisce.
Earls Court è un amore barbaro.

Nel medioevo tecnologico,
Era u
Ora i.

Questi doni ho in tasca per gli ospiti:
fiori freschi e frutta secca, qualche tribolo.

A Fontainebleau il fantasma di Gurdjieff
impastava cocci dell’essere con smalti di vita.

Mi viene facile incollare i pezzi Ikea e Brico.
Braco (non dovrei cercare alleanze foniche).

Le gengive di Sanguineti mi masticano.
Mario M. Gabriele mi possiede.

Le parole sono pietre e vivo circondato da un muro a secco.

Mario Gabriele

caro Talia,
sei un vero professionista della parola, moderna e mai atavica. I termini commerciali come Ikea, Brico, e del mondo tecnologico riferito ai micro cips e gi pi esse, fanno parte di una discontinuità ideologica e lessicale all’interno della poesia, che estirpa tutte le radici fonologiche connesse con i vecchi paradigmi. Non c’è dubbio che con queste libere coesistenze linguistiche, si possa andare oltre certi regimi estetici già consolidati, ma è da accogliere con piacere l’uso prevalentemente nuovo che fai del verso, come idealità nuova, dal tratto verbo-iconico.

.

Gino Rago

 Una foto di Degas

Vicino a un grande specchio
Nella foto di Degas si vede Mallarmé.

E’ in piedi contro il muro.
Renoir è sul sofà.

Nello specchio (come fantasmi)
Lo stesso Degas ( con la sua camera )

E la moglie di Mallarmé (con sua figlia).
Paul Valery entra dopo lo scatto.

Ora guarda la stampa che Degas gli ha regalato:
“Il prezzo di questa opera d’arte?”

Nove lampade a gas
E un istante di completa immobilità.

Donatella Costantina Giancaspero fotagrafa
La foto di Degas.

Pone sulla stessa linea di mira mente,occhi e cuore.
Trattiene il fiato e scatta.

Nella foto della foto di Degas
Donatella Costantina ha messo tutto.

I libri. I viaggi. Gli amori.
Gli appuntamenti mancati, le promesse mantenute.

.

Donatella Costantana Giancaspero

Grazie, Gino Rago,
fra tante foto che ho qui, non ricordavo più di averne scattata una anche alla “Foto di Degas”. Oppure, l’avevo smarrita, vai a capire… Ma vedo che tu l’hai ritrovata. Molto bene, ti ringrazio! La metterò insieme alle altre mie foto di viaggi, di amori, di promesse e appuntamenti mancati. Istantanee di istanti. Frantumi di vita. Vita in frantumi. Lampi al magnesio.

Une bonne soirée à toi, à Degas, à les amis…

 .

 Lucio Mayoor Tosi

Monsieur Gurdjjieff

« Fanculo, mi diverto. Georges
Ivanovič.». La notte si avvicina.

Il popolo è affamato. Esce il Re sul balcone.
Prende il pane; lo spezza, e dice:

«Tenete…».

Più delinquente, che bravo ragazzo.
Superpiù della poesia.

Liberi, solo se pazzi. Allucinati.
Ma liberi. Sole del Nord.

Portami a casa. Disse Georges.
Ma rideva sotto i lunghi baffi.

Ho la sifilide.

Edith Dzieduszycka

 Ricordava il cicaleccio futile da vecchia bambina viziata
della donna stravaccata sul sedile di fronte.

Dialogo quotidiano fatto di piccoli dettagli insignificanti,
di banalità cronaca silenzi. Destino insieme unico e universale.

Miliardi di corpi già sprofondati e altri destinati a sprofondare.
Senza nemmeno pensarci. Anche loro. Inesorabilmente.

Tutti quei corpi in movimento frenetici aggressivi
pronti ad affrontarsi e a combattersi,

a sopprimersi a vicenda anticipando i tempi
per ubbidire a chi sa quale oscura legge?

Di quale peso d’ossa, di quale massa di polvere
caricano una terra indifferente?

Quella terra sempre più gravida e sempre più pesante?
Fino a quando reggerà un tale carico?

Attraversò la strada, rialzò il collo del suo giaccone
e guardò in alto la facciata di casa sua.

Vide il rettangolo illuminato della finestra del soggiorno.
Gli sembrò di vedere il muoversi di una tenda.

e il passar dietro di un’ombra.
Ma forse era la finestra dell’appartamento vicino?

[Estate 2017 – Estratti sparsi dal romanzo Intrecci – Genesi – 2016]

.

 Franco Intini

METTERE I BAFFI ALL’ IO

1-INFER
RIATE

Salme:
Si muovono navi verdi. Di olio la pioggia

Donne irriducibili alle inferriate.
Un punteruolo rosso in ceppi. Due proconsoli di Cesare.

Socrate assorbito dalle cicute.
vendono palme a Barabba

La banda delle cinque fa a meno degli orologi, borghesi per giunta.
Il tempo lo è.

La legge invece è capitalista.
Una centuria suggerisce a degli ulivi di far largo alla xylella.

dal Salento a Gerusalemme.
Le successioni sanno di catena alimentare

dov’è Gesù?

Dio è morto
Io è morto.

Un pianoforte perde i denti. Musica di Schubert nelle vie di Bari.
Negli uffici stampano registri in codice binario.

Faber. L’asino, il muro del ‘61
sulla via del mare omaggiano la carovana del re.

Giuda in su.
Il Duce in giù.

.

2-CE N’È PER TUTTI.

la motozappa crea il dopoguerra
Berlino 1945, campo di sterpaglia

Su Hiroshima cresce l’ailanto
pianta alleata

scrivere la storia
con la matita di un pipistrello

senza spiegazioni
appendersi a un filo d’erba

e poi quali sono le ragioni
del contadino?

il motore vale
una pompa peristaltica

quanti figli ha fatto per la guerra?
Tanti che nessuno li conta a pranzo

Bios ci sa fare con queste cose
L’arte è un fatto mentale

Leonardo morto
Vale un colombo su Monna Lisa

.

3-MIRACLE

Premessa:

Francesco d’Assisi
Albert Einstein

Difficile camminare sull’acqua
Come viaggiare in un buco nero

l’acqua inghiotte luce
Un buco nero la mortalità

Cos’ è singolare?

.

NELL’ANNO 2100

Fu costruito il primo Santo robot
Lo chiamarono Francesco

perchè parlava con gli uccelli, un effetto
dell’Elio II che scorreva nelle sue vene

progettato per fare miracoli
invertiva la freccia degli eventi

tornò ad Assisi
abbracciando stimmate e povertà

l’italia ne rimase sconvolta,
nessun ministro della lega

fu visto il duce sotto la pensilina
piazzale Loreto tornare vuota

a Dongo non successe nulla
Claretta ricomposta

Bambina innamorata
del suo principe

Praga rifiorì nel nulla
il patto di Varsavia dissolto

molti mali ritornarono nelle ortiche
Compreso Himmler che mai nacque

Né si vide Mengele
Operare sui bambini

La tecnologia del miracolo
Rimise in piedi il palazzo vescovile

Francesco è senza sacco, ora
dinnanzi a Bernardone

Le ricchezze, i sontuosi panni
La mercanzia donata ai poveri

Da qualche punto però si torna
Anche il tempo è onda

il calore va e viene
l’ istante si conserva

se inverti la rotta il cancro sparisce
la radiografia non ha più traccia

solo la Memoria
rimane intatta

risorge
muore

Mario M. Gabriele

cari Amici,

non esiste in questo post, all’interno del distico e del frammento, una sola poesia che sia in distonia con i testi presentati. Sembra un teatro di voci dove la vocalità si articola su linguaggi quasi pre-futuri.

Tutto questo lo si deve agli esiti poetici di Giorgio Linguaglossa, Gino Rago, Donatella Costantina, Guido Galdini, Carlo Livia, Silvana Palazzo, Giuseppe Gallo, Alfonso Cataldi, Giuseppe Talia, Franco Intini, Lucio Mayoor Tosi, Edit Dzieduszycka e Francesca Dono: un vero e proprio Gruppo NOE, senza sbaragli irreversibili, anzi, devo dire di non trovare debolezze estetiche, ma approvvigionamenti linguistici di singolarità tecnologica.

A questo approdo concorrono, evidentemente, consensi unanimi, fuori da ogni composizione artificiosa e lirica; e penso pure ad una opzione meta letteraria che non va abbandonata.

Ciò lo dico perché ci stiamo lavorando da tempo, per proporre un nuovo modo di fare ricerca sotto un’unica sigla, che può incontrare anche pareri discordi, senza ricorrere a giudizi Keep Out, che avviliscono ogni fare poetico. Grazie e Buona Pasqua a tutti.

14 commenti

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14 risposte a “La nuova Poesia in Distici, Giuseppe Gallo, Alfonso Cataldi, Giuseppe Talia, Franco Intini, Edith Dzieduszycka, Gino Rago, Lucio Mayoor Tosi, con Commenti di Mario M. Gabriele e Giorgio Linguaglossa

  1. La questione del logos è la questione fondamentale

    Scrive Henry Meyer:

    «Si tratta di pensare cosa bisogna intendere per logos. Una tale esigenza può sembrare superflua in un’epoca che ha visto fiorire tanti lavori sul linguaggio: Il logos è un’altra cosa: è il linguaggio della ragione, e della ragione che si apprende in tutta la sua ampiezza, e non secondo questo o quell’aspetto particolare. L’inflazione delle ricerche consacrate al linguaggio ne rivela piuttosto l’assenza di unità. Quanto è ricchezza per la scienza, che moltiplica analiticamente i ritagli di oggetti, si rivela povertà per la filosofia, che cerca il principio e la totalizzazione: Ma non è possibile che, dopo tutto, la questione sia falsamente una questione filosofica e che si debba lasciare questa riflessione nello stato di dispersione che le conosciamo? Tuttavia, neppure la scienza ha molto da guadagnarci. L’infinita diversità dei fenomeni linguistici ha dato luogo a numerosi studi parziali che mascherano il logos, proprio mentre vogliono mettere in evidenza la realtà che gli è propria.

    La molteplicità degli approcci e dei punti di vista – li si chiami sintassi o grammatica (generativa o no), ci si rivolga piuttosto alla semantica, alla pragmatica o ancora alla logica – non ha alla fin fine risposto alla questione di sapere cosa significa parlare. Rivolgersi a questo o a quell’altro fatto linguistico, scelto a caso in base agli interessi del ricercatore, non ha nulla di condannabile: è soltanto arbitrario. Per giustificare la sua scelta, egli deve ricorrere a una teoria del linguaggio, ma è proprio questa che egli pretende di scoprire o di validare, rivolgendo la propria attenzione ai fenomeni particolari che egli prospetta. Una teoria scientifica può certo privilegiare i fatti che vuole, senza che questo escluda altre scelte. Così facendo, essa non potrà pretendere di aver catturato la realtà del linguaggio in quanto tale. I suoi risultati saranno proporzionali alle sue scelte: limitati…

    Questa sommatoria operata a partire dalla scienza mira a raggruppare il parziale per farne qualcosa di generale, ad addizionare i fatti particolari per ricondurre il logos ad un’immensa empiria di linguaggio. Proprio questo presuppone una concezione del logos, della ragione… Egli rifiuta la filosofia per i fatti, come se proprio ciò non tradisse già una certa filosofia, non fondata, sul comportamento da adottare nei confronti del linguaggio, su ciò che bisogna apprendere e su ciò che bisogna evitare, in breve su ciò che determina e definisce la ragione parlante. Il linguaggio sarebbe con piena evidenza a immagine della scienza, anzi che dico, la scienza sarebbe il linguaggio, al di là della sua inevitabile razionalità analitica?…

    Le proposizioni che affermano che il linguaggio è dell’ordine del risultato, e forse anche, a razionalità giustificativa come la scienza, sfuggono anch’esse a questa definizione o, piuttosto, a questo a priori. Quest’ultimo si distrugge se si dice. Il che prova che il linguaggio non è ciò che esso afferma, e che non può affermare, benché il linguaggio possa esprimere anche i risultati della scienza… Ne va del pensiero del linguaggio, nella misura in cui esso è il linguaggio del pensiero… Pensare il linguaggio significa prima di tutto aprire il pensiero al proprio linguaggio. Il pensiero del linguaggio mette in atto un linguaggio specifico che è quello del pensiero. È in ciò che risiede il carattere fondamentale della meditazione sul logos. Senza questa meditazione, come possiamo sperare di trovare uno spazio proprio del pensiero, che non lo releghi a forme abusate del linguaggio, e nelle quali esso si perderebbe inevitabilmente? Forme abusate, dunque uso delle forme, le stesse di cui si tratta di render conto e che le analisi contemporanee presuppongono affermando, vietando, contestando.

    Ma è possibile procedere altrimenti? Senza il pensiero del linguaggio, il linguaggio del pensiero si dissolve di fatto, se non implicitamente di diritto, in forme e in usi che rendono il pensiero estraneo a se stesso. L’alienazione che inghiotte il pensiero si basa sull’uso di un linguaggio che non è il suo.

    La questione del logos è posta come domanda fondamentale del pensiero. Fondamentale, perché non poggia u nessuna risposta preliminare e, per questo, su nessuna domanda più prima ancora. E fondamentale altresì, perché essa si vuole fonte della risposta prima. Fondamentale, dunque filosofica, cioè esente da presupposti e da asserzioni esterne che non discendano dall’interrogazione sul logos
    […]
    Come interrogare il logos senza dover presupporre proprio ciò che occorre mettere nella risposta? Quale domanda è necessario precisamente rivolgere al linguaggio? Come formulare questa domanda senza già orientare la ricerca su di una strada particolare e arbitraria, che ci condannerebbe a errare. Il linguaggio ci sfuggirebbe a causa della particolarizzazione alla quale saremmo abbandonati. Come sapere esattamente la domanda particolare da porre, senza cadere nel tranello dell’anticipazione di una risposta? […] Così, perché la questione del logos sia considerata come tale, occorre non soltanto non presupporre niente oltre ad essa, ma, in più, non è legittimo formularla come se chiedesse questo o quello, questo piuttosto che quello.
    […]
    Affermando tutto ciò che abbiamo appena detto sulla questione del logos, sul fatto che essa sola deve e può concludere la ricerca iniziale, noi non siamo più a livello della domanda iniziale. Facciamo agire una discorsività che non è la domanda ma parla di essa. Parlare così della questione del linguaggio è qualcosa che si aggiunge alla semplice posizione della domanda. Così facendo, abbiamo preso atto, nell’atto linguistico che consisteva nel porre e nell’elaborare la questione, del fatto che c’è un’esigenza da rispettare, nella fattispecie quella delle domande e delle risposte. Dalla questione del logos scaturisce una risposta: il logos è fatto di domande e di risposte, e questo è essenziale al logos, ed è anche un’esigenza dal momento che le domande sono considerate in quanto tali. f»1

    1 H, Meyer, Problematologia, Pratiche editrice, 1991 pp. 267 e segg.

  2. mi trovo un po’ in difficoltà a commentare singolarmente le poesie dei vari autori dei due ultimi post perché il livello molto elevato di introiezione dei segreti della NOE è ormai così consolidato che mi lascia addirittura sorpreso. Non credevo che autori che si sono accostati alla rivista da relativamente poco tempo, come Franco Intini, Giuseppe Gallo, Alfonso Cataldi, Giuseppe Petronelli, Francesco Gallieri e altri abbiano potuto assorbire così in fretta i principi guida della nuova poesia. Evidentemente erano già per proprio conto indirizzati in questa direzione, cercavano, magari a tentoni, qualcosa che galvanizzasse la propria scrittura. Questo è senz’altro un buon segno, un segno di vitalità della nuova poesia. Non occorre essere in centinaia, è sufficiente una piccola ma agguerrita (stilisticamente) pattuglia di interpreti. In particolare vorrei dire qualcosa su questa poesia di Giuseppe Gallo.

    Giuseppe Gallo

    Lilli

    Lilli sorrise alle macchie sul muro,
    aveva intravisto il colbacco di Lenin.

    Elena per scendere scelse i gradini più comodi.
    Ormai dipingeva in grigio solo scale in salita.

    La primavera era sopraggiunta in treno.
    E i papaveri si vergognavano di rosseggiare in città.

    – La morte non sa che può fare male,
    ha ancora i calzoni corti e la minigonna di Mary Quant!-

    Oggi non è più oggi.
    …attenda in linea…

    Le carpe d’argento assalivano le barche dalle sponde.
    Se non hai parole non puoi avere fantasmi.

    Si scrive soltanto il passato
    per sorreggere la potestas e l’auctoritas.

    La voce è un gesto: la bocca mi baciò tutto tremante…
    ma dopo, quando si spara…

    Intorno alle acacie si agita la luce,
    il pappagallo la sfoglia come un libro.

    Ha imparato a leggere lungo la traversata.
    …è un’inchiesta sulla qualità del servizio…

    La morte è una scavezzacollo… deve fare esperienza.
    Ha ancora i calzoni corti e la mini gonna di Mary Quant.

    Quello che mi sorprende in questa poesia è la sicurezza dell’andamento polifrastico, la scioltezza con cui si muove Gallo, il suo saper muoversi a zig zag ad ogni distico, la rapidità di esecuzione, i cambi di marcia mai banali, mai prevedibili; mai scontati, la capacità che mostra l’autore di sorprendere il lettore ad ogni distico, ad ogni verso, combinando ironia e, soprattutto, auto ironia, serietà e gioco, ma un gioco serissimo, niente affatto giocoso, combinando citazioni culte e rottami delle fraseologie cibernetiche. Ne deriva un paesaggio lessicale e stilistico mobilissimo e extravagante, un timbro nuovissimo, una fragranza lessicale che non leggevamo da così tanti anni… Forse il segreto è che Gallo si è dedicato per più di trenta anni alla ricerca in campo idiomatico nel proprio dialetto calabrese… questo retroterra si è rivelato utilissimo per la sua nuovissima ricerca poetica nell’ambito della nuova ontologia estetica… è che proveniva da una lunghissima e difficilissima maratona nel campo del dialetto…

    • Caro Giorgio penso che tu abbia ragione. Per quanto mi riguarda, ci sono punti come l’ interesse per la struttura dinamica del Tempo, la messa in mora dell’io fino alla sua demolizione critica nel testo-quello che il sottoscritto indica, imitando Duchamp, con “Mettere i baffi all’io”- ed infine il distico come struttura principale del pensare poesia che insieme alla coscienza della megacrisi in atto, rappresentano dei punti di arrivo irrinunciabili. La scoperta del distico in questo senso è fondamentale. Si tratta di pensare l’espressione poetica alla stessa maniera in cui si pensa un’ onda. Creste e valli, luminosità e ombra assoluta, essere e nulla, senza vie di mezzo, che avvolgono e riempiono gli spazi tutti, siano quelli della Storia, della Scienza della Filosofia, dell’Arte, della Politica e di quant’altro, diffrangendo e interferendo in tutte le direzioni. Ecco, non so se ho reso l’idea, ma per il sottoscritto si tratta di una vera presa di coscienza di queste possibilità latenti nella scrittura e messe al bando da più parti, dove la narrazione di sé stessi è via maestra, corpuscolare ed esclusiva del poetare. Ciao e grazie di tutto.

  3. Edoardo Nannipieri

    Trovo veramente non condivisibile il fatto che la poesia si riduca ad un gioco di parole, più o meno esilaranti o divertenti.Dite che èsatira,parodia o altro: non sono d’accordo.

    • Talìa

      Ogni primo verso di ogni distico della poesia Lilli di G. Gallo, è un enigma. Il secondo verso, invece, una soluzione del rebus.

      Con questi versi il gioco che Gallo mette in campo è serissimo, ed è portato al limite dell’inverosimile.

      “La primavera era sopraggiunta in treno.
      E i papaveri si vergognavano di rosseggiare in città.”

      Inverosimile che la primavera possa arrivare in treno, come inverosimile e che i papaveri possano vergognarsi e verosimilmente rosseggiare.

  4. gentile Edoardo Nannipieri,
    evidentemente lei non ha letto bene le mie parole, io ho detto proprio il contrario di quello che lei mi addebita, ho scritto, precisamente che si tratta di «un gioco serissimo, niente affatto giocoso».

  5. La Mega Crisi quale causa efficiente della nuova ontologia estetica
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/04/23/la-nuova-poesia-in-distici-giuseppe-gallo-alfonso-cataldi-giuseppe-talia-franco-intini-edith-dzieduszycka-gino-rago-lucio-mayoor-tosi-con-commenti-di-mario-m-gabriele-e-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-56375
    Occorre prendere molto sul serio la tesi di fondo di Freud sulla paranoia. Secondo Freud il delirio non è la malattia stessa, ma un tentativo di guarigione. E qual è la “malattia” vera che lo psicotico delirante cerca di medicare? Risponde Freud: “Esperienze primarie di terrore, frammentazione e invasione”. Il delirio, soprattutto se sistematizzato, finisce col dare ordine e senso a un’esperienza di caos insopportabile. È possibile pensare sulla scia di Lacan, che questa reazione accada quando il soggetto si trova di fronte a un evento o a una situazione in cui non può più ignorare il “buco”, quel significante escluso, in significante – la paternità – a cui non corrisponde alcun significato. Ora, questo confronto col “buco” può produrre lo sfaldarsi completo dell’assetto di senso del soggetto.

    Questo preambolo per dire che al di sotto dell’esperienza della nuova ontologia estetica c’è una situazione di lacerazione, frammentazione, de-fondamentalizzazione del soggetto, espressioni tipiche del nostro tempo di Mega Crisi.

    Voglio dire che noi non ci saremmo mai imbattuti nella NOE se non vivessimo in un periodo di grande crisi (economica, politica, sociale e spirituale, e quindi anche stilistica), alla quale dobbiamo in qualche modo rispondere, trovare un senso alla crisi e malgrado la crisi; anche perché l’unico modo di uscire da una crisi devastante come quella che l’umanità sta vivendo nel nostro tempo, è attraversarla, trovare un senso alla crisi. Anche il non-senso sarebbe una risposta plausibile alla crisi che stiamo vivendo. Le bombe deflagrate nello Sri Lanka ci riguardano molto da vicino. La guerra civile della Libia ci riguarda molto da vicino. La guerra civile (strisciante) che da almeno un anno affligge l’Italia è un sintomo evidentissimo di questa Grande Crisi.

    Ecco, io sono del parere che questa Mega Crisi sia la causa efficiente della NOE. Noi tutti scriviamo la poesia che scriviamo in preda ad una frantumazione e de-valorizzazione di tutti i valori ai quali facevamo riferimento fino appena a ieri. Ecco, tutti quei valori, improvvisamente, oggi non valgono più, sono andati in disuso, sono stati rottamati. Oggi noi abbiamo di tutti quei valori soltanto delle schegge, dei rottami, dei frammenti, nient’altro ci resta di integro, tutto è stato frantumato e rottamato. La NOE non può che riflettere questa Mega Crisi dei valori e delle parole (che quei valori portano). Non è affatto colpa nostra né forse neanche merito nostro se abbiamo abbracciato una nuova ontologia estetica. Probabilmente, anzi, sicuramente dopo di noi verranno altre ontologie estetiche, il mondo non si ferma certo alla NOE, ma adesso, in questo preciso momento segnato dalle lancette dell’orologio della storia, è il momento della NOE.

  6. Nunzia Binetti

    Caro Giorgio, mi identifico con il tuo pensiero e con la lucida e accurata analisi che fai ,osservando il nostro tempo. C’è un disorientamento generale a livello globale e individuale ,a causa del quale non possiamo che rappresentaci come schegge e attraverso schegge di scrittura . È crisi, crisi dell’organico. È disarmonia che cerca disperatamente l’armonico , ormai inesistente . Trovo i testi ,qui pubblicati ,tutti davvero eccellenti e non a caso , credo, tu abbia incluso i versi di Franco Intini a quale ho sempre manifestato grande ammirazione per tutto quanto scrive. Trovo che i suoi versi ,franti e spezzati, siano veri ; colmi di una causticità nei confronti del tempo presente e dei suoi ” mali”, che non solo arriva ma pure sgomenta. Grazie per esserci, Giorgio ,e per il lavoro che porti avanti con tanta fede, in cerca di una Nuova e migliore poesia . Un abbraccio.

  7. Cara Binetti, Caro Nannipieri,
    ecco uno spunto sul quale imbastire qualche riflessione: è un pensiero di Roland Barthes tratto da una idea di Diderot

    La calza e l’idea
    Roland Barthes
    [La poesia?
    E’ la macchina per fare le calze].

    Il testo è redatto da Diderot in persona. Da cosa deriva tutto questo interesse? Innanzitutto, ovviamente, dal fatto che la macchina per calze esprime molto bene il tema progressista della nostra civiltà tecnologica, il quale ha avuto inizio appunto nel XVIII secolo: da un lato i bisogni della vita quotidiana, colti a partire da un umile articolo vestimentario; dall’altro il potere della tecnica, che permette agli uomini di soddisfare questi bisogni, impiegando un minor tempo e un minor lavoro che in precedenza. Così, la nuova macchina per calze simbolizza il rovesciamento della vecchia legge contabile della “fatica”, scotto inevitabile – si pensava – d’ogni esistenza.

    Non è tutto. Quel che rende la macchina per calze veramente ammirevole agli occhi di Diderot è il fatto che essa possiede una sorta di perfezione intellettuale.
    “Possiamo guardarla – scrive – come un solo e unico ragionamento di cui la realizzazione del prodotto è la conclusione; regna fra le sue parti una così perfetta dipendenza reciproca, che sopprimerne una soltanto, o alterare la forma di un’altra apparentemente inutile, significherebbe danneggiare l’intero meccanismo”.

    La macchina per calze illustra in tal modo la perfezione che ci si aspetta da ogni intelligenza: la solidarietà deduttiva delle idee, la necessità delle loro forme. Certo, dopo Diderot l’umanità non ha mai cessato d’inventare macchine nuove, sempre più complesse, che sembrano oltrepassare i limiti dell’intelligenza, di cui pure sono al tempo stesso il modello e la copia. E anche la macchina per calze è molto cambiata. Tuttavia, il simbolo permane, e sussiste il medesimo stupore:

    una calza femminile – la cosa più fine, più leggera che esista, liscia come la pelle che protegge ed esalta, simbolo stesso della creazione sovrannaturale perché non ha in sé, come la tunica dei santi, nessuna cucitura – può essere la conclusione (è il termine di Diderot) di un ragionamento la cui complessità, simile alla sorpresa derivante d’un’idea intelligente, si inscrive nel lampo di quei pochi secondi necessari a produrla.

    (gino rago)

  8. Un dittico in distici a quattro mani

    Gino Rago-Donatella Costantina Giancaspero
    La foto di una foto di Degas

    Vicino a un grande specchio
    Nella foto di Degas si vede Mallarmé.

    E’ in piedi contro il muro.
    Renoir è sul sofà.

    Nello specchio (come fantasmi)
    Lo stesso Degas ( con la sua camera )

    E la moglie di Mallarmé (con sua figlia).
    Paul Valery entra dopo lo scatto.

    Ora guarda la stampa che Degas gli ha regalato:
    “Il prezzo di questa opera d’arte?”

    Nove lampade a gas
    E un istante di completa immobilità.

    Donatella Costantina Giancaspero fotagrafa
    La foto di Degas.

    Pone sulla stessa linea di mira mente,occhi e cuore.
    Trattiene il fiato e scatta.

    Nella foto della foto di Degas
    Donatella Costantina ha messo tutto.

    I libri. I viaggi. Gli amori.
    Gli appuntamenti mancati. Le promesse mantenute.
    […]
    Donatella Costantana Giancaspero.
    Nei vapori dei fiati sullo specchio

    Nella stanza di Degas:
    « Fra tante foto che ho qui, non ricordavo più

    Di averne scattata una anche alla “Foto di Degas”.
    […]
    O forse sì e l’avevo smarrita. Vai a capire…
    Ma vedo che tu l’hai ritrovata.

    La metterò insieme alle altre.
    Istantanee di istanti.

    Frantumi di vita.
    Vita in frantumi. Lampi al magnesio.

    Une bonne soirée à toi, à Degas, à les amis »

    • donatellacostantina

      A rare movie…

      In un’affollata via di Parigi, il veloce e casuale passaggio di un anziano signore con la barba bianca. Quel signore è Edgar Degas.
      Nel 1915, il pioniere del cinema Sacha Guitry chiese a Degas il permesso di filmarlo e di inserire le sue immagini in un documentario dedicato ai grandi vecchi dell’arte francese, come Monet, Renoir, Rodin… Ma Degas non diede il permesso di essere ripreso e a Guitry non restò altra scelta che tentargli un agguato per strada cogliendolo di sorpresa a passeggio.

      • donatellacostantina

        Edgar Degas (1834 – 1917)
        Renoir e Mallarmé
        1895, fotografia, 17.8 x 12.7 cm
        Parigi, Bibliothèque Doucet.

        Per vedere la foto cliccate sul link:
        https://dg19s6hp6ufoh.cloudfront.net/pictures/612005432/large/Auguste_Renoir_et_St%C3%A9phane_Mallarm%C3%A9_en_1895.jpeg?1370539451

        Mallarmé e Renoir sono ripresi in casa di Berthe Morisot. Così descrive la foto Paul Valéry, suo primo proprietario:
        “La fotografia mi era stata donata da Degas, di cui si scorgono nello specchio la macchina fotografica e lo spettro. Mallarmé sta in piedi accanto a Renoir, che è seduto sul divano. Degas impose loro quindici minuti di posa alla luce di nove lampade a petrolio. (…) Nello specchio si possono riconoscere le ombre della signora Mallarmé e di sua figlia”.

        Per approfondire l’argomento e per capire di che cosa stiamo parlando, vi consiglio un sito in internet: PDF]Semiotiche della pittura – Ec-aiss.it . Troverete un articolo il cui titolo è “Evaporazione e/o centralizzazione. Gli (auto)ritratti di Manet e di Degas” di Victor I. Stoichita.
        Buona lettura!!

  9. Talìa

    La poesia NELL’ANNO 2100 di Franco Intini è una sorta di marchingegno del negazionismo, un negazionismo all’incontrario, vengono cioè negati fatti storici come se non fossero mai esistiti: per cui il primo santo progettato per fare miracoli non è un santo/uomo ma un robot, a Dongo non è successo nulla e quindi Piazzale Loreto può tornare vuota, la primavera di Praga è finita nel nulla e anche il Patto di Varsavia si è dissolto, Himmler non è mai nato e nessuno ha mai visto Mendele operare sui bambini, basta invertire la rotta è tutto sparisce. Tranne la memoria.

    Ottimo esempio di contenuto e tecnica.

  10. Svanita in un cassetto di immagini
    ingiallite, la somiglianza
    sconquassata
    è un grido nella polvere
    scoppiata negli spifferi.
    Le grida un vento muto, Edgar Degas
    e sua moglie,(Gino…e… Donatella)
    separati da un palo della luce!
    (Infondo mi sento DePalchiano)

    Grazie OMBRA.
    (Un abbraccio super
    a Donatella Giancaspero
    e Gino Rago.)

    Per questo post eccezionale.
    Forti tutti.

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