Poetry kitchen di Giorgio Linguaglossa
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Come arredare una parete bianca e noiosa?
Qui ci metto un semaforo, sotto, un tavolino giallo con una tazza da caffelatte
Lascio i grattacieli in grigio sul cielo grigio
Accanto, in primo piano, mezzo divano In alto a dx c’è scritto Exit 7 – 800 m.
Due frecce in alto: Highway
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“Alba” di Giorgio Caproni
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Amore mio, nei vapori d’un bar
all’alba, amore mio che inverno
lungo e che brivido attenderti! Qua
dove il marmo nel sangue è gelo, e sa
di rifresco anche l’occhio, ora nell’ermo
rumore oltre la brina io quale tram
odo, che apre e richiude in eterno
le deserte sue porte?… Amore, io ho fermo
il polso: e se il bicchiere entro il fragore
sottile ha un tremitìo tra i denti, è forse
di tali ruote un’eco. Ma tu, amore,
non dirmi, ora che in vece tua già il sole
sgorga, non dirmi che da quelle porte
qui, col tuo passo, già attendo la morte.
dall’elegia alla nuova fenomenologia del linguaggio poetico
di Giorgio Linguaglossa
In questa poesia di Giorgio Caproni abbiamo un campionario degli stereotipi della poesia elegiaca: colori esangui, lividi, parole non pronunciate, forse fantasticate ma mai dette, si ode però da lontano «un tram», il personaggio che parla pronuncia parole deserte, create per aumentare il senso di angoscia e di sonnolenza della coscienza. La parola finale «morte» è la degna conclusione di una poesia manierata, stilizzata in eccesso, sovraccarica e sovrassatura di lividori. La poesia è ambientata in un luogo lontano e indistinto, «nei vapori di un bar», in un «inverno lungo», «che brivido attenderti!», «nel sangue è gelo», «tremitio tra i denti», «ora nell’ermo/ rumore oltre la brina io», «Amore, io ho fermo/ il polso», «Ma tu, amore,/ non dirmi, ora che in vece tua già il sole/ sgorga». C’è tutto il repertorio stereotipico elegiaco come concentrato, c’è tutto quello che ci deve essere per commuovere il lettore e adescarlo, farlo partecipe dell’angoscia e dell’infelicità dell’io parlante, c’è tutta una lessicalità scelta («nell’ermo rumore», «il sole sgorga», «attendo la morte») per intenerire il muscolo cardiaco del lettore.
La noesi della poesia elegiaca è una tecnesi, ovvero, è il prodotto eufonico di un campionario organologico che traccia una genealogia organologica dei suoi strumenti musicali. Ma è anche una nemesi. Gli strumenti sono sempre quelli della poesia elegiaca: si percepisce un sottofondo di pianoforte rallentato e ovattato e un violino che suona una musica sdolcinata. Si tratta ora di capire perché e come questa genealogia organologica collimi con quella di una economia libidinale regressiva, cioè al servizio del Super-Io, con una postura e una postazione ideologica avvitate nella «intimità», nella «interiorità», nel «dolore»; più precisamente qui si tratta di una economia libidinale caratterizzata dalla capacità che ha l’elegia di fissare una tecnesi e una noesi in un tempo e in uno spazio memorabili e slontananti di cui essa è la rappresentante estetica dell’economia libidica. L’elegia mette in atto una attività immaginativa orientata alla stabilizzazione e alla fissazione dell’economia libidica su un oggetto continuamente perduto e ritrovato («Ma tu, amore», «Amore, io ho fermo il polso»). L’elegia, che in sé è sempre regressiva, ha bisogno di una economia libidica anch’essa regressiva, implica sempre il ritrovamento di un passato, di una noesi e una tecnesi rivolte al tempo passato e al perduto «Amore», nonché, di una implantologia di strumenti musicali che fanno appello alle intermittenze del cuore. Sia chiaro, una organologia non vale affatto un’altra, una organologia elegiaca come questa di Caproni implica e riflette una economia libidinale sostanzialmente basica e statica, regressiva, arrestata in un tempo passato che non tornerà, che non potrà tornare. Appunto, regressiva.
Una poesia kitchen e una poesia per bambini invece implicano l’adozione di una implantologia organologica ontologicamente «altra» che corrisponde ad una «altra» economia libidinale e a un’«altra» postazione ideologica. La poesia per bambini deve tenere conto che i bambini vivono esclusivamente nel presente, che a loro il passato non dice assolutamente nulla, e che il futuro è importante solo come prosecuzione del presente; la poesia kitchen dunque implica una attività per il futuro. Una nuova forma artistica implica sempre una defunzionalizzazione e una rifunzionalizzazione delle precedenti noesi e tecnesi, in altre parole implica sempre l’invenzione di una nuova economia libidinale «altra», e di un controllo del Fantasma. Resta il fatto che questa rivoluzione noetica e tecnesica coinvolge un drastico ricambio della implantologia organologica che corrispondeva allo statu quo ante. Infatti, la poesia kitchen è progressiva, è diretta verso la disambiguazione del significato, fa appello al trans-individuale. Quando un fatto è immaginabile, ergo può diventare reale, si tratta soltanto di riuscire a pensare l’immaginabile.
* [organologia: elenco degli strumenti musicali di una data epoca]
La nuova fenomenologia della poiesis ha pagato tutte le spese condominiali arretrate e ha chiuso la contabilità del novecento
La nuova fenomenologia della poiesis ha pagato tutte le spese condominiali arretrate e ha chiuso la contabilità del novecento, non mi risulta che la poesia italiana della soggettoalgia ipocondriaca abbia fatto altrettanto. Ad esempio, la poesia della soggettoalgia controllata di una poetessa storica del novecento, Patrizia Cavalli, è oggi debordata a dolorificio permanente, a poesia della esondazione dell’io. Leggiamo una tipica poesiola della Cavalli:
Cosa non devo fare
per togliermi di torno
la mia nemica mente:
ostilità perenne
alla felice colpa di esser quel che sono,
il mio felice niente.
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La nuova fenomenologia del poetico, la poetry kitchen, è per eccellenza aliena a far riferimento a qualsiasi soggettoalgia dell’io, anzi, nutre una vera e propria allergia alla fabbrica del dolorificio della poesia italiana di questi ultimi decenni, la nuova fenomenologia della poetry kitchen si rivolge alla mente recettiva dei bambini, ai negozianti, alle commesse della Oviesse e dell’Upim, al pubblico futuro che ama il metaverso, ha in sé una forza tellurica dirompente che viene agita e agitata da un pluripolittico di frasari di spuria e allotria provenienza, un mix e un mash up di polinomi frastici, un remix, un blow up, un rewind, un «gioco» di citazioni dei linguaggi del mondo delle Agenzie linguistiche («lo stato di cose esistente» di Marx in versione attuale) che intende sovvertire la lettura normologante del mondo. Una sorta di remix e mash up di linguaggi radiofonici, telefonici, privati e mediatici, di voci interne e di voci esterne, di interferenze, di entanglement. Smash and mash up, potremmo dire riepilogando.
La poetry kitchen contiene in sé una carica di libertà, di vivacità, di allegria e di sedizione veramente rivoluzionaria, incontenibile, imprevedibile; mi fa piacere questa magnifica espressione di libertà e di grottesca ilarità che mette all’asta il minimalismo elegiaco svelandone l’arcano implicito: che chi cerca il minimal prima o poi finirà con il trovarlo accontentandosi del minimal. Ma noi non cerchiamo il minimo, semmai, il maximum telluricamente esperibile e compossibile.
La poetry kitchen è una struttura complessificata che vede la convergenza di una simultaneità di spazi, di tempi (reali e immaginari), di frasari allotri, è una hilarotragoedia, tanto per usare una parola nota. C’è una corrispondenza biunivoca fra la sintassi e la semantica: la semantica inaugura un movimento di sensi e di significati, costruisce una narrazione, una storia; la sintassi dipana un ordine, definisce uno stato, edifica una tradizione. La fine di una metafisica ha prodotto un capovolgimento fra l’alto (il sublime) e il basso (il cafonesco), ha prodotto un capovolgimento tra la lontananza e la prossimità, un capovolgimento fra le cose, fra le parole e fra le parole e le cose; telos della poiesis è di stabilire un riallineamento, un diverso dis-ordine tra le cose, un dis-ordine fra le parole e fra le parole e le cose. La fine della metafisica è la fine della tradizione con tutte le sue convenzioni e categorie e si preannuncia con grandi sommovimenti e rivolgimenti dello «stato di cose esistente»; la nuova poiesis non può che riflettere le forze soverchianti della storia che l’hanno prodotta. Così stando «lo stato di cose esistente», perorare la continuità della poiesis e della tradizione nello stato di cose esistente, è un atto politicamente regressivo, culturalmente disarmato, significa voler accontentarsi di salvaguardare la funzione ancillare e decorativa della poiesis.
Vincenzo Petronelli
Fragmenta historica
Latte di mandorla con ghiaccio sui tavoli del “Cafè de la guèrre”.
Lamarmora e Mancini decidono la formazione per la trasferta di Magenta.
“Sarà importante mantenere l’equilibrio tattico.
Dal nostro ombrellone vista-mare sapremo guidarvi all’immancabile vittoria”.
“Se avessi previsto il Narodni Dom, non avrei dipinto “Il Bacio””
confidò Hayez alla Signora Päffgen in una camera del Chelsea Hotel.
Il caffellatte nello scaldavivande in un ufficio della Zentralstelle in Wien.
Eichmann arriva di primo mattino canticchiando “Rhapsody in blue”.
“Il grande bulino è già in azione. Non pioveva sabbia da secoli
sul Danubio,
ma abbiamo già fatto saltare in aria il rapido 904 con le rane a bordo”.
Mosè stava ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio.
A Theresienstadt in inverno si sta come in primavera.
“Si sieda rabbino; posso offrirle del latte nero?”
“Who by fire? Who in the night time?”
Sulla soglia della stazione di Rocchetta Sant’Antonio.
Alle spalle, Marcuse gusta dell’uva fragolina sotto un pergolato
in Abbey Road; davanti
il deserto del Negev: dobbiamo affrontarlo per intero
per approdare alla stanza-dimora di Mario Gabriele.
Da tempo ormai, non legge più “Satura”: ascolta heavy metal
e sorseggia Bourbon.
Tra poco, si festeggeranno le idi di marzo.
Il Signor Dobermann all’alba
accompagna i pochi vaccinati che si riuniscono nelle catacombe.
Pompei deflagrò quando chiuse l’ultimo cocktail bar.
“Le campagne sono tetre ed insicure signor generale: ci affidiamo alla Vostra guida”.
Un fax ingiallito del 476 D.C firmato Flavius Odovacer.
“Delenda Roma est”.
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pseudolimerick per bambini
di Guido Galdini
c’è una giraffa seduta sul sofà
che ha ordinato una coppa di Campari
a chi le chiede: dimmi, come va
risponde: mica male i miei affari
vieni a sederti un poco qui vicino
che ci facciamo un giro di ramino
ma la giraffa è animale assai ingombrante
per alzarla ci vuole un carro ponte
così il malcapitato che ha subito
l’onore di ricevere l’invito
si è dovuto ridurre alla metà
per non essere invaso e stritolato
da quell’ampia giraffa sul sofà.
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Tre poesie di Tiziana Antonilli
Il protocollo
Il paziente aveva firmato il lenzuolo n. 14,
la notte legarono una vena al lavabo.
Anche alla vegetariana imposero la camicia di forza
infermieri e carcerieri giocavano a poker con i vitelli.
I testimoni sempre off line, ma provvisti di consenso informato.
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Manuale in cinque punti
Bere un filo d’erba per gli omega tre
fare un riassunto dei globuli rossi e cestinarli
corpo a corpo dopo il primo sgarbo ai glutei.
Infilzare due volte al giorno le papille gustative
consolare il chilo e l’etto per il complesso d’inferiorità.
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Controvento
I migranti sulla crosta di ghiaccio
si erano piegati gli abeti in tasca.
Con i guanti non ancora scaduti
si prendevano per mano
e ritoccavano il make up della bora.
I muscoli cardiaci sprizzano sangue sui pattini.
Se i Tre Confini preparano intemperie
non resta che il Daspo perenne.
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Una poesia di Antonio Sagredo
Il sogno dello specchio confortò la sinfonia,
i tasti riflessi si mutarono in suoni libertini
e si sparsero sulle note i grani di un eretico rosario.
Mancò un’arietta per essere linfa e cenere.
Il settenario appoggiò i gomiti su uno scordato pianoforte
e si scarnificò la gola per cedere all’ugola dorata il canto.
Non c’erano che merletti e uncinetti tra le dita intricate
come le immagini ricciute d’un etilico poeta irlandese.
(2023)
Tiziana Antonilli ha pubblicato le raccolte poetiche Incandescenze (Edizioni del Leone), Pugni e humus (Tracce). Ha vinto il premio Eugenio Montale per gli inediti ed è stata inserita nell’antologia dei vincitori “7 poeti del Premio Montale” (Scheiwiller). Tre sue poesie sono entrate a far parte di altrettanti spettacoli teatrali allestiti dalla compagnia Sted di Modena. Il suo racconto “Prigionieri” ha vinto il Premio Teramo. Ha pubblicato il romanzo Aracne (Edizioni Il Bene Comune) e la raccolta di poesie Le stanze interiori (Progetto Cultura, 2018). Insegna lingua e letteratura inglese presso il Liceo Linguistico “Pertini” di Campobasso. Sue poesie sono presenti nella Agenda. Poesie kitchen edite e inedite, Progetto Cultura, 2022.
Guido Galdini (Rovato, Brescia, 1953) dopo studi di ingegneria opera nel campo dell’informatica. Ha pubblicato le raccolte Il disordine delle stanze (PuntoaCapo, 2012), Gli altri (LietoColle, 2017), Leggere tra le righe (Macabor 2019) e Appunti precolombiani (Arcipelago Itaca 2019). Alcuni suoi compomnimenti sono apparsi in opere collettive degli editori CFR e LietoColle. Ha pubblicato inoltre l’opera di informatica aziendale in due volumi: La ricchezza degli oggetti: Parte prima – Le idee (Franco Angeli 2017) e Parte seconda – Le applicazioni per la produzione (Franco Angeli 2018). È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Vincenzo Petronelli, è nato a Barletta l’8 novembre del 1970. Sono laureato in lettere moderne con specializzazione storico-antropologica, risiedo ad Erba in provincia di Como, dove sono approdato diciotto anni fa per amore di quella che sarebbe poi diventata mia moglie, ho una figlia di 14 anni.
Dopo un primo percorso post-laurea che mi ha visto impegnato come ricercatore universitario nell’ambito storico-antropologico-geografico e come redattore editoriale, ho successivamente intrapreso un percorso professionale nel campo della consulenza aziendale, che mi ha condotto al mio attuale profilo di consulente in tema di comunicazione ed export; nel contempo proseguo nel mio impegno come ricercatore in qualità di cultore della materia, occupandomi in particolare di tematiche inerenti i sistemi di rappresentazione collettiva, l’immaginario collettivo, la cultura popolare e la cultura di massa. Dal 2018 sono presidente del gruppo letterario Ammin Acarya di Como, impegnato specificamente nella divulgazione ed organizzazione di eventi nell’ambito letterario e poetico. Alcuni miei scritti sono comparse nelle antologie IPOET 2017 e Il Segreto delle Fragole 2018 (Lietocolle), Mai la Parola rimane sola, edita nel 2017 dall’associazione Ammin Acarya di Como e sul blog letterario internazionale “L’Ombra delle Parole”. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Antonio Sagredo è nato a Brindisi il 29 novembre 1945 (pseudonimo Alberto Di Paola) e ha vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza. La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, Cantos del Moncayo, Ediciones Olifante, Zaragoza, 2022,2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile. Come articoli o saggi in La Zagaglia: Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984, (pseud. Baio della Porta): Leone Tolstoj le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A. Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale). Ha curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema: Tumuli di Josef Kostohryz , pubblicato in «L ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e KateYina Zoufalová; i poemi: Edison (in Lozio,& ., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L ozio», 1988) di Vitzlav Nezval; (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudenkova, di Zbynk Hejda, Ladislav Novák, di JiYí KolaY, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar BYezina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo), trad. A. Di Paola e K. Zoufalová.
c’era un poeta il primo giorno di primavera
che non sapeva come fare a tirare sera
né che verdure mettere a cena nella minestra
così ha deciso di inventare una bella festa
per festeggiare tutto il mondo delle poesie
quelle dei critici, dei passacarte e delle zie
dei palombari e dei venditori di mercanzie
ma nessuno ha capito se ci faceva o se c’era
quel poeta intraprendente di primavera.
seconda versione lievemente più cattiva
c’era un poeta il primo giorno di primavera
che non sapeva come fare a tirare sera
né cosa mettere a cena nella minestra
se un cavolfiore o qualche verso della Ginestra
così ha deciso di inventare una bella festa
per festeggiare tutto il mondo delle poesie
quelle dei critici, dei passacarte, delle zie
dei palombari e dei venditori di mercanzie
cosa c’è di più bello di un’occasione
per aumentare di qualche battito il proprio cuore
ma nessuno ha capito se ci faceva o se c’era
quel poeta intraprendente di primavera.