Lorenzo Pompeo, La fondazione della città di Gomerosol, ensemble, Roma, 2024, pp. 68 € 13. Lettura di Marie Laure Colasson, il Reale è raffigurato in modo traslato e intersemico, in una struttura auto sufficiente e auto immune, in una una struttura difensiva e ostensiva della parola poetica come perfettamente in grado di rendersi indifferente ed estranea alla prassi

object misterieux dans le noir 20x20, 2024

(Marie Laure Colasson, object mystérieux, 20×20 cm acrilico, 2024)

Il Reale la poesia di Lorenzo Pompeo lo raffigura in modo traslato e intersemico, lo convoca in una struttura auto sufficiente e auto immune, erige, come dire, la struttura difensiva e ostensiva della parola poetica come perfettamente in grado di rendersi indifferente ed estranea alla prassi, perché la felicità non è nella prassi del poetico che, tra l’altro, non salva nessuno, ma al di là della prassi, di ogni prassi e al di là della storia, sembra volerci dire l’autore. Di conseguenza, la poesia del poeta romano approda ad un discorso poetico di matrice modernistica caratterizzata da una struttura diversificata del verso, un apparato nominale del discorso poetico che si dà in un luogo privo di prassi e privo di storia, come «coacervo di congetture», «lungo il filo teso/ tra la maschera e il volto». Allora, la sola felicità compossibile è quella che è contenuta nella prassi di una poiesis intesa alla stregua di una città inesistente, una «Città di Gomerosol» come atto di negazione e di rinegoziazione dell’utopia, entrambe rese obsolete dal corso degli eventi della storia mondiale di questa ultima decade, che vanno dalla occupazione della Crimea da parte della Russia alla invasione dell’Ucraina.

…Gomerosol
unica parola gradita al patriarca
al pari del pane e del vino
è un coacervo di congetture
disseminato di dubbi,
le coordinate
delle sue fondamenta
sospese nell’aria
fluttuano sulle dune di sabbia
nei semi delle colline celesti

Nella poiesis di oggi la forza gravitazionale della negatività è visibile nel rigore del suo statuto negativo perché la poiesis percepisce la prassi ermeneutica come intimidatoria e insidiosa, perché vuole respingere ogni domanda ermeneutica sospettata di essere invasiva e intrusiva, perché dichiara la poiesis sola e solitaria messa alle strette in una terra di Nessuno (Gomerosol); infatti la poiesis più matura e avvertita dei giorni nostri sa di non rappresentare nulla di che e ritiene il concetto di rappresentazione inadeguato oltre che inefficace, in quanto la felicità è sempre aldilà della storia, irraggiungibile perché sempre un po’ più in là del luogo ontologico che occupiamo nel mondo della storia. Come Scrive Adorno nella Teoria estetica (1970): «La forza della negatività nell’opera d’arte dà la misura dell’abisso fra prassi e felicità».

La poesia di Pompeo ci offre la rappresentazione di oggetti che non ci sono, il che potrebbe apparire antinomico o paradossale quando invece è perfettamente in linea con il pensiero filosofico e poetico odierno più aggiornato che preferisce alla descrizione di tutto ciò che accade, il sostare negli spazi intersemici, tra “Appunti e contrappunti”, tra il detto e il non detto, come recita la sezione finale del libro, che è anche un segnacolo anche del migliore investimento estetico di questa poesia. L’essenziale non rappresentabile è contenuto nel titolo emblematico: La fondazione della città di Gomerosol, che vuole alludere alla «fondazione» del discorso poetico come atto illusorio e irrealistico in quanto il reale, nella sua intima estraneità all’ordine simbolico, può manifestarsi soltanto nei termini di un eccesso residuale, mediante un magico atto di evocazione e/o di rievocazione e/o di negazione e/o di rimozione.

Poesia che adotta l’aforisma quale centro propulsore dello stile tragicomico («Senza intenzione, a metà strada/ tra lo specchio e il riflesso»). È la condizione della poesia moderna a cui manca il lieto fine. L’io che si scopre laterale evoca associazioni verbali, eventi, iconismi, grotteschi, soliloqui, filastrocche (leggasi “Filastrocca nel bicchiere”, “L’enigma della sfinge”) dove il comico vive di innesti onirici e surreali, rime vissute come alterchi improvvisi, come designazioni aritmiche.

 Tuttavia, il discorso poetico di Lorenzo Pompeo, negazionista delle virtù balsamiche della storia, si situa ancora all’interno del concetto modernistico di «fondazione». Ecco allora che fuori dal simbolico c’è del reale, ma in quel «fuori» così intimo che è al contempo una dentrificazione. Fuori dal significato, fuori dal senso e fuori della storia il reale si dà alla poesia di Lorenzo Pompeo in tutta l’ambiguità del suo statuto ontologico, come «enigma» della sfinge, in un linguaggio che resta pur sempre modernistico erede della lezione dei poeti polacchi Tarnavskij ed Herbert da lui mirabilmente tradotti e studiati. Ed ecco la poesia dall’omonimo titolo “L’enigma della sfinge”:

(Marie Laure Colasson)

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Lorenzo Pompeo è nato a Roma nel 1968, è Dottore di ricerca in Slavistica, traduttore letterario, ha tradotto con diverse case editrici romanzi dal polacco e dall’ucraino. È autore della raccolta di racconti Auto-pseudo-bio-grafo-mania e il romanzo In arte Johnny. Vita, morte e miracoli di Giovan Battista Cianusaglia. Nel 2018 ha pubblicato Cemento armato di Santa Pazienza (Progetto Cultura, Roma), la sua prima raccolta di poesia. È ideatore e autore del blog di poesia “Ilvascellofantasma” che ha ospitato interviste con poeti come Filippo Strumia, Gilda Policastro e Guido Mazzoni. Collabora con i blog di poesia “Nazione indiana”, “Poetarumsilva” e il trimestrale “Il Mangiaparole”.

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Lorenzo Pompeo Cemento armato di santa pazienza

da La fondazione della città di Gomerosol

L’enigma della sfinge

Lungo il filo teso
tra la maschera e il volto
sfila il sorriso della luna,
equilibrista e maestra
del doppio gioco,
al suo passaggio,
le code dei pavoni si aprono
nella grande sala degli specchi,
vestita di nebbia
snocciola fumose litanie,
il suo passo leggero
carezza il pavimento,
attraversa il firmamento
con l’incedere imperioso
della carta stampata

Col volto consumato,
orfana del nome,
rimesta nel paiolo
parole favolose
svende il silenzio,
amplifica gigantesche solitudini
e chiude sempre lo spettacolo
con l’inchino del guitto.

Colpo di fulmine

Senza intenzione,
a metà strada
tra lo specchio e il riflesso
una singolare mancanza
arriva al suo traguardo,
le misure del labirinto
si sono estese
lungo la muraglia del visibile
il centro è nella cavità
di un incontro accidentale,
un bacio è come una ferita
che non vuole guarire.

Cammino in un febbrile coacervo,
attraverso campi magnetici
abbagliati da un sole intermittente.

Filastrocca nel bicchiere

Nel bicchiere impressionista
confluiscono papaveri viola,

nel bicchiere dell’illusionista
si addensano nuvole e pioggia,

nel bicchiere surrealista
piovono ombrelli neri,

nel bicchiere dell’alcolista
versano un distillato di tramonti,

in quello del musicista
si sedimenta un concerto di circostanze,

in quello del poeta
passano bastimenti allucinati

il bicchiere del pittore
è un’insegna colorata
che si accende e si spegne,
quello del medico
è prescritto dall’impegnativa,

in quello del prigioniero
fiorisce un sogno in cattività,

nel bicchiere del pastore
le pecorelle si smarriscono,
in quello dell’ambasciatore
si ritrovano passaporti smarriti,

nel bicchiere delle divinità
si accendono ombre d’oro,

in quello del pellegrino
si spengono sentieri accesi,

nel bicchiere del terrorista
esplodono i pensieri,

e sotto il mare c’è un bicchiere
che non si può vedere.

Diario di viaggio

Baldassarre
attraversa deserti d’inquietudine
disseminati
di mute testimonianze.

Melchiorre
insegue un riflesso dorato
tra le onde nere della steppa.

Gaspare
spegne le sere della città,
solleva strade e palazzine,
segna sentieri col gesso.

Baldassarre
attraversa gialle distese
con il fuoco sulla pelle.

Melchiorre mastica litanie,
si inginocchia
davanti alle immagini sacre.

Gaspare
sfida le automobili
nell’arena
in mondovisione

Baldassarre
semina passi nel vento
e scruta minacciose moltitudini
di attenuanti
con diffidenza e sospetto.

Melchiorre
dona la lingua e le parole
alle divinità locali,
invoca stelle e spiriti
nascosti nei fini d’erba.

Gaspare
scaglia scolorite invettive
contro indovini e sacerdoti.

Baldassarre
getta il cuore
contro le leggi
della termodinamica.

Melchiorre
si prostra alla luna
schiacciato dal peccato,
vuole diventare urina.

Gaspare
attende la telefonata
di un regista
e si trastulla con suo smartphone.

Baldassarre
si strappa dal petto d’angoscia
ma quella, incurante, ricresce.

Melchiorre
lega di dolore e pianto,
bestemmia e invoca.

Gaspare
si scatta un selfie
per la sua campagna elettorale.

Ma ora, ditemi,
cosa ci fanno tutti e tre
davanti a quella grotta?

Il ballo della mummia

dal lungo, lento squamarsi
dei dettagli che affiorano
dagli oceani delle circostanze
discendono brandelli di dialogo:

«mi passi il sole?»
«neanche per sogno!»
«tutto a monte e niente a valle?!»
«a gonfie mele!»

Il microfono di frate cronista,
voce narrante della catastrofe
guida la liturgia:
il santo pappagallo
spezza le sillabe
le mette in bocca
al gregge dei fedeli.

Scimmie erudite
compongono frammenti
di sacre scritture,
l’archeologo quelli del sarcofago,
alla radio tutto il giorno
passano il ballo della mummia.

Gli amanti

Una goccia scivola
giù da una nuvola
lungo i solchi
del mesto giorno
scavati dalle fatiche
del sostentamento

La sua traiettoria incontra
quella di un’altra goccia:
le due, spaventate,
si guardano con diffidenza,
si avvicinano, si sfiorano.
Vorrebbero già ritrarsi,
ma la forza di gravità
ha già deciso per loro.

Anche senza volerlo
si compenetrano,
diventano una cosa sola,
una scintilla perduta
nel manto oscuro
del sipario notturno,

un minuscolo oceano luminoso
racchiuso nel diamante
di un solo istante.

Foto Specchio Lorenzo Pompeo

(Foto di Lorenzo Pompeo)

30 commenti

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30 risposte a “Lorenzo Pompeo, La fondazione della città di Gomerosol, ensemble, Roma, 2024, pp. 68 € 13. Lettura di Marie Laure Colasson, il Reale è raffigurato in modo traslato e intersemico, in una struttura auto sufficiente e auto immune, in una una struttura difensiva e ostensiva della parola poetica come perfettamente in grado di rendersi indifferente ed estranea alla prassi

  1. Sono d’accordo sulla prossimità dei tre poeti proposti da Giorgio -Villatico, Falasca, Pompeo- alla poesia Kitchen. Oggi la ricerca poetica si trova a doversi esprimere su fenomeni nuovi, di cui il più importante e invasivo è la guerra atomica. Qualcosa in grado di cancellare l’umanità stessa. Tutte le parole sono vuote, così come i simboli risultano inappropriati e soprattutto il linguaggio dell’io, caro ai poeti che ci accompagnano nel cammino, colmi di incomunicabilità e narcisismo. Ecco, a parer mio, di fronte a questo ci si trova nella stessa posizione di sgomento di Dante che dopo aver attraversato il peggio dell’umanità si trova di fronte l’inumano:

    «ché non è impresa a pigliare a gabbo /discriver fondo a tutto l’universo, / né la lingua che chiami mamma o babbo».

    Inferno (XXXII, 7-9)

    SUL CIGOLARE DEL GALLO IN MEZZO AI VENTI

    Ci vorrebbe Bukowski per cavalcare questa tormenta di avvocati e querelanti ma rimane Dante, stordito dal mercanteggiare. Impossibile viaggiare oltre, qui si arriva e qui si rimane. Tirato su da pinze di gaglioffi, tenta di assalire lo schermo di Flegias.

    L’entrata di Dante nella metafora è stata a gamba tesa, da rompersi la clavicola e chiedere di essere medicato nella farmacia di Dite.

    -Si, ma devi dirci cos’ è più buono del profumo dei porcini.

    Figurine nell’hip pop, tagliere e cipolle si sfidano a duello.Di mezzo la rovina di una scodella. Burro di Stato si scioglie nel soffritto. Salsa di pomodoro incandescente che piove dalle mura del Parlamento.

    -Perché e come la ruggine si forma?

    Risponda alla questio. Ne va di mezzo il cingolo offeso dall’Effe-16 per un bacio perugino.

    Il fiorentino rischia la pena di morte. Si vede già appeso alla gru.

    Soppressata o pipistrello, perde consistenza e s’indurisce.

    Dalla gabbia del bisogno cola il grasso della libertà.

    Lo disturba il gocciolio, la tisana della scimmia che gli è accanto.

    Togliere ossigeno dall’anodo non è stata una buona idea. Piuttosto che rinforzare le mura ferrose bisognava dare fiato alla classe operaia. Non s’è mai visto un catodo più inerte, una teoria indurirsi e diventare refrattaria come questo catodo alla brace.

    E dunque perché cigola tra i denti il gallo?

    F.P. Intini

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    • caro Gneo Gaius Fabius,

      quanto al «cigolare del gallo in mezzo ai venti» e al cingolare dei cingolati, ecco, io ne ho preso atto da tempo, infatti, ho adottato la teoria di uno scienziato matto, Francesco Paolo Intini, il quale sostiene che la materia oscura sfugge ai rilevamenti degli scienziati semplicemente perché non c’è. La sua teoria è che la materia oscura risieda in un universo “a specchio” che non è riuscito a formare atomi durante la nucleosintesi del Big Bang.

      Ecco, in questo universo il gallo cigola come un treno a vapore e un cardellino può mangiare un carrarmato… da qui puoi però osservare, non visto, quanto accade nel nostro ex universo, guerre, sfracelli e berlinate, Putoler che si incontra con Kim Jong un nel treno blindato, i poeti kitchen che deglutiscono gianduiotti e pasticcini, dinosauri spaventati dalle margherite, Lucio Tosi che litiga con il mago Woland… tutto, proprio tutto.

      Tu ti chiedi: «perché cigola tra i denti il gallo?», ma è normal, ti rispondo, qui puoi vedere ogni episodio, reale o irreale, vissuto o immaginato, a specchio, cioè nei suoi molteplici possibili sviluppi non ancora realizzati e che forse mai si realizzeranno se non in un altro universo dove gli atomi si siano accordati tra di loro stipulando una tregua tra gli elettroni e i positroni, stabilendo che non si incontreranno mai tra di loro per formare la materia, le cose, l’homo sapiens o altro.

      Qui è possibile anche immettere ossigeno nell’anodo o mettere una cinciallegra nella metafora, è sufficiente seguire il filo della metonimia: le cose, pardon, le anti-cose si susseguono le une alle altre come segnali di fumo, perché non ci sono, sono solo illusioni le cose nello specchio, e non è detto che esista un solo specchio sostiene lo scienziato matto, è possibile, anzi probabile che esistano infiniti specchi per infiniti universi che non sono (ancora) riusciti a formare atomi…

      (Germanico)

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      • Caro Germanico

        Qui diventa sempre più faticoso rifare tali e quali le cose prima di rimetterle in circolo.

        Metti che la terra intera diventi un pollo arrosto a beneficio di una stella di neutroni, chi mai potrebbe opporsi? Forse che antiprotoni e positroni interverrebbero in favore del Carbonio che tutto s’intestò?

        Metti la corrosione degli ulivi. Gli alveoli nelle foglie, un tempo inossidabili, furono abbandonati in fretta e furia. Convenne sostituirli con cineserie per assicurare olio extravergine tutto l’anno e a costo zero.

        Ottimo l’affare si disse ma ora mancano i pezzi di ricambio e il Darmastadio come il Fermio e il Mendelevio bisogna andarli a cercare nella materia oscura.

        Come accordarsi con i suoi principi? Un Borgia che aspiri al dominio del principio di non contraddizione deve ancora nascere. I buchi neri di quella parte dell’universo ci stanno pensando da tempo ma la gravità non è mai sufficiente a coprire le spese.

        Nell’attesa il Valentino fa il verbo Essere.

        Lasciare che il resto del linguaggio si imbarcasse verso il grande Blob, abbandonando le foreste vergini a fiere dissennate è stato un grave errore.

        Si sono aperti contenziosi tra logica e certezza in ogni angolo del mondo, con guerre senza via d’uscita.  A vantaggio di chi? Dell’appetito di pochi re di Komodo.

        Gli eserciti non mancano e i Colleoni si interessano ai piatti di primizie: spaghetti che si attorcigliano da soli e s’infilano tra i denti come cobra in un nido di fringuelli per giungere al pensiero.

        D’altra parte, come opporsi alle barbarie dell’entropia con questa fissazione di eventi irreversibili.

        Dico che ben si sente l’aria molesta di gas mefitici, fosgene per indicare quello del ciliegio.

        Ah, lavorare a Sud della Terra di Maud non è una benedizione!

        Pompare ossigeno nei fiori sul lungomare, scartando iprite, è questione che mi appassiona ma, secondo te, posso spendere la maggior parte del tempo a trovar peschi tra piante carnivore?

        E dove trovo sufficienti arcobaleni per rimettere qualche raggio di luce bianca nei lampioni e sbarazzarmi dei raggi gamma?

        Il tuo amico forse saprebbe rispondermi?

        Un caro saluto

        G.G. Fabius

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        • Marie Laure Colasson

          straordinario questo duetto tra due avatar che si rincorrono e si lasciano per poi riprendersi. Il linguaggio poetico così va rinegoziato e riterritorializzato ogni volta.

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        • caro Gneo Gaius Fabius,

          una stella di neuroni ha più possibilità di esistenza di una stella di neutroni, e che dire se esce del fumo dalla mia moka sul fornello ne arguirò che il caffè è pronto sia che mi trovo su Plutone sia che mi trasferisca su Mephisto nella galassia di Orione

          Purtroppo, in quanto terrestri, siamo nati sotto una stella di idrogeno e di elio, non ci resta che accettare la nostra condizione stellare, non credi?

          Il mio amico, il mago Woland, non può risponderti, neanche se lo volesse perché egli è, contemporaneamente, in due universi, vive nella materia oscura, ma può anche fare comparsate nella materia del nostro universo, comprendi?, tutto ciò per via dei black hole che collegano i due universi nel medesimo istante

          Così, se lui lo volesse, potrebbe far scontrare Giulio Cesare con Putoler e farne carne in scatola Simmenthal, potrebbe fare di tutto e di più, o di meno, così il maggiordomo Camembert di Marie Laure Colasson potrebbe orinare sulla testa di Maria Antonietta prima di andare alla ghigliottina, per poi metterla in salvo in un universo parallelo dove vivono e prosperano le nostre aspirazioni segrete

          Chissà, tutto è possibile in questo pluriverso di folli

          Lo scienziato matto tuo amico, Francesco Paolo Intini, forse saprebbe rispondermi?

          L’Elephante nascosto nel comodino può rispondermi?

          (Germanico)

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  2. «Das Ding è originariamente ciò che chiameremo il fuori significato», afferma Lacan.

    1. Introiettato questo assioma di Lacan, possiamo procedere alla maniera di Francesco Paolo Intini il quale scrive: L’opera si scrive da sola
    2. Una volta che ci troviamo immersi nel linguaggio, ne consegue che se l’umano è linguaggio, allora per definizione non potrà avere nulla a che fare con ciò che radicalmente non ha a che fare con Das Ding che, per sua essenza, appartiene al non-linguaggio. Ma è proprio qui che viene la sorpresa: è proprio quando passiamo al discorso linguistico che Das Ding scompare e adoperiamo i suoi sostituti, la Sache, infinite cose, infinite parole che le indicano. Così avviene che andare alla ricerca di Das Ding
      si risolve in una serie di effetti, di effetti di linguaggio, di incroci e incontri con una serie di Sache, di cose.
      È questo il segreto della poesia kitchen.

    Lucio Mayoor Tosi

    1. Le risposte al questionario risultano esatte. Lei è a posto.
      La qualità delle domande non dipende da noi, si dà per scontato che le risposte siano più interessanti, e rivelatrici, delle domande. (Lucio Mayoor Tosi)

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  3. giulia rivelli

    Vorrebbero già ritrarsi,
    ma la forza di gravità
    ha già deciso per loro.

    Anche senza volerlo
    si compenetrano,
    diventano una cosa sola,

    (Lorenzo Pompeo)

    ——————————————-

    Faccio fatica ad accetare che queste parole possano formare dei versi,così come altre parole qui presentate.

    Non riesco nemmeno a commentare e sono sbalordita…

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    • gentile Giulia Rivelli,

      L’epoca del Covid, delle guerre in Ucraina, in Israele, quella degli Houthi, la guerra futura, quella Grande che incombe segnano la fine del post-moderno, cioè del mondo globalizzato e glocale. Le parole che abitavano nel mondo-di-prima, le parole del narcisismo, del debito pubblico, del sogno, del bello, le parole del maggioritario sono finite correlativamente con quel mondo. La fine della metafisica è questo. Le parole oggi si scoprono imbruttite, sono diventate smargiasse, ipoveritative, le parole del politico sono farsisaiche e false, corrispondono alle parole pronunciate dalle massaie di Pordenone, le parole erranee dei filosofi accademici e dei poeti «onesti» che non hanno riflettuto sulle implicazioni delle questioni «linguistiche» che non sono mai innocue ma sempre «date». Le tendenze privatistiche nelle arti sono sorelle di quelle dei cabarettisti e degli show dei media e delle televisioni a pagamento pubblicitario; le parole sono diventate pubblicitarie, sono zambracche, seminano zizzania invasiva presso tutte le democrazie parlamentari dell’Occidente. Che altro dire?, la Commedia della poesia kitchen è appena agli inizi. È appena ai primi indizi.

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  4. PIETRO EREMITA

    Io un tempo pensavo

    i libri si fanno così:

    arriva il poeta,

    lievemente disserra le labbra

    e d’improvviso si mette a cantare

    il sempliciotto ispirato.

    Prego!

    Ma risulta che prima

    che cominci a cantarsi,

    camminano i poeti a lungo incalliti dal vagabondare,

    e dolcemente sguazza nella melma del cuore

    la stupida tinca dell’immaginazione.

    (V. Majakovskij, 1914-16)

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  5. giulia rivelli

    Gentile Linguaglossa,

    quel che Lei mi scrive poco sopra conosco bene e ovviamnente è ben detto e di certo non lo rifiuto, anzi forse è la giusta direzione, nonostante questo resto dello stesso parere e cioè se quelle parole del poeta Pompeo fossero state disposte in altro modo molto meno prosastico potevo accettarle, ma non è stato così.

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  6. giulia rivelli

    il buon poeta salentino Antonio Sagredo mi invia un suo componimento che riporto:

    ———————————————————————–

    Secondo miserere…

    La meraviglia di una figura s’è incavata per  l’assenza di un argine,

    sul selciato gli zoccoli di una musica accidentata, e non  potevo io i tasti

    e i toni concedere agli strumenti per deviare la soglia dalla banalequotidianità:

    una privazione dei tempi  tracimare nel vuoto il volto di una metonimia!

    E ricordai i bocci come grumi amari soffocare la bellezza dei miei sett’anni

    saltare i confini dei cortili con le pupille armate a caccia di nespole, melograni

    e accenti… chicchi di madreperla sulle piombate secchie picchiare per non sentir

    in petto quel che una lingua mortale non diceva allegramente.

    La vecchia amata dai rosari neri cesellava con gli occhi i suoi pensieri,

    come un pulcino la circondavo per schernire le letanie dei suoi nastri funebri.

    Miravo dal trono di una seggiola  l’afasia di rugate labbra, le preghiere

    di epoche lontane mutavano le infanzie  di novelle storie in raccapricci.

    E mi ritrovai, distrutti i castelli, coi malleoli sbucciati, tra rovine in aria sui freddi

    pianerottoli, le scale coi cugini in chiave di catastrofi, le viole mortali nelle lande

    di Tommaso, il burattinaio della città felice  tramare il Caro Male , la piazza Dante

    squassata dai  capricci di Carmelo, e il trucco di un Angelo, ed io, interdetto – alla                          

                                                                                                                                leggenda!

                                                                           Antonio Sagredo

    Roma, 21 gennaio 2014

    ( dalla 17-ma ora alle 19-ma, ca.)

    e 31/01.

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  7. La procedura poetica di Lorenzo Pompeo puo ben essere descritta dalla osservazione della sua foto: qui uno specchio che riflette in primo piano il volto di una bambina e, in secondo piano, una persona che sta camminando, nel frattempo ritrae anche un’altra persona, probabilmente una venditrice di orecchini e di cianfrusaglie che osserva la sua merce in vendita su una bancarella. Pompeo adotta il medesimo schema per le sue costruzioni linguistiche, un dialogo che non è un dialogo, o meglio, che non è soltanto un dialogo ma un dialogo con interferenze (vedi l’inserzione dello specchio) dove il fuori interferisce con il dentro, con la conseguenza che la distinzione tra il dentro e il fuori viene alquanto complicata. È un territorio infinito quello che si estende all’interno tra la maschera e il volto, ed è in questa zona di indistinzione che accade qualcosa che interessa la poesia di Pompeo, movimenti minimi, invisibili sottrazioni (come nella poesia del poeta polacco Jurij Tarnavs’kyj da lui mirabilmente tradotta), una zona di discretizzazione all’interno della quale non ha più alcun senso impiegare le antiche categorie dell’io, dell’Es e del Super-io, o della soggettività, del soggetto edipico, qui ci troviamo in una zona che non coincide più con la soggettività ma si situa nel frammezzo di una serie di «dettagli che affiorano/ dagli oceani delle circostanze/ discendono brandelli di dialogo). Ecco una poesia esemplificativa di questa procedura poetologica e ermeneutica:

    Il ballo della mummia

    dal lungo, lento squamarsi
    dei dettagli che affiorano
    dagli oceani delle circostanze
    discendono brandelli di dialogo:

    «mi passi il sole?»
    «neanche per sogno!»
    «tutto a monte e niente a valle?!»
    «a gonfie mele!»

    Il microfono di frate cronista,
    voce narrante della catastrofe
    guida la liturgia:
    il santo pappagallo
    spezza le sillabe
    le mette in bocca
    al gregge dei fedeli.

    Scimmie erudite
    compongono frammenti
    di sacre scritture,
    l’archeologo quelli del sarcofago,
    alla radio tutto il giorno
    passano il ballo della mummia.

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  8. Tiziana Antonilli

    Quello che scrive Marie Laure Colasson nella sua bella Lettura a proposito del rapporto fra arte e rappresentazione del reale mi sembra la descrizione dei film di Fellini. A volte penso che il cinema sia riuscito meglio a rappresentare il reale come dice Colasson, con l’eccesso residuale, con l’evocazione e la rimozione.

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  9. Marie Laure Colasson

    cara Tiziana,

    se davvero i poeti italiani avessero appreso qualcosa dalla filmografia di Fellini!

    Cmq in queste variazioni di Pompeo c’è una procedura del gioco linguistico ispirata alla filmografia alla Fellini:

    il bicchiere del pittore
    è un’insegna colorata
    che si accende e si spegne,
    quello del medico
    è prescritto dall’impegnativa,

    in quello del prigioniero
    fiorisce un sogno in cattività,

    nel bicchiere del pastore
    le pecorelle si smarriscono,
    in quello dell’ambasciatore
    si ritrovano passaporti smarriti,

    con l’inversione e la variazione la poesia di Lorenzo Pompeo acquista eccellenza.

    Leo Spitzer, nume tutelare della critica novecentesca parte da questo assunto: «A qualsiasi emozione, ossia a qualsiasi allontanamento dal nostro stato psichico normale, corrisponde, nel campo espressivo, un allontanamento dall’uso linguistico normale; e, viceversa, un allontanamento dal linguaggio usuale è indizio di uno stato psichico inconsueto. Una particolare espressione linguistica è, insomma, il riflesso e lo specchio di una particolare condizione dello spirito». Giunti a questa conclusione dovremmo dedurne che tutti i poeti kitchen e anche i poeti come Lorenzo Pompeo e Franco Falasca che scrivono, a volte, con un linguaggio non «normale», sarebbero affetti da «uno stato psichico inconsueto», conclusione aberrante, che sposta le questioni linguistiche e stilistiche sul piano della patologia psicologica. Di conseguenza, le opere che avrebbero valore letterario sarebbero soltanto quelle, a parere di Leo Spitzer, scritte con uno «stato psichico normale». Questo è quanto noi chiamiamo «normologia del pensiero poetante» di oggi secondo il quale le opere scritte dalla stragrande maggioranza degli autori sia il modo da privilegiare. Leo Spitzer sposta le questioni dal carattere espressivo e stilistiche a quello della normalità psichica degli autori, deduzione ovviamente abnorme oltre che inaccettabile.

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  10. francescodegirolamo

    Verderame

    Sono più bravo a dividere che a unire:
    forse perché sono anch’io diviso
    tra la furia e il perdono.
    Sono più adatto a incendiare che a spegnere:
    forse perché il mio destino è un fuoco dolce
    e la quiete del gelo mi impaurisce.
    Non ho che il mio cuore di brace
    per capire le cose che non riesco a carpire.
    Dentro di me c’è un buio grande
    che forse un giorno mi inghiottirà.
    Troppo dolce è chi nasce
    in una vigna riarsa dal sole,
    pazzo come la malvasia.
    Ma come bruciano i cespi
    zuccherini, nel mosto di settembre,
    di ogni stilla verde-oro;
    e come è aspra e gelida,
    strappata al suo ramo,
    la perla verderame.
    Il mio liquore viene
    dal mio antico dolore
    sacro e inestirpabile.
    Perdonatemi allora se cado
    da un ramo troppo alto
    come un acrobata stanco.
    Non ho angeli al mio fianco,
    nessun altro che Lei, la più forte,
    la benedetta, invincibile Morte.

    Francesco De Girolamo

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  11. francescodegirolamo

    Veramente notevoli queste ultime proposte della sempre più preziosa “Ombra delle parole“: ciascuno a suo modo, sia Villatico, un’autenica, “tardiva” scoperta, sia il già noto e consolidato Falasca, sia il più giovane Pompeo, ci offrono una Poesia nuova, imprevedibile, originale, una vera boccata d’aria pura in questo asfittico panorama della poesia dominante. Non tutto mi ha sempre convinto, ovviamente, dei loro versi. Ma la loro qualità penso sia fuori discussione. E mi spiace vedere che proprio qui si rischi di sottovalutare il loro valore. Si vadano a leggere i siti ufficiali della poesia che attualmente ha il predominio incontrastato della grande editoria e dei famosi, risonanti premi letterari. E mi si dica se non si matura, poi, un gran desiderio di rifugiarsi in spazi come questo, che offrono i più veri, vitali fermenti della produzione in versi di questi ultimi tempi; per non parlare delle inestimabili riscoperte di tante importanti voci dimenticate, di tante figure centrali della nostra migliore Poesia, soprattutto femminili, inspiegabilmente rimosse. Teniamoci stretta questa “Ombra”, perciò, fintanto che la “luce” fornitaci dall’ufficialità risulta tanto debole e fatua. Grazie, perciò, a questi Poeti e a chi li ha proposti.

    Francesco De Girolamo

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  12. francescodegirolamo

    E soprattutto grazie al Nostro Gran “Calzolaio”, inarrestabile.

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  13. Grazie caro Francesco De Girolamo,

    mi fa piacere avere il tuo contributo critico e poetico sugli ultimi post dell’Ombra, uno dei pochissimi luoghi dove si fa ricerca senza cointeressenze e senza posiziocentrismi.

    Fate attenzione, se rileggete la poesia L’enigma della sfinge vi accorgerete che essa è tutta costruiita all’interno di minuscoli cinetismi che avvengono tra la maschera e il volto secondo una azione introspettiva interminabile, in quel limen dove si sciorinano le forze del pensiero asimmetrico matteblanchiano, all’interno della intercapedine tra la maschera e il volto (o il volto e la maschera), in quello spazio ristrettissimo che è la sede propria dell’Es. La poesia vuole raffigurare la schermaglia delle forze pulsionali e rappresentative che si combattono e si dissolvono in un fiat.

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  14. antonio sagredo

     “La poesia vuole raffigurare la schermaglia delle forze pulsionali e rappresentative che si combattono e si dissolvono in un fiat”.

    (Linguaglossa)

    —————————————————————-

    Musica in Tragedia -1863

    Si ribellò la nota e si gettò dalla finestra,

    con tutto il piano sul selciato di Varsavia.

    La soldataglia caucasica  ripeteva la barbarie

    e piansero Čajkovskij e Musorgskij insieme.

    Sul Monte Calvo  una musica in tragedia

    stravolse le pagine del pentagramma.

    Si spezzarono tutti i denti del piano.

    Non erano cariati, lacrimavano suoni.

    L’ affresco sanguinante della strada era lucido

    e brillava di notte  esangue una collana di madreperla.

    Le stelle si offesero come  baldracche dal belletto rossiccio

    e si spensero  le prime luci sulle nerastre acque..

    Antonio Sagredo

    Roma, 9 aprile 2024

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  15. https://giorgiolinguaglossa.substack.com/p/la-fondazione-della-citta-di-gomerosol

    raffaele ciccarone
    31 marzo 2022 alle 22:33
    Inedito

    Minecraft è assediata dai followers,
    pur se fake news.
    I poeti Kitchen pranzano al McDonald’s con quello
    che è rimasto in cucina. Picasso, De Chirico e Savinio
    mangiano al Jamaica Bar di Brera.
    Maigret passeggia a Montmartre, Lupin gli ruba la pipa
    la rivende la domenica successiva
    al Mercatino di Via Speronari a Milano.
    Il mezzo busto televisivo mostra sul dorso delle mani
    i peli irsuti del dr Jackie.
    I bimbi si sono rifugiati sotto il letto quando sono arrivate
    le ombre dei mostri.
    Alice non trova l’uscita dal Paese delle meraviglie,
    Arianna gli offre la soluzione in cambio del cappello a fiori

    Mimmo Pugliese

    1 aprile 2022 alle 10:29 

    LA STRADA DEL RITORNO

    La strada del ritorno comincia due curve dopo la domenica
    ha i nervi della quercia e denti stanchi

    Torni al prato beffardo
    il leccio soffre carcasse di arcolai

    Passano aerei, passano nuvole
    ma dove vanno?

    I cancelli hanno scavato il fango
    le chiavi ridono nella boccia del pesce rosso

    Fotografie di antenati opprimono i corridoi
    al televisore al plasma sono spuntati i rubinetti

    Un odore di marzo dimenticato
    accumula buste cuscini spazzolini

    Corre veloce un’auto, poi un’altra ed un’altra ancora
    ma chi le manda?

    Nascosti dietro ad un foruncolo
    si abbracciano giovani volpi

    Nel letto azzurro di una galleria
    puoi trovare gli occhiali persi dalle segretarie

    Un tempo c’erano i compleanni
    una volta ti hanno regalato scarpe con tomaia radioattiva

    Nell’area picnic del Ministero della Ragione
    coppie di tortore bevono il thè

    Sul lato opposto della strada un cartellone
    promette che arruolandoti girerai il mondo

    Stai perdendo tutti i capelli
    sardonici gerani leggono le linee della mano

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  16. francescodegirolamo

    GRADIBUS

    Non possum amplius prohibere;  nescio si unquam poterit
    neque ubi punctum illud erit
    in horizonte, ubi me intuitus est
    pacem inveniet;
    et si erit donum pro me
    vel conviction;
    sed cum iam sol primo mane refulsit
    apertis quinque digitis aureis
    et ultima tempestas nube
    mutat figura in ventum,
    (nunc avis est et nunc mons)
    et quoniam sub gressus meos arena
    hodie non iam quod erat hesterno die
    et petra durissima corroditur
    ex longinquo fulmine,
    quomodo ego nunc desinam?
    Et quidem cum dies unus, qui novit ubi,
    ego videbo mico aurora ad solis occasum
    dilacerant personam temporis
    et terrebis me expecto faciem tuam
    in molli obliuionis abysso,
    aut in margine clausus via
    subito victus cadet,
    etsi mea filo pendebat manus
    ad solem venientem suscitabo,
    aut nubem fugientem, aut ramum venti
    vel ad te, amissa stella,
    quacumque ego sum radiis aureis,
    paradisi languidi meditatio,
    qui scit quomodo finiatur in animam meam.

    Francesco De Girolamo

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    • caro Francesco,

      trovo questa tua composizione veramente nuova e rivoluzionaria, vedi che quando lasci l’idioma dell’italiano e adotti un’altra lingua riesci a fare delle cose sicuramente nuove. Potresti accentuare questa libertà linguistica accettando di parlare mediante il traslato di un Avatar o di un sosia. E questo è un tipico procedimento kitchen (non il solo), che ti potrebbe consentire una maggiore libertà dall’io.

      Traduzione:

      Non posso più fermarmi; Non so se ne sarà mai capace
      né dove sarà quel punto
      all’orizzonte, dove mi guardava
      troverà la pace;
      e se sarà un regalo per me
      o convinzione;
      ma quando il sole splendeva già al mattino presto
      aperto con cinque dita d’oro
      e l’ultimo temporale con una nuvola
      cambia forma nel vento
      (ora è un uccello e ora è una montagna)
      e poiché la sabbia è sotto i miei piedi
      oggi non è più quello di ieri
      e la roccia più dura è corrosa
      dai fulmini lontani
      Come faccio a fermarmi adesso?
      E infatti quando un giorno, chissà dove,
      Vedrò il bagliore dell’alba al tramontare del sole
      avevano fatto a pezzi la persona dell’epoca
      e mi spaventerai, aspetto il tuo volto
      nell’abisso del morbido oblio
      o sul lato di una strada chiusa
      improvvisamente sconfitto
      anche se la mia mano era appesa a un filo
      Mi alzerò al sole che verrà
      o una nuvola fuggente, o un ramo del vento
      o a te, stella perduta
      ovunque io sia con raggi dorati
      meditazione di un debole paradiso
      chissà come andrà a finire nella mia anima.

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  17. Post di oggi presso Substack con poesie di Raffaele Ciccarone e Mimmo Pugliese:

    https://giorgiolinguaglossa.substack.com/p/oggi-limmaginario-poetico-anedonico

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  18. Uno straordinario video di Gianni Godi che, a ragione o a torto, possiamo denominarlo kitchen:

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  19. Per i miei fan:

    Nei sotterranei. Ulisse. Quella specie di ricordo.
    Noi innamorati. Lo sgomento dei tenutari. Perché
    mi avete ammanettato.  Sogno o son desto.

    Il glicine. 

    LMT

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  20. Secondo me si perde del tempo nel dire di Urano o chissà quale altro luogo nell’universo, cose che neanche Calvino. Conviene esserci per davvero, senza tante spiegazioni. Magari una nota a piè pagina: Urano 27, duemila e rotti nel vostro tempo. Adesso.

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  21. francescodegirolamo

    Passaggio

    È da qui che devo passare
    se voglio andare oltre, non so dove;
    che possa dire infine: “Ci sono!”
    Per strade senza strada devo portare
    questo gorgo che in gola mi brucia
    ed aprire le braccia verso un vuoto
    in cui fiorisca la luce
    che non ferisce.

    Francesco De Girolamo

    Passage de Francesco De Girolamo

    C’est par ici que je dois passer
    si je veux aller au-delà, je ne sais où,
    que je puisse dire enfin: “J’y suis!”
    Par des routes sans route je dois porter
    ce gouffre qui dans la gorge me brule
    et ouvrir mes bras vers un vide
    où fleurisse la lumière
    qui ne blesse pas.

    (Traduction: Gilda Massari)

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  22. francescodegirolamo

    “Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.”

    (Italo Calvino)

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