Il modo di raccontare di Alfonso Cataldi parte da due personaggi reali: il figlio di sette anni e il venditore ambulante sulla spiaggia Joaquim; lo storytelling ha dunque una base di realtà ma il procedimento poetico non è mimetico, si allontana dalla mera mimesis per approdare, in modo personalissimo, ad uno storytelling in modalità kitchen. Il risultato è di ragguardevole originalità. L’ho detto molte volte che la poetry kitchen è una serie di modalità kitchen, non c’è un modello o un ombrello di realismo o di irrealismo, tantomeno il kitchen è una scuola di poiesis, il supermoderno ha messo fuori gioco e fuori campo tutte le idee di poesia racconto che abbiamo conosciuto nel secondo novecento e che sono finite con l’ultimo storytelling di Pierluigi Bacchini, lo storytelling di un mondo vegetale disertato dagli umani. Tutte quelle categorie e mini categorie che sono state impiegate nel tardo novecento: il mini canone, la poesia ottica, mnestica, memoriale, elegiaca, antielegiaca, neoorfica, adamitica, sperimentale, quotidianista etc. si sono rivelate di scarso peso e di scarsissimo orizzonte teorico e poietico.
Il fatto è che non c’è più nulla di sperimentale nel mondo di oggi perché tutto è diventato sperimentale, ogni branca di attività segue il marchio di fabbrica dello sperimentalismo, il Capitale, per la legge della riproduzione allargata, ha bisogno di reinventare se stesso ogni giorno in modo nuovo; il capitalismo cognitivo di oggi ha assunto a tempo pieno e indeterminato lo sperimentalismo delle post-avanguardie e lo ha messo a reddito, a produrre un plus di reddito; dirò di più (e questo lo dico ai giovani come Davide Galipò che pensano ancora in termini di neosperimentalismo e di post-avanguardia), lo sperimentalismo è oggi divenuto un ideologema, una stampella di sostegno del mercato che ogni giorno deve sperimentare nuove forme-merce, nuove parole d’ordine, nuovi cliché, nuovi apparati. Nelle nuove condizioni del capitalismo glocale e globale di oggi, come ha bene indicato Byung-Chul Han in Psicopolitica, la poiesis non ha più alcuno spazio di manovra e di resilienza, neanche residuale ed epigonico; deve, se vuole superare il fosso, saltare il guado, andare sulla sponda opposta del futuro. La nuova poesia nasce soltanto andando verso il futuro, facendo un «salto» e uno «scatto» verso il futuro, mettendo tra parentesi il passato, la tradizione e la sua storia ideologica. Ancora è da fare il progetto agambeniano della Storia d’Italia attraverso la storia delle sue categorie, le categorie a saperle leggere e individuare, rivelano sempre il lato in ombra della storia culturale e politica del Paese..
(Giorgio Linguaglossa)
Tiziana Antonilli
Il figlio
Il figlio in Erasmus aveva perso i pantaloni negli incendi d’Australia.
Le certificazioni Cambridge sudano sulla pancia.
Flora piangeva per le lingue intrecciate in deroga.
Lui nascose nella toilette dell’aereo
i panni sporchi rifiutati dalla lavatrice di casa.
Chiusure
Un’incursione di panda ha contaminato la biglietteria.
Un pioppo divelto continua a piangere fiocchi di neve.
Il viale tornato pulito è stato acquistato dalle pompe funebri.
Ognuno ha masticato la brochure per non intasare
il sistema fognario del Comune.
Freddo
Il borsone era una pera farcita.
Con la panchina il mattino giocava a dama
ma nessuno si è fermato.
A notte fonda la coperta si trascinò in un bar
e partorì sul pavimento un lombrico viola.
Domenica, 11 dic. h 17.00 Sala Giove, Fiera del libro di Roma La Nuvola La poesia nell’Età della Catastrofe Perman… twitter.com/i/web/status/1…—
Giorgio Linguaglossa (@glinguaglossa) December 01, 2022
Mimmo Pugliese
29 novembre 2022 alle 12:00
Gatti e pavoni
Gatti nelle steppe tengono per mano arance
vele schiacciano briciole sul cartongesso
un trattore elettrico scuote alberi di catrame
nel garage del Colosseo
hanno profili di melagrana le donne gitane
i fucili degli argonauti ululano alla serotonina
l’abilità dei licheni persuade l’inviato speciale
il pollice di Robin Hood è depresso
no, è vivo! fa la corte alla glottide
gli acini non si radono da tempo
il gallo allude
gladiatori contaminano l’olio di oliva
gli apostrofi corrono in salita
dalla punta dell’Adriatico si vede Stonehenge
il bonus casa telefona alla luna
il cerume soffre di insonnia
Paperone starnutisce ai pavoni
a proposito del «noi»
Non ci resta che uscire definitivamente dalla forbice concettuale tipica delle avanguardie e della politica leninista del novecento: distruzione/costruzione, avanguardia/retroguardia, élite/massa, classe borghese/classe subalterna, egemonizzati/omogeneizzati, apocalittici e/o integrati. In realtà siamo tutti diventati egemonizzati e omogeneizzati, eterni subalterni, mediatizzati e mitridatizzati, integrati nell’apocalisse e nell’apocope; siamo tutti diventati dipendenti delle apocope,* siamo scomparsi (deleted) e al nostro posto c’è una virgoletta, lassù, in alto. È l’epoca dello sdoganamento del nucleare facile e prêt-à-porter. Mi si dirà che sono un pessimista: forse che sì forse che no, non c’è altra via di uscita dallo standard della merce (la merce non rivela mai il suo arcano di feticcio) e dei prodotti culinari quali sono diventati i feticci «artistici». In queste condizioni la nuova fenomenologia del poetico e la poetry kitchen sono l’unica via (molto stretta, un vero e proprio collo di bottiglia) che può perseguire la poiesis oggi nel nuovo mondo semi globale e semi glocale, un mondo parallattico, nella accezione che ne dà Slavoj Žižek.
*apocope /a·pò·co·pe/ : sostantivo femminile – Caduta della vocale finale di una parola ed eventualmente anche della consonante che la precede: ‘san’ da santo; da non confondersi con l’elisione, che si ha quando la vocale finale cade solo davanti ad altra vocale. In enigmistica, amputazione.
(g.l.)
Francesco Paolo Intini
1 dicembre 2022 alle 22:37
“Se un matematico è una macchina per trasformare caffè in teoremi” (Paul Erdos), cosa è un poeta?
Il caffè crede di rimanere in tema.
Non immagina la iena che azzanna dal duodeno.
In una jeep, un grizzly
il cui unico piacere è spalmare dolore su un würstel.
Oh, il corso d’opera del distinguo sul mangiare
La misura? La sesta non copre i capezzoli.
Ma un buon caffè merita il paradiso solo a sentirlo discutere con l’aria.
-Tu hai gambe grasse per star fermo e riflettere, io ci tengo allo jogging tutte le mattine
Un fruscio qui, uno là e le malve si saziano, persino un’agave sorride
E parla di calcio, omettendo tristezze.
La debacle degli ammogliati è stato un disastro.
Speriamo l’anno prossimo. Qui tra pali del telegrafo
Non c’è modo di trovare un cent di allegria
L’ultimo Morse partì per l’Australia ma tornò vestito da poeta
Con un lenzuolo nell’obitorio e le ceneri sotto braccio.
Che serve fasciarsi di ridicolo in Parlamento?
I granchi intanto si affacciano al tema.
-È una palestra per soli scapoli. La tendina nasconde il cabaret “Allo scoglio”.
Una palla al centro si trova sempre.
Basta guardare giù in fondo e afferrare una coda di rospo.
La tv viene a galla
con i polpi attaccati ai raggi fiammanti
Un cormorano risale deluso:
c’è noia tra i programmi della lavastoviglie
E per giunta il fritto di alici ha ripreso a guizzare
Anche se rimase stecchito a gambe in su.
lombradelleparole.wordpress.com twitter di Gino Rago Ewa Lipska è gelosa di Greta Garbo Entra da Ikea e compra un Mangiapa… twitter.com/i/web/status/1…—
Giorgio Linguaglossa (@glinguaglossa) December 03, 2022
Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti: NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
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Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
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Tiziana Antonilli ha pubblicato le raccolte poetiche Incandescenze (Edizioni del Leone), Pugni e humus (Tracce). Ha vinto il premio Eugenio Montale per gli inediti ed è stata inserita nell’antologia dei vincitori “7 poeti del Premio Montale” (Scheiwiller). Tre sue poesie sono entrate a far parte di altrettanti spettacoli teatrali allestiti dalla compagnia Sted di Modena. Il suo racconto “Prigionieri” ha vinto il Premio Teramo. Ha pubblicato il romanzo Aracne (Edizioni Il Bene Comune) e la raccolta di poesie Le stanze interiori (Progetto Cultura, 2018). Insegna lingua e letteratura inglese presso il Liceo Linguistico “Pertini” di Campobasso.
Si deve a una conversazione tra Paul Erdős e Alfréd Rényi, due matematici ungheresi del novecento, la famosa asserzione: «Un matematico è una macchina per trasformare caffè in teoremi».
Anche nella poetry kitchen gli effetti eccitanti prodotti dalla macchina per fare il caffè producono anche il nuovo discorso poetico. Analogamente a come nascono i teoremi in matematica anche gli enunciati della poetry kitchen nascono in base al metodo del «learning by doing» (imparare facendo), uno stadio preparatorio del «reflective learning» (apprendimento riflessivo).
Infatti, noi tutti abbiamo imparato attraverso la decostruzione e lo smontaggio degli oggetti culturali (dei loro linguaggi) a impiegare la seconda fase: la ricostruzione di quegli oggetti culturali (dei loro linguaggi) in altri oggetti culturali, in altri e diversi linguaggi. In questo modo procede la nuova fenomenologia del poetico. Ed è proprio questo il modo in cui procede l’epistemologia nelle varie discipline di ricerca, così si generano nuovi saperi.
Si può dire cha il discorso poetico di Francesco Intini nasca da uno stato di eccitazione se non di agitazione peristaltica, uno stato di ebollizione che modifica lo stato della materia delle parole da liquido in gassoso.
I tuoi testi sempre un’accensione mentale. Ho gradito molto la poesia di Intini. Grazie!
Il Dom 4 Dic 2022, 08:20 L’Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internaziona
Mi sono piaciute le strofe pentastiche di Tiziana Antonilli, a partire dalla forma – rara nella tradizione poetica dove le forme più diffuse sono il distico, la terzina, la quartina, la sestina e via dicendo – Tiziana Antonilli dipinge decisa con l’acquerello i suoi racconti, pochi gesti ma carichi con intreccio e trama che prevede versi contenenti un dato reale, figlio ad esempio, e versi in modalità kitchen, “Le certificazioni Cambridge sudano sulla pancia.” “Il viale tornato pulito è stato acquistato dalle pompe funebri.” O ancora, “A notte fonda la coperta si trascinò in un bar”.
Gustosa la metafora del tradimento del figlio che perde i “pantaloni” in Erasmus nell’incendio in Australia, lasciando in lacrime Flora.
Con l’idealismo filosofico tedesco che va da Kant a Hegel il cuore della soggettività è «la Notte del Mondo». La nuova visione sostituisce e soppianta la visione che l’Illuminismo aveva della soggettività come «Luce della ragione». Con Kant e, ancor più con Freud, il cuore della soggettività è indicato come una «Notte», una notte terrifica, insondabile, inabitabile, abitata da mostri; infatti ne La metamorfosi di Kafka, la sorella di Gregor Samsa, Grete, definisce suo fratello (che è diventato un insetto) un «mostro». La parola tedesca è «Untier» (inanimale), che indica un qualcosa di distinto e di diverso da un animale, precisamente un animale che, pur avendo la sembianza di un animale non è veramente un animale, ma un qualcuno che una volta era umano ma adesso non lo è più: un inumano.
La nuova fenomenologia del poetico, la poetry kitchen, almeno come io la interpreto non è affatto un gioco linguistico fatto con delle parole oziose e innocue ma una fenomenologia che permette di individuare che un qualcosa di inumano è esondato dall’umano e ha attinto tutti gli oggetti e le relazioni tra gli oggetti e tra gli oggetti e i soggetti. Da questa condizione non si può più tornare indietro, è questo il lato drammatico che individuo nella poesia kitchen di Intini, di Mimmo Pugliese e di Tiziana Antonilli.
In un certo senso, la nuova fenomenologia del poetico ci rivela l’inumano dell’umano rivelandoci che cosa è diventato il linguaggio di questo «inumano».
“La poiesis non ha più alcuno spazio di manovra e di resilienza, neanche residuale ed epigonico; deve, se vuole superare il fosso, saltare il guado, andare sulla sponda opposta del futuro. La nuova poesia nasce soltanto andando verso il futuro, facendo un «salto» e uno «scatto» verso il futuro, mettendo tra parentesi il passato, la tradizione”: (Linguaglossa)
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“Sulla sponda opposta del futuro” ci sono già dai primi istanti della (mia)vita: ne sono testimonianze tanti miei versi, ed è così persistente questo futuro (che non ha nulla a che fare col futurismo storico) che mi son sempre appoggiato a una visione del futuro possibilmnte sempre più concreto: ed è più di un desiderio.
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Questi versi danno che danno una idea anche mitica del (mio) futuro spero siano comprensibili
Liberati dal Tempo resteremo infine orfani felici
in un dove che Padri e Figli non sapranno mai
che quella riva è un altro uomo, ma una fiumana immobile
scorre mirando del mio corpo il non agire… e poi non più.
(da Suono del Tempo – 2014)
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Qui l’altra “riva” è simbolo di rinascimento: non si ha altra riva, non la si raggiunge se anche l’uomo non ri-genera: “un altro uomo”
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E allora bisogna stare attenti a che la riva non si muti in de-riva e che quella parentesi serri davvero “il passato e la tradizione”, ma in un museo dove è possibile osservarli in una campana di vetro, in una teca o in formalina.
E se dovessimo domandarci spesso verso… quale futuro?, faremo um passo indietro… entreremo in un labirinto speculativo, filosofico che di nuovo ci avvinghierebbe senza scampo!
Il celebre verso-domanda che si fece Pasternàk:
“Miei cari, qual millennio è adesso nel nostro cortile?”
ci ritornerebbe di nuovo ad angosciarci
”Viviamo per vivere, e non per prepararci a vivere”, che è esattamente il contrario del majakovskiano:” Bisogna strappare la gioia ai giorni futuri”.
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Poeti è necessario scegliere: bisogna trattare il dado!
Sarebbe interessante se, come ha fatto Alfonso Cataldi, anche Mimmo Pugliese, Tiziana Antonilli e Francesco Intini facessero un breve scritto circa l’origine delle loro poesie e la formazione dei testi.
In generale sarebbe interessante se tutti noi scrivessimo un breve articolo sulla origine dei nostri rispettivi testi.
ELIO e il MINOTAURO.
Accolgo volentieri l’invito di Giorgio prendendo spunto da quello che periodicamente mi capita di fare per la salvaguardia di uno strumento di fondamentale importanza nel mio lavoro professionale ma che non dista molto da quello dei versi.
A guardarli da lontano infatti, Elio ed Aria non danno nell’occhio semplicemente perché l’uno sbuffa in una fiamma bianca mentre l’altra gli danza attorno finendo per gocciolare come pioggia insistente e separarsi in azoto e ossigeno non appena tocca terra.
C’è un’azione coercitiva del signor freddo sulle forze delle molecole biatomiche, la stessa che un leone esercita sul bufalo che ha scelto come pasto.
E dunque un salto di 300 gradi non è d’ostacolo per quello che avviene sotto i nostri occhi: stessi denti aguzzi, affilati come sciabole che afferrano la preda per piegarla alla volontà.
Eppure c’è qualcosa di straordinario in questa visione che agli occhi dell’osservatore distratto dall’ efficienza e dal calcolo, non si rivela.
Per avvertirla bisogna avere un’ antenna specializzata a captare la perdita di significato.
A pochi passi da noi c’è un limite invalicabile appartenente a una famiglia ristretta di zeri
E di certo non è il parente povero dell’inizio dei tempi o di un buco nero.
Quello che succede nelle sue vicinanze lo si capisce se un lapillo di quel vulcano freddo giunge a lambirti. Penso ai pianeti più lontani dal sole e ti sembra di carpirne il segreto mentre la parte colpita stenta a riprendere vita.
Zampilla assurdo più vicino di quanto credevi e non puoi scendere a patti perché ne senti la forza animale, la capacità di piegare la volontà degli oggetti e ridurla ad impotenza.
Certo, dopo il passaggio in laboratorio – o in “cucina”, – ritorna nel suo labirinto a svolgere il suo lavoro incessante intorno a un filo superconduttore senza che questi opponga alcuna resistenza, avvolto come una collana di preziosi sugli atomi in osservazione.
Puoi solo prenderti le tue libertà, leccandoti le ferite e il dolore dei graffi profondi, con versi altrettanto assurdi e glaciali quanto il suo , tra uomo e bestia, tra Dio e macchina, tra sogno e realtà, intenti a scorporare la vita quotidiana dal significato, dal tempo e dal senso, che sembreranno stranianti e vuoti, ma che comunque risentono del fascino e della forza nascosta soltanto a qualche centinaio di gradi sotto i nostri passi di uomini impegnati in questo o in quello.
Ciao
Come in genere mi accade, scrivo di getto, successivamente riprendo e modifico qualcosa. Grazie ombra.
Tra i mandarini
…
Tra i mandarini il positrone scopa tutta la sabbia
lasciata dal gatto, unica finezza senza appello.
Il pollice verde del cane si destreggia tra alambicchi
discutibili frattaglie, resti di braciole che esalano
fiumi di soffritto bruciato.
Per cancellare il ricordo del lezzo di calzini, i globetrotters
raccolgono olive sotto gli alberi, lungo la riviera pugliese.
Se arrivasse la telefonata il difetto sarebbe sanato subito,
nella necessità di un arco qui il suono si fa scuro
stinge l’alfabeto nell’ignoranza geometrica.
La sincerità omologata pur essendo un passe-partout soffia
comunque in un corno che chiama a raccolta trote svezzate
in sgraziati sguizzi.
…
Lo ripeto ancora una volta: se non impieghiamo categorie solide come ad esempio «riproduzione allargata», «capitalismo cognitivo», «riformismo moderato» e altre, non riusciremmo a comprendere i termini nei quali si candida oggi il concetto di «sperimentalismo» così come è stato storicamente declinato dalle post-avanguardie del tardo novecento. Quelle declinazioni non sono ormai più attuali, sono state storicamente superate dagli eventi; il pericolo di ridurre la poetry kitchen a mero «gioco linguistico» è ben reale, presente. Ad esempio, nella ultima poesia postata da Raffaele Ciccarone vedo la necessità di un ulteriore lavoro di scavo e di ricerca, la brillantezza della locuzione usata è tutto, a volte basta un millimetro per far crollare la costruzione; medesimo pericolo lo intravvedo in alcune composizioni Instant poetry di Lucio Tosi, troppo stringate, troppo ridotte all’osso, l’instant poetry non può ridursi a mero esercizio di poitillisme…
È l’ora del Piemonte. Verso (davvero) cretino.
Passo.
Accolgo l’obiezione di Giorgio su l’eccessiva riduzione del discorso a mero esercizio di pointillisme. Sostituisco “Davvero” con “Verso”, e forse più chiaro. Ma “Passo” non è più del giocatore di poker che si era intromesso (o qualunque altro fantasma). Mah.
L’instant poetry non manca di progettualità: sono frammenti di un discorso visibile solo a fatto compiuto, a raccolta ultimata. Versi di testimonianza dell’essere nel tempo, nello spazio e nel vuoto. L’intento è quindi ontologico. Ho scritto in un commento sul mio blog: “confido che tutti sappiano quale sia, non lo svolgimento, ma il modo in cui i pensieri si presentano alla mente”.
“In generale sarebbe interessante se tutti noi scrivessimo un breve articolo sulla origine dei nostri rispettivi testi.” (Linguaglossa)
…..qui sotto una delle mie inumerevoli origini: scusate se non è un articolo, ma ogni mia poesia è un saggio, grazie:
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Ai poeti grecolatini, i miei debiti
Quel torpore che agli angeli dona un volo di disarmonie
è l’istanza di una finzione che reclama un osceno canto,
un salmodiare che nei miei impuri versi agli Enti Eterni
lo sguardo distoglie dalle catastrofi tra ceneri di morti.
Eppure io gradisco poco un verso fatto e limato,
ma tu con le parole mi raggiri, e un patibolo per me,
distratto, costruisci: tu sei il solo che dà retta alle mie inezie!
La condanna è irriverente, come l’artiglio di una tragedia.
La Notte che mi sfidava come il flauto di Marsia
coronava di spazi strani i punti cardinali
e la fronte di Antonio che crollava coi suoi natali –
ma le sue pagine sono eterne, ben oltre la sua fine.
Era quel rogo terminale fra coriandoli e scintille
il capezzale dove la Trinità danzava come Valpurga,
le mie narici si gonfiavano come vele infernali –
sono stato inquietato dai canti e dai trionfi!
Il sigillo dei miei canti mai spezzato da nessun oblio,
né dal sole, non sarà più di una trascorsa terra,
ma un pianeta altrove su altre cave orbite mi offrirà
in ginocchio un’altra umanità –e sarò letto, io, ancora!
E fra crudi inverni e balsami persiani saprò là
ritrovare le mie cadenze, studieranno i lirici
le mie canzoni, le elegie domino come i lauri,
sarò sempre con voi, versi miei: schiavi, signori!
antonio sagredo
Vermicino, 28 febbraio 2008
Com’è possibile oggi abitare l’arte e l’estetica, categorie fondate saldamente nelle strutture della metafisica?
1. Il post-moderno, l’estetizzazione diffusa
Vattimo prende le mosse dalla filosofia della storia e interpreta la propria epoca come quell’epoca in cui sembra venir meno anche la concezione moderna della storicità come corso unitario e progressivo: il post-moderno. Parlare di post-moderno significa riferirsi, consapevolmente, alla modernità. Noi oggi pensiamo il Moderno come «quell’epoca per la quale l’esser moderno diventa un valore, anzi il valore fondamentale a cui tutti gli altri vengono riferiti».1
L’epoca della Diesseitigkeit , dell’“Al di qua”, la modernità è l’età della secolarizzazione, sorretta dalla fede nel progresso e nel nuovo. Sostiene Vattimo che questa «essenza del moderno diviene davvero visibile soloa partire dal momento in cui […] il meccanismo della modernità si distanzia da noi»; e questo avviene perché il valore dominante il moderno, il nuovo, è entrato in crisi, si è dissolto. In questo consiste – in breve – il post-moderno: in virtù della crisi del valore del nuovo, della dissoluzione della fede nel progresso – il cui carattere normativo è stato sottolineato da tutte le forme di modernismo, non v’è più un fine, una direzione della storia.
Dunque, non c’è più una storia. L’esperienza della temporalità non è più quella della successione lineare di momenti, che era apparsa fino all’epoca moderna come la temporalità “naturale”, ma quella di una temporalità ricorsiva, circolare, eventuale.
La nuova fenomenologia della poiesis pensa la temporalità dell’evento come quella esperienza senza epifania, senza un altrove, senza un metalinguaggio giacché tutto è metalinguaggio, giacché ci troviamo già all’uinterno di un fuori-linguaggio, di un linguaggio allargato. Siamo tutti all’interno di una ontologia positiva.
1 G. Vattimo, La fine della modernità, Milano, Garzanti, 1985, p. 108.
Il vuoto come spazialità.
Così Osho, improvvisandosi esistenzialista, ebbe a dire questo del vuoto:
“Vuoto” è una parola triste: sembra che manchi qualcosa, qualcosa che dovrebbe esserci ma non c’è. Ma perché chiamarlo vuoto? Perché partire dall’aspettativa che qualcosa dovrebbe essere lì ad aspettarti? Chi sei tu? Dagli il nome giusto (…) Ebbene “Vuoto”, il suono stesso della parola ti ricorda qualcosa di futile. No, io gli do un significato diverso: è vastità, non ingombrata da nulla. L’esistenza è così vasta che ti permette l’assoluta libertà di essere, qualsiasi cosa tu voglia essere, qualsiasi cosa tu abbia la capacità (aggiungo la possibilità) di essere. (…) Dio (la società) ti impone delle cose, vuole che tu sia un certo tipo di uomo o di donna, con un certo tipo di personalità, di moralità, di etica, di educazione, Dio vuole metterti in una gabbia.(…) E la libertà è destinata ad essere vasta, non chiamarla vuota. Certo, è vuota di qualsiasi ostacolo; è vuota di qualsiasi struttura, di qualsiasi guida; non ti obbliga a muoverti in una certa direzione, a essere qualcuno; no, la vita ti dà tutto lo spazio che ti serve, forse più spazio di quanto ti serva. Spazia, invece di preoccuparti sul perché la vita è vuota!
*
Sono distesa, le palpebre in soffitta. Ricalcolo.
Abbracciami.
*
L’amore promesso è per sempre. Chi sei tu?
Alice. Mio nonno giocava a basket, ma io sono piccola.
Piacere, Giorgio. Provvisoriamente.
*
Milano a luci rosse. Poi Bangkok.
Sorelle siamesi. Gibilterra.
*
Siamo un gruppo di veicoli andati.
Facciamo la guerra, non l’amore.
LMT
Bisogna dire, per completezza sul pensiero positivo, che la Poetry Kitchen si distingue anche per l’alto livello di buonumore. Chi più chi meno, ovviamente.
caro Lucio,
prova a togliere gli asterischi e vedrai che i frammenti funzionano molto meglio come fossero una unica colonna ininterrotta di frammenti…
L’accadere della verità nell’opera d’arte, heideggerianamente, è uno sfondamento del concetto di verità e della concezione della verità come adeguazione e conformità di parola e cosa. L’evento della poiesis «è l’aprirsi degli orizzonti storico-destinali entro cui ogniverifica di proposizione diviene possibile».2
L’arte è allora quell’evento inaugurale «in cui si istituiscono gli orizzonti storico-destinali dell’esperienza delle singole umanità storiche».3
Per Gianni Vattimo le opere d’arte sono origine di esperienze di shock tali da sovvertire l’ordine costituito delle cose, da sospendere l’ovvietà del mondo, e così aprono e organizzano nuove forme storico-sociali di esperienze di vita. L’opera d’arte non è (più) identificabile – per Vattimo – per i suoi caratteri estetici e formali, ma per il costitutivo «stato di spaesamento» permanente dei sistemi stabiliti dei significati, sfondamento e spaesamento che non è mera «distruzione» come accadeva per le avanguardie del novecento, ma esperienze di shock, di spaesamento permanente dinanzi ai significati.
Questo «spaesamento» che il tuo Osho chiamava «vuoto» con equivale e né coincide e nemmeno è sovrapponibile con il concetto di «vuoto» della filosofia occidentale; la soggettività è sempre in condizione di spaesamento permanente dinanzi alla dissoluzione dei significati consolidati. È questa la sua costituzione ontologica.
«L’opera d’arte è l’unico tipo di manufatti che registri l’invecchiamento come un evento positivo, che si inserisce attivamente nel determinare nuove possi-bilità di senso».4
2 G. Vattimo, L’infrangersi della parola poetica, in La fine della modernità, p. 74.
3 Ibidem, p. 26
4 G. Vattimo, La fine della modernità, cit., p. 70.
Gli asterischi: non volevo qui espormi a una lettura troppo frazionata – eppure, se non qui, dove? – Osho: qui propone una visione esistenzialistica del vuoto, non filosofica. A me piace proprio perché, nonostante sia stato filosofo, si occupa della “messa a terra” dei teoremi.
“Saviano bestia nera dell’estrema destra, a testa alta contro chi cerca di intimidirlo
Lo scrittore si schiera contro la premier e il governo, mentre gli intellettuali evitano il dibattito”
di ERIC JOZSEF
La Stampa, 05 Dicembre 2022
Caro Giorgio,
grazie per l’input, per me è molto stimolante scrivere poesia Kitchen.
Cordelli nel video dice che le avanguardie del novecento hanno puntato tutto sulla liberazione del significante dal significato. Bene, Condivido. Se questo è vero, la poetry kitchen ha portato alle estreme conseguenze l’azione di liberazione del significante dal significato fino a liberarlo del tutto (o quasi).
Mi ha commosso vedere nel video i commenti puntuali di Mario Lunetta da giovane.
Trascrivo qui un mio commento alla poesia di Ubaldo De Robertis, un poeta di grande valore che ci ha lasciati nel 2017. La perdita di Ubaldo è stata grande, il nostro compagno di strada si era orientato con convinzione verso una «nuova poesia», una poesia oggettiva, de-soggettivizzata, diciamo, verso una nuova fenomenologia del poetico che oggi abbiamo compiutamente raggiunto.
giorgio linguaglossa
3 ottobre 2015 alle 12:37
La gravità zelante di un valletto, in ombra,
sul cono più alto, stagnante, ad ogni soprassalto.
Estraniato. Nella bonaccia. Sul palcoscenico di vetro
si illude di mandare fuori tempo il congegno.
Tempo rubato. Dilazionato.
Fin qui l’incipit di una poesia di Ubaldo De Robertis. È chiaro che qui siamo davanti ad una condizione teatrale dalla quale sono state espunte le condizioni soggettive. la scena è raffigurata in modo oggettivo attraverso una serie di divagazioni e di associazioni narrative. La «poesia» è diventata «discorso poetico». La distinzione è di capitale importanza per comprendere che cos’è diventata la poesia moderna, la poesia si è narrativizzata e ha perduto definitivamente la volontà mimetica della poesia di un, mettiamo Pagliarani, nella quale c’è una forte componente ideologica: quella convinzione di fare poesia mimetica del «reale». Pensiero questo ormai compiutamente archiviato tra le stoviglie del modernariato. Oggi è invalso invece il principio compositivo opposto: una poesia liberata da ogni ossessione mimetica, oggettiva, narratologica, dialogica.
La poesia di Ubaldo de Robertis ha varcato il Rubicone, ha tagliato i ponti con le concezioni mimetiche del «reale» e con le concezioni antimimetiche del «reale» (come quella di uno Zanzotto), per aderire ad una impostazione nuova, fondata su altri presupposti di poetica.
Giorgio Linguaglossa: Il problema dello stile in Giorgio Caproni 28 sett. 2015
Il problema dello stile del tardo Caproni di Il franco cacciatore (1982), Il Conte di Kevenhüller (1986) e Res amissa (1991), va inquadrato nella problematica via di uscita dalle secche degli stili del tardo Novecento. Giorgio Caproni, della generazione degli anni Venti, si trova improvvisamente, nel breve giro di due decenni, gli anni Settanta e Ottanta, impaniato nella necessità di rinnovare il suo stile e nella difficoltà di uscire dallo schema stilistico che aveva maturato nel corso di una intera vita di poesia. Nell’ultimo Caproni è vivissimo il segnale di una «maniera» che tende a sostituirsi allo stile maturo per tentare di decostruirlo, quella «maniera [che] registra un inverso processo di disappropriazione e di inappartenenza. È come se il poeta vecchio, che ha trovato il suo stile e, in esso, ha raggiunto la perfezione, ora lo dimettesse per accampare la singolare pretesa di caratterizzarsi unicamente attraverso un’improprietà. […] Così, in storia dell’arte, il manierismo “presuppone la conoscenza di uno stile cui si crede di aderire e che invece si cerca inconsciamente di evitare” (Pinder)1
La speciale secondarietà dello stile del tardo Caproni rivela qui il suo carattere non transitivo perché tende a bloccare l’elemento prosodico prosastico entro la chiusura di uno schema metrico fisso facendo con ciò scoccare sì scintille ed attriti ma anche rilevare l’impossibilità dell’elemento frastico a rompere gli schemi rigidi dei rondò e delle canzonette cantarellanti che vorrebbero sminuire e dimidiare lo stile maturo acquisito. Si tratta di un blocco dello stile entro uno schema chiuso. È qui, a mio avviso, il momento di stallo della poesia del tardo Caproni, la sua non completa emancipazione dal suo precedente stile e il suo mancato approdo ad una poesia compiutamente post-modernistica che verrà, quando verrà alla luce una nuova generazione di poeti libera dal pondus della tradizione metrica neoermetica e metterà in bacheca nuove tematiche e nuovi oggetti, penso a quei poeti che nasceranno negli anni Quaranta che avranno davanti un mondo che si era già liberato della tradizione neoermetica e guardavano allo sperimentalismo come ad un fatto del passato remoto, ad un fenomeno che faceva ormai parte della storia letteraria.
1 Giorgio Agamben in Giorgio Caproni Tutte le poesie Garzanti 1999 pag. 1023
Con «evento», Foucault intende “l’inversione di un rapporto di forza”, il “crollo di un potere, la rifunzionalizzazione di una lingua e il suo impiego contro i parlanti precedenti”. Nell’evento si parla
improvvisamente un’altra lingua.Esso produce una frattura nella certezza precedente in quanto chiama a una costellazione dell’essere tutta diversa. Gli eventi sono svolte, rotture, fratture nelle quali si compie un’inversione, un rovesciamento del dominio. Un evento fa aver-luogo qualcosa che mancava completamente nello stato precedente. Al contrario del vissuto, l’esperienza dell’evento si basa su una discontinuità. Esperienza dell’evento significa trasformazione. In un dialogo, Foucault sottolinea che in Nietzsche, Blanchot e Bataille l’esperienza servirebbe a “strappare” il soggetto a se stesso, facendo in modo che non sia piú tale, o che sia completamente altro da sé, che giunga al suo annullamento, alla sua dissociazione.
Essere-soggetto significa essere-sottomesso: l’esperienza dell’evento lo strappa alla sua sottomissione. L’evento è rivoluzionario nella misura in cui strappa profondamente il soggetto dal suo esser-sottomesso.
“Essere-soggetto significa essere-sottomesso: l’esperienza dell’evento lo strappa alla sua sottomissione. L’evento è rivoluzionario nella misura in cui strappa profondamente il soggetto dal suo esser-sottomesso”
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Senza tanti giri di parole .: SCHIAVITU’, ma la liberazione dalla schioavitù porta ad altra schiavitù di diversa natura.
In Francia con la sua Rivoluzione non successe che cadde in altro genere di schiavitù, poiché il popolo francese era llaavanguardia dellelibertà civili e civiche epolitiche ecc.
Però cominciò una epoca coloniale: la ex schivaitù del popolo francese prima della Rivoluzione.. con il dopo Rivoluzione fu “trasferita” a carico di altri popoli.
Ma nella Russia dei Romanov con la Rivoluzione del ’17 si cadde in una schiavitù ancora più spietata.
Il popolo russo non era alla avanguardia di nessuna di quelle caratteristiche che possedeva il popolo francese… ancora barbarico, ignorante al massimo grado, orientale abituato alla sudditanza cronica, ecc., le sole avanguardie russe erano quelle artistiche di altissimo livello, ma anche queste furono decimate, per cui non in grado di essere guidato il popolo russo “democratic amente” discese nell’inferno più buio della loro storia, più tenebroso dei “tempi oscuri” della loro storia passata…. passata per modo dire poiché si rinnovarono più crudelmente…
e oggi dal febbraio di questo anno maledetto e terribile la regressione… e spero che l’Europa una volta per tutte finisca di essere la puttana che è sempre stata!..
Che sapevo già “scosciata”, come scrivevo nei miei primi versi “idioti” di fine ’60.
E quei filosofi “francogeni” su menzionati, tranne Nietzsche, avrebbero fatto bene a scrivere più terra terra senza fare fare i professori…
Un’altra breve riflessione sulla importanza del “montaggio” nella Poetry kitchen
Quanto al ‘montaggio’, così spesso chiamato in causa quando si parla delle tavole di Mnemosyne, di Warburg, occorre dire che si tratta di una soluzione che può servire a linguaggi anche molto distanti tra di loro.
Benjamin, a proposito delle avanguardie scrive: «Il montaggio non è […] un principio artistico artigianale. Esso è nato allorché, sul finire della guerra, l’avanguardia si rese conto che della realtà ormai non si veniva più a capo. A noi non rimane altro – per poter avere tempo e sangue freddo – che lasciarla esprimere soprattutto in modo disordinato, autonomo e persino anarchico, se necessario».
Ne consegue che, sotto tale aspetto, come segnalato in un mio precedente commento, è un montaggio anche la prima pagina di un quotidiano
Ogni poeta prende le mosse da chi vuole, ma sta poi alla critica discutere in che misura i riferimenti culturali adottati siano
– frutto di un’apertura consapevole, autentica profonda;
– di una scelta di maniera
– di una pura questione di moda.
Giorgio Linguaglossa
5 novembre 2022 alle 17:18
È cosa nota la determinazione heideggeriana dell’essenza della metafisica come oblio della differenza di essere ed essente, nonché la contrapposizione del pensiero metafisico ad un pensiero più originario che che viene individuato da Heidegger nei detti dei pensatori aurorali presocratici. Si presenta così un contrasto: un’immagine della storia dell’essere che comincia con il pensiero autentico aurorale per poi cadere nell’oblio della differenza con l’avvento di Platone di contro ad un’immagine che pone la stessa storia dell’essere come storia dell’oblio – togliendo, allora, ogni compiuto riferimento autentico all’essenza dell’essere.
Come va, allora, intesa la differenza, se si vuole negare che Heidegger sia incappato in una così evidente contraddizione? Come intendere, poi, la Seinsvergessenheit – l’oblio dell’essenza dell’essere?
Come questo medesimo Wesen? È qui in questione l’inizio della Metafisica – la quale resta pur sempre il pensiero dell’oblio.
Giunti alla fine della Seinsvergessenheit, adesso sappiamo (da Massimo Cacciari, Krisis, del 1976) che all’origine del linguaggio non c’è la parola ma il «grido», il grido di spavento e di terrore dell’homo sapiens perso nella savana che si ritira e si dirada. Giunti alla fine della metafisica e alla fine della storia, dunque, torniamo al «grido», alla «parola piena», alla parola «positiva», «ostensiva», alla parola performativa che esaurisce le sue significazioni nel detto, nell’integralmente detto. Nella situazione attuale della storia ridotta a storialità e della fine della metafisica ridotta a fuori-della-metafisica, la parola così deiettata ridiventa «piena», priva di sfumature semantiche. Ci troviamo nell’epoca della comunicazione universale che deprime ogni sfumatura di senso e preferisce la differenza bianco/nero dove il chiaroscuro viene tendenzialmente cancellato e rimosso e il Grande Altro tende a occupare e sostituire il piccolo altro… ed ecco la parola che rimbalza come una pallina di gomma…
Marie Laure Colasson
5 novembre 2022 alle 19:31
Scrive Linguaglossa :
«Nasce allora il Partito poetico a vocazione maggioritaria. Ecco, il mio lavoro fin dagli anni novanta ad oggi si è diretto a infrangere il tegumento del Partito poetico a vocazione maggioritaria.
Il Logos chiama il Nomos, potremmo dire, la parola ha perso se stessa, vaga in una zona di compromissione nella quale a latitare è il significato, il referente, l’oggetto e che nulla lo giustifica, né il soggetto egolalico né l’oggetto posizionato… la parola liberata apre al discorso libero e liberato… così nel mondo storializzato (privo di storia) la poesia del novecento si allontana alla velocità della luce…»
Così scopriamo che il partito a vocazione maggioritaria, quello poetico che fa della poetologia è rimasto privo di giustificazione, scopriamo che è arbitrario, né più e né meno come il disegno di decreto legge messo giù dal ministro Piantedosi dove ti accorgi che la norma manca di oggetto, davvero! l’oggetto è scomparso, si parla di “raduni” di 50+1 persone… Non si era mai vista prima d’ora una formulazione di tal fatta, è il mondo storializzato dove tutto è possibile perché tutto è arbitrario. Così una norma che commina fino a 6 anni di carcere in realtà è senza oggetto, si parla di “raduno”, e il cittadino diligente d’ora in avanti dovrà prima fare il conteggio di quante persone ci siano in un “raduno”, se sono 49 potrà partecipare ma se sono 50, NO, perché a 51 scatta la sanzione penale fino a 6 anni di carcere. E’ talmente grossolana questa norma con la filosofia che la sottende è – Ecco: le parole finalmente liberate si rivelano arbitrarie. La filosofia che sostiene e sottende quelle parole si rivela essere ancora più grossolana, rozza, inquisitoria, totalitaria. Evidentemente Piantedosi è andato a scuola di normazione da Putin!
6 novembre 2022 alle 15:21
Domanda: Una strenua lotta al significato contraddistingue tutta la poesia della nuova ontologia estetica?
Risposta. Sì, è una lotta incessante perché il «significato» permea il linguaggio comunicazionale impedendo di scorgere ciò che è al di là di esso, il significato è la cadaverizzazione del linguaggio… e la Musa muore anch’essa soffocata dai truismi e dai convenzionalismi.
Domanda: «il non-senso sfugge alle leggi che governano il sistema capitalistico»?
Risposta: Penso di no, penso che il sistema capitalistico è il regno del non-senso complessivo perché è fondato sulla legge del plusvalore, del significante e della accumulazione del capitale che in sé è un non significato in quanto atto di fede. Nient’altro.
Il capitalismo è una religione e, come tutte le religioni, è basato su un atto di credenza, cioè di fede, si ha fede nella crescita del capitale e nella bontà di questa crescita come il credente ha fede in Dio e nella bontà delle sue azioni. Se cessasse la credenza nella bontà della accumulazione del capitale cesserebbe di colpo anche il capitalismo. Entrambe le fedi: in Dio e nel Capitale sono legate insieme in un modo misterioso…
Marie Laure colasson
14 giugno 2021 alle 19:43
Sulle ragioni della Crisi
Jacqueline Goddard, una delle muse di Man Ray, azzarda un’ipotesi originale, incredibilmente semplice:
«Negli anni ’30, Parigi era il centro del mondo e Montparnasse era un club – racconta l’ex modella, una delle poche testimoni di quell’epoca leggendaria. – «Joyce, Duchamp, Picasso, Brèton… ci trovavamo alla Coupole dove Bob, il barman, teneva liberi alcuni tavoli per noi e i nostri amici. Tutto avveniva per un tacito accordo, senza neanche bisogno di darsi appuntamenti. E questo per un fatto molto semplice: allora non c’era il telefono… Una fortuna! Nessun telefono avrebbe potuto competere con Bob. E c’è di più. Al telefono possono parlare soltanto due persone. Noi, invece, eravamo in tanti a confrontarci, a litigare, a vivisezionare le idee». Era questo il segreto? La comunicazione reale anziché quella filtrata dai media? È forse un caso che il celebre detto di Aristotele («Amici miei… non c’è più nessun amico») si affermi proprio nel Villaggio Globale governato da Sua Maestà il computer e la banda larga popolata da folle di solitari disperati? «Eravamo amici e siamo diventati estranei» (La Gaia Scienza). Ancora una volta Nietzsche è stato un lucido profeta.
Il nostro è forse il tempo della inimicizia, della competitività e della conflittualità nel rapporto tra persone, tra artisti e con i lettori. C’era una volta l’amicizia. C’era una volta il sodalizio.
Francesco Paolo Intini
2 novembre 2022 alle 13:04
Caro Antonio Sagredo,
prima di scrivere sull’Ombra ho cercato di imitare Majakovskij, ma anche un po’ Esenin e Lorca, Eliot e Pound e Transtromer e da quando la mia frequentazione su questo giornale è diventata costante, chiunque mi sia capitato a tiro compreso Linguaglossa e tutti gli amici che sai e che fanno a meno di raccontarsi a partire dal proprio io. Perciò è difficile stabilire cosa di realmente mio sia rimasto.
Penso a una specie di deflagrazione dei linguaggi come se tutti questi poeti avessero incontrato sotto i loro piedi una mina colma di tritolo ed al sottoscritto toccasse di ricomporli seguendo i contorni di un puzzle assurdo. Tentativo goffo e destinato a perdersi o ad essere irriso da chi cercasse nell’ opera qualcosa di somigliante alla completezza e alla logica.
Confesso però che c’è un certo piacere nel ricomporli alla luce di qualche stacchetto pubblicitario e al mondo perfetto della cucina. Provo perciò a barcamenarmi in questo Stige e a portare a riva qualche verso pellegrino. Ma come ben sai mica è facile l’entrata nella città di Dite. Angeli delle tenebre stanno lì a guardia, pronti ad arpionarli e rigettarli al largo. Molti sono i peccati da pagare e anche qui ci vuole intelligenza, grazia e molta pazienza per andare avanti. Ciao.
Ilya Yashin
Il testamento di un oppositore russo colpevole di aver detto la parola “guerra”
07 DIC 2022 da Il Foglio
Cari ascoltatori, sarete d’accordo che la frase “’ultima parola dell’imputato” suoni molto cupa.
Come se dopo aver parlato in tribunale, la mia bocca venisse cucita e mi fosse proibito parlare per sempre. E’ proprio questo il punto: sarò isolato dalla società e tenuto in prigione perché vogliono che io stia zitto. Perché il nostro parlamento ha cessato di essere un luogo di discussione e ora tutta la Russia deve concordare silenziosamente con qualsiasi azione delle autorità. Ma prometto: finché sarò vivo, non lo sopporterò. La mia missione è dire la verità. L’ho pronunciata nelle piazze, negli studi televisivi, nelle tribune parlamentari. Non rinuncerò alla verità nemmeno dietro le sbarre. Dopotutto, citando un classico, “la menzogna è la religione degli schiavi, e solo la verità è il dio di un uomo libero”.
All’inizio del mio intervento, vorrei rivolgermi alla corte. Vostro onore, apprezzo il modo in cui è stato gestito questo processo. Lei ha tenuto un processo pubblico, l’ha aperto alla stampa e agli ascoltatori, non ha impedito a me di parlare liberamente e ai miei avvocati di lavorare. E all’apparenza non ha fatto niente di speciale: è così che dovrebbero essere tenuti i processi in qualsiasi paese normale. Ma nel campo bruciato della giustizia russa, questo processo sembra qualcosa di vivo. E mi creda, lo apprezzo. Lo dico con franchezza, Oksana Ivanovna (nome della giudice ndr): lei mi ha trasmesso un’impressione insolita. Ho notato con quale interesse ascolta, come reagisce, come dubita e riflette. Per il potere, lei è soltanto un ingranaggio del sistema, che deve svolgere docilmente la sua funzione. Ma vedo davanti a me una persona viva che la sera si toglierà la toga e andrà a fare la spesa nello stesso negozio dove va mia madre. E non ho dubbi che lei e io siamo afflitti dagli stessi problemi. Sono sicuro che anche lei, come me, è scioccata da questa guerra e prega che l’incubo finisca presto. Sa, Oksana Ivanovna, ho un principio che seguo da molti anni: fai ciò che devi, qualunque cosa accada.
Quando è iniziata la guerra, non ho dubitato per un secondo su cosa avrei dovuto fare: rimanere in Russia, dire la verità ad alta voce e fermare lo spargimento di sangue con tutte le mie forze. Mi fa male fisicamente rendermi conto di quante persone sono morte in questa guerra, quanti destini sono stati storpiati e quante famiglie hanno perso la casa. Questo non può essere tollerato. E giuro che non mi pento: è meglio trascorrere 10 anni dietro le sbarre, da uomo onesto, che bruciare silenziosamente di vergogna per il sangue che versa il tuo governo. Naturalmente, Vostro onore, non mi aspetto un miracolo qui. Lei sa che non sono colpevole e io so quanto questo sistema la mette sotto pressione. E’ ovvio che dovrò ottenere un verdetto di colpevolezza. Ma non le porto rancore e non le auguro niente di male. Tuttavia, cerchi di fare tutto ciò che è in suo potere per prevenire l’ingiustizia. Ricordi che non solo il mio destino personale dipende dalla sua decisione, ma rappresenta una condanna per quella parte della nostra società che vuole vivere pacificamente e civilmente. Quella parte della società, a cui, forse, appartiene anche lei, Oksana Ivanovna.
Usando questa tribuna, vorrei anche rivolgermi al presidente russo Vladimir Putin. All’uomo responsabile di questa strage, che ha firmato la legge sulla “censura militare” e per volontà del quale sono in carcere. Vladimir Vladimirovich, guardando le conseguenze di questa mostruosa guerra, probabilmente ha già capito quale grave errore abbia commesso il 24 febbraio. Il nostro esercito non è stato accolto con fiori. Siamo chiamati giustizieri e occupanti. Le parole “morte” e “distruzione” ora sono fortemente associate al suo nome. Ha portato terribili disgrazie al popolo ucraino, che probabilmente non ci perdonerà mai. Ma lei è in guerra non solo con gli ucraini, ma anche con i suoi compatrioti. Manda centinaia di migliaia di russi nell’inferno della battaglia, molti non torneranno mai più a casa, essendosi trasformati in polvere. Molti rimarranno paralizzati e impazziranno per ciò che hanno visto e vissuto. Per lei, queste sono solo statistiche sulle perdite, numeri in colonna. Per molte famiglie invece è il dolore insopportabile di perdere mariti, padri e figli. Sta privando i russi della loro casa. Centinaia di migliaia di nostri concittadini hanno lasciato la loro patria perché non vogliono uccidere ed essere uccisi. La gente sta scappando da lei, signor presidente. Non se ne accorge? Ha minato le basi della nostra sicurezza economica e trasferendo l’industria sul campo militare sta riportando indietro il nostro paese. Carri armati e pistole sono di nuovo prioritari e le nostre realtà sono di nuovo povertà e mancanza di diritti. Ha forse dimenticato che una tale politica ha già portato al collasso il nostro paese? Lasci pure che le mie parole suonino come una voce che grida nel deserto, ma la esorto, Vladimir Vladimirovich, a fermare immediatamente questa follia. E’ necessario riconoscere la politica nei confronti dell’Ucraina come errata, ritirare le truppe dal suo territorio e passare a una soluzione diplomatica del conflitto. Ricordi che ogni nuovo giorno di guerra significa nuove vittime. Basta.
Infine, voglio rivolgermi alle persone che hanno seguito questo processo, mi hanno sostenuto in tutti questi mesi e attendono con ansia il verdetto: gli amici! Qualunque decisione prenda il tribunale, non importa quanto severa sia la sentenza, questo non dovrebbe spezzarvi. Capisco quanto sia difficile per voi adesso, quanto siete tormentati dalla sensazione di impotenza e disperazione. Ma non dovete arrendervi. Per favore, non cadete nella disperazione e non dimenticate che questo è il nostro paese. Merita che per lui si combatta. Siate coraggiosi, non tirartevi indietro davanti al male e resistete. Difendete la vostra strada, le vostre città. E, soprattutto, difendetevi a vicenda. Siamo molti di più di quanto sembri, e io e voi siamo una forza enorme.
Beh, non preoccupatevi per me. Prometto che sopporterò tutte le prove, non mi lamenterò e percorrerò questo percorso con dignità. E voi, per favore, promettetemi che rimarrete ottimisti e non dimenticherete mai di sorridere. Perché vinceranno loro proprio nel momento in cui noi perderemo la capacità di goderci la vita.
Credetemi, la Russia sarà libera e felice.
Ilya Yashin
ChatPoetry- Il Corsivo
– Traccia audio1, Il Corsivo.
– Aaamiobuonpuomeriiiggiuo
noisiamoall’aperitivoincéntriovienieh
– Sentito. Chi parla?
– Non è importante sapere chi parla.
– L’albero a cui tendevi la pargoletta mano
– Ha perso le foglie
– È gennaio.
Credetemi, la Russia sarà libera e felice.
Ilya Yash
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Anche io sono preso ogni tanto dallo sconforto. Ma Ilya Yash è speranzoso come me… quelle sue parole le ho scritte (su questo blog) dopo una settimana dalla invasione russa, perché la conoscenza della storia russa e di come si comportano i soldati russi in battaglia (tranne che per le vere guerre patriottiche come nella seconda guerra mondiale dove furono davvero encomiabili) è notorio. Ma non dipende dai soldati ma dalla storia miseranda che si portano dietro cioè dalle condizioni di vita nelle piccole cittadine sperdute nell’immenso loro territorio. Sono stati mandati al macello come …carne da macello… ignari inconsapevoli… non motivati da alcun principio di giustizia per una difesa giustificabile… non è che non sanno combattere ma non hanno alcun motivo di combattere… moltissimi dotati di cellulari e altri apparecchi denunciano alle loro famiglie e amici la realtà di questa inutile strage… in Cecenia fecero sfracelli i soldati professionisti, ma moltissimi morirono le condizioni furono denunciate dalla Anna Politkovskaja: unica a tenere testa a Putin che la fece assassinare (questo evento è notorio) nel giorno del compleanno della Politkovskaja e del suo stesso: di Putin, facendosi un regalo: quale cinismo criminale! che è solo prerogativa dei servizi segreti di tutti nel mondo (ma in Russia ha un sapore singolare)… ma lo sconforto mi riprende: sono migliaia questi agenti segreti sparsi per il mondo sotto tutte le possibili mentite spoglie!
Qui da noi sono centinaia e centinaia e non esiste nessun controllo su di loro, ma questa situazione vale per tutta l’Europa dove vi è propriamente una invasione “speciale” di quei servizi segreti e possono colpirci quando e quanto vogliono… con ben celate complicità.
Ha distrutto, questa casta di criminali incalliti, qualsiasi rapporto culturale positivo, ma distruzione si ritorcerà contro di loro, come già nel loro passato è accaduto: non imparono le lezioni che la storia ha dato loro e non sono capaci di insegnare alcuna storia degna d’essere acclamata benignamente. Ancora nel suo (della casta) dna vi è sapore di invasione mongolica e barbarica: gli indizi sono innumerevoli, p.e. far ricorso a truppe mercenarie, liberare i criminali dalle loro carceri… insomma qualsiasi feccia pronta a sterminare e a procacciarsi il bottino di guerra.
E si continua… non lasceranno a breve termine la presa, azzannare quanto più territorio possibile e farlo proprio per sempre e poi centinaia – se non migliaia – di bambini e giovani portati in territorio russo per educarli e addestrarli alle loro maniere e farne soldati-mercenari inconsapevoli per uccidere la loro stessa gente: questo per risparmiare le vite ai futuri soldati russi.
Ma basta così..
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Ma no, questo lo facevano gli Unni. E forse nemmeno loro.
Come non concodare….
ma il poeta ha come un’arma soltanto la parola con cui predice, declama, detta peeché si tramandi intatta per ogni epoca futura,
e agisca di riflesso sul passato..
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… e allora io vidi le pietre giacere con gli stermini
e generare stelle e croci sulla Via dei Macelli,
il sangue in esili rivoli di fumo giocare agli epitaffi,
smaniose le sfere celesti… Dio e gli Angeli… disarmati!
I beffardi sorrisi delle marionette… consacrati…
Questa è la risposta! – urlò il bambino – Dio è menzogna?!
Maledire le ceneri nel mese dei Trionfi òfidi – è cosa nostra!
Erano untuosi i necrologi… lamenti dei morituri
imploravano l’autoflagello contro i carnefici
a piena voce!
per un palco… una colpa – disossati!
per questo da me giungeva intatto il tuo
SILENZIO!
… e allora io m’arresi al Censimento dei Morti
e mi ritornò la vita per Via della Corrotta Anima.
Io sono la Carne che tu vivi,
il Sangue tutto nudo di – patiboli!
E sono prossimi gli stermini – senza nome!
Memoria della carne: ossa!
Perché piangi?
il Dèmone mi accarezza
l’Anima!
l’arteria mi genera estrema riva
estrema vela…
… e tutto ciò che mi fanno il cuore e l’ansia
non è più – Mistero!
…il NUMERO… MI… CAN-CE-L-LA…
(1999)
E interdetti, fuori della Soglia, recitiamo una novella
storia di stermini umani/non umani, e non importa
se da secoli, ancora noi!, con occhi bovini gli Dei
annusiamo, come idoli da incensare e celebrare.
Sono trionfi il gelo dei sigilli, le suppliche dei comignoli,
gli anticipi di ossa prenatali, gli inchini della carne, vermi e polvere –
gioia dei laboratori le offerte alla Quinta Nera che debilita la Luce
– non mia umile Sembianza – di cattedrali: incredule mondiali crudeltà!
(2004)
—
Voi, una volta miseri per gli stermini, oggi li celebrate col vostro fuoco sterile.
Non ci restano che monete di delirio, chimere, sui patiboli!
(2006 )
Chi uomo, o quale deuccio, se gli stermini risuonano, di nuovo vorrebbe la pace?
Chi genera la luce in Via della Sterile Notte? Perché la Via dei Giusti s’é fatta empia?
Io conobbi la Via della Spada che travaglia la colpa… sono vuoti gli accesi candelabri,
per voi, che invano aspettate chi mai non verrà, e folli se credete il contrario
(2006)
Bèccati questi simulacri di ghiacciai da un recinto orfico e spettrale!
Traccia i passi d’Alessandro che non ha sogni, né specchi su cui sputare,
e non su un greco nulla, ma ride, farfuglia d’estinzioni e stragi, starnazza
di stermini fra stanze e canzoni, larve di torce umane e legioni di testuggini!
(2007)
—
Una bazzecola gli stermini del secolo trascorso,
vedrete, non milioni, ma miliardi di ossa nelle discariche e nelle fogne.
(2011)
Anche se in ritardo , colgo l’invito di Giorgio del 4.12.’22
Chi scrive non vive nell’iperuranio, è dentro le pie(a)ghe del mondo. Avverte forte il frastuono, l’insignificanza degli accadimenti e trova nel linguaggio agito una incolmabile insensatezza e nessun riscontro.
Nell’impossibilità di accettare tale sviamento si capovolge il paradigma usuale. E’ l’oggetto che esce dallo specchio e si addentra nel groviglio delle insensatezze che generano guerre, pandemie, immigrazioni, povertà, disastri climatici che per nessun motivo possono indurre all’indifferenza e all’ignavia.
Avverso tutto questo l’impellenza e l’importanza dell’urlo delle parole ( solo apparentemente inconciliabili tra loro) reclama la sua “anarchia” che non si riduce solo alla denuncia e alla protesta, ma è libertà e proposta altra, diversa. Esattamente come altra , diversa è la Poetry Kitchen .