40 risposte a “Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica? a cura di Gino Rago, Poesie di Mimmo Pugliese, Marie Laure Colasson, Francesco Paolo Intini, Tavola di Lucio Mayoor Tosi, ‘Non-stop’ 2024, Il poeta post-metafisico deve scrivere per l’uomo post-metafisico

  1. La posizione di poetica espressa elegantemente da Francesco Paolo Intini, secondo il quale la poesia proviene dal nulla che noi siamo e si riversa nel nulla quale noi siamo, trova la sua esemplificazione nelle due poesie sopra postate di Mimmo Pugliese e di Marie Laure Colasson che non vogliono dire nulla perché sono esse stesse cucite con la stessa stoffa (Stoff) del nulla.

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  2. Tiziana Antonilli

    Poesia kitchen

    Trafiggere un tuorlo d’uovo con un trapano è l’ultima mission della chef stellata.

    Poi a fuoco lento fa digerire ravioli chiodati
    e sobilla un ingorgo di amuleti
    per porre fine all’inverno demografico.

    La punta d’acciaio finisce in burn out e i titoli di coda vanno fuori di testa

    neanche l’Indice dei libri del mese la vuole.

    La caccia è stata prorogata q.b.
    all’o.d.g.
    dell’editor del cerchio magico.

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  3. Tiziana Antonilli

    Scrivere kitchen è certamente, come dice Giorgio Linguaglossa, rivoltare a mani nude la discarica dei rifiuti e sarà anche vero che siamo nulla. Penso, però, che siamo diventati nulla perché è questo l’intento dell’ingranaggio.
    Un ingranaggio, tuttavia, si può far saltare.
    Il potenziale dell’essere umano è illimitato, il solo fatto di crederci può scardinare il potere.

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  4. Il polso delle capinere offusca il sangue dei pianeti
    il giardino di fianco ha rughe sulla fronte

    Il martello partorisce la mezzanotte
    il diastema solletica il mandorlo

    Il tavolo della Sibilla Cumana è imbandito di semicrome
    la lama del coltello è una cornice di fumo

    Togli la primavera dal mazzo di carte
    i fiumi hanno cambiato chauffeur

    Non ci sono più streghe
    tra poco si svegliano i pesci

    Io la trovo fantastica. Così, senza note introduttive (la prima parte). Ecco, l’ho scritto.

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  5. antonio sagredo

    …bisognerebbe allora farsi un altro vestito con una stoffa diversa, una stoffa postmetafisica… che significa andare oltre la poesia KITCHEN, indossare il frak postmetafisico, cantare una letania o un requiem.
    Rivestirsi da Arlecchino, da Pierrot e da Colombina, come personaggi che vengono dal Nulla, vanno verso il Nulla senza essere loro stessi un Nulla.
    Il Poeta che è un fingitore finge una metafisica, poi una postmetafisica, finge tutta la Poesia compresa quella che di metafisica non ha nulla. E poi scrive questi versi…

    Metafisica?

    Dal futuro che fu un alibi interdetto e incolore
    io raccolsi dopo un festino la cenere stremata
    per rivoltarmi insonne e sfinito nel tuo cratere
    o nel principio accattone della sua informe creta.

    La grazia insonne e libertina dei tuoi lamenti
    e il latte della memoria dal sangue in fuga
    per stanze che pretendono un’ombra secolare
    il lutto eloquente sarà come un festa irrevocabile.

    Il rugoso capezzale è inquieto come la sua pelle,
    una sindone stampata si ribella alle tue movenze.
    L’erezione e la sua dimora sono un distico perfetto:
    il resto che io vedo è soltanto l’ombra di una cenere!

    antonio sagredo
    Vermicino, 26 gennaio 2005

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  6. caro Lucio,

    anch’io trovo questa tua composizione fantastish!, continua così, è tutto uno zampillio di immagini in verticale… un po’ ti somiglia, direi… ha un’aria svagata, un po’ contemplativa, un po’ blasé, sa di girandola che gira…

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    • Non è mia, è di Mimmo Pugliese… Ho evidenziato la parte di poesia che trovo completa e perfetta. Non mi somiglia, io scrivo titoli riassuntivi;)

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      • Sì, mi ero distratto, la poesia citata da Lucio Tosi è di Mimmo Pugliese. Mi colpisce la leggerezza a cui è arrivato Mimmo Pugliese, e anche la leggerezza a cui è arrivata Marie Laure Colasson, frutto di un lavoro lunghissimo che c’è alle spalle, lavoro sulle fantasticherie ma anche sulla ecosfera delle info del nostro mondo e della nostra Italia. Come ha affermato Licia Ronzulli (ex infermiera di Forza Italia): «le info sono oggi il nuovo oro»; infatti, basta seguire le info, le fake news di cui abbonda in modo perverso l’Italia contemporanea e approdiamo già alla poesia kitchen, è sufficiente girare l’interruttore da spento ad acceso, e si illumina un il palcoscenico di un avanspettacolo, una girandola di luci psichedeliche, di girandole, di impulsi narrativi, di narrazioni fake. Il Paese Italia è diventato preda di logge massoniche e delle scorribande della propaganda di Putin. Mentre la poesia di Francesco Intini e la mia ultima hanno accenti «pesanti» dinanzi a questo paesaggio di fake e di ossimori che galleggiano su un mare di datità, altri come la Colasson, Ciccarone, Pugliese preferiscono la leggerezza delle info, ma ribaltate, e tutti insieme prediligiamo le girandole, i girarrosti le pale eoliche, il fun…

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  7. Raffaele Ciccarone

    Liquidato l’orizzonte

    Liquidato l’orizzonte l’ebook
    emette segnali rossi, il catamarano
    in ricognizione raccoglie i ricci
    lavati con la spugnetta abrasiva

    Nella claudicante insonnia Johan
    legge tutti libri di Cimabue e dice
    a Mark: se vuoi pulire i rumori devi
    usare lo straccetto dentato!

    Ora che la connessione luminosa
    ha ingaggiato il dromedario l’orsetto
    può fare tutti i passi a ritroso e visitare
    tutte le dune sul lato del triangolo

    Col vincolo sull’eco il rosso non stinge più
    visto che la clavicola si butta in trincea
    quando il drone varca il confine
    e l’acqua salata era ormai evaporata

    by rc

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    • gino rago

      Ringrazio Giorgio Linguaglossa per il magnifico allestimento che adotta nel presentare il mio lavoro, incentrato su poche riflessioni, essenziali e ineludibili su una delle questioni epocali che riguardano la poiesis che è possibile scrivere in questa epoca che interroga problematicamente i tre grandi piani del linguaggio scritto: la lingua, lo stile, la scrittura.
      Estraggo da un altro lavoro, che a breve congederò per i prossimi numeri della Rivista trimestrale “Il Mangiaparole”, su
      esperienze di poesia e voci poetiche del dopo il modernismo per un Novecento, europeo e occidentale, “altro”
      (Pavel Řezníček , Tadeusz Różewicz, Lars Gustafsson, Charles Simic, Mark Strand, Zbigniev Herbert, Tomas Tranströmer,
      Eeva- Liisa Manner,MANNER, Ewa Lipska, Margaret Atwood), un testo di Margaret Atwood come esempio di re-telling, con la tecnica dello spin off, della mitologia classica.

      Margaret Atwood nasce a Ottawa (Ontario, Canada) il 18 novembre 1939, due mesi dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale. La sua è una delle voci più importanti della narrativa e della poesia canadesi e occidentali. Laureata a Harvard, ha esordito a diciannove anni. Ha pubblicato romanzi, racconti, raccolte di poesia, libri per bambini e saggi. Più volte candidata al Premio Nobel per la Letteratura, ha vinto il Booker Prize nel 2000 per L’assassino cieco. Fra i suoi titoli più importanti ricordiamo: L’altra Grace (2008), Il racconto dell’Ancella (2017), Il canto di Penelope (2018), I testamenti (vincitore del Booker Prize 2019), La donna da mangiare (2020), Lesioni personali (2021), le raccolte di poesie Brevi scene di lupi (2020) e Moltissimo (2021), e la raccolta di saggi Questioni scottanti (2022), tutti usciti per Ponte alle Grazie. Vive a Toronto, in Canada.

      Margaret Atwood
      Elena di Troia balla sul bancone

      Il mio è un buon rapporto qualità-prezzo.
      Come i predicatori, vendo visioni,
      come la pubblicità del profumo, desiderio
      o il suo facsimile. Come nelle barzellette
      o in guerra, è tutta questione di tempismo.
      Rivendo agli uomini i loro peggiori sospetti:
      che tutto abbia un prezzo,
      un pezzo per volta. Mi guardano e vedono
      un massacro con la motosega appena prima che avvenga,
      quando coscia, culo, macchia, fessura, tetta, e capezzolo
      sono ancora uniti insieme.

      Quanto odio gli batte dentro,
      i miei adoratori gonfi di birra! Odio, o un ebbro
      disperato amore. Vedendo la fila di teste
      e occhi rovesciati, imploranti
      ma pronti ad azzannarmi le caviglie,
      capisco i diluvi e i terremoti, e l’impulso di pestare
      le formiche. Mi muovo a ritmo,
      e danzo per loro, perché
      non lo sanno fare. La musica ha un odore volpino,
      crepita come metallo riscaldato
      e brucia le narici
      o afosa come l’agosto, caliginoso e languido
      come una città il giorno dopo il saccheggio,
      quando lo stupro è fatto,
      e la carneficina,
      e i sopravvissuti vanno in giro
      a cercare cibo
      fra i rifiuti, e c’è solo un cupo sfinimento.
      A proposito, è il sorriso
      che mi estenua di più.
      Il sorriso, e il far finta
      di non sentirli.

      Non li sento, infatti, perché dopo tutto
      sono straniera per loro.
      La loro parlata è ispida e gutturale,
      ovvia come una fetta di spalla cotta,
      ma io vengo dalla provincia degli dèi
      dove i significati sono lirici e obliqui.
      Io non mi svelo a tutti,
      se ti avvicini all’orecchio te lo sussurro:
      Mia madre fu stuprata da un sacro cigno.
      Ci credi? Mi puoi portare fuori a cena.
      È quello che diciamo a tutti i mariti.
      Davvero, ci son tanti uccelli pericolosi in giro.
      Certo che qua dentro solo tu
      mi puoi capire.

      Gli altri vorrebbero guardare
      senza sentire nulla. Ridurmi alle componenti
      come in una fabbrica di orologi o un mattatoio.
      Spremere fuori il mistero.
      Murarmi viva
      nel mio stesso corpo.
      Vorrebbero leggermi dentro,
      ma non c’è niente di più opaco
      della trasparenza totale.
      Guarda – i miei piedi nemmeno toccano il marmo!
      Come fiato o aerostato, mi sollevo,
      lièvito a quindici centimetri da terra
      nella mia luce di fiammeggiante uovo di cigno.
      Pensi che non sia una dea?
      Mettimi alla prova.
      È una canzone torcia* la mia.
      Se mi tocchi bruci.

      *”Torch song” è la definizione di certe canzoni melodiche sentimentali cantate in particolare da donne nei pianobar.

      da Mattino nella casa bruciata, Ed. Le Lettere, 2007, pp.224
      Trad. Andrea Sirotti e Giorgia Sensi

      Gino Rago

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  8. da quando Nietzsche ha dichiarato che «Dio è morto», il poeta moderno
    è obbligato a munirsi di una metafisica,
    e soltanto dopo può iniziare a scrivere poesia.
    Privi di una metafisica si finisce per creare una poesia acefala,
    comunicazionale, una poesia-chiacchiera.
    Ma è anche vero il contrario: che soltanto restando privi di una metafisica
    oggi si può fare una poesia veramente moderna.

    (Giorgio Linguaglossa)

    il linguaggio di Celan sorge quando il linguaggio di Heidegger muore,
    volendo dire che il linguaggio della poesia – della ‘nuova’ poesia –
    può sorgere soltanto con il morire del linguaggio tradizionale
    che la filosofia ha fatto suo, o – forse – che si è impadronito della filosofia.

    (Vincenzo Vitiello)

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  9. antonio sagredo

    AUGURI PER LA FESTA DELLA DONNA
    ALLE POETESSE E ARTISTE DEL BLOG.

    A.S.

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  10. Oggi l’immaginario anedonico è mantenuto in vita artificialmente tramite un respiratore e un defibrillatore. Quando vediamo un film o leggiamo un romanzo o una poesia riconosciamo subito l’immaginario che li popola. È l’immaginario a fornire l’alfabeto, il lessico, e anche la sintassi delle cosiddette «istanze di verità»; è l’Immaginario che piega alle sue ragioni le ragioni del logos. Non possiamo né dobbiamo accettare, sic et simpliciter, la certificazione di qualità dell’Immaginario che ci consegna la normologia dominante. La poiesis fa parte della visione del mondo di un’epoca storica, quindi anch’essa è un prodotto dell’ideologia normologica dei tre ordini: il Reale, l’Immaginario e il Simbolico. Che cosa significa fare «istanza di verità»?, ha ancora senso parlare di «istanza di verità»?La poetry kitchen protesta contro l’immaginario anedonico e il logos che lo racconta, protesta contro la tradizione feticizzata a non tradizione. Sono «istanza di verità» anche tutto ciò che viene espulso dalla «verità» della tradizione e che dimora nella «non verità» della non tradizione, tutto ciò che non è ritenuto degno di entrare nella «verità». L’eccedenza, i rifiuti, gli scarti del Simbolico della «non-verità» sono anch’essi parte integrante del Simbolico della «verità ipoveritativa» o «iperveritativa» che contrassegna la poiesis decorativa dei giorni nostri. È questa la lezione della poesia buffet o poetry kitchen che si limita a capovolgere l’impermeabile, l’immaginario anedonico diventa così un immaginario popolato di Avatar, di sosia, di eventi, di duplicati, di surrogati, di palinsesti…

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    • francescodegirolamo

      Semantica scurrile

      Se sai scrivere senza sostituire “s”, sei sicuramente scrittore serio: senza soverchi sforzi sono sicuro si saprà sostenere, (si spera, su!), sei-sette strofe: sonetti, strambotti, scherzetti senza senso, senza sbagliare. Solitamente si suggeriscono soggetti scabrosi, sessualmente sordidi, sorridendo spudorati se scandalizzano stupide signorine, stanchi satiri sbavanti, se sotto segretezza. Si sarà sereni se saremo solo single, senza seguito, spregiudicati, spericolati sperimentori, solamente sui sessanta, sommessamente sadici, senza sangue, salvo salse sciolte sopra sessi semiscoperti, squallidi sicuramente, se sanitariamente sistemati sotto subdole, scaltre schermature siliconate.

      Francesco De Girolamo

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    • Caro Germanico

      Ieri sono passato per il salotto del mio barbiere.
      Ricordi quando partii la prima volta per Plutone?
      Furoreggiava il caffè Voltaire e la scena tutt’intorno era presidiata da patrioti che si azzuffavano per un panino imbottito di mortadella, gelati a limone e vincere una carrozzella a scoppio.

      Dopo tutti i calcoli necessari sembrò naturale uccidersi per un petardo sotto i piedi
      E che gran botto il gran botto da San Pietroburgo alla Cornovaglia!

      E se una banca faceva Boom
      Una stazione rispondeva Baam!

      Queste notizie top secret sgorgavano dai rubinetti del mio barbiere
      ORA!
      Ma si trattava di cani che mangiavano l’antilope dal culo.

      E dunque il tempo non esiste e non può chiamarsi così qualcosa che poltrisce
      E non s’intruppa in ciò che fa ma se ne sta, come un damerino, sul davanzale della Storia che, è da riconoscere, deve avere una gran faccia tosta a presentare espressionismi sul calendario 2024.

      O forse abbiamo creduto che bastassero due o tre coordinate per sfidare l’universo
      E farsi baciare i piedi dalle stelle, trattarle come un piatto di orecchiette e rape solo perché
      Avevamo il numero della donna cannone , si poteva derivare una cremagliera e integrare il sapore alla farina.

      I rasoi dal canto loro hanno un bel cantare vittoria quando demoliscono una barba,
      pelo dopo pelo e contropelo a furor di carrarmato che finisce in vacca invece di rasare.

      Non fummo buoni profeti. E cosa dovevamo contrattare?
      Un tiro di dadi o almeno imporre un dispari al pari e viceversa.

      Avemmo il fumo dalla nostra parte e zeri tondi per sabotare la lotteria, ma bastò una stilografica per barattare follia in cambio di orrore.

      Il nostro Ulisse dimenticò il cavallo a dondolo sotto il letto di Elena e più non dondolò creme caramel.

      Il sapone che ora scuote i formicai restituisce a Cassandra i peli sotto le ascelle, i baffi di Pedrito El Drito, la criniera di giumenta, per servire il caffè della Peppina al tavolo dei G7.

      Ecco dunque il cavallo che entra nel forno, dove trova la biada che il dondolo ha lasciato.
      La mangia e una molla le muove tra i denti una lingua che agita il nitrito a punta di fiamma:- PRONTO!

      G.G. Fabius

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      • milaure colasson

        Quando Francesco Intini parla con la voce dell’Avatar Gneo Gaius Fabius risulta esplosivo, esplosivo in quanto può disporre di tutti i cannoni lessicali e semantici che sono prori dell’Avatar, del Robot parlante il quale parla, può parlare perché e nella misura in cui è un non-umano, e può dire quello che gli pare in piena libertà. Noi ad un Robot parlante non chiediamo un logos razionale, ci aspettiamo un linguaggio da facinoroso e bellicoso, completamente folle. Tuttavia c’è del fascino indiscutibile in questo linguaggio sconnesso e riconnesso.

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      • caro Gneo Gaius Fabius,

        ➡Il Signor K. ha preso le sembianze del critico Giorgio Linguaglossa

        ha ingoiato due compresse di Mibumal,
        si è lavato i denti con il dentifricio AZ15 extra white,
        si è rasato la barba con il rasoio Gillette tripla lama,
        si è guardato soddisfatto allo specchio
        e ha preso possesso dell’appartamento sito in via Pietro Giordani 18, l’abitazione del critico di cui dianzi

        «Cari amici, c’era una volta il rosso del nero.
        L’EsserCi è un isotopo particolarmente instabile, caosferico e cacomorfico, se così si può dire…
        E allora, non resta che inaugurare l’era glaciale.
        E poi c’è sempre il tropo del poetico, il topino di Dora Markus, la cinciallegra di Tiresia…»

        K. apre a caso un volume della biblioteca del critico
        «Si mangia con il coltello e la forchetta?
        Ammesso e non concesso
        che un fotone prenda contemporaneamente il percorso di destra
        e di sinistra
        che Ella, caro Linguaglossa, chiama, hoibò, “la frattura metafisica della presenza!”
        Prendiamo il gatto di Schrödinger che è in una sovrapposizione quantistica di gatto-sveglio e gatto-addormentato. E resta tale fino a quando non osserviamo il gatto.
        Eh?, che ne dice il sofista Gneo Gaius Fabius?»
        K. proiettò in aria un sorriso quirinalizio

        ➡Proprio in quel mentre una tigre con la gamba ingessata e la tgirl Naomi Colt, zeppe n. 22, fanno ingresso nel bar “Fulmini e saette” sito in via Pietro Giordani
        stanno prendendo un caffè con Madame Pompadour e Miss Aldington l’amica di Marcel Duchamp e di Man Ray
        proprio sotto l’Ufficio Informazioni Riservate
        di quel cialtrone di Linguaglossa…
        Ciarlano dell’autoannientantesi nulla che è un nulla di che, un toysex, un bustino sexy, un frustino di cuoio
        E dell’essere che altro non è che il nulla travestito da tgirl.

        ➡«Filip Filipovič Preobraženskij in “Cuore di cane” (romanzo di Michail Bulgakov)
        dice: “Ja ne ljublju proletariat”
        (“A me non piace il proletariato”)
        Ebbene, caro Gaius Fabius, neanche a me piace il proletariato né la borghesia
        E neanche la piccola borghesia mediatica
        Tantomeno gli intellettuali.
        Non sono elementi da prendere sul serio, come il borio, il polibio e il bromuro di sodio…
        Le sue, diciamo, composizioni kitchen, caro Gneo Gaius Fabius, sono belvederi, intrattenimenti di manigoldi, pachtwork derisori, collage di aforismi, banalità di banausici, frasi estorte a portaborse e a rubacuori da strapazzo, frasari maldestri, cialtronerie, assiomi furfanteschi…
        Pseudo verità…
        Ciarlatanerie, refrain, ciarpame, ciotole per cani, montaggio di pezzi lego smontati e rimontati, citazioni accattivanti, furfanterie, piaggerie, accattonerie, bizarrerie, deposito di luoghi comuni, bomboniere di pseudo verità, entretien di brani incollati!
        Che cosa sono?
        Ditemi voi,
        monologhi sub specie di dialoghi?, dialoghi sub specie di monologhi?,
        collezione di aforismi?
        collezione di fantasmi?
        collezione di spasmi?»

        (Germanico)

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  11. l’afasia è considerata dagli esperti una malattia, ma dal punto di vista letterario è una reazione più che naturale; per quel che si legge ma anche per il troppo rumore che la parola scritta produce. Così anche l’immaginazione – tanto spesso mi trovo d’accordo con alcune intuizioni di Giorgio, anche se non condivido gli esiti recenti della ricerca: quanta immaginazione nei vari Gaius e Germanico! – Quindi si predica molto ma il “dire” cozza come onda contro il significato che si vuol negato. Mentre invece il “dire” in poesia è cosa rara, è un avvenimento. È proprio perché manca il dire che tante poesie s’infiocchettano di accenti e parole che si pensano misteriose. Ma poi, alla fine (della metafisica) che ce ne importa? Dunque, l’afasia. Se la riconosci, e impari a conviverci, e non fai finta, ogni volta che scrivi, di essere un genio, ecco che può farsi viatico per nuove scoperte; come già a suo tempo l’ermetismo, è vero, ma queste esigenze tornano ciclicamente. Ah, il silenzio… tonificante, corroborante; creativo, di super intelligenza femminile…

    Fa di più il rumore di un coperchietto che si sblocca.

    Foche e marine.

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    • francescodegirolamo

      “Dopo il miele, l’assenzio, oh mio Lucrezio.”

      Fuori dominio

      Nel mio silenzio attendo la risposta
      che nessuna domanda ha mai invocato.
      Io la udii quando niente distoglieva
      il mio senso più tardo ed annebbiato,
      quello che alla parola è assoggettato,
      dal dominio del segno dell’idea.
      È l’unica incertezza che mi resta:
      è lei che prende me, per interposta
      speranza che si schiuda la mia sola
      risorsa di capire, già prima di sentire,
      fino in fondo, l’offesa che consola.
      O forse una carezza per ferire.

      Francesco De Girolamo

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      • francescodegirolamo

        Scandaloso sacramento

        Sono stato segnato? Sono stato scelto? Sì, sta scritto. Soffrirai sempre, soffrirai solo. Santissimo Signore, salvami! Salvatore, sollevami. Se sei sicuro, spogliami, senza sospettare segreti. Sono soltanto stanco. Sono sereno. Sarò schiavo silenzioso, sì, senza sospiri, senza sudore, saprò soffrire sotto soli sconosciuti. Splendido sacrificio. Sorrido sognando. Supremo, spudorato sentimento.

        Francesco De Girolamo

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        • francescodegirolamo

          Starkes Verlangen

          Ich verstehe nicht, was mit mir passiert. Ich habe gleichzeitig Schmerz und Freude in mir. Ich sehe etwas, weit weg, jenseits. Du näherst dich? Ich berühre das Immaterielle. Bald wird etwas passieren. Die Leere überkommt mich.
          Nichts gehört mir.
          Ich bin endlich frei.

          Francesco De Girolamo

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  12. traduzione:

    Forte domanda

    Non capisco cosa mi sta succedendo. Ho dentro di me dolore e gioia allo stesso tempo. Vedo qualcosa, lontano, oltre. Ti stai avvicinando? Tocco l’intangibile. Presto succederà qualcosa. Il vuoto mi vince.
    Niente mi appartiene.
    Sono finalmente libero.

    carissimo Francesco,

    hai scritto che se «il vuoto mi vince» (Die Leere überkommt mich) vuol dire che sei sulla strada giusta, ci troviamo tutti sulla strada del vuoto, siamo instradati verso il vuoto, ed è un’ottima strada, nel vuoto ci sono più cose che tra il cielo e la terra, perché l’io è pieno di vuoto, il vuoto non è una bandiera bianca ma una mongolfiera piena di cose, ricchissima di cose, il vuoto è il preambolo della fine della metafisica, dobbiamo semplicemente accettare che senza metafisica si vive meglio, o almeno, senza dolore. Auden diceva che il poeta moderno deve PRIMA fabbricarsi una propria metafisica, soltanto DOPO può iniziare a fare poesia, Oggi noi siamo liberi di «fabbricarci una metafisica» perché essa si è dissolta ed è stata sostituita dalla datità, dai fatti, dalla nudità dei fatti, solo che guai a prendere quei fatti per veri-fatti, si tratta soltanto di eventi, come dice Gino Rago «Il poeta post-metafisico deve scrivere per l’uomo post-metafisico», soltanto accettando di fare una poiesis di mere eventualità, di meri eventi che appaiono e scompaiono, possiamo fare quel salto della vecchia poiesis alla nuova.

    Penso che l’Evento (Ereignis, Heidegger) non sia assimilabile ad un regesto di norme o ad un’assiologia, non ha a che fare con alcun valore e con nessuna etica. È prima dell’etica, anzi è ciò che fonda il principio dell’etica, l’ontologia. Inoltre, non approda ad alcun risultato, e non ha alcun effetto come invece si immagina il senso comune, se non come potere nullificante. La nientificazione [la Nichtung di Heidegger] opera all’interno, nel fondamento dell’essere, e agisce indipendentemente dalle possibilità dell’EsserCi di intercettare la sua presenza. Si tratta di una forza soverchiante e, in quanto tale, è invisibile, perché ci contiene al suo interno.
    L’Evento è l’esito di un incontro con un segno.

    I testi sono esemplificativi di un modo di essere della nuova fenomenologia estetica come pop-poesia, poesia buffet o poetry kitchen. Si badi: non riattualizzazione del pop ma sua ritualizzazione, messa in scena di un rituale, di un rito senza mito, e senza, ovviamente, alcun dio. Con il che finisce per essere non una modalità fra le tante del fare poesia ma l’unica pratica che nel mondo amministrato non ricerca un senso là dove senso non v’è e che si colloca in una dimensione post-metafisica, vale a dire, nel fuori-significato, nel fuori-senso.

    In tale ordine di discorso, la top-pop-poesia si riconnette anche a quello che è stato da sempre lo spirito più profondo della pratica poetica: la libertà assoluta e sbrigliata soprattutto dal referente, da qualsiasi referente, parente stretto della ratio complessiva del mondo amministrato.
    La poetry kitchen vuole essere la rivitalizzazione dello spirito decostruttivo che, nella poesia italiana del novecento, si è annebbiato. La poesia si è costituita in questi ultimi decenni come una attività istituzionale e decorativa, si è posta come costruzione di un edificio veritativo, proprio, nel mentre che la verità se la dava a gambe e faceva pernacchie, per via del fatto che la poesia del «proprio» che vuole mettere in evidenza le condizioni di una esistenza ridotta al «piano privatistico» è finita inesorabilmente nel kitsch.

    La poetry kitchen non redige alcun verbale del foro interiore, alcun senso del mondo poiché non v’è alcun orientamento in esso. Non è compito della poesia fornire orientamenti ma semmai svelare il non orientamento complessivo del mondo.
    Non è compito della poetry kitchen orientare, commerciare, negoziare o rappresentare alcunché, né entrare in un negozio di chincaglierie dell’eternità e della interiorità, non intende entrare in relazione con alcunché. La poetry kitchen non si pone neanche come una risorsa stilistica o come un contenuto veritativo purchessia. Si pone semmai come un «fuori-questione», un fuori-questione poiché la poiesis e il logos sono stati essi stessi defenestrati. La poetry kitchen può essere considerata una pratica, né più né meno, un facere. Così è se vi piace.

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    • francescodegirolamo

      Mi piace molto, carissimo Giorgio, anzi, ne sono entusiasta!
      Questa è una mia poesia scritta per il postfemminismo (“chik lit”). Nello slang statunitense, chick è un termine informale per “ragazza” derivato da chicken (“pollastrella”); lit è l’abbreviazione di literature (“letteratura”). L’espressione è entrata nell’uso comune intorno al 2000.

      Visita

      Tu sei la rassegnata che la grazia
      ha visitato un tempo, come a dirti: “Ecco
      che viene il giorno in cui non confidavi.”

      Tu sei la serbaluce senza chiave
      che mai a nessuno s’apre, perché il fuori
      è il suo pegno ventoso, casto e saldo.

      Tu sei la fresca danza che rintocca
      dove il silenzio ha preso il suo dominio;
      e tu lo sai vestire di un sorriso
      di regale madrepora e carminio.

      Tu sei la timorosa medichessa
      che intona dirlandane zefirando,
      la mariposa trepida del cardo,
      da sempre uguale a sé, ma mai la stessa.

      Francesco De Girolamo
      (da “La radice e l’ala”, Edizioni del Leone, 2000)

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  13. caro Francesco,

    …questa tua “Visita” è scritta con le parole della risacca linguistica, con un eloquio direi antimoderno, casto e forbito «dove il silenzio ha preso il suo dominio», «che mai a nessuno s’apre», l’eloquio della gentilezza, del dolce canto novo con un lessico antico e colto (madrepora, medichessa, grazia, la timorosa etc.), come se fosse stato ancora possibile in tempi di invasioni barbariche annunciate, scrivere in quel modo che sembra non tenere in conto alcuno che in mezzo ci sono stati gli sperimentalismi, i falsi orfismi, gli adamismi, i primitivismi contadineschi che sanno di bella Etruria e amate sponde, vale a dire il contraltare del capitalismo sfrenato e vittorioso, ma, riattraversando a ritroso quelle lugubri imbarcazioni la tua chiara gondola linguistica si è ritratta smarrita nel suo lessico antichizzato come una tartaruga nel suo tegumento di quel tanto che è stato sufficiente a ri/dare alle parole una nobiltà denominativa, una grazia che avevano perduto…

    Adesso, a distanza di 24 anni da quella tua pubblicazione, appaiono chiare le implicazioni post-ideologiche che la ispiravano e la guidavano verso un’altra governance (per usare una parola dei giorni nostri), un’altra sponda… ma è che Giasone e i suoi naumachi sono tornati senza nessun vello d’oro tra le mani, ma il tempo intercorso ha reso più visibile quanto quella gentilezza non appartenesse già più al nostro mondo…

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  14. A proposito della poiesis kitchen come patafisica applicata

    La poiesis kitchen è patafisica applicata, ovvero, scienza nuova delle soluzioni immaginarie, ha completamente rinunciato al partage realtà-finzione. E tuttavia non ha abbandonato la pratica decostruttiva e, quindi, creativa del linguaggio. In un senso kitchen patafisico, dunque, l’esigenza di ‘reinventare il reale come finzione’ equivale all’opposto di ‘reinventare la finzione tramite la finzione’, ovvero, sostituire il Reale così prodotto di finzione all’Altro Reale prodotto di finzione della civiltà mediatica con la iperprecisione inconsistente dell’iperrealtà, operare come un prestidigiatore che fa fulmineamente comparire e scomparire un coniglio dal cilindro. Il Reale come decostruzione e costruzione continua di fuori-senso, di fuori-significato in uno scambio simbolico istantaneo tra l’essere e il nulla. Non si tratta soltanto di una sostituzione segnico-virtuale della realtà, perché la realtà non esiste in sé, ma è già, in quanto non esistente in sé, il prodotto di una simulazione, di uno scambio simbolico tra l’immaginario e il simbolico; si tratta di una dissimulazione letteralmente iconica, segnica dove il reale viene confutato attraverso l ‘operatività del linguaggio, abolito e insieme riabilitato proprio nel non-luogo che lo aveva riassorbito: nello specchio del testo kitchen, del testo, ovviamente, inesistente, essendo il kitchen nient’altro che il marchio della disparizione del reale, il mallarmeamo coup de dé, tramite la disparizione disapplicazione del linguaggio che lo rappresentava e l’apparizione di un altro linguaggio che non lo rappresenta più.

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  15. antonio sagredo

    e allora, caro Giorgio, possiamo parlare infine di
    TEATRO-KITCHEN!?

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    • milaure colasson

      caro Antonio Sagredo,

      la poesia kitchen è già in sé un Teatro kitchen fatto con la risacca linguistica, con i rottami e le plastiche che la risacca porta sulla spiaggia. Convengo con quanto afferma Giorgio: “La poiesis kitchen è patafisica applicata, ovvero, scienza nuova delle soluzioni immaginarie”.

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  16. caro Gneo Gaius Fabius,

    dimmi, posso mettere l’universo in una scatola?
    il filosofo Briatore afferma che a Montecarlo quando scuoti la tovaglia cadono giù milioni di euro

    Girovagando ai confini del sistema solare ti incontro il poeta Francesco Paolo Intini col maglione a collo alto e scarpe da tennis che gioca a flipper con i bulbi oculari di Putoler, con il suo libro sotto il braccio dal titolo “Faust chiama Mefistofele per una metastasi”

    Il listino prezzi del barbiere François contempla il taglio alla nuca per € 25,00
    «Se arriva un missile lo scambio con del borotalco e delle ballerine col tutù»,
    dice il parrucchiere in tono assertivo

    Les Demoiselles d’Avignon vanno in vacanza su Plutone, incontrano il poeta Antonio Sagredo che legge le sue “Poesie senili” e, spaventate, tornano indietro con la prima astronave disponibile.
    «Ci sono più cose nel borotalco che nella tua metafisica», dice il poeta
    «L’elefante gioca al rebus con il corvo sulla tavola periodica»

    King Kong ha steso al tappeto Kim Basinger mentre grida alla telecamera:
    «Il waterflosser ideale per l’igiene della luna!»

    (Germanico)

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  17. Marie Laure Colasson

    caro Gneo Gaius Fabius,

    finalmente anch’io sono a casa, mi sono fatta i bigodini, ho dismesso il rossetto e mi sono messa comoda sul divano, i fatti, caro Fabius, non so cosa siano, hanno la stessa natura del trauma e puzzano di aglio…

    Perché hai scritto che la valutazione dei manoscritti è una pratica oncologica?, io penso invece che sia una pratica da obitorio essendo la letteratura tutta una attività di natura medico legale.
    Lo so, il dover pronunciare diagnosi infauste è penoso, ogni volta. È terribile.
    Tutta la colpa è di Aristotele che nella “Poetica” ha istituito il (CEF) Controllo Elettronico della Felicità, da allora le cose sono andate di male in peggio.

    Lo sai?, i watussi che sono andati sulla spiaggia a fare il bagno con i nani hanno sviluppato una orticaria di origine radioattiva che porta in breve al decesso con pustole fritte e piattole arroganti.
    Se Sartre fosse vivo avrebbe oggetti degni di studio da par suo. Però Picasso sa dove mettere i piedi, al limite, c’è una fessura nella tela della “Les Demoiselles d’Avignon”, lì ci starebbero bene, al caldo, negli stivali di feltro

    Chissà quanti I like e retwitter avrebbe il filosofo!
    Sai, sono indecisa se inviarti una faccina con gli occhiali o un’altra con la parrucca, nell’indecisione ti lascio perché devo fare la doccia…

    «La scelta se inviare una bomba al tecnezio, al boezio o al polibio sono argomenti da non sottovalutare affatto – ha dichiarato Xi -, un bombardamento del Donbass produrrebbe hightech, ciniglia e vapore acqueo…»
    La reazione del Cremlino non si è fatta attendere: il portavoce Dmitri Peskov con la camicia sbottonata si è presentato ai microfoni dicendo di preferire les gauloises imbottite di molibdeno ai ciclamini di campo…

    Con una musichetta in bemolle si è presentato l’Avatar del Linguaglossa presso l’abitazione della pittrice Marie Laure Colasson, in Circonvallazione Clodia 21, il quale si è limitato a manifestare, con un lessico diplomatico, il proprio dissenso…

    (Scintilla)

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  18. Carissimi Germanico e Scintilla,

    come saprete rifuggo dalla nostalgia di motori che vanno a emozioni e sentimenti, perché produttori di diossido di plutonio.

    Sapete anche che il ghiaccio e il freddo sono i migliori carburanti nell’universo.

    Il pianeta più estremo ne ha in abbondanza e dunque occorre contrattare per una condotta universale con chi ne possiede la proprietà.

    Apprendo che le Demoiselles d’Avignon si sono decise a passare le loro vacanze sugli Iceberg felici, in attesa che da qualche Titanic.2024 scenda un visitatore cubico accompagnato dalla moglie parallelepipeda in pelliccia di Americio

    Mi piacerebbe salutarle e chiedere se il loro albergo ospiti anche i partiti-blob che mischiano occhi e ossa, cuori e polmoni alla rinfusa e si meravigliano se si afflosciano al primo soffio di vento.

    Oh si, quei bei capolavori del novecento che bastava appiccicarli con lo sputo per avere un effetto d’insieme. Come si chiamavano gli autori? Dove sono finiti i quadri?

    E di certo prima di loro sono giunte le piovre mimetizzandosi a dovere per mettere su uno spettacolo di patateatro a base di aurore finispianeti in cui le orche indossano il verde, in tuta blu quel che resta del casuario, mentre i draghi di Komodo fanno man bassa di tre colori.

    Un tal vantaggio ha infatti questa parte dell’universo che appare morto chi è vivo, mangia e beve sulla terra.

    Saluti

    G.G.Fabius

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  19. … qual è il fine di un testo sperimentale? Il suo fine è quello di sottoporsi alla prova dell’esperimento, e di pervenire così all’eliminazione degli imprevisti, e alla costituzione di un abito di positiva aspettativa che non venga frustrato, alla assimilazione dell’imprevisto e del nuovo nell’ordine semiosico tradizionale. Ecco perché lo sperimentalismo è strettamente correlato alla tradizione.

    Va da sé che il testo kitchen patafisico è non-sperimentale, non orientabile perché il suo fine non è quello di sottoporsi (bontà sua) alla semiosi ermeneutica che riporta l’imprevisto e la sorpresa nello schema logico della semiosi rappresentativa e egoorientata e, perciò, nell’ambito della tradizione. Il testo kitchen «buca» la tradizionale semiosi rappresentativa e «buca» anche la tradizione, ponendosi come un ostacolo invincibile alla semiosi infinita di stampo gadameriano e alla ermeneutica infinita della critica letteraria debitrice dal concetto rappresentativo della semiosi e da un concetto mimetico dell’orizzonte della aspettativa. Va da sé che la fuoriuscita dall’orizzonte rappresentativo della poiesis tradizionale pone il testo kitchen patafisico in un nuovo ordine di discorso non più fondato sull’io plenipotenziario.

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  20. francescodegirolamo

    INATTESO

    Non sarà mio quello che cerco e trovo,
    non sarà mio quello che tengo stretto,
    sapendo che sarà chi non aspetto
    che per il vecchio “me”, mi darà il nuovo.

    Mi darà ciò che sono sempre stato,
    il vero nome che ho dimenticato;
    mi darà un guizzo d’oro nello sguardo,
    un dolce oblio nel cuore del ricordo.

    Mi darà la mia pace battagliera
    con cui potrò riconquistare il nulla:
    un po’ sarà sepolcro ed un po’ culla,
    in pieno inverno, la mia primavera.

    Francesco De Girolamo
    [“Nel nome dell’ombra” – Ibiskos, 1998]

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