
Compostaggio, ovvero, fotocomposizione al pc in immagine
Giorgio Linguaglossa
Sull’Evento
Il nuovo paradigma ospita l’evento come un convitato di pietra, un ospite invisibile, che non lascia indizi, che copre le proprie tracce; esso è libero di presentarsi come vuole e dove vuole. Per questo dobbiamo lasciare uno spazio di libertà all’evento, sarà lui a scegliere il come e il quando presentarsi. Noi possiamo soltanto preparare le condizioni per ospitare l’evento e il gioco degli eventi.
Nella misura in cui il soggetto, l’«attore» cessa di costituire la prospettiva della poesia, è l’evento, con le categorie impersonali che porta con sé, a dettare i termini della prospettiva pluricentrica. Il compito del soggetto è di saper diventare figlio dei propri eventi o degli eventi che fa propri, e non delle proprie opere. L’evento, come singolarità assoluta, non ha nessun qui ed ora, poiché il qui ed ora è sempre in riferimento ad un soggetto.
Non vi sono quindi cose che divengono altro da ciò che erano prima in virtù di questo o quell’evento, ma innanzitutto vi è la relazione tra oggetti, in quel tutto aperto e cangiante che è il reale, il che delinea i contorni di un quadro che presenta più di un’analogia con quello leibniziano. Per un verso, quindi, il segno indelebile che su di me lascia l’evento che mi incarna e che in questo modo duplico in me stesso; peraltro verso, il suo carattere eminentemente impersonale e al di sopra o al di là di ogni logica tradizionale.
Non è un caso che la questione dell’evento si sia fatta strada assieme ad un ripensamento radicale del linguaggio e che si possa perciò parlare – in un senso certamente molto ampio, tenendo presente la varietà di prospettive che qui contempliamo – di una grammatica dell’evento.
Le coppie sostanza-accidente, potenza-atto e così via, come la credenza che esistano oggetti in sé, al di là del tempo, non sarebbero altro che il riverbero metafisico della struttura della lingua greca, che si fonda sulla coppia soggetto-predicato.
Né il puro significante che non rimanda ad alcun significato (non essendo perciò nemmeno più un significante, dal momento che non esiste significante senza significato) possono essere indicati per mezzo del nostro nuovo linguaggio poetico, essenzialmente sostanzialistico, che ripudia l’aggettivazione e l’eccessiva inflazione del verbo.
Concetti come percezione, esperienza, empatia, soggetto, oggetto, causa, effetto in questo nuovo orizzonte, non sono più in grado di aiutarci a capire in quale mondo ci troviamo, non ci forniscono che informazioni equivoche, erronee, perché appartengono alla vecchia metafisica della presenza e del venire alla luce. La nuova poesia richiede una nuova modalità di pensiero. Innanzitutto, il mondo come questità di cose, connessione delle questità di cose in una composizione infinitamente complessa che non può essere spiegata da una unica causa agente o da concetti come causa ed effetto. La nuova forma-poesia del polittico recepisce queste esigenze del pensiero poetante dando la priorità e la centralità ad un quid che agisce indipendentemente dalla volontà di un soggetto. Questo quid non deve essere necessariamente visibile, anzi, può agire meglio se non è visibile. Esso si rende visibile attraverso delle condizioni che si verificano nel corso della processualità mondana. L’evento agisce sempre indipendentemente dalla sua visibilità. L’evento come accadere processuale del mondo non è relativo ad alcuna soggettività, ma è un assoluto, una singolarità. È impossibile racchiudere l’evento in un significato. L’evento è il singolare che cambia la processualità del divenire senza che noi ce ne accorgiamo. Questa visione comporta dunque il superamento della metafisica classica e il superamento della soggettività trascendentale di quella metafisica.

La vittoria incontrastata del Capitalismo è l’Evento invisibile della nostra Epoca. La razionalità tecnico-scientifica è stata fondata dalla razionalità dell’ordo rerum e dell’ordo idearum promossa dal mercato, idest, dal denaro. In termini marxisti è sempre la razionalità del denaro che ha il dominio sulla razionalità tecnico-scientifica
Osservare l’evento dal punto di vista dell’evento
Per esempio, nella poesia di Gino Rago e in quella di Giuseppe Gallo postate sopra, abbiamo una novità che balza subito agli occhi: in quella di Rago è una «pallottola» che assume il ruolo di «soggetto», tutti i personaggi che intervengono nella poesia sono degli epifenomeni. Analogamente, nella poesia di Giuseppe Gallo è l’«Ombra» che assume la funzione di «soggetto», è l’«Ombra» la protagonista che distribuisce i ruoli e i luoghi ai personaggi che intervengono nella poesia.
L’evento visto dal punto di vista dell’evento, potremmo dire. È l’evento che guida la costruzione della poesia. È l’«evento» che distribuisce le funzioni degli attanti. È una novità rivoluzionaria che sposta tutti i termini cui siamo abituati dalla poesia della vecchia ontologia poetica e introduce una nuova gerarchia dei «ruoli».
Per quanto riguarda la poesia di Mario Gabriele, lì non c’è un «evento» che governa la costruzione della poesia, ma è piuttosto la «mancanza di evento» che svolge la funzione centrale, che altro non è che una rigorosa funzione decostruttiva del testo, rivelando la sua natura-di-non-testo, un testo dove – come ha acutamente sottolineato Lucio Mayoor Tosi – la poesia diventa prosa e la prosa diventa poesia. È in questa «zona grigia» (dizione di Francesco Paolo Intini) o «zona gaming» (dizione di Giuseppe Gallo) che la poesia di Gabriele trova il proprio «luogo».
Con l’Ereignis (Evento) si interrompe quel gioco linguistico per cui qualcosa come un significante sta, in quanto segno, per qualcos’altro, cioè per un altro significante, poiché non c’è nulla, al di fuori dell’ Ereignis. È l’Ereignis che precede e fonda il significante e il significato, e quindi il linguaggio. Ora, conformemente a questa premessa, costruire una poesia dal punto di vista dell’Evento significa sottrarsi al vincolo di una poesia basata sul significante e sul significato e sottrarsi al punto di vista che questo necessariamente comporta.
Compostaggi di versi di Autori Vari della NOE
a cura di Mauro Pierno
“Il quid è negli interstizi dei vuoti a rendere.
Entra. Siediti. C’è qualcuno che non hai mai visto?
“Vuoti palchi osservano bagni metafisici dove figure
dal passo umbratile, bisbigliano ad oracolo, il contraddetto evento.”
Un solo piccolissimo punto è quello che ci sfugge.
E lo chiamiamo porto, libro, colbacco, Maestrale.
“o comunardi sulle barricate di Parigi
ma sprizzava luce dai crateri.”
“Intanto, fiocchi di neve, chicchi di riso, uno scolapasta,
una stella di latta, un catecumeno con la tonsura,”
“Pomeriggio di piogge sfebbrate. Chilometri di coltivazioni di spose tristi.
Infanticidio di stoffa verde. Madri oscurate, fino alla spina.”
“In questi agglomerati urbani non puoi chiedere
a nessuno la strada di un nuovo battesimo.”
“Solo mi viene da ridere. Ha visto il film Joker?
Ecco, una cosa del genere.”
*
Ologrammi perfetti per le strade.
Tanti che non si potevano nominare.
I giochi sono fatti, la “zona gaming” è terminata
da tempo anche Gallo ci ha preavvertito
il callo che nuoce è l’ultimo dolore.
Una sola scarpa in prestito per avvertirlo.
Con un piede solo il virus ci ha denudati.
Come non essere d’accordo pure con Mario Gabrieli!?
Dopo aver dato fondo a tutto resta solo il presente.
in piena arbitrio bisognerebbe anche condividerlo!
I versi dei professori sono bellissimi!
(quelli di Gallo di più !) Abbiamo sempre sentimenti nascosti.
Basta premere il pulsante giusto.
ACCESO/SPENTO
*
: verde/bianca. La questione è che non sono ancora del tutto… On/off
Cos’è un P R O B L E M A?
su il Foglio di questa mattina 20 Aprile c’è un breve inserto che drammatizza la situazione post Covid 19. Te lo riporto, sic et simpliciter:
L’Ereignis, nella concezione di Heidegger, presenta una somiglianza inquietante con la metafora, concepita come uno scarto del linguagggio
Il clavicembalo riordina svolazzi di fortuna
dal teatro escono due accordi semplici alla volta
Scuciono il dormiveglia del tempio: un pergolato di silenzi di Mozart.
Il profumo della Dea langue sugli spalti. È il codice morto nei boschi.
l’umanità intera inizierà a fare i conti con l’OFF, con una dicotomia che frantumerà le certezze e aprirà porte
Nel frattempo procedo in quello che Thomas Mann in Attenzione, Europa!
chiamò “L’UMANESIMO MILITANTE”
Tocco le vostre poesie con le nocche screpolate dal sapone.
Le vostre stanze, le vostre lasse, i vostri respiri polmonari
Il sogno di Salgado, far rifiorire la foresta pluviale subtropicale, recuperare uno spazio distrutto dalla umana incuria.
Avvertenza
in questa ultima composizione troverete traccie di in ordine di apparizione:
Giuseppe Gallo, Mario M. Gabriele, Giorgio Linguaglossa, Alfonso Cataldi, Carlo Livia, Ewa Tagher, Gino Rago, Giuseppe Talia e Marina Petrillo.
Lucio Mayoor Tosi
Caro Mauro, questo tua tua riuscitissima composizione, resta tua. Ma non sarà questo il nostro intento all’allestire la raccolta di versi di cui parlavamo nei giorni scorsi. Una operazione come questa tua io la considero impossibile. Non ne verrà un poema: faremo circolare versi, quali personaggi per altri autori. Come doni. Frutti, pieni di vitamine.
Mario Gabriele:
“il Covid 19 ha sbaragliato tutto asimetrizzando parole, linguaggi, aforismi: ossia quel complesso teatro di figure retoriche, e soprattutto la copiosa nomenclatura di termini tecnici per decodificare un testo poetico, scarnificandolo ermeneuticamente fino alla prebiologia della parola. Per quanto tempo potrò andare avanti su questa forma? Non lo so!. Ma mi piace assecondare ciò che qui dici con il titolo “cambiamento di paradigma”
Giorgio Linguaglossa
le Poète noir Antonin Artaud con i guanti bianchi a testa in giù,
una tovaglia ricamata e la bandiera tricolore
precipitano dal quinto piano del balcone di via Gaspare Gozzi,
comprese delle mascherine, dei volantini della Lega lombarda,
una matrioska dipinta a mano,
e un piffero…
Le pietre dell’ambasciata – felici di risorgere.
All’angolo, sorelle di Jeoshua spargono musica e rugiada su un cadavere.
Vedo immagini passare come Mary Poppins.
E’ quanto di più raro mi rimane del tempo passato.
Ti ringrazio Adam per la cartolina da Friburgo
su cui un Angelo in tunica di neve
con grande tromba annunzia l’offensiva
di orrendi casermoni.*
*Avvertenza:
Compostaggio con versi di Gino Rago, Carlo Livia, Mario M. Gabriele, Zbignew Herbert,
Sarà che mi fido di ciò che vedo e sento e tocco con mano. Manipolatore di vecchia data, abituato a smanettare più che con PC con lavandini impazziti e reazioni imprevedibili da parte di molecole mal disposte con chi ne sollecita la feudalizzazione alle dipendenze del pensiero. Quante volte mi è toccato sanare una situazione che sembrava andata, calmare le acque, rintuzzare le ire, dare un nome ad eserciti sconosciuti. Ma ora tutto ciò mi è negato mentre a dismisura mi si mostra un nuovo tavolo di gioco.
Sul campo verde l’efficienza già pronta.
Solo per i vaccini non si era pronti, né per le maschere o i ventilatori, ma in compenso c’erano le piattaforme digitali, a cui affidare la sopravvivenza dell’apparato stesso. Chi ci sta dentro vive in un’immensa camera di specchi che guardano altri specchi o se volete un esempio vivo, sembra di far parte di una piovra gigantesca con tentacoli che si spingono in tutti i territori abitati. Pensare che tutto questo fosse già pronto in un cartone e che è bastato togliere il cellophan per metterlo in funzione, mentre non lo erano i singoli, mi dà i brividi.
Un’inquietudine sconosciuta prende il posto della stanchezza.
L’ossessione di non riuscire a fare quello che si doveva, mette in luce l’età, la differenza con chi pensa invece in termini di carriera, successo e sa adattarsi come il paguro nel nuovo guscio.
Non io.
Cosa sarà il futuro?
Astronavi in grado di provvedere alla sopravvivenza di sé stessi, dei motori, dei computer di bordo, avendo a disposizione la conoscenza necessaria per viaggiare nei buchi neri COVID-19 presenti e futuri mentre rara gente in tuta, passeggia negli spazi vuoti alla ricerca di cibo contendendolo ad alieni che camminano liberamente.
Un virus ha lanciato i suoi Boeing sulle torri gemelle presenti in ogni stato. Crollano i mercati, c’è polvere dappertutto. Un fuggi, fuggi per le vie di New York.
A chi fare guerra?
Ecco, l’occasione è ghiotta per lasciarsela sfuggire.
Cos’è un pino? Cosa un elefante?
Descriviamo un cane a futura memoria per riconoscerlo quando avrà fame. Mi dà i brividi altresì l’economia a servizio di robot dalle mani gigantesche, capaci di mettere le dita nei salvadanai di ognuno.
Grattare, rubare, sottrarre, asfissiare, affondare, distruggere sono alcuni degli infiniti nati dal ventre oscuro della metafisica. Il voodoo che riempie di sé gli interstizi della giungla e sbuca all’improvviso nel groviglio dei rapporti umani.
PIOVRA
La musica che sale conserva il ciliegio tra i denti.
Le scale conoscono la formula dell’ ossido di carbonio
Così discutono una tesi sulla scomparsa del Cro-Magnon.
Ma non del suo denaro che prospera, foresta di felci.
Com’è che si rese indipendente e cercò scampo sulle terrazze.
Se c’è una costante è da cercarsi negli elicotteri di Saigon
Una ragione che il relatore ignora.
Il pubblico è fatto di cappottini e rose intriganti.
Sbuffano tazzine da quest’altra parte del tavolo
mescolando caffè a una scintilla strofinata.
Un commando di Khmer indossava tute di euro.
Sbucare all’improvviso dalla giungla fu la soluzione.
Ora si faceva irruzione nel significato
Lasciando le buone maniere a gerani di balcone.
…
Oltre i mammut gli orsi. Si viaggia sottoterra
Percorrendo fibre e canali auricolari
Nuotare col rischio di beccarsi la leptospirosi
Marat sbucò in un vasca da bagno.
Ma era troppo preso dal togliersi i topi di dosso
Per accorgersi di una stroncatura dall’odore universale.
…
Il DNA ebbe la meglio sull’anticorodal
E’ chiaro da quest’immenso passeggiare di elefanti
Bastava mungere una mucca per volta
E non mettersi in coda per un soffio sulla nuca
…
Hendrix suonò come un medico alla visita del diabete:
tirò fuori la testa dal Sarno per competere col Vesuvio.
Dalle mani alla corteccia
Il contagio dei significati
Un neurone collega Bohr ad Einstein,
Heisenberg a Tutankhamon
Il sentiero di Ho Chi Min. Non io.
Il poeta muore senza contatti. Sepulveda?
…
Era già apparata, toro nell’arena
La zeppa di spettatori.
Carbonio sul palco reale:
abbasso il RE!
Sottrarre braccia alla mortalità.
Consegnare il cuore a Mendeleev.
Quali le aspirazioni del Litio?
Il Nemico attacca, la Tavola risponde.
Forza fresca di ultima generazione
Americio, Darmstadio, Nettunio.
Tigri di razza ovina.
Elicotteri dagli embrioni.
…
Accumulare guanine.
Capitalizzare Yersinia e reinvestire.
Il mare obbedisce. Il cielo si apre.
Costruire trulli dal DNA.
…
A sera la piovra riposa. I suoi immensi neuroni
Si svuotano di clessidre e letti. Visi rubati a Hopper.
Sogna sul divano al rumore della pioggia.
La diretta da Chernobyl, quella da Seveso
Si gratta e sgonfia il boleto Satana
Torna nei gangheri anche Bhopal.
Giocasta allarga la sua fune
per sfilarsi la collana.
…
Nella tranquillità del tedio
un esercito varca il confine
qualcuno ha toccato la maniglia della foresta
ci sono tracce di pantera nel vaso da notte
…
Terror mortis?
Nessun muoia.
(Francesco Paolo Intini, Inedito)
Un caro saluto e grazie agli amici dell’Ombra.
Avevo scritto “Addio routine” nello scorso mese di febbraio , immaginando un evento che avrebbe sconvolto la città. Si sa che gli eventi reali superano anche ciò che risiede ai limiti della nostra fantasia. Forse da nipote di un vecchio sciamano sentivo l’onda arrivare. Sarà. Ma il post di Linguaglossa sull’evento ha aperto il cassetto in cui l’avevo conservato.
ADDIO ROUTINE
Stamattina gli abitanti di Roma Nord sono scesi in strada.
I letti, nella notte, hanno ingoiato chiavi, bancomat e forbicine.
L’edizione delle otto ha annunciato: “Non sono più possibili i ritagli di tempo”.
Per le strade si discute se scendere nelle catacombe o lasciare la città ai nuovi venuti.
Qualcuno per disperazione si accovaccia sui rami della tangenziale
e batte i denti a tempo: un abuso di semiminime.
La Storia, materiale di risulta, ha un fremito, poi collassa.
“Porta Pia è un varco aperto verso la dimensione dell’ Unheimliche”.
La Pasqua non sarà trionfo di trombe, Cristo si rifiuta di morire.
Gli piace pensare che gli uomini siano inutili. Per cinque minuti.
Poi piega con cura il sudario e lo abbandona
sui binari del tram Casaletto.
Gentile Ewa Tagher,
Lei mostra di possedere al massimo grado quella che comunemente viene detta «la parola del poeta», parola poetica che intendo come capacità di sintesi e di pre-percezione di un certo momento della storia colto come limen culturale di una epoca, la nostra, sotto i colpi del COVID-19.
La Sua parola qui mostra di saper cogliere il cambiamento in atto nel suo farsi, da un lato, e di sapere avvertire i coevi umani della imminenza di questa volta.
La Sua parola non si incarica di indicare i termini della inevitabile perestrojka, non rientra nei compiti e nei fini del poeta, ma si carica del peso etico ed estetico di catalizzare una riflessione collettiva verso un mondo “altro” assumendo come principio-guida l’impossibilità per l’uomo di questo tempo di pensarsi-sano-in-un-mondo-completamente-malato.
La Sua parola per questa abilità, per questa facoltà doppia, sia di epifania di fenomeni in atto, sia di lucciola nella nostra lunga mezzanotte, sento senza sforzi di poterla accostare a quella di Iosiph Brodskij, sotto questo ben perimetrato aspetto:
«[…]chi scrive una poesia la scrive soprattutto perché l’esercizio poetico è uno straordinario acceleratore della coscienza, del pensiero, della comprensione dell’universo.
Una volta che si è provata questa accelerazione non si è più capaci di rinunciare all’avventura di ripetere l’esperienza di assuefazione a questo processo, così come altri possono assuefarsi alla droga o all’alcol.
Chi si trova in un simile stato di dipendenza rispetto alla lingua è, suppongo, quello che chiamano poeta».
Ne sono esemplari questi due distici in una fonoprosodia perfetta:
*
“[…]La Pasqua non sarà trionfo di trombe, Cristo si rifiuta di morire.
Gli piace pensare che gli uomini siano inutili. Per cinque minuti.
Poi piega con cura il sudario e lo abbandona
sui binari del tram Casaletto.”
*
distici nei quali l’energia visiva all’ interno delle immagini non è meno intensa di quella semantico-emotiva delle parole.
Parole, come sanno pienamente essere quelle del tessuto poetico di Marina Petrillo, “abitate” dal poeta, parole di autenticità poetica suggellata nel rapporto dialettico creditorio/ debitorio tra parola e immagine secondo l’idea dello stesso Brodskij.
*
Gino Rago
Ispirato commento, carissimo Gino Rago, reso vibratile da una sensibilità che i versi del poeta (o poetessa, se preferisce) Ewa Tagher amplificano.
Si muove in anonimo contrasto l’animo, raccolto a visione, già evento.
Pone transito in un dileguato pantheon di cui, fluita ogni immagine, non resta che un sentore stanco. Accidiosa azione sollecitata a silenzio.
Un battito in differita forma traduce fotogrammi ritagliati con cura, arte sospesa a percezione sensoriale, flebile al richiamo anemico della parola.
Intraducibile lessico comune, vegliato alla nascita e presto sospinto in simulacro. Una soglia varcata priva di indizi, penuria di immortalità; limbo solipsistico in cui versa lo sguardo.
Ombre, in un purgatorio anonimo, sembrano stagliarsi tra squarci metropolitani. Fallita ogni risposta : un codice musicale evoca “abuso di semiminime”.
Anche il Giudizio muove a indifferenza, non a compassione. Il Cristo de-nega la Sua presenza in terra. In cinque minuti rievoca una salvezza povera , ad eco infranta.
Lascia a noi le bende del sudario. Gesto di sovrumana impotenza.
Il tram, profetico, continua il suo percorso.
Marina Petrillo
Cara Marina Petrillo,
da quando mi sono imbattuto nella riflessione che Evgenij Rejn ha confidato a Brodskij e che qui ripropongo:
“Se si potesse stendere su una poesia un velo magico che rimuovesse tutti gli aggettivi e tutti i verbi, una volta tolto il velo, la carta dovrebbe essere ancora nera grazie ai sostantivi…”
quel velo magico da anni cerco di stenderlo su ogni mia frase riducendo, tentando di ridurre al minimo indispensabile aggettivi e verbi, puntando lutto sui sostantivi. Ecco perché provo quasi una forma di rivolta, oltre che di dis-gusto estetico, ogni volta che incontro nei versi altrui l’iper-presenza di aggettivi e anche lo smodato uso dei verbi… Ricorderai quel caso dei due poeti, “laureati”, che in 10/12 strofette hanno impiegato dai 13 ai 15 aggettivi…
Chi fa questo non soltanto uccide la “nostra” idea di poesia, quella che,
con Giorgio Linguaglossa in primis
(ma anche con Tagher-Gallo-Gabriele-Tosi-Talia-Colasson-de Hody Dzieduszycka-Ventura-Madonna-Livia-Dono-Pierno-Cataldi-Leone-Intini, per citarne alcuni, accanto ad altri/altre calzolai/calzolaie che mi scuso se non cito…)
abbiamo messo al centro del nostro “laboratorio-di-calzolai-della-poesia”, ma in cuor mio lo credo anche capace di commettere qualsiasi crimine contro il buon gusto, contro l’estetica e, quindi, visto che l’estetica è la madre dell’etica, contro la stessa umanità.
Dimmi quanti aggettivi usi e quanti verbi e ti dico che poesia puoi fare.
Grazie Marina per il tuo pieno apprezzamento della mia lettura dei versi di EWA TAGHER-ADDIO ROUTINE.
Gentilissima Marina Petrillo,
grazie per la sua attenta analisi di “Addio Routine”. Mi colpisce molto che lei abbia colto il “codice musicale”: ho impiegato giorni a dare forma al mio “abuso di semiminime”, non sapevo come portare in versi un suono, il battere dei denti, che è piuttosto un disturbo, segno di shock termico, brivido dell’animo prima che del corpo, un ticchettìo in grado di sovrastare qualunque melodia.
Lettera Aperta a Ewa Tagher con una proposta di lettura di ADDIO ROUTINE
Gino Rago
*
Ewa Tagher
ADDIO ROUTINE
Stamattina gli abitanti di Roma Nord sono scesi in strada.
I letti, nella notte, hanno ingoiato chiavi, bancomat e forbicine.
L’edizione delle otto ha annunciato: “Non sono più possibili i ritagli di tempo”.
Per le strade si discute se scendere nelle catacombe o lasciare la città ai nuovi venuti.
Qualcuno per disperazione si accovaccia sui rami della tangenziale
e batte i denti a tempo: un abuso di semiminime.
La Storia, materiale di risulta, ha un fremito, poi collassa.
“Porta Pia è un varco aperto verso la dimensione dell’ Unheimliche”.
La Pasqua non sarà trionfo di trombe, Cristo si rifiuta di morire.
Gli piace pensare che gli uomini siano inutili. Per cinque minuti.
Poi piega con cura il sudario e lo abbandona
sui binari del tram Casaletto.
*
Gentile Ewa Tagher,
Lei mostra di possedere al massimo grado quella che comunemente viene detta «la parola del poeta», parola poetica che intendo come capacità di sintesi e di pre-percezione di un certo momento della storia colto come limen culturale di una epoca, la nostra, sotto i colpi del COVID-19.
La Sua parola qui mostra di saper cogliere il cambiamento in atto nel suo farsi, da un lato, e di sapere avvertire i coevi umani della imminenza di questa svolta.
La Sua parola non si incarica di indicare i termini della inevitabile perestrojka, non rientra nei compiti e nei fini del poeta, ma si carica del peso etico ed estetico di catalizzare una riflessione collettiva verso un mondo “altro” assumendo come principio-guida l’impossibilità per l’uomo di questo tempo di pensarsi-sano-in-un-mondo-completamente-malato.
La Sua parola per questa abilità, per questa facoltà doppia, sia di epifania di fenomeni in atto, sia di lucciola nella nostra lunga mezzanotte, sento senza sforzi di poterla accostare a quella di Iosiph Brodskij, sotto questo ben perimetrato aspetto:
«[…]Chi scrive una poesia la scrive soprattutto perché l’esercizio poetico è uno straordinario acceleratore della coscienza, del pensiero, della comprensione dell’universo.
Una volta che si è provata questa accelerazione non si è più capaci di rinunciare all’avventura di ripetere l’esperienza di assuefazione a questo processo, così come altri possono assuefarsi alla droga o all’alcol.
Chi si trova in un simile stato di dipendenza rispetto alla lingua è, suppongo, quello che chiamano poeta».
Ne sono esemplari questi due distici in una fono-prosodia perfetta:
*
“[…]La Pasqua non sarà trionfo di trombe, Cristo si rifiuta di morire.
Gli piace pensare che gli uomini siano inutili. Per cinque minuti.
Poi piega con cura il sudario e lo abbandona
sui binari del tram Casaletto.”
*
Distici nei quali l’energia visiva all’ interno delle immagini non è meno intensa di quella semantico-emotiva delle parole.
Parole, come sanno pienamente essere anche quelle del tessuto poetico di Marina Petrillo, “abitate” dal poeta, parole di autenticità poetica suggellata nel rapporto dialettico creditorio/ debitorio tra parola e immagine secondo l’idea dello stesso Brodskij.
Un altro aspetto emerge in tutta la sua forza estetico-stilistica da questo Suo ben riuscito testo poetico:
la quasi totale assenza di aggettivi qualitativi (ne avrei notati 2 appena in 6 distici, o in 12 strofe), con il baricentro dei Suoi sintagmi tutti spostati a favore dei sintagmi nominali con forte preminenza dei sostantivi.
L’analisi di Addio Routine dalla quale emerge questa cifra di aggettivazione parsimoniosa ci fa evocare nuovamente Brodskij.
Riferendosi al «poeta meditativo» Evgenij Rejn (Balcone e altre poesie, Diabasis, Reggio Emilia, 2008) Iosif Brodskij scrive:«Il miglior poeta russo vivente si chiama Evgenij Rejn, il cognome viene dal fiume Reno […].
Una volta mi ha detto una cosa che ripeterei a qualsiasi poeta: se vuoi che una poesia funzioni davvero, l’uso degli aggettivi dovrebbe essere ridotto al minimo e dovresti però riempirla più che puoi di sostantivi, persino i verbi dovrebbero soffrirne.
Se si potesse stendere su una poesia un velo magico che rimuovesse tutti gli aggettivi e tutti i verbi, una volta tolto il velo, la carta dovrebbe essere ancora nera grazie ai sostantivi.
Fino a un certo punto ho seguito il suo consiglio, anche se non religiosamente. E devo dire che mi ha fatto bene[…]».
*
Gino Rago
Gentilissimo Gino Rago,
la sua proposta di lettura di “Addio routine” ha legato la giovane vite alla canna di sostegno. Si scrive un polittico assorbendo con le radici , quel poco che una terra aspra e secca concede, uno sforzo immane, dato il terreno della Storia, sul quale ci troviamo costretti a vivere. Poi arriva l’agronomo, l’esperto dei vitigni (Gino Rago), e tira su la giovane vite, dandole forma, nella speranza che le sue foglie diano frutti. Ecco lei ha indicato un percorso chiaro di lettura e di significato, prima che agli altri, a me stessa. Grazie. Ne farò sicuro tesoro.
Grazie di cuore di questo nuovo post: davvero molto importante!
Molti auguri sempre e un saluto caro da
Mariella Bettarini
Grande Mauro, come sempre sai unire divertimento e creatività. Il tuo esperimento è utile ad incrementare evoluzioni etiche ed estetiche: sanziona la dissoluzione del soggetto, accreditando autonomia e inafferenza fra logica ed ontologia, ponendo in subordine la prima, per cui l’evento viene svincolato da mistificazioni e strettoie ideologiche, come nota Giorgio nella sua riflessione. Inoltre neutralizza hybris e preoccupazioni autoriali, con benefiche ricadute sul piano della spontaneità e libertà di sperimentazione.
Peccato… che non sia nuovo. Già Rimbaud aveva intuito che “je est un autre”, e Lautreamount che “la poesia sarà fatta da tutti”, cioè una libera accoglierà di istanze extra individuali, che visita e accade indipendentemente dalla volontà, come nel sogno.
I surrealisti francesi hanno fatto molti esperimenti di creazione collettiva, i famosi “Cadavre esquis”, per favorire la liberazione da vincoli formali e modelli prefabbricati e sondare l’inconscio collettivo. C’è anche una raccolta di poesie composta da collages sovrapposti di versi di Breton, Eluard e Char, “Ralentir les traveaux”.
Vero… Grazie. Un abbraccio.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/04/22/29344/comment-page-1/#comment-63702
La forma-polittico della poesia della nuova ontologia estetica è un sistema-aperto
L’evento è in sé imprevedibile, matematicamente improbabile, ma non impossibile altrimenti non sarebbe un evento. Imprevedibile non significa improbabile, significa semplicemente che, elevando il numero della improbabilità fino ad una curva iperbolica, troveremo che l’accadere di un evento diventa altamente probabile.
Il mondo è un sistema instabile. Se fosse stabile non sarebbe più un mondo, ma un empireo iperuranio. Quindi l’Evento accade e non può non accadere perché esso è l’indice di un accadere di una perturbazione che incide e modifica il precedente stato delle cose in equilibrio instabile. Il prolungarsi a dismisura di una questità delle cose del mondo fa sì che l’accadere di un Evento diventi altamente probabile.
La forma-polittico della poesia della nuova ontologia estetica è un sistema-aperto che recepisce questa instabilità generale di tutte le questità delle cose prevedendo la possibilità dell’accadere di un Evento.
«I cavalloni del mare sono soltanto una delle meraviglie in cui si manifesta la potenza delle onde. Ce ne sono altre molto più sorprendenti. Per esempio le magie del gambero pistolero (Alpheus heterochaelis), capace, con pochi schiocchi velocissimi della sua chela speciale, di sparare onde d’urto a velocità di oltre 100 chilometri orari, in grado di uccidere pesciolini e altri gamberi. La pressione nella scia del getto d’acqua è così elevata da formare una bolla rovente. Il rumore prodotto (218 decibel) è uno dei più forti che si possano udire sott’acqua, e durante la seconda guerra mondiale è capitato che sottomarini sfuggissero ai sonar proprio perché vicini a qualche chiassosa colonia di gamberi»1.
In autostrada non occorre una corsia occupata o un incidente perché si crei un ingorgo. Gli ingorghi fantasma capitano quando qualcuno, notando di essere troppo vicino all’auto davanti, frena e rallenta. Ciò fa sì che l’automobilista che sta dietro di lui freni e rallenti ancora di più. E l’onda continua a trasmettersi. Se sono coinvolte almeno cinque auto, si ha l’ingorgo. Le onde del traffico si muovono in modo analogo alle dune di sabbia. Per esempio, la ola degli stadi di calcio, il fenomeno si verifica se almeno una trentina di persone partecipano alla ola. Un altro esempio, la farfalla Morpho rhetenor quando sbatte le ali emette lampi blu tanto intensi da essere visibili a distanza di oltre 400 metri. Infatti le ali sono composte da strutture chitinose simili ad abeti: la luce che rimbalza sulle loro punte interferisce con quella riflessa dalle basi, e le due onde luminose si sovrappongono apparendo molto più brillanti. Lo spazio di 200 nanometri fra le strutture fa però sì che solo le onde con lunghezza d’onda vicina alla luce blu interferiscano in maniera costruttiva: quelle degli altri colori si annullano a vicenda.
Anche il Covid19 agisce per contatto e procede in base a una forma matematica che potremmo definire visivamente con una onda, una ola; infatti le malattie con alto tasso di infezione tenderanno a diffondersi molto, perché e’ molto facile che il contatto con un infetto risulti una infezione.
Un recente articolo apparso sul Corriere ha avuto il grande merito diffondere le basi della modellizzazione epidemiologica spiegando che il cuore del problema è un numero, R0, che controlla il tasso di diffusione del coronavirus: ogni malattia ha il suo, quello del coronavirus appare essere circa 2,5.
Se un alieno esaminasse la vita sulla Terra, direbbe che a dominarla sono i batteri, diffusi da miliardi di anni e presenti ovunque. Nel nostro organismo sono presenti più batteri che cellule, senza di queste ultime non potremmo vivere, mentre i batteri sì, potrebbero benissimo fare a meno di noi.
1 Gavin Pretor-Pinney, Wawe watching, Guida illustrata per l’osservatore di onde, Guanda, 2011
Bravo il nostro Decretatore.