POESIE SCELTE di Léopold Sédar Senghor (1906-2001) a cura di Valerio Gaio Pedini

Léopold Sédar Senghor all'arrivo alla White HouseLéopold Sédar Senghor copLéopold Sédar Senghor (1906-2001) è stato il poeta africano più importante del ‘900, nonché uomo politico senegalese di spicco, fu il primo Presidente Della Repubblica senegalese dal 1960 al 1980- e da ciò si può proseguire in un piano di rivalutazione della “razza” e della cultura “negra”, nella sua Negritudine (anni ‘30) in cui sono tracciati caparbiamente i parametri della prima scuola poetica africana e del senso dell’arte “negra” più in generale.

Si va ad assistere così ad un distacco dalla concezione apollinea occidentale, giudicata da Senghor troppo razionale, per dare spazio alle pulsioni (meglio definite con il termine “emozioni”) e ai sensi: un’immaginazione che risulta essere un ricavato del ritmo dolce-quando aspro, melodioso quanto sincopato della Negritudine.

Logico, quindi, dover intendere la poesia di Senghor una poesia politica e sofferente, in cui si tracciano surrogati di surrealismo: un surrealismo, che, viene concepito come “un surrealismo latente, non empirico come quello occidentale, ma metafisico”, in quanto IO della Natura.

In questo modo la poesia di Senghor si traccia in un divinismo della “razza negra”, difatti “ (…) L’ontologia negro-africana è unitaria: l’unità dell’Universo si realizza in Dio attraverso il convergere di forze discendenti da Dio e ordinate in direzione di Dio. Questo spiega come il negro abbia un senso così sviluppato della solidarietà fra gli uomini e della loro cooperazione; piega la sua inclinazione al dialogo (…)”.

Quindi l’arte africana si traccia in base alla sua utilità, poiché “l’arte negra non è veramente estetica che nella misura della sua utilità,della sua funzionalità”:perciò è da considerare come”un’arte collettiva”.

Da qui la definizione di arte come sacrificio, l’identificazione del nero in Cristo e quindi in martire misericordioso, e lo enuncia bene Sartre, dicendo:”Il nero cosciente di sé si presenta ai suoi propri occhi come  l’uomo che ha preso su di sé tutto il dolore umano e che soffre per tutti, anche per il bianco”.

Ma così come la Negritudine si delinea nella concezione misericordiosa di Cristo, può essere benissimo delineata nella concezione vendicativa e reazionaria di Giuda Iscariota e quindi la Negritudine si fa violenta, stritola, distrugge, profetizza la fine di un mondo, come la liberazione: il concetto di violenza liberatrice diviene un punto cardine quindi della poetica di Senghor e della negritudine delle Antille (come per Aimé Cesaire, uno dei tre ideatori della Negritudine stessa).

Da lì si profila un senso nostalgico alla ricerca della cultura madre, poiché: “La rivolta ti trascina a scendere su sé stesso: immersione alla ricerca di un’identità rubata”.

Quindi sintetizzando si può dire che la Negritudine è un surrogato che si dà  in: “un raro dono di emozione, una ontologia esistenziale e unitaria, che fa capo al surrealismo mistico, a un’arte impegnata e funzionale, collettiva e attuale, il cui stile si caratterizza attraverso l’immagine analogica e il parallelismo asimmetrico”.

Allora si può conchiudere questo primo appunto, dicendo che la poesia di Senghor può apparirci come appetitosa o come ripugnante, troppo distante e troppo vicina, poco razionale e altamente sensoriale: e con sensoriale non intendo empirica, bensì legata irrimediabilmente all’audito e all’immaginazione: immaginazione che è una forma di intuizione dell’oggetto, che una volta incorporato viene delineato in una forma scultorea- e quella scultura è fatta da tutti e per tutti, per questo ci ripugna e ci assorbe.

D’altronde, sempre secondo Senghor: “la vera cultura è mettere radici e sradicarsi. Mettere radici nel più profondo della terra natia. Nella sua eredità spirituale. Ma è anche sradicarsi e cioè aprirsi alla pioggia e al sole, ai fecondi rapporti delle civiltà straniere”.

(Valerio Gaio Pedini)

Léopold Sédar Senghor

Léopold Sédar Senghor

Léopold Sédar Senghor (Joal, 9 ottobre 1906 – Verson, 20 dicembre, 2001) poeta senegalese di lingua francese che, tra le due guerre fu, con l’antillano Aimé Césaire, il vate e l’ideologo della négritude.

Senghor è stato il primo presidente del Senegal, in carica dal 1960 al 1980. È stato inoltre il primo africano a sedere come membro dell’Académie Francaise. È stato anche il fondatore del partito politico “Blocco democratico senegalese”. I suoi contributi alla rivisitazione e riscoperta moderna della cultura africana ne fanno uno dei più considerati intellettuali africani del XX secolo: dalla letteratura alla scultura, dalla filosofia alle religioni.

Léopold Sédar Senghor nacque in una famiglia di agiati proprietari terrieri nella piccola cittadina costiera di Joal, situata a un centinaio di chilometri a sud di Dakar. All’età di 8 anni iniziò i suoi studi in Senegal in un collegio cristiano di Ngasobil, e nel 1922 entrò in seminario a Dakar: quando comprese che la vita religiosa non era fatta per lui, frequentò un istituto secolare, distinguendosi nello studio del francese, latino, greco e algebra. Al termine degli studi liceali, gli venne assegnata una borsa di studio per continuare i suoi studi in Francia. Si laureò in lettere a Parigi nel 1935 e per i dieci anni successivi insegnò in qualità di professore nelle università e nei licei francesi: è stato in questo periodo che Senghor, insieme ad altri intellettuali africani venuti a studiare nella capitale coloniale, coniò il termine, e concepì il concetto di negritudine, intesa come riscoperta e riappropriazione della cultura africana, in risposta alla cultura europea imposta dai colonizzatori in quanto ritenuta superiore. Nel 1939, Senghor fu arruolato nell’esercito francese ed entrò a far parte della 59ª divisione della fanteria coloniale. Un anno dopo fu fatto prigioniero dai tedeschi a La Charité sur Loire. Nel 1942  Senghor venne rilasciato per motivi di salute e decise di reintraprendere la carriera di insegnante sebbene in breve tempo aderì alla Resistenza.

Nel 1946  divenne deputato dell’Assemblea Nazionale francese e due anni dopo fondò un proprio movimento politico: il Blocco Democratico Senegalese. Nel 1951  venne rieletto al parlamento e nel 1956, al termine del suo mandato, divenne sindaco della città di Thies (Senegal). Nei primi anni cinquanta Senghor fu un sostenitore dell’integrazione dei possedimenti africani della Francia nella progettata Comunità federale europea e in seguito un sostenitore del federalismo per gli Stati africani di recente indipendenza, propugnando una sorta di Commonwealth. Fedele alle sue idee, divenne nel 1959  presidente della Federazione del Mali(Senegal e Sudan francese) e al suo sfasciarsi, l’anno successivo, presidente della repubblica del Senegal. In questa veste, pur tra gravi difficoltà economiche (la nazione vive sulla monocultura dell’arachide) ed ambiguità (la nazione dipendeva in larga misura dalla Francia), cercò di realizzare un socialismo umanistico e cristiano. Nel 1963, in seguito a un fallito tentativo di colpo di Stato, il partito di Senghor restava l’unico partito politico a non essere messo fuori legge. Sotto la spinta della contestazione studentesca, nel 1976 il presidente è costretto a reintrodurre, seppure con molte limitazioni, il multipartitismo. Nel 1974  ricevette il premio letterario Guillaume Apollinaire per l’insieme delle sue opere poetiche.

Nell’ottobre 1980, prima della fine del suo quinto mandato consecutivo, Senghor rassegna le dimissioni in favore del suo successore, Abdouf Diouf. Divenne Presidente dell’Académie française il 2 giugno 1983, diventando di fatto, il primo africano a sedere nella prestigiosa istituzione. Ha trascorso gli ultimi anni della sua vita con la moglie, in Verson, vicino alla città di Caen in Normandia, dove è scomparso il 20 dicembre 2001.

(poesie tratte da Poesie dell’Africa, Giovane Africa edizioni Pontedera, 2013,a cura di Mohamed Seck)

Grattacieli di New York

Grattacieli di New York

A NEW YORK

New York! Mi ha confuso,dapprima, la tua bellezza, queste grandi
ragazze d’oro dalle lunghe gambe.
Così timido,dapprima,di fronte, ai tuoi occhi di metallo blu, il tuo
sorriso di brina.
Così timido. E l’angoscia nel fondo delle vie dei grattacieli
Che leva ai suoi occhi di civetta fra l’eclisse del sole.
Solforosa la tua luce e livide le antenne, le cui punte folgorano il cielo
I grattacieli che sfidano i cicloni sui loro muscoli d’acciaio e la pelle
patinata di pietre.
Ma quindici giorni sui marciapiedi calvi di Manhattan
-E alla fine della terza settimana vi assale la febbre con un balzo di
giaguaro.
Quindici giorni senza pozzo né pascolo, tutti gli uccelli dell’aria
Che cadono morti all’improvviso sotto le alti ceneri delle terrazze.
Non un riso di bimbo in fiore, la sua mano nella mia fresca mano
Non un seno materno, solo gambe di nylon. Gambe e seni senza
sudore né odore.
Non una parola tenera nell’assenza di labbra, solo cuori artificiali
pagati con moneta solida
E non un libro in cui leggere la saggezza. La tavolozza del pittore
fiorisce di cristalli di corallo.
Notti d’insonnia e notti di Manhattan! Così agitate di fuochi fatui,
mentre il claxon urlano ore vuote
E le acque scure trasportano amori igienici, come i fiumi in piena
cadaveri di bambini.
Ecco il tempo dei segni e dei conti
New York! Ecco il tempo della Manna e dell’issopo.
Basta ascoltare le trombe di Dio, il tuo cuore battere al ritmo del
sangue il tuo sangue.
Ho visto in Harlem fremente di rumori di colori solenni e di odori
folgoranti
Questa è l’ora del tè in casa del rappresentante di prodotti farmaceutici
Ho visto prepararsi la festa della Notte alla fuga del giorno.
Proclamo la notte più veritiera del giorno.
Questa è l’ora in cui nelle vie, Dio fa germogliare la vita di prima
della memoria.
Tutti gli elementi anfibi raggianti come soli.
Harlem Harlem! Ecco che ho visto Harlem Harlem! Una brezza verde
di grano sorgere dai selciati solcati dai piedi nudi di danzatori Dan
In groppa onde di sera e seni come punte di lancia, balletti di ninfe e
maschere favolose
Ai piedi dei cavalli di polizia, i manghi dell’amore rotolare dalle case
basse.
E ho visto, lungo i marciapiedi, ruscelli di rum bianco ruscelli di latte
nero nella nebbia azzurra dei sigari.
Ho visto il cielo nevicare alla sera fiori di cotone e ali di serafini e
pennacchi di stregoni.
Ascolta Ne York! Ascolta la tua voce maschia di rame la tua voce vibrante
di oboe, l’angoscia ostruita delle tue lacrime piombare in
grossi grumi di sangue
Ascolta battere in lontananza il tuo cuore notturno, ritmo e sangue del
tam-tam,tam-tam sangue e tam-tam.
New York! Dico New York, lascia affluire il sangue nero nel tuo sangue
Che lubrifichi le tue articolazioni d’acciaio, come olio di vita
Che dia ai tuoi ponti la curva delle groppe e l’elasticità delle liane.
Ecco tornare i tempi antichissimi, l’unità ritrovata la riconciliazione
del leone del toro e dell’albero
L’idea legata all’atto,l’orecchio al cuore, il segno al senso.
Ecco i tuoi fiumi sonori di caimani muschiati e di Lamantini dagli
occhi di miraggio. E nessun bisogno di inventare le sirene.
Ma basta aprire gli occhi all’arcobaleno d’aprile,
E le orecchie, soprattutto le orecchie, a Dio che con un riso di
sassofono creò il cielo e la terra in sei giorni.
E il settimo giorno, dormi del grande sogno negro.

Léopold Sédar Senghor 2

ASSASSINI

Sono là distesi lungo le strade conquistate, lungo le strade del disastro,
Come snelli pioppi, statue di dèi drappeggiati nei lunghi martelli
d’oro,
I prigionieri senegalesi tenebrosamente coricati sulla Terra di Francia.
Ma invano fu stroncato il riso tuo, il fiore più nero della tua carne,
Tu sei il fiore della bellezza prima, in tutto questo vuoto deserto di fiori,
Sei fiore nero dal sorriso grave, diamante d’un’epoca perduta.
Voi siete il limo e il plasma della primavera virente del mondo
La carne siete della coppia primigenia, il ventre fecondo, il seme
E la foresta irriducibile, vittoriosa di fuoco e folgore.
Il canto vasto del sangue vostro vincerà macchine e cannoni
La vostra parola palpitante, i sofismi e le menzogne
Senz’odio voi che ignorate l’odio, senza astuzia voi che ignorate
l’astuzia.
O martiri neri, razza immortale, lasciate che dica parole che
perdonano.

Léopold Sédar Senghor

Léopold Sédar Senghor

MASCHERA NEGRA
A Pablo Picasso

Lei dorme, riposa sul candore della sabbia.
Koumba Tam dorme. Una palma verde vela la febbre dei capelli, color
di rame la fronte curva.
Le palpebre chiuse,coppa duplice e sorgenti sigillate.
Questa falce sottile di luna, questo labbro più nero e appena tumido,
dov’è il sorriso della donna complice?
Le patene delle gote, il disegno del mento, cantano l’accordo muto.
Viso di maschera chiuso all’effimero, senza occhi, senza materia.
Testa di bronzo perfetta con la patina del tempo
Che non imbrattano belletti né rossetti, né rughe, né tracce di lacrime
o di baci.
O viso tale come Dio t’ha creato prima della memoria stessa dell’età.
Viso dell’alba del mondo, non ti aprire come una gola tenera per
commuovere la mia carne.
Io ti adoro, o Bellezza, con il mio occhio monocorde!

Léopold Sédar Senghor

Léopold Sédar Senghor

E IL DISCO INFUOCATO DEL SOLE

E il disco infuocato del sole declina nel mare vermiglio.
Ai confini della foresta e dell’abisso, mi perdo nel dedalo del sentiero.
L’odore m’insegue forte e altero, a pungere le mie narici
Deliziosamente. Mi insegue e tu mi insegui, mio doppio.
Il sole si immerge nel’angoscia
In una messe di luci, in un’esultanza di colori e di grida irose.
Una piroga sottile come un ago nella ferma intensità del mare,
Uno che rema e il suo doppio.
Sanguinano le rocce di Capo Nase, quando lontano si accende il faro
delle Mamelles.
Al pensiero di te, così mi trafigge la malinconia.
Penso a te quando cammino e quando nuoto,
seduto o in piedi, penso a te mattina e sera,
La notte quando piango e sì, anche quando sono felice
Quando parlo e mi parlo e quando taccio
Nelle mie gioie e nelle mie pene. Quando penso e non penso,
Cara penso a te.

9 commenti

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9 risposte a “POESIE SCELTE di Léopold Sédar Senghor (1906-2001) a cura di Valerio Gaio Pedini

  1. Léopold Sédar Senghor, “Donna nera”
    .
    Donna nuda, donna nera
    Vestita del tuo colore che è vita, della tua forma che è bellezza!!
    Sono cresciuto alla tua ombra; la dolcezza delle tue mani mi bendava gli occhi.
    Ed ecco che nel cuore dell’Estate e del Meriggio
    Ti scopro Terra Promessa, dall’alto di un alto colle calcinato
    E la tua bellezza mi folgora in pieno cuore come il lampo di un’aquila.
    .
    Donna nuda, donna oscura
    Frutto maturo dalla carne piena, estasi cupa di vino nero, bocca che rende la mia bocca lirica,
    Savana di puri orizzonti, savana che fremi alle carezze ardenti del Vento dell’Est
    Tamtam scolpito, tamtam teso che tuona sotto le dita del Vincitore
    La tua voce profonda di contralto è il canto spirituale dell’Amata.
    .
    Donna nera, donna oscura
    Olio che alcun respiro riesce a increspare, olio calmo sui fianchi dell’atleta, sui fianchi dei principi del Mali
    Gazzella dalle giunture celesti, le perle sono stelle sulla notte della tua pelle
    Delizie dei giochi della mente i riflessi dell’oro che rosseggia sulla tua pelle che si screzia
    All’ombra della tua capigliatura si rasserena la mia angoscia per il sole vicino dei tuoi occhi.
    .
    Donna nuda, donna nera
    Canto la tua bellezza che passa, forma che fisso nell’Eterno,
    Prima che il destino geloso ti riduca in cenere per nutrire le radici della vita.
    *

    Un omaggio al poeta Valerio Gaio Pedini per il suo buon lavoro su Léopold Sédar Senghor, mio amato poeta della “Nègritude”

    Giorgina Busca Gernetti

  2. Valerio Gaio Pedini

    ti ringranzio, Giorgina Busca Gernetti. E ringranzio soprattutto Giorgio nell’aver pubblicato questo mio primo capitolo alla poetica dell’arte africana.

  3. antonio sagredo

    mi sorprende positivamente l’interesse di gaaio Valerio per la poesia africana, chee cominciai a stimare quando lessi l’antologia curata da Pasolini; quindi invito Valerio a leggerla. Abbracci — a.s.

  4. Io ho conosciuto Léopold Sédar Senghor al ginnasio grazie a una bravissima insegnante di italiano che spaziava molto oltre il programma ministeriale di letteratura, portando lei in classe i suoi libri.
    Così ho conosciuto, e me ne sono innamorata, Rabindranath Tagore e il grande poeta africano, su cui Gaio Valerio (ops”… Valerio Gaio) ha dato una bella prova d’ampiezza e profondità d’interessi.
    Leggerò molto volentieri i prossimi capitoli.

    Giorgina BG

  5. Valerio Gaio Pedini

    la poesia africana tocca livelli elevatissimi e livelli molto populisti, la studio da anni, la cultura africana e quella orientale, in effetti è sempre una scusa per andare oltre alla fossilizzazione di questa nazionalità scialba di significato. Il prossimo appunto è sulla poetica di Picasso.Per gli altri appunti sulla negritudine e l’arte africana e afroamericana eh, c’è tempo. Premetto che a differenza della mia indole polemica di sbaraglio, lo studio del precedente mi ha sempre interessato e ho sempre cercato di immagazzinarlo, evitando di copiare. E lo attesta il fatto che abbia aggiunto Gaio al mio nome.

  6. Stupendo poeta e stupendo uomo politico non mi stanco mai dei suoi scritti.

  7. Pingback: Riso rosso con mafé di vitello rivisitato per MTChallenge Taste the world | GiocaSorridiMangia

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