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Signor Ping, Signor Jitter, Signor Packet Loss, Signor Rtt, Signor Throughput, poesie kitchen di Alfonso Cataldi, Misunderstanding delle interfacce di rete, Una Domanda: Perché si parla? Intervista a Marie Laure Colasson, Letizia Leone, Giorgio Linguaglossa da parte della associazione eumeswil sulla Poetry kitchen, il Collasso del Simbolico e la Catastrofe Permanente – E il linguaggio poetico?

foto nuvole artificiali

Odisseo è vestito con un cappotto sovietico anni cinquanta
Guida un camion che trasporta nuvole artificiali per il Donbass
Una nuvola per un Euro
Ha ingoiato una intera scatola di Fripass
Ha fatto un twitter con la foto di un camion che trasporta delle nuvole
«Adesso – ha dichiarato alla stampa – commercio con Poseidone per far piovere, qui c’è siccità!»
Ha avuto molto successo
Poi è tornato ad Itaca
Dove ha messo in piedi impianti eolici e fotovoltaici, potenza rinnovabile installata del gruppo duemilacinquecento gigawatt GW.
Nell’esercizio 2023 i ricavi delle vendite e prestazioni del gruppo sono balzati da 11.352 a 22.946 milioni e i ricavi totali

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(Giorgio Linguaglossa)

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Alfonso Cataldi

Misunderstanding delle interfacce di rete

Un po’ di anni fa (forse la Poetry kitchen non era ancora nata) un comico diceva che alla nascita ogni cittadino deve avere il diritto ad una connessione Internet. Ero molto d’accordo. Alla luce della mia attività lavorativa degli ultimi mesi, devo convenire che quella richiesta non era sufficiente. No, perché una connessione Internet, per non causare stress quotidiano al cittadino, è necessario che sia performante. A tal proposito, ho fatto la conoscenza di cinque Signori distinti, cinque protagonisti di ogni segmento di rete dati, che rispondono al nome di Signor Ping, Signor Jitter, Signor Packet Loss, Signor Rtt e Signor Throughput. Il primo è il padre dei successivi tre, l’ultimo è il primo indiziato quando l’utente si lamenta. Il signor Ping lancia pacchetti dati da un device verso un server di destinazione e misura il tempo impiegato dal singolo pacchetto a raggiungere il destinatario. È necessario ripetere la misura costantemente ed osservare come varia nel tempo; ecco che Il Signor Jitter apre il suo taccuino e prende nota del ritardo medio. Se il traffico è molto elevato e quindi gli apparati di rete troppo impegnati a smistarlo nelle giuste direzioni, succede che alcuni pacchetti non arrivino a destinazione. Il Signor Packet Loss è il freddo censore, forse ha una pistola nella tasca, ma il device non si perde d’animo: tenta e ritenta fino a che non lo assale lo sconforto ed allora alza bandiera bianca. Il più impegnato è il Signor Rtt detto anche galoppino perché deve fare il percorso due volte: quello di andata e quello di ritorno per confermare al mittente che il pacchetto è stato recapitato. Insomma comprenderete bene che se parliamo di milioni di pacchetti al minuto e di milioni di device connessi a Internet, più l’infrastruttura messa a disposizione è ampia, cioè più la banda alta e il Signor Throughput basso, e più il traffico risulta scorrevole. Ma l’infrastruttura costa, il cliente vuole risparmiare e si raggiunge facilmente la congestione. È il caos: si salvi chi può.

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Jitter si fa largo tra le metriche di una cefalea
Il preambolo non è d’obbligo.

Fatela ballare Sanna Marin.
Non fatela smettere mai.

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Rtt è in affanno ma potrebbe essere un inganno
una metrica outdated come tante altre dell’ultima mezz’ora.

Il consumer digerisce tutto
cosa dice il sample time dei confini tra l’Europa e l’Asia?

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Il Throughput al 90% allerta i generali Germanico e Tallia.
In punta di poliptoto disarcionano gli spinner più vistosi sullo schermo.

Cresce l’incertezza tra i plebei dei cinque continenti (qualcuno dice sei)
I giornali ogni giorno escono con qualche pagina in meno e una manciata di trafiletti in più.

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Trentamila misure dallo shadow router in un minuto e venti
L’ultima rilevazione è la penultima ma il software non fa in tempo ad ignorarla che arriva la terz’ultima.

Il prezzo del petrolio sale… scende…
è tornato ai valori di sei mesi fa

Il bonus energia forse verrà introdotto nella manovra della notte
se non scappa la manina con qualche novità.

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Packet loss non ha diritto a ferie e malattia
presiede “l’ufficio dell’ansia da prestazione” ma è sempre sul cantiere.

La prenotazione del volo ha esitato per trenta secondi abbondanti
domani sapremo di pacchetti terminati in qualche anfratto e morti.

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Il fascino di Ping arriva da lontano
non cambia acconciatura dal lontano ’83

«Oggi ho dato a Klea un biglietto pieno di cuoricini
Aurora in classe non mi guarda più»

Chi lo spiega al cliente dei sussulti
nel foglio Excel bi-settimanale?

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La Signora Speed delle autostrade ha usato Volume Boost per la messa in piega dei capelli.

Non teme code o bollini neri per il ponte prossimo pasquale.

Una bellissima litoranea per la migrazione delle farfalle.

Il trasporto di armi e coltelli non è garantito.
La clausola c’è ma non è pubblicizzata.

Germanico e Tallia risparmiano parole e
glassano il tempo
preparano missive che non alludono a strade alternative

La stagione che chiude il pensiero occidentale?

(08 aprile2023)

Foto manichino con vestiti su stampelle

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Rtt è in affanno ma potrebbe essere un inganno
una metrica outdated come tante altre dell’ultima mezz’ora.
Il consumer digerisce tutto
cosa dice il sample time dei confini tra l’Europa e l’Asia?
(Alfonso Cataldi)

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Giorgio Linguaglossa

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Marie-Laure Colasson, Les choses de la vie, Progetto Cultura, Roma, 2022, pp. 126, 12 €, Nota di lettura di Edith Dzieduszycka, Qualsiasi ierofania mi è ostile ed estranea, Nella mia poesia non troverete mai le parole che diventano la «potenza» della negazione o la «potenza» della affermazione, che vogliono il reale come Nulla, e sono quindi Nihil, nichilismo (M.L. Colasson)

Marie Laure Colasson Les choses de la vie

Chi sa perché, mi affiora spesso in mente l’antico giuoco delle somiglianze e delle affinità, che applico a persone sconosciute o celebre in momenti di svago mentale o d’insonnia!

Così, dopo la lettura del suo libro, Les choses de la vie, ora pubblicato da Progetto Cultura con dotti commenti di Giorgio Linguaglossa, mi è venuta in questa notte bianca la voglia di scegliere un animale da abbinare in qualche modo a Milaure! E’ stato fulmineo! En un clin d’oeil mi è subito sbalzata nel pensiero l’immagine della libellula! Creatura sinuosa e danzante, raffinata e rarefatta, leggera e scintillante, dal pallore un po’ evanescente, il cui volo a zigzag veloce e imprevedibile la porta di qua di là sulle acque dello stagno, alla ricerca di un cibo nascosto o semplicemente di un giunco degno della sua attenzione.

Dotata di ali luminescenti e frementi al minimo soffio di vento, è arduo seguire il suo percorso. Tout comme è spesso difficile seguire la poesia di Marie-Laure, che non può e non vuole dimenticare o rinnegare le sue origini. Ci trasporta così, attraverso colte citazioni e rimandi, insieme a personaggi ricorrenti, la blanche geisha, Eredia, Lilith, la comtesse Bellocchio, Eglantine e Sarah e tanti altri, nel mondo cosmopolita e soprattutto francese del ‘900, tra i versi di Rimbaud e Verlaine, sulle musiche di Satie e Ravel, illuminati dal demone verde elettronico (ndr. la sigaretta elettronica che l’autrice fuma). Un mondo in cui n’importe quoi peut arriver à n’importe chi!

Contenitore senza fondo di tutte le meraviglie, vaso di Pandora dalle capacità inesauribili, le sac crocodile si riempie e si svuota al ritmo della danza e d’una coreografia sempre in movimento di clown pailletés e coccinelle.

Un tour de force d’inventiva, d’immaginazione, di reminiscenze a 360°, con gli accostamenti più strambi ed imprevisti che ci trascinano in una ronda infernale in cui vizio e virtù si danno la mano per dipingere le tele più folli ove spadroneggia un Francis Bacon imperioso seduto sul suo trono-poltrona di velluto grenat.

Copertina ispirata a Rotella, con quella gamba rossa e aguichante emergendo dagli strappi a conferma della frammentazione di stile e percorso mentale. Una lettura saltellante e brillante che non ti lascia un attimo di requie, ma ti spinge e trascina in tutte le direzioni sul suo carosello impazzito!

(Edith Dzieduszycka, 1 luglio 2022)

Sedie comuni ridipinte da Marie laure Colasson

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Qualsiasi ierofania mi è ostile ed estranea.

Penso che la mia poesia sia afanica, drasticamente materica, diafana e diafanica.

L’arte oggi attraversa tutti i suoi momenti senza poter mai giungere a un’opera che esprima il positivo, giacché non può mai identificarsi con alcuno dei momenti del positivo. Nella mia poesia non troverete mai un momento in cui si dice il positivo di un enunciato e né il positivo di una negazione. Affermazione e negazione facevano parte di quella metafisica che intendeva le parole che contenevano una intenzionalità verso […] una direzione verso […]. Non troverete mai le parole che diventano la «potenza» della negazione o la «potenza» della affermazione, che vogliono il reale come Nulla, e sono quindi Nihil, nichilismo. Il termine non è ovviamente hegeliano ma post-heideggeriano, come post-heideggeriana è la conclusione del concetto dell’arte nella surmodernità: Oggi la nuova metafisica che è la Tecnica nuda non  dà alcun nichilismo, non ci consegna alcun Nihil ma ci fornisce il Pieno in grandissima quantità: il Pieno dei markettifici, il pieno di benzina, il pieno del negotium che ha sostituito l’otium. Tutto ciò non coincide con nessuna essenza dell’arte nel punto estremo del suo destino (hegelianamente inteso); in entrambe le soluzioni l’essere dell’arte si destina all’uomo come un qualcosa che non può essere pronunciato, chiamato, definito. Probabilmente, finché il nichilismo governerà segretamente il corso della storia dell’occidente, l’arte non uscirà dal suo interminabile crepuscolo, un crepuscolo pieno di «cose piene», ovviamente.

(Marie Laure Colasson)

Le prime sei composizioni di Les choses de la vie

1.

Son petit pain fourré au champagne le matin
des cigarettes en chocolat dans ses poches trouées

Un merle chante au centre du silence
un merle chante faux dans un silence aveuglant

Assis sur une photo de Doisneau séchant dans la baignoire
solitude sans silence

Eglantine boit le champagne suce le chocolat
avale la photo engloutie au fin fond de son lit

Sa photo à côté du lit
è definitivo coup de poignard

Dans la chambre émanation de cadmium red
elle poignarde le temps le merle s’envole

Putride le déclin convulsif le temps
elle tressaille engloutie au fin fond de son lit

La chambre est rouge

*

La sua ciambella farcita allo champagne al mattino
delle sigarette al cioccolato nelle sue tasche bucate

Un merlo canta al centro del silenzio
Un merlo canta falso nel silenzio accecante

Seduto sopra una foto di Doisneau si asciuga nella tinozza
solitudine senza silenzio

Eglantine beve lo champagne succhia il cioccolato
Inghiottisce la foto inabissata al fondo del letto

La sua foto accanto al letto
è definitivo colpo di pugnale

Nella stanza emanazione di cadmium red
Lei pugnala il tempo il merlo s’invola
Putrido il declino convulso il tempo
lei rabbrividisce inabissata in fondo al letto

La stanza è rossa

2.

Les couleurs dansent sur la pointe d’une aiguille
Menaçant le rouge de devenir violet

Rouges violettes les fleurs sur le balcon
dans le cercueil de Paul Cézanne des photos éparpillées

Sarah dans le tunnel s’en empare pour gommer leurs mémoires

Le cercueil furieux s’échappe en Rolls Royce
boit son thé au jasmin se brûlant les entrailles

Sarah prend un chiffon bleu outremer
pour nettoyer ces fragments d’archéologie

Les couleurs les photos se transforment en gélatine
pour construire un incertain devenir

Que de photos éparpillées sur le sol
archéologie du passé

Son rimmel a coulé un autre théâtre
avec un chiffon efface la mémoire

……échappatoire

*

I colori ballano sulla punta d’un ago
minacciano il rosso di diventare viola

Rossi viola i fiori sul balcone
nella bara di Paul Cezanne delle foto sparpagliate

Sarah dentro il tunnel se ne impadronisce per cancellare le loro memorie

La bara furiosa se ne scappa in Rolls Royce
beve il suo tè al gelsomino si brucia le viscere

Sarah prende uno straccio blu oltremare
per pulire questi frammenti d’archeologia

I colori le foto si trasformano in gelatina
per costruire un incerto avvenire

Quante foto sparpagliate sul pavimento
Archeologia del passato

Il suo rimmel si è sciolto un altro teatro
con lo straccio cancella la memoria

….scappatoia

Marie Laure Colasson Notturno 9 collage 30x25 cm 2007M.L. Colasson, Collage, Notturno, 30×25, 2007

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L’ideologia è diventata non-ideologia, Tre poesie inedite di Marie Laure Colasson, da Les choses de la vie, Riflessioni di Slavoj Žižek e Giorgio Linguaglossa, L’immagine permette di vedere al di là dell’immagine

Marie Laure Colasson Pannello bidle 88 1 20 cm 1980

[Marie Laure Colasson, Pannello bidimensionale 88×1,20 cm 1980]

Giorgio Linguaglossa

Abbiamo lasciato alle spalle per sempre la poesia di «Sua Maestà l’io», per usare una dizione di Freud. Ormai quel tipo di poesia non ci interessa più, e non credo che interessi la cittadinanza. Non che sia impossibile dire ancora qualcosa di significativo sul mondo partendo dall’io, forse è ancora possibile parlare di muffe alle pareti ma è che questa posizione difetta di pensiero filosofico e critico, continua a parlarci dell’ombelico, e la poesia di Louise Gluck ne è un esempio implacabile. In Italia tutta la poesia maggioritaria di Roma e di Milano fa una poesia di questo tipo… personalmente penso che sia una poesia che non ha più niente da dirci di significativo sul mondo. E bene fanno i lettori e il pubblico a non chiederle più niente perché non ha niente da dire. Forse sbaglierò, sbaglieremo, ma occorrerà prima o poi dirle queste cose nel Bel Paese. Io ad esempio ritengo che una poesia come quella di Mario Gabriele postata sopra (https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/10/13/prufrock-ed-eliot-due-gendarmi-della-rivoluzione-francese-o-del-68-poetry-buffet-poetry-kitchen-poesia-pop-corn-il-mondo-preistorico-della-poesia-di-mario-m-gabriele-con-il-punto-sulla-i-di-gior/ ) abbia molto più da dirci sull’essenza del nostro mondo che non quella di Louise Gluck.

Riguardo alla questione del soggetto e dell’io vorrei ricordare la posizione di un filosofo critico e militante dei giorni nostri: Slavoj Žižek. Un bel bicchiere di Žižek scaccia tutti i guai legati ai pregiudizi e alla mistica del pensiero non critico.

Scrive Slavoj Žižek:

«È necessario far riferimento al fantasma fondamentale, inteso come concetto presente in Freud e Lacan, e da questi definito come la più intima essenza del soggetto, come la definitiva cornice proto-trascendentale del mio desiderare che proprio in quanto tale rimane inaccessibile alla mia comprensione soggettiva; il paradosso del fantasma fondamentale è che l’essenza stessa della soggettività, lo schema che garantisce l’unicità del mio universo soggettivo mi è inaccessibile. Nel momento in cui mi avvicino troppo, la mia soggettività e auto esperienza perdono consistenza e si disintegrano».1

La poesia kitchen che noi facciamo, o che tentiamo di fare, ha a che fare con il «fantasma» più che con le muffe alle pareti dell’io, come scrive Gino Rago, viviamo in un mondo di spettri e di fantasmi, il Reale è popolato di fantasmi, prima o poi la poesia italiana dovrà prenderne atto.

“Più reale del reale, il fantasma è nell’oggetto più dell’oggetto stesso”.2

L’ideologia funziona in questo modo, sostiene Žižek : non si tratta di una illusione che costruiamo per sfuggire ad una realtà insostenibile, ma al contrario, l’ideologia è una costruzione fantasmatica che serve da supporto alla realtà, un’illusione che struttura le nostre relazioni sociali mascherando un certo nocciolo insostenibile, “reale”, impossibile. L’obiettivo dell’ideologia allora non è quello di offrirci una scappatoia dalla realtà, ma di offrire la realtà sociale stessa come scappatoia da qualcosa di più traumatico.

I generi artistici nelle nostre società di marketing operano tutti come illusioni, supporti del Reale, svolgono cioè una funzione di sostegno del Reale, intrattengono il pubblico in modo soddisfacente. Un genere artistico che non corrisponde al marketing universale qual è diventata la cultura nel mondo globale, viene ad essere esautorata della sua funzione critica, viene letteralmente espulsa dal marketing. Il mondo globale non ha neanche bisogno di una «amministrazione» (in tal senso la posizione di Adorno pecca ancora di illuminismo), ne fa a meno, e lascia tutto nelle mani del marketing e della pubblicità. L’ideologia è diventata non-ideologia.

L’ideologia non è soltanto una falsa coscienza, un’illusoria rappresentazione della realtà, ma piuttosto è la realtà stessa ad essere già pronta per venire concepita come ideologia. Ideologica, allora, sarà una realtà la cui esistenza implica una certa non consapevolezza da parte dei suoi attori. In altri termini l’ideologia (e dunque con essa la realtà), è una formazione di tipo sintomatico: una formazione la cui vera consistenza implica una certa non conoscenza da parte del soggetto, una formazione significante portatrice di jouis-sense, un sinthomo, sintomo con cui il soggetto sfugge alla follia, scegliendo “qualcosa” (formazione sintomatica) in luogo del niente (autismo psicotico), in luogo della distruzione dell’universo simbolico. Ecco perché la definizione finale del processo psicoanalitico secondo Lacan è l’identificazione con il sintomo: l’analisi finisce nel momento in cui il paziente riconosce nella realtà del suo sintomo l’unico supporto del suo essere. Ecco perché in definitiva il supporto dell’effetto ideologico è il “non sensical”, nocciolo pre-ideologico del godimento: così nell’ideologia, spiega Žižek, tutto è non-ideologia, ovvero non è significato ideologico. E questo surplus è proprio il vero supporto dell’ideologia.

1 S. Žižek, Lacrimae rerum, cit., p.217.
2 Ibidem

[Marie Laure Colasson, Structure, 82×33 cm 2010]

Tre poesie inedite di
Marie Laure Colasson, da Les choses de la vie di prossima pubblicazione

15.

Eredia rêve de ressembler à un tableau de Vermeer
se pare d’un collier et boucles d’oreille où scintillent les perles
ajuste un large chapeau rouge une étole d’hermine
et divine s’installe sur un banc aux jardins du Luxembourg
en guerrier de passage Scipion l’Africain la regarde
en amazone la fait monter sur son étalon
pour aller détruire Cartage

La blanche geisha boit un pur élixir artisanal
se retrouve à onze ans sur la branche d’un figuier
mange quelques fruits murs en dessinant des oiseaux sur son cahier
son cahier tombe à terre les oiseaux s’envolent
en véritable jeu d’équilibre ils sautillent de branche en branche
rompus de fatigue après un tel exploit
ils se recomposent en dessins
et colorent leur plumage sur la page blanche du cahier

Un pied à 4 doigts attrape un maker-painting
court à Naples dans le quartier espagnol
et en tagger dessine des graffitis acrobatiques

La sable du désert s’élève recouvre les corps planétaires
de Mercure Venus Mars Jupiter
ceux-ci se heurtent au soleil
provocant une véritable guerre de religion

*

Eredia sogna di assomigliare a un quadro di Vermeer
si orna di una collana e orecchini dove scintillano le perle
aggiusta un largo cappello rosso una stola d’ermellino
e divina si installa su una panca nei jardins du Luxembourg
un guerriero di passaggio Scipione l’Africano la guarda
la fa salire da amazzone sul suo stallone
per andare a distruggere Cartagine

La bianca geisha beve un puro élixir artigianale
si ritrova a undici anni sul ramo di un fico
mangia qualche frutto maturo mentre disegna uccelli sul suo taccuino
il quaderno cade a terra gli uccelli prendono il volo
in un vero gioco d’equilibrio saltellano di ramo in ramo
affranti di stanchezza dopo un tale exploit
si ricompongono in disegni
e colorano il loro piumaggio sulla pagina bianca del taccuino

Un piede a 4 dita afferra un marker-painting
corre a Napoli nel quartiere spagnolo
e da tagger disegna dei graffiti acrobatici

La sabbia del deserto si solleva ricopre i corpi planetari
di Mercurio Venere Marte Giove
i quali si urtano al sole
provocando una vera guerra di religione
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Edith Dzieduszycka, LORO – poemetto – Un esempio di nuova ontologia estetica, con un Commento psicofilosofico di Giorgio Linguaglossa, La sceneggiatura dell’Inconscio che si esprime attraverso il fantasma

Gif pop art

Gif «Loro erano comunque sempre lì»

Io sono nel posto in cui si vocifera che
«l’universo è un difetto nella purezza del Non-Essere»

J. Lacan – Scritti

E dove siete è la dove non siete.

T. S. Eliot – Quattro quartetti

Commento psicofilosofico di Giorgio Linguaglossa

La sceneggiatura dell’Inconscio che si esprime attraverso il fantasma – Una esemplificazione di scrittura poetica della «nuova ontologia estetica»

Nella poesia di Edith Dzieduszycka assistiamo  ad una «rappresentazione scenica» dove l’Io è l’attore principale sottoposto alla persecuzione da parte di altri innumerevoli implacabili nemici: «Loro». In questa rappresentazione scenica abbiamo la messa in mora dell’io, il suo scacco ontologico. La posta in gioco di questa drammatica «sceneggiatura» è in quel rien cui continuamente è ricondotto l’io parlante, l’ex nihilo da cui proviene ogni phoné. Parlare diventa «mancare», la condizione invalicabile dell’esperienza di questo rien. La «rappresentazione» scenica ha come presupposto il «niente» dell’io, la sua «mancanza», il suo venir meno («il mio Schermo delle Meraviglie, la mia Scatola Magica, la mia Scacchiera di Fuoco»). Siamo all’interno di uno dei documenti più significativi del nichilismo contemporaneo. Ma per introdurci nelle segrete stanze delle «rappresentazioni sceniche» della Dzieduszycka dobbiamo fare un passo indietro e ritornare a Freud.

L’io per Freud assolve al compito di regolare, attraverso il principio di realtà la tendenza alla scarica proveniente dall’Es, che agisce sotto il dominio del principio di piacere. Ma l’io è anche un istanza corporea, legata al sistema percezione-coscienza, ad esso spetta, sul piano funzionale, «il controllo delle vie di accesso alla motilità», fine ultimo della scarica pulsionale.1

È l’io che fa i conti, se così si può dire, con il corpo, l’io è un io-corpo in quanto è ad esso che spetta il compito di assicurare la mediazione con il mondo attraverso la dialettica tra percezione, coscienza e inconscio. L’io, insomma, pur nello scacco di non essere «padrone in casa propria», mirerebbe alla padronanza, ed è forse questo tratto che crea la maggiore confusione. Mirare alla padronanza non significa «padroneggiare». L’io assolve, in maniera precaria, a un ruolo in cui, non si risolve. E questo perché ovunque vi sia un piano proiettivo, la rappresentazione che vi si proietta non assicura che essa non sia un miraggio, o quantomeno che tale proiezione non sia reattiva nei confronti di quanto «altrove», nello stesso apparato psichico, si compie ad insaputa dell’io. Ecco allora perché, una volta delimitato il ruolo dell’io, Lacan introduce la nozione di «soggetto», intendendo con ciò qualcosa che non si configura nell’argine posto dall’io, ma che dell’io assume anche la sua parte «oscura». Siamo alla soglia di una svolta importante. Per comprendere cosa sia il «soggetto dell’inconscio» e in che modo si distingua dall’io, per comprendere cosa significhi quella ciò che Lacan chiama «divisione del soggetto».

Gif Donna_Allo_Specchio

L’io è in realtà un soggetto diviso e scisso

L’io è in realtà un soggetto diviso e scisso,

circondato da entità che lo minacciano, lo sovrastano, da presenze ingombranti, da «fantasmi», mostri, paure, inquietudini. All’improvviso, tutto crolla, l’io si rivela essere una fragilissima impalcatura di certezze, di istanze ordinatorie, rassicuranti. Ma cosa è che fa crollare questa mirabile e complicatissima impalcatura di certezze? Cosa è che minaccia l’io se non altri che l’io stesso per il mezzo dei propri sinonimi ed eteronimi? All’improvviso, l’io si accorge che non può più «padroneggiare» nulla, che il suo progetto di signoria e di padroneggiamento sul mondo è crollato come un castello di carte che un alito di vento ha dissolto. L’io è questa istanza che ha smesso di funzionare, non più in grado di razionalizzare il mondo sotterraneo delle pulsioni dell’Es, è una funzione immaginaria alla quale concediamo un credito eccessivo.

L’Es non è l’inconscio, sebbene in esso confluisca il rimosso. L’Es gioca un ruolo importante in rapporto all’Io, Io che sorge sulla base di un movimento reattivo, secondo una modificazione, dice Freud, per la diretta azione del mondo esterno. Ecco allora che appare chiaro che l’Es non essendo l’inconscio è quella parte dell’inconscio in cui confluisce il rimosso, ma con la differenza che in esso le Sachevorstellung sono accompagnate da Wortvorstellung. Se l’inconscio è muto, l’Es parla. «Ça parle». Ecco la provenienza del «Ça parle» di Lacan. Dunque, in questi componimenti di Edith Dzieduszycka non è l’io che parla ma è l’Es che si incarica di parlare al posto dell’io, e lo fa con mezzi («Loro») oltremodo convincenti.

Ecco che giungono all’io le «cose» che derivano da rappresentazioni rimosse, ecco che ritorna sempre di nuovo il rimosso, ecco i «fantasmi» («Loro»), ecco l’Es che bussa alle porte dell’io gettandolo nella disperazione e nell’angoscia. Chi sono «Loro»? Chi sono questi Stranieri? Adesso lo sappiamo, sono le proiezioni dell’io che ritornano indietro minacciosi, persecutori e vendicativi perché qualcosa è stato «Loro» fatto che non può essere silenziato con il rimosso, e che affiora alla coscienza sempre di nuovo.

L’inconscio è un inter-detto, esso non ha nulla dell’oscurità, dell’abissale o di una qualsiasi sorta di magma pulsionale feroce e muto. L’inconscio è sì muto, ma solo perché in esso sono presenti unicamente Sachevorstellung2. L’inconscio pensa, ma pensa-cose. Ciò nonostante, sotto il dominio del Lustprinzip, l’inconscio non può non muovere alla scarica, ed è in questo movimento che lo spinge alla deriva che esso trova le sue parole, incontrando il Realitätprinzip, e cioè la sua dimensione propriamente linguistica. Lo vediamo, ci dice Freud, nei sogni: in essi si apre la «via regia» per l’inconscio, ma altresì vediamo come, nei processi di condensazione e spostamento, si manifestino quei meccanismi che Lacan riconoscerà appartenere alle figure retoriche basilari della metafora e la metonimia; lo vediamo in questo poemetto di Edith Dzieduszycka che si può definire un sogno, o meglio, un incubo ad occhi aperti.

L’inconscio non è l’inconoscibile. L’inconscio si manifesta, seppur attraverso il velo di sintomi, lapsus, sogni, presenze, allucinazioni; il suo manifestarsi consente di avvertirne la presenza. Presenza che non si confonde mai con l’esser presente, con un darsi in carne ed ossa; tuttavia è un manifestarsi che letteralmente sorprende, scuote l’io, lo coglie a tergo del suo discorso posizionale, nel suo voler-dire, nei suoi atti, nei suoi desideri, nelle sue intenzioni, lo coglie cioè in un vacillamento che non è nulla di introduttorio ma che lo investe nel suo stesso fondamento presunto, nella sua presunzione di «essere».

L’inconscio si esprime attraverso il fantasma («Loro») il quale nel suo manifestarsi esclude nella sua campitura l’io in quanto il fantasma è un montaggio, è l’allestimento della pulsione in funzione del desiderio al fine di sostenerlo, di sospenderlo un attimo prima che tutto svanisca, affinché, come Orfeo, non capiti di guardare il volto interdetto di Euridice. Dal punto di vista immaginario, il fantasma («Loro») presenta un aspetto scenico e, dal punto di vista simbolico, è una vera e propria sceneggiatura. Il fantasma («Loro») è quanto raccoglie dal linguaggio la rappresentazione scenica della caducità dell’io, un attimo prima che tutto svanisca.

LA POESIA DI EDITH DZIEDUSZYCKA SOSPESA TRA IL «NULLA» E IL «PIENO» DELLA SCRITTURA: LA CRISI DELL’IO

L’inizio e il finale del poemetto di Edith Dzieduszycka hanno una precipua caratteristica, sono aperti. Ecco l’incipit:

È ovvio che le cose non possono più andare in questo modo.
Devo prendere dei provvedimenti.

Il primo verso si riallaccia a dei precedenti che, però, non sono scritti, presuppongono altre parole che, però, non sono state pronunciate. La poesia proviene dal vuoto di parole che la precede. Ecco una caratteristica della poesia della NOE: il vuoto precede il pieno della scrittura. Una volta aperto il rubinetto della scrittura, ciò che deve avvenire, avviene, si apre la «rappresentazione scenica», il monologo di un Attore: l’io, che si contrappone ai non-io, a «Loro». Voglio dire che, una volta apparsa la scrittura, tutto quel che ne consegue non può che seguire, deve necessariamente seguire. La scrittura poetica è una macchina inarrestabile che deve procedere sino alla fine. I segni di punteggiatura, come bene ha rilevato Gino Rago, sono dei segnali che tentano di trattenere il flusso di coscienza, il fiume di parole che l’io si trova a pronunciare. È un teatro maledetto quello che si apre, uno spazio scenico in cui opera uno psicotico, uno psicotico che ha un solo nome: l’io.

Gli ultimi due versi sono eloquenti, indicano che la partita non è chiusa. È un finale aperto. Ciò vuol significare che ci saranno ulteriori «atti» della rappresentazione, ulteriori prove sceniche. In fin dei conti, quella a cui abbiamo assistito è stata una mera rappresentazione scenica di ciò che avviene allorquando si infrange la barriera del «nulla»:

E morire felice. O forse no.
Chi può saperlo.

Dunque, la grande originalità della poesia di Edith è che lei mette in scena una crisi esistenziale come mai era avvenuto in precedenza nella poesia italiana del secondo novecento, se si fa eccezione per Helle Busacca con i suoi Quanti del suicidio (1972). Ed ecco che i conti tornano. La Dzieduszycka riprende dal punto in cui la Busacca aveva lasciato. Tutto quello che è avvenuto dopo la Busacca può essere messo nel ripostiglio delle parole a perdere, delle parole inutili. Qui, per la prima volta dopo la Busacca, vengono pronunciate delle parole «vere», «pesanti», la Dzieduszycka giunge, a suo modo e con il suo lunghissimo percorso, ad un punto di svolta della tradizione del monologo dell’io. D’ora in avanti la sua poesia rimarrà come stregata da quella scoperta, dalla scoperta che l’io è entrato in crisi inarrestabile, che la felicità del «nulla» è stata infranta perché sono intervenuti «Loro». Di qui il discorso poetico tipicamente dzieduszyckiano: con frasi brevi, secche, intervallate dai segni base della punteggiatura, la virgola e il punto, una successione paratattica che giunge fino al buco nero della significazione, fino al punto estremo della crisi dell’io.

A questo punto, parlare del distinguo: prosa o poesia è, a mio avviso, specioso. Arrivati a questo punto della crisi, non c’è più differenza alcuna tra la prosa e la poesia (intese nel senso convenzionale, convenzionalmente novecentesco). E qui si apre un nuovo discorso per la poesia contemporanea italiana. Questo poemetto di Edith ha un valore inaugurale (non in senso corrivo e usuale del termine) inaugura un nuovo modo di fare poesia. Questo per chi ha orecchi sensibili, per chi può intendere e volere. È una poesia che apre, non chiude….

Alcune digressioni sul concetto di «nulla»

Vorrei aggiungere due parole sul concetto di «nulla» da cui proviene la scrittura poetica della Dzieduszycka e quella della NOE in generale. Il nulla può essere «pensato» come uno stato di quiete (di equilibrio) delle forze elettrodeboli che possono diventare, in determinate circostanze, elettroforti. La scrittura poetica di questo poemetto ci richiama con forza verso il «nulla», ci fa avvertire la sua prossimità. Ad un certo punto, l’equilibrio elettroforte del «nulla» è diventato «debole» e si è prodotta la scrittura poetica della Dzieduszycka. La scrittura poetica come un Big Bang in miniatura. Semplice, no? – Ma che cos’è il «nulla»? Ma è ovvio che l’io si difende con tutte le forze dalla sua origine, che è lo stato immobile del «nulla», tutta la volontà di potenza dell’io si dispiega perché il «nulla» ha lasciato dietro di sé un piccolissimo varco, appena un punto, da cui si è originato l’io e la scrittura dell’io.

Il «nulla», dunque. Andrea Emo negli Aforismi de Il Dio negativo. Scritti teoretici 1925-1981, pubblicati da Massimo Donà e Gasparotti nel 1989: “Il nulla è l’assoluto che si annulla, appunto perché il nulla è l’assoluto […] L’origine è il nulla, in quanto è l’origine che si annulla […], cioè è l’annullarsi dell’origine; l’origine è l’atto dell’annullarsi, del suo annullarsi […]”.

Questo pensiero ci dice qualcosa di importante intorno alle vicissitudini del «nulla». Ha fatto ingresso l’ulteriore stadio del nichilismo. E la poesia italiana non poteva non prenderne atto.

Scriveva Andrea Emo nel libro citato:

«La presenza di tutto ciò che è presente è in realtà la presenza dello stesso Nulla originario […]. L’essere, cioè, non è al posto del nulla — non c’è l’essere invece del nulla. Bensì l’essere è la stessa presenza del nulla (il nulla non è presente se non come essere)»

La scrittura poetica della Dzieduszycka è un venire alla presenza, un distogliersi dal nulla per venire alla presenza di nient’altro che di se stessa, perché prima di essa c’è il nulla e dopo di essa c’è, egualmente, il nulla.

 

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ANTOLOGIA BREVE della Nuova Ontologia Estetica: Poesie di Raymond Carver, Francesca Dono, Steven Grieco-Rathgeb, Ubaldo de Robertis, Petr Král e collage di Commenti vari di Giorgio Linguaglossa – Siamo dentro la tematica del nulla. Siamo nel mezzo del nichilismo.

Raymond Carver: Tre poesie

Compagnia

Stamattina mi sono svegliato con la pioggia
che batteva sui vetri. E ho capito
che da molto tempo ormai,
posto davanti a un bivio,
ho scelto la via peggiore. Oppure,
semplicemente, la più facile.
Rispetto a quella virtuosa. O alla più ardua.
Questi pensieri mi vengono
quando sono giorni che sto da solo.
Come adesso. Ore passate
in compagnia del fesso che non sono altro.
Ore e ore
che somigliano tanto a una stanza angusta.
Con appena una striscia di moquette su cui camminare.
.
Attesa

Esci dalla statale a sinistra e
scendi giù dal colle. Arrivato
in fondo, gira ancora a sinistra.
Continua sempre a sinistra. La strada
arriva a un bivio. Ancora a sinistra.
C’è un torrente, sulla sinistra.
Prosegui. Poco prima
della fine della strada incroci
un’altra strada. Prendi quella
e nessun’altra. Altrimenti
ti rovinerai la vita
per sempre. C’è una casa di tronchi
con il tetto di tavole, a sinistra.
Non è quella che cerchi. E’ quella
appresso, subito dopo
una salita. La casa
dove gli alberi sono carichi
di frutta. Dove flox, forsizia e calendula
crescono rigogliose. E’ quella
la casa dove, in piedi sulla soglia,
c’è una donna
con il sole nei capelli. Quella
che è rimasta in attesa
fino ad ora.
La donna che ti ama.
L’unica che può dirti:
“Come mai ci hai messo tanto?”
.
La poesia che non ho scritto
Ecco la poesia che volevo scrivere
prima, ma non l’ho scritta
perché ti ho sentita muoverti.
Stavo ripensando
a quella prima mattina a Zurigo.
Quando ci siamo svegliati prima dell’alba.
Per un attimo disorientati. Ma poi siamo
usciti sul balcone che dominava
il fiume e la città vecchia.
E siamo rimasti lì senza parlare.
Nudi. A osservare il cielo schiarirsi.
Così felici ed emozionati. Come se
fossimo stati messi lì
proprio in quel momento.

giorgio linguaglossa

17 giugno 2017 alle 9:52

https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/16/poesie-di-donatella-costantina-giancaspero-gino-rago-edith-dzieduszycka-letizia-leone-lucio-mayoor-tosi-mario-m-gabriele-anna-ventura-vari-stili-varie-scritture-poetiche-della-nuova-ontologi/comment-page-1/#comment-20937

cari amici,
in un articolo degli anni Dieci intitolato Sull’interlocutore, Mandel’stam, fa una notazione geniale, dice questo: che uno non si sognerebbe mai di accendere una sigaretta dalla fiamma della lampada ad olio in quanto, molto più semplicemente siamo abituati ad accendere la sigaretta dalla fiamma di un accendisigari. Questo Mandel’stam lo dice per far capire che noi nella vita di tutti i giorni seguiamo delle abitudini gestuali e linguistiche senza che ce ne avvediamo, che diamo per scontate, seguiamo in maniera inconscia certi gesti e usiamo certe frasi in maniera inconscia in base a «credenze» (Ortega y Gasset) e a quelle che Heidegger definisce «precomprensioni».

Analogamente, avviene in poesia. Noi scriviamo in base a delle «credenze» linguistiche e a delle «precomprensioni» di modi di scrivere che abbiamo già letto e digerito nella memoria; si tratta di atti memorizzati che compiamo «naturalmente».

Quando una poetessa come Elena Schwarz (1948-2010) scrive:

Secondo l’orario delle stelle lontane

(da Così vivevano i poeti, Thauma edizioni, 2013 trad Paolo Galvagni), ci avvediamo che qui noi abbiamo un esempio chiarissimo di come la poetessa russa mette in atto uno shifter, un cambio di abitudine linguistica, un cambio di abitudine iconica, mnemonica, passa da “secondo l’orario dei treni” a “secondo l’orario delle stelle”, aggiungendo il lemma “lontane”. Il risultato estetico è vivissimo, efficacissimo. Semplice, no? Anzi, semplicissimo. A volte è sufficiente uno scambio di abitudini mnemoniche e linguistiche per creare un verso efficacissimo.

Ora, ad esempio, tutta la poesia di Mario Gabriele è basata sulla puntualità e la ripetizione di questi «scambi», una miriade di «scambi» iconici che si susseguono a ritmi vertiginosi che creano una serie continua di effetti spaesanti e stranianti che raggiungono vertici di rarissima capacità iconica e mnemonica…

La NOE è anche questo, tratta una serie di espedienti retorici che già esistono da tempo nella poesia migliore del novecento europeo, espedienti che vengono utilizzati in modalità intensive. Tutto qui.

Quando Claudio Borghi e Salvatore Martino dichiarano di non riuscire a comprendere la poesia della nuova ontologia estetica, non si rendono conto che essa è nuova solo nella misura in cui impiega una serie di retorizzazioni e non altre, e le impiega in maniera intensiva. Si tratta di una intensificazione di alcune figure retoriche. È questo che fa la NOE.

Quando un poeta come Lucio Mayoor Tosi scrive:

Dalla stampa giapponese si alza un volo di pettirossi.
Ora stan li, affacciati alla finestra. Guardati dalla luna.

qui abbiamo l’impiego di un noto luogo retorico: il capovolgimento: è la luna che guarda i pettirossi che si sono alzati in volo da una «stampa giapponese». È sufficiente questo «capovolgimento» a creare l’effetto di un «mondo all’incontrario» (Bachtin), un effetto spaesante, di meraviglia…

Francesca Dono

Due poesie da Fondamenta per lo specchio (Progetto Cultura, 2017)

– estemporanea75 –

in cucina la mia camicia
dentro lo scalda latte di alluminio.
Il latte sotto la schiuma fredda
delle tue minuscole scarpe.
Ore 6,35. La penombra è prima del cielo.
Mescolo un cucchiaino nella tazza
di porcellana. Gabriella si ferma davanti
allo specchio. Un po’ di zucchero. Di là forse
la sera del 14 agosto. Un uomo e due biscotti
con tre briciole eburnee. Risalgono i gradi
dei circoli velati.
Lascio un albero alla finestra.
Poi mi ritraggo esattamente.

– la bicicletta –

la bicicletta sotto un sole basso.
Qualche soffio di vento.
Strati di polvere a
seconda dei giri. Strappi nel momento.
Scorro dentro quel telaio
quando si solleva o si appiattisce. È la pancia della strada.
Lavoro patetico
dell’unto e tra una gomma e l’altra.
Ore dodici. Un gatto s’infila
dietro le transenne del cantiere. Il miagolio della fame che non riposa.
C’è una curva.
La bicicletta barcolla col freno austero.
Poi l’ultimo fanale.

Steven Grieco Rathgeb 

Una poesia da Entrò in uno specchio (Mimesis Hebenon, 2016)

Sulla veranda: Meena e Beena Mathur

Due sorelle sulla veranda, in vestiti giallo-sera.
(Fuori, un giardino.)

Dopo il tramonto la loro quiete
si ritira dal cielo rosa pieno di aquiloni
mentre scende la notte –

e nell’incrocio-intreccio, intessersi di traiettorie
su vanno i triangoli e rombi di carta
mentre da ogni terrazzo gesticolano i festanti

Pensiero furtivo, sorvola la Jothwara Road, verso Gangori Bazaar
radioso di nude lampadine, stoffe, folle che si muovono, pigiano mescolano

perfino un albero morto in un terreno deserto si agghinda di colori

Il grido umano di questa terra troppo complessa, sale
nel cielo frenetico, strisciato di rosa

agli stormi di piccioni in volo

agli aquiloni che danzano più su

alle rondini nel più alto

Meena: «ho fatto un sogno della
nostra madre morta.
Da 25 anni, ormai.
la incontro in altri luoghi.»

*

La veranda incupita piange questa perdita di visibilità,
i prodigi che la nostra psiche non illumina.

«Ti sento cantare quando fai il bagno la mattina.»

Ma io dico che siamo già venuti qui
smemorati, disarmati – benché dicano, È, non È –
soltanto per affermare la vita (e vivere).

Nudo, il cuore percorre un gelido corridoio.

E così, a poco a poco, l’imbrunire ruba
i lineamenti dei loro visi – ma ancora invia

(un riflesso incantevole)

Jaipur, Makar Sakranti, gennaio 2006

Onto DeRobertis

Ubaldo de Robertis (un inedito)

Nella dimensione di Jung

Il rampollo del caos scorre in cerchio.
Una fanciulla si sporge in piedi sulla fontana.
Le lancette girano in circolo.
Nessuno si occupa più dell’orologio da almeno sette decenni.
Sulla torre si specchiano immagini suoni remoti
echi che tornano del lungo roteare
[si riflettono forse in un gioco di specchi].
Nessuno conosce la vera posizione.
Altalenante.
In funzione dell’apparente rotazione degli astri
intorno alla sfera rosso fuoco
talvolta troppo vicina
talvolta troppo distante.

Al morire della luce
la fanciulla sconosciuta spiega lo scialle di seta
nel luogo di cui nessuno ha voce per chiedersi:
dov’è?
[come risulterà chiaramente in seguito]

Da strani fiori a sette petali salgono essenze.
Presentimenti.
Congetture si fanno sul sognatore
nel dire che si è trattato di allucinazioni:
La torre
[dislocazione verticale- verso l’alto la seduzione degli astri].
L’orologio.
Gli specchi
[sul lato contrapposto al riflettente giace il sottile strato d’argento].
Il bel giardino dai fiori a sette petali.
Il corpo condiscendente di quella fanciulla.
Lo châle volteggiante al minimo estro di vento.

Costantina Donatella Giancaspero Teatro dell'Opera

Donatella Costantina Giancaspero

giorgio linguaglossa

17 giugno 2017 alle 15:51

https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/16/poesie-di-donatella-costantina-giancaspero-gino-rago-edith-dzieduszycka-letizia-leone-lucio-mayoor-tosi-mario-m-gabriele-anna-ventura-vari-stili-varie-scritture-poetiche-della-nuova-ontologi/comment-page-1/#comment-20945

Per esempio, tanto per restare nella linea della nuova ontologia estetica, proviamo a leggere alcuni versi, prendiamo una poesia apparentemente innocua di Donatella Costantina Giancaspero. Sembra quasi una poesia lirica di stampo tradizionale, sembra di leggere una poesia di Cristina Campo o di Fernanda Romagnoli, e invece qui si ha qualcosa di molto diverso, di molto più avanzato:

Decisa, te ne vai già
da questa nostra estate. In fretta.
Tra il letto e l’appendiabiti.
Lungo il corridoio, le pareti fanno ala
a un ottuso serpeggiare.

Di che si tratta? Chi è la persona che se ne va? La poesia non lo dice. C’è una persona che se ne va. Da notare che l’andar via della persona è reso da due oggetti disposti ortogonalmente rispetto alla persona che se ne va: «il letto e l’appendiabiti», «lungo il corridoio». Dunque, siamo in un interno, tra «le pareti» che «fanno ala» alla azione di cui trattasi: «a un ottuso serpeggiare». Dunque, c’è un indietreggiamento di una persona o di una Cosa, diciamo che si ha una personificazione di una Cosa, che la Cosa ha preso la sembianza di una persona. Ma allora sorge l’interrogativo: Chi è la persona che se ne va? Qui abbiamo a che fare con il «fantasma», con quella «mancanza a», dice Lacan che contrassegna il «fantasma», il quale si dà e nell’atto del darsi produce un cedimento strutturale a livello ontologico dell’io, cedimento che produce la sostanza immaginaria del fantasma, il quale si dà solo e soltanto in presenza del venir meno dell’io come soggetto. Insomma, qui siamo nel pieno centro della nuova ontologia estetica, qui si tratta del venir meno della Cosa, del venir meno di un personaggio che si allontana e si assottiglia tra gli oggetti consueti e consunti di una abitazione, oggetti ben noti, dunque. Al contempo, il «fantasma» rappresenta il limite interno dell’ordine simbolico, è quel qualcosa senza il quale non si dà ordine simbolico, e quindi è un attrezzo necessario e indispensabile nell’officina della poesia che stiamo esaminando… per dar vita alla Cosa che si allontana e che tende a scomparire. Ma ciò che non può scomparire, pur se attecchito da un cedimento strutturale, è l’io il quale non può che continuare a macchinare il suo desiderio affinché vi sia una macchina desiderante che metta in moto questo complesso meccanismo qual è questa poesia che narra, come apparirà chiaro, un assottigliarsi, una mancanza della Cosa, del «fantasma», uno scomparire nel nulla. Ecco, siamo dentro la tematica del nulla. Siamo nel mezzo del nichilismo.

Inoltre, il pronome personale «io» che parla, è, vistosamente, un espediente retorico e nient’altro, è una custodia vuota. È un enunciato linguistico e nient’altro.

“L’enunciazione è l’istanza linguistica, logicamente presupposta dall’esistenza stessa dell’enunciato […] che promuove il passaggio tra la competenza e la performance linguistica […] l’enunciazione è chiamata ad attualizzare lo spazio globale delle virtualità semiotiche, cioè il luogo delle strutture semio narrative […] allo stesso tempo è l’istanza di instaurazione del soggetto (dell’enunciazione). Il luogo, che si può chiamare l’ «Ego, hic et nunc», è prima della sua articolazione semioticamente vuoto e semanticamente (in quanto deposito di senso) troppo pieno: è la proiezione (per mezzo delle procedure di débrayage) fuori da questa istanza degli attanti dell’enunciato e delle coordinate spazio temporali, a costituire il soggetto dell’enunciazione attraverso tutto ciò che esso non è”, A.J. Greimas, J. Courtes, Sémiotique. Dictionaire raisonné de la théorie du langage, Hachette, Paris 1979; a cura di Fabbri P., Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, Mondadori, Milano 2007, pp. 125-126. – E. Benveniste Problèmes de linguistique générale, Gallimard, Paris 1966; trad. it. Problemi di linguistica generale, Saggiatore Economici, 1994. Si veda in particolare il saggio dedicato alla funzione dei pronomi pp. 301-8.

Petr Král, con Jana Bokova

Petr Král, con Jana Bokova

Donatella Costantina Giancaspero
17 giugno 2017 alle 16:42

Al commento precedente vorrei aggiungere alcuni versi di Petr Král (tra i poeti che prediligo).

Caduta

E in ogni bottiglia vuota
c’è ancora una goccia. Col tuo pettine e il sapone

dalla valigia rovesciata cadono anche le spille nere
della forcina, che vedi per la prima volta. Da quale tasca
[persino
segreta

del cosmo deserto – L’esile forcina non toglie
o aggiunge nulla, appena un trattino di ferro tra il giorno e la
[notte,

tra la pelle morbida e la pelliccia minacciosa
del mondo. Senza di essa però qui manca

una virgola per la redenzione. Pace con lei e con te.
Tu e la forcina nella stessa giornata vuota.

(Petr Král, Tutto sul crepuscolo, ed. Mimesis
trad. di Antonio Parente)

giorgio linguaglossa

17 giugno 2017 alle 18:05 Modifica

Nella poesia di Petr Král, uno dei maggiori poeti europei viventi, è presente un sistema semi automaico di scambi sinestesici e metonimici, la poesia procede in una modalità quasi automatica mediante un sistema del tipo pilota automatico ma non in funzione della rappresentazione quanto della mera presentazione di eventi.

Noi sappiamo che il sistema Inc si differenzia per caratteristiche peculiari che lo pongono in una dimensione di assoluta estraneità tanto dal sistema
Prec che da quello percezione-coscienza: assenza di contraddizione e di negazione, intemporalità, mobilità degli investimenti, nonché una relativa indipendenza dalla realtà esterna, sono i tratti salienti dell’inconscio.
Il nucleo dell’Inc., scrive Freud, è costituito di rappresentanze pulsionali che aspirano a scaricare il proprio investimento, dunque da moti di desiderio. Questi moti pulsionali sono fra loro coordinati, esistono gli uni accanto agli altri senza influenzarsi, e non si pongono in contraddizione reciproca. […] In questo sistema non esiste la negazione, né il dubbio, né livelli diversi di certezza. Tutto ciò viene introdotto dal lavoro della censura fra Inc. e Prec.
.
L’Inc dunque non è un abisso. L’inconscio non è un flusso di energia cieco. Esso è piuttosto il luogo in cui qualcosa accade e in cui cadono, sotto la spinta della rimozione, le rappresentazioni di cose, rappresentanze pulsionali, che consistono “ nell’investimento, se non nelle dirette immagini mnestiche della cosa, almeno nelle tracce mnestiche più lontane che derivano da quelle immagini ” .

L’inconscio, ci suggerisce Freud, è un sistema di tracce (tracce mnestiche), e non impronte, si noti, da cui si originano rappresentazioni di cose. La differenza, adesso, tra rappresentazione inconscia e rappresentazione conscia consiste, ribadisce Freud, in due distinte trascrizioni di uno stesso contenuto. Ci troviamo di fronte a un punto nodale: la distinzione tra Sachevorstellung e Wortvorstellung serve per comprendere come sia possibile la comunicazione tra i vari apparati psichici. Seguiamo
Freud:

«La rappresentazione conscia comprende la rappresentazione della cosa più la rappresentazione della parola corrispondente, mentre quella inconscia è la rappresentazione della cosa e basta. Il sistema Inc. contiene gli investimenti che gli oggetti hanno in quanto cose, ossia i primi e autentici investimenti oggettuali; il sistema Prec. nasce dal fatto che questa rappresentazione della cosa viene sovrainvestita in seguito al suo nesso con rappresentazioni verbali».1]
.
In altre parole, ciò che consente al sistema inconscio di spingersi nella coscienza, di “farsi sentire ” nelle sue varie forme sintomatiche è un progresso nella rappresentazione, una concatenazione di rappresentazioni che tende ad associare alla Sachevorstellung una Wortvorstellung. Questa operazione svela la natura dell’apparato psichico e del suo funzionamento, in particolare il ruolo del linguaggio nella sua strutturazione.

Nella poesia di Král viene in piena luce questo processo psichico tipico di quello che noi abbiamo chiamato «nuova ontologia estetica», dal vivo, in diretta, apparentemente senza le mediazioni dell’«io», ma come in un universo metonimico in libera uscita pulsionale… Incredibile.

1] Sigmund Freud, Metapsicologia, § L’inconscio, in Gesammelte Werke; trad. it. a cura di Musatti. C., in Opere vol. 8. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti (1915-1917), Bollati Boringhieri, Torino 1976 (2000), Metapsicologia (1915), pp. 49 e segg.

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