Breve retrospezione della Crisi della poesia italiana del secondo novecento, La Crisi del discorso poetico, di Giorgio Linguaglossa, Quale è l’esperienza della realtà? di Carlo Michelstaedter, Dopo il Novecento, Essere nel XXI secolo è una condizione reale, non immaginaria, siamo entrati da tempo nel campo largo, anzi, larghissimo del commonplace (del banale), Poesie kitchen di Mimmo Pugliese, Marie Laure Colasson, Francesco Paolo Intini, Raffaele Ciccarone

foto deja vu

«L’incontro con il Reale è sempre traumatico, c’è qualcosa perfino di minimamente osceno in esso» , scrive Slavoj Žižek.
Non possiamo non essere d’accordo con il filosofo di Lubiana. Ad esempio, nella poesia kitchen degli autori di questo post c’è qualcosa di «osceno» e di «traumatico» per un lettore educato al linguaggio poetico maggioritario e alle emittenti del consenso maggioritario; ma è un ottimo segnale, e corrisponde al vero, questo linguaggio kitchen non può rientrare nel Simbolico, è la frattura del Simbolico, la sua infrazione, e viene respinto, rimosso… E così ecco che il Reale torna sempre al suo posto, che poi è il posto della rimozione collettiva: il luogo della normologia, il posto della ideologia normologante che agisce in modo invisibile e automatico, mediante automatismi ma agisce rimettendo sempre di nuovo le cose al loro posto, che poi è il posto dell’autorimozione collettiva. Il ritorno del rimosso coincide con il ritorno del nomos. La poiesis kitchen è un meteorite diretto alla volta del Simbolico, produce uno schianto e una frattura, mette in discussione tutta la cultura del consensus omnium e del nomos.

Breve retrospezione della Crisi della poesia italiana del secondo novecento. La Crisi del discorso poetico

di Giorgio Linguaglossa

Di fatto, la crisi della poesia italiana esplode alla metà degli anni sessanta del novecento. Occorre capire perché la crisi esploda in quegli anni e capire che cosa hanno fatto i più grandi poeti dell’epoca per combattere quella crisi, cioè Montale e Pasolini per trovare una soluzione a quella crisi. È questo il punto, tutto il resto è secondario. Ebbene, la mia stigmatizzazione è che i due più grandi poeti dell’epoca, Montale e Pasolini, abbiano scelto di abbandonare l’idea di un Grande Progetto, abbiano dichiarato che l’invasione della cultura di massa era inarrestabile e ne hanno tratto le conseguenze sul piano del loro impegno poetico e sul piano stilistico: hanno confezionato finta poesia, pseudo poesia, antipoesia (chiamatela come volete) con Satura (1971), ancor più con il Diario del 71 e del 72 e con Trasumanar e organizzar (1971).

Questo dovevo dirlo anche per chiarezza verso i giovani, affinché chi voglia capire, capisca. Qualche anno prima, nel 1968, nell’anno della pubblicazione de La Beltà di Zanzotto, si situa la Crisi dello sperimentalismo come visione del mondo e concezione delle procedure artistiche.

Cito Adorno: «Quando la spinta creativa non trova pronto niente di sicuro né in forma né in contenuti, gli artisti produttivi vengono obiettivamente spinti all’esperimento. Intanto il concetto di questo… è interiormente mutato. All’origine esso significava unicamente che la volontà conscia di se stessa fa la prova di procedimenti ignoti o non sanzionati. C’era alla base la credenza latentemente tradizionalistica che poi si sarebbe visto se i risultati avrebbero retto al confronto con i codici stabiliti e se si sarebbero legittimati. Questa concrezione dell’esperimento artistico è divenuta tanto ovvia quanto problematica per la sua fiducia nella continuità. Il gesto sperimentale (…) indica cioè che il soggetto artistico pratica metodi di cui non può prevedere il risultato oggettivo. anche questa svolta non è completamente nuova. Il concetto di costruzione, che è fra gli elementi basilari dell’arte moderna, ha sempre implicato il primato dei procedimenti costruttivi sull’immaginario». 1 

Quello che oggi ci si rifiuta di vedere è che nella  poesia  italiana di quegli anni  si è  verificato un «sisma» del diciottesimo grado della scala Mercalli: l’invasione della società di massa, la rivoluzione mediatica e la rivoluzione delle emittenti mediatiche.

Davanti a questa rivoluzione in progress che si è svolta in tre stadi temporali e nella quale siamo oggi immersi fino ai capelli, la poesia italiana si è rifugiata in discorsi poetici di nicchia, ha tascabilizzato la metafisica (da un titolo di un libro di poesia di Valentino Zeichen, Metafisica tascabile, del 1997, edito ne Lo Specchio), ha scelto di non prendere atto del «sisma» del 18° grado della scala Mercalli che ha investito il mondo, di fare finta che il «sisma» non sia avvenuto, che nel Dopo Covid tutto sarà come prima, che si continuerà a fare la poesia di nicchia e di super nicchia di sempre, poesia autoreferenziale, chat-poetry.

Qualcuno ha chiesto, un po’ ingenuamente: «Cosa fare per uscire da questa situazione?». Ho risposto: un «Grande Progetto», «declinando il futuro». Che non è una cosa che possa essere convocata in una formuletta valida per tutte le stagioni.

Il problema della crisi dei linguaggi post-montaliani del tardo Novecento, non è una nostra invenzione ma è qui, sotto i nostri occhi, chi non è in grado di vederlo probabilmente non lo vedrà mai, non ci sono occhiali di rinforzo per questo tipo di miopia. Il problema è quindi vasto, storico e ontologico, si diceva una volta di «ontologia estetica».

Rilke alla fine dell’ottocento scrisse che pensava ad una poesia «fur ewig», che fosse «per sempre». Noi invece pensiamo a qualcosa di dissimile, ad una poesia che possa durare  soltanto per il presente, per l’istante, una poesia per il soggiorno, mentre prendiamo il caffè, o mentre saliamo sul bus, i secoli a venire sono lontani, non ci riguardano, fare una poesia «fur ewig» non so se sia una nequizia o un improperio, oggi possiamo fare soltanto una poesia kitchen, che venga subito dimenticata dopo averla letta.

Per tutto ciò che ha residenza nei Grandi Musei del contemporaneo e nelle Gallerie d’arte educate, per il manico di scopa, per il cavaturaccioli, le scatolette di birra, gli stracci ammucchiati, i sacchi di juta per la spazzatura, i bidoni squassati, gli escrementi, le scatole di Simmenthal,  i cibi scaduti, gli scarti industriali, i pullover dismessi con etichetta, gli animali impagliati. Tutto ciò fornisce un formidabile sostegno alla normologia asfissiante delle società a democrazia parlamentare dell’Occidente. Non ci fa difetto la fantasia, che so, possiamo usare il ferro da stiro di Duchamp come oggetto contundente, gettare nella spazzatura i Brillo box di Warhol, con la macarena e il rock and roll possiamo farci gli gnocchi.

Essere nel XXI secolo è una condizione reale, non immaginaria

Essere nel XXI secolo è una condizione reale, non immaginaria. Non è un fiorellino da mettere nell’occhiello della giacca: è un modo di pensare, di vedere il mondo-coccodrillo in cui ci troviamo: un mondo confuso, costipato, contraddittorio, illogico. Cercare di dire questo mondo in poesia non può quindi non presupporre un ripensamento critico di tutti gli strumenti della tradizione poetica novecentesca. Uno di questi – ed è uno strumento principe – è la sintassi: che oggi è ancora telefonata, discorsiva, troppo concatenata e sequenziale, quasi identica a quella che è prevalsa sempre di più fra i poeti verso la fine del secolo scorso, in particolare dopo l’ingloriosa fine degli ultimi sperimentalismi: finiti gli eccessi, la poesia doveva farsi dimessa, discreta, sottotono, monotonale, diventare l’ancella della prosa.

Rebus sic stantibus, dicevano i latini con meraviglioso spirito empirico. Che cosa vuol dire: «le cose come stanno»?, e poi: quali cose?, e ancora: dove, in quale luogo «stanno» le cose? – Ecco, non sappiamo nulla delle «cose» che ci stanno intorno, in quale luogo «stanno», andiamo a tentoni nel mondo delle «cose», e allora come possiamo dire intorno alle «cose» se non conosciamo che cosa esse siano. 

«Essere nel XXI secolo è una condizione reale», ma «condizione» qui significa stare con le cose, insieme alle cose… paradossalmente, noi non sappiamo nulla delle «cose», le diamo per scontate, le cose ci sono perché sono sempre state lì, ci sono da sempre e sempre (un sempre umano) ci saranno. Noi diamo tutto per scontato, e invece per dipingere un quadro o scrivere una poesia non dobbiamo accettare nulla per scontato, e meno che mai la legge della sintassi, anch’essa fatta di leggi e regole che disciplinano le «cose» e le «parole» che altri ci ha propinato, ma che non vogliamo più riconoscere.

Carlo Michelstaedter (1887-1910) si chiede: «Quale è l’esperienza della realtà?». E cosi si risponde:

«S’io ho fame la realtà non mi è che un insieme di cose più o meno mangiabili, s’io ho sete, la realtà è più o meno liquida, è più o meno potabile, s’io ho sonno, è un grande giaciglio più o meno duro. Se non ho fame, se non ho sete, se non ho sonno, se non ho bisogno di alcun’altra cosa determinata, il mondo mi è un grande insieme di cose grigie ch’io non so cosa sono ma che certamente non sono fatte perch’io mi rallegri.

…”Ma noi non guardiamo le cose” con l’occhio della fame e della sete, noi le guardiamo oggettivamente (sic), protesterebbe uno scienziato.
Anche l’”oggettività” è una bella parola.
Veder le cose come stanno, non perché se ne abbia bisogno ma in sé: aver in un punto “il ghiaccio e la rosa, quasi in un punto il gran freddo e il gran caldo,” nella attualità della mia vita tutte le cose, l’”eternità resta raccolta e intera…
È questa l’oggettività?…».2

Ancora urgenti e centrate queste osservazioni del giovane filosofo goriziano che ci riportano alla nostra questione: Essere del XXI secolo, che significa osservare le »cose» con gli occhi del XXI secolo, che implica la dismissione del modo di guardare alle «cose» che avevamo nel XX secolo; sarebbe ora che cominciassimo questo esercizio mentale, in primo luogo non riconoscendo più le «cose» a cui ci eravamo abituati, (e che altri ci aveva propinato) semplicemente dismettendole, dando loro il benservito e iniziare un nuovo modo di guardare il mondo. La nuova scrittura nascerà da un nuovo modo di guardare le «cose» e dal riconoscerle parte integrante di noi stessi.

Dopo il novecento

Dopo il deserto di ghiaccio del novecento sperimentale, ciò che resta della riforma moderata del modello sereniano-lombardo è davvero ben poco, mentre la linea centrale del modernismo italiano è finito in uno «sterminio di oche» come scrisse Montale in tempi non sospetti.

Come sistemare nel secondo Novecento pre-sperimentale un poeta urticante e stilisticamente incontrollabile come Alfredo de Palchi con La buia danza di scorpione (1945-1951), che sarà pubblicato negli Stati Uniti nel 1993 e, in Italia nel volume Paradigma (2001) e Sessioni con l’analista (1967). Diciamo che il compito che la poesia contemporanea ha di fronte è: l’attraversamento del deserto di ghiaccio del secolo dell’experimentum per approdare ad una sorta di poesia che faccia a meno delle categorie del novecento: il pre-sperimentale e il post-sperimentale oggi sono diventate una sorta di terra di nessuno, in un linguaggio koinè, una narratologia prendi tre paghi uno; ciò che si apparenta alla stagione manifatturiera dei «moderni» identificabile, grosso modo, con opere come il Montale di dopo La bufera e altro (1956) – (in verità, con Satura del 1971, Montale opterà per lo scetticismo alto-borghese e uno stile poetico intellettuale olistico-pubblicistico), vivrà una terza vita ma come fantasma, in uno stato larvale, scritture da narratologia della vita quotidiana. Se consideriamo un grande poeta di stampo modernista, Angelo Maria Ripellino degli anni Settanta: da Non un giorno ma adesso (1960), all’ultima opera Autunnale barocco (1978), passando per le tre raccolte intermedie apparse con Einaudi: Notizie dal diluvio (1969), Sinfonietta (1972) e Lo splendido violino verde (1976), dovremo ammettere che la linea centrale del secondo Novecento è costituita dai poeti modernisti. Come negare che opere come Il conte di Kevenhüller (1985) di Giorgio Caproni non abbiano una matrice modernista?, ma è la sua metafisica che oggi è diventata irriconoscibile. La migliore produzione della poesia di Alda Merini la possiamo situare a metà degli anni Cinquanta, con una lunga interruzione che durerà fino alla metà degli anni Settanta: La presenza di Orfeo è del 1953, la seconda raccolta di versi, Paura di Dio,  con le poesie che vanno dal 1947 al 1953, esce nel 1955, alla quale fa seguito Nozze romane; nel 1976 il suo miglior lavoro, La Terra Santa. Ma qui siamo sulla linea di un modernismo conservativo.

Ragionamento analogo dovremo fare per la poesia di una Amelia Rosselli, da Variazioni belliche (1964) fino a La libellula (1985). La poesia di Helle Busacca (1915-1996), con la fulminante trilogia degli anni Settanta si muove nella linea del modernismo rivoluzionario: I quanti del suicidio (1972), I quanti del karma (1974), Niente poesia da Babele (1980), è un’operazione di stampo schiettamente modernista, come schiettamente modernista è la poesia di Elio Pecora, da La chiave di vetro, (1970) a Rifrazioni (2018), di Anna Ventura con Brillanti di bottiglia (1976) e l’Antologia Tu quoque (2014), di Giorgia Stecher di cui ricordiamo Altre foto per un album (1996), e adesso Tutte le poesie (1978-1996), pubblicato da Progetto Cultura, (2022) e Maria Rosaria Madonna, con Stige (1992), la cui opera completa appare nel 2018 in un libro curato da chi scrive, Stige. Tutte le poesie (1980-2002), edito sempre a mia cura da Progetto Cultura di Roma. Il novecento termina con le ultime opere di Mario Lunetta, scomparso nel 2017, che chiude il novecento, lo sigilla con una poesia da opposizione permanente che ha un unico centro di gravità: la sua posizione di marxista militante, avversario del bric à brac poetico maggioritario e della chat poetry dominante, di lui ricordiamo l’Antologia Poesia della contraddizione del 1989 curata insieme a Franco Cavallo, da cui possiamo ricavare una idea diversa della poesia di quegli anni. In questi ultimi anni degna di nota è la forma-poesia pensante di Paolo Valesio, con Il servo rosso (2016) e Il testimone e l’idiota (2023), che persegue una poesia dialogata, un itinerario insolito e in contro tendenza che nulla concede alle rapsodie dell’io.

«Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».3

Le strutture ideologiche post-moderne, dagli anni settanta ai giorni nostri, si nutrono vampirescamente di una narrazione che racconta il mondo come questione «privata» e non più «pubblica». Di conseguenza la questione «verità» viene introiettata dall’io e diventa soggettiva, si riduce ad un principio soggettivo, ad una petizione del soggetto. La questione verità così soggettivizzata si trasforma in qualcosa che si può esternare perché abita nelle profondità presunte del soggetto. È da questo momento che la poesia cessa di essere un genere pubblicistico per diventare un genere privato, anzi privatistico. Questa problematica deve essere chiara, è un punto inequivocabile, che segna una linea da tracciare con la massima precisione.

Questo assunto Mario Lunetta lo aveva ben compreso fin dagli anni settanta. Tutto il suo interventismo letterario nei decenni successivi agli anni settanta può essere letto come il tentativo di fare della forma-poesia «privata» una questione pubblicistica, quindi politica, di contro al mainstream che ne faceva una questione «privata», anzi, privatistica; per contro, quelle strutture privatistiche, de-politicizzate, assumevano il soliloquio dell’io come genere artistico egemone.

La pseudo-poesia privatistica che si è fatta in questi ultimi decenni intercetta la tendenza privatistica delle società a comunicazione globale e ne fa una sorta di pseudo poetica, con tanto di benedizione degli uffici stampa degli editori a maggior diffusione nazionale.

La poesia kitchen 

L’estraneazione è l’introduzione dell’Estraneo nel discorso poetico; lo spaesamento è l’introduzione di nuovi luoghi nel già conosciuto. Il mixage di iconogrammi e lo shifter, la deviazione improvvisa e a zig zag sono gli altri strumenti in possesso della musa della poesia kitchen. Queste sono le categorie sulle quali il kitchen costruisce le sue parole instabili in movimento. Il verso è spezzato, segmentato, interrotto, segnato dal punto e dall’a-capo, è uno strumento chirurgico che introduce nei testi le istanze «vuote»; i simboli, le icone, i personaggi sono solo delle figure, dei simulacri di tutto ciò che è stato agitato nell’arte, nella vita e nella poesia del novecento, non esclusi i film, anche quelli a buon mercato, le long story… sono flashback a cui seguono altri flashback che magari preannunciano icone-flashback… Nella poesia kitchen di Francesco Paolo Intini, Mimmo Pugliese, Raffaele Ciccarone, Letizia Leone, Marie Laure Colasson, Vincenzo Petronelli, Giuseppe Gallo, Giuseppe Talia, Alfonso Cataldi, Gino Rago, Tiziana Antonilli, Lucio Mayoor Tosi e mia c’è il vuoto, però, e in grande abbondanza. E questo la normologia del cassetto-poesia non lo può accettare, fa paura, esce dal bon ton, è estraneo alla poesia dell’amichettismo. Il vuoto proprio no, non è educato metterlo lì in bella vista, in primo piano.

Altra categoria centrale è il traslato, mediante il quale il pensiero sconnesso o interconnesso a un retro pensiero è ridotto ad una intelaiatura vuota, vuota di emozionalismo e di simbolismo. Questo «metodo» di lavoro introduce nei testi una fibrillazione sintagmatica spaesante, nel senso che il senso non si trova mai contenuto nella risposta ma in altre domande mascherate da fraseologie fintamente assertorie e conviviali. Lo stile è quello della didascalia fredda e falsa da comunicato che accompagna i prodotti commerciali e farmacologici, quello delle notifiche degli atti giudiziari e amministrativi. Il kitchen scrive alla stregua delle circolari della Agenzia dell’Erario, o delle direttive della Unione Europea ricche di frastuono interlinguistico con vocaboli raffreddati dal senso chiaro e distinto. Proprio in virtù di questa severa concisione referenziale è possibile rinvenire nei testi, interferenze, fraseologie spaesanti e stranianti.

Tutto questo armamentario retorico era già in auge nel lontano novecento, qui, nel kitchen è nuovo, anzi, nuovissimo il modo con cui viene pensata la nuova poesia. È questo il significato profondo del distacco della poesia kitchen dalle fonti novecentesche; quelle fonti si erano da lunghissimo tempo disseccate, producevano polinomi frastici, dumping culturale, elegie mormoranti, chiacchiere da bar dello spot culturale. La tradizione (lirica e antilirica, elegia e anti elegia, neoavanguardie e post-avanguardie) non  produceva più nulla che non fosse epigonismo, scritture di maniera, manierate e lubrificate.
la poesia kitchen dà uno scossone formidabile all’immobilismo della poesia italiana degli ultimi decenni, e la rimette in moto. È un risultato entusiasmante, che mette in discussione tutto il quadro normativo della poesia italiana.

Siamo entrati da tempo nel campo largo, anzi, larghissimo del commonplace (del banale)

Oggi la dicotomia tra stile e maniera ha perso significato. Poiché se tutto è consentito nulla ha più importanza di un’altra cosa, e se l’arte è un semplice «gioco» di possibilità, tutte le possibilità diventano note e calcolabili; in questo contesto categoriale, le antiche categorie di originalità, autenticità e genuinità perdono progressivamente significato. La distinzione tra stile e maniera risulta obsoleta per ragioni storiche e ontologiche (perdonatemi la brutta parola): nel mondo dell’arte post-storico i mezzi stilistici appaiono come opzioni liberamente disponibili, come metodi o tecniche di cui chiunque può servirsi. Ma ne deriva che le opere di poiesis che sono immediatamente e pubblicamente riconoscibili, in quanto opere di techne, sono prive di «valore» (nel senso che si sono distaccate dalla catena di valore della tradizione), in quanto possono essere ripetutamente applicate in serie, infatti la serializzazione si applica alle opere che si basano sulla categoria della riconoscibilità pubblica, non certo sulla categoria del «valore». In tal senso, le opere di Andy Warhol ne sono la esemplificazione perfetta.

Sollevare questioni riguardanti la autenticità o la genuinità o la identità di un autore o di una serie di opere implica il rischio di commettere errori categoriali. Non si dà autenticità o genuinità garantite. Nell’opera di poiesis di oggi non si dà alcuna garanzia, l’opera lasciata sola con se stessa si comporta come un «incomunicabile», come un «intrasmissibile», come un «infungibile».

Nel Dopo il Moderno la differenza tra mera maniera e stile autentico svanisce.
È proprio il segno del momento post-storico il fatto che la richiesta di un’identità riconoscibile sia rivendicata dagli artisti e dai critici che si battono per la riconoscibilità di una identità artistica. Ma qui ci troviamo in un momento regressivo dell’arte. Uno stile definito non equivale a dire uno stile stabile, oggi un artista che non si muove dal proprio stile è un artista inconsapevole della complessità del lavoro artistico, e fa del déjà vu.

È errato interpretare la fine dell’arte come l’epoca del manierismo che si ripresenta sempre identico a se stesso. Il manierismo deve essere invece inteso come modus, come modalità, come tecnica di indagine a disposizione di un artista che abbia consapevolezza della techne che impiega. Da questo punto di vista la distinzione tra stile e maniera, tra originalità e commonplace è oggi una questione obsoleta, siamo entrati da tempo nel campo largo, anzi, larghissimo del commonplace (del banale).

Lo stile della NOe (nuova ontologia estetica o nuova fenomenologia del poetico) è quello delle didascalie dei prodotti commerciali e farmacologici

Altra categoria centrale è il traslato, mediante il quale il pensiero sconnesso o interconnesso a un retro pensiero è ridotto ad una intelaiatura vuota, vuota di emozionalismo e di simbolismo. Questo «metodo» di lavoro introduce nei testi una fibrillazione sintagmatica spaesante, nel senso che il senso non si trova mai contenuto nella risposta ma in altre domande mascherate da fraseologie fintamente assertorie e conviviali. Lo stile è quello della didascalia fredda e falsa da comunicato stampa che accompagna i prodotti commerciali e farmacologici, quello delle notifiche degli atti giudiziari e amministrativi. La NOe scrive alla stregua delle circolari della Agenzia delle Entrate, o delle direttive della Unione Europea ricche di frastuono interlinguistico con vocaboli raffreddati dal senso chiaro e distinto. Proprio in virtù di questa severa concisione referenziale è possibile rinvenire nei testi della NOe interferenze, fraseologie spaesanti e stranianti.

L’ispirazione è rubinetteria di terza mano, utensileria buona per i pronostici del totocalcio, eufemistica, superstizione, epifenomeno di un armamentario concettuale in disuso, concetto cafonal-kitsch, concetto da Elettra Lamborghini in topless per poveri di spirito.

L’Elefante sta bene in salotto, è buona educazione non scomodarlo

L’Elefante si è accomodato in poltrona. Tant’è, si fa finta di non vederlo, così si può sempre dire che non c’è nessun elefante, che i bicchieri sono a posto, le teche di cristallo intatte, le suppellettili pure, che la poiesis gode di buona, anzi, ottima salute, che non c’è niente da cambiare, che la poiesis da Omero ad oggi non è cambiata granché, che da quando il mondo è mondo la poiesis è sempre stata in crisi… come dire che il linguaggio normologato è il nostro riparo, non abbiamo più niente da dire né da fare. Ed è vero: la poesia italiana che si fabbrica in Egitto non ha veramente nulla da dire, evita accuratamente e con tutte le proprie forze di vedere l’Elefante che passeggia in salotto e che con la sua proboscide ha fracassato tutto ciò che c’era di fracassabile. L’Elefante adesso si è accomodato in poltrona. È disoccupato. Il suo posto è stato preso dai corvi.

La NOe

La NOe (nuova fenomenologia del poetico) dà uno scossone formidabile all’isomorphismo della poesia italiana degli ultimi decenni, e la rimette in moto. È un risultato entusiasmante che mette in discussione tutto il quadro normativo della poesia italiana.

(Giorgio Linguaglossa)

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1 T.W. Adorno, Teoria estetica, trad. it. Einaudi, 1970, p. 76
2 Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica Joker, 2015 pp. 102-103 (prima edizione, 1913)
3 M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017

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Mimmo Pugliese

GLI ARGINI

Gli argini hanno spolpato i fari
la lunula stordisce gli imbroglioni

Nelle trincee si insegna il forrò
nevica sulle case senza tetto

Ai lati della settimana mancano le finestre
nei ripostigli bombe molotov nutrono trecce di aglio

Mercanti di parole conservano pupille di rame
pitoni accendono candele e bevono argento

Nel trolley bivacca l’occhio di pernice
sull’arco sesto boccheggiano bisce color fragola

La regina di quadri è una carrozza
stivali lucidano maniglie della vasca da bagno

Una giraffa vaga tra le carcasse d’auto
all’ora del thè si trapianta le narici

Dai campanili cravatte asportano scogli
un ombrello rovescia telline e rosmarino

La disillusione degli alluci è un presepe a righe
cacciaviti inchiodano colombe al soffitto in discesa

Marie Laure Colasson

16.

“Jadore boire un saké avec un Massai”
dit la blanche geisha “et toi Eredia?”
“Oh moi je préfère les radis-beurre
et l’éternité enlacée à un Dogon”

Tonitruant le chien de Madame Bonjour intervient
“Vos conversations sont grasses
comme un démon à l’oeil manquant
allongé sur un tapis persan”

Une ombre folle et magouilleuse
s’entremet et chante à tue-tête
“Les ressuscités fauchent l’herbe multicolore
et un fou allume un feu écologique
avec le Marquis de Sade”

“Quelle est cette belle voix?”
demande Sapho frémissante
“Mais ma douce exilée moi le héron
voleur de pastèques et de raisins
sur un collage de Juan Gris”

Tonitruant le chien de Madame Bonjour intervient
“Vos conversations sont grasses
comme un démon à l’oeil manquant
allongé sur un tapis persan
et de ce pas je file à la cérémonie des persifleurs”

*

“Adoro bere saké con un Masai”
disse la geisha bianca “e tu Eredia?”
“Oh io, preferisco il ravanello al burro
e l’eternità intrecciata con un Dogon”

Interviene tonitruante il cane di Madame Bonjour
“Le tue conversazioni sono triviali
come un demone dall’occhio mancante
sdraiato su un tappeto persiano”

Un’ombra folle e ammaliante
si intromette e canta a squarciagola
“I risorti falciano l’erba multicolore
e un pazzo accende un fuoco ecologico
con il Marchese de Sade”

“Cos’è questa bella voce?”
chiede Saffo fremente
“Ma mia dolce esiliata sono io l’airone
ladro di cocomeri e uva
su un collage di Juan Gris”

Interviene tonitruante il cane di Madame Bonjour
“Le tue conversazioni sono triviali
come un demone dall’occhio mancante
sdraiato su un tappeto persiano
e adesso vado alla cerimonia dei motteggiatori”

Francesco Paolo Intini

UN BITE E MEZZO

Raggruppare lana sulla lampada.
Raggruppata.
(In fondo si trattava di sostituire una u difettosa)

Morso di pecora al posto del cavallo.
Sostituito.
(Unità di misura non ammessa dal SI)

Alla scomparsa di Guernica cambiò rotta la corrente del golfo.
Anche i Sette Sigilli furono ritoccati da Filini.

Dalla sedia del regista originò un ratto e altri risalirono la rena.
Innestare uno speculum sulla Punto rottamata.

Chi ha parlato male della r?
Forse un pungiglione calmerà la sete di peste?

C’è un ragazzo sul predellino che riempie un secchiello di nostalgia.
Faremo un castello con qualche trucco di cartone
ma alla fine morderemo un pezzo di pane.

Il collo di mollica che nessun demone riesce a baciare.

-Che furfanti riempiono le valigie?
Svuotare anche la stiva della scrivania.
Litanie da bombarolo in un lapsus.

Un tirannosauro incastrato in prossimità del cuore.
Ma nessuno vuol parlarne.

Forse un infarto chiarirà la misura del suo bite
o un’indagine televisiva sulle pillole di dentina.

Alle dieci del mattino interviene una marmitta catalitica.

E in fondo potevamo coltivarli come lumache
Sarebbero cresciute al profumo di mimosa.

Avremmo discusso con un angelo biondo.
Bignè sulle guance e tulipani dopo i canini.
Anteprima e via coi programmi sul cappellino.

Fa così buio sul Tempo
e i lampioni suonano black to black per raggelarsi.

Ha un lampo d’amuchina mentre sposta una parete
Un tocco di meraviglia sistema le piastrelle.
Si tratta di uno scarico da inabissare nella fossa delle Marianne.

I critici non capiscono i tubisti che murano le strofe tra pesci rotti.

L’emporio della metafisica pubblica i suoi depliants.
Sfogliarli all’alba, sul Collins ogni parola che buca una tomba.

Per il momento gli eventi girano attorno ad uno scarico
Finire in strada senza ausili né parcheggio riservato.

Un’ape morta sul lavandino.
Un cardellino con la bocca di un bambino.

Non c’è tregua nel creme caramel.

Raffaele Ciccarone

Non c’è tregua nel creme caramel

Giasone sale sullo yacht

Giasone sale sullo yacht parte per la Colchide
insieme al Corsaro Nero vanno alla ricerca del Vello d’oro

Maigret passeggia a Montmartre Lupin gli ruba la pipa
la rivende la domenica successiva al mercatino delle pulci

Il mezzo busto televisivo mostra sul dorso delle mani
i peli irsuti del dr Jackie – i bimbi si rifugiano sotto il letto
quando vedono le ombre dei mostri

Alice non trova l’uscita dal Paese delle meraviglie
Arianna gli chiede in cambio il cappello a fiori

note biobibliografiche

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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, nonché nella Agenda Poesie kitchen 2023 edite e inedite Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022; con il medesimo editore nel 2023 pubblica Domani il giorno comincia un’ora prima.

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Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella  Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Raffaele Ciccarone è nato nel 1950, ex bancario in pensione risiede a Milano. Dipinge e scrive. Ha pubblicato su una piattaforma online con uno pseudonimo circa un centinaio di poesie e qualche prosa. Ha partecipato a gruppi di poesia a Milano. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen,  nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022; nel 2023 pubblica Al canto delle sirene manca l’acqua potabile

16 commenti

Archiviato in Crisi della poesia, critica della poesia

16 risposte a “Breve retrospezione della Crisi della poesia italiana del secondo novecento, La Crisi del discorso poetico, di Giorgio Linguaglossa, Quale è l’esperienza della realtà? di Carlo Michelstaedter, Dopo il Novecento, Essere nel XXI secolo è una condizione reale, non immaginaria, siamo entrati da tempo nel campo largo, anzi, larghissimo del commonplace (del banale), Poesie kitchen di Mimmo Pugliese, Marie Laure Colasson, Francesco Paolo Intini, Raffaele Ciccarone

  1. SERGIO LABATE
    13 giugno 2023 • 07:35 su Domani

    Il grande sogno di Berlusconi – l’immortalità – si è compiuto. L’epoca del suo trionfo non è la seconda Repubblica – l’età di Berlusconi – ma la terza – l’età del berlusconismo.

    Non c’è un carattere della terza Repubblica che non sia l’inveramento di quella pulsione oscena che ha sempre orientato la vita pubblica di Berlusconi. La sua vera eredità è la normalizzazione dell’osceno.

    Certo, Berlusconi è stato anche un vincente. Ma la sua forza non era quella di vincere rispettando le regole, ma di entrare nel gioco per stravolgerle. Non voleva soltanto vincere, voleva cambiare le regole del gioco. E ci è riuscito.

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  2. Il nostro mondo nelle poesie kitchen sembrerà ai futuri un selvaggio west. Manca lo sceriffo, ma d’altra parte si capisce che è un mondo sovraffollato, mediamente benestante, libero e maledettamente vivace. La penso come Rilke, non sottovaluto il parere benevolo dei futuri; anche se penseranno che siamo psicologicamente sporchetti, refrattari a qualsiasi introspezione, dediti al mondo a noi contemporaneo con mille riserve… e a ragione. Di certo non si perderanno un sarcofago, perché tutto verrà tramandato fin nei minimi dettagli. Quindi, non mettiamoli in confusione, perché noi scriviamo adesso ma loro dovranno chiedersi chi sia il mago Woland (in epoca detta moderna) e sapranno dei travagli del pensiero che ha passato storico e glorioso, ma intanto c’è la guerra e il partitismo, le divisioni, gli interessi di parte, le tradizioni con le frecce tricolori… Be’ insomma, siamo il loro passato. Ci vorranno bene, anche se irrisolti, bulimici e, come dicevo, sporchetti.

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  3. Ecco la cronaca del funerale di B. che ne ha fatto Tiziano Scarpa su “Domani”, oggi
    https://www.editorialedomani.it/politica/cori-da-stadio-pianti-e-vip-lultimo-saluto-a-berlusconi-qwgws81d?mccid=cf8ec90fb9&mcuid=87a2d45b86

    Discorso della Montagna

    Il Presidente del Globo Terrestre appare sullo schermo. In una gabbia vorticano le pale di un ventilatore gigante.
    Mariano Apicella, ha fatto carriera, l’ex posteggiatore adesso è lo chansonnier personale del Cavaliere
    Registi, attori, scenografi, costumisti, tecnici, tifosi, comparse…
    Tutti acclamano il Presidente
    Il Signor B. indossa un Rolex d’oro al polso, 32 denti di sorriso Colgate, si guarda allo specchio, sorseggia da un bicchiere dell’amaro Ferrochina Bisleri, si schiarisce la voce, alza il megafono:

    «L’Italia è il paese che amo!»

    B. lesse con voce accattivante:

    « Le consegno un biglietto di sola andata per Mediaset
    caro Linguaglossa»

    «Il misuratore dei bidet
    è andato a prendersi un caffè
    ha attaccato un cartello alla vetrina del negozio di ortofrutticolo
    in via Pietro Giordani con su scritto:
    “Torno subito”»
    interloquisce il nano Azazello con un trottolio e un pullover turchese sulle spalle

    B. entra in via Teulada, sede della Rai
    Chiama a sé Raimondo, Sandra, Pippo, Corrado, Maurizio, Mike
    Dice loro
    «Perché languite qui in Rai? Venite a me, io vi farò pescatori di telespettatori».
    Essi si meravigliarono e dissero:
    «Rabbi, cosa possiamo darti che tu non hai già?».
    Ed egli disse:
    «Gli italiani diventeranno pescatori di perle, guarderanno dentro se stessi e dentro di voi
    E saranno felici»

    Il Presidente continuò con questi frangenti:

    «È in corso la denazificazione della poetry kitchen!
    È in corso la saponificazione della formaldeide!
    Non dimenticate di prendere un’aspirina, la sera, e una di Lexotan la mattina e dopo i pasti, vi toglie il mal di stomaco
    È vietato fornicare con la vicina di ombrellone
    Ai nani è vietato indossare gli shorts
    È vietato pomiciare con un LGBTQ+
    È vietato chiudere i rubinetti del gas prima di uscire
    È vietato chiudere i flow cash dei bancomat
    È consentito indossare la canottiera solo d’inverno
    Non è permesso immergere i savoiardi nel caffelatte
    Non dimenticate di assumere il prolettico dopo pranzo
    La penicillina è diventata astemica
    La majonese è una combriccola milanese
    L’alopecia è una torta Sacher con la Lichtung al centro
    Il poliptoto è il nome scientifico della medusa mediterranea
    Il maggiordomo Camembert ha deglutito per errore la créme caramel di proprietà del poeta Michal Ajvaz
    Madame Colasson usa sempre il filo interdentale Colgate Control»

    Fu a questo punto che Papa Francesco dal Vaticano interloquì in modo appropriato:

    «Spolverate più spesso la piramide di Cheope con lo spazzolino da denti Kukident e poi lucidatela con il lucido da scarpe Nugget
    Non fidatevi del Mago Woland, è un malmostoso putleriano, un fidejussore, un profittatore
    Ogni evento ha il suo contrario ope legis
    Il periplo è analogo al peplo
    Il contrattempo è in allestimento
    Il contraddittorio è in allestimento
    Il collutorio contiene la clorexidina
    È in allestimento anche il futuro
    Per il passato ci incontreremo domani»

    Gli ofidi sono ventriloqui, parlano spesso con i T-Rex
    Il Velociraptor ha deglutito il pesce Lavrov
    Anassagora beve un bicchierino di vodka in compagnia di Prigožin
    Il cateto di Pitagora litiga con l’ipotenusa di Aristarco

    Così il Parlamento ha votato la fiducia al Governo di unità nazionale
    La legge di stabilità contiene l’autorizzazione al termovalorizzatore dell’Urbe
    Il pappagallo Totò ha augurato “Buongiorno!”
    Achille ha raggiunto la Tartaruga
    Un pesce in marsina si sta lavando i denti con Pepsodent anti placca quando il misuratore dei bidet, il Mago Woland, dopo aver masticato un würstel ha continuato con questi frangenti:

    «Dio è diventato impotente!
    Questa è la migliore prova dell’esistenza dell’Essere e del Dasein, lo stigma della sua impotentia coeundi!»

    Nel mondo capovolto Churchill va in bicicletta e Fausto Coppi è il Primo Ministro del Regno Unito
    Lo scolapasta andò a picchiare contro la pentola di Chernobyl in ebollizione
    Fa ingresso nell’ologramma il Signor Corvo il quale spedisce una cartolina al poeta Vincenzo Petronelli della poetry kitchen con su scritto: «Amo Ava Gardner!»

    Nella circostanza, un nano esce da una poesia di Michal Ajvaz, bussa alla porta della abitazione del critico Linguaglossa in via Pietro Giordani, 18 e non trova di meglio che radersi la barba con una lametta Bic tripla lama, si guarda allo specchio, sorride, fa dei versacci, dei cilecca e dei princisbecchi
    Dice:
    «Caro Linguaglossa, Lei che è il terrore dei poeti elegiaci, mi dica:
    È felice?»
    Il quel momento un treno direttissimo attraversa la stanza del critico con un grandissimo fracasso, talché la stanza ebbe degli scossoni e dei sobbalzi
    Il sindacato dei ristoratori ha pubblicato un video su Instagram nel quale c’è il bullo di Mediolanum che si rade la barba prima di apparire in pubblico
    Indossa una tshirt con l’immagine di Putoler

    Il Segretario di Stato degli Stati Uniti Antony Blinken entra nel vagone ristorante, agguanta uno spuntino e dichiara:

    «We’re not going to tell the russians how to negotiate, what to negotiate and when to negotiate»,
    con una postilla significativa:
    «They’re going to set those terms for themselves»

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  4. … la nostra folle esistenza è ben descritta da Bauman quando scrive: “La nostra è un tipo di società che non riconosce più alcuna alternativa a se stessa e di conseguenza si ritiene esente dal dovere di esaminare, dimostrare, giustificare ( e ancor meno provare) la validità dei suoi assunti taciti ed espliciti”.
    Non è compito dei poeti esaminare e dimostrare, ma all’arte va riconosciuta la capacità di evidenziare la follia. In questo senso la poesia kitchen si distingue, unica nell’intercettare (tramite il linguaggio dell’assurdo) lo stallo esistenziale, politico, e il dramma di questa incapacità di evolvere il pensiero oltre l’ostacolo. Le ottime poesie pubblicate su questa pagina ne danno esempio.

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  5. Ho visto in TV la bella giornalista con i capelli al vento che in diretta al TG5 si commuove al coro “chi non salta comunista è”, racchiude in pochi secondi tutto il disagio mentale di massa portato dal berlusconismo.
    Del resto al Cavaliere dobbiamo essergliene grati, ci ha dato un trentennio di mediocrità spaventosa, ci ha ammannito il lessico dell’antipolitica e del privatismo, tutto sommato, non avrei mai scritto il “Discorso della Montagna” se non ci fosse stata l’alluvione del Cavaliere, dei berlusconiani e dei populisti, che poi anche gli anti berlusconiani non sono stati poi da meno, hanno accettato il terreno di scontro del B., e così sono stati sconfitti (von Klausewitz: prima di ogni battaglia devi accertarti che il terreno ti sia favorevole).
    Adesso il paese è da ricostruire (ma chi lo ricostruirà?), la destra sta varando leggi contro le istituzioni, contro i derelitti e contro chi protesta, la recessione è dietro l’angolo…

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    • Caro Giorgio,

      la parola populismo è populista: con due parole ce la sbrighiamo nel giudizio, e questo è tipico nel linguaggio populista da tutti gli schieramenti adottato. È anche il linguaggio tipico delle vendite, trattare il “pubblico” come fossimo all’asilo. Roma è invasa dai cinghiali ma va bene, purché si batta l’intrusa e così via. Mancano idee perché le persone in carriera (politica) i propri bisogni li hanno in parte soddisfatti. La tifoseria va a mille, come a mille vanno le lagnanze degli sconfitti. E per cosa? Per un sistema da tutti approvato e assecondato? Vedremo la destra in azione quando ci sarà da domare le piazze, vedrete la violenza… o abbiamo dimenticato i fatti di Genova quando era al governo il cavaliere? Spettacolo vergognoso chiudere il Parlamento in segno di lutto, per un pregiudicato che se l’è cavata in molti processi grazie ai suoi avvocati e alla prescrizione. Ancora aspetto che qualcuno mi informi su quali leggi il signor Berlusconi abbia creato per migliorare la vita dei cittadini. Chiacchiere, come sono chiacchiere quelle di Giorgia Meloni, oggi fedelissima esecutrice delle volontà europee in fatto di guerra e austerità. Che poi è quello che avrebbe fatto “la sinistra” senza battere ciglio. Su queste cose la poesia kitchen dovrebbe andare a nozze, invece ci si attribuisce la patente di competenti… ah ah ah! diteglielo a chi non avrà alcun sostegno per sopravvivere. Quanto alle battaglie civili, anche a destra ne sarebbero contenti: gli le omosex di destra ne sarebbero sollevati, per non dire di chi si farebbe volentieri una canna per ritrovarsi mezz’ora in equilibrio. Ma siamo nelle mani dei competenti, schiavi delle normative da loro stessi volute. Mancano idee e coraggio, prevale il conservatorismo. A sinistra l’idea di essere maggioritari per destino veltroniano – non a caso Veltroni oggi vive alla grande scrivendo romanzi. Via, un po’ di verità non nuoce;)

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  6. milaure colasson

    Il grande narratore americano Cormac MacCarthy ha detto più volte che nella nostra società non c’è più spazio per il romanzo, le le arti figurative e per la poesia. La poetry kitchen non ha nulla da obiettare, infatti, le nostre composizioni sono tutto tranne che poesie come sono intese dal senso comune oggi. La eventuale vittoria di Trump alle prossime elezioni americane potrebbe portare il mondo fuori dai binari…

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  7. Tiziana Antonilli

    Bene ha fatto Marie Laure Colasson a ricordare Cormac MacCarthy appena scomparso. Nel suo romanzo La strada, che amo profondamente , padre e figlio, sopravvissuti, vagano in un desolato mondo post ( post catastrofe, post atomico, post ‘ civiltà . ) Quando il figlio,stremato, vorrebbe arrendersi, è il padre a sostenerlo. In questo rapporto di resistenza padre- figlio c’è una parte dell’eredità letterarie (spirituale?) del grande scrittore. Preziosa soprattutto oggi, mentre alcune forze politiche e, purtroppo, parte dell’opinione pubblica teorizzano un becero rapporto capitalistico genitore- figlio : compro una parte del corpo di una persona e compro un figlio.

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  8. cara Marie Laure e caro Lucio,

    il mondo occidentale è già fuori dai binari, lo era già da un pezzo, noi in Italia che abbiamo avuto il fenomeno da baraccone del Cavalier B. siamo stati vaccinati… E’ stato l’ultimo atto di un ipnosi collettiva durata più di trent’anni. Un intero paese trasformato in reality show abbagliato e instupidito e che ha dimenticato tutto. Questa la sua vera magia. Ma Il palinsesto non finisce con #Berlusconi l’orrore è ormai compiuto

    Chi non se ne è accorto è un uomo che vive felice perché senza memoria. Come felici sono tutti quei «poeti» e «scrittori» che continuano a sfornare libri auto consolatori e tranquillizzanti. Proprio ieri un autore di poesia mi ha manifestato tutto il suo disagio di fronte alle composizioni di Francesco Intini e al mio “Discorso della Montagna”, mi ha detto che a suo avviso queste composizioni non rientrano nella «poesia». Io ho replicato dicendo che «personalmente sono d’accordo», la poetry kitchen è un’altra cosa che richiede altre categorie culturali, un’altra politica e un’altra polis; «tra di noi – ho continuato – c’è incompatibilità assoluta, come tra un marziano e un venusiano».
    E il discorso si è chiuso.

    I romanzi di Cormac MacCarthy nascono da una presa d’atto di questo cataclisma che ha investito le società a capitalismo selvaggio. Il mio pensiero è che anche la poetry kitchen prenda atto di questa situazione politica che rende gli esseri umani asserviti ad una idiozia sempre più letale.
    «Non posso spiegare come si crea un romanzo. È come il jazz. I musicisti creano mentre suonano e forse solo quelli che lo sanno fare possono capirlo» ha detto Cormac McCarthy in una delle rarissime interviste. Anche le mie composizioni kitchen nascono come un pezzo jazz., tramite sovrapposizioni e interrelazioni tra le parole, che decidono solo le parole.

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    • Caro Giorgio
      Sono d’accordo con te. Ormai le nostre composizioni si dovrebbero chiamare Jazz Poetry per come si concepiscono all’interno del linguaggio, in rapporto ai daccapo necessari per il respiro mentale, ai ritmi, alle quasi melodie, ai frammenti di fatti, ai punti di sutura del verso che tanto fanno inorridire chi ci legge. Solo chi prova un forte terrore di fronte alla poesia dell’io, al dissolversi della bellezza articolata nelle infinite versioni, clonazioni, moltiplicazioni, può addentrarsi nei meandri delle nostre composizioni. L’entropia è micidiale quando si tratta di bellezza ma cosa può nei confronti di ciò che è già caos? Se l’arte è un fatto mentale”, quale danno può aver arrecato una lesione accidentale nella struttura del “Grande vetro” di Duchamp? Nessuno credo. D’altro canto come potrebbe sottostare a canoni dettati dall’io una poesia che nascesse direttamente dalla tavola periodica? Non capirla, deriderla, provare ribrezzo e disprezzo per questa che secondo i detrattori è non poesia o arte manicomiale è tutto ciò che si prova davanti al capolavoro imbrattato da sconsiderati. Se manca del tutto la narrazione del proprio o se ne intravede l’ombra è perché da lì le cose si vedono diversamente e ci si abitua presto alla mischia di idee per forgiare nuovi minerali e materiali. L’esperimento è in questo senso l’unico abito per resistere alla fossilizzazione. In esso il fatto è sempre in divenire, incompiuto e rimandante ad altro. Le cose che accadono nei nostri tempi sono troppo grandi: guerra, covid e persino la scomparsa di un singolo individuo, per poterle confinare in una poesia personale. Si tratta di fare esperimenti al Cern, non nel laboratorio di Lavoisier.

      COLOMBACCI

      Comincia con il rinculo di cannone
      Solo per avere un passo lungo
      e sopportare un oboe su due zambe.

      Ma di fronte all’occhio grigio del porto
      Sale il dialogo di una tazzina col caffè.

      Nuvole si affacciano come agenti della CIA
      a cui sta a cuore il futuro della nazione.

      Notizie fresche da Troia:
      da una guarnizione rotta sull’Est Europa
      tracima olio nel Mediterraneo
      e imbratta il lavandino come un cinghiale.

      Sui cellulari gira un vortice di schiuma.

      Ulisse e il mostro delle onde litigano per un fuorigioco.
      Omero consulta il VAR nella Camera di commercio.
      Niente da fare. Per il cattivo deciderà un’holding internazionale.
      Mio Dio trenta secoli di storia fanno barriera in cielo.

      (F.P.Intini)

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  9. Maria Pia Latorre

    Grazie Grazie Farò tesoro. Occorre un Grande Progetto, sì. A volte il grande è nascosto nel piccolo, salvo a scoprirlo.

    Il Mer 14 Giu 2023, 07:57 L’Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internaziona

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    • cara Maria Pia,

      oggi forse l’unico modo di abitare la casa dell’essere qual è il linguaggio è accettare di abitare in questo appartamento ammobiliato con tutte le conseguenze di dover adottare un linguaggio irriconoscibile, intrasmissibile, infungibile.

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  10. “A 40 anni Franz Kafka, che non si è mai sposato e non aveva figli, passeggiava per il parco di Berlino quando incontrò una bambina che piangeva perché aveva perso la sua bambola preferita. La bambina e Kafka cercarono la bambola senza successo. Kafka le propose di incontrarsi di nuovo lì il giorno dopo, per tornare a cercarla insieme.

    Il giorno seguente, non avendo ancora trovato la bambola, Kafka consegnò alla bambina una lettera “scritta” dalla bambola che diceva: “per favore, non piangere. Ho fatto un viaggio per vedere il mondo. Ti scriverò delle mie avventure.”

    Così iniziò una storia che proseguì fino alla fine della vita di Kafka. Durante i loro incontri, Kafka leggeva le lettere della bambola accuratamente scritte con avventure e conversazioni che la bambina trovava adorabili.

    Alla fine Kafka le riportò la bambola (ne comprò una) che era tornata a Berlino.

    “Non assomiglia affatto alla mia bambola”, disse la bambina. Kafka le consegnò allora un’altra lettera in cui la bambola scriveva: “i miei viaggi mi hanno cambiato”. La bambina abbracciò la nuova bambola e la portò a casa tutta felice.

    L’anno seguente Kafka morì.

    Molti anni dopo la bambina, oramai adulta, trovò un messaggio dentro la bambola. Nella breve lettera firmata da Kafka c‘era scritto: “tutto ciò che ami probabilmente andrà perduto, ma alla fine l’amore tornerà in un altro modo.”

    (“Kafka e la bambola viaggiatrice”, di Jordi Sierra I Fabra)

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  11. Se manca “Chi” fa e pensa, la poetry kitchen non potrà parlare d’amore. Purtroppo. Ma se l’amore è nei gesti, e per questo impegna la mente, allora è anche nelle parole fredde…

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  12. Una storia italiana
    Antonio Scurati, Le Monde, Francia
    16 giugno 2023

    Una storia italiana. Così s’intitolava un libretto inviato da Silvio Berlusconi in milioni di case alla vigilia delle elezioni del 2001. Non aveva torto. La sua è stata indubbiamente una storia molto italiana. Ma non soltanto. La formidabile parabola esistenziale, imprenditoriale e politica di Silvio Berlusconi, se osservata a mente lucida e a ciglio asciutto, prefigura il destino storico delle democrazie occidentali in questo nuovo secolo e millennio.

    Non c’è dubbio che Berlusconi sia stato l’italiano più influente del secondo novecento (Mussolini lo era stato del primo). Cioè l’uomo che più di ogni altro ha influito su costumi, valori, rappresentazioni collettive di un popolo. Lasciamo, perciò, ad altri la ricostruzione dei fatti e interroghiamoci sulle narrazioni. Cominciamo dagli anni ottanta, un decennio durato trent’anni, i trent’anni che segnano l’era di Silvio Berlusconi.

    Gli anni ottanta di Berlusconi cominciano nell’oscurità dei settanta, in quell’inquietante, sinistro margine d’ombra che ancora oggi persiste sull’origine della sua fortuna economica di imprenditore edile. Poi, però, il nuovo decennio porta la luce. È una luce azzurrognola, artificiale, domestica. Nelle case degli italiani brilla una luminescenza recante la promessa di una nuova vita, vita leggera, abbiente, spensierata, vita gaudente. È la luce di un tubo catodico e viene a dire che la quaresima è finita. L’avvento delle televisioni commerciali a diffusione nazionale inaugurate proprio nel 1980 – non a caso un torneo calcistico – decreta anche simbolicamente la fine dei plumbei anni settanta.

    Basta politica, basta ideologie, basta progetti rivoluzionari finiti nel sangue di troppi morti ammazzati. Ora è il tempo del disimpegno, del riflusso, di un eterno presente, di un avvenire che non promette niente e che, per questo, manterrà la promessa. Alla quaresima commercial-televisiva propalata nel mondo redento dalle reti Fininvest non segue, infatti, la pasqua ma un nuovo carnevale. Un periodo di scatenamento pulsionale assoluto, di sfrenatezza edonistico-consumistica alimentata dalla fantasmagoria delle merci. Il comunismo aveva promesso il necessario per tutti, la soddisfazione dei bisogni, il berlusconismo assicura il lusso per tutti, la moltiplicazione esponenziale dei desideri soddisfatti.

    In breve sarai ricco
    Dove prenderemo il denaro per farlo? Nessun problema: si genererà da sé. È il delirio del multilevel marketing. L’idea è semplice: se tu diventi al tempo stesso acquirente e venditore di un prodotto, e poi convinci dieci amici a farlo, e questi ne convincono altri dieci, e così via, in breve sarai ricco. Lo saremo tutti. La moltiplicazione è algebrica, i consumi sono espandibili all’infinito, la vita è una cosa meravigliosa. Si tratta solo di crederci, di aver fiducia, di essere ottimisti. Ottimismo uguale consumismo. Questa la formula del successo, questa la pietra filosofale della crescita infinita, questo il mantra della democrazia di massa.

    Sì, perché questa volta la cuccagna dovrà essere davvero per tutti. Il berlusconismo nasce in polemica contro ogni elitismo, della vecchia classe politica, dei vecchi potentati economici, della vecchia élite intellettuale. Silvio Berlusconi si annuncia come uomo del popolo per il popolo, a patto che il popolo rinunci a se stesso. La sua rivoluzione soft eleva la pubblicità commerciale a linguaggio universale, sostituisce il cittadino con il cliente, le sue televisioni inventano un nuovo tipo di comunicazione che, deposto ogni intento pedagogico, trionfa grazie alla convivialità, alla prossimità, alla orizzontalità, al flusso in cui si è costantemente immersi senza bagnarsi mai.

    I conduttori dei talk berlusconiani non smettono di ripeterci che sono “uno di noi”, stanno sul nostro stesso piano, parlano come mangiano e mangiano i prodotti che pubblicizzano. Non hanno nulla da insegnarci, ci ripetono senza sosta che non dobbiamo studiare, crescere, evolvere, andiamo bene così come siamo, possiamo finalmente diventare noi stessi. Loro sono lì solo per darci un po’ di svago, divertimento, per intrattenerci. La tv ora è sempre accesa, trasmette 24 ore su 24 ed è gratis, non ha colore, non ha odore, come il denaro. Intrattenerci in attesa di cosa? Di niente, di niente. Per carità non complichiamoci la vita. Sono gli anni ottanta, è sabato sera e stiamo andando a una festa. È sempre sabato sera e stiamo sempre andando a una festa.

    Risvegliatici dal sogno, ci siamo scoperti cinici e al tempo stesso fessi, sprovveduti e al tempo stesso scettici

    La discesa nel campo politico degli anni ’90 estende questa narrazione a ogni ambito della vita individuale e sociale, rende totalizzante questo sogno miracolistico. Lo slogan elettorale lo dichiara esplicitamente annunciando “Un nuovo miracolo italiano”. Sì, perché una cosa è certa: la visione berlusconiana per poter funzionare, per riuscire a sedurre, deve essere sfrenata, globale, cannibale. La riduzione del mondo a immagine del mondo, della vita al consumo di sé e della realtà a merce non ammette limiti. Tutto deve poter essere comprato: i calciatori, i voti, i parlamentari, i magistrati, i finanzieri, gli avversari, le donne, soprattutto le donne.

    Trent’anni di conflitto aperto tra Berlusconi e la magistratura stanno a dimostrarlo. L’immoralismo sfacciato è poi l’altra faccia dell’illegalismo sistematico. Nessuna istanza morale deve intervenire a intralciare questo tetro edonismo, questo disperato ottimismo. E tantomeno la realtà deve poter competere con il sogno. Soltanto la morte, forse, un giorno. Ma per quella c’è tempo.

    Si è pagato un prezzo molto alto per questo sogno. Nei trent’anni di dominio della fantasmagoria berlusconiana il debito pubblico è esploso, il pianeta si è terribilmente surriscaldato, l’Europa è tornata a essere un campo di battaglia. Lungo la strada, abbiamo perso la possibilità di educare i nostri figli (sostituiti prima dalla tv e poi da internet), di istruire i nostri allievi (la conoscenza, dopo tutto, a che serve?), di lottare collettivamente per un domani migliore (la narrazione berlusconiana ammette solo arricchimenti individuali). Abbiamo perso il rispetto della classe politica (semplici gregari dell’Unto del Signore), delle istituzioni democratiche (intralci sul suo cammino trionfale), delle donne (degradate a merce) e, dunque, di noi stessi. Risvegliatici dal sogno, ci siamo scoperti cinici e al tempo stesso fessi, sprovveduti e al tempo stesso scettici: non si crede davvero più a niente ma ci si beve tutto.

    Forse, però, non c’è stato alcun risveglio. Trent’anni di irrealtà berlusconiana hanno rappresentato un lungo apprendistato allo stato di minorità di un popolo ridotto a massa. Adesso quelle masse sono pronte a cedere ulteriori quote delle proprie prerogative democratiche alle promesse consolatorie di nuovi uomini e donne “forti”, eredi dello scettro populista che fu di Silvio Berlusconi.

    Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano francese Le Monde.

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  13. ho scritto stamane questa email ad un autore di poesia importante:

    caro Omissis,

    non mi sorprendono le tue perplessità e la tua meraviglia sui pregiudizi dei «critici» rispetto alla tua opera… io penso che in realtà non esistano dei «critici», i critici hanno cessato di esistere da almeno 60 anni, dalla crisi degli anni sessanta-settanta, come ho cercato di indicare nella mia “Breve retrospezione”… ciascun «critico» (ammessa e non concessa questa ormai brutta parola) fa i propri interessi, o cerca di fare i propri interessi, cerca di auto legittimarsi a scapito di tutti gli atri, non c’è alcuna volontà o intelligenza di riflettere sulle problematiche della crisi della poesia (e non solo), e poi non penso che i cosiddetti «critici» abbiano delle idee in proposito. L’Ombra è letta di 5.000 follower ma nessuno di essi scende mai in campo per dire qualcosa di utile all’approfondimento, ciascuno sta per parte propria, ciascuno pensa alla propria auto storicizzazione e a danneggiare quella degli altri. Insomma, a nessuno interessa riflettere sulle cause della crisi degli anni sessanta-settanta e sulla crisi post-Covid e della guerra in Ucraina, ciascuno coltiva il proprio orticello linguistico, ma in realtà fa poco più che giardinaggio.
    Siamo nell’epoca del giardinaggio. Al massimo, si coltivano i fiori.
    Un caro saluto, giorgio

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