L’intenzione di dire. Il fenomeno nuovo. L’evento. Ma, di colpo, cade dalle mani la tazzina di porcellana. Attraversando un flash, tocca il fondo. Una lesione sul bordo per gli anni a venire.
A pranzo, in cucina, la sedia occupa il posto estraneo. Sfilano i bar di passaggio. Le arance spremute nei vetri opachi. Da un isolato all’altro, le parole sbirciano vetrine
– “per caso, senza l’idea di comprare qualcosa. Cercando, magari una volta soltanto e fuori stagione, un gelato al limone…”
Alla fine di aprile, i gabbiani qua intorno. Tanti. Sui tetti. In cima ai comignoli. Appollaiati. Chi punta il dito, in un ritaglio tondo di cielo
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Letizia Leone
Epopea di cose solide e impermeabili al canto. Le scale al buio fino al terzo piano. L’interruttore della luce del 1944.
Ecco la stanza. È una notte a pendolo di lampadina nuda e fogli di quaderno Non numerati con la fossa in un rigo. Se leggi:un pensiero ti cade dall’occhio.
Alla parete un segno, un rosso, il tocco vermiglio di un frutto Illividito tra le pere. La stagione della semina dei morti…da mano a mano
Da esiliato a esiliato.
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Andrea Emo
Il pensiero e l’immagine
Non è vero che la poesia sia pura fantasia, pura immagine, che la filosofia sia puro pensiero. L’immagine senza pensiero è vuota, il pensiero senza immagine è muto. Ciò che non si saprà mai è questo: quale dei due sia l’origine o la speranza dell’altro. Ma questo è forse necessario. Poiché se il pensiero, guardandosi non vedesse in sé, come suo fine, l’immagine, e l’immagine, guardandosi, non vedesse in sé, come suo fine, il pensiero, forse all’uno e all’altra potrebbe sembrare di essere fondamento, costruzione o conclusione del tutto. Ma questo loro reciproco esser fondati sull’altro fa a noi intendere come pensiero e immagine siano la forma umana della contemplazione, che muta volto e delude se stessa.
(Q. 7, 1929)
Ogni immagine è immagine del nulla. E in questo senso l’immagine è ontologica.
(Q. 214, 1959)
In principio era l’immagine, e per mezzo di essa tutte le cose furono fatte. L’immagine è in principio (creatrice e creatura della propria negazione) quale può essere la causa dell’immagine? Forse soltanto la sua negazione; tutto ciò che è originato dalla sua negazione (come l’individuo, l’attualità) è originario, è in principio, ed è un principio. L’espressione non può essere poetica quando è originata da una causa o da un’intenzione. L’espressione deve essere originata soltanto dalla rinuncia ai suoi fondamenti, ad ogni fondamento, ad ogni causa e ad ogni effetto.
(Q. 288, 1965)
L’immagine è per definizione pallida, diafana, trasparente, ma essa non è astratta.
(Q. 306, 1967)
L’immagine, come la vita, è Ifigenia e Fenice – è sacrificio e resurrezione – un mistero che celebriamo in ogni istante con la respirazione, con il fuoco interiore che ci brucia. (Q. 319, 1968/1969)
Andrea Emo, In principio era l’immagine (A cura di Massimo Donà, Romano Gasparotti e Raffaella Toffolo), Bompiani, 2019.
Gino Rago
“Se vuoi sapere qualcosa dei pini – vai dai pini.”
Era solito dire Matsuo Bashō; così è mi pare per i versi di Mauro Pierno. Se vuoi sapere qualcosa della poesia di Mauro Pierno devi andare nei suoi intimi interstizi fra silenzio primordiale e parola di poesia, silenzio e parola che nelle spighe e nei papaveri rossi dell’ultimo distico trovano i loro simboli o meglio i loro eliotian-montaliani correlativi oggettivi. Il tutto, ha pienamente ragione l’amico Linguaglossa quando lo sottolinea nella sua ermeneutica, confrontato, misurato con un tempo proposto sempre come ‘presente’. Se Mauro Pierno decidesse infine di eliminare i numeri, da 1 a 10, questo suo lavoro che riproposto in distici ha una resa estetica travolgente potrebbe essere letto come un poema per omogeneità di lingua, di ritmi, di sillabazione stessa dei versi. Un poema, per omogeneità fono-prosodica dei distici. Se vuoi sapere qualcosa dei pini vai dai pini…
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Giuseppe Gallo
Il problema, carissimo Gino Rago, è che io non voglio più “sapere qualcosa dei pini…”, e ritengo che nemmeno a Pierno interessino, in prima istanza, né la “Primavera!”, né le “spighe… accorte” e tanto meno i “papaveri rossi”… ma solo il loro lato oscuro: il loro “esaurimento”. Segnalo una serie di sintagmi tratti dai versi di Mauro: “Improponibile”, “Stento la mia”, “Sbarramenti”, “Poco sangue”, “Saranno rimasti in dieci…”, “Liberi di frenare”, “un vortice di consolanti nubi”, “un antefatto”, “Un apriscatole che gira nelle mani e non affonda…” e così via di seguito. In ogni concetto e in ogni immagine c’è qualcosa di non concluso… il vuoto si restringe sempre di più, ma il cerchio non si chiude mai! Né nell’Essere, né nel nichilismo. C’è sempre una percentuale di “residua commutazione”. Direi di più… Mauro Pierno afferma che di questa “batteria esausta”, che è l’uomo, e questa metafora sì, che mi interessa, sopravvive “solo l’8 %”. Soltanto un elemento fuoriesce dall’ambiguità, la pulvis, di cristiana memoria, la polvere… soltanto questa è “esattamente” quello che è, sia nello scorrere che nel diventare: il presente dell’uomo! Grazie, Pierno!Continua a leggere →
L’uomo abita l’ombra delle parole, la giostra dell’ombra delle parole. Un “animale metafisico” lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l’ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l’uomo legge l’universo.
«Quegli sguardi dall'abisso... noi guardiamo dentro quelle pupille enormi, nere, lucenti come sfere d'ossidiana, e vediamo l'abisso. Ma loro verso cosa guardano? Verso di noi guardano. E vedono in noi l'abisso»
Il Mangiaparole – Come abbonarsi alla rivista, Quota ordinaria € 25, Quota sostenitore € 50 + copia di un Libro in omaggio a scelta della collana Il Dado e la Clessidra
Trimestrale di Poesia Critica e Contemporaneistica Il Mangiaparole n. 1
La Nuova Ontologia Estetica, Poetry kitchen – La parola kitchen è da pensarsi come evento linguistico: quindi evento dell’altro proprio perché si annuncia in quanto irruzione di ciò che è per venire, ciò che è assolutamente non riappropriabile; in quanto unico e singolare l’evento linguistico sfida l’anticipazione, la riappropriazione, il calcolo ed ogni predeterminazione. L’avvenire, ciò che sta per av-venire può essere pensato solo a partire da una radicale alterità, che va accolta e rispettata nella sua inappropriabilità e infungibilità. La contaminazione, l’impurità, l’intreccio, la complicazione, la coinplicazione, l’interferenza, i rumori di fondo, la duplicazione, la peritropé, il salto, la perifrasi costituiscono il nocciolo stesso della fusione a freddo dei materiali linguistici, gli algoritmi che descrivono la non originarietà del linguaggio, il suo esser sempre stato, il suo essere sempre presente; una ontologia della coimplicazione occupa il posto della tradizionale ontologia che divideva essere e linguaggio, la ontologia della coimplicazione ci dice che il linguaggio è l’essere, l’unico essere al quale possiamo accedere. Non si dà mai una purezza espressiva nel logos ma sempre una impurità dell’espressione, un voler dire, un ammiccare, un parlare per indizi e per rinvii.
La storia letteraria è un libro di ricette. Gli editori sono i cuochi. I filosofi quelli che scrivono il menu. Gli scrittori e i preti sono i camerieri. I critici letterari sono i buttafuori. Il canto che sentite sono i poeti che lavano i piatti in cucina.
Tutta la cultura dopo Auschwitz, compresa la critica urgente ad essa, è spazzatura
Al posto del problema gnoseologico kantiano, come sia possibile la metafisica, compare quella di filosofia della storia, se sia possibile comunque un’esperienza metafisica
Ogni felicità è frammento di tutta la felicità che si nega agli uomini e che essi si negano
Gli uomini vivono sotto il totem di un sortilegio: che la vita abbia un senso o che non ne abbia alcuno
Pura immediatezza e feticismo sono ugualmente non veri
Così anche la disperazione è l’ultima ideologia, utilissima per l’autoconservazione
Un angelo zoppo ci venne incontro e disse, senza guardarci: “malediciamo il nome di Dio.”
Nessuno capace di amare e così ciascuno crede di essere amato troppo poco
Le epoche della felicità sono i suoi fogli vuoti (Hegel)
Sortilegio e ideologia sono la stessa cosa (T.W. Adorno) Si può dire… che l’uomo è l’essere che progetta di essere Dio. Dio, valore e termine ultimo della trascendenza, rappresenta il limite permanente in base al quale l’uomo si fa annunciare ciò che è. Essere uomo significa tendere ad essere Dio, o, se si preferisce, l’uomo è fondamentalmente desiderio di essere Dio (J.P. Sartre)
Alfredo de Palchi monografia – Adesso diciamo una cosa tremendamente reale, che siamo entrati tutti in un Grande Gelo, in una nuova epoca, nell’epoca della piccola glaciazione dove le parole le trovi sì, ma raffreddate se non ibernate
Donatella Costantina Giancaspero
Vincenzo Petronelli La tecnica pone fine alla metafisica dell’occidente assegnandole un compito diverso in concomitanza con la dissoluzione della struttura denotativa che ha caratterizzato le lingue umane
la tecnica pone fine alla metafisica dell’occidente assegnandole un compito diverso in concomitanza con la dissoluzione della struttura denotativa che ha caratterizzato le lingue umane
La poesia è scrittura della nostra preistoria
Il soggetto non è mai del tutto soggetto, l’oggetto oggetto
Le cose si irrigidiscono in frammenti di ciò che è stato soggiogato
Il piacere sensoriale, a volte punito da un misto di ascetismo e di autoritarismo, è divenuto storicamente nemico immediato dell’arte: l’eufonia del suono, l’armonia dei colori, la soavità sono divenute pacchianeria e marchio dell’industria culturale (Adorno)
L’io penetra l’oggetto pensandolo e immaginandolo
Helle Busacca La disintegrazione della «struttura tragica» della poesia di Maria Rosaria Madonna segna la pre-condizione di possibilità per la nascita della poetry kitchen.
Edith Dzieduszycka. Avevano corso,/ di giorno e di notte,/ poi di nuovo di giorno,/ e ancora di notte./ Avevano corso/ come bestie assetate,/ in cerca del ruscello al quale abbeverarsi
Letizia Leone: Il diavolo indossa un camice bianco/ E stacca pezzi di carne dalla carne/ Del mondo/ Con aghi, occhi a punta, lame, rasoi // Non affonda la mano/ ma ferro disinfettato./ Non si sporca
Su di un cerchio ogni punto d’inizio può anche essere un punto di fine (Eraclito) – Roma, 1997, Giorgio Linguaglossa e Antonella Zagaroli
Cara Signora Schubert, mi capita di vedere nello specchio Greta Garbo. È sempre più simile A Socrate. Forse la causa è una cicatrice sul vetro (Ewa Lipska)
La casa pare ormeggiata nel cassetto di una vecchia scrivania./ “Mi chiedevo dove avessi lasciato le scarpe”./ La donna guarda attraverso le fessure della tapparella./ Ha sentito sbattere la portiera (Lucio Mayoor Tosi)
Anna Ventura conserva le parole tra le righe della sua scrittura come si mette un cibo in frigorifero
Domando al piombo perché ti sei lasciato fondere in pallottola? Ti sei forse scordato degli alchimisti? (Ch. Simic)
La precarietà del pensiero non identificante che indugia sulle cose. La tranquilla consapevolezza che ciò che possono dare le parole poetiche forse non è granché ma è pur sempre qualcosa di importante
Il mio amico [di Roma]*, quello che si occupa del Signor Nulla, litiga di nascosto con lo specchio (Gino Rago)
Le parole sono i raggi ultravioletti dell’anima
Maria Rosaria Madonna, cover 1992
Iosif Brodskij Le immagini rappresentano il contro movimento delle parole. C’è un rapporto debitorio tra le immagini e le parole, o un rapporto creditorio, uno squilibrio della contabilità, della partita doppia
Giorgio Linguaglossa Critica della Ragione Sufficiente
Trattare tutte le cose come un terzo pensiero che ci osserva
Edith Dzieduszycka
Alfredo de Palchi, a 12 anni/ meschino nella tuta lurida di grassi/ per motori a nafta/ consegno 5 lire/ (la settimana—domenica compresa)/ nella busta troppo larga al nonno anarchico/ mangiato dal cancro
Mauro Pierno, Compostaggi – Così anche la disperazione è l’ultima ideologia, condizionata storicamente e socialmente. Il contenuto di verità dell’assente è indifferente (T.W. Adorno)
La poesia di Giuseppe Talia proviene da una grande deflagrazione delle parole e della stessa tradizione del ‘900
Perdita dell’Origine (Ursprung) e spaesatezza (Heimatlosigkeit) si danno la mano amichevolmente. Se manca l’Origine, c’è la spaesatezza. E siamo tutti deiettati nel mondo senza più una patria (Heimat). Ed ecco l’Estraneo che si avvicina. E all’approssimarsi dell’Estraneo (Unheimlich) le nottole del tramonto singhiozzano [Maria Rosaria Madonna]
in cover Maria Rosaria Madonna
La poesia di Mario Gabriele è un film, una successione di fotogrammi in un orologio senza lancette. «Una vita che avesse senso non si porrebbe il problema del senso: esso sfugge alla questione» (T.W. Adorno)
Un gendarme della RDT, lungo la Friedrichstraße,/ separava la pula dal grano,/ chiese a Franz se mai avesse letto Il crepuscolo degli dei./ Fermo sul binario n. 1 stava il rapido 777./ Pochi libri sul sedile. Il viso di Marilyn sul Time. (Mario Gabriele)
Gezim Hajdari, Il poietès è il più grande positivo perché porta le cose all’essere dal nulla
Ci sono dei pensieri che hanno una carica elettrica, uno di questi sono le cose della vita, gli eventi che ci accadono, gli eventi omnibus»diceva Ortega y Gasset
Perché le parole sono sagge, loro lo sanno di essere melliflue e superflue
Un Enigma ci parla, ma noi non comprendiamo quella lingua. L’Enigma non può essere sciolto, può solo essere vissuto
Quante parole dobbiamo usare per avvertire il silenzio tra le parole?
Quando una categoria si modifica muta la costellazione di tutte le altre (Adorno)
Letizia Leone
Giorgio Agamben Da quella lontananza rovesciata raggiungiamo la lontananza nostalgica. Non essere a casa propria ovunque
Critica della Ragione sufficiente
Il postino della verità non passa né due volte né una volta, non passa mai. Non c’è alcuna verità nella soggettività, non c’è alcuna verità nel canto degli uccelli nel bosco che tanto piaceva all’estetica kantiana
Mario Gabriele, Una fila di caravan al centro della/ piazza con gente venuta da Trescore e da Milano ad ascoltare Licinio:/-Questa è Yasmina da Madhia che nella vita ha tradito e amato,/ per questo la lasceremo ai lupi e ai cani
Predrag Bjelosevic
Gino Rago, Alla domanda di Herbert: «Dove passerai l’eternità?»,/ risponde il filosofo Erèsia: «cara Signora Circe, caro Signor Nessuno,/ il poeta da finisterre parla con l’oceano e scrive le sue parole sull’acqua
Le parole che scriviamo ci parlano di altre parole che non conosciamo
Le parole sono finestre che aggettano sul labirinto che noi siamo
Anna Ventura, Finalmente so/ che cosa mi avete insegnato./ Siete nella tazza di caffè/ vuota sul tavolo,/ nelle carte sparse, nel cerchio di luce della lampada.
Era piccola la casa, accanto a un cimitero romano. I suoi vetri tremavano per via di carri armati e caccia (Charles Simic)
Roberto Bertoldo
Donatella Giancaspero, Giorgio Linguaglossa, 2016
Alle 18 torna Milena. Prepara la cena. Il tavolo ha quarant’anni. Sale il fumo fino alla lampada. Andrea rinnova aria fresca (Mario Gabriele)
Poiché solo all’apparire del “perturbante” si dileguano gli idoli. Exeunt simulacra (Giacomo Marramao)
Lucio Mayoor Tosi, – Prenderò del Cornac; con spremuta di pomodori e un Lìsson. – Ci vuole della cannella sul Lìsson? – Sì, perché no./ Lo sai che sono innamorata di te
Gezim Hajdari
Carlo Livia, La prigione celeste
Ewa Tagher
Wystan Hugh Auden
Petr Kral
Michal Ajvaz
Mario Lunetta
Ubaldo de Robertis
Jorge Luis Borges
Giuseppe Talia
Kjell Espmark
Tomas Tranströmer
Salman Rushdie
Osip Mandel’stam
Iosif Brodskij
Boris Pasternak
Cesare Pavese
Georg Trakl
Sabino Caronia
Vladimir Majakovskij
Il Mangiaparole n. 10
Pier Paolo Pasolini
Czeslaw Milosz
Salman Rushdie
Alejandra Alfaro Alfieri
Duska Vrhovac
Fernanda Romagnoli
Antologia della Poetry kitchen – Il discorso poetico abita quel paragrafo dell’ inconscio dove siede il deus absconditus, dove fa ingresso l’Estraneo, l’Innominabile. Giacché, se è inconscio, e quindi segreto, quella è la sua abitazione prediletta. Noi lo sappiamo, l’Estraneo non ama soggiornare nei luoghi illuminati, preferisce l’ombra, in particolare l’ombra delle parole e delle cose, gli angoli bui, i recessi umidi e poco rischiarati.
Marie Laure Colasson
Lorenzo Calogero
Predrag Bjelosevic
Petr Kral Il Mangiaparole
Zbigniew Herbert
Bertolt Brecht
Werner Aspenström
Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa
Fernando Pessoa
Giuseppe Ungaretti
Eugenio Montale
Paul Celan
Ezra Pound
Edgar Allan Poe
T.S. Eliot
Samuel Beckett
Franco Fortini
Allen Ginsberg
Charles Bukowski
Agota Kristof
Derek Walcott
Giorgio Linguaglossa e Gino Rago
Marina Petrillo
Charles Simic, Il mostro ama il suo labirinto e abita presso l’Hotel Insonnia
Fernando Pessoa
Jacopo Ricciardi
Jacopo Ricciardi
Samuel Beckett
Anna Ventura, «Tra le parole e le cose occorre una grande distanza»
Guido Galdini, Le parole sono schegge di appunti precolombiani – è uno specchio per le allodole/ o sono allodole per lo specchio/ o le allodole sono lo specchio?
Guido Galdini
Mauro Pierno, Lo statuto recondito delle parole dimenticate
L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
La presenza di Èrato vuole essere la palestra della poesia e della critica della poesia operata sul campo, un libero e democratico agone delle idee, il luogo del confronto dei gusti e delle posizioni senza alcuna preclusione verso nessuna petizione di poetica e di poesia.
Poesie e Commenti di Andrea Emo, Donatella Giancaspero, Letizia Leone, Gino Rago, Giuseppe Gallo, Lorenzo Pompeo, Alfonso Cataldi, Francesco Paolo Intini, Giorgio Linguaglossa
Donatella Giancaspero
Alla fine di aprile
L’intenzione di dire. Il fenomeno nuovo. L’evento.
Ma, di colpo, cade dalle mani la tazzina di porcellana.
Attraversando un flash, tocca il fondo.
Una lesione sul bordo per gli anni a venire.
A pranzo, in cucina, la sedia occupa il posto estraneo.
Sfilano i bar di passaggio. Le arance spremute nei vetri opachi.
Da un isolato all’altro, le parole sbirciano vetrine
– “per caso, senza l’idea di comprare qualcosa.
Cercando, magari una volta soltanto
e fuori stagione, un gelato al limone…”
Alla fine di aprile, i gabbiani qua intorno. Tanti.
Sui tetti. In cima ai comignoli. Appollaiati.
Chi punta il dito, in un ritaglio tondo di cielo
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Letizia Leone
Epopea di cose solide e impermeabili al canto.
Le scale al buio fino al terzo piano. L’interruttore della luce del 1944.
Ecco la stanza. È una notte a pendolo di lampadina nuda e fogli di quaderno
Non numerati con la fossa in un rigo. Se leggi:un pensiero ti cade dall’occhio.
Alla parete un segno, un rosso, il tocco vermiglio di un frutto
Illividito tra le pere. La stagione della semina dei morti…da mano a mano
Da esiliato a esiliato.
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Andrea Emo
Il pensiero e l’immagine
Non è vero che la poesia sia pura fantasia, pura immagine, che la filosofia sia puro pensiero. L’immagine senza pensiero è vuota, il pensiero senza immagine è muto. Ciò che non si saprà mai è questo: quale dei due sia l’origine o la speranza dell’altro. Ma questo è forse necessario. Poiché se il pensiero, guardandosi non vedesse in sé, come suo fine, l’immagine, e l’immagine, guardandosi, non vedesse in sé, come suo fine, il pensiero, forse all’uno e all’altra potrebbe sembrare di essere fondamento, costruzione o conclusione del tutto. Ma questo loro reciproco esser fondati sull’altro fa a noi intendere come pensiero e immagine siano la forma umana della contemplazione, che muta volto e delude se stessa.
(Q. 7, 1929)
Ogni immagine è immagine del nulla. E in questo senso l’immagine è ontologica.
(Q. 214, 1959)
In principio era l’immagine, e per mezzo di essa tutte le cose furono fatte. L’immagine è in principio (creatrice e creatura della propria negazione) quale può essere la causa dell’immagine? Forse soltanto la sua negazione; tutto ciò che è originato dalla sua negazione (come l’individuo, l’attualità) è originario, è in principio, ed è un principio. L’espressione non può essere poetica quando è originata da una causa o da un’intenzione. L’espressione deve essere originata soltanto dalla rinuncia ai suoi fondamenti, ad ogni fondamento, ad ogni causa e ad ogni effetto.
(Q. 288, 1965)
L’immagine è per definizione pallida, diafana, trasparente, ma essa non è astratta.
(Q. 306, 1967)
L’immagine, come la vita, è Ifigenia e Fenice – è sacrificio e resurrezione – un mistero che celebriamo in ogni istante con la respirazione, con il fuoco interiore che ci brucia. (Q. 319, 1968/1969)
Andrea Emo, In principio era l’immagine (A cura di Massimo Donà, Romano Gasparotti e Raffaella Toffolo), Bompiani, 2019.
Gino Rago
“Se vuoi sapere
qualcosa dei pini –
vai dai pini.”
Era solito dire Matsuo Bashō; così è mi pare per i versi di Mauro Pierno.
Se vuoi sapere qualcosa della poesia di Mauro Pierno devi andare nei suoi intimi interstizi fra silenzio primordiale e parola di poesia, silenzio e parola che nelle spighe e nei papaveri rossi dell’ultimo distico trovano i loro simboli o meglio i loro eliotian-montaliani correlativi oggettivi. Il tutto, ha pienamente ragione l’amico Linguaglossa quando lo sottolinea nella sua ermeneutica,
confrontato, misurato con un tempo proposto sempre come ‘presente’.
Se Mauro Pierno decidesse infine di eliminare i numeri, da 1 a 10, questo suo lavoro che riproposto in distici ha una resa estetica travolgente potrebbe essere letto come un poema per omogeneità di lingua, di ritmi, di sillabazione stessa dei versi. Un poema, per omogeneità fono-prosodica dei distici. Se vuoi sapere qualcosa dei pini vai dai pini…
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Giuseppe Gallo
Il problema, carissimo Gino Rago, è che io non voglio più “sapere qualcosa dei pini…”, e ritengo che nemmeno a Pierno interessino, in prima istanza, né la “Primavera!”, né le “spighe… accorte” e tanto meno i “papaveri rossi”… ma solo il loro lato oscuro: il loro “esaurimento”. Segnalo una serie di sintagmi tratti dai versi di Mauro: “Improponibile”, “Stento la
mia”, “Sbarramenti”, “Poco sangue”, “Saranno rimasti in dieci…”, “Liberi di frenare”, “un vortice di consolanti nubi”, “un antefatto”, “Un apriscatole che gira nelle mani e non affonda…” e così via di seguito. In ogni concetto e in ogni immagine c’è qualcosa di non concluso… il vuoto si restringe sempre di più, ma il cerchio non si chiude mai! Né nell’Essere, né nel nichilismo. C’è sempre una percentuale di “residua commutazione”. Direi di più… Mauro Pierno afferma che di questa “batteria esausta”, che è l’uomo, e questa metafora sì, che mi interessa, sopravvive “solo l’8 %”. Soltanto un elemento fuoriesce dall’ambiguità, la pulvis, di cristiana memoria, la polvere… soltanto questa è “esattamente” quello che è, sia nello scorrere che nel diventare: il presente dell’uomo!
Grazie, Pierno! Continua a leggere →
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