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La pop-poesia e l’arte non figurativa di oggi ha scoperto la valenza gestuale del linguaggio, a prescindere dal significato e dal senso. Che il linguaggio ha un valore «gestuale» evidentissimo che l’ontologia della poiesis tradizionale non riesce a vedere, che anzi occulta e fa di tutto per occultarlo, Wittgenstein lo aveva chiarito da molto tempo, per Wittgenstein il linguaggio è funzione di un agire, Scrive Slavoj Žižek: Non è che falliamo perché non riusciamo a incontrare l’oggetto, piuttosto l’oggetto stesso è la traccia di un certo fallimento, Pittura non-figurativa di Lucio Mayoor Tosi, Marie Laure Colasson

Lucio Mayoor Tosi frammento con rosso 2021

[Lucio Mayoor Tosi, acrilico, 2020]

La «struttura tragica» di Maria Rosaria Madonna (Stige. Tutte le poesie 1990-2002, Progetto Cultura pp. 150 € 12) ha bisogno dell’oggetto. È solo sull’oggetto che può costruire la struttura simbolica della sua poiesis. Per far questo Madonna è costretta a tenere in piedi, in qualche modo, la struttura trascendentale soggetto-oggetto, la struttura tragica.. L’Imperatrice Teodora sa bene che sta parlando ai posteri e vuole auto assolversi dinanzi ai posteri visti come gli oggetti del futuro; analogamente i «barbari» che stanno arrivando sono un «oggetto» identificabile, bene identificato, sono un simbolo trascendentale ma ancora storico. E così il «peccato», la «lussuria», i «diavoli» etc. sono tutti oggetti ben determinati, precisi. È la civiltà dell’umanesimo che si nutre della dualità soggetto-oggetto, anzi, è fondata sulla dualità soggetto-oggetto. Con il crollo dell’umanesimo la poesia di Madonna si staglia con auto evidenza assoluta come l’ultimo monolite di quella civiltà. La pulsione di morte che attraversa la struttura simbolica della poesia di Madonna è una categoria dell’umanesimo.

La tesi di Slavoj Žižek è suggestiva, la nozione freudiana di pulsione di morte che agisce liberamente nell’homo sapies dell’epoca cibernetica può essere utilizzata per la civiltà del post-umanesimo, anzi, sono propenso ad ipotizzare che la pulsione di morte svanisce nella «merce», cioè nel «valore di scambio». La nuova civiltà dell’epoca della tecnica o cibernetica sembra aver fagocitato la pulsione di morte relegandola nell’inconscio e cancellandone la forma di «merce». Il feticismo della merce conterrebbe al suo interno la pulsione di morte ma rimossa e in codice, se non addirittura cancellata e trasformata in traccia. Resta però di essa pur sempre una traccia, che agisce in modo inconscio attraverso quel meccanismo universale che è il ritorno del rimosso. Questo è l’aspetto inquietante che ha un grande ruolo nelle democrazie parlamentari dell’Occidente che fanno riferimento al suffragio elettorale universale, che sono il luogo in cui agiscono e si scatenano le tracce rimosse della Todestrieb; tra l’altro, il modo di produzione capitalistico ormai è diventato il modo di produzione dominante (che accomuna le democrazie alle autocrazie), ed è esso stesso il prodotto della tecnica e causa esso stesso della tecnica. Come dire che il modo di produzione capitalistico è, al tempo stesso, causa ed effetto di se medesimo.

Marie Laure Colasson ZZY Struttura dissipativa 50x50 2020
[Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa, 50×50, acrilico 2014]
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Lucio Mayoor Tosi frammento con giallo 2021

[Lucio Mayoor Tosi, acrilico, 2020]

Il modo di produzione capitalistico produce continuamente merci, cioè real things e ready made. È questa la sua forza. La ricezione degli «oggetti» nell’arte era un atto storicamente dovuto, prima o poi essi avrebbero fatto irruzione nell’arte, anche se non fosse mai nato Marcel Duchamp. Anche una fantasia è un «oggetto» e, in quanto tale, essa produce un significato, più significati, un significante, più significanti. La catena dei significati e dei significanti non può mai essere arrestata, pena il crollo del Reale. La Fantasia può sì fungere da sostegno alla realtà, ma solo come cornice, come spazio vuoto ontologico intorno al simbolico. In questa accezione penso al vuoto ontologico della poetry kitchen e nella pittura non-figurativa della Colasson.

La risposta data da Duchamp di riabilitare l’oggetto, il ready made, come oggetto d’arte rende evidente ciò che fino ad allora era rimasto occultato sotto le pastoie ideologiche e apologetiche del «bello». Siamo ancora oggi inchiodati al ready made di Duchamp. Tutta l’arte di questi ultimi decenni è appena un codicillo al ready made di duchampiana memoria, ma esserne consapevoli è già un piccolo passo per oltrepassare il ready made, per muovere i primi passi verso una nuova fenomenologia della poiesis.

Marie Laure Colasson Eruzione Struttura dissipativa, acrilico 30x30 2020
[Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa, La macchia, 50×50, acrilico 2020]
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Sostiene Lacan che nel campo scopico lo sguardo è all’esterno, io sono guardato, cioè sono quadro, il soggetto non coincide più come voleva Cartesio, con il punto geometrale a partire da cui si prende la prospettiva sulle cose, ma vive l’esperienza spaesante di essere in qualche modo oggettivato da uno sguardo altro, ridotto ad oggetto che “fa macchia” nel quadro: siamo presi dentro il quadro, e la vanitas, che credevamo riguardasse solo ciò che è rappresentato nel quadro, si rivela invece essere già da sempre anche la nostra, “che ci ri-guarda proprio dal punto impossibile, il fuori quadro nel quadro, che è lo sguardo come oggetto-a.

Lo scacco del modo di produzione capitalistico risiede nell’aver rimosso la Todestrieb, la pulsione di morte, averla addomesticata, cancellata e rigenerata sub specie del feticcio della «merce»; la merce sarebbe la resurrezione della pulsione di morte con segno invertito: da pulsione di morte a pulsione di vita. La pulsione di morte sarebbe il motore segreto di cui si alimenta il modo di produzione capitalistico che lo convoglia sulle merci come un mana, un sistema semiotico e semantico, un sortilegio che accalappia tutti gli umani post-umani. Qui ci viene in soccorso un pensatore certo non marxista come Heidegger il quale ha scritto: «l’essere svanisce nel valore di scambio». E, aggiungo, con l’essere, anche la pulsione di morte svanisce nel valore di scambio.

Già Marcuse nei tardi anni cinquanta affermava che oggi le categorie psicologiche sono diventate categorie politiche. Che io chioserei così: oggi le categorie del politico sono diventate categorie della nuova psicanalisi e dei versanti cognitivisti della psicologia contemporanea. Ad esempio che cosa sono i «negazionisti» (di Auschwitz, del Covid19, i terrapiattisti, i negatori dello sbarco sulla luna, oggi i filoputiniani, etc.)? se non delle persone che hanno seri problemi di psicopatologia; queste persone sotto il regime del capitalismo diventano sempre più numerose, diventano una «massa» e, quindi, diventano una questione «politica». La politica fa leva sulle psicopatologie di massa diffuse un po’ ovunque.

Il kitchen che stiamo perseguendo ha questa chiarissima consapevolezza, questa auto evidenza, che «l’essere svanisce nel valore di scambio» (Heidegger) e che tutte le categorie della retorica della vecchia poiesis sono diventate categorie della nomenclatura psicologica; psicologismo ed estetismo si equivalgono e sono equipollenti nella inanità complessiva della prassi della politica deterrorializzata di oggi.

Così, il «soggetto» della nuova pop-poesia diventa una «pallottola» sparata non si sa da chi e contro di chi. Nella poesia di Gino Rago i commissari don Ciccio Ingravallo e Montalbano vagano nel buio inseguendo una bizzarra «pallottola» che va di qua e di là. E qui il commissario Ingravallo fa cilecca perché le sue categorie indagatorie (le categorie dell’ermeneutica classica) fanno cilecca, si rivelano carta straccia. In una poesia o in un’opera non-figurativa di Lucio Mayoor Tosi non riesci a trovare un «tema», un filo conduttore, una «ratio», vi regna una diplopia e una grande diffusione semiotica e semantica. E non potrebbe non essere altrimenti.

La disintegrazione della «struttura tragica» della poesia di Maria Rosaria Madonna (vedi Stige. Tutte le poesie 1990-2002 – Progetto Cultura, Roma, 2018) segna la pre-condizione di possibilità per la nascita della pop-poesia o top-poesia che dir si voglia: la poetry kitchen.

La pop-poesia e l’arte non figurativa di oggi ha scoperto la valenza gestuale del linguaggio, a prescindere dal significato e dal senso. Che il linguaggio ha un valore «gestuale» evidentissimo che l’ontologia della poiesis tradizionale non riesce a vedere, che anzi occulta e fa di tutto per occultarlo. Wittgenstein lo aveva chiarito da molto tempo. Per Wittgenstein il linguaggio è funzione di un agire, e può essere inteso solo se lo si coglie nella sua valenza gestuale-strumentale. Grazie al linguaggio facciamo molte diverse cose, e questa diversità caratterizza anche le forme linguistiche. E una forma linguistica per eccellenza che può fare uso del linguaggio gestuale è senz’altro la pop-poesia e il non-figurativo, che pescano nel linguaggio gestuale e figurato. Ma ciò non significa che sia senza significato o senza senso come pensava l’ontologia del linguaggio poetico del novecento, al contrario, nella pop-poesia e nel non-figurativo la valenza e la potenza del linguaggio figurato e gestuale ne viene accentuata all’ennesima potenza. Il modo con il quale le parole si legano alla prassi è il segreto che può liberare la prassi delle parole. E questo lo può fare soltanto il linguaggio non-figurativo che contempla una prassi senza alcuna finalità precostituita, una prassi che è essa stessa la sua finalità.

Marie Laure Colasson Struttura Diss 2014
[Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa, 30×30, acrilico 2014]
. Scrive Wittgenstein:

«Pensa agli strumenti che si trovano in una cassetta di utensili: c’è un martello una tenaglia, una sega, un cacciavite, un metro, un pentolino per la colla, chiodi e viti. — Quanto differenti sono le funzioni di questi oggetti, tanto diverse sono le funzioni delle parole. E ci sono somiglianze qui e là. Naturalmente quello che ci confonde è l’uniformità nel modo di presentarsi delle parole che ci vengono dette, o che troviamo scritte o stampate. Infatti, il loro impiego non ci sta davanti in modo altrettanto evidente. Specialmente non quando facciamo filosofia».2

Lucio Mayoor Tosi frammento marrone 2021

[Lucio Mayoor Tosi, acrilico, Sponde, 2020]

Come apparirà chiaro leggendo la poesia della nuova ontologia del poetico, la forma grammaticale non è una eco visibile di un pensiero invisibile che si trova nella cellula monastica dell’io del poeta. Al contrario, è la forma grammaticale che determina ciò che io penso, è la struttura grammaticale e la struttura sintattica che determinano ciò che io penso. L’io è quindi un epifenomeno. Ecco spiegato perché nella nuova ontologia estetica l’io è quasi assente, o, se è presente, è presente come un io tra i tanti. Il significato è un evento secondario del linguaggio, direi un evento terminale, l’evento primario sta a monte del significato e, a rigore, a monte del linguaggio, alla sorgente del linguaggio. L’evento è l’atto sorgivo del linguaggio.

Per Wittgenstein il significato non è un evento mentale. Quando Wittgenstein nelle sue Osservazioni filosofiche, analizza il grido «Lastra!» che il muratore dice al manovale di passargli una lastra, cioè che qualcuno deve portargli una lastra, vuole far capire che tutto dipende dal modo in cui quel grido è usato, dal contesto in cui accade e, più in generale, dall’insieme delle relazioni che sussistono tra i parlanti, non da ciò che eventualmente passa per la mente di chi parla. Ma ciò è quanto dire che non possiamo fare riferimento al pensiero per considerare incompleta una forma linguistica: ciò che pensiamo, per Wittgenstein, non determina il significato delle nostre parole.

Quando metto sotto la lente di ingrandimento il capitalismo internazionale non mi passa per la mente un giudizio morale o già preso perché so che ciò che io chiamo il mio pensiero è una parte e una diretta conseguenza dello stato delle cose del modo di produzione capitalistico. Io non sono un populista che mescola patate e pomodori e arsenico, io mi limito ad argomentare che le patate e i pomodori sono cose diverse dall’arsenico, anche se tutti e tre questi prodotti sono manufatti del capitalismo. Il marxista che esprime un pensiero critico sa che il significato che noi diamo alle nostre parole è un epifenomeno del linguaggio che viene impiegato. Una poesia di Francesco Paolo Intini, Gino Rago o Marie Laure Colasson sono cose diverse proprio in quanto manufatti distinti, ma sono tutti prodotti del sistema di produzione capitalistico e dei sistemi semantici dei linguaggi che corrispondono a quel tipo di produzione.

Wittgenstein ci dice che un gesto linguistico ha un significato non già in virtù dei pensieri che attraversano la mente di chi parla, ma in ragione della sua appartenenza ad un determinato «gioco linguistico». Ne segue che alla forma grammaticale del linguaggio non è affatto chiesto di rispecchiare i pensieri che abitano e sgomitano nella nostra mente mentre la esterniamo, poiché il senso di una proposizione dipende dall’uso che se ne fa in una circostanza determinata. E ogni nuova circostanza determina un nuovo «gioco linguistico», e così il «gioco» va avanti e il «significato» delle parole cambia, si modifica. Ciò che pensiamo non determina il significato delle nostre parole. Il significato è determinato dal «gioco» di innumerevoli fattori che intervengono all’interno del campo del linguaggio.

Scrive Wittgenstein:

“Quanti tipi di proposizioni ci sono? Per esempio: asserzione, domanda e ordine? — Di tali tipi ne esistono innumerevoli: innumerevoli tipi differenti di impiego di tutto ciò che chiamiamo «segni», «parole», «proposizioni». E questa molteplicità non è qualcosa di fisso, di dato una volta per tutte; ma nuovi tipi di linguaggio, nuovi giochi linguistici (come potremmo dire) sorgono e altri invecchiano e vengono dimenticati. (Un’immagine approssimativa potrebbero darcela i mutamenti della matematica). Qui la parola «gioco linguistico» è destinata a mettere in evidenza il fatto che il parlare un linguaggio fa parte di un’attività, o di una forma di vita. Considera la molteplicità dei giochi linguistici contenuti in questi (e in altri) esempi: comandare e agire secondo il comando — Descrivere un oggetto in base al suo aspetto e alle sue dimensioni — Costruire un oggetto in base a una descrizione (disegno) — Riferire un avvenimento — Far congetture intorno all’avvenimento — Elaborare un’ipotesi e metterla alla prova — Rappresentare i risultati di un esperimento mediante tabelle e diagrammi — Inventare una storia; e leggerla — Recitare in teatro — Cantare in girotondo — Sciogliere indovinelli — Fare una battuta; e raccontarla — Risolvere un problema di aritmetica applicata — Tradurre da una lingua in un’altra — Chiedere, ringraziare, imprecare, salutare, pregare”.3

1 Slavoj Žižek e Glyn Daly, Psicoanalisi e mondo contemporaneo. Intervista a Žižek, Dedalo, 2004 p. 92 2 L. Wittgenstein, Osservazioni filosofiche § 11 3 L. Wittgenstein, Osservazioni filosofiche, § 23.

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Signor Ping, Signor Jitter, Signor Packet Loss, Signor Rtt, Signor Throughput, poesie kitchen di Alfonso Cataldi, Misunderstanding delle interfacce di rete, Una Domanda: Perché si parla? Intervista a Marie Laure Colasson, Letizia Leone, Giorgio Linguaglossa da parte della associazione eumeswil sulla Poetry kitchen, il Collasso del Simbolico e la Catastrofe Permanente – E il linguaggio poetico?

foto nuvole artificiali

Odisseo è vestito con un cappotto sovietico anni cinquanta
Guida un camion che trasporta nuvole artificiali per il Donbass
Una nuvola per un Euro
Ha ingoiato una intera scatola di Fripass
Ha fatto un twitter con la foto di un camion che trasporta delle nuvole
«Adesso – ha dichiarato alla stampa – commercio con Poseidone per far piovere, qui c’è siccità!»
Ha avuto molto successo
Poi è tornato ad Itaca

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(Giorgio Linguaglossa)

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Alfonso Cataldi

Misunderstanding delle interfacce di rete

Un po’ di anni fa (forse la Poetry kitchen non era ancora nata) un comico diceva che alla nascita ogni cittadino deve avere il diritto ad una connessione Internet. Ero molto d’accordo. Alla luce della mia attività lavorativa degli ultimi mesi, devo convenire che quella richiesta non era sufficiente. No, perché una connessione Internet, per non causare stress quotidiano al cittadino, è necessario che sia performante. A tal proposito, ho fatto la conoscenza di cinque Signori distinti, cinque protagonisti di ogni segmento di rete dati, che rispondono al nome di Signor Ping, Signor Jitter, Signor Packet Loss, Signor Rtt e Signor Throughput. Il primo è il padre dei successivi tre, l’ultimo è il primo indiziato quando l’utente si lamenta. Il signor Ping lancia pacchetti dati da un device verso un server di destinazione e misura il tempo impiegato dal singolo pacchetto a raggiungere il destinatario. È necessario ripetere la misura costantemente ed osservare come varia nel tempo; ecco che Il Signor Jitter apre il suo taccuino e prende nota del ritardo medio. Se il traffico è molto elevato e quindi gli apparati di rete troppo impegnati a smistarlo nelle giuste direzioni, succede che alcuni pacchetti non arrivino a destinazione. Il Signor Packet Loss è il freddo censore, forse ha una pistola nella tasca, ma il device non si perde d’animo: tenta e ritenta fino a che non lo assale lo sconforto ed allora alza bandiera bianca. Il più impegnato è il Signor Rtt detto anche galoppino perché deve fare il percorso due volte: quello di andata e quello di ritorno per confermare al mittente che il pacchetto è stato recapitato. Insomma comprenderete bene che se parliamo di milioni di pacchetti al minuto e di milioni di device connessi a Internet, più l’infrastruttura messa a disposizione è ampia, cioè più la banda alta e il Signor Throughput basso, e più il traffico risulta scorrevole. Ma l’infrastruttura costa, il cliente vuole risparmiare e si raggiunge facilmente la congestione. È il caos: si salvi chi può.

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Jitter si fa largo tra le metriche di una cefalea
Il preambolo non è d’obbligo.

Fatela ballare Sanna Marin.
Non fatela smettere mai.

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Rtt è in affanno ma potrebbe essere un inganno
una metrica outdated come tante altre dell’ultima mezz’ora.

Il consumer digerisce tutto
cosa dice il sample time dei confini tra l’Europa e l’Asia?

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Il Throughput al 90% allerta i generali Germanico e Tallia.
In punta di poliptoto disarcionano gli spinner più vistosi sullo schermo.

Cresce l’incertezza tra i plebei dei cinque continenti (qualcuno dice sei)
I giornali ogni giorno escono con qualche pagina in meno e una manciata di trafiletti in più.

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Trentamila misure dallo shadow router in un minuto e venti
L’ultima rilevazione è la penultima ma il software non fa in tempo ad ignorarla che arriva la terz’ultima.

Il prezzo del petrolio sale… scende…
è tornato ai valori di sei mesi fa

Il bonus energia forse verrà introdotto nella manovra della notte
se non scappa la manina con qualche novità.

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Packet loss non ha diritto a ferie e malattia
presiede “l’ufficio dell’ansia da prestazione” ma è sempre sul cantiere.

La prenotazione del volo ha esitato per trenta secondi abbondanti
domani sapremo di pacchetti terminati in qualche anfratto e morti.

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Il fascino di Ping arriva da lontano
non cambia acconciatura dal lontano ’83

«Oggi ho dato a Klea un biglietto pieno di cuoricini
Aurora in classe non mi guarda più»

Chi lo spiega al cliente dei sussulti
nel foglio Excel bi-settimanale?

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La Signora Speed delle autostrade ha usato Volume Boost per la messa in piega dei capelli.

Non teme code o bollini neri per il ponte prossimo pasquale.

Una bellissima litoranea per la migrazione delle farfalle.

Il trasporto di armi e coltelli non è garantito.
La clausola c’è ma non è pubblicizzata.

Germanico e Tallia risparmiano parole e
glassano il tempo
preparano missive che non alludono a strade alternative

La stagione che chiude il pensiero occidentale?

(08 aprile2023)

Foto manichino con vestiti su stampelle

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Rtt è in affanno ma potrebbe essere un inganno
una metrica outdated come tante altre dell’ultima mezz’ora.
Il consumer digerisce tutto
cosa dice il sample time dei confini tra l’Europa e l’Asia?
(Alfonso Cataldi)

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Giorgio Linguaglossa

Perché si parla? Continua a leggere

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Poesie kitchen di Francesco Paolo Intini e Marie Laure Colasson secondo il procedimento serendipico con una Lettera di Giorgio Linguaglossa, cari interlocutori, Vi informo che la poesia kitchen è diretta come un meteorite in rotta di collisione contro i denti di drago delle parole, eretti dall’homo sapiens per chissà quale veredizione nel tempo terminale dell’antropocene, Strutture dissipative di Marie Laure Colasson –

Marie Laure Colasson Z Struttura Dissipativa 2015

  Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa, acrilico, 35×55, 2015

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Struttura dissipativa “Z” di Marie Laure Colasson, acrilico 55×35 cm, 2015

ci offre la rappresentazione di oggetti cha non ci sono, che è tutto ciò che accade. L’essenziale non rappresentabile è contenuto in questa «struttura dissipativa». Il reale, nella sua intima estraneità all’ordine simbolico, può manifestarsi solo nei termini di un eccesso residuale. Ecco allora che fuori dal simbolico c’è del reale, ma in quel fuori così intimo che è al contempo un dentro. Fuori dal significato, fuori dal senso il reale si dà al soggetto in tutta l’ambiguità del suo statuto ontico.

Una colonna color rosso imperiale che si sdipana dal basso all’alto su uno sfondo di nerità luciferina e una ricca varietà di narrazioni di contorno, intersezioni intersemiche e polisemiche in un arco di semicolori abbaglianti, cangianti e sfumanti. I colori della Colasson oscillano tra il rosso porpora, il viola cardinalizio, l’arancione acrilico, il verde bottiglia e il blu cobalto delle carrozzerie Audi insudiciate degli anni sessanta, il senape e lo zafferano, la sfumatura di melanzana delle Fiat millecento anni cinquanta, il mandarino e il ciclamino, il cinabro dei vecchi muri scrostati dell’Urbe, il carminio dei rossetti popcorn, il bianco sgualcito e rarefatto delle camicie da mettere in lavatrice, le nuances color mostarda e majonese, la cioccolata, del budino, i colori dell’ovatta usata, il rosa scialbo e livido del yogurt alla albicocca, il violetto sbiadito, il lillà, il color albume dei dentifrici antiplacca, il pourparler delle insalate francesi farcite di creme e cremagliere, gli esantemi di funghi arrostiti, gli unguenti di argan, i sorbetti alla mela verde, il vino novello e quello in barrique, la variantistica dei rettangoli amputati, delle semi sfere, delle losanghe periferiche e della colonna centrale di rosso imperiale che impressiona per la miriade di pigmenti pulviscolari di contorno che scollima con l’effetto di una luminosità iridescente.

(Giorgio Linguaglossa)

Nel tempo terminale dell’antropocene

cari interlocutori, Vi informo che la poesia kitchen è diretta come un meteorite in rotta di collisione contro i denti di drago delle parole, eretti dall’homo sapiens per chissà quale veredizione nel tempo terminale dell’antropocene. È che in questa condizione di confusione ontologica la poiesis di oggi non ha altro scampo che recitare di voler picconare quel «muro» per provare a vedere che cosa c’è là dentro, là dietro, frangere il tegumento delle parole per sondare che cosa c’è dentro l’ovetto Kinder…

Scrive Le Clézio: «Abbiamo voluto dimenticare il fatto che il mondo linguistico è un mondo totale, totalmente chiuso; non ammette compromessi, non ammette condivisione. Dal momento in cui vi siamo penetrati, non ci è più possibile tornare indietro, verso quell’altro mondo, quello del silenzio».1

Dobbiamo prendere atto che il mondo linguistico è un mondo totale, totalmente chiuso, un mondo concentrazionario, che però ammette tutti i compromessi possibili in quanto consente ogni condivisione e anche tutti i contrasti possibili proprio in quanto consente ogni condivisione. Dal momento in cui abitiamo la fase terminale dell’antropocene, ci è possibile tornare indietro o andare avanti nel futuro mediante l’immaginazione o il metaverso, verso quell’altro mondo, quello dell’immaginazione e di un universo ektraneo. Siamo quindi condannati ad andare avanti a tentoni, verso il rumore delle parole, quelle assurde, insignificanti, plurisignificanti, impostore, fasulle, farisaiche, nauseabonde. Siamo diventati esseri serendipici senza saperlo, senza volerlo; in quanto post-edipici viviamo senza la minaccia dell’angoscia, liberi da Edipo, oscilliamo tra un tartufesco non voglio e un tartufesco non posso; non siamo minacciati che da noi stessi, dalle nostre fisime e dal nostro ego, in realtà siamo tutti diventati ciechi come veggenti.

La procedura serendipica esiste da sempre, ma è solo adesso, nel tempo terminale dell’antropocene e con la poetry kitchen che questo fenomeno da episodico viene elevato al rango di consapevolezza critica e di statuto poietico, di centralità ontologica ed epistemologica, ovvero, di procedura della prassi, artistica e non.

Ha scritto Jules-Henri Poincaré  nel 1914: «Ogni giorno rimanevo […] seduto a tavolino, provavo un gran numero di combinazioni e non arrivavo a nessun risultato. Una sera, contrariamente alle mie abitudini, bevvi una tazza di caffè nero, e non riuscii a prendere sonno: le idee scaturivano in una ridda, le sentivo quasi cozzare le une con le altre, fino a quando due di esse non si agganciavano […] a formare una combinazione stabile. Al mattino, avevo stabilito l’esistenza di una classe di funzioni fuchsiane […]. Non mi restava altro da fare che mettere per iscritto i risultati.»

Il Reale la poiesis kitchen lo raffigura in modo traslato e intersemico e lo convoca in una struttura auto sufficiente e auto immune, erige la propria struttura difensiva e ostensiva perfettamente in grado di rendersi indifferente ed estranea alla prassi, perché la felicità non è nella prassi ma al di là della prassi, al di là della storia. La sola felicità compossibile è quella che è contenuta nella prassi di una poiesis intesa alla stregua di una «struttura dissipativa» come atto di negazione e di rinegoziazione.

Nella poiesis di oggi la forza della negatività è visibile nella sua rara avvertenza e nel rigore del suo statuto ontologico perché percepisce la prassi ermeneutica come intimidatoria e insidiosa, poiché la poiesis non rappresenta nulla, ritiene il concetto di rappresentazione inadeguato oltre che inefficace in quanto la felicità è sempre aldilà, irraggiungibile perché sempre un po’ più in là. Come Scrive Adorno nella Teoria estetica (1970): «La forza della negatività nell’opera d’arte dà la misura dell’abisso fra prassi e felicità».

1 J.M.G. Le Clézio, La torre di Blabele , in P. Barbetta, E. Valtellina (a cura di), Louis Wolfson. Cronache da un pianeta infernale, Manifestolibri, Roma 2014, p. 101

Marie Laure Colasson Abstract_9

M.L. Colasson Struttura dissipativa, acrilico 25×40, 2019

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Poesia kitchen di Francesco Paolo Intini

INSEGUENDO UN PESCIOLINO D’ARGENTO IN UN SERBATOIO DEL VUOTO
(ovvero tentando un compostaggio viene fuori un puzzle)

Dal libro di Poe un pesciolino
grande quanto un orangutan
E su in alto c’è un aereo
Che ronza tutto attorno

Seguitava un pesciolino a mostrare le ferite d’argento.
Il microfono era salvo per miracolo e poteva fare il suo servizio.

L’evoluzione è ovvia. La cucina contiene tutti gli elementi di un perfetto disordine. Se la lavastoviglie è la suocera, il frigo è la nuora. C’è spazio per Antigone ma anche per un pesciolino d’argento o un’aragosta nella grotta del divano.

Invece solo un pesciolino è sembrato interessarsi a te,
ti avrebbe persino adulato e citato uno dei tuoi versi
se gli avessi promesso di tirarlo fuori dal lavandino
anche solo per le zampette d’argento.

Non è il caso di invidiare il pesciolino
che pattina tranquillo
sul ghiaccio dell’argento
godendo l’ aria fresca
dell’alcol all’aceto.

Tutti al pesciolino d’argento!
E quello si gira, fa un tentativo di sfuggire alla potenza dei piedi, a zig zag sui mattoni.
Poi arriva un verso, sfuggito da un catorcio nel cestino, che gli abbaia dietro. La ricerca del corpo fu inutile. Ognuno aveva la sua ragione, il pezzo di racconto rumoreggiava tra i denti. Le parole insomma ne furono orgogliose.
Il mondo libero è anche un pesciolino morto, tre miliardi di anni o quattro spazzati via da un verso che crede di aver visto un lupo correre dentro casa.

FORTUITO

Nuvole imbracciano il fucile
L’una contro l’altra, armate dal tuono.

Occasione di cicoria che siede
Come un platano alla cena della Caritas.

Molliche della rinascita cadono sul mattone
Tra splendori e il veleno del mostro di komodo.

Avanzano le insegne dell’acido.
Ci siamo anche noi al banchetto d’idee
Tocca alle nostre forche il nervo prediletto da dio.

Comincia così:
un difetto nella pelle o se il popolo non ha pazienza
Un orifizio, largo come la bocca di un lupanare
Poi, al rilascio dei muscoli, la zebra alza la testa
Mentre la morte veste iena.

Nemmeno un lapsus ci salverà
E il giorno che diventeremo immortali
Un afflosciarsi di bottiglia
Indicherà il fulmine abbattuto
sul re delle aspirapolveri.

Marie Laure Colasson Abstract_7

M.L. Colasson Struttura dissipativa, acrilico 25×40, 2019

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Poesie di Marie Laure Colasson

La serendipità del linguaggio corrisponde alla serendipità del funzionamento della nostra mente, come bene illustra la citazione del matematico Poincaré. La poetry kitchen non può fare a meno della prassi serendipica, e questo conferisce una novità straordinaria e dà straordinarie possibilità alla scrittura poetica. Eccone un esempio.

12.

Un berlingot* géant dit à la blanche geisha
“Écoute cette mélopée guerrière écoute
Tagada boum boum…”

“Eh bien oui c’est crever le plein
et le vider comme un cochon bio-orthogonal
assis sur un fauteuil Louis Philippe”
répond-elle allongée sur un tapis volant

“Ou bien” ajoute Eredia
“Un tuyau d’aspiration muni de 48 dents
et 3 ventricules!”

“Cela semble vraiment une source de nourriture
pour un yaourt rempli de poils de pubis”
tranche sévèrement Madame Green

L’homme du vide muet Continua a leggere

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Appunti intorno a una gallina Nanin e a una pallottola, libro di Gino Rago, a cura di Marie Laure Colasson, Storie di una pallottola e della gallina Nanin, Progetto Cultura, 2022, La poesia kitchen è l’esempio più eclatante di una poesia rimasta senza parole. In realtà il poeta di oggi non ha nulla da dire: nessun messaggio, niente di niente tranne la scatola vuota del vuoto che è l’io, quell’io che è la quintessenza della metafisica della volontà di potenza e del mondo come volontà e rappresentazione

la realtà oggettiva del linguaggio è una realtà coscrittiva

la lingua non esprime fenomeni psicologici,
non riflette ciò che il parlante vuole, immagina o pensa,
la lingua sta fra i singoli parlanti, come l’acqua fra i pesci del mare

È la condizione di Emergenza che determina la «rivoluzione»
È la condizione di Emergenza che determina il «nuovo politico»
È la condizione di Emergenza che determina la «nuova poiesis»

(Giorgio Linguaglossa)

Cover Gino Rago Gallina Nanin

Gino Rago è nato a Montegiordano (Cs) nel 1950 e vive tra Trebisacce (Cs) e Roma. Laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza di Roma è stato docente di Chimica. Ha pubblicato in poesia: L’idea pura (1989), Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005),  I platani sul Tevere diventano betulle (2020). Sue poesie sono presenti nelle antologie Poeti del Sud (2015), Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2016). È presente nel saggio di Giorgio Linguaglossa Critica della Ragione Sufficiente (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2018). È presente nell’Antologia italo-americana curata da Giorgio Linguaglossa How the Trojan War Ended I Dont’t Remember (Chelsea Editions, New York, 2019) e nella Antologia Poesia all’epoca del covid-19 La nuova ontologia estetica (Edizioni Progetto Cultura, 2020) a cura di Giorgio Linguaglossa. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022)  . È presente nel libro di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.  Nel 2022 pubblica Storie di una pallottola e della gallina Nanin, è nel comitato di redazione della Rivista di poesia, critica e contemporaneistica “Il Mangiaparole” ed è redattore delle Riviste on line “L’Ombra delle Parole”

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Appunti intorno a una gallina Nanin e a una pallottola

di Marie Laure Colasson

Gino Rago con Storie di una pallottola e della gallina Nanin (Progetto Cultura, Roma, 2022) edifica una «anti-grammatica» di una «anti-avanguardia», la sola cosa oggi possibile ad un poeta che non voglia arrendersi ad un discorso di nicchia, da prigione dorata, e lo fa attraverso una ridefinizione del linguaggio poetico visto come un meccanismo di Escher teso a disarticolare le relazioni di tempo e spazio e la consequenzialità logica e unilineare nella narrazione a vantaggio di una «concezione figurativa del linguaggio poetico» la quale, smascherando la vulgata corrente della enigmaticità del mondo, la esplica, con Wittgenstein, all’evidenza della mera fatticità del mondo che il linguaggio ha solo la funzione di rappresentare mimeticamente. In questo modo, il poeta di Trebisacce opera alla stregua di un demiurgo che costruisce una propria anti-metafisica come pratica di letteralità del linguaggio e della sua condizione di prigionia che costringe il soggetto ad un perenne girare a vuoto; così operando Rago mette in piedi un macchinario celibe, smaschera, indirettamente e implicitamente, la prigione dorata della poesia elegiaca che crede ingenuamente di poter sopravvivere nell’epoca del Collasso del Simbolico e della Catastrofe permanente. In questo modo denuncia, indirettamente e implicitamente, l’illusione della narrativa del consenso cultural-mediatico che si nutre di narrazioni trolliste e usufritte funzionali alla conservazione dell’assoggettamento del soggetto e del suo linguaggio allo status quo permanente.

Soltanto la «forma-polittico»con l’impermanenza dei suoi costrutti e con i suoi meccanismi di distanziamento e di straniamento del discorso poetico attraverso tecniche retoriche d’interruzione, détournement, entanglement e peritropè, evidenzia lo stupore per un’impossibile uscita del linguaggio poetico dal linguaggio. E mostra che il Re è nudo. È lo stupore che guida le peripezie e le acrobazie della «gallina Nanin» e della «pallottola» nei loro andirivieni. La  «poesia-polittico» di Gino Rago è un work in progress della fortune-telling book, un coacervo di bisbidis di quisquilie e di filosofemi, di pos-it, di appunti sul verso e sul recto di cartoline postali, di poscritti su attaches, di appunti smarriti e poi ritrovati, di calembour e di giochi di prestigio. Tutto ciò sull’altare desacralizzato di una «gallina» e di una «pallottola» sparata a casaccio dal commissario Ingravallo, che esce dal romanzo di Gadda e se ne va a zonzo a seminare discordia ed equivoci plurimi.

L’andatura apoplettica della «nuova poesia» è fatta di vacillamenti, di zoppicamenti, di passi all’indietro (ma dove?); un passo in avanti e due all’indietro. Si va per passi laterali, per tentativi, per scorciatoie, per smottamenti laterali, e ribaltamenti e ritrosie, per tracciamenti di sentieri che si rivelano Umwege e ritracciamenti all’indietro, di lato… È che non essendoci più una fondazione sulla quale fondare il discorso poetico, anch’esso se ne va ramengo, senza un mittente e senza un destinatario, contando unicamente sulla destinazione: si invia, si destina qualcosa a qualcuno pur sapendo che non giungerà nulla a nessuno, la destinazione è priva di destino, si vive alla giornata seguendo il Principio Postale, la spedizione della cartolina, delle cartoline.

La «forma polittico» è una sommatoria di cartoline, di invii, di rinvii, di post-it, di scripta improvvisati. Si tratta di un meccanismo di invii e di tracciati destinati allo sviamento e all’evitamento, dove il messaggio, che reca impresso il desiderio, la pulsione, non arriva mai a destinazione in quanto per definizione freudiana inibito alla meta, e il Principio di Piacere che ha prodotto il desiderio approda infine al Principio di Realtà. E così facendo perpetua il meccanismo di riproduzione del capitale del piacere non ottenuto mediante la riproduzione del piacere in piacere sublimato, piacere tras-posto, tras-ferito.

Il mondo è raffigurabile ma non rappresentabile sembra dirci Gino Rago se non attraverso una struttura polifrastica aperta che si snoda mediante continui cambi di passo e di direzione e veri e propri smash, attraverso cambi di ritmo, improvvise accelerazioni e susseguenti decelerazioni nella convinzione che il soggetto è un congegno molteplice e moltiplicato che conosce la moltiplicazione e la diversificazione continue. La «struttura a polittico» non può che ripetere la «struttura del Labirinto» e la «struttura del soggetto» ed è, di fatto, una struttura circolare che ci riporta sempre al punto di inizio. Una mera illusione.

La poesia kitchen è l’esempio più eclatante di una poesia rimasta senza parole. In realtà, il poeta di oggi non ha nulla da dire: nessun messaggio, niente di niente tranne la scatola vuota del vuoto che è l’io, quell’io che è la quintessenza della metafisica della volontà di potenza e del mondo come volontà e rappresentazione. Quella metafisica è giunta al capolinea. E con essa tutta l’argenteria e l’oreficeria della poesia della tradizione lirica. Quella argenteria, però, è oggi inservibile. Un poeta consapevole lo sa, non può non saperlo.

Poesie di Gino Rago

Marie Laure Colasson interpella la scultura: l’uccello Petty
posata sopra il comodino a destra del soggiorno
dell’appartamento in affitto sito in Roma, Circonvallazione Clodia n. 21
accanto ad un volantino color turchese
e una molletta per i panni.

L’uccello Petty:
«Egregio critico Linguaglossa,
la informo che
la “Bestia” di cui parla il Conte di Kevenhüller
l’ho catturata io, è un sedicente poeta elegiaco,
una vera canaglia,
le cui auto pubblicazioni oscillano fra lo “Specchio” Mondadori
e la collana bianca dell’Einaudi,
l’ho chiusa a chiave nella toilette dell’atelier di Piero Tevini
sito in questo stabile al piano quinto.

Resto in attesa dei 49 milioni di euro a suo tempo trafugati
dalla Lega lombarda di via Bellerio;
mi sto preparando
per la cerimonia della targa all’ex Presidente della Repubblica
Carlo Azelio Ciampi …
ma che è che non è la squadra omicidi del commissariato del dott. Ingravallo
ha manomesso il nome deturpandolo,
allora la sindaca dell’Urbe,
la Raggi,
ha reclamato essere stata oggetto di un complotto
ordito dalla Lega lombarda e da Fratelli d’Italia per detronizzarla
dalla carica di sindaco
e far decollare la candidatura della leghista Irene Pivetti
– l’ex Presidente della Camera dei deputati –
per le elezioni del sindaco di Roma Capitale
e così infliggere un colpo mortale ai 5Stelle.

Il Conte di Kevenhüller
ha già ordinato alla Tesoreria Generale della Banca d’Italia
di corrispondere 49 milioni di euro
a chi colpirà la “Bestia”,
somma che verrà corrisposta al Regio Cassiere
don Antonio Porta
per il tramite del direttore dell’Ufficio Affari Riservati
di via Pietro Giordani, 18.

Allora, accade che il pentastellato Lucio Mayoor Tosi
abbia contattato il filosofo Žižek
il quale ha appena affibbiato un ceffone in pieno viso
al segretario della Lega lombarda,
tale Salvini,
ben noto al commissariato del dott. Ingravallo
in quanto reo di aver baciato in pubblico il rosario
della Madonna Santissima Addolorata
dopo aver deglutito alcuni panini alla mortadella e alla porchetta di Ariccia,
pregandolo di risolvere a suo modo la questione.
Allora, Žižek
ha telegrafato al commissario Ingravallo
intimandogli di sortire fuori dal romanzo
di Carlo Emilio Gadda
e di assumere servizio presso il commissariato della Garbatella
in subordine al commissario Montalbano
il quale ha risolto il caso chiamando in servizio operativo
nientemeno che il filosofo Giorgio Agamben
il quale ha scritto una interpellanza al Presidente del Consiglio Mario Draghi
il quale a sua volta ha ordinato al Generale Figliuolo
di intercedere presso la Santa Sede per via della
Madonna Santissima Addolorata
baciata dal nominato Salvini sul pubblico palco del “Papeete”
quando i sondaggi lo davano al 34%
mentre il nominato chiedeva «pieni poteri» per poter risanare
l’Italia…
La storia non finisce qui, potrebbe continuare, ma noi la vogliamo
interrompere qui…».

Sarà quel che sarà, ai posteri l’ardua sentenza. Continua a leggere

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Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa e Promenades nocturnes, Collage 30×40 cm, 2023, I collages vogliono accompagnare il passeggiatore durante una passeggiata notturna al lume dei fanali e delle ombre di una città. Il solitario passeggiatore è un cittadino anonimo di una città anonima, è un senza nome, è privo di identità, non sappiamo da dove viene né dove va, Analogamente, le sue poesie kitchen sono esercizi, ghiribizzi di personaggi solitari, di avatar che «passeggiano», schermidori che si atteggiano in atti di scherma… cioè esseri anonimi e eteronimi che «consumano» il tempo e lo spazio in quanto non hanno nessuna occupazione lavorativa. Il lavoro, sembra dirci la Colasson, è la Cosa che rende schiavo l’uomo, l’unico momento di libertà e di jouissance è l’atto gratuito della promenade, È lo stato di Emergenza che produce lo spazio

Promenade notturna 7 Collage 40x40, 2023

Promenade notturna 6 Collage 40x40, 2023

Promenade notturna 4 Collage 40x40, 2023

Promenade_nocturne_14 collage 50x50, 2023

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collages denominati promenades nocturnes di Marie Laure Colasson vogliono accompagnare il passeggiatore durante una passeggiata notturna al lume dei fanali e delle ombre di una città. Il solitario passeggiatore è un cittadino anonimo di una città anonima, è un senza nome, è un privo di identità, un immigrato, un clandestino che non sappiamo da dove viene né dove va. Analogamente, le poesie kitchen  della Colasson sono esercizi, ghiribizzi di personaggi solitari, di avatar che «passeggiano», schermidori che si atteggiano in atti di scherma… cioè esseri anonimi e eteronimi che non-consumano il tempo e lo spazio in quanto non hanno nessuna occupazione lavorativa. Il lavoro, sembra dirci la Colasson, è la Cosa che rende schiavo l’uomo, l’unico momento di libertà e di jouissance è l’atto gratuito della promenade nocturne senza capo né coda, senza «finalità» o telos, con il solo scopo di liberarsi dalla schiavitù del lavoro e dalla ideologia del liberalismo, come anche di quella del socialismo che vedono nel lavoro la massima realizzazione dell’uomo-cittadino, al pari della religione che vede nel lavoro dell’anima e nella liturgia dell’anima la massima realizzazione della interiorità religiosa. Il «lavoro» è un concetto della teologia trasposto e transvalutato nella economia del Capitale. Nulla di tutto questo nell’atto kitchen di Marie Laure Colasson e in quello della poiesis kitchen, qui c’è l’irrisione e la derisione per ogni atto che provenga dall’«io penso dunque sono» o dalla «interiorità» di Ignazio di Loyola; l’atto kitchen respinge il «lavoro» con le sue ideologie d’accatto (politiche e religiose) e le spedisce indietro, nell’aldi qua della vita terrena. Il kitchen è l’atto di non-compromissione, di rigetto della seriosità tutta ideologica dell’atto del «lavoro» e della sua autoconservazione intese in accezione teologica e in quella politica. Il Kitchen che dice «Preferirei di no», apre uno spazio di profanazione e di liberazione. E si ferma lì.

Promenade_nocturne_15_collage_50x50_2023

Promenade notturna 3 Collage 40x40, 2023

Promenade notturna 8 40x40 acrilico 2023

Promenade notturna 9 collage 30x40

Promenade nocturne 10 collage 30 × 40cm 2023

Marie Laure Colasson Ordo Rerum Struttura dissipativa

[Marie Laure Colasson, acrilici, Struttura dissipativa 50×50 cm, 2020 – «Io dipingo gli oggetti come li immagino, non come li vedo»]
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È lo stato di emergenza che produce l’immagine. È l’immagine che produce lo spazio. L’immagine fa lo spazio, fa spazio per altro spazio, rende possibile allo spazio di farsi spazio. Di più: l’immagine è la configurazione con cui si dà lo spazio nei linguaggi artistici, come avviene per le composizioni spaziali dei quadri di Marie Laure Colasson. Provate a togliere l’immagine dei colori dai quadri della Colasson, e tutto cade di colpo nella insignificanza amorfa.
La pittura della Colasson non è pittura astratta ma figuralità dello spazio, figuralità delle forme nello spazio, ricerca dello spazio mediante delle forme che emergono da un luogo di cui non sapevamo nulla. Delle forme abnormi, raccapriccianti sono sorte da uno stato di emergenza. L’inconscio che vive in un continuo stato di emergenza. Forme abrupte insorgono e lacerano il tessuto delle relazioni spaziali dello spazio che precedeva l’istante del loro insorgere distruggendo i fragili equilibri architettonici sui quali si reggeva la precedente costruzione spaziale. Queste Strutture dissipative indicano una emergenza, raffigurano questo insorgimento di forme abrupte che non conosciamo, di cui non ne sappiamo nulla e di cui non sospettavamo neanche l’esistenza. L’insorgenza dell’Estraneo è la tematica di questa pittura. Di qui il dis-equilibrio, il dis-formismo, il cataclisma, l’apocatastasi. Queste Strutture dissipative sono la raffigurazione dell’istante in cui una forma estranea irrompe nel nostro ordinato universo percettivo e ne diffrange il lessico e la sintassi, producendone l’implosione, la erogazione di un dis-servizio che viene ad infirmare la struttura di forme in equilibrio che preesisteva all’atto dell’insorgimento dell’Estraneo. Accade il trauma. L’insorgere dell’abrupto ci respinge, volgiamo lo sguardo altrove. Non possiamo guardare più oltre, cerchiamo inavvertitamente il corrimano della distanza, siamo costretti a prendere le distanze dall’abrupto. Ci accorgiamo di essere prigionieri di una contraddizione. Non possiamo avvicinarci a qualcosa che deve, per ora, rimanere a distanza, e non possiamo anelare alla latenza di ciò che vorrebbe manifestarsi nella illatenza. Mettiamo in atto istintivamente un distanziamento sociale.

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Annotazioni sulla poesia di Jacopo Ricciardi, Quattro poesie (2021), Cosa è mai un pensiero vuoto che continua a pensare? È un pensiero senza tempo nato dal pieno ‘in negativo’ di un’arte priva di tempo, che punta, oscillando, verso la realtà quotidiana del mondo, e aprendo lì una porta, per entrare in essa per muoversi senza tempo tra le cose, Il desiderio della poesia è di coincidere con la mente

Jacopo Ricciardi pastello, acrilico e sgorbiature su legno, 50x60cm.

Opera di Jacopo Ricciardi

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Riflessione sulla Poiesis di Jacopo Ricciardi

La poesia deve poter creare un testo poetico che sia fatto di una esperienza che si realizzi nello stesso momento nello scrittore e nel lettore, unendo due tempi distinti del tempo. Si deve creare una poesia che esca dalle coordinate del tempo. Mi pare chiaro che si debba togliere l’ago temporale dalla superficie della mente. Quando è che la mente si esprime senza tempo? Se essa guarda il mondo si adatta ad esso, vi si plasma sopra, e così anche la creazione poetica. Quindi la mente deve guardare se stessa, e il poeta deve scrivere nel momento in cui essa guarda se stessa: appare chiaro che in questo dato momento chi scrive è la mente che si serve come tramite del poeta. Il poeta è un involucro e la mente non è prigioniera in una forma esterna del mondo (o di una Visione).

Un testo con delle parole originate da una mente che guarda se stessa:

levare il tempo dalla narrazione, levare il tempo dal racconto, levare lo scopo o la direzione del tempo, levare il tempo dalla rappresentazione, levare il tempo dalla matericità delle parole, levare il mono significato, la specificità unidirezionale, levare il tempo dalla forma materiale univoca verso l’esterno del mondo della parola, levare il tempo dal tempo nel testo poetico (che è poi lo stesso che toglierlo dalla realtà quotidiana delle cose del mondo). Se è possibile che l’assenza di tempo mostri una struttura a livello di un testo e che la stessa assenza di tempo possa occupare il mondo reale quotidiano, allora il fine di un tale testo non si ferma al foglio o al libro (al solo momento dell’evento della lettura) ma raggiunge il reale quotidiano conferendogli un aspetto più vero (essendo privato del tempo), mettendo un essere umano direttamente in contatto con la propria vita continua nel mondo.

L’aspetto del mondo cambia perché è senza tempo, e i testi poetici privi di tempo non sono che proiezioni reali e attive dell’aspetto di quel mondo cambiato già dal momento della lettura (una lettura non più dal corpo seduto, ma dalla mente corporea già in azione nel mondo). Questo tipo di testi non possono essere chiusi tra le pagine di un libro, poiché il loro luogo è altrove, nella mente appunto, contemporaneamente quella dello scrittore e del lettore. Il libro che porta in sé questi testi è sempre aperto, oltre la sua fisicità: è un libro scomparso, perché senza tempo.

Il pensiero può oscillare verso la realtà del mondo o verso la nudità della mente.

Dopo tanto multiforme pensiero si può tentare di negare il pensiero per avvicinarsi alla nudità della mente, ma non per entrare in quella nudità e cristallizzarsi lì, ma invece per restare nel pensiero svuotato, per farlo ripartire o rinascere. Se è vero che il pensiero è stato nei millenni valorizzato da ogni forma alta di arte e questo si è sviluppato in territori così vasti che nessuno può sperare di raggiungerli tutti con una sola mente in una vita, è anche vero che l’esperienza dell’essere umano si è basata soltanto in questo univoco riempimento (la meditazione verso l’illuminazione è il rovescio della stessa medaglia, cristallizzandosi nella nudità della mente), e che forse può aspirare a un procedimento diverso che faccia nascere il pensiero dal vuoto della mente anziché dal pieno di migliaia di pensieri.

Ora ci si può giustamente chiedere se quanto detto sia possibile, io stesso me lo chiedo. Far oscillare il pensiero fino alla porta della mente vuota e lasciare che esso si svuoti e da lì ricominci il suo corso. Cosa è mai un pensiero vuoto che continua a pensare? È un pensiero senza tempo nato dal pieno ‘in negativo’ di un’arte priva di tempo, che punta, oscillando, verso la realtà quotidiana del mondo, e aprendo lì una porta, per entrare in essa per muoversi senza tempo tra le cose, non riordinando il caos, ma vedendo il caos e attraverso di esso una continuità. Negare il pensiero attraverso il vuoto della mente permette di aprire un passaggio continuo tra mente, pensiero e realtà del mondo, non tenendoli più come camere stagne e passando dall’una all’altra con un salto.

Il desiderio della poesia è di coincidere con la mente.

Nell’arco della Storia la poesia rimane intrappolata nell’ego. In poesia la mente cerca da sempre la mente che la sta generando. E come si può chiamare questo ulteriore stadio della poesia che abita la mente?  Il Sé. Il Sé corrisponde a una mente privata di ego. L’espressione del Sé fa agire (parlare, comportarsi) la mente nuda, libera nella sua nudità sul mondo che trasforma secondo la sua forma liberata nel corpo.
Negato il pensiero un altro pensiero nasce dal vuoto della mente. Su cosa si appoggia questo secondo pensiero?
Togliere il tempo da tutta l’arte del passato (arti plastiche, letteratura, musica). Prendere gli scatoloni vuoti delle forme o delle definizioni (delle tipologie!) dell’arte del passato: epica con le sue caratteristiche, versificazioni latine, trovatori con testo e musica intrecciati, forme miste di poesie e pensiero in Boezio, scultura e pittura più luce in Bernini e Baciccio, prendere poesia e prosa separate e coesistenti, e così via. Si può anche scrivere in uno stile riconosciuto e riconoscibile ma togliendogli il tempo. Le cose della realtà materiale possono essere trattate senza tempo: luoghi, direzioni, l’abitare, il convivere, il respirare, il progettare, l’architettura, le relazioni, il caso, il dipendere, la vita e la morte, le leggi, i pianeti, l’universo. Tutte queste caratteristiche possono svuotarsi di tempo e apparire, singolarmente o secondo le diramazioni che le legano, e queste diramazioni possono essere portate alla luce con intuizione e scritte.
Forse si avranno apparizioni di schemi di intuizioni contro altri schemi di intuizioni (intrecciati, scontranti, mutanti).

Il verso è un frammento a se stante e diversamente inteso nel discorso dei versi. Il verso si isola e anche vive in gruppo tra gli altri versi. I due significati si allontanano l’uno dall’altro ma anche tendono l’uno all’altro rafforzandosi. Essi sono un destino frammentato e potente. Essi segnalano un luogo ulteriore, oscuro e bianco, della mente, uno spazio dove l’idea e la sua forma sono possibili e non ancora esistenti. Un luogo che tramanda se stesso come l’unica irrevocabile verità nascosta. È un’immagine del mondo allo stato “originale”. Le scene descritte si palesano consumate da quel luogo. Dalle scene descritte nelle poesie, trapela, in ogni loro parte o spiraglio, quel luogo. Queste poesie vogliono far fare l’esperienza di quel luogo “originale” o primario della mente sul mondo. Le scene descritte sono forma di quel luogo nascosto.

I versi sono stabili e autonomi e utilizzano più possibilità di sensi,

dai significati, alle sequenze sintattiche e ai sintagmi, alla spezzatura della parola, all’errore. Ognuna di queste vie è indipendente e apre una pluralità di percorsi che descrive bene la natura tanto tangibile quanto incolmabile di quel “luogo”. I percorsi stessi e lo spazio tra i percorsi sono di natura simile. L’azione delle scene porta nella tangibilità incolmabile di quel “luogo”. Le immagini sono frammenti di loro stesse. Nei versi le parole spesso interrogano la propria natura in quanto manufatti artigianali, in quanto strumenti artigiani che possono (e devono) essere frammentati (in avanti/indietro [due parole contro una parola]).
I versi devono avere una solidità data dall’insieme delle parti affastellate e legate insieme. “Affastellate” non nel senso di riunire con disordine ma di riunire tutto ciò che è necessario e specifico a un verso affiancato a un altro verso composto, riunito e stratificato a suo modo, secondo sua necessità.

Jacopo Ricciardi, Viaggio 3, pastelli su carta, 120x70cm, 2012.png

Opera di Jacopo Ricciardi

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Quattro Poesie di Jacopo Ricciardi (202)

1.
Dal crepitare di un falò esce un passo di gatto.
Il gatto arde tranquillo.
È vestito da molte fiammelle –
dalle sue zampette morbide
si sollevano smosse quattro fiamme
(Lì dentro arretrato
il passo ha più passi.
Nel passo un lentissimo passo –
in avanti la corsa non può fermarsi.
Indietro la corsa non può fermarsi.
È il ritmo di una forza che non può arrestarsi.
Oltrepassa una membrana che non può muoversi
e non incontra mai nessuno.
La membrana è sempre attraversata.
È la superficie immobile di un respiro
che si increspa e permane.). Continua a leggere

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Risposta di Giuseppe Talia alla Domanda Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica? con una poesia kitchen  di Giorgio Linguaglossa e Giuseppe Talia, Quando parlo della Poetry kitchen mi vengono in mente due movimenti principali dello scorso Novecento: il Futurismo e il Surrealismo comparati con l’attuale situazione mondiale, dalla lotta al Covid19, alla lotta (?) alle disuguaglianze, alla guerra in Ucraina, alla crisi energetica e alla minaccia nucleare

Promenade_nocturne_14 collage 50x50, 2023

Marie Laure Colasson, Promenade nocturne n. 14, collage, 50×50, 2023

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Domanda

 Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?
– Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?
– Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali?

Risposta di Giuseppe Talia

Quando parlo della Poetry kitchen mi vengono in mente due movimenti principali dello scorso Novecento: il Futurismo e il Surrealismo comparati con l’attuale situazione mondiale, dalla lotta al Covid19, alla lotta (?) alle disuguaglianze, alla guerra in Ucraina, alla crisi energetica e alla minaccia nucleare. Le assonanze con i due movimenti sono parecchie ma con i dovuti distinguo e con la dovuta consapevolezza che lo spazio aperto dalla« nuova poesia» riconosce la base della propria epitrope.

La domanda di Giorgio Linguaglossa sulla «fine della Metafisica», forse a mio avviso andrebbe chiarita, penso che Giorgio non intenda la fine tout court della Metafisica, piuttosto un ricambio metafisico, così come è stato da sempre, essendo la metafisica connaturata all’uomo, ed è la metafisica che ci fa comprendere ciò che altrimenti non comprenderemmo. Non si prescinde dalla metafisica, quale che essa sia. Mi sembra che la definizione di «metafisica disillusa» di Roberto Bertoldo calzi bene nel contesto; in effetti, la poetry kitchen ha il merito di porre alcune domande fondamentali che non sono quelle maggioritarie che si attestano su posizioni personalistiche e che hanno esaurito la loro accidia nichilista.

La velocità, che era un caposaldo del movimento Futurista, è rinvenibile nei componimenti Kitchen: l’oggettuale rapporto con i media attraverso i dispositivi tattili, l’esautorarsi della diffusione e condivisione di miriadi di dati privi apparentemente di un senso globale, la nascita e la morte subitanea di ogni notizia a cui si sommano le fake news e le notizie non notizie, sono tutti sintomi, diremmo conclamazioni della «riduzione del Reale da trauma a spettro» (Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Progetto Cultura, 2022, pag 45).

A differenza del Futurismo, i poeti Kitchen non sono interventisti e al pari dei Surrealisti ripudiano la guerra come anche l’idea stessa di conflitto per il potere. Le immagini in movimento, il tono canzonatorio, la disillusione, le onomatopee, la personificazione, sono la più moderna dislocazione in luogo della semplice velocità; il traslato nella Poetry Kitchen è sostanzialmente ubiquo, la catena degli eventi si mescola agli oggetti e alle emozioni con differenti combinazioni di immagini pescate alla rinfusa tra la miriade di immagini e discorsi a cui siamo costantemente sottoposti.

La Poetry Kitchen non è una «scuola», mi si dice, piuttosto un ricambio d’aria, cambio di paradigma, di quelli che si rendono necessari di questi tempi per la prevenzione della propagazione del virus. La nuova aria si sintetizza in questa affermazione: la poetry kitchen adotta la fantasy dell’immaginario come supporto dell’ordine pubblico; ma questo è solo una finzione, un capovolgimento, in realtà la prassi kitchen agisce in vista del disordine pubblico. (Ibidem, Pag. 47).

In che termini però si parla di disordine pubblico? Lungi dall’essere rivoluzionaria e anarchica, nella più aderenza dei termini, la Poetry Kitchen non sembra avere nessun impegno politico, nessun motore pulsionale verso l’identificazione in uno schieramento politico piuttosto che in un altro, semmai si limita a registrare con critica totale ed integrale, questo sì, la fine, la chiusura dell’«impegno», come lo si conosceva nel recente passato, per il suo fallimento su tutta la linea. La conseguenza di ciò è che le categorie dell’illusione e dell’abbaglio prendono il posto della certezza e della verità.

La particolarità rivoluzionaria della Poetry kitchen, se proprio vogliamo rilevarla, risiede piuttosto nell’età media dei poeti che la compongono nella compagine attuale. È rilevante come la svolta, il turn over non sia partito dai giovani poeti ma da un nucleo fondativo che va oltre i settant’anni di età.

Il Surrealismo in Italia non ha avuto il seguito e la risonanza che altrove. Nella Nuova Ontologia Estetica se ne rinviene più di un barbaglio, anzi la sovversione dell’ordine pubblico investe anche il privato, nel privato sono custodite le chiavi di ciò che siamo, e se siamo ciò che comunichiamo, nel profondo del nostro luogo, “dove non si è e non si dice”, in quel vuoto si situa il rimedio della poetry kitchen.

Penso che siano tanti i punti di denuncia e i rilievi che la poetry kitchen rivela e pone nel quadro della “zona -catastrofe” che sta investendo l’Occidente. L’angoscia che ne deriva annichilisce i presupposti una volta caduti i prefissi, post-moderno, post-contemporaneo, post-human, che non facevano altro che rimandare nel tempo, spostare il punto un’asticella più in là piuttosto che dibatterlo. Dopo la posteriorità non rimane che la negazione, l’annullamento: “il non-desiderio che produce la non-angoscia.”

La non-poesia produce l’effetto catarifrangente della dispersione dell’io poetico in un non-io poetico, mascherato, ovviamente, falso e consapevole dell’irreparabilità dell’Ente che non ha più una casa certa nel non-luogo.

Il peso relativo del vuoto e dell’insignificanza vanno di pari passo con il risultato della loro somma la quale dipende dall’abbondanza isotopica, vale a dire dalla differenza di massa. Ogni autore dell’Antologia Poetry Kitchen (Ed. Progetto Cultura, 2022) ha un proprio peso specifico nella ricerca dell’isotopo con cui provare a riempire lo spazio vuoto, affinché si creino i movimenti, gli scambi, le collusioni, l’entanglement, i cortocircuiti narrativi e i droni dell’ubiquità. Alla luce di quanto detto, «prendere una carota e renderla poetica cucinandola» (dizione di Roberto Bertoldo), mi sembra un impegno da non sottovalutare se si guarda alla poesia italiana contemporanea maggioritaria dove si prende un cetriolo e si cerca di renderlo poetico facendolo passare per un crumble alle mele.

Penso di capire l’affermazione sul minimalismo impegnato sul sociale e fondato sulla quotidianità che Roberto Bertoldo rileva nella poetry kitchen, in effetti mancano nel kitchen tutte le categorie estetiche “alte” preferendo alle note alte altre note, i discorsi si muovono su piani bassi, la cloche della barra di comando è posizionata sul sorvolare invece che sull’impennarsi, non tanto per soprassedere quanto per fotografare reale e irreale, ne viene che le immagini catturate non combaciano del tutto, perché la velocità con cui il Reale-reale e quello supposto cambiano, rende quasi impossibile far combaciano i tasselli, l’immagine risulta sgranata e dai contorni non ben definiti. L’uso del distico, in questo caso, agevola la parallasse e incita l’epitrope a tendere continui agguati, a superare l’accidia nichilista. Spostare i foni del bel canto in una scacchiera sostanzialmente a-metrica, produce il disallineamento degli accenti che si posizionano non più in una funzione suasoria ma distopica.

Strilli Tranströmer 1Seconda Domanda

Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?

Risposta

La domanda è ambiziosa e difficile, presuppone l’espressione di una poetica, di una visione che non può che essere lungimirante e dunque ardua nel suo stabilizzarsi. Le poetiche del Novecento si sono frantumate con l’avvento della Neoavanguardia, la crisi innescata dal “Gruppo 63” è stato uno tsunami che ha contribuito alla svalorizzazione del linguaggio. Lo sperimentalismo quale presupposto irrinunciabile della Neoavanguardia, si è concluso in un vortice dalla cui macinatura linguistica non è risultato nessun prodotto duraturo. L’estremizzazione plurilinguistica di Eduardo Sanguineti con Laborintus (1965) ha sparigliato le carte della poesia italiana, a seguire di quella, la rivoluzione involutoria del 1971 ad opera di Montale e Pasolini con Satura e Transumanar e organizzar, hanno invalidato le “poetiche forti”, da quel momento in poi è stato un susseguirsi di rese e qualche resistenza, ad esempio lo stesso Mario Luzi si è dovuto rinchiudere nel suo tardo-manierismo per poter sopravvivere.  L’ultimo in termini di resa è stato Gianfranco Fortini con Composita Solvantur (1994). Nel frattempo, a latere delle così dette “poetiche forti”, si sono sviluppate delle diramazioni di “poetiche deboli”. Parrebbe naturale pensare che dopo una crisi per ricostruire un rapporto e un tessuto comune, si rovisti nella tradizione, si cerchi nelle proprie radici la continuità per edificare dalle macerie di cui sopra, l’atto poetico e il suo complemento, il testo.

Le poetiche deboli del secondo Novecento sono quasi tutte imperniate sull’io lirico-io poeta investito di tutti i poteri. Sull’onda delle due linee, quella innica e quella elegiaca, le poetiche deboli si sono chiaramente attestate sulla linea elegiaca, di pascoliniana memoria nel ritmo, il contenuto, invece, ruota sulla rielaborazione elementare di sofismi e truismi low cost.

Marginalizzare l’io lirico – l’io poeta significa deviare dal centro per una visione larga, allungata sul circostante abisso. È solo prendendo coscienza dell’abisso, soltanto distorcendo la prospettiva di osservazione dal proprio io-poeta-io lirico che può emergere l’indicibile, la metafora. “Nella metafora convergono tutte le aporie del linguaggio, lato effabile e il lato ineffabile, il dicibile e l’indicibile.” (Giorgio Linguaglossa, La Poiesis Kitchen, 2022).

Sul solco del modernismo europeo, la poetry kitchen lavora sul passaggio al post-modernismo, una volta palese che la memoria non è più collegata con la tradizione e che la tradizione non è più la storia. In questi anni di lavoro e di confronto sulla rivista telematica L’ombra delle Parole e del trimestrale di poesia, critica e contemporaneistica, il Mangiaparole, la Poetry kitchen ha esplorato un largo campo di possibilità a partire dal «compostaggio dei linguaggi deiettati, dismessi e tolti» (G. Linguaglossa, Ibidem). Il risultato sicuramente ha portato alla nascita di un coro di voci, di un flusso di nuova coscienza poetica, ibrida, fluida, mutevole, instabile, né poesia né prosa.

Mimmo Pugliese

Dis-oggettivare il tempo e la forma ritengo sia tratto saliente della Poetry kitchen. Allontanarsi un po’ di più dalla metafisica e muoversi nell’interregno del rovescio della medaglia. Rincorrere sembianze di realtà e contaminarle di altra sostanza.

Ultrasurrealismo che si esplica nella frammentazione che sonda il vuoto e nello stesso lo determina. Esattamente questo incastro provoca un movimento tellurico nel quale, per esempio, ” la pallottola” e la “gallina Nanin”, per quanto assolutamente inconciliabili nella realtà, esprimono significazione.

Ultrasurrealismo che ri-forma l’espressività conducendo non verso le «magnifiche sorti e progressive» ma che si insinua nelle intercapedini e nelle contraddizioni di un evo che ha sembianze di gambero. Può essere che produca neppure un solletico ma, tuttavia, aziona la connessione esistente tra quanto diuturnamente è e l’altrove di ciascuno.

L’ego sostituito dall’Es è l’altrove di ognuno che, galleggiando nel vuoto, accomuna “bianche geishe” e “pistacchi del commissario”, “zar di Russia” e “misuratore delle ombre” o, ancora ” sassolino inerte” e ” cane scemo”.

La spoliazione del senso significativo è il carattere distintivo della Poetry kitchen, libera-mente in libero-corpo, che solo apparentemente viaggia senza meta.

Promenade notturna 6 Collage 40x40, 2023

Marie Laure Colasson, Promenade nocturne n. 10, collage, 30×40, 2023

Giuseppe Talia

– we-we, si dice a Napoli

– sei stato a Napoli?

– non di recente

– l’antiquario ha fatto la proposta

– conviene?

– sì, il 35% deve rimanere originale, il resto si può citare

– vero, a San Basile hai ricordato le poesie Frankenstein

– devi tener conto dell’abilità dei punti di sutura

Giorgio Linguaglossa

Kitsch poetry

Dopo essersi ingollato una boccia di marmellata all’albicocca di proprietà del poeta Mario Lunetta che abitava nella capitale in via Accademia Platonica n. 37, il pappagallo Gazprom aprì la porta d’ingresso della abitazione del critico Linguaglossa il quale stava golosamente consumando un uovo alla coque.

Sulla soglia dimorava il poeta Gino Rago con sotto il braccio destro una torta ai mirtilli, lamponi, shrapnel al fosforo bianco e una fotocopia della gallina Nanin opera di Lucio Mayoor Tosi.

Il pappagallo Gazprom aveva appena volato dall’appendiabiti al tavolo da cucina dove finì di ingurgitare i residui della torta e anche una confezione di gorgonzola che giaceva incustodita scolandosi sopra anche una bottiglia di Bourbon, si guardò soddisfatto allo specchio e proclamò con voce stentorea:

«Il vincitore della battaglia di Jena e lo sconfitto di Waterloo sono la stessa persona, sono io!».

Accadde un forte bagliore. Il critico Linguaglossa si stava lavando i denti con il dentifricio Pepsodent plus antiplacca allorché una lampadina con il filo in tungsteno incandescente andò a mal partito.

Quella mattina il poeta Gino Rago stava prendendo un caffè al bar di Trebisacce, correggeva le bozze del suo libro “Storie di una pallottola e della gallina Nanin”.

Sempre a Roma, seduta ad un caffè della Circonvallazione Clodia n. 21 Marie Laure Colasson redige il verbale degli acchiappafarfalle, ci mette dentro tutti i poeti della Poetry kitchen.

Ewa Lipska stava aggiustando la redingote al pappagallo Proust quand’ecco che il poeta Lucio Tosi è diventato un bambino, la mamma gli sta aggiustando il grembiule di scuola e lo rimprovera, gli grida: «stai attento, maleducato!», «ne combini una dopo l’altra!», «sei sempre il solito!».

Francesco Intini ha appena acquistato un revolver a tamburo da 6 colpi calibro 7.65, spara un colpo in aria, dice che Faust ha chiamato al telefono Belzebù per una metastasi mattutina.

Un ippopotamo bianco sta fumando un sigaro cubano in compagnia di Francesco Intini al bar sito proprio davanti al Colosseo, quand’ecco che interviene il poeta-chimico Vincenzo Petronelli che dice: «it will not be easy to handle, il plutonio è un isotopo del favonio e il leone è la marca del water che ho in bagno. Il Colosseo è una dentiera e la groviera è un dentifricio per cani, il che è già un ottimo argomento per l’enthymema».

Proprio in quel momento a Lubjana il critico marxista Tatarkiewick stava litigando con il filosofo Žižek circa il concetto di «vuoto» nella pittura di Rothko

A Londra il cagnolino della regina Elisabetta prende ad abbaiare in tedesco rivolto allo Zar del Cremlino che le si avvicinava. «I cani hanno un istinto interessante, non trova?», ha commentato la regnante rivolgendosi al ministro degli esteri…

Note biobibliografiche

Giuseppe Talìa (pseudonimo di Giuseppe Panetta), nasce in Calabria, nel 1964, risiede a Firenze. Pubblica le raccolte di poesie: Le Vocali Vissute, Ibiskos Editrice, Empoli, 1999; Thalìa, Lepisma, Roma, 2008; Salumida, Paideia, Firenze, 2010. Presente in diverse antologie e riviste letterarie tra le quali si ricordano: Florilegio, Lepisma, Roma 2008; L’Impoetico Mafioso, CFR Edizioni, Piateda 2011; I sentieri del Tempo Ostinato (Dieci poeti italiani in Polonia), Ed. Lepisma, Roma, 2011; L’Amore ai Tempi della Collera, Lietocolle 2014. Ha pubblicato i seguenti libri sulla formazione del personale scolastico: LʼIntegrazione e la Valorizzazione delle Differenze, M.I.U.R., marzo 2011; Progettazione di Unità di Competenza per il Curricolo Verticale: esperienze di autoformazione in rete, Edizioni La Medicea Firenze, 2013. È presente con dieci poesie nella Antologia Come è finita la guerra di Troia non ricordo a cura di Giorgio Linguaglossa, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2016.; con il medesimo editore nel 2017 esce la raccolta poetica La Musa Last Minute. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Giorgio Linguaglossa nasce nel 1949 e vive a Roma. Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle). Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, per le edizioni EdiLet pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italia-no/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2002 pubblica  l’antologia Poetry kitchen che comprende sedici poeti contemporanei, la Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite e il saggio L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe, l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch, il Covid, la Moda, la Poetry kitchen). Nel 2014 ha fondato e dirige tuttora la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue la ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia metastabile dove viene esplorato  un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen  perseguita dalla rivista rappresenta l’esito dello sconvolgimento della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa viene ad esaurimento la metafisica del novecento e si entra nel condominio personale delle parole, una sorta di «nuvola» delle parole gratuite e libere, cioè a disposizione di ciascuno.

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Scambio di missive tra Giuseppe Talìa (Tallia) e Giorgio Linguaglossa (Germanico), Sullo scambio di missive tra due commilitoni della battaglia di Idistaviso tra sovraeccitazione e surdeterminazione dei significati ultronei, di Marie Laure Colasson, L’idea della «nuova poesia» si può riassumere così: disattivare il significato da ogni atto linguistico, de-automatizzarlo, deviarlo, esautorare il dispositivo comunicazionale, creare un vuoto nel linguaggio, sostituire la logica del referente con la logica dell’assente e del non-referente

 

Roma facce

Due ex commilitoni, Tallìa e Germanico, reduci dalle battaglie di Idistaviso

di Marie Laure Colasson

Due ex commilitoni, Tallìa e Germanico, reduci dalle battaglie di Idistaviso, si scambiano missive, si cercano e si allontanano nella misura in cui il loro linguaggio è diventato ultroneo e tellurizzato. È un dialogo drammatico e ilare perché non c’è un cunicolo per uscire fuori dalla Storia, siamo già tutti «storializzati» costretti ad un «fuori-significato permanente» e a un «fuori-senso permanente», deiettati dalla «storia» e già tutti «storializzati». È un dialogo sovradeterminato e sovraeccitato in quanto surdeterminato, impossibile da svolgere perché comunque non condurrebbe in alcun luogo, perché il luogo del Potere è il positum, il posto. Si tratta di un dialogo «posizionale», ciascuno dei due attori ristretto nella propria «posizione» reclusoria e, al tempo stesso, «spodestato», cioè «fuori-luogo» senza alcuna possibilità di sortita politica. Di qui il loro linguaggio, che è un «fuori-luogo», un «fuori-posizione», un «luogo ultroneo». In un mondo dove il motto di Hölderlin non appare più valido: «Dove nasce il pericolo maggiore cresce anche ciò che può salvarci (Wo aber Gefahr ist das Rettende auch)», perché oggi siamo già dentro il «pericolo maggiore», siamo nell’epoca della catastrofe permanente e non si avvista nessuna Idistaviso all’orizzonte. Il dramma di Tallia e di Germanico è di essere stati deiettati dalla «storia» e di non avere una «via di uscita». Il dramma è sempre politico, l’estetica viene dopo, ecco la ragione che determina una sovraeccitazione del linguaggio di Tallia e di Germanico. Oggi, il dramma della politica delle grandi potenze sta nel dis-equilibrio permanente e che nessuno dei due contendenti (Cina e U.S.) è in grado di mantenere una egemonia globale e quindi il mondo è condannato a una competizione globale permanente, le due grandi potenze sono consapevoli del fatto che ciascuna di esse può sferrare in qualsiasi momento un attacco a sorpresa con conseguenze devastanti per l’avversario. Il dis-equilibrio permanente determina così una situazione di catastrofe permanente.

La poesia kitchen è un prodotto dell’epoca della catastrofe permanente nel quale il pensiero logico-sequenziale, di tipo “alfabetico” è stato sostituito da un tipo di pensiero nello stesso tempo «olistico» e «multi-tasking».
Il dizionario Garzanti scrive che con «multi-taksing si dice di sistema operativo (informatico) in grado di eseguire contemporaneamente più programmi alternando il tempo dedicato all’esecuzione di ciascuno di essi».
L’idea della «nuova poesia» si può riassumere così: disattivare il significato da ogni atto linguistico, de-automatizzarlo, deviarlo, esautorare il dispositivo comunicazionale, creare un vuoto nel linguaggio, sostituire la logica del referente con la logica dell’assente e del non-referente. Ogni linguaggio riposa su delle presupposizioni comunemente accettate, non è qui in questione ciò che il linguaggio propriamente indica, ma quel Qualcuno che glielo consente di indicare. C’è sempre un Qualcuno, un fuori-testo, un fuori-cornice che interferisce con le nostre parole, le parole sono sempre ibride, abnormi, ultronee e chi non l’ha ancora capito è perché è rimasto alla numismatica dei francobolli fuori corso.

Scrive Giorgio Linguaglossa:
«Una parola ne presuppone sempre delle altre che possono sostituirla, completarla o dare ad essa delle alternative: è a questa condizione che il linguaggio si dispone in modo da designare delle cose, stati di cose o azioni secondo un insieme di convenzioni, implicite e soggettive, un altro tipo di riferimenti o di presupposti. Parlando, io non indico soltanto cose e azioni, ma compio già degli atti che assicurano un rapporto con l’interlocutore conformemente alle nostre rispettive situazioni: ordino, interrogo, prometto, prego, produco degli “atti linguistici” (speech-act)».

Per la «nuova poesia» è prioritaria l’esigenza di disattivare l’organizzazione referenziale del linguaggio, aprire degli spazi di indeterminazione, di indecidibilità, creare proposizioni che non abbiano alcuna referenza che per convenzione la comunità linguistica si è data.
Una zona di indistinzione, di indiscernibilità, di indecidibilità, di disfunzionalità si stabilisce tra le parole e le frasi come se ogni singola unità frastica attendesse di trovare la propria giustificazione dalla unità frastica che immediatamente la precede o la segue… non si tratta di somiglianza o di dissimiglianza tra le singole unità frastiche ma di uno slittamento, una vicinanza che è una lontananza, una contiguità che si rivela essere una dis-contiguità, una prossimità che si rivela essere una dis-prossimità… si tratta di una dis-cordanza, di un dis-formismo che si stabilisce tra i singoli sintagmi… anche le unità di luogo e di tempo della mimesis aristotelica sembrano dissolversi in una fitta nebbia e, con la dissoluzione della mimesis, viene meno anche la giustificazione di un io plenipotenziario e panottico, viene meno anche la maneggevole sicurezza del corrimano del significato.

È una poesia che fa larghissimo impiego di «sovraeccitazioni», di shock, di sussulti, di strappi, di traumi… È perché viviamo in una società traumatizzata e tellurizzata che fa del trauma una necessità di vita e di Narciso. Basta osservare il panorama della politica di oggi: i populisti nazionalisti e sciovinisti fanno amplissimo uso della «sovraeccitazione»; gli stessi media Facebook, Instagram, Twitter, Tik Tok, i telegiornali etc non sono altro che una vetrina e un palinsesto di notizie che fanno della sovraeccitazione una surdeterminazione, una normologia profilattica; la stessa forma-merce, il design e il marketing, dipendono dallo stato di «sovraeccitazione permanente» in cui noi viviamo. Si punta allo stato di «sovraeccitazione» e di surplus di eccitazione, non vedo perché la forma-poesia ne debba rimanere estranea.

Scrive Lucio Mayoor Tosi:
«La scrittura NOE (nuova ontologia estetica) è più vicina al pensare stesso, ne riprende le modalità. Per questo, nonostante le stranezze, i salti semantici, penso si tratti di poesie ri-conoscibili. Perché tutti pensano, e spesso parlano, in modo incoerente. NOE è vicina all’aspetto sorgivo del pensiero… come anche tutta la poesia di sempre, solo che in altri modi si avverte il profumo del potpourri, violette e lavanda, cose del consueto, del corredo».

Roma Caligula

Giuseppe Talìa

Tallìa

Caro Germanico,

sono molto preoccupato. Giorgio Linguaglossa
non è più quello di prima, È diventato un buono

perdona tutti, perdona anche le mie intemperanze
invece di ributtarmi nel vuoto da cui vengo.

Dice che anche il vuoto è una “cosa”, una cosa che
Contiene il vuoto stesso come un vaso che contiene

La presentificazione e il paradosso del pieno e del vuoto.
Tu lo capisci? Farnetica che la verità è più potente

Della verità stessa. Non ti pare, Germanico, delirante
Il pensiero per cui la verità che di per sé non esiste

Possa esistere in un fondo veritativo? E poi frequenta
Piazze dell’Urbe colme di sardine inneggiando

Ad un rinnovamento che dal profondo dei mari terrestri
Possa riportare questa nostra società malata di memoria

A lungo termine dal Nulla al Tutto e che il Tutto possa comunicare
Con il Tutto. Non ti pare la metonimia un sintomo grave?

Lo tengo d’occhio e ti dirò nella mia prossima.

Giorgio Linguaglossa

Risposta di Germanico a Tallia (Giuseppe Talìa)

Il posto del re è vuoto

caro Tallia,

scrivo dalla mia abitazione: Marketstrasse n. 7 nell’anno mille 3781 ab Urbe còndita.
Il posto del Re è vuoto.
La nuova poesia?, il nuovo romanzo?, la nuova critica?
L’elefante sta bene in salotto, è buona educazione non nominarlo.
Tu dici:
«Andiamo verso la catastrofe con un eccesso di parole?».
L’elefante si aggira nel salotto.
Con la proboscide fracassa il vasellame, sporcifica la tappezzeria,
rovista nei cassettoni stile liberty e post-pop,
manda in pezzi anche il lampadario di Murano
e la cristalleria di Boemia…

Il vestito di Heisenberg è morto il 25 agosto 1926
mentre si recava in tram a Copenaghen.
Noi lo sappiamo dai resoconti dei suoi studi intorno ad un misterioso ipotocasamo
una micro struttura elicoidale
un miliardo di elementi all’incirca
con innesti di mitogrammi di tantalio e cadmio.

Ricordo un trafiletto del 24 aprile 1997 sul “Sole 24 Ore”
di un poeta milanese che parlava di silenzio e di ascolto…
Masticavo quei tramezzini psicopoetici con del chewingum che attaccavo alle pareti.
Adesso ci sono i cinici, stretti parenti delle cimici, gli scettici,
gli iloti parenti stretti degli idioti.
Però gli iloti di oggi hanno un aplomb più strutturato,
intendo i loro brodini psicocritici.

Nei loro trafiletti ci vedo il vuoto apotropaico, il vuoto del Re.
Una volta c’erano anche i “francobolli” su “La Stampa”,
con all’interno una poesiuola.
Lo spettacolo non era edificante, affatto.

E certo che i lettori normali non prestavano alcuna attenzione a quelle sciocchezze.
Quindi nessuno le leggeva.

Bei tempi, caro Tallia!

Roma Cesare 1

Giuseppe Talìa

Eventum.
(Risposta di Tallia a Germanico)

Caro Germanico,

La crisi idrica è iniziata lo scorso anno.
I pozzi si asciugheranno la prossima estate.
Il popolo se ne accorgerà goccia a goccia.
Quando il vaso sarà colmo.

Giorgio Linguaglossa è un eremita.
Gli spedisco di tanto in tanto i fichi secchi della Bitinia.
Con dentro le mandorle delle Galapagos.

Da quando ha visto per primo l’elefante
In salotto sporcificare la cristalleria,
Non è più lo stesso.

Recentemente mi ha inviato un rotolo.
Con alcune domande. Uno spartiacque.

È ossessionato dal pensiero della fine
del pensiero occidentale.

L’algoritmo – metafisica del presente lo tenta.
E ci sta dentro. La crisi iniziata nel 1929.

Un Nihil si muove dall’ora da una banca all’altra.
Le legioni dispiegate cercano di fare la storia.

Un sentore di fine secolo anticipata
Fuoriesce dagli split dei condizionatori.

Lo invito a qualche incursione barbarica:
Aleja, la schiava amazoniana, recita tutta la divina Commedia;
Grunge Assistant, il liberto, traduce qualsiasi frase in tutte le lingue.

Avoir la patate/banane/pêche.
Tomber dans les pommes.
Raccontare qualche insalata.

(Come dargli torto, la bellezza del sublime
Nel disordine estraneo al bello, ci accomuna)

Un giorno Boileau mi suggerì: lascia perdere gli alessandrini.
Ignora i bellimbusti degli emistichi. Molla i signorini settenari.
I gargarismi del privé a portabilità probatoria.
Apri le finestre al nonsenso del mondo. Aria.
Chiudi le inferriate del valore assoluto.

Di te che ti nascondi.

Va verso – verso. Rompi quando è necessario.
Ti accorgerai che Eventum non è cosa di macchine.

Ricorda che l’ape esce dal fiore solo quando è ubriaca di polline.

Giorgio Linguaglossa

Risposta di Germanico (Giorgio Linguaglossa) a Tallia (Giuseppe Talìa)

caro Tallia,

qui nell’Urbe non ce la passiamo tanto bene.
La plebe è nel dubbio se stare dalla parte dei meloniani o se da quella del bullo di Mediolanum.
Oscilla.
In entrambi i casi siamo fottuti.

E poi c’è quel Cavaliere con le sue coorti di lucidascarpe e sciacalli che maneggiano sottobanco con l’azero Ozerov che viene dalla Sarmatia.

Ozerov ama il prosecco del Friuli, i fanghi del mar Morto e gli spaghetti alla amatriciana.
Scalda le sue armate ai confini della Dacia.

Al momento, è in vetta agli scudi il tribuno Conte, quel manigoldo vuole la pax, costi quel che costi, con i barbari sarmati.
Asserisce il Conte:
«La Dacia se la sbrighi da sola, non sono fatti nostri, teniamoci le legioni a guardia delle Alpi apuane, i bordi dell’impero ad est non sono questione che ci riguardi!»
Questo dice il tribuno.

Il cavaliere cincischia, i meloniani fanno minzioni, i salviniani spetazzano, i destriani caracollano per l’Urbe con le magliette e l’effigie dell’azero perfino dentro le terme di Diocleziano…

Nel frattempo, i prezzi del gas sono alle stelle, le cibarie costano quanto un occhio.
Servono rigassificatori, stoccaggi di armi e munizioni, meno climatizzatori, più balestre e balliste, obici, pilum.
Serve il grano della Dacia e meno ciarle tribunizie.

Intanto, il poeta Montale cincischia con questi versicoli:
«Le trombe d’oro della solarità»

Roma volti
Giuseppe Talìa

Tallia

Caro Germanico,

Fukuyama ha mosso le truppe di terra per tentare
Di ricreare la collettività perduta.

Bauman ha pensato bene di allagare il terreno.
Renderlo scivoloso, fanghiglioso e disaggregante.

Si naviga come con Conrad, si scrolla come per scrollarsi
Di dosso ogni responsabilità, si surfa come a Bondi Beach,
Si entra e si esce come si fosse con Proust, ci si accontenta
Di poco come per ipertrofia congenita dell’io sono,
Si lasciano tracce inesistenti come minimale chic.

L’altro giorno si parlava con Laterzo sed Peiora:
Shakespeare vivacchiava con il bonus studenti.
Montale teneva con il reddito di cittadinanza.
Pasolini veniva invitato spesso nelle Domus.

Gli altri a seguire, tra un’ospitata e l’altra
e il bonus docenti qualcosa pure gli entrava nelle tasche.

Pare che si riuniscano di tanto in tanto per capire
Come resistere nell’autonomia differenziata dell’Impero.

Giorgio Linguaglossa

Germanico

Caro Tallia,

Il poliptoto è entrato nel retto di Putler

Bum! il poliptoto è entrato nel retto di Putler lanciato dall’incrociatore Moskvà
L’Elefante suona l’olifante
Ne esce il pesce Lavrov con squame e sopracciglia dipinte
Odisseo commercia con il petrolio e il gas dei russi, manduca fagiani e noccioline del Ponto Eusino
Confonde Cesare con la regina Zenobia, però ha un occhio peritissimo per la valuta pregiata della Signora Circe
Il pesce Lavrov tira per la giacca il Signor Putler
Ne esce una marmellata di essenze all’isotopo di deuterio e un rotolo di carta igienica con impresso l’aureo sigillo della defecatio del Tirannosauro
Accadde nel Cetaceo che una proboscide con squame di coccodrillo prese a crescere dal retto dell’Ibrido

«It is high time to put this on the agenda»,
disse Odisseo appena uscito dall’antro di Polifemo aggrottando le sopracciglia.
«The event has occurred»,
così chiuse la questione l’itacense alla conferenza stampa convocata da Penelope.

Dopo aver ingoiato il poliptoto il pesce Lavrov non trovò di meglio che rifugiarsi di nuovo nel retto del Signor Putler
Ed ivi compì la defecatio e la prolificatio

Il topo saltellò sul piattino con del formaggio bucherellato, morse un fiordo di Emmental Switzerland e lo trangugiò
Dal retto del pesce Lavrov uscì un minuscolo Putler all’isotopo di plutonio in forma di supposta o di Sputnik
Lo psicozoico tossì e crebbero delle margherite all’intorno

«Benvenuti – esclamò il manigoldo – alla fine dell’Antropocene, ovvero, l’Età della Catastrofe Permanente!»

Giuseppe Talìa (pseudonimo di Giuseppe Panetta), nasce in Calabria, nel 1964, risiede a Firenze. Pubblica le raccolte di poesie: Le Vocali Vissute, Ibiskos Editrice, Empoli, 1999; Thalìa, Lepisma, Roma, 2008; Salumida, Paideia, Firenze, 2010. Presente in diverse antologie e riviste letterarie tra le quali si ricordano: Florilegio, Lepisma, Roma 2008; L’Impoetico Mafioso, CFR Edizioni, Piateda 2011; I sentieri del Tempo Ostinato (Dieci poeti italiani in Polonia), Ed. Lepisma, Roma, 2011; L’Amore ai Tempi della Collera, Lietocolle 2014. Ha pubblicato i seguenti libri sulla formazione del personale scolastico: LʼIntegrazione e la Valorizzazione delle Differenze, M.I.U.R., marzo 2011; Progettazione di Unità di Competenza per il Curricolo Verticale: esperienze di autoformazione in rete, Edizioni La Medicea Firenze, 2013. È presente con dieci poesie nella Antologia Come è finita la guerra di Troia non ricordo a cura di Giorgio Linguaglossa, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2016.; con il medesimo editore nel 2017 esce la raccolta poetica La Musa Last Minute. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen  nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

Giorgio Linguaglossa è nato nel 1949 e vive e Roma. Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle).

Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, per le edizioni EdiLet pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italia-no/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2002 esce  l’antologia Poetry kitchen che comprende sedici poeti contemporanei e il saggio L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe, l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch, il Covid, la Moda, la Poetry kitchen). È il curatore della Antologia Poetry kitchen e dei volumi Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022), L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. Nel 2014 ha fondato e dirige tuttora la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue la ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato  un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, poesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo.

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Marie Laure Colasson, Promenade nocturne, collage, 30×40, 2023, Poesie kitchen, La foto di due anonime gambe con calze rosse tratta da un manifesto strappato e desfoliato. La foto, ritoccata con colori in acrilico, è diventata un’opera «ibrida», «ultronea», astigmatica, daltonica, anedonica, inabitata e inabitabile, né pittura, né collage, né fotografia ma tutte queste cose assieme e nessuna cosa. Un manufatto senza identità è quello che meglio contraddistingue l’arte di oggi e l’uomo del contemporaneo che si limita a frequentare il tempo ma non lo abita, che frequenta lo spazio ma è un senza-spazio, che frequenta una fisionomia ma non possiede una identità, che è un senza-luogo, un senza-utopia, un atopos, un atomo che presto scomparirà nel nulla che si porta dentro di sé

Marie Laure Colasson Les choses de la vie
[Marie Laure Colasson, Collage, foto e acrilico, 20×30, 2020]
La foto di due anonime gambe con calze rosse tratta da un manifesto strappato e desfoliato. La foto, ritoccata con colori in acrilico, è diventata un’opera «ibrida», «ultronea», astigmatica, daltonica, anedonica, inabitata e inabitabile, né pittura, né collage, né fotografia ma tutte queste cose assieme e nessuna cosa. Un manufatto senza identità è quello che meglio contraddistingue l’arte di oggi e l’uomo del contemporaneo che si limita a frequentare il tempo ma non lo abita, che frequenta lo spazio ma è un senza-spazio, che frequenta una fisionomia ma non possiede una identità, che è un senza-luogo, un senza-utopia, un atopos, un atomo che presto scomparirà nel nulla che si porta dentro di sé… Ecco perché la migliore arte contemporanea è un senza-identità che rammenta una identità scaduta, come un medicinale scaduto, come un reato caduto in prescrizione che non è più perseguibile; l’arte di oggi rappresenta un androide che un tempo lontano era purtuttavia un umano, un mortale che aveva un destino… Le tesi Sul concetto di storia di Benjamin si concludono con una frase paradigmatica: “ogni secondo […] era [per gli ebrei] la piccola porta attraverso la quale potevaentrare il Messia”. Questo significa che ogni momento di ogni giorno, in questa vita e in questo mondo, è il momento (“cairologico”) delladecisione e dell’azione, il presente, e non il futuro, è il tempo della storia.
(g.l.)

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Gli esseri umani posti in determinate condizioni storiche percepiscono una certa rarefazione, un assottigliamento delle essenze, delle cose, quello che Heidegger chiama il nulla (Nichts) nel quale è immerso l’EsserCi, in questa particolare condizione avviene una dis-proprietà, una Uberwindung, una Gelassenheit, la poesia acquista una sorta di tonalità di fondo (Grundstimmung), una particolarità dell’essere-nel-mondo, uno stato emotivo proprio. Il “nulla” (Nichts) sarebbe il vero motore non visibile della poesia che avviene allorquando il poeta va oltre l’ente, eccede l’ente. È essenziale che l’autore faccia un passo indietro rispetto alle parole, le parole se verranno, verranno da sé, saranno loro a guidare l’autore. E con ciò l’autore sottoscrive la fine della sua autorialità. La «nuova poesia» reca il contrassegno della fine della autorialità, del soggetto plenipotenziario e della pratica discorsiva fondata sull’io.
Se leggiamo la prima strofa di una poesia di Marie Laure Colasson scritta prima del suo incontro con la poetry kitchen, nel 2019, ci troviamo di fronte ad una serie di tocchi da pittrice, ad un quasi impressionismo post-lirico, ma il passo successivo verso la poetry kitchen è stato subitaneo, perché era già inscritto nell’ordine del giorno. È importante questo mettere a raffronto una poesia pre-kitchen con una poesia kitchen, si avverte che è intervenuto un Evento imprevisto e imprevedibile, e il linguaggio è saltato via da tutte le pareti con tutti i suoi bulloni e chiodi che lo tenevano malamente malfermo. (g.l.)

Marie Laure Colasson

Roulement de tambour
La pluie
Une fleur rouge
Ses pas verts
Un envol cinématographique

Entre deux hommes
Un mort un vivant
Si différents
Comparaison confusion
Charlotte enfourche son Harley Davidson
S‘échappe

Les oiseaux
Flèches du ciel

Tanti tocchi che introducono ad una tonalità emotiva, ad un concerto di suoni e di parole che non hanno alcun rapporto tra di essi, ma che, tutti assieme costituiscono una «questità di cose», quella cosa complessificata che conforma una Grundstimmung, una tonalità emotiva di fondo. Ed è appunto questa la caratteristica della nuova poesia. In realtà questo «Nulla» è pieno di cose, di momenti, di esperienze, di sensazioni, di cose di cui non sapevamo di sapere.

Promenade nocturne 10 collage 30 × 40cm 2023

Marie Laure Colasson, Promenade nocturne, collage, 30×40, 2023

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Marie Laure Colasson
(da Les choses de la vie, 2022, trad. di Edith Dzieduszycka)

Roulement de tambour
La pluie
Une fleur rouge
Ses pas verts
Un envol cinématographique

Entre deux hommes
Un mort un vivant
Si différents
Comparaison confusion
Charlotte enfourche son Harley Davidson
S‘échappe

Les oiseaux
Flèches du ciel
Revêtent leurs combinaisons spatiales
Pour affronter les astres

“fleurs de nénuphars”
Dans la poitrine
Zaza enfile des vérités
Comme des perles
Avec humour

Sœur Candida de la perversion
Droguée de Sporanox
Pourtant la nuit …………

L‘astrophysicien
Observation au télescope
Couleurs et ombres
Changeant selon les heures
Se gratte le crane

Barbara et Rimbaud
Un voyage à travers les océans
“ allèrent (….) à la plage
Et firent beaucoup d‘enfants “

Langueur et envolées des violons
Cristallisations les yeux clos
Méditation de Massenet

Miss vitamines
A B C D E
Quatre-vingt milliards de probiotiques
Transformation subite
En poupée gonflable

Rullio di tamburo
La pioggia
Un fiore rosso
I suoi passi verdi
Un volo cinematografico

Tra due uomini
Uno morto uno vivo
Così diversi
Confronto confusione
Charlotte cavalca la sua Harley Davidson
Scappa

Gli uccelli
Frecce del cielo
Indossano le loro tute spaziali
Per affrontare gli astri

“fiori di ninfea”
Nel petto
Zaza con umorismo
Infila verità
Come fossero perle

Sorella Candida della perversione
Imbottita di Sporanox
Però di notte………

L’astrofisico
Osservazione al telescopio
Colori e ombre
Mutanti a secondo delle ore
Si gratta il cranio

Cambiano secondo le ore
Si gratta il cranio

Barbara e Rimbaud
Un viaggio attraversando gli oceani
“si recarono (…) in spiaggia
E fecero molti figli”

Languore e voli di violini
Cristallizzazioni ad occhi chiusi
Meditazione di Massenet

Miss vitamine
A B C D E
Ottanta miliardi di probiotici
Immediata trasformazione
in bambola gonfiabile

Promenade notturna 9 collage 30x40

Marie Laure Colasson, Promenade nocturne, collage, 30×40, 2023

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E adesso una poesia kitchen inedita del 2022

2.

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[Umwelt fait en 2004, durée 1 h et 6 mn coreografie Maguy Marin
musique Denis Mariotte pour le Festival Equilibrio 2022]

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Panneaux miroir et six personnages
son musical assourdissant répétitif
infernal le souffle du vent entre les panneaux

Fragments du tourbillon de la vie
une pomme croquée à pleines dents
un sandwich dévoré
une serpillière esclave de la propreté
une defécation de 3 pantalons abaissés
des lampes électriques qui fouillent le sol
des fesses de femmes éclairées à cru
de dos 3 chadors orangés
des bretelles de salopettes que l’on replace
des sacs poubelle
les couronnes du pouvoir
des chapeaux pour toutes saisons
des robes insolentes unisexes rouges jaunes blanches
des disputes des viols
des actes amoureux sexuels
des déchets jetés sur scene

Le tout le peu le rien
les mâchoires grincent

2.

Pannelli a specchio e sei personaggi
suono musicale assordante ripetitivo
infernale il soffio del vento fra i pannelli

Frammenti del tourbillon della vita
una mela morsicata a trentadue denti
un sandwich divorato
uno strofinaccio schiavo della pulizia
una defecazione di 3 pantaloni abbassati
delle lampade elettriche che frugano il suolo
delle chiappe di donne illuminate a crudo
di schiena 3 chador color arancia
delle bretelle di salopette che si aggiustano
dei sacchi di immondizia
le corone del potere
dei cappelli per tutte le stagioni
dei vestiti insolenti unisex rossi gialli bianchi
delle dispute degli stupri
degli atti amorosi sessuali
dei rifiuti gettati sulla scena

Il tutto il poco il niente
le mascelle digrignano

Promenade notturna 8 40x40 acrilico 2023

Marie Laure Colasson, Promenade nocturne, collage, 30×40, 2023

6.

“Le concret – dit la blanche geisha –
c’est d’utiliser un parapluie
lorsqu’il pleut sous les peupliers au printemps”

Eredia qui savourait un hamburger d’insectes
répondit: “ou bien du gel dans chaque artère
mais également l’intelligence qui tombe dans une poussette d’enfant”

Les têtes d’abricots se foutent totalement
du bleu et du vert lorsque l’orage éclate”
répliqua Madame Green en fumant sa cigarette électronique

Le noir de Londres simulation vêtue de son contraire
prétendit “qu’au Musée Grévin l’on trouve
des phénomènes inanimés comme un piano liquide
des porte-jartelles de lézards en mutation
des masques qui se soufflent le nez sans faire de bruit”

“Et l’abstrait?! demande Bellmer
la réponse resta suspendue avec des poupées
démembrées au centre du temple de
Ramsès II où aboyait Kandinsky

6.

“Il concreto – dice la bianca geisha
è di utilizzare un ombrello
a primavera quando piove sotto i pioppi!

Eredia che assaporava un hamburger d’insetti
rispose: “oppure del gel in ogni arteria
ma egualmente l’intelligenza che cade in una carrozzella per bambini”

“Le teste d’albicocca se ne fottono totalmente
del blu e del verde quando scoppia il temporale”
replicò Madame Green fumando la sua sigaretta elettronica

Il nero di Londra simulazione vestita del suo contrario
pretese “che al Museo Grévin si trovano
dei fenomeni inanimati come un piano liquido
di giarrettiere di lucertole mutanti
maschere che si soffiano il naso senza rumore”

“E l’astratto?! chiede Bellmer
la risposta restò sospesa con delle bambole
smembrate al centro del tempio di
Ramses II dove abbaiava Kandinsky

(inediti, da Nuove poesie, 2023)

Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella  Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Critica di una poesia elegiaca di Giorgio Caproni e di Patrizia Cavalli, “Alba” e “Cosa non devo fare”, La nuova fenomenologia della poiesis ha pagato tutte le spese condominiali arretrate e ha chiuso la contabilità del novecento, Poesia limerick per bambini di Guido Galdini, poesie kitchen di Vincenzo Petronelli, Tiziana Antonilli, Antonio Sagredo

Foto Come arredare una parete bianca e noiosa

Poetry kitchen di Giorgio Linguaglossa

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Come arredare una parete bianca e noiosa?
Qui ci metto un semaforo, sotto, un tavolino giallo con una tazza da caffelatte
Lascio i grattacieli in grigio sul cielo grigio
Accanto, in primo piano, mezzo divano In alto a dx c’è scritto Exit 7 – 800 m.
Due frecce in alto: Highway

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“Alba” di Giorgio Caproni

*
Amore mio, nei vapori d’un bar
all’alba, amore mio che inverno
lungo e che brivido attenderti! Qua
dove il marmo nel sangue è gelo, e sa
di rifresco anche l’occhio, ora nell’ermo
rumore oltre la brina io quale tram
odo, che apre e richiude in eterno
le deserte sue porte?… Amore, io ho fermo
il polso: e se il bicchiere entro il fragore
sottile ha un tremitìo tra i denti, è forse
di tali ruote un’eco. Ma tu, amore,
non dirmi, ora che in vece tua già il sole
sgorga, non dirmi che da quelle porte
qui, col tuo passo, già attendo la morte.

dall’elegia alla nuova fenomenologia del linguaggio poetico

di Giorgio Linguaglossa

In questa poesia di Giorgio Caproni abbiamo un campionario degli stereotipi della poesia elegiaca: colori esangui, lividi, parole non pronunciate, forse fantasticate ma mai dette, si ode però da lontano «un tram», il personaggio che parla pronuncia parole deserte, create per aumentare il senso di angoscia e di sonnolenza della coscienza. La parola finale «morte» è la degna conclusione di una poesia manierata, stilizzata in eccesso, sovraccarica e sovrassatura di lividori. La poesia è ambientata in un luogo lontano e indistinto, «nei vapori di un bar», in un «inverno lungo», «che brivido attenderti!», «nel sangue è gelo», «tremitio tra i denti», «ora nell’ermo/ rumore oltre la brina io», «Amore, io ho fermo/ il polso», «Ma tu, amore,/ non dirmi, ora che in vece tua già il sole/ sgorga». C’è tutto il repertorio stereotipico elegiaco come concentrato, c’è tutto quello che ci deve essere per commuovere il lettore e adescarlo, farlo partecipe dell’angoscia e dell’infelicità dell’io parlante, c’è tutta una lessicalità scelta («nell’ermo rumore», «il sole sgorga», «attendo la morte») per intenerire il muscolo cardiaco del lettore.

La noesi della poesia elegiaca è una tecnesi, ovvero, è il prodotto eufonico di un campionario organologico che traccia una genealogia organologica dei suoi strumenti musicali. Ma è anche una nemesi. Gli strumenti sono sempre quelli della poesia elegiaca: si percepisce un sottofondo di pianoforte rallentato e ovattato e un violino che suona una musica sdolcinata. Si tratta ora di capire perché e come questa genealogia organologica collimi con quella di una economia libidinale regressiva, cioè al servizio del Super-Io, con una postura e una postazione ideologica avvitate nella «intimità», nella «interiorità», nel «dolore»; più precisamente qui si tratta di una economia libidinale caratterizzata dalla capacità che ha l’elegia di fissare una tecnesi e una noesi in un tempo e in uno spazio memorabili e slontananti di cui essa è la rappresentante estetica dell’economia libidica. L’elegia mette in atto una attività immaginativa orientata alla stabilizzazione e alla fissazione dell’economia libidica su un oggetto continuamente perduto e ritrovato («Ma tu, amore», «Amore, io ho fermo il polso»). L’elegia, che in sé è sempre regressiva, ha bisogno di una economia libidica anch’essa regressiva, implica sempre il ritrovamento di un passato, di una noesi e una tecnesi rivolte al tempo passato e al perduto «Amore», nonché, di una implantologia di strumenti musicali che fanno appello alle intermittenze del cuore. Sia chiaro, una organologia non vale affatto un’altra, una organologia elegiaca come questa di Caproni implica e riflette una economia libidinale sostanzialmente basica e statica, regressiva, arrestata in un tempo passato che non tornerà, che non potrà tornare. Appunto, regressiva.

Una poesia kitchen e una poesia per bambini invece implicano l’adozione di una implantologia organologica ontologicamente «altra» che corrisponde ad una «altra» economia libidinale e a un’«altra» postazione ideologica. La poesia per bambini deve tenere conto che i bambini vivono esclusivamente nel presente, che a loro il passato non dice assolutamente nulla, e che il futuro è importante solo come prosecuzione del presente; la poesia kitchen dunque implica una attività per il futuro. Una nuova forma artistica implica sempre una defunzionalizzazione e una rifunzionalizzazione delle precedenti noesi e tecnesi, in altre parole implica sempre l’invenzione di una nuova economia libidinale «altra», e di un controllo del Fantasma. Resta il fatto che questa rivoluzione noetica e tecnesica coinvolge un drastico ricambio della implantologia organologica che corrispondeva allo statu quo ante. Infatti, la poesia kitchen è progressiva, è diretta verso la disambiguazione del significato, fa appello al trans-individuale. Quando un fatto è immaginabile, ergo può diventare reale, si tratta soltanto di riuscire a pensare l’immaginabile.
* [organologia: elenco degli strumenti musicali di una data epoca]

La nuova fenomenologia della poiesis ha pagato tutte le spese condominiali arretrate e ha chiuso la contabilità del novecento

La nuova fenomenologia della poiesis ha pagato tutte le spese condominiali arretrate e ha chiuso la contabilità del novecento, non mi risulta che la poesia italiana della soggettoalgia ipocondriaca abbia fatto altrettanto. Ad esempio, la poesia della soggettoalgia controllata di una poetessa storica del novecento, Patrizia Cavalli, è oggi debordata a dolorificio permanente, a poesia della esondazione dell’io. Leggiamo una tipica poesiola della Cavalli:

Cosa non devo fare

 per togliermi di torno

la mia nemica mente:

ostilità perenne

alla felice colpa di esser quel che sono,

il mio felice niente.

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La nuova fenomenologia del poetico, la poetry kitchen, è per eccellenza aliena a far riferimento a qualsiasi soggettoalgia dell’io, anzi, nutre una vera e propria allergia alla fabbrica del dolorificio della poesia italiana di questi ultimi decenni, la nuova fenomenologia della poetry kitchen si rivolge alla mente recettiva dei bambini, ai negozianti, alle commesse della Oviesse e dell’Upim, al pubblico futuro che ama il metaverso, ha in sé una forza tellurica dirompente che viene agita e agitata da un pluripolittico di frasari di spuria e allotria provenienza, un mix e un mash up di polinomi frastici, un remix, un blow up, un rewind, un «gioco» di citazioni dei linguaggi del mondo delle Agenzie linguistiche («lo stato di cose esistente» di Marx in versione attuale) che intende sovvertire la lettura normologante del mondo. Una sorta di remix e mash up di linguaggi radiofonici, telefonici, privati e mediatici, di voci interne e di voci esterne, di interferenze, di entanglement. Smash and mash up, potremmo dire riepilogando.

La poetry kitchen contiene in sé una carica di libertà, di vivacità, di allegria e di sedizione veramente rivoluzionaria, incontenibile, imprevedibile; mi fa piacere questa magnifica espressione di libertà e di grottesca ilarità che mette all’asta il minimalismo elegiaco svelandone l’arcano implicito: che chi cerca il minimal prima o poi finirà con il trovarlo accontentandosi del minimal. Ma noi non cerchiamo il minimo, semmai, il maximum telluricamente esperibile e compossibile.

La poetry kitchen è una struttura complessificata che vede la convergenza di una simultaneità di spazi, di tempi (reali e immaginari), di frasari allotri, è una hilarotragoedia, tanto per usare una parola nota. C’è una corrispondenza biunivoca fra la sintassi e la semantica: la semantica inaugura un movimento di sensi e di significati, costruisce una narrazione, una storia; la sintassi dipana un ordine, definisce uno stato, edifica una tradizione. La fine di una metafisica ha prodotto un capovolgimento fra l’alto (il sublime) e il basso (il cafonesco), ha prodotto un capovolgimento tra la lontananza e la prossimità, un capovolgimento fra le cose, fra le parole e fra le parole e le cose; telos della poiesis è di stabilire un riallineamento, un diverso dis-ordine tra le cose, un dis-ordine fra le parole e fra le parole e le cose. La fine della metafisica è la fine della tradizione con tutte le sue convenzioni e categorie e si preannuncia con grandi sommovimenti e rivolgimenti dello «stato di cose esistente»; la nuova poiesis non può che riflettere le forze soverchianti della storia che l’hanno prodotta. Così stando «lo stato di cose esistente», perorare la continuità della poiesis e della tradizione nello stato di cose esistente, è un atto politicamente regressivo, culturalmente disarmato, significa voler accontentarsi di salvaguardare la funzione ancillare e decorativa della poiesis.

Vincenzo Petronelli

Fragmenta historica

Latte di mandorla con ghiaccio sui tavoli del “Cafè de la guèrre”.
Lamarmora e Mancini decidono la formazione per la trasferta di Magenta.
“Sarà importante mantenere l’equilibrio tattico.

Dal nostro ombrellone vista-mare sapremo guidarvi all’immancabile vittoria”.

“Se avessi previsto il Narodni Dom, non avrei dipinto “Il Bacio””
confidò Hayez alla Signora Päffgen in una camera del Chelsea Hotel.

Il caffellatte nello scaldavivande in un ufficio della Zentralstelle in Wien.
Eichmann arriva di primo mattino canticchiando “Rhapsody in blue”.
“Il grande bulino è già in azione. Non pioveva sabbia da secoli
sul Danubio,
ma abbiamo già fatto saltare in aria il rapido 904 con le rane a bordo”.
Mosè stava ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio.
A Theresienstadt in inverno si sta come in primavera.
“Si sieda rabbino; posso offrirle del latte nero?”

“Who by fire? Who in the night time?”

Sulla soglia della stazione di Rocchetta Sant’Antonio.
Alle spalle, Marcuse gusta dell’uva fragolina sotto un pergolato
in Abbey Road; davanti
il deserto del Negev: dobbiamo affrontarlo per intero
per approdare alla stanza-dimora di Mario Gabriele.
Da tempo ormai, non legge più “Satura”: ascolta heavy metal
e sorseggia Bourbon.
Tra poco, si festeggeranno le idi di marzo.

Il Signor Dobermann all’alba
accompagna i pochi vaccinati che si riuniscono nelle catacombe.
Pompei deflagrò quando chiuse l’ultimo cocktail bar.
“Le campagne sono tetre ed insicure signor generale: ci affidiamo alla Vostra guida”.
Un fax ingiallito del 476 D.C firmato Flavius Odovacer.
“Delenda Roma est”.

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pseudolimerick per bambini

di Guido Galdini

c’è una giraffa seduta sul sofà
che ha ordinato una coppa di Campari
a chi le chiede: dimmi, come va
risponde: mica male i miei affari
vieni a sederti un poco qui vicino
che ci facciamo un giro di ramino

ma la giraffa è animale assai ingombrante
per alzarla ci vuole un carro ponte
così il malcapitato che ha subito
l’onore di ricevere l’invito
si è dovuto ridurre alla metà
per non essere invaso e stritolato
da quell’ampia giraffa sul sofà.

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Tre poesie di Tiziana Antonilli

Il protocollo

Il paziente aveva firmato il lenzuolo n. 14,
la notte legarono una vena al lavabo.
Anche alla vegetariana imposero la camicia di forza
infermieri e carcerieri giocavano a poker con i vitelli.
I testimoni sempre off line, ma provvisti di consenso informato.

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Manuale in cinque punti

Bere un filo d’erba per gli omega tre
fare un riassunto dei globuli rossi e cestinarli
corpo a corpo dopo il primo sgarbo ai glutei.
Infilzare due volte al giorno le papille gustative
consolare il chilo e l’etto per il complesso d’inferiorità.

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Controvento

I migranti sulla crosta di ghiaccio
si erano piegati gli abeti in tasca.
Con i guanti non ancora scaduti
si prendevano per mano
e ritoccavano il make up della bora.
I muscoli cardiaci sprizzano sangue sui pattini.
Se i Tre Confini preparano intemperie
non resta che il Daspo perenne.

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Una poesia di Antonio Sagredo

Il sogno dello specchio confortò la sinfonia,
i tasti riflessi si mutarono in suoni libertini
e si sparsero sulle note i grani di un eretico rosario.
Mancò un’arietta per essere linfa e cenere.

Il settenario appoggiò i gomiti su uno scordato pianoforte
e si scarnificò la gola per cedere all’ugola dorata il canto.
Non c’erano che merletti e uncinetti tra le dita intricate
come le immagini ricciute d’un etilico poeta irlandese.
(2023)

Tiziana Antonilli ha pubblicato le raccolte poetiche Incandescenze (Edizioni del Leone), Pugni e humus (Tracce). Ha vinto il premio Eugenio Montale per gli inediti ed è stata inserita nell’antologia dei vincitori “7 poeti del Premio Montale” (Scheiwiller). Tre sue poesie sono entrate a far parte di altrettanti spettacoli teatrali allestiti dalla compagnia Sted di Modena. Il suo racconto “Prigionieri” ha vinto il Premio Teramo. Ha pubblicato il romanzo Aracne (Edizioni Il Bene Comune) e la raccolta di poesie Le stanze interiori (Progetto Cultura, 2018). Insegna lingua e letteratura inglese presso il Liceo Linguistico “Pertini” di Campobasso. Sue poesie sono presenti nella Agenda. Poesie kitchen edite e inedite, Progetto Cultura, 2022.

Guido Galdini (Rovato, Brescia, 1953) dopo studi di ingegneria opera nel campo dell’informatica. Ha pubblicato le raccolte Il disordine delle stanze (PuntoaCapo, 2012), Gli altri (LietoColle, 2017), Leggere tra le righe (Macabor 2019) e Appunti precolombiani (Arcipelago Itaca 2019). Alcuni suoi compomnimenti sono apparsi in opere collettive degli editori CFR e LietoColle. Ha pubblicato inoltre l’opera di informatica aziendale in due volumi: La ricchezza degli oggetti: Parte prima – Le idee (Franco Angeli 2017) e Parte seconda – Le applicazioni per la produzione (Franco Angeli 2018). È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

Vincenzo Petronelli, è nato a Barletta l’8 novembre del 1970. Sono laureato in lettere moderne con specializzazione storico-antropologica, risiedo ad Erba in provincia di Como, dove sono approdato diciotto anni fa per amore di quella che sarebbe poi diventata mia moglie, ho una figlia di 14 anni.

Dopo un primo percorso post-laurea che mi ha visto impegnato come ricercatore universitario nell’ambito storico-antropologico-geografico e come redattore editoriale, ho successivamente intrapreso un percorso professionale nel campo della consulenza aziendale, che mi ha condotto al mio attuale profilo di consulente in tema di comunicazione ed export; nel contempo proseguo nel mio impegno come ricercatore in qualità di cultore della materia, occupandomi in particolare di tematiche inerenti i sistemi di rappresentazione collettiva, l’immaginario collettivo, la cultura popolare e la cultura di massa. Dal 2018 sono presidente del gruppo letterario Ammin Acarya di Como, impegnato specificamente nella divulgazione ed organizzazione di eventi nell’ambito letterario e poetico. Alcuni miei scritti sono comparse nelle antologie IPOET 2017 e Il Segreto delle Fragole 2018 (Lietocolle), Mai la Parola rimane sola, edita nel 2017 dall’associazione Ammin  Acarya di Como e sul blog letterario internazionale “L’Ombra delle Parole”. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen nella  Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

Antonio Sagredo è nato a Brindisi il 29 novembre 1945 (pseudonimo Alberto Di Paola) e ha vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza. La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, Cantos del Moncayo, Ediciones Olifante, Zaragoza, 2022,2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile. Come articoli o saggi in La Zagaglia: Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984, (pseud. Baio della Porta): Leone Tolstoj  le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A. Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale). Ha curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema: Tumuli di Josef Kostohryz , pubblicato in «L ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e KateYina Zoufalová; i poemi: Edison (in Lozio,& ., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L ozio», 1988) di Vitzlav Nezval; (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudenkova, di Zbynk Hejda, Ladislav Novák, di JiYí KolaY, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar BYezina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo), trad. A. Di Paola e K. Zoufalová.

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Risposta alla Domanda: Quale poesia scrivere nell’epoca della Fine della metafisica? È solo un gioco di specchi – direbbe il mago Woland – un gioco di scacchi, di fuochi d’artificio, una collezione di figurine bizzarre, una bizarrerie. La «nuova poesia» preferisce la folla e il rumore al silenzio ovattato della poesia elegiaca e del romanzo memoriale, è affollata in modo assordante dalla presenza del «mondo», in essa si assiste al «mondeggiare» del mondo e al «coseggiare» delle cose con tutte le loro acrobazie e follie, Poesie di Mimmo Pugliese, Marie Laure Colasson, Lucio Mayoor Tosi, Francesco Paolo Intini

Uomo sotto la neve

Lucio Mayoor Tosi, Uomo in bicicletta sotto la neve, 2023, opera digitale

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Risposta alla Domanda:

Quale poesia scrivere nell’epoca della Fine della metafisica?

La «nuova poesia» crea le sue «nuove» categorie ermeneutiche. La «nuova poesia» è nient’altro che «una messa in scena» con annesso e connesso la abolizione del simbolico e del sublime. La sublimazione presuppone la rimozione, è per questa ragione che la «nuova poiesis» avendo abolito la sublimazione può fare a meno, correlativamente, anche della rimozione. Una volta libera da queste due estremità la «nuova poiesis» può estendersi sulla superficie della estimità, essendo libera anche della intimità o interiorità che della rimozione ne è storicamente il prodotto alienato e contraffato.

La nuova fenomenologia del poetico, la poetry kitchen, si muove all’interno di una zona di interoperabilità tra gli oggetti (interni e esterni) e gli attanti, una zona di discretizzazione di tutte le funzioni della trasduzione, essendo la trasduzione nient’altro che il processo di trasformazione (interoperabilità) degli elementi che non esistevano prima che prendesse luogo il rapporto di trasduzione; è solo un gioco di specchi – direbbe il mago Woland – un gioco di scacchi, di fuochi d’artificio, una collezione di figurine bizzarre, una bizarrerie. La «nuova poesia» preferisce la folla e il rumore al silenzio ovattato della poesia elegiaca e del romanzo memoriale, è affollata in modo assordante dalla presenza del «mondo», in essa si assiste al «mondeggiare» del mondo e al «coseggiare» delle cose con tutte le loro acrobazie e follie; heideggerianamente, c’è la presenza della «terra», con tutta la sua pesantezza e voluminosità che ingombra. Le funzioni poetiche diventano così meri espedienti. E gli espedienti diventano meri scambi di interoperabilità degli elementi del rapporto trasduttivo.

Che altro è l’espediente della «pallottola» che nella poesia di Gino Rago attraversa ampi spazi e svariatissimi personaggi di plurimi tempi se non una relazione trasduttiva, un colloquio costante con la morte?, con la sua presenza ingombrante?; che altro sono gli inciampi linguistici e gli shifter, gli scambi di binari semantici di Francesco Paolo Intini se non l’ossessione della pulsione di morte dei significati convalidati dalla pratica sociale?, che cosa sono quei «pendeloques» (ciondoli) di Marie Laure Colasson se non manifestazioni del «mondeggiare» degli oggetti ovunque si volga lo sguardo?, quel «mondeggiare» che avviene in una condizione di assenza di orizzonte?, anche le «descrizioni» di Vincenzo Petronelli in realtà sono espedienti che portano fuori strada il lettore, interpretano una variante di quel «mondeggiare» privo di mondo e di orizzonte che è nient’altro che la nostra epoca glocale. Secondo il filosofo marxista Slavoj Žižek la freudiana pulsione di morte deve essere adottata quale categoria centrale del capitalismo, una categoria che si è internalizzata ed è diventata una adiacenza del mobilio psichico. La pulsione di morte abita il cuore del capitalismo odierno. La poetry kitchen è ossessionata dalla presenza di questa pulsione di morte che tenta di esorcizzare con un caleidoscopio di immagini, di figure, di icone, di avatar e di situazioni ultronee, ma si tratta pur sempre di un esorcismo, di una magia bianca in realtà la pulsione di morte è la protagonista assoluta della poesia kitchen che avviene mediante una «messa in scena» che avviene all’interno di una relazione di trasduzione che converte gli estremi in, come dire, estimità internalizzate.

La pop-poesia kitchen può essere letta da chiunque eserciti una professione utile ma non da un impiegato della pseudo cultura: un negoziante, un orologiaio, un barista, un bambino, chiunque tranne che da un letterato.
«Noi figli degli anni più belli», recita la pubblicità di Facebook. È vero, adesso noi, figli degli anni più belli abbiamo tra le mani un linguaggio di rottami, di rifiuti, di remainders, ed è con questo lessico che dobbiamo puntellare le nostre capanne per l’inverno che verrà. In distici, in tristici o in quadristici il kitchen è un discorso sulla tristizia del linguaggio de-politicizzato e privatizzato che usiamo tutti i giorni. Il fatto è che quel linguaggio si era decomposto già da tempo, il fenomeno era già da tempo sotto i nostri occhi, ma non volevamo vederlo. La decostruzione è già avvenuta e avviene continuamente tutti i giorni e tutti i momenti ad opera delle Agenzie emittenti dei media che emettono vomito linguistico profumato in miliardi di esemplari. Ma, gratta gratta, resta vomito. Così, ogni discorso diventa un percorso kitchen ad ostacoli.

Bisognerà chiedersi se la museruola lasciata al bulldog rientri nel silenzio dell’Essere. Andiamo tutti in giro con una museruola, solo che non ce ne accorgiamo; diciamo frasi fatte, frasi obbrobriose e intonse per la loro insignificanza. Tutto ciò «nel silenzio dell’essere». Non è drammatico se non fosse comico? Drammatico e demiurgico e demoscopico con un algoritmo che decide del nostro linguaggio de-politicizzato profumato all’aloe. È che «l’essere svanisce nell’Ereignis», «l’essere svanisce nel valore di scambio», ha scritto più volte Heidegger. Davvero, delle frasi così potrebbe sottoscriverle anche un filosofo marxista, e magari verrebbe tacciato di estremismo infantile. E invece le ha scritte Heidegger.

(Giorgio Linguaglossa e Marie Laure Colasson)

Marie Laure Colasson

Poesia n. 34 della raccolta Les choses de la vie (Progetto Cultura, 2022).

34.

Des pendeloques en or et en cellules d’apocalypse
se dessinent sur le visage de Petr Král

Kandinsky et Klee combat de pensées sous presse
refusent de se fourrer des pois chiches dans le nez

Voltige de mouettes dans la cuisine
se ruent sur les épluchures et la poignée du réfrigérateur

La blanche geisha se parfume à l’acide acétique
ne laissant aucun reflet dans le miroir

Eredia et Kantor poursuivent leur route
contre l’ingérence en construisant des emballages

Král Kandinsky Klee Kantor mettent en scène la blanche geisha et Eredia
créant l’impensable et l’impossible

La débauche terminée les mouettes
laissent des empreintes sur la sable

Des rides sur la mer
des cris et de funestes cercles dans le ciel.

*
Ciondoli in oro e in cellule d’apocalissi
si disegnano sul volto di Petr Král

Kandinsky e Klee combattimento di pensieri sotto la pressa
rifiutano di ficcarsi dei ceci nel naso

Volteggiano dei gabbiani nella cucina
si affollano sulle bucce e la maniglia del frigorifero

La bianca geisha si profuma all’acido acetico
senza lasciare alcun riflesso nello specchio

Eredia e Kantor proseguono la loro strada
contro l’ingerenza mentre costruiscono imballaggi

Král Kandinsky Klee Kantor mettono in scena la bianca geisha e Eredia
creano l’impensabile e l’impossibile

Finita la deboscia i gabbiani
lasciano delle impronte sulla sabbia

Delle rughe sul mare
delle grida e dei cerchi funesti nel cielo

Mimmo Pugliese
Il tango ha i capelli ricci

Hai nascosto le parole dietro i denti della pioggia
le matite accanto ai gatti sugli scafali del metaverso.

La memoria degli aghi di pino
bussa alla catatonia del polonio.

Sulle sbarre di sabbia diventa latte il ritorno
girato l’angolo è magro il fruscio del segnalibro.

Tra virgole d’asfalto si riposano gli elefanti
sorvolano il sudore i citofoni delle banche.

La giacca di flash-back centrifuga bustine di thè
su ponti inesistenti resistono passeri rampanti.

Non ti hanno visto partire
erano spenti i semafori.

Ha capelli ricci il tango uscito dallo specchio
ZZzzz…ZZzzz… video in riconnessione…..

Fuori è pomeriggio

Il pomeriggio che abbaia
si perde dietro all’eco del labirinto

Un rumore di motori scende dai tetti
innervosisce le briciole, scompone il vento

Nella fessura degli armadi
la luce bagna impermeabili nuovi

Quando la collina naviga nella pioggia
sono àsole le canne sulla strada

Alberi che non ti sono mai piaciuti
sciolgono gli intrighi delle onde

Ha dita di sale la botola
che scrosta i muri alla fine del fiume

La traiettoria del sonno si lascia dietro
scarpe e cifre smaltate sulla camicia

Mordono la luna gli storni
mentre parli ai cani della vendemmia

Francesco Paolo Intini
MARLIN

Ci sono missili che fanno la spesa al supermercato
Comprano nature morte senza copyright.

E intanto che nel nervo X si elencano le sinapsi da bloccare
Bartolomeo Colleoni segna un punto nella partita a golf

Ma forse non c’è stato e dunque il fegato chiude il coledoco
dopo la pestilenza , subito dopo Pasqua, oppure prima della Lotteria

Anche ora che la minaccia sembra sepolta
I contromissili di questa parte mostrano grossi sigari dalle ogive.

Ci sarà come trovare aria pura negli intestini
Penetrare da qualche altra parte e respirare nel duodeno.

Nell’attesa che il pancreas blocchi il dotto
Una gru parla in Televisione di una foglia
Che si secca di scendere giù dall’ albero.

Rallegra un Marlin con la testata bionda
Più della moglie appena uscita dal parrucchiere

CARO DESTINO

C’è un destino sul fondo del tegame
Ne parla Tiresia su richiesta di Re Nasone
La condizione umana coperta di teflon
E la Sfinge che torna al suo quiz:
Quale caffè dopo il postmoderno?

Diresti che il pranzo è servito e il ragù galleggia sul Tg
Chi alza la mano per spostare un bicchiere
giura d’aver visto l’angelo ma un bagnino lo convince
che raccogliere bollini è il Bene dell’umanità.

Gazze e corvi continuano a beccarsi.
La peste diffonde le sue idee nell’intestino crasso.
C’è un’appendice che s’infiamma
Un’idea, l’immortalità del moplen
che scuote come un T-rex nell’ano.

La stessa carne esposta ai pesci
E dunque che vale spogliarsi di bianco
Rendere al blu le bare?

E’ un affaccendarsi di notai ed eredi al letto di morte.
Ah ma se facciamo firmare una Guernica
Finisce che la cornice ci fa causa!

La linfa sale alla testa del verde
Quanti giri fanno i sanfedisti?

La vista del mandorlo si annebbia
La lingua ingrandisce l’ascessi a spese del dentista cieco.

Affini! Macchinisti!
Grida Antigone che si sbellica dalle risate
scambiando Creonte per l’onorevole Trombetta.

Lucio Mayoor Tosi
Primo pomeriggio

Un sottopentola, o tovaglietta. Di paglia, un po’ sfrangiata ai bordi.
Per forza di colore bordò. Chiaramente usata.

Anche farsi una sigaretta. Tavolo con casamenti per l’intero universo.
Nessun profilo, tutte le cose messe di fronte.

Quando d’improvviso. / E’ l’ora dei nani, tre quattro mosse
in paradiso di coscienza. E lì scavare, scavare.

Grigio, colore dominante. Acqua di colonia. Blu e nero
il monitor confinante col cimitero.

Un campo di luce più ristretto di quello del sole. Ora
primo pomeriggio. Raggi dal sottosuolo bene attivi.

Fermo come impalcatura ascolto. Se cuore e bellezza
siano confinanti.

«Confina con me. Il sottopentola» dissi. Quindi lei
sbattè la porta. E giurò di non vedermi mai più.

L’importanza di ogni cosa è misurabile scandendo
ogni sillaba del prontuario “Nuovo tempo”. Metodi

per il soccorso giornaliero. Homo sapiens. Prima
del digiuno. Lui e la sua coorte di oggetti.

Una poesia, quella di Lucio Mayoor Tosi, che sopravvive priva di alcun principio gerarchico, direi anarchica, con un metro polisillabico in distici che sta lì come una sentinella armata; ma armata di che?, di nulla, direi, perché la poesia è costruita senza alcuna costruzione (costrizione), sembra nata già decostruita, già rottamata e buona per la pattumiera del non riciclo. Sembra quasi che l’autore di Candia Lomellina si diverta a produrre scarti non riciclabili, scarti inquinanti ma non tossici, scarti che aggiungono inquinamento a inquinamento, così, giocando spensierato e alleggerito da tutti i pesi, perché l’importanza di ogni cosa (non) è misurabile, e l’homo sapiens se ne sta lì «Lui e la sua coorte di oggetti». (g.l.)

Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, nonché nella Agenda Poesie kitchen 2023 edite e inedite Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella  Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York.  Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume saggistico di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia? Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica? Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali? Risposta alla Domanda di Francesco Paolo Intini

Promenade notturna 9 40x40 collage 2023

Marie Laure Colasson, foto, 2022

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Domanda

Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?

Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?

Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali?

 

Risposta di Francesco Paolo Iintini
5 marzo 2023 alle 10:37 

Caro Giorgio, rispondo volentieri e “a modo mio” alla domanda che mi hai posto anche se la filosofia è per uno non specialista come me, un campo difficilissimo da calpestare e in ogni angolo mi è quasi impossibile schivare le mine sotto i piedi. Parto perciò da ciò che abbiamo sotto gli occhi. “Invaso \invasore” non mi sembra un mantra qualsiasi o uno slogan. Contiene, secondo me, la valenza di ’Io penso dunque sono”, ha l’ambizione cioè di fondare ogni ragionamento su questo conflitto. Non per niente chiunque si accinga a parlare sull’argomento è obbligato a dare testimonianza di verità a questo fatto evidentissimo da cui sembra che non ci siano vie di uscite praticabili. Non lo sono tutte quelle vie che sbucano in una trattativa di pace che non prevedano un ritorno allo statu quo originario dell’ Ucraina. Non lo sono perché se ci si affida al ferro della logica si sottintende di escludere ogni ricorso alla fiducia reciproca. E tra i contendenti sembra proprio che non ce ne sia in maniera assoluta. Per questo, l’unica regola praticabile è la guerra “fino alla fine”, per conclusione necessaria, come si trattasse di una somma di addendi. Già! il problema però è capire cosa si intende per “fine “e se questo sia davvero coerente, per forza di sillogismo, con il punto di partenza che si sposa perfettamente con un altro e cioè se il principio: “salviamo l’umanità dalla sua autodistruzione” abbia la stessa valenza del principio di “autodeterminazione dei popoli” e se tra i due principi debba prevalerne solo uno di fronte a una loro impossibile conciliazione. Come uomo libero, odio e disprezzo ogni forma di dispotismo, di sopraffazione e qualunque forma di guerra, la risposta però non dipende da me, ma da una partita tra due squadre, l’una di bambini l’altra di adulti. Se i nomi della prima sono sconosciuti, quelli degli altri sono noti a tutti. Quei Pipistrelli nel finale di Venerea stanno in attesa sul bordo campo sentendosi investiti di un ruolo cosmico nella storia dell’universo.
Lo scenario fisico però ne impone un altro di natura metafisica che riguarda il Bene ed il Male. Mentre il primo scenario ci sembra lontano questo ci fa cadere subito in noi stessi gettandoci in un’unica partita senza durata perché i giocatori si avvicendano continuamente in ruoli variabili indipendenti dal tempo.
Come non riconoscere una tela di Bosch in un campo Ucraino?
In parallelo il nostro inconscio non fa che generare mostri, mischia vigliaccherie ad eroismi, simula in piccolo l’assenza di giustizia mentre ne invoca, cerca un perdono che non gli sarà concesso, parla una lingua che sembra familiare ma che invece è incomprensibile perché ridotto a singhiozzo e balbuzie. Il “terror mortis” regna ovunque e probabilmente costituisce il nastro di Mobius che unisce interno ed interno, di cui tu parli. La poesia, a parer mio, risponde a questo estremo bisogno di ordine che ci arriva sotto forma di paura e che riempie gli spazi tra parola e parola, tra un fotogramma ed il successivo. Cosa sono le grandi costruzioni da Omero a Dante e Shakespeare, Leopardi passando dai greci se non un tentativo di mettere ordine, fissare in una narrazione ordinata e tollerabile il brutto, l’orrido, l’assurdo e il nulla in cui la vicenda umana si scioglie? Come tutte le costruzioni ordinate esse rappresentano entropia che si congela in versi concatenati l’uno all’altro secondo un senso, si pietrifica in regole sintattiche e armoniche, in ritmo che fa vibrare corde interiori e sconosciute.
Tutto ciò andava bene in una società che non aveva prospettive cosmiche e assegnava centralità alla figura umana intorno a cui, come un germe in un’ostrica, cresceva la perla delle grandi opere artistiche, delle scoperte scientifiche, l’ottimismo delle magnifiche sorti e progressive.
Difficile immaginare l’asimmetria di fondo del nostro tempo per cui il futuro non è altro che un cambio radicale di prospettive in cui la proiezione della mente diventa più intelligente di chi l’ha creato e ne assume il ruolo in forma di persona cosciente. Quello che si prospetta non è difficile immaginarlo in termini di rapporto tra pensiero libero e potere. In questo contesto stare nell’oggi significa scottarsi della lava del vulcano che cresce di potenza sotto i piedi. La stessa che frantuma le costruzioni e le seppellisce per conservarne lacerti, illustrazioni, citazioni da museo, versi per ogni occasione, orme di dinosauri ad uso e consumo della stanza della regina delle api.
Quale allora il ruolo della poesia nel periodo di mezzo? Come chiedere di costruire un diamante e affidarlo al fiume incandescente. Meglio non farne o corazzarlo in maniera da renderlo refrattario, indigeribile, impresentabile e improponibile come un virus che abbia come unica chance di entrare nel sistema.

Promenade notturna 8 40x40 acrilico 2023

Marie Laure Colasson, Promenade notturna, collage 30×40 cm, 2023

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Tre poesie di Francesco Paolo Intini

ROBA DA AUMENTO DELLA CIODUE.

Anche il cloro dice la sua
e l’immagine si dissolve nel corridoio.

Il sole irrompe con le stampelle
Fa Enrico Toti ma poi ritorna nel monumento
ogni tanto meraviglia la luce di una cometa
e la via lattea risente dei saluti al fronte.

Tutte le volte che si risalì dalle Marianne
Bevemmo un sorso di vetriolo.

Un inciampo chiuso in uno scaffale
e tra acidi una fiala di ammoniaca
Compare all’improvviso:

-Non mettere in inventario le malefatte
E del ghiacciaio ignora le bare.

Ninfe e satiri si rincorsero nei mortai.
Rubini e smeraldi a bordo campo.

Parve evidente il cambiamento epocale
ma tacemmo accanto agli abstract del 43.

I floppy gli hippy i falchi nella PS,
il più potente cadde da un grattacielo o si suicidò
Come un Rockefeller in disgrazia.

Si conserva la bara, gli eredi depongono chip ai suoi piedi.

Una mantide si raccoglie in preghiera
Divora ruggine e scarta vinile.
Maledizioni partono aspettando il turno.

LIGHTNING ACCOUNTS

Se ne stette immobile tra nuvole di gesso.
Perché voleva Giove alla lavagna ma di fronte ebbe un sussulto
Una scappatoia accelerata da uno sbadiglio.

L’equazione si restrinse a una matrice:
calcolo e nessun elettrone.

Nascono così i carri armati? Ma perché caricarli
Di lupara e jumbo sui piccioni?

Da qualche parte farà zig zag
Sotto la cattedra celeste, tra le gambe di Giunone
Su una barca che si sfracella a destra e manca

Mira a Capaneo tra figure della Panini
Angelillo e poi Rivera un calcio all’arbitro
Un altro a Sivori con l’aria di Beatrice.

Non era un fulmine nemmeno un calcolo di bile
Qualcosa che deborda stratosfera e di sotto
Un plasma col vestito d’arlecchino.

Neanche un albero che esponga i suoi protoni
Un gesto misero come dire matto al Re. Continua a leggere

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Video di Gianni Godi, voci di Alice e Pilar Castel ispirato alle “Strutture dissipative” di Marie Laure Colasson, Domanda: Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della ♫metafisica☼? Nel mondo «storiale» ci può essere soltanto una poiesis «storiale», cioè non-storica, che non abita più un orizzonte storico. La nuova fenomenologia del poetico è la fenomenologia di una poiesis storializzata che si presenta incubata e intubata in una duplice cornice, se così possiamo dire, una cornice esterna al quadro e una cornice interna ad esso, Discorso della Montagna, poesie kitchen di Giorgio Linguaglossa, Marie Laure Colasson, Mimmo Pugliese

Video di Gianni Godi voci di Alice e Pilar Castel ispirato alle “Strutture dissipative” di Marie Laure Colasson

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Oggi, nel 2023, non si può porre mano ad alcuna ermeneutica dell’arte a seguito della Fine della poiesis, di quella che un tempo si chiamava «arte» nel tempo della storia lineare e progressiva; oggi, nel tempo della storialità (cioè della storia non-progressiva), la fine dell’«arte» trascina con sé anche la fine della critica d’arte. E qui il discorso si chiude. La poiesis kitchen è l’espressione artistica più consapevole alla domanda della posizione dell’«arte» in un mondo «storiale»; ovvero, in un mondo «storiale» ci può essere soltanto una poiesis «storiale», cioè non-storica, che non abita più un orizzonte storico. La nuova fenomenologia del poetico è la fenomenologia di una poiesis storializzata che si presenta incubata e intubata in una duplice cornice, se così possiamo dire, una cornice esterna al quadro e una cornice interna ad esso. La poiesis possibile sarà soltanto quella che si situi all’interno tra le due cornici, nell’intercapedine tra le due cornici là dove si apre uno spazio vuoto, vuoto di significazione. Si tratta di una poiesis ovviamente priva di «essenza» e di qualsivoglia «interiorità».
Quelle interiorità ridotte a palline luminescenti, sfere che rimbalzano e galleggiano all’interno di una macchina celibe dove majorette in reggicalze ballano con scheletri redivivi il tutto accompagnato da spezzoni di triviali musichette marziali e acuti di un melodramma soporoso…

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(Giorgio Linguaglossa)

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Domanda

–  Quale poesia scrivere nell’epoca della ♫ fine della storia ☼?
–  Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della ♫ metafisica ☼?
–   Quale è il compito della poesia dinanzi a questi ♫ eventi epocali ☼?

Promenade notturna 1, Collage 30x40 2023

Marie Laure Colasson, Promenade notturna, collage, 40×40, 2023

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Marie Laure Colasson

Rispondo in breve alla prima domanda di Giorgio Linguaglossa

perché è quella che ritengo fondamentale, le altre sono domande di contorno di cui mi sarà lecito rimandare ad altra occasione l’onere di una risposta.
Con la parola «♫metafisica ☼» di cui si parla nella domanda penso si intenda la legislazione del linguaggio a cui noi tutti storicamente sottostiamo: la grammatizzazione della voce orale che ha fondato la nostra civiltà occidentale con tutti i suoi innumerevoli tropi e figure retoriche. Ma la «metafisica» è l’opera di una gigantesca grammatizzazione, non è un corpo unitario e infrangibile, la si può infrangere togliendo alle parole la loro destinazione di legalità e di utilità, sospendendo, con un atto di deposizione, le parole dal loro significato ordinario.

Nel pensiero di Walter Benjamin la verità si dà solo nei «cocci del pensiero», nelle parole depositate sul fondale marino del dimenticato, sottratte al rimosso e all’oblio dalla rete del «pescatore di perle» e del «pescatore di stracci». Benjamin aveva escogitato una precisa strategia in grado di infrangere l’incantesimo di una tradizione che considerava alla stregua del «bottino di guerra» dei «vincitori della storia». Si tratta di una straordinaria collezione di citazioni, minuziosamente appuntate sui suoi taccuini e della quale il filosofo faceva il contenuto fondamentale della sua speculazione.
La citazione, come forma del nominare, se sradicata dal suo contesto semantico e sintattico originario, consente di ricongiungersi alla potenza del dire prima che intervenga la legislazione del senso e del significato. Le citazioni organizzate dalla tecnica del montaggio recidono i vincoli che le tenevano avvinte alla ♫metafisica☼ del «significato»; qui il principio di autorevolezza dell’enunciato viene soppiantato da quello di libera individualità delle parole liberate dalla sottomissione al significato ordinario socialmente condiviso.

Ha scritto Linguaglossa in un commento postato il 28 febbraio 2023:

“Oggi abbiamo a disposizione la «musica» e le «parole» ovunque: non solo nelle sale concerto, ma, nei teatri, nei cinema, nelle sale d’aspetto dei dentisti, nei negozi di alimentari, nei supermarket… come la «musica» anche le «parole»: siamo invasi da parole di tutti i conii, da quelle bicefale a quelle alto allocate, parole insulse, prometeiche, cafonesche, a quelle prive di significato, parole vuoto a perdere… così non solo negli aeroporti ma anche in spiaggia e finanche nel mare a bordo dei pedalò siamo assediati dalle musichette orripilanti e dalle parole dei bagnini… tutto questo ha cambiato il nostro rapporto con la musica e con le parole; innanzitutto, dobbiamo liquidare una volta per tutte l’ideologema mitico della «voce originaria», come se ci fosse una mitica «voce» nella mitica «interiorità» in grado di affiorare in superficie
(con tanto di duende) e di irrorare di bellezza composita il foglio bianco del poeta intonso. Tutto ciò è un mito! In realtà, non c’è nessuna «voce» originaria e tantomeno «narrante», non c’è nessuna «origine» e nessuna «autenticità» da salvaguardare e quindi non c’è nessuna «duende» originaria, nessuna «nostalgia», non c’è nessuna «autenticità» da liberare nella voce dispiegata. Tutti miti di un bel tempo che fu. E con la scomparsa della «voce» originaria del poeta, abbiamo i suoi sostituti: delle «voci» multilaterali che provengono da ogni dove.”

Il poeta di oggi agisce in modo analogo a quello del «collezionista» di Benjamin, le parole intimamente intrecciate all’origine del loro valore d’uso e di scambio si configurano presso la nuova fenomenologia del poetico, una volta liberate dall’origine, in guisa antisistematica; libere di agire in base al principio di libertà, le parole non sono più soggette alla legislazione di quella «metafisica» (la tradizione) che ne irrigidisce il senso e il significato.
Possiamo considerare il collezionismo di oggetti di Benjamin una procedura analoga al collezionismo di frasari nella poetry kitchen, una procedura che consente di sostituire il valore d’uso e di scambio delle parole con un valore dato dal mero piacere disinteressato del poeta. Così, gli oggetti liberati dalla schiavitù dell’utilità e del significato, vengono «riscattati». Si tratta di un’attività rivoluzionaria governata dal kairos che sconvolge l’ordine imposto dal passato e legittimato dalla tradizione.
Le citazioni anonime, i frasari anonimi costituiscono il nucleo centrale della tecnica compositiva della nuova fenomenologia del poetico, nella quale non vige il principio logico-causale ma un intento azionatorio-predicatorio insito nel linguaggio. Verrebbe da pensare, allora, che proprio il kairos rappresenti la categoria portante della poetry kitchen.
Il kairos che governa il rinvenimento di «perle e coralli» (dizione di Benjamin) perduti, il kairos che culla il passeggiatore, il flâneur, nel reticolo delle strade di Parigi.

“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato.
Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle.
Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.”.1

1 Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti

Giorgio Linguaglossa
Discorso della Montagna

Il Presidente del Globo Terrestre alzò la cornetta del telefono
Urlò:
«Il misuratore dei bidet è andato a prendersi un caffè, ha attaccato un cartello alla vetrina del negozio di ortofrutticolo di via Pietro Giordani con su scritto:
“Torno subito”»
E continuò con questi frangenti:

«È in corso la denazificazione della poetry kitchen!
È in corso la saponificazione della formaldeide!
Non dimenticate di prendere un’aspirina, la sera, e una di Lexotan la mattina e dopo i pasti, vi toglie il mal di stomaco
È vietato fornicare con la vicina di ombrellone
Ai nani è vietato indossare gli shorts
È vietato pomiciare con un LGBT
È vietato chiudere i rubinetti del gas prima di uscire
È vietato chiudere i flow cash dei bancomat
È consentito indossare la canottiera solo d’inverno
Non è permesso immergere i savoiardi nel caffelatte
Non dimenticate di assumere il prolettico dopo pranzo
La penicillina è diventata astemica
La majonese è una combriccola milanese
L’alopecia è una torta Sacher con la Lichtung al centro
Il poliptoto è il nome scientifico della medusa mediterranea
Il maggiordomo Camembert ha deglutito per errore la créme caramel di propietà del poeta Michal Ajvaz
Madame Colasson usa sempre il filo interdentale Colgate Control»

Fu a questo punto che Papa Francesco dal Vaticano interloquì in modo appropriato:

«Spolverate più spesso la piramide di Cheope con lo spazzolino da denti Kukident e poi lucidatela con il lucido da scarpe Nugget
Non fidatevi del Mago Woland, è un malmostoso putleriano, un fidejussore, un profittatore
Ogni evento ha il suo contrario ope legis
Il periplo è analogo al peplo
Il contrattempo è in allestimento
Il contraddittorio è in allestimento
Il collutorio contiene la clorexidina
È in allestimento anche il futuro
Per il passato ci incontreremo domani»

Gli ofidi sono ventriloqui, parlano spesso con i T-Rex
Il Velociraptor ha deglutito il pesce Lavrov
Anassagora beve un bicchierino di vodka in compagnia di Prigožin
Il cateto di Pitagora litiga con l’ipotenusa di Aristarco

Così il Parlamento ha votato la fiducia al Governo di unità nazionale
La legge di stabilità contiene l’autorizzazione al termovalorizzatore dell’Urbe
Il pappagallo Totò ha augurato “Buongiorno!”
Achille ha raggiunto la Tartaruga
Un pesce in marsina si sta lavando i denti con Pepsodent anti placca quando il misuratore dei bidet, il Mago Woland, dopo aver masticato un würstel ha continuato con questi frangenti:
«Dio è diventato impotente! Questa è la migliore prova dell’esistenza dell’Essere e del Dasein, lo stigma della sua impotentia coeundi!»

Nel mondo capovolto Churchill va in bicicletta e Fausto Coppi è il primo ministro del Regno Unito
Lo scolapasta andò a picchiare contro la pentola di Chernobyl in ebollizione
Fa ingresso nell’ologramma il Corvo di Salaparuta il quale spedisce una cartolina alla papessa Giovanna con su scritto “Viva l’Italia!”
Nella circostanza, un nano esce da una poesia di Michal Ajvaz, bussa alla porta della abitazione del critico Linguaglossa e non trova di meglio che radersi la barba con una lametta Bic tripla lama
Si guarda allo specchio, sorride, fa dei versacci, dei cilecca e dei princisbecchi e dice:
«Caro Linguaglossa, Lei è il terrore dei poeti elegiaci!»

Il Segretario di Stato degli Stati Uniti Antony Blinken ha dichiarato al G7:
«We’re not going to tell the russians how to negotiate, what to negotiate and when to negotiate»,
con una postilla significativa:
«They’re going to set those terms for themselves»

Marie Laure Colasson

Das Ereignis ereignet (l’evento avviene, Heidegger), L’ultimo periodo della vita di Heidegger è stato dedicato alla nozione di Evento (Ereignis), ma il filosofo non è riuscito a cavare un ragno dal buco. Il concetto di Evento è sfuggente, imprendibile, se fosse prendibile non sarebbe un Evento. Per esempio, la nuova poesia. Bene, se fosse leggibile non sarebbe più un Evento. Per essere Evento non deve essere né leggibile né prevedibile.
La poesia di Linguaglossa è l’unico discorso che Gesù potrebbe pronunciare se tornasse sulla terra. Che altro potrebbe dire? Non c’è nulla da dire di significativo…
L’Evento è in se stesso una Enteignis, («espropriazione»), ciò che eravamo prima dell’evento ora non siamo più. L’Evento è ciò che rivoluziona il nostro «proprio», ci dispossessa delle nostre proprietà e ci restituisce alla espropriazione di noi stessi. L’Evento non è qualcosa di cui pensare ma qualcosa che avviene, che precede il pensiero e lo trasloca. II pensiero post-metafisico che prende dimora nell’evento, non è un atto di fede ma una presa d’atto, una presa di coscienza dinanzi a ciò che si presenta come irriconoscibile, infatti l’Evento è sempre irriconoscibile, si presenta come nuovo linguaggio di cui appropriarsi. Con lo svanire dell’essere nel rapporto di scambio nasce il «nuovo». Heidegger afferma che dell’Evento non si dà una teoria o una conoscenza, ma un’esperienza, e che «l’esperienza non è qualcosa che mistico […] ma è il raccogliersi che porta a soggiornare nell’evento» e come tale «un accadimento che può e deve essere mostrato»: il «pensiero preparatorio» è già esso stesso esperienza dell’evento.
Al di là dell’alone di mistico che aleggia nelle parole del filosofo tedesco, possiamo tradurre il concetto così: prima della Rivoluzione Francese non c’era nulla tranne l’ancien Régime, nessun Evento, dopo di essa il nuovo evento cambia la storia dell’Europa e del mondo occidentale e le coscienze degli uomini. L’imprevedibile (e l’irriconoscibile) è diventato realtà. Analogamente, una «nuova poiesis» all’inizio è sempre imprevedibile e irriconoscibile, ma dopo di essa la poiesis è cambiata per sempre. Prima del 1954, anno di pubblicazione del libro d’esordio di Tomas Tranströmer, 17 poesie, la poesia europea era diversa, pensava e scriveva ancora in chiave di mimesis, era neoverista nelle sue profondità; dopo quel libro la poesia europea è cambiata, per sempre. Certi Eventi che accadono non tutti li intercettano, e magari i suoi effetti risuonano a distanza di decenni, ma questo risiede nella struttura stessa dell’Evento che si presenta sempre con le caratteristiche della invisibilità e della impredittibilità.

Due parole sul bellissimo video di Gianni Godi. Questo è per me un Evento, inatteso e imprevedibile in quanto Evento. Che Gianni Godi abbia preso lo spunto dalle mie «strutture dissipative» mi dà soddisfazione… le nuoveopere camminano, gli eventi sono in cammino… La nuova poesia è difficile, problematica, irriconoscibile molto più facile è fare le poesie della interiorità e della bellezza sfregiata. Sull’amore non saprei che dire, io che ho molto amato, dinanzi all’amore resto senza parole. E forse questo è la migliore poesia: una poesia senza parole, come una musica senza note… l’ideale per ogni poeta o musicista.

Marie Laure Colasson

da Un masque rouge fait de pétales de coquelicot

1.

Un masque rouge fait de pétales de coquelicot
empeste d’opium les bouches d’égouts de Paris

Un crâne étiré en pain de sucre
boit assidûment le sang des aigles

Un nain et un géant mongol
détectent l’oreille au sol les confessions d’un merle

La blanche geisha cachée derrière un écran de soie noire
entrevoit l’orifice hideux d’un boa chansonnier satirique

Eredia embrasse à coups de poings
et de mitraillette une monstrueuse ventouse

D’une voix timbrée le siège du bus
écrase une meute survoltée dans un étau de charpentier

Des petits riens s’échappent en tous sens
les couronnes des rois flirtent avec le temps

(inedito)

Una maschera rossa fatta di petali di papavero
impesta d’oppio i tombini di Parigi

Un cranio a forma di pane di zucchero
beve con assiduità il sangue delle aquile

Un nano e un gigante mongolo
percepiscono con l’orecchio al suolo le confessioni d’un merlo.

La bianca geisha nascosta dietro uno schermo di seta nera
intravede l’orifizio schifoso d’un boa chansonnier satirico

Eredia bacia a colpi di pugni
e di mitraglietta una mostruosa ventosa

Con una voce altisonante il sedile dell’autobus
schiaccia una muta esasperata nella morsa di un falegname

Piccoli niente scappano in tutte le direzioni
le corone dei re flirtano con il tempo

Mimmo Pugliese

La barca

La barca è finita in cielo
gli elefanti in salopette stordivano tarocchi

Zigomi e seni quadri marciavano in cassaforte
una ruga di cortisone abbraccia pupazzi di neve

Le lampade della sera si inginocchiano alle tonsille
ha fatto boom il promemoria del gelsomino

Le schiene delle bottiglie dirigono il traffico
dalla tana il dentifricio scavalca la cresta dei galli

Sabbia e sale avevano scarpe intrise di occhiali
bighe contromano masticavano aghi

Posacenere demodè inseguivano molluschi
portapenne a transistor affilavano rasoi

Le trame dei tappeti erano aloni di bocche
dal bagnasciuga spuntava la gobba delle piramidi

Il petto sudava tricicli
sulla cima del ventaglio pioveva

Cornicioni resettano metri di caffè
la catapulta diventa dirigibile

Al centesimo mese dell’anno il sirtaki vomita inchiostro
vetri distopici scarnificano la risacca

Gianni Godi  è nato a Monte Porzio nel ’37 (Pesaro-Urbino). GG è artista transmediale. Per esprimere l’arte in genere sperimenta i nuovi mezzi che la scienza e la tecnologia mettono a disposizione e questo vale anche per l’arte della scrittura. In un momento di debolezza ha pubblicato a proprie spese il libro di poesie, Memorie di Automi, nel 1986 con “Forum Quinta Generazione”. Nel 1994 ha edito, una sola copia e in proprio, il libro Viaggio Cilindrico nella Materia.  (Date le dimensioni da lui richieste, 160 x220 cm, non ha trovato un editore). Verso la fine degli anni ’90 ha costruito il modello del libro Viaggio Sferico nella Materia ed ha proseguito e prosegue con molti lavori di Videopoesia. È convinto di fare cose bellissime e complicate dalla confusione ed è per questo che da un po’ di tempo ha deciso di dare un taglio sferico alla sua vita museale dove ha finora esposto tutte le sue opere. Alcuni eventi trascorsi: 1985 – Lavatoio Contumaciale – Roma – Sorrisi e Canzoni non stop………2009 – Onishi Gallery – New York – XX WOMEN MADE IN SOUTH OF ITALY- Video e Foto di Donne di San Luca (RC)…2012 Roma – RO.MI. – Videoart – Contamination 5. 2006 FESTA NAZIONALE DELL’UNITÀ – Pesaro – Arti Elettroniche a cura di MM Gazzano – Video-installation Piciedroquadro per single. 2007 Danon Gallery – NY, – THE FLOWER OF BUDDHA Silk and metal carpets from the Forbidden City. Proiezione su parete scura del videoclip Fiore di Loto. 2012 Castelvecchio di Monte Porzio – Pu – 3 GIORNI DI CENERE – rassegna di parole e forme – agosto 2012 – Installazioni e performance in piazza –

2014  Teatro del Lido – Ostia Lido – Con l’Associazione Spazi all’Arte – Proiezione del Cortometraggio TRASH SPLENDOR – https://youtu.be/Y3dswdnVfTM
2015. Un Video inserito nella rappresentazione TEATRALE dell’opera RED ROSES AND DOMESTIC ACID,  di Pilar Castel (Quarzell) andata in scena  nell’agosto 2015 a New York.

Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, nonché nella Agenda Poesie kitchen 2023 edite e inedite Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

Giorgio Linguaglossa è nato nel 1949 e vive e Roma. Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle).

Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, per le edizioni EdiLet pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italia-no/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2002 esce  l’antologia Poetry kitchen che comprende sedici poeti contemporanei e il saggio L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe, l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch, il Covid, la Moda, la Poetry kitchen). È il curatore della Antologia Poetry kitchen e del volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. Nel 2014 ha fondato e dirige tuttora la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue la ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato  un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, poesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo.

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Quattro Autori kitchen Marie Laure Colasson, Mimmo Pugliese, Raffaele Ciccarone, Francesco Paolo Intini, Sul montaggio, una sequenza di vuoti, di spaziature, di amnesie, di lapsus, di interferenze, di rumori di fondo, di non detti, di sfondi laterali latenti che delimitano il susseguirsi degli enunciati e delle icone. Il lavoro di montaggio va fatto esattamente in quello spazio della percezione che possiede contemporaneamente il compito di separare e unire, di isolare e ricomporre. Quello spazio Warburg lo chiamava «Denkraum», lo spazio tra un pensiero e l’altro, lo spazio dell’intervallo che si configura proprio a partire da quegli spazi vuoti che attendono di essere connessi

Foto Eliot Elisofon La vita come ripetizione infinita
foto di Eliot Elisofon, La vita come ripetizione infinita

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Giorgio Linguaglossa

Sulla natura delle formazioni discorsive kitchen

Il montaggio richiede di comporre la sequenza come una pellicola cinematografica in 3D; una sequenza non è costituita soltanto di immagini o solo di spazi pieni, ma soprattutto di vuoti, di spaziature, di amnesie, di lapsus, di interferenze, di rumori di fondo, di non detti, di sfondi laterali visibili e/o latenti che delimitano il susseguirsi degli enunciati e delle icone. Il lavoro di montaggio va fatto esattamente in quello spazio della percezione che possiede contemporaneamente il compito di separare e unire, di isolare e ricomporre. Quello spazio Warburg lo chiamava «Denkraum», lo spazio tra un pensiero e l’altro, lo spazio dell’intervallo che si configura proprio a partire da quegli spazi vuoti che attendono di venire connessi. L’approccio di demistificazione delle poesie kitchen dei quattro autori implica la consapevolezza di una poiesis effetto di demistificazione in quanto il linguaggio viene impegnato in una contesa con il senso chiaro e distinto della poiesis del novecento, quella del soggetto cartesiano. Non si dà né maschera né menzogna né verità perché non c’è alcuna pretesa di verità, si ha semmai un effetto di verità che non può mai valere per il soggetto in quanto esso è stato già espropriato a monte della propria soggettità in quanto il soggetto è già da sempre decentrato e lateralizzato, nasce già come effetto di linguaggio, effetto di significanti. Essendo infatti il soggetto nient’altro che un effetto del linguaggio. Asserire che il linguaggio è il luogo dell’equivoco e che tuttavia nella sua equivocità, esso purtuttavia dice e mostra qualcosa, equivale ad affermare con Aristotele che «l’essere si dice in molti modi». Ne deriva che il discorso poetico è quel discorso che dice l’essere in molti modi. Da un esame dell’«asse verticale» di una formazione discorsiva kitchen emergerà  il legame strutturato con altre pratiche extra discorsive, se poi passiamo all’esame dell’«asse orizzontale», giungiamo alla visione dei rapporti interdiscorsivi, ovvero, delle forme di connessione interattiva tra i due assi. Il kitchen è il risultato dell’intima e indissolubile interconnessione tra i due assi,  e l’unico giudizio ammissibile sarà la condizione di realtà o di possibilità degli enunciati. Non si tratta quindi di condizioni di validità degli enunciati ma unicamente di condizioni di realtà, di possibilità. Il «senso», se senso v’è in un testo kitchen, si dà soltanto dall’improvvisa apparizione di un enunciato, nel bagliore di un attimo; questo senso dis-senziente può sorgere sempre e soltanto nel campo di esercizio di una funzione enunciativa, senza riguardo per alcuna soggettività reale perché gli enunciati abitano sempre e soltanto l’eventuale del reale. L’ordine del discorso e l’ordine del pensiero, lo spazio in cui pensiamo, può essere lacerato: è la situazione limite delle «eterotopie», ovvero, sorta di «contro-spazi» di cui le culture dispongono e «in cui gli spazi reali, tutti gli altri spazi reali che possiamo trovare all’interno della cultura, sono, al contempo, rappresentati, contestati e rovesciati»1; tali eterotopie sono talvolta luoghi fisici (ad esempio i cimiteri) oppure ideali, che si trovano  solo sulla carta, come nel caso dell’«enciclopedia cinese» di Borges da cui prende l’incipit l’intero progetto teorico de Le parole e le cose di Foucault. Le «eterotopie» svolgono un ruolo epistemologico speciale nella misura in cui denudano l’essere del discorso e con esso del pensiero, proprio «perché devastano anzi tempo la “sintassi” e non soltanto quella che costruiscele frasi, ma anche quella meno manifesta che fa “tenere assieme” (a fianco e difronte le une alle altre) le parole e le cose»2. Sorgono due domande: chi parla? e cos’è ciò che dice? Si tratta di due quesiti radicali, perché pongono in questione allo stesso tempo l’essere del discorso e l’essere del soggetto Parlante. Ma è bene ribadire che non c’è alcun mistero né alcuna anteriorità nel Parlante, il senso del suo discorso sarà all’interno del discorso stesso, non oltre e meno che mai nelle cose le quali sono altrettanto equivoche quanto il linguaggio che le esprime. Giunti a questa conclusione possiamo asserire una volta per tutte che il linguaggio poetico kitchen abita integralmente le «eterotopie», che altro non sono che quei luoghi che consentono l’irruzione evenemenziale dell’atto enunciativo.

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1 Id., Eterotopie, in  Archivio Foucault III, a cura di A. Pandolfi, trad. it. di S. Loriga, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 310.
2 M. Foucault,  Les mots et les choses, Gallimard, Paris, 1966, trad. it. di E. Panaintescu, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano, 1967, p. 8.
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Strilli Lucio Ricordi

[poesia di Lucio Mayoor Tosi]

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Marie Laure Colasson

Cito da Paul Valéry: «L’arte nel mercato universale è più ottusa e meno libera»

«L’Arte, considerata come attività svolta nell’epoca attuale, si è dovuta sottomettere alle condizioni della vita sociale di questi nostri tempi. Ha preso posto nell’economia universale. La produzione e il consumo delle opere d’Arte non sono più indipendenti l’una dall’altro. Tendono ad organizzarsi. La carriera dell’artista ridiventa quella che fu all’epoca in cui egli era considerato un professionista: cioè un mestiere riconosciuto. Lo Stato, in molti Paesi, cerca di amministrare le arti; procura di conservarne le opere, le «sostiene» come può. Sotto certi regimi politici, tenta di associarle alla sua azione di persuasione, imitando quel che fu praticato in ogni tempo da ogni religione. L’Arte ha ricevuto dai legislatori uno statuto che definisce la proprietà delle opere e le condizioni di esercizio, e che consacra il paradosso di una durata limitata assegnata a un diritto ben più fondato di quelli che le leggi rendono eterni. L’Arte ha la sua stampa, la sua politica interna ed estera, le sue scuole, i suoi mercati e le sue borse-valori; ha persino le sue grandi banche, dove vengono progressivamente ad accumularsi gli enormi capitali che hanno prodotto, di secolo in secolo, gli sforzi della «sensibilità creatrice»: musei, biblioteche, etcetera…

L’Arte si pone così a lato dell’Industria. D’altra parte, le numerose e stupefacenti modifiche della tecnica, che rendono impossibile ogni ordine di previsione, devono necessariamente influire sull’Arte stessa, creando mezzi del tutto inediti di esercizio della sensibilità. Già le invenzioni della Fotografia e del Cinematografo trasformano la nostra nozione delle arti plastiche. Non è del tutto impossibile che l’analisi estremamente sottile delle sensazioni che certi modi di osservazione o di registrazione fanno prevedere conduca a immaginare dei procedimenti di azione sui sensi accanto ai quali la musica stessa, quella delle «onde», apparirà complicata nel suo meccanismo e superata nei suoi obiettivi. Diversi indizi, tuttavia, possono far temere che l’accrescimento di intensità e di precisione, così come lo stato di disordine permanente nelle percezioni e nelle riflessioni generate dalle grandi novità che hanno trasformato la vita dell’uomo, rendano la sua sensibilità sempre più ottusa e la sua intelligenza meno libera di quanto essa non sia stata.»

Strilli Tosi

Strilli Tranströmer1

Una poesia

Umwelt fait en 2004, durée 1 h et 6 mn coreografie Maguy Marin
musique Denis Mariotte pour le Festival Equilibrio 2022

Panneaux miroir et six personnages
son musical assourdissant répétitif
infernal le souffle du vent entre les panneaux

Fragments du tourbillon de la vie
une pomme croquée à pleines dents
un sandwich dévoré
une serpillière esclave de la propreté
une defécation de 3 pantalons abaissés
des lampes électriques qui fouillent le sol
des fesses de femmes éclairées à cru
de dos 3 chadors orangés
des bretelles de salopettes que l’on replace
des sacs poubelle
les couronnes du pouvoir
des chapeaux pour toutes saisons
des robes insolentes unisexes rouges jaunes blanches
des disputes des viols
des actes amoureux sexuels
des déchets jetés sur scene

Le tout le peu le rien
les mâchoires grincent

*

Pannelli a specchio e sei personaggi
suono musicale assordante ripetitivo
infernale il soffio del vento fra i pannelli

Frammenti del tourbillon della vita
una mela morsicata a trentadue denti
un sandwich divorato
uno strofinaccio schiavo della pulizia
una defecazione di 3 pantaloni abbassati
delle lampade elettriche che frugano il suolo
delle chiappe di donne illuminate a crudo
di schiena 3 chador color arancia
delle bretelle di salopette che si aggiustano
dei sacchi di immondizia
le corone del potere
dei cappelli per tutte le stagioni
dei vestiti insolenti unisex rossi gialli bianchi
delle dispute degli stupri
degli atti amorosi sessuali
dei rifiuti gettati sulla scena

Il tutto il poco il niente
le mascelle digrignano

Strilli Talia2

Strilli Busacca Vedo la vampa

Raffaele Ciccarone
13 gennaio 2023 alle 17:00

Miscellanea

Della miscellanea dorata gli zoccoli delle alture,
solo lo sposalizio tra elettroni garantisce
l’emicrania del mazzo di fiori.

Algoritmo del profumo in affanno di acuto piedistallo
senza burro non c’è felicità per il risotto.

La pioggia di clorofilla rigenera missili opachi
nel purè di patate inattesi i rilievi glicemici
pur dalla cottura dei cavoli verdi nei piani cartesiani.

Riparate le congiunture, le mappe di Pick liberano farfalle
che sfuggono da ogni dove
al momento l’esibizione dei cuscini porta alle suite migliori.

Ci risiamo col motore per la formula uno
generato da slalom di successi dovuti
a pannelli solari sotto spinta fotonica, ma solo per ora!

 

Mimmo Pugliese
13 gennaio 2023 alle 19:27

CUCCHIAI

Un fascio di cucchiai misura
la distanza tra un tampone ed il cratere di una bomba

Sotto un cielo di ontani
strambano soldati e streghe

Cigni neri ingoiano la strada
in un congelatore sagome conservano bruchi

Ideogrammi entrano ed escono dal muro
origami di carne prosciugano il faro

Una piuma sospende gli ordini del giorno
basta un secchio di vernice per impiccare i tulipani

Hai composto il numero sbagliato
le ante degli stivali seducono sedativi

Arrivi in tempo per assistere al sole
che inciampa su una pertica e si suicida

Strilli LeoneFrancesco Paolo Intini
13 gennaio 2023 alle 21:22

MA QUALE ESPERIMENTO? LA POESIA È REVERSIBILE

La scorribanda è stata micidiale.
Tutto un susseguirsi di corvi e passeri feroci

Difficile competere con Lucifero
Sul fronte Ovest.

Le bordate di droni alla ricerca di cosa salvare
e missili che fanno zig zag sulla nutella.

Da qui si vede un azzurro appena accennato su un visetto d’ elefante
Poi inizia l’ignoto, re dei clandestini.

Perché uscirsene con un collasso?
Non è più nero l’arresto del miocardio?

Bisogna prendere una pompa di benzina
E farle sputare gli anni di piombo.

In un angolo blindato c’è Obama, di fronte l’ipotenusa
Ma è possibile, o porco di un cane, che non abiti Pitagora?

Interroghi un cateto ti risponde il Sole
Con una barzelletta sul pigreco.

Qui nel cuore dei teoremi manca Mike.
E picchi martellano l’intonaco.

Ripareremo la sua coronaria destra con bostik
poi aizzeremo i pirati contro i boat people
tra spruzzi di vodka e il mar di coca cola

Nessuno è mai fuggito da Kabul
Senza portarsi dietro uno stent, anche piccolo.
Arriveremo al Don con un bypass.

Il gatto nero sistemò i cuscini sul motore
Le lune di Marte si eclissarono all’ Air Force
E un filo d’erba strozzò il do di petto nella culla. Continua a leggere

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Il collasso del Simbolico, Poesie kitchen di Francesco Paolo Intini, Jacopo Ricciardi e Giorgio Linguaglossa, Il doppio, il triplo, il sosia a cui rimanda storicamente il concetto di persona, che come sappiamo ha nella teatralità della maschera la sua scaturigine e su cui si fonda gran parte della politica e della teologia occidentale o, secondo l’indicazione di Carl Schmitt, della teologia politica, negli avatar non ha più ragion d’essere. Gli avatar non sono persone, non compiono azioni, non possono essere responsabili di nulla, non gli si può imputare nulla; dietro la maschera non c’è alcun volto, alcuna identità, la maschera non è capace di azione, può solo gesticolare e parlare a vanvera

Foto smartphone

Il collasso del Simbolico di Giorgio Linguaglossa

Nella vicenda che la poiesis mette in scena nella poetry kitchen, è evidente la disconnessione da ogni visione tragica dell’esistenza a cui rimanda la nozione di destino, in quanto ogni gesto della «maschera», ogni sua parola è una messa in mora dell’azione, del crimine, della colpa e dell’imputazione; ancora più significativo in tale vicenda è il superamento della dialettica tra maschera e volto, che costituisce il presupposto di ogni rappresentazione del comico e del drammatico. Gli avatar, al di là di ogni possibile dubbio, sono totalmente maschera; essi non possono gettare la maschera, in quanto sono privi di azione, privi di identità, privi di psicologia, non sono emblemi simbolici, dietro di essa non c’è nulla, c’è un fondale vuoto. Per converso, divenire «maschera» significa assumere totalmente l’apparenza come cifra dell’esistenza, significa perdere ogni personalità, ogni identità, ogni certezza in favore della identità della maschera. Il doppio, il triplo, il sosia a cui rimanda storicamente il concetto di persona, che come sappiamo ha nella teatralità della maschera la sua scaturigine e su cui si fonda gran parte della politica e della teologia occidentale o, secondo l’indicazione di Carl Schmitt, della teologia politica, negli avatar non ha più ragion d’essere. Gli avatar non sono persone, non compiono azioni, non possono essere responsabili di nulla, non gli si può imputare nulla; dietro la maschera non c’è alcun volto, alcuna identità, la maschera non è capace di azione, può solo gesticolare e parlare a vanvera. Vuoto di rappresentazione, vuoto di identità, vuoto di rappresentazione. Di conseguenza, abbiamo il collasso della politica, collasso dell’etica e collasso della poetica, il collasso della rappresentazione.
In due parole: il collasso del Simbolico. (Giorgio Linguaglossa)

Domanda Di Mariella Bettarini e Risposta di Giorgio Linguaglossa su:

Che cosa identifica una poesia da una non-poesia?

In una recentissima intervista di Mariella Bettarini rivolta ad alcuni autori di poesia contemporanei le cui risposte sono state pubblicate sui n. 106-107 “L’area di Broca” 2019, alla domanda “Come si identifica oggi il linguaggio della poesia?”, rispondevo:

«Non c’è nessun criterio per identificare il linguaggio della poesia. Ma c’è un concetto. La poesia è una idea che inerisce ad un concetto. Ma, in assenza di un supporto critico credibile e attendibile, chi o che cosa – mi chiedo – riscatterà la «poesia» da questa condizione di mancanza di concetto?».

Alla successiva domanda della Bettarini:

Oralità, scrittura, virtualità: come interagiscono i differenti canali nella realizzazione del testo poetico?
Rispondevo così:

«”Oralità, scrittura, virtualità” non hanno alcuna interazione con la poesia. La poesia di una comunità di parlanti interagisce con la lingua della comunità nel suo complesso e con le condizioni storiche e sociali di quella comunità linguistica».
La mia convinzione è che rispondere come ha risposto Maurizio Cucchi: “Ogni forma o aspetto del reale può diventare materia di poesia”, sia fuorviante perché manca di un nesso essenziale, perché equivale a dire che è inutile munirsi di un concetto, cioè di una poetica in quanto tutto può entrare nella forma-poesia. Il che sarebbe anche vero ma per il tramite di un «filtro», ovvero, come si diceva una volta: di una «poetica», o, come si scriveva un tempo: di una «ricerca».
Rilevo come questa posizione panlogistica tipicamente tardo novecentesca aumenti la confusione invece di ridurla, non si sa più che cosa distingua la forma-poesia da una forma giornalistico-mediatica con degli a-capo, non tiene conto del fatto che anche la forma giornalistico-mediatica non può contenere tutto di tutto, nel senso che anche la scrittura giornalistica o informativa deve operare una selezione di argomenti e di esposizione, si deve attenere a rigorosi principi guida e a rigorosi limiti tematici ed investigativi. Il che mi sembra inequivocabile.
La mia impressione è che si operi in mezzo ad una confusione concettuale che rende ancora più confuso il criterio per mezzo del quale possiamo individuare la forma-poesia per distinguerla dalla non poesia. In tal senso ci viene in soccorso la domanda chiarificatrice formulata dal «giornalaio della critica, ovvero il me stesso»:

«Pongo un interrogativo, lo pongo a me stesso e ai lettori: in quale direzione deve avviarsi la poesia contemporanea? C’è una direzione di ricerca privilegiata? Come quella della nuova ontologia estetica o nuova fenomenologia del poetico? Oppure, tutte le ricerche sono, a parità di diritto, ammissibili ed equipollenti?».

A mio avviso il nodo di Gordio della problematica è questo: sono tutte le direzioni di ricerca equipollenti ed equivalenti?
La risposta non potrà essere ambigua o salomonica, o ipocrita e generalista, bisognerà rispondere a questa domanda con un «sì, sì», o con un «no, no».

Una mia Kitsch poetry del 2019

Stanza n. 93

La crossdresser Gipsy Fox, nuda, con la gabbia per il pene,
oscilla sull’altalena, manda dei kiss kiss e dei cuoricini
al gentile pubblico di Facebook.

Il Commissario con la mascherina interroga Ençeladon.
Il pappagallo giallo-verde sventola la bandiera italiana alla finestra.
Ripete ossessivamente:
«Preferiti, Commenti, Scarica, Condividi, Chi siamo!»

Il trans Aurelio Bang augura a tutti: «Merry Christmas!».
La femboy Barbie si dichiara credente, fa sesso con il macho Zozzilla
davanti alla webcam.

Lady Malipierno porta al guinzaglio la tgirl Andrea
con manette dorate fetish.
Chiede spesso al cagnolino di abbaiare.
Si è fatto anche assumere come buttafuori o buttadentro,
lì all’ “OfficinaBar”,
quel locale equivoco, qui alla Piramide,
frequentato da transgender, lesbiche ed etero…
In seguito ne persi le tracce…

So, per sentito dire, che divenne l’amante di Lady Malipierno,
che lo introdusse nelle segrete stanze della sua alcova
e delle sue adiacenze negli ambienti del sottobosco politico…
che riceveva con un senatino di crossdresser…

Fanno ingresso in scena il Commissario e il filosofo Cogito.
Si accomodano in poltrona e guardano un film porno.
«I comunisti sono scomparsi», dice il Commissario.
«Il salotto color fucsia invece era tenuto da Madame Hanska,
ma era riservato agli ufficiali della Gestapo», disse il filosofo.
«Questo però è il racconto di un’altra epoca il cui ricordo
sbiadisce lentamente…»

La subgirl Korra Del Rio prende il caffè before bondage banging.
Le gemelle Kessler agitano le gambe sul palcoscenico.
al ritmo della musichetta da Carosello “Da-da-un-pa”

«Abbiamo interrotto il telefono senza fili della pandemia»,
dice l’assessore alla sanità della Lombardia.
Così il Covid19 se ne va in giro da 39 giorni
a braccetto con Gina Lollobrigida.
«Outbreak in Lombardy, Italy», titolano i giornali esteri.

La tigre dello zoo di New York ha il Coronavirus.
Il pappagallo dichiara all’erario che ha fatto l’autocertificazione.

Lady Fremdy boy passeggia in via Sistina con collarino nero in pizzo,
stringatura in lacci e borchie di metallo ai seni,
l’anello fallico vibrante gold con un set per bondage
e un kit sadomaso new style.

Il Signor Spectator dice: «Nella foto la pipa è sempre una pipa»,
si fa un selfie con la crossdresser Andrea Lou Salomè.
Barry Friedman, un mio vecchio amico vive a New York, un bellimbusto…
che esercita il mestiere di dogsitter e copula con madame Altighieri.
All’epoca faceva il giocoliere agli angoli della 33a Street…
Un illusionista di successo.
Rammento che poi si dedicò al mestiere di squillositter di madame annoiate,
ben più remunerativo.

Il vento del meriggio accompagna i passi pensierosi del filosofo.
Cogito torna a casa nella Marketstrasse n. 7.
Accende la radio.
Fischietta un ritornello da avanspettacolo degli anni sessanta:
«La notte è piccola per noi, troppo piccolina!…»

Jacopo Ricciardi

1.
Dal crepitare di un falò esce un passo di gatto.
Il gatto arde tranquillo.
È vestito da molte fiammelle –
dalle sue zampette morbide
si sollevano smosse quattro fiamme
(Lì dentro arretrato
il passo ha più passi.
Nel passo un lentissimo passo –
in avanti la corsa non può fermarsi.
Indietro la corsa non può fermarsi.
È il ritmo di una forza che non può arrestarsi.
Oltrepassa una membrana che non può muoversi
e non incontra mai nessuno.
La membrana è sempre attraversata.
È la superficie immobile di un respiro
che si increspa e permane.).

9.
molti passanti passarono entrando nel semaforo
e lì dentro il gallo cantò formicolando,
si aggrappò un’arca che passava di lì,
ne scese un Sansone stralunato
che raccontava di peripezie tra globi e con persone,
nessuno ascoltava ovviamente,
il vuoto lo faceva transitare, caldo o freddo come un motore,
ridicolo il vuoto,
lacrimevole, ascella alga, frammento di un carro, scocca di un polipo,
un ermafrodito cantante di favole ritorte,
belle come appendiabiti che aspettano,
vólti che sono solo pellicole di vólti
che pure hanno intere giornate di soli da dire senza notti,
lì molti alberghi in fila uno accanto all’altro, e baraonde nelle vie,
canottiere sedute ai bar
con a fronte bignè dialoganti, repertori di storie lunghissime,
solo a raccontarle si spezzerebbe l’olio,
oggetti di ogni genere con diversissime personalità transitanti
si affidavano spintonandosi per strada,
un cinema e un solo teatro in quei reticoli introvabile
eppure colmo di cose di ogni tipo
che uscivano dall’entrata o entravano nell’uscita
dell’immagine mutante,
lì soggiornava con un cesto di fragole, mangiandosele mature,
un nastro trasportatore,
era fatto da più menti e non sapeva dove tornava indietro
e quante volte, questa perdita di memoria non lo affaticava
anzi remava sempre nella giusta direzione
là dov’era, lungo un babà surgelato,
latrina di latte prezioso e venduto
molto spesso
arabico genitoriale assassino invecchiato
bene
come quel palazzo su Marte.

Francesco Paolo Intini

5 febbraio 2023 alle 11:09
«L’Arte deve conservare il controllo della verità, e la verità dei nostri tempi è una verità di natura sfuggevole, probabile più che certa, una verità ‘al limite’, che sconfina nelle ragioni ultime, dove il calcolo serve fino ad un certo punto e soccorre una illuminazione; una folgorazione improvvisa. Scienza e poesia non possono camminare su strade divergenti.»  (Nanni Balestrini)

Chiaramente i versi della mia poesia, messi nell’ AI, hanno germinato altri versi alla rinfusa come apparirebbe un frullato se invece di metterci frutta di fragole ci mettessimo melanzane, chiodi e cemento armato. Nessun riferimento al Re Nasone, né alla tomba di Tutankhamon, violata e maledetta, messi in libertà nel teatro dell’immaginazione e delle passioni (esecrando il primo quanto misterioso e affascinante il secondo). In quanto al rapporto tra scienza e poesia , esso rimane tutto da esplorare ma se c’è una indicazione da seguire, almeno per me, è in questa verità probabilistica e plasmatica, indicata da Balestrini, che lascia nell’osservatore\ scrittore prima ancora che nel lettore, sempre un senso d’incompiutezza e di mancanza di senso, ma lontanissimo dal calcolo, dall’algoritmo, dalla progettazione di alcunchè.
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Dieci poesie kitchen di Nunzia Binetti, Quello che nella poesia della tradizione è il momento epifanico, ovvero una istantanea reazione emotiva, nella poetry kitchen diventa lo spazio vuoto, lo iato di un significante vuoto ed eccedente che prende corpo in parola, la parola incomunicativa, incomprensibile del momento kitchen, come si vede bene nella poesia di Nunzia Binetti, è una parola parlata dall’Estraneo o, come recita la Binetti, da un «avatar», In definitiva, la poesia delle modalità kitchen altro non è che una de-costruzione ininterrotta una volta che il virus kitchen si sia introdotto in una tradizione saponificata e imbalsamata

Nunzia Binetti

Nunzia Binetti

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Nunzia Binetti nata a Barletta in Puglia, dopo il Liceo Classico e studi in medicina ha intrapreso quelli di Lettere moderne e Beni Culturali , laureandosi presso l’Università degli studi di Foggia con una tesi sulla Poesia Contemporanea femminile in Puglia. È impegnata nel sociale, e in particolare nella promozione delle donne nelle Arti e Affari (già presidente della Fidapa BPW. sezione di Barletta e già membro della task force twinning BPW International).  Cofondatrice del “Comitato della Dante Alighieri Barletta”, è anche membro del Consiglio Direttivo. Ha recensito e prefato raccolte poetiche di autori  e pubblicato articoli letterari su “Vivicentro Notizie Rassegna Stampa” e su “ Versante Ripido”, in web. Sue poesie sono presenti in molte antologie poetiche (Campanotto Editore), (ED.Giulio  Perrone –Roma), ( LietoColle) e nelle antologie: Fil Rouge (CFR editore) e Il ricatto del Pane (CFR Edizioni ). Nel 2010 ha esordito con la prima Silloge completa In Ampia Solitudine (CFR – Editore) e nel 2014 con la Raccolta Di Rovescio (CFR .Editore), tradotta anche in francese nel 2017 da Roberto Cucinato, pubblicata in Francia e regolarmente depositata presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.  La rivista serba “Bibliozona” (della Biblioteca Nazionale di Nis) ha pubblicato una sua poesia in lingua serba. È stata recensita nelle Riviste letterarie: Capoverso (Ed. Orizzonti Meridionali), I fiori del male (Ibiskos Ed.) , dal quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno”, dalla Gazzetta di Verona” e, in web, nella rivista on line lombra delle Parole.wordpress.com . Nel gennaio 2019 ha pubblicato la sua ultima raccolta poetica Il Tempo del Male (Terra d’ulivi edizioni). Progetta di pubblicare, a breve, una nuova silloge poetica che includa una sezione vicina allo sperimentalismo.

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Commenti

Prosa troppo diligente e lessico ricercato, o anche solo doverosamente appropriato, possono creare difficoltà per chi voglia accomodarsi nella stretta della frammentazione. Il frammento è cura dimagrante, i suoi affetti sul linguaggio sono immediati. Stop and go, interruzione (morte del pensiero e sue parole) sono costanti, e così le riprese (vero e proprio reset). Il fuori-senso, le repentine deviazioni, inseriscono e rendono visibile, anche in lettura, il fattore T-tempo, che è parte costitutiva del pensare originario: il qui e ora, ma del tutto inventato.

(Lucio Mayoor Tosi)

Il virus kitchen nella tradizione saponificata, sanificata e ininterrotta della poesia narrativeggiata a vocazione maggioritaria

Le poesie di Nunzia Binetti sono la riprova di come la contaminazione e la infiltrazione tra un linguaggio poetico ereditato (quello narrativizzato) e quello nuovo della poetry kitchen stia dando ottimi risultati. La Binetti parte dal linguaggio poetico dell’io che si confessa allo specchio di questi ultimi decenni per allontanarsene in direzione di un linguaggio ibrido, meticciato, con inserti kitchen, cioè lateralizzati, spostati dal significato consueto e condiviso e dalla soggettività registrata. Il risultato è probante, l’autrice dimostra che la transizione e la transazione tra un linguaggio noto e conosciuto, addomesticato, e uno nuovo, ignoto e non addomesticato può dare ottimi risultati. E noi non possiamo che incoraggiarla in questa direzione. E non è detto che tra infiltrazione e transazione vi sia inimicizia o contraddittorietà, la prassi kitchen ci dice che nelle modalità kitchen l’infiltrazione del virus kitchen in un corpo «sanificato» e saponificato come quello della tradizione post-lirica italiana può dare ottimi risultati.

Alla base della poesia di accademia incentrata sulla perorazione di una soggettività in preda di una particolare esantema soggettoalgico c’è la convinzione che la forma-poesia debba essere una veicolazione narcisistica di un’istantanea reazione emotiva, invece alla base della poesia della nuova fenomenologia del poetico c’è la convinzione che la forma-poesia debba essere una forma di «incomunicazione» (per riprendere una dizione di Alfredo de Palchi degli anni sessanta), di non-coincidenza permanente tra la parola e la cosa. Come si vede, i conti tornano, anche a distanza di sei, sette decenni dalla poesia depalchiana e dalla neoavanguardia. Ma i conti sono destinati a tornare e a ritornare imbrogliati nella matassa dei nodi di Gordio e dei nodi scorsoi della tradizione saponificata e sanificata e ininterrotta della poesia narrativeggiata a vocazione maggioritaria.
Quello che nella poesia della tradizione saponificata è il momento epifanico, ovvero, una istantanea reazione emotiva che vorrebbe tradursi in una parola epifanica, nella poetry kitchen diventa lo spazio vuoto, lo iato di un significante vuoto ed eccedente che prende corpo in una parola; la parola incomunicativa, incomprensibile del momento kitchen, come si vede bene nella poesia di Nunzia Binetti, è una parola parlata dall’Estraneo o, come recita la Binetti, da un «avatar». L’io ne resta diviso, spiazzato («Pensai a un intralcio, a una devianza di percorso»), e veniamo proiettati in un’altra dimensione («La musica si interruppe»), e l’avatar prende posizione, prende direttamente la parola, ecco il momento diegetico («l’avatar assunse un tono perentorio,/ sfilò per tutto il corridoio…»); ed ecco il momento mimetico dove parla l’io: («Errore, delitto preterintenzionale!»), interviene l’avatar femminile («No. Il croco, il tuorlo, ci mostrano il giallo che è il retro dell’identità»). Subito dopo si cambia fotogramma, ecco che interviene un terzo personaggio “Lady Tristezza” (o forse è ancora l’avatar che parla?). In definitiva, la poesia delle modalità kitchen altro non è che una de-costruzione ininterrotta una volta che il virus kitchen si sia introdotto in una tradizione saponificata e imbalsamata.

Noi sappiamo che la soggettività non è mai «autentica», è sempre impura, contaminata; fin dall’inizio è impregnata di impersonale, perché solo la lingua pubblica (cioè di nessuno, arbitraria e presoggettiva), le offre i dispositivi grammaticali per formare l’“io”, infatti, Lacan ha scritto: «Lalangue sert à de toutes autres choses qu’à la communication». In conformità a questa impostazione, il pre-individuale precede la soggettività, ergo la lingua del pre-individuale è più vera di quella della soggettività, ecco la ragione della modalità kitchen: posizionarsi e direzionarsi verso il pre-individuale del linguaggio poetico è la via prescelta dalla poesia della nuova fenomenologia del linguaggio poetico.

(Giorgio Linguaglossa)

Dieci Poesie inedite di Nunzia Binetti

«Il La è Bemolle». Così si presentò l’avatar.
Pensai a un intralcio, a una devianza di percorso

La musica si interruppe, l’avatar assunse un tono perentorio,
sfilò per tutto il corridoio…

«Errore, delitto preterintenzionale!» replicai.
«No. Il croco, il tuorlo, ci mostrano il giallo che è il retro dell’identità» Ella rispose.

Lady Tristezza emerse da un mare di suoni,
sirena per finta. Frammenti di sughero poi vennero a galla.

**

Elisa amò Beethoven. Non lo confessa.
Oggi non sa più amare.

Tra Schengen e Lampedusa affondò il mare.
Ruth Benedict volse lo sguardo a un crisantemo e ad una spada.
Il crisantemo è divenuto nero.

Ogni Bellezza uccide.
La gara è tra i gerani, sui balconi a farsi cogliere.
Il mito d’Elena ritorna per (s)fiorire.

Nessuna Giustizia è scienza esatta.
La luce della luna echeggia tra le foglie morte.

Notte, sii sempre buona!

**

Il meccanismo del sistema accelerato ha piglio tribale e
ritmo di danza.

I figli uccideranno sempre i padri.

Mendel in tutta fretta mobilitò caratteri alieni dominanti.
I vincitori persero tutto, anche l’onore.

«Siatemi almeno voi fedeli nei miei infiniti modi d’essere».
Così l’ameba parlò alle sorelle ortiche.

Tossine apolidi affiorarono dal mare.
Un seme scivolò nel solco sbagliato

Così nacque un australopiteco super sapiens.

**

«Ho perso l’anello che portavo al dito perché mi sono sposato con la poesia».
Scrisse Dunn, pensando a Puskin, ma la lettera tornò indietro,

non fu recapitata.

Ma qui vivono uomini mezzo-gatti, ad essi tutto è indifferente.
Hanno comportamenti gattici.

Bifore di cattedrali ospitano gabbiani.
La profilassi è solo antibatterica.

E l’Angelus trasalisce per certe maldicenze dei credenti contro i preti.
Inutile agire sui tufi spolpati dagli eventi.

Ed ora discorriamo dell’autunno.
«Cosa sai, tu, dei melograni?», mi chiese.

«Intonano canti funebri sulle terrazze di novembre»,
risposi non molto convinta. Continua a leggere

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Breve retrospezione sulla Crisi della poesia italiana del secondo novecento, La Crisi del discorso poetico, La nuova fenomenologia del poetico, La Poetry kitchen, La Crisi esplode negli anni sessanta, Il Grande Progetto, Lo stile della NOE è quello delle didascalie dei prodotti commerciali e farmaceutici, L’Ispirazione, La NOe dà uno scossone formidabile all’immobilismo della poesia italiana degli ultimi decenni, e la rimette in moto. È un risultato entusiasmante che mette in discussione tutto il quadro normativo della poesia italiana

Di fatto, la crisi della poesia italiana esplode alla metà degli anni Sessanta

Occorre capire perché la crisi esploda in quegli anni e capire che cosa hanno fatto i più grandi poeti dell’epoca per combattere quella crisi, cioè Montale e Pasolini per trovare una soluzione a quella crisi. È questo il punto, tutto il resto è secondario. Ebbene, la mia stigmatizzazione è che i due più grandi poeti dell’epoca, Montale e Pasolini, abbiano scelto di abbandonare l’idea di un «Grande Progetto».

Breve retrospezione sulla Crisi della poesia italiana del secondo novecento. La Crisi del discorso poetico

Di fatto, la crisi della poesia italiana è già visibile nella metà degli anni sessanta. La mia stigmatizzazione è che i due più grandi poeti dell’epoca, Montale e Pasolini, abbiano scelto di abbandonare l’idea di un «Grande Progetto», abbiano dichiarato che l’invasione della cultura di massa era inarrestabile e ne hanno tratto le conseguenze sul piano del loro impegno poietico e sul piano del linguaggio poetico: hanno confezionato finta poesia, pseudo poesia, anti poesia, chiamatela come volete, con Satura (1971), ancor più con il Diario del 71 e del 72 e con Trasumanar e organizzar (1971).

Qualche anno prima, nel 1968, anno della pubblicazione de La Beltà (1968) di Zanzotto («il signore del significante» come lo aveva definito Montale), si situa la Crisi dello sperimentalismo come visione del mondo e concezione delle procedure artistiche.

Cito Adorno

«Quando la spinta creativa non trova pronto niente di sicuro né in forma né in contenuti, gli artisti produttivi vengono obiettivamente spinti all’esperimento. Intanto il concetto di questo… è interiormente mutato. All’origine esso significava unicamente che la volontà conscia di se stessa fa la prova di procedimenti ignoti o non sanzionati. C’era alla base la credenza latentemente tradizionalistica che poi si sarebbe visto se i risultati avrebbero retto al confronto con i codici stabiliti e se si sarebbero legittimati. Questa concrezione dell’esperimento artistico è divenuta tanto ovvia quanto problematica per la sua fiducia nella continuità. Il gesto sperimentale (…) indica cioè che il soggetto artistico pratica metodi di cui non può prevedere il risultato oggettivo. Anche questa svolta non è completamente nuova. Il concetto di costruzione, che è fra gli elementi basilari dell’arte moderna, ha sempre implicato il primato dei procedimenti costruttivi sull’immaginario».1 

In verità, nella poesia italiana di quegli anni si è verificato un «sisma» del diciottesimo grado della scala Mercalli: l’invasione della società di massa, la rivoluzione mediatica e la rivoluzione delle emittenti mediatiche. Davanti a questa rivoluzione in progress che si è svolta in vari stadi temporali e nella quale siamo oggi immersi, la poesia italiana si è rifugiata in discorsi poetici di nicchia, ha tascabilizzato la metafisica, da un titolo di un libro di poesia di Valentino Zeichen (1938 – 2016), Metafisica tascabile (1997), ha scelto di non prendere atto del «sisma» del 18° grado della scala Mercalli che ha investito il mondo, di fare finta che il «sisma» non sia avvenuto, che tutto era e sarà come prima, che si continuerà a fare la poesia di nicchia e di super nicchia, poesia autoreferenziale, chat-poetry.

Un «Grande Progetto»

Qualcuno ha chiesto: «Cosa fare per uscire da questa situazione?».

Ho risposto: Un «Grande Progetto».

Che non è una cosa che può essere convocata in una formuletta valida per tutte le stagioni. Il problema della crisi dei linguaggi post-montaliani del tardo novecento non è una nostra invenzione, è qui, sotto i nostri occhi, chi non è in grado di vederlo probabilmente non lo vedrà mai, non ci sono occhiali di rinforzo per questo tipo di miopia. Il problema è quindi vasto, storico e ontologico. Si diceva una volta di «ontologia estetica».

Rilke alla fine dell’ottocento scrisse che pensava ad una poesia «fur ewig», che fosse «per sempre». Io invece penso a qualcosa di dissimile, ad una poesia che possa durare soltanto per un attimo, per l’istante, mentre ci troviamo in soggiorno, prendiamo il caffè o saliamo sul bus; i secoli a venire sono lontani, non ci riguardano, fare una poesia «fur ewig» non so se sia una nequizia o un improperio, oggi possiamo fare soltanto una poesia kitchen, che venga subito dimenticata dopo averla letta.

Per tutto ciò che ha residenza nei Grandi Musei del contemporaneo e nelle Gallerie d’arte: per il manico di scopa, per il cavaturaccioli, le scatolette di birra, gli stracci ammucchiati, i sacchi di juta per la spazzatura, i bidoni squassati, gli escrementi, le scatole di Simmenthal, i cibi scaduti, gli scarti industriali, i pullover dismessi con etichetta, gli animali impagliati.

Non ci fa difetto la fantasia, che so, possiamo usare il ferro da stiro di Duchamp come oggetto contundente, gettare nella spazzatura i Brillo box di Warhol e sostituirli con la macarena e il rock and roll.

Essere nel XXI secolo è una condizione reale, non immaginaria

«Essere nel XXI secolo è una condizione reale, non immaginaria. Non è un fiorellino da mettere nell’occhiello della giacca: è un modo di pensare, di vedere il mondo in cui ci troviamo: un mondo confuso, denso, contraddittorio, illogico. Cercare di dire questo mondo in poesia non può quindi non presupporre un ripensamento critico di tutti gli strumenti della tradizione poetica novecentesca. Uno di questi, ed è uno strumento principe, è la sintassi: che oggi è ancora telefonata, discorsiva, troppo sequenziale, ancora identica a quella che è prevalsa sempre di più fra i poeti verso la fine del secolo scorso, in particolare dopo l’ingloriosa fine degli ultimi sperimentalismi: finiti gli eccessi, la poesia doveva farsi dimessa, discreta, sottotono, diventare l’ancella della prosa.»

Rebus sic stantibus

Che cosa vuol dire: «le cose come stanno»?, e poi: quali cose?, e ancora: dove, in quale luogo «stanno» le cose? – Ecco, non sappiamo nulla delle «cose» che ci stanno intorno, in quale luogo «stanno», andiamo a tentoni nel mondo delle «cose», e allora come possiamo dire intorno alle «cose» se non conosciamo che cosa esse siano. (Steven Grieco Rathgeb, 2018)

«Essere nel XXI secolo è una condizione reale», ma «condizione» qui significa stare con le cose, insieme alle cose… paradossalmente, noi non sappiamo nulla delle «cose», le diamo per scontate, esse ci sono perché sono sempre state lì, ci sono da sempre e sempre (un sempre umano) ci saranno. Noi diamo tutto per scontato, e invece per dipingere un quadro o scrivere una poesia non dobbiamo accettare nulla per scontato, e meno che mai la legge della sintassi, anch’essa fatta di leggi e regole che disciplinano le «cose» e le «parole» che altri ci ha propinato, ma che non vogliamo più riconoscere.

Carlo Michelstaedter (1887-1910) si chiede: «Quale è l’esperienza della realtà?». E cosi si risponde

«S’io ho fame la realtà non mi è che un insieme di cose più o meno mangiabili, s’io ho sete, la realtà è più o meno liquida, è più o meno potabile, s’io ho sonno, è un grande giaciglio più o meno duro. Se non ho fame, se non ho sete, se non ho sonno, se non ho bisogno di alcun’altra cosa determinata, il mondo mi è un grande insieme di cose grigie ch’io non so cosa sono ma che certamente non sono fatte perch’io mi rallegri. ”Ma noi non guardiamo le cose” con l’occhio della fame e della sete, noi le guardiamo oggettivamente (sic), protesterebbe uno scienziato. Anche l’”oggettività” è una bella parola. Veder le cose come stanno, non perché se ne abbia bisogno ma in sé: aver in un punto “il ghiaccio e la rosa, quasi in un punto il gran freddo e il gran caldo,” nella attualità della mia vita tutte le cose, l’”eternità resta raccolta e intera… È questa l’oggettività?…».2

Molto urgenti e centrate queste osservazioni del giovane filosofo goriziano che ci riportano alla nostra questione: Essere del XXI secolo, che significa osservare le »cose» con gli occhi del XXI secolo, che implica la dismissione del modo di guardare alle «cose» che avevamo nel XX secolo; sarebbe ora che cominciassimo questo esercizio mentale, in primo luogo non riconoscendo più le «cose» a cui ci eravamo abituati, (e che altri ci aveva propinato) semplicemente dismettendole, dando loro il benservito e iniziare un nuovo modo di guardare il mondo. La nuova scrittura nascerà da un nuovo modo di guardare le «cose» e dal riconoscerle parte integrante di noi stessi.

Dopo il novecento

Dopo il deserto di ghiaccio del novecento sperimentale, ciò che resta della riforma moderata del modello poesia sereniano è davvero ben poco, mentre la linea centrale del modernismo italiano è finito in uno «sterminio di oche» come scrisse Montale in tempi non sospetti.

Come sistemare nel secondo Novecento pre-sperimentale un poeta urticante e stilisticamente incontrollabile come Alfredo de Palchi (1926 – 2020) con La buia danza di scorpione (1945-1951), che sarà pubblicato negli Stati Uniti nel 1993 e, in Italia nel volume Paradigma (2001) e della sua opera migliore Sessioni con l’analista (1967)? Diciamo che il compito che la poesia contemporanea ha di fronte è: l’attraversamento del deserto di ghiaccio del secolo dell’experimentum: il pre-sperimentale e il post-sperimentale oggi sono diventate una sorta di terra di mezzo, un linguaggio koinè, una narratologia prendi tre paghi uno; dalla stagione manifatturiera dei «moderni» identificabile, grosso modo, con opere come il Montale di dopo La bufera e altro (1956)  si passa alla stagione postindustriale: con Satura del 1971, Montale opterà per lo scetticismo alto-borghese e uno stile narrativo intellettuale alto-borghese,. La poesia italiana vivrà una terza vita ma in un cassetto: derubricata e decorativa.

Breve riepilogo

Se consideriamo due poeti di stampo modernista, Ennio Flaiano (1910–1972) negli anni cinquanta e Angelo Maria Ripellino (1923-1978) negli anni settanta: da Non un giorno ma adesso (1960), all’ultima opera Autunnale barocco (1978), passando per le tre raccolte intermedie apparse con Einaudi: Notizie dal diluvio (1969), Sinfonietta (1972) e Lo splendido violino verde (1976), dovremmo ammettere che la linea centrale del secondo Novecento è costituita dai poeti modernisti. Come negare che opere come Il conte di Kevenhüller (1985) di Giorgio Caproni non abbiano una matrice modernista?, ma è la sua metafisica che oggi è diventata irriconoscibile. La migliore produzione della poesia di Alda Merini (1931 – 2009) la possiamo situare a metà degli anni Cinquanta, con una lunga interruzione che durerà fino alla metà degli anni Settanta: La presenza di Orfeo è del 1953, la seconda raccolta di versi, Paura di Dio, con le poesie che vanno dal 1947 al 1953, esce nel 1955, alla quale fa seguito Nozze romane; nel 1976 il suo miglior lavoro, La Terra Santa. Ma qui siamo sulla linea di un modernismo conservativo.

Ragionamento analogo dovremo fare per la poesia di una Amelia Rosselli (1930 – 1996, da Variazioni belliche (1964) fino a La libellula (1985). La poesia di Helle Busacca (1915-1996), con la fulminante trilogia degli anni Settanta si muove nella linea del modernismo rivoluzionario: I quanti del suicidio (1972), I quanti del karma (1974), Niente poesia da Babele (1980), è un’operazione di stampo schiettamente modernista, come schiettamente modernista è la poesia di Anna Ventura con Brillanti di bottiglia (1976) e l’Antologia Tu quoque (2014), di Giorgia Stecher di cui ricordiamo Altre foto per un album (1996, e Tutte le poesie, Progetto Cultura, 2022) e Maria Rosaria Madonna (1940- 2002), con Stige (1992), la cui opera completa appare nel 2018 in un libro curato da chi scrive, Stige. Tutte le poesie (1980-2002), edito da Progetto Cultura di Roma. Il novecento termina con le ultime opere di Mario Lunetta, scomparso nel 2017, che chiude il novecento, lo sigilla con una poesia da opposizione permanente che ha un unico centro di gravità: la sua posizione di marxista militante, avversario del bric à brac poetico maggioritario e della chat poetry, di lui ricordiamo l’Antologia Poesia della contraddizione del 1989 curata insieme a Franco Cavallo, da cui possiamo ricavare una idea diversa della poesia di quegli anni.

«Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».3

Le strutture ideologiche post-moderne, dagli anni settanta ai giorni nostri, si nutrono vampirescamente di una narrazione che racconta il mondo come questione «privata» e non più «pubblica». Di conseguenza la questione «verità» viene introiettata e capovolta, diventa soggettiva, si riduce ad un principio, ad una petizione del soggetto. La questione verità così soggettivizzata si trasforma in qualcosa che si può esternare perché abita nelle profondità mitiche del soggetto. È da questo momento che la poesia cessa di essere un genere pubblicistico per diventare un genere privato, anzi privatistico. Questa problematica deve essere chiara, è un punto inequivocabile, che segna una linea da tracciare con la massima precisione.

Il caso Mario Lunetta

Questo assunto Mario Lunetta (1934 – 2017) lo aveva ben compreso fin dagli anni settanta. Tutto il suo interventismo letterario nei decenni successivi agli anni settanta può essere letto come il tentativo di fare della forma-poesia «privata» una questione pubblicistica, quindi politica, di contro al mainstream che ne faceva una questione «privata», anzi, privatistica; per contro, quelle strutture privatistiche, de-politicizzate, assumevano il soliloquio dell’io come genere artistico egemone.

La pseudo-lirica privatistica che si è fatta in questi ultimi decenni intercetta la tendenza privatistica delle società a comunicazione globale e ne fa una sorta di pseudo poetica, con tanto di benedizione degli uffici stampa degli editori a maggior diffusione nazionale.

La nuova fenomenologia del poetico

L’estraneazione è l’introduzione dell’Estraneo nel discorso poetico; lo spaesamento è l’introduzione di nuovi attori nel luogo già conosciuto. Il mixage di iconogrammi e lo shifter, la deviazione improvvisa e a zig zag sono gli altri strumenti in possesso della nuova poesia. Queste sono le categorie sulle quali la nuova poesia costruisce le sue colonne di icone in movimento. Il verso è spezzato, segmentato, interrotto, segnato dal punto e dall’a-capo forfettario, è uno strumento chirurgico che introduce nei testi le istanze «vuote»; i simboli, le icone; i personaggi sono solo delle figure, dei simulacri di tutto ciò che è stato agitato nell’arte, nella vita e nella poesia del novecento, non esclusi i film, anche quelli a buon mercato, le long story lo story telling… si tratta di flashback a cui seguono altri flashback che magari preannunciano icone-flashback. Non ci sono più le problematiche privatistiche. È il vuoto però.

Lo stile della NOe (nuova fenomenologia del poetico) è quello delle didascalie dei prodotti commerciali e farmacologici

Altra categoria centrale è il traslato, mediante il quale il pensiero sconnesso o interconnesso a un retro pensiero è ridotto ad una intelaiatura vuota, vuota di emozionalismo e di simbolismo. Questo «metodo» di lavoro introduce nei testi una fibrillazione sintagmatica spaesante, nel senso che il senso non si trova mai contenuto nella risposta ma in altre domande mascherate da fraseologie fintamente assertorie e conviviali. Lo stile è quello della didascalia fredda e falsa da comunicato che accompagna i prodotti commerciali e farmacologici, quello delle notifiche degli atti giudiziari e amministrativi. La NOe scrive alla stregua delle circolari della Agenzia delle Entrate, o delle direttive della Unione Europea ricche di frastuono interlinguistico con vocaboli raffreddati dal senso chiaro e distinto. Proprio in virtù di questa severa concisione referenziale è possibile rinvenire nei testi della NOe interferenze, fraseologie spaesanti e stranianti.

Ma tutto questo armamentario retorico

Ma tutto questo armamentario retorico che era già in auge nel lontano novecento, qui, nella nuova fenomenologia del poetico viene archiviato. È questo il significato profondo del distacco della poesia della nuova fenomenologia del poetico dalle fonti novecentesche; quelle fonti si erano da lunghissimo tempo disseccate, producevano polinomi frastici, dumping culturale, elegie mormoranti, chiacchiere da bar dello spot culturale. La tradizione (lirica e antilirica, elegia e anti elegia, neoavanguardie e post-avanguardie) non produceva più nulla che non fosse epigonismo, scritture di maniera.

L’ispirazione

L’ispirazione è rubinetteria di terza mano, utensileria buona per i pronostici del totocalcio, eufemistica della banda bassotti, cretineria della «Pacchia è finita», epifenomeno di un armamentario concettuale in disuso, concetto cafonal-kitsch, concetto da Elettra Lamborghini in topless per poveri di spirito.

Forse sarebbe meglio parlare dell’Elefante
L’Elefante sta bene in salotto, è buona educazione non scomodarlo

L’Elefante si è accomodato in poltrona. Tant’è, si fa finta di non vederlo, così si può sempre dire che non c’è nessun elefante, che i bicchieri sono a posto, le teche di cristallo intatte, le suppellettili pure, che la poiesis gode di buona, anzi, ottima salute, che non c’è niente da cambiare, che la poiesis da Omero ad oggi non è cambiata granché, che da quando il mondo è mondo la poiesis è sempre stata in crisi… come dire che il linguaggio normologato è il nostro riparo, non abbiamo più niente da dire né da fare. Ed è vero: la poesia italiana che si fabbrica in Egitto non ha veramente nulla da dire, evita accuratamente e con tutte le proprie forze di vedere l’Elefante che passeggia in salotto e che con la sua proboscide ha fracassato tutto ciò che c’era di fracassabile. L’Elefante adesso si è accomodato in poltrona. È disoccupato. Il suo posto è stato preso dai corvi.

La NOe

La NOe (nuova fenomenologia del poetico) dà uno scossone formidabile all’immobilismo della poesia italiana degli ultimi decenni, e la rimette in moto. È un risultato entusiasmante che mette in discussione tutto il quadro normativo della poesia italiana.

(Giorgio Linguaglossa)

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1 T.W. Adorno, Teoria estetica, trad. it. Einaudi, 1970, p. 76
2 Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica Joker, 2015 pp. 102-103 (prima edizione, 1913)
3 M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017

 

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Discorso di Vincenzo Petronelli, Lasciamo il 2022 l’anno della guerra in Ucraina ed entriamo nel nuovo anno. La poesia ed i linguaggi della cultura in generale, nelle loro versioni addomesticate agli interessi dominanti (che in particolare poesia italiana coincidono con i modelli prevalenti della produzione poetica) si sono trasformati in una sorta di nullità reazionaria, svilita completamente della componente rigeneratrice che dovrebbe sottendere l’uso della parola letteraria, piegatasi in questo caso all’uso della concezione quotidiana della lingua, La posizione della NOe e della Poetry kitchen nel contesto internazionale, Poesie di Miroslav Krleža e Giorgio Linguaglossa

di Vincenzo Petronelli

Promemoria per l’anno 2022 che ci lasciamo alle spalle

Senza dubbio, quest’articolo [ https://lombradelleparole.wordpress.com/2022/12/09/ilya-yashin-il-testamento-di-un-oppositore-russo-colpevole-di-aver-detto-la-parola-guerra-giunti-alla-fine-della-seinsvergessenheit-adesso-sappiamo-da-massimo-cacciari-krisis-d/comment-page-1/#comment-80210  ] ci pone di fronte ad una riflessione cruciale per le sorti del sapere e della poesia odierni, dato che il crocevia rappresentato degli avvenimenti succedutisi in questi ultimi anni, ci ha fatto comprendere l’inevitabilità di interrogarci sui modelli gnoseologici, ontologici e di rappresentazione del mondo consolidatisi nei decenni scorsi, a partire dal riflesso individualistico, sfociato nell’edonistico dagli anni’80 del secolo scorso. Sappiamo peraltro come in Italia, questa stagnazione abbia investito in modo particolare la poesia, in buona parte, nelle sue forme dominati, relegata ad arte da salotto o da festival; ciò non toglie, ovviamente, che anche nel periodo suddetto ci siano state voci che abbiano tentato di fare poesia seria, ma indubbiamente l’orientamento prevalente è andato in un’altra direzione.
Le vicissitudini di questi ultimi anni hanno dimostrato anche a coloro maggiormente adagiati sul senso di un falso benessere ed acquiescenza proprio della società occidentale, come gli schemi siano ormai saltati completamente e che le false certezze su cui tale senso si è basato non hanno ormai più alcuna valenza. La poesia ed i linguaggi della cultura in generale, nelle loro versioni addomesticate agli interessi dominanti (che in particolare poesia italiana coincidono con i modelli prevalenti della produzione poetica) si sono trasformati in una sorta di nullità reazionaria, svilita completamente della componente rigeneratrice che dovrebbe sottendere l’uso della parola letteraria, piegatasi in questo caso all’uso della concezione quotidiana della lingua. Probabilmente, è da considerare questo come uno degli aspetti più deleteri che la cosiddetta “poesia del quotidiano” ha comportato come riflesso non solo sulla prassi, ma sulla stessa espressività poetica: non tanto l’introduzione nella poesia di temi tratti dal quotidiano (che anzi, trattati con il giusto “velo” poetico hanno rappresentato un’estensione del dicibile o del rappresentabile in poesia), quanto l’idea di ridurre la lingua della poesia a quella del quotidiano, appiattendone e svilendone la potenzialità filosofica, antropologica, soteriologica immanente alla lingua poetica, soteriologica (o se vogliamo taumaturgica nei confronti della lingua in generale) perché he più di altre forme d’arte, i canoni linguistici della poesia hanno la possibilità di agire come un bulino, nei confronti della lingua tutta.

Anche la poesia ha invece abdicato a tale ruolo, contribuendo così alla grande semplificazione che caratterizza la comunicazione del nostro tempo, funzionale al progetto di “normalizzazione” politica cui ormai la società occidentale è sottoposta dalla metà ann’80 del secolo scorso e che è ormai giunto al livello del parossismo delle coscienze.
La bellissima allocuzione di Ilya Jashin ci conduce direttamente al nocciolo di questo discorso, con il suo tentativo di rischiarare le menti obnubilate dalla propaganda russa a proposito dell’intervento armato in Ucraina ed in generale del liberticidio che contraddistingue sempre più il regime politico dello zar di tutte le Russie. L’esempio russo è particolarmente calzante nella misura in cui ci troviamo di fronte alla “macchina politica” che in questo momento ha probabilmente portato al massimo livello la propaganda tramite l’informazione digitale, divenendo il burattinaio che muove i fili di gran parte degli attuali movimenti demagogico – populisti che minacciano la nostra democrazia, che per quanto imperfetta, è pur sempre un valore da difendere, pena il regresso dell’Europa e della società occidentale ad epoche nefaste del nostro passato.
A partire dagli ultimi anni, gli effetti di tale manipolazione politica della comunicazione sono emersi in maniera drammatica e siamo di fronte senza dubbio, ad uno dei problemi principali della nostra società in questo momento; le storture operate da questo sistema di controinformazione populista, con le varie declinazioni operate in Ungheria, Polonia, Rep.Ceca, Serbia, ma anche in Grecia, in Spagna ed in Italia, sono sotto gli occhi di tutti, con politiche ammiccanti ora ad istanze di una destra nazionalista, xenofoba, fondamentalista cristiana, ora ad istanze di sinistra troppo sbrigativamente pauperiste e classiste, assolutamente fuori tempo massimo o che, per meglio dire, di fronte al rischio di una nuova polarizzazione della ricchezza, propongono soluzioni legate al comodo sbandieramento di slogan di sicuro effetto, solo perché consolidati nei vecchi proclami storici, ma che rischiano in realtà di trasformarsi in pura propaganda con possibili esiti imprevedibili e nefasti come la storia ci ha del resto già insegnato.
La semplificazione, l’appiattimento del linguaggio è stato naturalmente lo strumento privilegiato di questo rimescolamento delle coscienze, in un progetto in cui la parola si avvizzisce nel suo potere creativo, producendo una lingua scialba, incolore, amorfa, monocorde, di facile presa popolare e di grande “resa” politica.

È stato questo, in realtà, un punto d’arrivo di un processo avviato già con il dissolvimento della parabola del mondo socialista e l’assurgere di un padrone unico sullo scenario politico mondiale, percorso che recava con sé la necessità di limitare la complessità del confronto dialettico, tendenza abbinata all’edonismo che ha caratterizzato la cultura occidentale di quegli anni di ripiegamento sull’individualismo e di tramonto delle utopie collettive. Una delle testimonianze più significative di questo nuovo ordine venutosi a creare in quegli anni, l’abbiamo avuta in Italia con una delle voci poetiche più alte della nostra storia del secondo dopoguerra, che ha scelto la musica come campo d’espressione per veicolare la sua poesia e cioè Fabrizio De Andrè, che nel suo album Le nuvole, apparso nel 1990 ritrae questo mondo caratterizzato da un potere sempre più ammorbante, soverchiante, annichilente nei confronti della società, il cui controcanto è dall’altra parte quello di un popolo sempre più rintanato sui fatti propri e che, nella misura in cui il potere glielo consente, continua a vivacchiare facendosi i fatti propri, ignorando (o fingendo di ignorare) la sciagura che sta per abbattersigli addosso. Un brano particolarmente rappresentativo di questa fotografia che il disco riprende è ‘A çimma, scritto in genovese con Ivano Fossati e Mauro Pagani, il cui protgonista è un cuoco – alle prese con la preparazione per una cerimoni, dell’omonimo piatto tipico della cucina genovese – circondato da un mondo prossimo allo sbando, che racchiude tutta la sua vita nella sua cucina, trovando motivo di indignazione solo nella riprovazione del comportamento degli astanti che mandano in fumo il suo lavoro dopo aver consumato la pietanza.

Il disagio indotto da questa situazione di monopolio politico – culturale, ha però prodotto delle conseguenze, dalle pretese palingenetiche, che però già a partire dagli anni ’90, si rivelano essere peggiori del male che intendevano curare, dando vita – sempre nel nome dell’illusione di poter trovare scorciatoie per problemi complessi – a pericolosi intrecci populistici, estrinsecati tramite una politica divisiva il cui unico effetto è la creazione di slogan imbonitori, che racchiude la retorica nazionalistica e xenofoba delle piccole patrie egoiste delle regioni europee più ricche, la paradossale politica dell’antipolitica, altro inganno di facile presa, che ha sdoganato nell’arengo della discussione politica le chiacchiere da parrucchiere di fronte alle quali un tempo persino chi le esprimeva provava pudore, con le loro derive dell’ “uno vale uno” e della totale elisione della competenza: posizioni politico-ideologiche che hanno di fatto assunto naturalmente come elemento distintivo culturale l’isterilimento del linguaggio, in quanto meccanismo di controllo dal basso, per avvalorare l’inganno della pretesa democrazia.
Questa falsa, subdola idea di democrazia prêt à porter, organica in realtà a questo disegno destabilizzante per la vera democrazia, ci ha condotti in questi ultimi anni ad assistere alla formulazione di teorie farneticanti che, deformando il concetto di controinformazione alla luce di queste categorie annichilenti del pensiero, hanno ribaltato l’idea della stessa controinformazione rendendola strumento di questo progetto demagogico, molto semplicisticamente partorendo un modello per cui sarebbe sufficiente sovvertire la realtà di fatto per dar prova di un esercizio di vaglio critico che vada a scovare, in un presunto altrove – identificabile con le proprie pulsioni, frustrazioni, aspettative – le spiegazioni profonde della contemporaneità.
È sottinteso che in tale contesto ognuno possa ritagliarsi il nemico che meglio risponda ai propri fallimenti personali, grazie alla duttilità delle parole d’ordine coniate e contenute in questi messaggi improntati appunto ad una semplificazione scarnificante del linguaggio, che consente di trasformare i messaggi in veri e propri slogan, volutamente eclettici proprio per il loro minimalismo.

Appare così evidente l’intento destabilizzante per la democrazia insito in tale disegno, capace di spacciare misure di carattere puramente assistenzialistico, da sempre serbatoio di clientelismo politico, per politica progressista; di ribaltare conquiste storiche della scienza vengono messe in discussione nel nome di un’interpretazione nichilistica del senso della libertà personale, in cui è assente qualsivoglia attenzione per il bene collettivo; di mettere in discussione libertà sociali ormai consolidate, per il tramite di nuovi predicatori dell’integralismo religioso; di esaltare uno dei peggiori despoti della storia contemporanea, re-incarnazione delle figure più sinistre della storia passata e già autore di vari episodi di genocidio ed annientamento di popoli, come liberatore del neo-nazismo, paradossalmente pur essendo movimenti che spesso e volentieri strizzano l’occhio a quell’eredità e che hanno nello stesso despota il loro punto di riferimento. Proprio gli eventi della guerra di aggressione russa all’Ucraina, costituiscono una sorta di apoteosi di questo processo, momento culminante di questa politica che proprio dalla disinformacija russa trae la sua maggior propulsione, funzionalmente agli interessi del neo zar di ridefinire le parabole della storia, alimentando i propri disegni imperialistici.
Un corollario inevitabile di questo atteggiamento è la creazione di un bacino di divulgatori politici, culturali, di un’intelligencija di riferimento (influencers come si sogliono definire nel vocabolario dei nuovi media), il più delle volte costituito di una pletora di intellettuali del tutto improvvisati, pronti ad approfittare della possibilità di salire sullo scranno donato loro, il cui compito (come sempre avviene con i regimi illiberali) è di arruolare uno stuolo di volontari carnefici pronti ad immolarsi per qualunque causa venga loro affidata dai leaders, non più agghindati in uniforme e stivali militari, ma in giacca, cravatta e valigetta ventiquattr’ore, avendo nel frattempo provveduto a cambiarsi d’abito.
E la poesia cosa fa in questo contesto? Nella maggior parte dei casi si è ritagliata il suo spazio, la sua fetta di torta nella grande partizione e chi naviga nell’aura mediocritas di questi ultimi decenni, evidentemente non si scompone più di tanto di fronte alla situazione in atto, perché l’importante, dal loro angolo visuale è continuare a crogiolarsi ed a raccogliere consensi (mediatici o attraverso il ridicolo mercimonio dei premi) e mentre questi ambiscono ai “ricchi premi e cotillons”, fuori l’umanità compressa nelle terre dove si concentrano gli appetiti dei nuovi imperatori del mondo, combatte solitaria la sua battaglia per l’affrancamento dalla nuove tirannie.
Trovo che questa situazione venga straordinariamente riflessa questa condizione in anticipo sul in questa poesia di Miroslav Krleža, poeta tra i più straordinari nel ritrarre la società europea del ‘900 (in particolare dal suo laboratorio, per molti versi privilegiato, del mondo balcanico) lontano da qualsiasi tentazione di poesia dell’egolalia e che meriterebbe senza dubbio una maggior fama.

Miroslav Krleža

NOTTURNO DI SAN SILVESTROMILLENOVECENTODICIASSETTE
(Silvestarski nokturno godine hiljadu devet stotina sedamnaeste)

Promemoria a coloro che osserveranno tutto ciò da un’altra prospettiva

La luna è un tondo sanguigno,
e gli alberi soffrono eroici nel morto silenzio,
e la notte del santissimo vescovo Silvestro placida, placida, respira.
L’astrale semi riflesso verde della nera notte nebbiosa,
quando nel cosmico gioco il globo gira per una logora cifra,
e quando sul calendario
l’Anno Vecchio dal Nuovo è scannato.

Oh, a Nuova York, a Genova o a Hong Kong
ora le sirene di tutte le navi ancorate
ululano,
e tutte le antenne ora, in questo momento, spargono manciate di scintille blu
sulle strisce di tutti i meridiani.

Ma io non mi trovo a Nuova York, a Genova o a Hong Kong,
e non ascolto le sirene delle navi ancorate.
Io sullo Smrok2 guardo la luna sanguigna che sorge dietro il cimitero,
e di nuvole la colonna danzante nella lugubre e grigia illuminazione:
martiri in fila, sciagurati, crocifissi.
E pantere ululano accompagnate dal piffero dell’ebbro Bacco,
scorpione e serpente e granchi neri,
sono loro quest’anno sovrani del pianeta.

Malate e gialle sono forme sanguigne di questa notte di San Silvestro,
e tutti i colori squallidi e smunti.
Su, ch’io canti sul cadavere della Vecchia stagione, donna morta:

«Che cosa ci hai dato, decrepita meretrice?
Manicomio, caserma, cannoni e imperatore,
musiche e incendio, funerali e terrore.
L’Europa si ubriaca sulla mina di questa lugubre notte,
e Scheletro Grande versa lo spumante nel calice.»
La luna è sanguigna,
e la gente con pensieri combatte, con libri e stampa. La gente combatte con coltello piombo e gas,
e unghie, e calcio del fucile, e pugno,
la gente si scanna, e gufi ululano sullo Smrok,
pure questa è notte di San Silvestro. Continua a leggere

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Lettera di Simone Carunchio a Giorgio Linguaglosa a proposito della presentazione della Antologia Poetry kitchen tenutasi alla Fiera del Libro di Roma, La Nuvola, l’11 dicembre 2022, con l’elenco degli assiomi e delle linee di forza della poetry kitchen e due poesie dell’autore, La fine della Metafisica?

Il Mangiaparole 18 Poetry kitchen

Caro Giorgio,

Mi auguro tutto bene per te. Per me non c’è male.

Come sempre ringrazio te e tutta la redazione e i poeti che si aggirano all’Ombra per gli spunti di riflessione che vengono proposti. Ultimamente non sono più riuscito molto a seguire e ancor meno a partecipare alle discussioni sull’Ombra delle parole. Un po’ perché la produzione è talmente ampia da lasciare storditi; un po’ perché avevo bisogno di ‘disintossicarmi’; un po’ perché ho smesso di fare il pendolare e, quindi, avevo meno tempo di leggere altre carte che non fossero quelle di lavoro.

Mi sono però interessato. A fondo, all’antologia Poetry kitchen. E di questo vorrei parlare. Impulso che mi è venuto soprattutto dopo aver assistito alla presentazione del libro alla Fiera del libro di Roma dell’11 dicembre 2022. Come sai, mi occupo del giuridico, in particolare tributario, e, pertanto, in questi ultimi tre anni da fare ce n’è stato moltissimo a causa del fatto che quasi tutti gli aiuti statali erogati per fronteggiare le varie urgenze, prima sanitaria e poi bellica, sono passate per il fisco. Materia, quella tributaria, peraltro, ancora alla fase embrionale (rispetto per esempio al diritto civile).

Prendo spunto da queste brevi note iniziali, concernenti in particolare la mia utile attività, per mettere subito in chiaro, come già feci presente anni fa (era il 2017, ormai, quando ti inviai una lettera sulla NOE, poi pubblicata il 5 giugno 2017 su L’Ombra delle parole, sui temi del frattale, dello spossessamento dell’io e del giudizio), che non mi trovo affatto in accordo con espressioni tipo “la fine della metafisica”. La metafisica, infatti, che si concretizza in tutto ciò che esiste (ma magari non c’è, ma talvolta anche sì), si manifesta quotidianamente, a mio parere, in primo luogo nell’istituzione, la quale non è finita per niente; anzi: pare più viva che mai! Forse anche troppo! Ciò che è venuto a mancare è l’ontologia, il discorso sull’essere (e il dover essere e il non essere e il poter essere), il quale è talmente complesso che racchiuderlo in solo discorso pare davvero impresa impossibile.

In ogni caso, forse, si sta dicendo la stessa cosa, solo utilizzando e sostituendo i due diversi vocaboli. E così arrivo a bomba a uno dei capisaldi del tuo Saggio introduttivo La poetry kitchen presente in apertura dell’antologia di poesia contemporanea Poetry Kitchen: la fine della metafisica.

Comunque sia, premetto, prima di addentrarmi nell’analisi del Saggio, oggetto primario di questo intervento scritto, che, come già affermato in precedenza, mi sono deciso a scriverti in proposito perché, come sai (o almeno credo che tu sappia), sono stato presente alla presentazione della suddetta antologia alla Fiera del libro di Roma del 2022 di pochi giorni fa, riuscendo a comprendere meglio il ‘gesto’ insito nel modo di fare poesia in Cucina. Ciò che ho appreso in presenza è l’oggetto secondario di questo intervento scritto. Naturalmente il mio scopo attuale è quello di spingere sempre più in là il pensiero.

Antologia Poetry kitchen

Orbene, che si ricava dal Saggio introduttivo?

Sulla base di un solido pensiero filosofico (Žižek e Agamben in primis, ma anche Platone; Foucault, Lyotard, Wittgenstein, Adorno, Baudrillard, Welsch, Desideri, Ferraris, Leopardi, Marx, Heidegger), che prende in considerazione la sociologia, la psicoanalisi, la politica, l’esistenzialismo, mi sembra che si affermi:

– che la realtà, la vita, è troppo per essere presentabile e trattabile;
– che l’ideologia è di supporto alla realtà;
– che la realtà è divenuta liquida;
– che la realtà è relativa (compreso il soggetto e l’oggetto);
– che la realtà è divenuta tecnologica;
– che si è nell’epoca della fine della metafisica;
– che l’umanità è suicidaria;
– che il linguaggio non ha più contatti con la realtà;
– che il soggetto è assoggettato al linguaggio;
– che il soggetto ‘artistico’ cerca di dominare il linguaggio;
– che l’arte è imitazione di imitazione di idee (imitazione della realtà?);
– che l’arte è tale perché lo decide un’autorità;
– che qualsiasi oggetto può divenire arte (e che quindi c’è un progresso fenomenologico sociale nel quale l’arte da aulica è divenuta bassa);
– che nell’arte c’è un di più che corrisponde a ciò che non c’è;
– che il concetto di mimesis non è più valido;
– che la nuova poesia è evento linguistico (e che pertanto rappresenta se stesso?);
– che la nuova poesia è affollata di mondo;
– che la nuova poesia corrisponde al sublime tecnologico;
– che la nuova poesia non ha più messaggi da inviare;
– che la nuova poesia ha origine in un luogo (mistico) precedente al linguaggio (alla lingua?) (Es, Inconscio, Preconscio) (fondamento negativo);
– che la nuova poesia è fuori dal significato, dal significante e, forse, anche dal significativo;
– che la nuova poesia è gratuita;
– che la nuova poesia è rivoluzionaria (poiché tende a nuovo ordine delle cose);
– che la nuova poesia è performativa (è quello che è);
– che il nuovo poeta non vuole dominare il linguaggio;
– che la nuova poesia è realistica al massimo grado, in quanto irrealistica;
– che la nuova poesia non ha più niente da dire;
– che la nuova poesia non propone nessuna etica (morale?);
– che la nuova poesia questiona la verità;
– che la nuova poesia è un prodotto dell’attività immaginativa e della tecnica;
– che la nuova poesia ha come tecnica di riferimento quella del cinema (montaggio) (e che quindi sintassi e semantica sono ‘antiquate’);
– che la nuova poesia, come qualsiasi prodotto della creazione, ha come scopo il non detto;
– che la questione fondamentale è l’adattamento al Nuovo in gioco di perenne dialettica (degli opposti, dei contrari, della contraddizione).

Corretta la ricostruzione del messaggio del Saggio? Mi pare di sì. Eh sì: la dialettica, la dialettica degli opposti. Quando un discorso può effettivamente dirsi vero (e non falso)? Forse solo quando è contraddittorio, poiché rappresenta fedelmente la realtà, o meglio la percezione logica della realtà, la quale, come dimostra la fenomenologia, quando è sottoposta ad analisi (la realtà), essa non può che apparire contraddittoria: è la struttura della lingua fonetica (esemplare in questo senso è Linee di fenomenologia del diritto di Kojève: alla fine della storia – che si potrebbe anche identificare con il presente non analizzato – il diritto è tutto e niente allo stesso tempo).

Il Saggio introduttivo mi pare che sia perfettamente dialettico nella sua logica consequenzialità. Per esempio: la poesia non ha più niente da dire, ma dice la questione della verità; la poesia è nella verità che rappresenta se stessa, ma essa rappresenta la realtà liquida; il soggetto artistico tenta di dominare il linguaggio, ma il poeta non vuole dominare il linguaggio; etc. Un discorso dialettico così strutturato è un discorso forte, difficile da attaccare. Per farlo, rispettando la stessa dialettica, è necessario quindi porre di fronte al testo un contesto diverso e, in più, identificare alcuni valori, alcune fondamenta, che non sono messi in discussione nel testo ma ne appaiono come i capisaldi.

Un primo fondamento è il seguente: la poesia è un’arte. Ma siamo certi di questo?

Un secondo fondamento è che il nulla possa produrre l’essere. Ma siamo certi di questo?

Relativamente a tale ultima questione (che poi ci può condurre alla prima), la quale deriva da un’impostazione esistenzialmente atea, si può opporre, per esempio, il pensiero religioso, nel quale si afferma: come è possibile affermare, come fanno in molti, che dal nulla scaturisca qualcosa? Solo da una cosa può scaturire una cosa: il non essere è una cosa come anche l’essere è una cosa (tra i vari: Kardec, Il libro degli spiriti). Certamente è poi possibile discettare su che tipo di cosa sia: ci sono cose che esistono, ma non ci sono (per esempio la responsabilità), e ci sono cose che esistono e ci sono (per esempio un bicchiere).

E tale questione interpretativa si pone al massimo grado nella lingua e nelle creazioni effettuate mediante la stessa, ossia, in particolare nella poesia. Nell’ambito delle altre arti (pittura, scultura, fotografia, musica, cinema, etc.), vale a dire di altri linguaggi, la questione del non essere si pone più che altro in via speculativa, ossia di discorso (naturalmente logico) sull’opera d’arte, e non afferisce direttamente all’opera in sé, la quale è lì, presente, nella complessità dei suoi significati nell’istante stesso della fruizione.

Ecco che quindi la riconducibilità della poesia alle altre arti (e pertanto alla loro condizione di prodotto di mercato) mi pare non così scontata (senza contare il diverso impegno degli arti, del corpo, nelle arti e nella poesia, la differente fruizione da parte dell’utente, etc.). Ne consegue, quindi, che anche l’analogia tra l’artista e il poeta possa e debba essere messa in discussione (e quindi dovrebbe essere messa in discussione la comunanza che tra le varie categorie della creazione è stata effettuata dalle avanguardie del secolo scorso).

In questo senso il ruolo del poeta e dell’artista nel mondo contemporaneo dovrebbero forse essere distinti: il poeta mi pare che possa sopportare una ricostruzione della realtà, nella sua verità, molto più complessa di quello che può avvenire nelle altre arti, soprattutto per la semplicità tecnica del suo mezzo, la quale non ha necessità di importanti supporti esterni (quali apparecchi e strumenti vari).

In più il poeta ha a disposizione la stessa ‘materia’ delle istituzioni: le parole. Ecco che quindi il fascino per il cinema non può eliminare le tecniche proprie della parola: retorica e sintassi in primo luogo. Inoltre non è possibile scappare al senso: esso può essere latente o patente, ma è comunque presente (anche perché, comunque sia, la letteratura è sempre autobiografica, che essa espliciti l’io o meno). O almeno il lettore è automaticamente indotto a cercarlo.

Per esempio, io lettore ho dato un senso ai versi della Tagher e di Intini citati nel Saggio: Ewa si rende conto che non può sfuggire al senso (e il senso attualmente è quello del galoppatoio, quale metafora della condizione umana nella nostra società), o, meglio, che per lasciare gli stacci ha necessità di cominciare a galoppare; e Intini sopravvive alla socialità (scafandri e onde radio quale metafora della stessa società organizzata come un galoppatoio) per cercare qualcosa di intimo. In questo senso ho quindi trovato piacere in altre poesie, le quali mi hanno permesso di interpretare la realtà diversamente da come mi capita di fare in automatico. Continua a leggere

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Le figuralità e le Figure nella poesia Kitchen, La poiesis non fa distinzione tra un fuori e un dentro, ogni limite è un confine e un ingresso e, come ogni ingresso, è anche un egresso, Tecnica, mediato e immediato, artificiale e naturale, sono inseparabili e irrelati e costituiscono un non-luogo, un atopon, Poesie kitchen di Mauro Pierno, Marie Laure Colasson, Mauro Pierno, Mimmo Pugliese, Jacopo Ricciardi, Ritratto di Giorgio Linguaglossa, fotografia, È molto importante trovare il proprio luogo nella linguisticità. E questo lo possono fare soltanto i poeti. Un poeta ha il suo luogo esclusivo nella linguisticità, e quando lo trova non si muove più di lì; soltanto in quel luogo può parlare, in altri posti della linguisticità rimarrebbe muto

Ritratto di Giorgio Linguaglossa

Marie Laure Colasson, Ritratto di Giorgio Linguaglossa, fotografia 2022

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Entre la lettre et le sens, entre ce que le poète a écrit
et ce qu’il a pensé, se creuse un écart, un espace, et comme tout espace,
celui-ci possède une forme. On appelle cette forme une figure.
(Gérard Genette, Figures)

Le figuralità nella poesia kitchen

Nelle figuralità presenti nelle poesie kitchen si può rintracciare il percorso che unisce e separa la poesia del novecento e/da quella della nuova ontologia estetica. Sono le figuralità che fanno la differenza.
Le figuralità sono delle vere e proprie tecnicalità, ripropongono la stessa logica anti-entropica e al contempo auto-trascendente della vita. Sono l’espressione di quel fondo pre-individuale presente in ciascuno di noi.

Ogni figuralità è tecnicalità. In ogni oggetto tecnico della poiesis possiamo vedere in atto la dynamis della «natura» umana, quella dimensione originaria che consente all’uomo di esternarsi e di porsi in relazione con quanto lo circonda; quel supporto naturale che permane come un apeiron, serbatoio di potenzialità infinite. L’artificialità delle figuralità non è dunque in alcun modo opposta alla spontaneità produttiva della natura, è anzi consustanziale all’artificialità che contraddistingue l’azione umana, che rappresenta la «natura» umana in svolgimento. La tecnicalità rende visibile al di fuori non tanto semplicemente ciò che l’uomo è nel di dentro, quanto il processo dentro-fuori e io fuori-dentro. La poiesis non fa distinzione tra un fuori e un dentro, ogni limite è un confine e un ingresso e, come ogni ingresso, è anche un egresso.

Tecnica, mediato e immediato, artificiale e naturale, sono inseparabili e irrelati. Una delle leggi antropologiche fondamentali è quella dell’immediatezza mediata, strutturalmente connessa a quella dell’artificialità naturale, nonché a quella del luogo utopico, del non-luogo a-topon.

Parlare di tecnica e di naturalità delle figuralità vuol dire parlare del medesimo. Le figuralità sono la spia di una poesia altamente artificiale, in quanto la tecnica è essa stessa prodotto di artificio, prodotto della dimensione aperta, storica, evolutiva e ibrida dell’essere umano. L’ibridazione con l’alterità nasce da una incompletezza che non è un difetto da colmare bensì una possibilità che conduce ad un oltre, che è per l’uomo la possibilità produrre una dinamica ad un tempo biologica e culturale, innata e acquisita, ontogenetica e filogenetica. La fisicità umana è fondamentalmente protesica, la physis umana è immediatamente meta-fisica.

Già Carlo Marx affermava che l’uomo è Gattungswesen, essenza generica o ente naturale-generico, apertura potenziale al mondo che si determina in modalità temporale e comunitaria. L’uomo è quell’essere che per natura è chiamato ad agire, ad avere un rapporto mediato con quanto lo circonda, all’esposizione con il fuori e con l’altro da sé per cercare di trovare e determinare attivamente se stesso; è in rapporto-a e in relazione-con (zoon politikon); la sua natura non rigidamente statica, ma dialettica e dinamica lo spinge verso il mondo per entrare in rapporto con esso. Che l’uomo abbia un Verhältnis (tanto “relazione” quanto comportamento, azione: relazione), significa che la sua condotta di vita è una questione di modi di essere, il suo comportamento concerne il come agire in ogni determinata situazione.L’uomo è per natura uno sperimentatore, è sempre al di là (ek) del limite (peira) immediato imposto dalla natura. L’uomo è il medium tramite cui la natura si spinge al di là dei propri limiti. La tecnica appartiene all’essenza umana come esserCi, va inserita nel mondo, come disvelamento pro-vocante che pro-cede da physis, dal disvelamento producente del mondo che tocca l’uomo come natura che si fa storia. Se la techne è un modo dell’aletheuein dell’essere, è perché essa è la pro-vocazione della natura nei confronti dell’uomo, è quel movimento di fuoriuscita da sé con cui la physis chiama a sé nella forma del superamento di sé, apre lo spazio dell’umano, costituisce l’uomo in quanto ente storico-culturale in quanto ente che deve corrispondere al movimento sottrattivo di una natura che si dà nascondendosi e venendo meno nella sua immediatezza. L’uomo è così per sua natura un ente non-centrico, ec-centrico rispetto a qualsivoglia forma di centricità, di chiusura autocentrica; è sempre s-centrato e de-centrato rispetto a se stesso.

Se «espandiamo [e introiettiamo] tecnologia», è «per scoprire chi siamo e chi possiamo essere… la tecnica, i suoi apparati, non sono una deviazione rispetto alla norma o alla natura umana, ma piuttosto ne sono una amplificazione, una stilizzazione e una manifestazione eminente. […] Ciò che avviene attraverso la tecnica è una vera e propria rivelazione: ciò che si oggettiva nelle protesi è la natura umana, noi possiamo sempre specchiarci negli attrezzi che abbiamo fabbricato […] e dirci: ‘Questo sei tu’. […] La tecnica non è aberrazione, è rivelazione, ci mostra chi siamo davvero, e funziona non come uno specchio deformante, ma casomai come un microscopio o un telescopio»1.

1 M. Ferraris, Anima e iPad. Rivelazioni filosofiche, Guanda, Parma 2011, 11, 68.

Strilli Transtromer le posate d'argento

Poesie a-centriche di
Mauro Pierno

La parte meno esposta.
La parete del divisorio, questo lo ricordi?
L’ultima sigaretta,
va bene, la penultima!
L’orientamento spostato a ovest,
troppa luce! È quanta polvere, ancora?!
Hai dimenticato ancora
le lenti nel cassetto.
Queste, queste
dovresti averle sempre con te Jack.
Hai tante donne per la testa Jack!
I visipallidi ispirano così tanta devozione.
Caricate…
puntate…fuoco!

*

La pagina elettronica ha le sinapsi allungate
una silhouette a basso costo,
le code dei cavalli arrugginite.
La scopa, Hansel,
ha in dotazione un aspiratore elettronico
ed un pettine per crani calvi
e sdentati.

Mimmo Pugliese

Gatti e pavoni

Gatti nelle steppe tengono per mano arance
vele schiacciano briciole sul cartongesso
un trattore elettrico scuote alberi di catrame
nel garage del Colosseo
hanno profili di melagrana le donne gitane
i fucili degli argonauti ululano alla serotonina
l’abilità dei licheni persuade l’inviato speciale
il pollice di Robin Hood è depresso
no, è vivo! fa la corte alla glottide
gli acini non si radono da tempo
il gallo allude
gladiatori contaminano l’olio di oliva
gli apostrofi corrono in salita
dalla punta dell’Adriatico si vede Stonehenge
il bonus casa telefona alla luna
il cerume soffre di insonnia
Paperone starnutisce ai pavoni

Jacopo Ricciardi

brani poetici tratti dall’antologia Poetry Kitchen (2022).

Un mal di testa è un grande ombrello nero
una piovra con un eccesso di tentacoli.
Un gatto dal dorso ardente
acciambellato in ogni cosa
sogna un mal di testa. Qualche gatto
si alza per correre senza fine –
insegue il mal di testa
sotto l’ombrello.
Un mal di testa entra nel piccolo cranio del gatto
che non sa dove andare. Ogni direzione
è possibile
sarà svolta seguendo il vortice di un orecchio.

*

Si immergono luminosi dentro anelli scuri.
In su si afferrano con unghie a mezzaluna
a successive orecchie e discendono quatti
un orecchio alla volta sulle tracce di un mal di testa
guardando ripiani di pietra e pareti finire
nell’acqua di una terma – entra
ogni gatto in una bolla
espulsa dal fondo terrestre fino a una fessura
e salendo nel caldo liquido e aprendosi sulla superficie
lancia il felino nell’odore pregnante
mentre riposa acceso di luce su un calore
memoria di un indimenticabile bruciare.

*

Un podismo estenuante
che genera gatti infiammati
fermi accanto ai falò.
Altri falò soli
figli del non muoversi
del mancato saluto
stuprati da ogni cosa
in un respiro che va a onde circolari.
Queste lagune immobili
come stratificazioni di sanguisughe
bocche contro bocche che trovano solo aria
e rumori di tarli che avanzano che arretrano
salendo o scendendo fintamente nell’idea.

*

La folla di ceppi cade insieme
sanno di resina
che cola nella spaccatura circolare
lì si arrampica sui cerchi del legno
li discende come gradini –
il proliferare del tempo è in briciole.
Il tonfo che fanno a terra è sordo
e non scompone la resina appiccicata.
Le orecchie appiccicate alla resina al tronco.

*

Molti gatti in corsa su differenti vortici di orecchie
sotto il grande ombrello nero di una piovra.
Saltano sulle groppe dei segugi –
vanno riconoscendo il luogo con la lingua –
accendendoli appena e bruciacchiandoli
per finire nel fondo inghiottiti in una nascita –
lì in fondo la vasca della sauna
dove trapela una terma
dove l’acqua è ferma
percorsa da un respiro circolare
stigma di un luogo
come dei ceppi caduti riassorbiti densi in essa.
Sul largo ombrello una miriade di falò.
Intorno sta un paesaggio deforme.

Strilli Tranströmer 1

Ci sono delle cose che in una poesia non si possono dire, e in un ritratto non si possono disegnare. Scrivere una poesia è un atto di estrema cortesia e di estrema reticenza. Fare un ritratto è un atto subdolo: cercare di scavare nell’inconscio del Conscio senza darlo a vedere, non c’è principio di ragion sufficiente che regga. Non posso scrivere in una poesia un pensiero del tutto ovvio e fatto, perché verrebbe immediatamente archiviato dalla memoria collettiva. In poesia non si possono scrivere truismi, se non per ribaltarli. Resta il fatto, però, che l’Altro ha bisogno di conoscere esattamente ciò che non è detto. Il poeta di rango non si sottrae mai a questo problema, egli risponde sempre e come può, riproponendo di continuo ciò che non può esser detto in altri modi, ovvero, con altre parole; in questo modo ingaggia una lotta perpendicolare con ciò che non viene detto, e così allarga il campo della dicibilità e restringe quello della linguisticità. Questo è il compito proprio della poiesis. L’ontologia positiva è questo allargare di continuo il campo della dicibilità restringendo quello della linguisticità.

È molto importante trovare il proprio luogo nella linguisticità. E questo lo possono fare soltanto i poeti. Un poeta ha il suo luogo esclusivo nella linguisticità, e quando lo trova non si muove più di lì; soltanto in quel luogo può parlare, in altri posti della linguisticità rimarrebbe muto. Nessuno che esprime qualcosa dice ciò che effettivamente intende: ciò che io intendo è sempre diverso da ciò che io dico. È ingenuo pensare ad una perfetta coincidenza tra ciò che intendo dire e ciò che dico. Tra la parola e la cosa si apre una distanza che il tempo si incarica di ampliare e approfondire. Tra le parole si insinua sempre l’ombra, viviamo sempre nell’ombra delle parole. Anche trovare la parola giusta al momento giusto, è una ingenuità. Il politico pensa in questo modo, pensa in termini di «giusto», non il poeta. La poiesis non ragiona in questo modo, alla poiesis interessa trovare il «luogo giusto» dove far accadere l’evento del linguaggio. Tutto il resto non interessa la poiesis.

Pensare l’Evento del linguaggio dal punto di vista di chi è fuori dal «luogo» del linguaggio è una sciocchezza e una improprietà; chi è fuori del quel «luogo» linguistico non comprenderà mai l’Evento di quel linguaggio che deriva da quel «luogo». Quello che Heidegger vuole dire con la parola Befindlichkeit è proprio questo: il situarsi emotivamente dell’Esserci in un «luogo linguistico». Ogni luogo ha la sua particolarissima tonalità emotiva, il suo personalissimo colore. E la poesia è il miglior recettore di questa tonalità.

Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di  alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Jacopo Ricciardi, poeta e pittore, è nato nel 1976 a Roma dove vive e lavora. Ha curato dal 2001 al 2006 gli eventi culturali PlayOn per Aeroporti di Roma (ADR) e ha diretto la collana di letteratura e arte Libri Scheiwiller-PlayOn. Ha pubblicato diversi libri di poesia, Intermezzo IV (Campanotto, 1998), Ataraxia (Manni, 2000), Poesie della non morte (con cinque decostruttivi di Nicola Carrino; Scheiwiller, 2003), Colosseo (Anterem Edizioni, 2004), Plastico (Il Melangolo, 2006), Sonetti Reali (Rubbettino, 2016), Dei sempre vivi (Stampa 2009, 2021), Quarantanove Giorni  (Il Melangolo, 2018), le plaquette Il macaco (Arca Felice, 2010), Mi preparo il tè come una tazza di sangue (Arca Felice, 2012), due romanzi Will (Campanotto, 1997) e Amsterdam (PlayOn, 2008) e un testo dialogato Quinto pensiero (Il Melangolo, 2015). Suoi versi sono apparsi nell’antologia Nuovissima poesia italiana (a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi; Mondadori, 2004) e sull’Almanacco dello specchio 2010-2011 (Mondadori, 2011), e sulle riviste PoesiaL’immaginazioneSoglieResine, Levania e altre. Ha partecipato con sue poesie a due libri d’artista, Scultura (Exit Edizioni, 2002 – con Teodosio Magnoni), Scheggedellalba (Cento amici del libro, 2008 – con Pietro Cascella). Ha collaborato con Il Messaggero in una rubrica di letteratura a lui dedicata: Passeggiate romane. Ha scritto di arte su Flash Art onlineArt a part of cult(ure) e Espoarte. Ha al suo attivo diverse mostre personali, E fiorente e viva e simultanea, Galleria WA. BE 190 ZA (Roma, 2001),  Nella nebbia dell’esistente, Area 24 (Napoli, 2010), Materie senza segno, Lipanjepuntin (Roma, 2010), Dialoghi d’arte, L’originale (Milano, 2011), Una stanza tutta per sé. Visioni da Shakespeare, Casa dei Teatri (Roma, 2012), Paesaggio terrestre, Area24 (Napoli, 2015), e diverse collettive Epifania, Galleria Giulia (Roma, 2000), Maestri di oggi e di domani, Galleria Giulia (Roma, 2001), Biennale del Mediterraneo, interno Grotte di Pertosa (Salerno, 2002), XXIX Premio Sulmona, Ex Convento di Santa Chiara (Sulmona, 2002), Segnare / disegnare Accademia di San Luca (Roma, 2009), ADD Festival 2011, Macro (Roma, 2011), 90 artisti per una bandiera, Chiostri di San Domenico (Reggio Emilia, 2013), Accademia Militare (Modena, 2013), Vittoriano (Roma, 2013), Ex Arsenale Militare (Torino, 2014), Tribù, Area24 (Napoli, 2014). Ha pubblicato due cataloghi d’arte delle sue opere: Jacopo RicciardiNella nebbia dell’esistente, prefazione di Nicola Carrino, Area24 Art Gallery, 2009; Jacopo Ricciardi, Paesaggio Terrestre, opere 2008-2014, a cura di Sandro Parmiggiani, Grafiche Step Editrice, 2015. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Ilya Yashin, Il testamento di un oppositore russo colpevole di aver detto la parola “guerra”, Giunti alla fine della Seinsvergessenheit, adesso sappiamo (da Massimo Cacciari, Krisis, del 1976) che all’origine del linguaggio non c’è la parola ma il «grido», il grido di spavento e di terrore dell’homo sapiens perso nella savana che si ritira e si dirada. Giunti alla fine della metafisica e alla fine della storia, dunque, torniamo al «grido», alla «parola piena», alla parola «positiva», «ostensiva», alla parola performativa che esaurisce le sue significazioni nel detto, nell’integralmente detto, Commenti di Marie Laure Colasson, Francesco Paolo Intini, Giorgio Linguaglossa

 

Il Mangiaparole 18 Poetry kitchen
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twiter poetry di Giorgio Linguaglossa

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La ferita alla spalla Diomede l’ha guarita con insert di acido ialuronico antiadesivo, anticoagulante e ibuprofene
Erinomaco attraversando lo Scamandro ha incontrato una freccia in un occhio
Briseide è ingrassata ed è stata ripudiata
Aspasia fa la cura dimagrante
Eudossia guarda il televisore e si gode Odisseo che nel frattempo è tornato ad Itaca da quella megera di Penelope
Demostene è stato sostituito da Piantedosi
Il price cap è stato fissato a 60 euro al barile

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Giorgio Linguaglossa
5 novembre 2022 alle 17:18

È cosa nota la determinazione heideggeriana dell’essenza della metafisica come oblio della differenza di essere ed essente, nonché la contrapposizione del pensiero metafisico ad un pensiero più originario che che viene individuato da Heidegger nei detti dei pensatori aurorali presocratici. Si presenta così un contrasto: un’immagine della storia dell’essere che comincia con il pensiero autentico aurorale per poi cadere nell’oblio della differenza con l’avvento di Platone di contro ad un’immagine che pone la stessa storia dell’essere come storia dell’oblio – togliendo, allora, ogni compiuto riferimento autentico all’essenza dell’essere.
Per Heidegger la Seinsvergessenheit – l’oblio dell’essenza dell’essere, sarebbe succeduta ad un pensiero aurorale più autentico che sconosceva la Seinsvergessenheit. Da qui ecco il Wesen, l’Ente È qui in questione l’inizio della Metafisica – la quale resta pur sempre il pensiero dell’oblio.

Giunti alla fine della Seinsvergessenheit, adesso sappiamo (da Massimo Cacciari, Krisis, del 1976) che all’origine del linguaggio non c’è la parola ma il «grido», il grido di spavento e di terrore dell’homo sapiens perso nella savana che si ritira e si dirada. Giunti alla fine della metafisica e alla fine della storia, dunque, torniamo al «grido», alla «parola piena», alla parola «positiva», «ostensiva», alla parola performativa che esaurisce le sue significazioni nel detto, nell’integralmente detto. Nella situazione attuale della storia ridotta a storialità e della fine della metafisica ridotta a fuori-della-metafisica, la parola così deiettata ridiventa «piena», priva di sfumature semantiche. Ci troviamo nell’epoca della comunicazione universale che deprime ogni sfumatura di senso e preferisce la differenza bianco/nero dove il chiaroscuro viene tendenzialmente cancellato e rimosso e il Grande Altro tende a occupare e sostituire il piccolo altro… ed ecco la parola che rimbalza come una pallina di gomma…

Marie Laure Colasson
5 novembre 2022 alle 19:31

Scrive Linguaglossa :

«Nasce allora il Partito poetico a vocazione maggioritaria. Ecco, il mio lavoro fin dagli anni novanta ad oggi si è diretto a infrangere il tegumento del Partito poetico a vocazione maggioritaria. Il Logos chiama il Nomos, potremmo dire, la parola ha perso se stessa, vaga in una zona di compromissione nella quale a latitare è il significato, il referente, l’oggetto e che nulla lo giustifica, né il soggetto egolalico né l’oggetto posizionato… la parola liberata apre al discorso libero e liberato… così nel mondo storializzato (privo di storia) la poesia del novecento si allontana alla velocità della luce…»

Così, scopriamo che il Partito poetico a vocazione maggioritaria che fa della poetologia è rimasto privo di giustificazione, scopriamo che è arbitrario, né più e né meno come il disegno di decreto legge messo giù dal ministro Piantedosi dove ti accorgi che la norma manca di oggetto, davvero! l’oggetto è scomparso, si parla di “raduni” di 50+1 persone… Non si era mai vista prima d’ora una formulazione di tal fatta: è il mondo storializzato dove tutto è possibile perché tutto è arbitrario. Il linguaggio si sta storializzando. Così una norma che commina fino a 6 anni di carcere in realtà è senza oggetto, si parla di “raduno”, e il cittadino diligente d’ora in avanti dovrà prima fare il conteggio di quante persone ci siano in un “raduno”, se sono 49 potrà partecipare ma se sono 50, NO, perché a 51 scatta la sanzione penale fino a 6 anni di carcere. È talmente grossolana questa norma con la filosofia che la sottende che, ecco: le parole finalmente liberate si rivelano arbitrarie. La ideologia che sostiene e sottende quelle parole si rivela essere ancora più grossolana, rozza, inquisitoria, totalitaria. Evidentemente Piantedosi è andato a scuola di normazione da Putin!

Due domande a Giorgio Linguaglossa

6 novembre 2022 alle 15:21

Domanda: Una strenua lotta al significato contraddistingue tutta la poesia della nuova ontologia estetica?

Risposta. Sì, è una lotta incessante perché il «significato» permea il linguaggio comunicazionale impedendo di scorgere ciò che è al di là di esso, il significato è la cadaverizzazione del linguaggio… e la Musa muore anch’essa soffocata dai truismi e dai convenzionalismi.

Domanda: «Il non-senso sfugge alle leggi che governano il sistema capitalistico»?

Risposta: Penso di no, penso che il sistema capitalistico è il regno del non-senso complessivo perché è fondato sulla legge del plusvalore, del significante e della accumulazione del capitale che in sé è un non significato in quanto atto di fede. Nient’altro.
Il capitalismo è una religione e, come tutte le religioni, è basato su un atto di credenza, cioè di fede, si ha fede nella crescita del capitale e nella bontà di questa crescita come il credente ha fede in Dio e nella bontà delle sue azioni. Se cessasse la credenza nella bontà della accumulazione del capitale cesserebbe di colpo anche il capitalismo. Entrambe le fedi: in Dio e nel Capitale sono legate insieme in un modo misterioso…

Marie Laure Colasson
14 giugno 2021 alle 19:43

Sulle ragioni della Crisi

Jacqueline Goddard, una delle muse di Man Ray, azzarda un’ipotesi originale, incredibilmente semplice:

«Negli anni ’30, Parigi era il centro del mondo e Montparnasse era un club – racconta l’ex modella, una delle poche testimoni di quell’epoca leggendaria. – «Joyce, Duchamp, Picasso, Brèton… ci trovavamo alla Coupole dove Bob, il barman, teneva liberi alcuni tavoli per noi e i nostri amici. Tutto avveniva per un tacito accordo, senza neanche bisogno di darsi appuntamenti. E questo per un fatto molto semplice: allora non c’era il telefono… Una fortuna! Nessun telefono avrebbe potuto competere con Bob. E c’è di più. Al telefono possono parlare soltanto due persone. Noi, invece, eravamo in tanti a confrontarci, a litigare, a vivisezionare le idee». Era questo il segreto? La comunicazione reale anziché quella filtrata dai media? È forse un caso che il celebre detto di Aristotele («Amici miei… non c’è più nessun amico») si affermi proprio nel Villaggio Globale governato da Sua Maestà il computer e la banda larga popolata da folle di solitari disperati? «Eravamo amici e siamo diventati estranei» (La Gaia Scienza). Ancora una volta Nietzsche è stato un lucido profeta.
Il nostro è forse il tempo della inimicizia, della competitività e della conflittualità nel rapporto tra persone, tra artisti e con i lettori. C’era una volta l’amicizia. C’era una volta il sodalizio.

Francesco Paolo Intini
2 novembre 2022 alle 13:04

Caro Antonio Sagredo,

prima di scrivere sull’Ombra ho cercato di imitare Majakovskij, ma anche un po’ Esenin e Lorca, Eliot e Pound e Transtromer e da quando la mia frequentazione su questo giornale è diventata costante, chiunque mi sia capitato a tiro compreso Linguaglossa e tutti gli amici che sai e che fanno a meno di raccontarsi a partire dal proprio io. Perciò è difficile stabilire cosa di realmente mio sia rimasto.
Penso a una specie di deflagrazione dei linguaggi come se tutti questi poeti avessero incontrato sotto i loro piedi una mina colma di tritolo ed al sottoscritto toccasse di ricomporli seguendo i contorni di un puzzle assurdo. Tentativo goffo e destinato a perdersi o ad essere irriso da chi cercasse nell’ opera qualcosa di somigliante alla completezza e alla logica.

Confesso però che c’è un certo piacere nel ricomporli alla luce di qualche stacchetto pubblicitario e al mondo perfetto della cucina. Provo perciò a barcamenarmi in questo Stige e a portare a riva qualche verso pellegrino. Ma come ben sai mica è facile l’entrata nella città di Dite. Angeli delle tenebre stanno lì a guardia, pronti ad arpionarli e rigettarli al largo. Molti sono i peccati da pagare e anche qui ci vuole intelligenza, grazia e molta pazienza per andare avanti. Ciao.

Ilya Yashin

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Ilya Yashin

Il testamento di un oppositore russo colpevole di aver detto la parola “guerra”
07 dic 2022 da Il Foglio

Esorta i russi a combattere, opporsi, essere ottimisti per contrastare il regime di Putin: è il discorso che Ilya Yashin ha tenuto alla fine del processo che lo vede imputato per non aver usato l’espressione “operazione speciale” in riferimento all’invasione dell’Ucraina. Il discorso che l’oppositore russo Ilya Yashin ha tenuto alla fine del processo che lo vede imputato per aver usato la parola “guerra”. È stata proposta una condanna a nove anni da trascorrere in una colonia penale. 

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Il Capitale, per la legge della riproduzione allargata, ha bisogno di reinventare se stesso ogni giorno in modo nuovo; il capitalismo cognitivo di oggi ha assunto a tempo pieno e indeterminato lo sperimentalismo delle post-avanguardie e lo ha messo a reddito, a produrre un plus di reddito, Poesie kitchen di Tiziana Antonilli, Mimmo Pugliese, Francesco Paolo Intini, La poiesis non ha più alcuno spazio di manovra e di resilienza, neanche residuale ed epigonico; deve, se vuole superare il fosso, saltare il guado, andare sulla sponda opposta del futuro. La nuova poesia nasce soltanto andando verso il futuro, facendo un «salto» e uno «scatto» verso il futuro, mettendo tra parentesi il passato, la tradizione

Il modo di raccontare di Alfonso Cataldi parte da due personaggi reali: il figlio di sette anni e il venditore ambulante sulla spiaggia Joaquim; lo storytelling ha dunque una base di realtà ma il procedimento poetico non è mimetico, si allontana dalla mera mimesis per approdare, in modo personalissimo, ad uno storytelling in modalità kitchen. Il risultato è di ragguardevole originalità. L’ho detto molte volte che la poetry kitchen è una serie di modalità kitchen, non c’è un modello o un ombrello di realismo o di irrealismo, tantomeno il kitchen è una scuola di poiesis, il supermoderno ha messo fuori gioco e fuori campo tutte le idee di poesia racconto che abbiamo conosciuto nel secondo novecento e che sono finite con l’ultimo storytelling di Pierluigi Bacchini, lo storytelling di un mondo vegetale disertato dagli umani. Tutte quelle categorie e mini categorie che sono state impiegate nel tardo novecento: il mini canone, la poesia ottica, mnestica, memoriale, elegiaca, antielegiaca, neoorfica, adamitica, sperimentale, quotidianista etc. si sono rivelate di scarso peso e di scarsissimo orizzonte teorico e poietico.

Il fatto è che non c’è più nulla di sperimentale nel mondo di oggi perché tutto è diventato sperimentale, ogni branca di attività segue il marchio di fabbrica dello sperimentalismo, il Capitale, per la legge della riproduzione allargata, ha bisogno di reinventare se stesso ogni giorno in modo nuovo; il capitalismo cognitivo di oggi ha assunto a tempo pieno e indeterminato lo sperimentalismo delle post-avanguardie e lo ha messo a reddito, a produrre un plus di reddito; dirò di più (e questo lo dico ai giovani come Davide Galipò che pensano ancora in termini di neosperimentalismo e di post-avanguardia), lo sperimentalismo è oggi divenuto un ideologema, una stampella di sostegno del mercato che ogni giorno deve sperimentare nuove forme-merce, nuove parole d’ordine, nuovi cliché, nuovi apparati. Nelle nuove condizioni del capitalismo glocale e globale di oggi, come ha bene indicato Byung-Chul Han in Psicopolitica, la poiesis non ha più alcuno spazio di manovra e di resilienza, neanche residuale ed epigonico; deve, se vuole superare il fosso, saltare il guado, andare sulla sponda opposta del futuro. La nuova poesia nasce soltanto andando verso il futuro, facendo un «salto» e uno «scatto» verso il futuro, mettendo tra parentesi il passato, la tradizione e la sua storia ideologicaAncora è da fare il progetto agambeniano della Storia d’Italia attraverso la storia delle sue categorie, le categorie a saperle leggere e individuare, rivelano sempre il lato in ombra della storia culturale e politica del Paese..

(Giorgio Linguaglossa)

Tiziana Antonilli

Il figlio

Il figlio in Erasmus aveva perso i pantaloni negli incendi d’Australia.
Le certificazioni Cambridge sudano sulla pancia.
Flora piangeva per le lingue intrecciate in deroga.
Lui nascose nella toilette dell’aereo
i panni sporchi rifiutati dalla lavatrice di casa.

Chiusure

Un’incursione di panda ha contaminato la biglietteria.
Un pioppo divelto continua a piangere fiocchi di neve.
Il viale tornato pulito è stato acquistato dalle pompe funebri.
Ognuno ha masticato la brochure per non intasare
il sistema fognario del Comune.

Freddo

Il borsone era una pera farcita.
Con la panchina il mattino giocava a dama
ma nessuno si è fermato.
A notte fonda la coperta si trascinò in un bar
e partorì sul pavimento un lombrico viola.

Mimmo Pugliese
29 novembre 2022 alle 12:00

Gatti e pavoni

Gatti nelle steppe tengono per mano arance
vele schiacciano briciole sul cartongesso
un trattore elettrico scuote alberi di catrame
nel garage del Colosseo
hanno profili di melagrana le donne gitane
i fucili degli argonauti ululano alla serotonina
l’abilità dei licheni persuade l’inviato speciale
il pollice di Robin Hood è depresso
no, è vivo! fa la corte alla glottide
gli acini non si radono da tempo
il gallo allude
gladiatori contaminano l’olio di oliva
gli apostrofi corrono in salita
dalla punta dell’Adriatico si vede Stonehenge
il bonus casa telefona alla luna
il cerume soffre di insonnia
Paperone starnutisce ai pavoni

a proposito del «noi»

Non ci resta che uscire definitivamente dalla forbice concettuale tipica delle avanguardie e della politica leninista del novecento: distruzione/costruzione, avanguardia/retroguardia, élite/massa, classe borghese/classe subalterna, egemonizzati/omogeneizzati, apocalittici e/o integrati. In realtà siamo tutti diventati egemonizzati e omogeneizzati, eterni subalterni, mediatizzati e mitridatizzati, integrati nell’apocalisse e nell’apocope; siamo tutti diventati dipendenti delle apocope,* siamo scomparsi (deleted) e al nostro posto c’è una virgoletta, lassù, in alto. È l’epoca dello sdoganamento del nucleare facile e prêt-à-porter. Mi si dirà che sono un pessimista: forse che sì forse che no, non c’è altra via di uscita dallo standard della merce (la merce non rivela mai il suo arcano di feticcio) e dei prodotti culinari quali sono diventati i feticci «artistici». In queste condizioni la nuova fenomenologia del poetico e la poetry kitchen sono l’unica via (molto stretta, un vero e proprio collo di bottiglia) che può perseguire la poiesis oggi nel nuovo mondo semi globale e semi glocale, un mondo parallattico, nella accezione che ne dà Slavoj Žižek.

*apocope /a·pò·co·pe/ : sostantivo femminile – Caduta della vocale finale di una parola ed eventualmente anche della consonante che la precede: ‘san’ da santo; da non confondersi con l’elisione, che si ha quando la vocale finale cade solo davanti ad altra vocale. In enigmistica, amputazione.

(g.l.)

 

Francesco Paolo Intini
1 dicembre 2022 alle 22:37 
“Se un matematico è una macchina per trasformare caffè in teoremi” (Paul Erdos), cosa è un poeta? 

Il caffè crede di rimanere in tema.
Non immagina la iena che azzanna dal duodeno.

In una jeep, un grizzly
il cui unico piacere è spalmare dolore su un würstel.

Oh, il corso d’opera del distinguo sul mangiare
La misura? La sesta non copre i capezzoli.

Ma un buon caffè merita il paradiso solo a sentirlo discutere con l’aria.
-Tu hai gambe grasse per star fermo e riflettere, io ci tengo allo jogging tutte le mattine
Un fruscio qui, uno là e le malve si saziano, persino un’agave sorride
E parla di calcio, omettendo tristezze.

La debacle degli ammogliati è stato un disastro.
Speriamo l’anno prossimo. Qui tra pali del telegrafo
Non c’è modo di trovare un cent di allegria
L’ultimo Morse partì per l’Australia ma tornò vestito da poeta
Con un lenzuolo nell’obitorio e le ceneri sotto braccio.

Che serve fasciarsi di ridicolo in Parlamento?

I granchi intanto si affacciano al tema.
-È una palestra per soli scapoli. La tendina nasconde il cabaret “Allo scoglio”.
Una palla al centro si trova sempre.
Basta guardare giù in fondo e afferrare una coda di rospo.

La tv viene a galla
con i polpi attaccati ai raggi fiammanti

Un cormorano risale deluso:
c’è noia tra i programmi della lavastoviglie
E per giunta il fritto di alici ha ripreso a guizzare
Anche se rimase stecchito a gambe in su.

Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Tiziana Antonilli ha pubblicato le raccolte poetiche Incandescenze (Edizioni del Leone), Pugni e humus (Tracce). Ha vinto il premio Eugenio Montale per gli inediti ed è stata inserita nell’antologia dei vincitori “7 poeti del Premio Montale” (Scheiwiller). Tre sue poesie sono entrate a far parte di altrettanti spettacoli teatrali allestiti dalla compagnia Sted di Modena. Il suo racconto “Prigionieri” ha vinto il Premio Teramo. Ha pubblicato il romanzo Aracne (Edizioni Il Bene Comune) e la raccolta di poesie Le stanze interiori (Progetto Cultura, 2018). Insegna lingua e letteratura inglese presso il Liceo Linguistico “Pertini” di Campobasso.

 

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Concept Kitchen di Alfonso Cataldi, Dieci poesie con una Anamnesi sulla genesi delle poesie kitchen, Il primo testo è nato per gioco, utilizzando molte doppie consonanti con la lettera ‘s’. Volevo creare una poesia “veloce” che scivolasse tra gli ombrelloni e il bar dei bagni Bahia Blanca

Anamnesi sulla genesi delle mie poesie kitchen

Su invito di Giorgio Linguaglossa, provo a spiegare la genesi di questi dieci testi inediti e il loro sviluppo. Innanzitutto, parto da un commento lucido di Lucio Mayoor Tosi di qualche mese fa a dei miei testi che più o meno diceva così: “Mi pare che le poesie di Alfonso Cataldi, a differenza di altri poeti kitchen, si basino su fatti realmente accaduti”. In genere è esattamente così: scrivo partendo da esperienze reali, anche se poi gli eventi e i personaggi vengono strattonati, dirottati e boicottati dopo pochi versi. In questo caso tutto è nato dalla voglia di approfondire Joaquim, un uomo di colore immigrato sui quarant’anni, che da anni, in estate, vende libri di favole africane tradotte in italiano, sullo stesso pezzo di spiaggia, tra Bergeggi e Spotorno, In Liguria. Joaquim è loquace, conosce il carattere dei bagnanti, di anno in anno si ricorda degli avventori, sa intrattenere, ha imparato ad usare la retorica con le modalità dei nostri politicanti. Ho deciso di affiancare a Joaquim una spalla, Giacomo, mio figlio di sette anni, perché spesso ha uscite spiazzanti che sembrano fatte apposta per la poesia Kitchen. Si è formata quindi l’idea di raccontare, attraverso un numero sufficiente di poesie, le gesta di questa coppia sul litorale Ligure, in provincia di Savona. I due protagonisti dovevano servirmi come grimaldelli per entrare in una dimensione politica, sociale, che è sempre alla base del mio interesse nella scrittura. Una specie di concept album di quelli che scrivevano le band musicali negli anni ’70. Il primo testo è nato per gioco, utilizzando molte doppie consonanti con la lettera ‘s’. Volevo creare una poesia “veloce” che scivolasse tra gli ombrelloni e il bar dei bagni Bahia Blanca. Poiché ho difficoltà a rimanere a fuoco sulle cose, anche per poco tempo, già a metà del primo testo la mia attenzione si è spostata “sul fatto” che questa estate mi ha portato in terra ligure ed ho introdotto un terzo personaggio, un indizio che lo anticipa e che ho deciso di sviluppare più avanti. Una persona mi ha consigliato di continuare a scrivere i testi successivi usando altre doppie consonanti. Inizialmente mi è sembrato complicato, poi l’ho presa come una sfida. Ho cercato siti internet in cui è possibile filtrare tutte le parole con sequenze di consonanti. Ho letto e riletto queste parole, le ho approfondite sui vocabolari on line (lo faccio spesso, anche per parole semplici come scarpa, pane, ombrello…). A un certo punto, il fatto, il luogo e le problematiche di contorno sono diventate centrali e così drammatiche che ho sentito la necessità, in stile Kitchen, di scompaginare le carte con una figura “ingombrante”, un «regista dj», mi viene da dire Kitchen anche lui. Joaquim e Giacomo li ho fatti sopravvivere con fatica, ma inghiottiti da un contesto cambiato.
(Alfonso Cataldi)

*
Alfonso Cataldi è nato a Roma, nel 1969. Lavora nel campo IT, si occupa di analisi e progettazione software. Nel 2007 pubblica Ci vuole un occhio lucido (Ipazia Books). Le sue prime poesie sono apparse nella raccolta Sensi Inversi (2005) edita da Giulio Perrone. Successivamente, sue poesie sono state pubblicate su diverse riviste on line tra cui Poliscritture, Omaggio contemporaneo Patria Letteratura, il blog di poesia contemporanea di Rai news, Rosebud. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

Concept Kitchen di Alfonso Cataldi

Porco Giuda

Anche oggi le meduse dovranno prendere il passo
sotto un biplano che ausculta lo squasso di Agosto.
Joaquim ha portato fiabe dall’altra parte del mondo ai tavolini del bar
la propaganda lascia Giacomo di sasso
più del topless disabitato in uno spiazzo
lecito grandangolo discerne, per conto dell’assise marinara
il prete gradasso che non vuol sentire storie
sui peccati commessi dalla badante a cavalcioni sul bancone
in mano la cedrata Tassoni
in osservanza del lusso a ribasso allo scaletto dei pescatori.
«Chi non vuol cedere a un sonoro salasso
è invitato al concerto in re minore alle prime luci del mattino
violini e contrabbasso presso le Fornaci»
Nel porticciolo si festeggia l’assalto all’associazione dei consumatori
l’intermezzo di un sindacalista di passaggio
«Giacomo lo vuoi assaggiare uno gnocco al pesto?»
«Si, ma porco Giuda, ho sbagliato compromesso»

.

Sotto sotto

Chi mantiene lustro il veliero al porto antico?
Chi ha trattenuto stretti stretti i tentacoli alle spalle?
Joaquim, è chiaro ormai, adotta una tattica sfacciata
mica si accontenta della solidarietà
Vive di retorica d’attracco ai contanti da gelato e fritto misto.
Giacomo è tentato dai bastioni di Ponente
vuol deviare dall’acquario per studiare sotto la lanterna.
Sui gruppi di letteratura è arrivato, indigesto
il primo apprezzamento per Spatriati di Desiati.
«Sono entrata in contatto con la strega che è dentro di me
ho riscoperto gli istinti sottili sotterrati da generazioni… un testo sottovalutato»
La ferrovia sotterranea tuttora cattura espedienti salva reietti
pettinini afro venduti da Luciano Pavarotti sulla Walk of fame.
24/08/2022

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Il nonnulla quotidiano

Un cancello si chiude alle spalle del molo
l’Angola è tagliata fuori. Joaquim è fermo al palo
in equilibrio sul castello di libri che ha dietro
saluta di là, il latte prodotto dalle pale eoliche.
Due sorelle che paiono mammelle gemelle,
prima di lasciare l’ombrellone cedono alle intemperie della loquacità.
Come manca un decilitro, l’aggiunta giunge all’istante
con un cavaliere delle gendarmerie.
Di Milo è rimasto il nonnulla quotidiano delle inalazioni acide
qualche groviglio di peli scampato al fardello delle pulizie.
Il frullato di sbagli e rovelli è finito
dritto dritto nel lavello della residenza protetta Santa Lucia.
Giacomo alleggerisce l’alba con la notizia impellente
«Mamma ho il pisello indemoniato!»
Elle est pas belle la vie?
30/08/2022

.

In ammollo

L’imprevisto cambio gomme prima del ritorno, costringe all’ammaraggio
su uno specchio di promesse in ammollo.
Il parcheggio lungo la via Aurelia non si è commosso
Joaquim ammicca alla notizia con i denti ammaestrati.
«317 euro? Ti avrei mollato l’intero immobile di libri dell’estate
gran macchina la Ford, la mamma come sta?»
Ammirare la salita San Giacomo è immorale
su non c’è la redenzione.
Il direttore del Santa Lucia ammette
una imminente mummificazione.
Le foto sul divano a Genova mostrano Milo ammorbidito
al di là dell’ammutinamento di Savona.
Giacomo prepara lo zaino delle dimissioni
solo ora nota la commistione tra i fiori di lavanda artificiale dell’ingresso
e il lascito nel bagno-tana.
11/09/2022

foto Ombrelli

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Da Mario Lunetta (1934-2017), Poesia di Satana, con video di Gianni Godi, a Davide Galipò passando per la Poetry kitchen, poesie di Giorgio Linguaglossa, Esercizio per violino e tamburo, Mitoglifici, Lettura del romanzo di Céline Menghi, Dire Mu (2019), È plausibile ipotizzare una nuova avanguardia oggi dopo la fine del post-moderno?

Giorgio Linguaglossa

Davide Galipò e Charlie Nan sono sulla strada giusta, il loro tentativo è beneaugurante e va salutato con favore… ma il problema della stagnazione della poesia italiana di questi ultimi decenni non può essere risolto facendo riferimento esclusivamente al lavoro del Gruppo 93, quello era un movimento tutto interno alla nicchia del «letterario» e del «poetico» e, inoltre, non possedeva un solido ancoraggio filosofico, non andava al di là del «letterario» e delle forme del letterario, di qui la sua presa insufficiente sullo stesso «poetico» e sul «letterario», i problemi di fondo della poiesis rimanevano esclusi dal loro raggio di pensiero. Il mio invito è andare oltre, procedere in avanti con la riflessione critica, affrontare le questioni che stanno alla base del fare poiesis oggi.

Tempo fa chiedevo :

– Dopo la distruzione delle forme avvenuta nel novecento, siamo arrivati alla distruzione dell’orizzonte di attesa. È stato qualcosa che ha colpito al cuore la poesia del soggetto panopticon, dell’io plenipontenziario. L’io è stato de-fondamentalizzato, il soggetto legiferante è stato de-localizzato e l’ontologia negativa di Heidegger è stata sostituita con una ontologia positiva.

– Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?
– Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?
– Quale è il compito della poiesis dinanzi a questi eventi epocali?

Risposta (indiretta) di Maurizio Ferraris:

«Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».

(Maurizio Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017, p. 113)

Esercizio con violino e tamburo

K. sbatte la porta. Resto là, sulla soglia, per qualche minuto.
Impalato. Poi mi scossi e guardai la porta aperta. [1]

Madame Hanska aprì tutte le finestre, «Sa, le finestre sono nere», disse.
E fece entrare le madamigelle con il grembiulino.

«Buonasera Cogito – esordì Hanska – le cose sono cambiate
negli ultimi tempi». Prese una forbice e un posacenere

e li posò sulla siepe di capelvenere e di acanti.

«Sa, c’è una tigre e un pianoforte… Ecco, metto la forbice
sul pianoforte, adesso Vivaldi può suonare.

Woland ha ordinato ai gatti di suonare, il Requiem, quello, sì.
Solo quello. La musica uccide gli uccelli», aggiunse.

«Lo specchio avrà la sua vendetta», disse Baudrillard,
«Non resta che reinventare il reale», aggiunse tra il serio e il faceto.

Era seduta in mezzo alla camera. La tigre sorrideva.
«Per oggi basta con la musica – disse – dovrebbe esercitarsi più spesso.

Impari a suonare piuttosto. La rappresentazione è finita.»

(2018)

23 novembre 2022 alle 10:37 

È plausibile ipotizzare una nuova avanguardia oggi dopo la fine del post-moderno?

Mettiamo il problema nei giusti termini marxiani e chiediamoci:

Il soggetto scabroso (the ticklish subject) di Zizek è l’altra faccia della medaglia dell’oggetto scabroso (the tickish object)? Sì, o no?

Il rapporto soggetto oggetto è un rapporto dialettico e conflittuale, l’alterità dei due Fattori implica una loro riconoscibilità che è sempre data all’interno di un contesto, ovvero, di una serie di rapporti di produzione e di forze di produzione. È l’equilibrio tra queste forze contrastanti ciò che produce il soggetto e ciò che determina l’oggetto. (L’io che acquista una Fiat Punto è esattamente ciò che la merce Fiat Punto riconosce in me come acquirente. È il Capitale che sovraintende all’intero processo).

Sia il soggetto che l’oggetto sono entrambi scabrosi, osceni, inemendabili, indomandabili. La vera domanda che occorrerebbe porre al soggetto è: Che cosa sono io che compro la Fiat Punto?, o meglio, Che cosa sono diventato io per prediligere l’acquisto della Fiat Punto?

Non diversa è la posizione di un «poeta» che voglia porsi nel mercato pubblico. Il mercato pubblico riconosce in me esattamente ciò che io sono: un venditore di merci. Questo è quanto. Se «io» come «autore di poesia» mi metto sul mercato delle merci poetiche, sarò riconosciuto dal mercato delle merci poetiche esattamente così come io mi sono messo in vendita. Che poi la mia personale predilezione sia verso una nuova avanguardia e verso una nuova retro guardia non fa alcuna differenza. Il nuovo Capitalismo cognitivo queste cose le ha digerite da alcuni decenni, sa che l’io come soggetto, che l’attività del soggetto è quella di sottomettersi alle condizioni poste dal mercato delle idee e dal mercato delle merci, altra via di fuga non c’è, se non nella fantasia.

E allora, chiederà il lettore, quale deve essere la posizione del soggetto nelle attuali condizioni? –

Semplice, rispondo: la posizione del soggetto scabroso sarà quella di tentare di sottrarsi alle condizioni produttive che relegano il soggetto nella soggettità e l’oggetto nella oggettità, cioè porsi Fuori del meccanismo identitario e di riconoscibilità del Capitale all’interno delle quali prospera il processo produttivo e la stessa soggettività.

Davide Galipò
24 novembre 2022 alle 15:44

Caro Giorgio, mi permetto di integrare il tuo discorso con alcune riflessioni. Pasolini scriveva che l’arte è “la merce che non può essere consumata”. A tal proposito, la Neoavanguardia ha riportato, con il Gruppo 63 e l’esperienza del Mulino di Bazzano, l’oggetto-libro e nella fattispecie il libro di poesia alla sua condizione materiale di oggetto, appunto, per decostruirlo attraverso le opere dei poeti neoavanguardisti, che attraverso il collage, la performance e il segno tentavano di fuggire dalla forma-libro. La loro poesia è rimasta comunque merce, così come il loro tentativo di decostruire la narrativa degli anni ’60, ma per lo meno il loro si registra come tentativo in tal senso (leggasi a tal proposito Adriano Spatola, “Verso la poesia totale”, 1978).

Dopodiché ci sono stati gli anni del riflusso, gli anni di Piombo hanno lasciato posto agli anni della Milano da bere, nel 1989 il muro di Berlino crolla e con esso le ideologie, il neoliberismo sembra aver vinto la sua battaglia egemonica sul resto del mondo. Il Gruppo 93 e i suoi seguaci non possono, per forza di cose, contrapporsi con la loro poesia al mercato: poiché solo il mercato esiste, pena la dissoluzione totale o peggio, l’insensatezza del loro agire poetico (rimando all’articolo “Contro il presenzialismo” su Neutopia).

Con la fine del postmodernismo e l’apertura della nostra epoca pre-moderna, che io faccio coincidere con l’11 settembre 2001, anno dell’attentato a Ground Zero, ma a detta di Roberto Bolaño e degli infrarealisti potrebbe risalire benissimo all’11 settembre 1973, anno del golpe americano in Cile e della destituzione di Salvador Allende, con l’instaurazione della dittatura militare di Augusto Pinochet, si potrebbe dire che oggi l’avanguardia abbia assunto una nuova urgenza e una nuova spinta propulsiva.

Ma è un’avanguardia differente dalle avanguardie passate, che parte dalle pratiche e non dai manifesti. Una poesia che voglia essere rivoluzionaria oggi dovrebbe innanzitutto occuparsi di rivoluzionare le forme, poiché ci sono molti modi per scrivere una poesia reazionaria: la prima è nei contenuti, la seconda è nella forma.

Cinque anni fa, con NEUTOPIA e con il gruppo d’azione poetica SALINIKA abbiamo provato a dare alcune risposte in questa direzione, partendo dalle avanguardie storiche (futurismo, dadaismo, costruttivismo russo) per capire quale fosse il senso di una nuova avanguardia nella contemporaneità. Alcuni di noi l’hanno vissuta in chiave più situazionista, altri oggi sono partiti dall’ipertesto e dalla realtà virtuale. per comprendere quale possa essere il terreno sul quale le nostre poesie possano diventare totali, dunque entrare interamente nella realtà per proporre un campo differente da quello del mercato editoriale.

Il Liminalismo, i Mitilanti e la Poetry Kitchen secondo me sono esempi che si stanno muovendo in tal senso. A tal proposito, vi lascio il mockumentary sulla nostra attività poetica, girato a Torino nel 2017. Spero ci sarà presto occasione di approfondire il discorso. Continua a leggere

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L’Elefante ha generato un gran numero di corvi, Il corvo ha iniziato a parlare ma parla con il linguaggio delle fake news, delle ipo-verità, delle iper-verità, delle post-verità, con i linguaggi serendipici e post-edipici, cioè con i linguaggi del Labirinto e del Minotauro, Il kitchen è finto-finto, non c’è nulla di vero, nulla di mimetico, i “compostaggi kitchen” sono il finto-finto al quadrato, Poesie kitchen e commenti di Lucio Mayoor Tosi, Francesco Paolo Intini, Marie Laure Colasson, Giuseppe Gallo, Giorgio Linguaglossa

foto Lucio Mayoor Tosi Washington Il Colosseo

Compostaggio finto x finto di Lucio Mayoor Tosi

.

Lucio Mayoor Tosi
18 novembre 2022 alle 11:54

Dieci caravelle. R. Crowe nei panni di Nettuno
giunto da Marte per fare sci nautico. Lago di Como,
Illinois.

Tazza di camomilla. Nonno sul divano.
Come essere felici in dieci secondi. Crowe
non ammette ritardi.

In questa poesia, pubblicata sull’antologia Poetry chitchen, il vero finto è resto manifesto nei primi versi. In vero finto sono scritte le recenti composizioni di Giorgio Linguaglossa, di Gino Rago, Marie Laure Colasson, oltre che nelle sorprendenti “ragnatele” di Francesco Intini e di altri. Nelle poesie di questi autori emerge anche l’elemento fantastico, non esattamente surreale, al quale va accostato il fuori senso. Sembra proprio che Vero finto, Fantastico e Fuori senso siano categorie esclusive della poetry kitchen.
Mi chiedo però se queste modalità possano bastare a se stesse, o invece debbano servire a qualcosa, cioè se debbano essere indirizzate a concretezza; quindi capire quale attinenza vi sia tra queste e l’Intenzione e la Traccia. Qui chiedo a Giorgio…

Giorgio Linguaglossa
18 novembre 2022 alle 12:03

La poetry kitchen, come un virus, aspetta il corpo vivente del linguaggio per distruggerlo e portarlo allo stato inorganico

«Ora, se c’è una forma di vita che pericolosamente muove sul confine più estremo tra l’organico e l’inorganico, questa è il virus, con la sua capacità anfibia di abitare due stati distinti. Quando non è in contatto con una cellula ospite, il virus rimane completamente inattivo. Durante questo periodo, al suo interno non si dà alcuna attività biologica. Nondimeno, questo ha poco dell’inorganico, e mostra quanto falsante sia l’opzione a tutta prima intuitiva e plastica dell’inorganico come opposto all’organico. Il virus, in effetti, è un organismo obbligato all’attesa, fermo in uno stato semplice, privo di vitalità, in cui è detto “virione”. Insensibile com’è ai tempi lunghi, il virione aspetta l’ospite appropriato, che gli consenta quel minimo, o massimo, di attività vitale mediante cui poter superare la soglia dignitosissima del vivente e sfoderare quella panoplia di arnesi e sotterfugi che lo portano all’auto-replicazione. Capacità, quest’ultima, che gli permette di correggere il viziaccio tipico degli specchi e della copula, che Bioy Casares ritiene abominevoli perché moltiplicano il numero degli esseri umani. Essì: perché l’auto-replicazione dei virus tempera, e non di poco, quella umana.»
(Mariano Croce)
da minimaetmoralia oggi

Giorgio Linguaglossa
18 novembre 2022 alle 14:28

L’Elefante ha generato un gran numero di corvi

L’Elefante è soddisfatto. Ha fracassato le suppellettili, i ninnoli di dubbio gusto, i piatti di porcellana, i bicchieri di cristallo e i lampadari di Murano. Si è accomodato in poltrona. Adesso si gode un Campari con le noccioline e le patatine usufritte; ma tant’è, noi facciamo finta di non vederlo.
Il corvo ha iniziato a parlare ma parla con il linguaggio delle fake news, delle ipo-verità, delle iper-verità, delle post-verità, con i linguaggi serendipici e post-edipici, cioè con i linguaggi del Labirinto e del Minotauro, che poi Teseo ebbe buon gioco a dismetterli e ricacciarli nell’inconscio. I corvi dunque hanno iniziato a parlare: amano la parallasse, l’ekfrasis, la perifrasi, la peritropè, il salto, la metonimia, l’ultroneo. Il pensiero micrologico e topologico diagnostica la situazione tellurica e sismicizzata del contemporaneo, indugia su singoli temi, singole problematiche, su poesie kitchen, spunti, dettagli, aspetti secondari, microchips, le nanotecnologie del mondo dell’ipermoderno. Il pensiero micrologico giunge così ad una sorta di orografia delle superfici complesse e dei dispositivi problematici della poiesis di oggi, indaga la de-psicologizzazione del linguaggio, la diafania e la disfania delle parole, l’assordante presenza del rumore, la de-colonizzazione dell’apparato metafisico e il sorgere del nuovo paradigma ortolinguistico. Che cos’è il contemporaneo?, la poiesis kitchen?, il soggetto serendipico?, che cosa è avvenuto dopo il declassamento del soggetto parlante?, dopo che il locutore è diventato mero fonatore?, dopo la disfunzionalità radicale del significante?. È avvenuta la de-colonizzazione dell’apparato metafisico, risponde Linguaglossa; il residuo è ciò che resta, il carico residuale, il taxi del mare, ciò che si sottrae al consumo in quanto defecatio, in quanto residuale è utile per indagare fenomeni quali l’ibridazione, l’entanglement, l’entrelacement, l’aspettativa, la parallasse, il das Ding, lo zapping: appunti, commenti, glosse, incontri, diverbi, ubbie, pensieri interrotti e poi ripresi; il pensiero compie una circumnavigazione intorno all’iceberg della nuova ontologia estetica fino agli esiti ultimi della poetry kitchen.

Francesco Paolo Intini
UN TAVOLO IMBANDITO DI BLU

Che il colombo abbia la penna di Sioux
E la messa in piega alla Crudelia.

Il falco paghi sette ergastoli a centimetro quadro
per aver spennato una cornacchia e torturato tre libellule.

Al tavolo imbandito di primizie siede il logaritmo naturale:
Si sale in fila indiana sul palloncino delle dieci
Ministri primi e cifre pari, virgole e decimali
Tarli sugli scalini, nello spiffero del sasso in partenza da Kabul.
Quante vite ha Saigon?

Ultima cifra incerta:
La logica reclama un ministero:
1-coltivare bossoli nei cassetti.
2-Divinare scrutando missili.

Una ragade solleva obiezioni al protocollo.
Mettetela a tacere con un tratto di frittura.

Il duodeno dei misteri accetta consigli dagli elettori.
Che significa TNT sui sacchi di farina?

Per le velocità c’è un accordo:
a tempi di svuotamento cortissimi

saranno assegnati compiti durissimi.
Tra sfere ed elissoidi è guerra di gratta e vinci
Chi schiaccia la spoletta sui testicoli?

Cadono pecore per intenderci
fredde al punto giusto.
Cosciotti ustionati dall’elio liquido
e niente fiocchi per quest’anno,
soltanto azoto per emorroidi
e diversivi al cortisone nelle trincee.

La neve intavola una protesta contro Pasqua.
L’uso di bombe al fosforo è prassi per i pulcini di via Pal

ma tra i pastorelli si lotta all’arma bianca.
Se il velociraptor siede ad un tavolo di pace
Il drago di Komodo reclama la sua testa.

E intanto il big bang sputa nero
A causa di un polipo nel retto. Continua a leggere

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L’importante è essere quanto più possibile sopra le righe. Creatività sovreccitata, priva di contenuti… perché non ci si crede più, e i contenuti non ‘rendono’ nell’immediato (settore di mercato medio basso), come invece fa la brutta pittura, la quale perché sia convincente ha da essere ovunque e ovunque ripetuta. A patto che sia finta, chiaramente finta, totalmente finta, Poesia kitchen di Mimmo Pugliese, Raffaele Ciccarone, Poesia di Davide Galipò, Commenti di Lucio Mayoor Tosi, Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Collages di Marie Laure Colasson, collage, Complotto sul tetto del 1992

foto Complotto sul tetto collage

Foto Complotto sul tetto 3
foto Complotto sul tetto 4
Marie Laure Colasson, Collage, Complotto sul tetto, 90×18 cm. 1992

Il collage è per eccellenza un artifex del Moderno, è un vero-finto, in esso non si sa ciò che c’è di vero e ciò che c’è di finto, dove finisce il vero e dove inizia il finto; il collage nella fotografia è analogo al compostaggio in poesia, entrambe tecniche dell’artificio, prodotto seriale, serializzazione fatta in anonimato e in aenigmata; qui delle donne, presumibilmente arabe, anonime, colte di spalle, tengono un surreale colloquio in cima ad un tetto, forse stanno organizzando un complotto, forse no, stanno semplicemente conversando, ognuna con la propria solitudine, ognuna mediante discorsi criptati, messaggi in bottiglia… (g.l.)

Lucio Mayoor Tosi

Sembra che alle fiere d’arte che si svolgono ogni anno in moltissime città del mondo, i galleristi abbiano deciso che il pubblico apprezza il vero-finto; cioè, l’opera d’arte, affinché sembri tale, ha da essere totalmente finta. Da qui, dalla presa d’atto che il Reale si sottrae alla narrazione e che non sia raggiungibile dal senso, da questa rinuncia nascono immagini neo-pop il cui unico intento è quello di mantenersi sopra le righe: colori sfacciati, provocazioni fine a se stesse… scopiazzature in stile Bansky – totalmente dimentichi di Warhol o Rauschenberg – quindi un pop di finta denuncia, di ribellismo infantile, per dare un tocco di attualità all’interior design. L’importante è essere quanto più possibile sopra le righe. Creatività sovreccitata, priva di contenuti… perché non ci si crede più, e i contenuti non ‘rendono’ nell’immediato (settore di mercato medio basso), come invece fa la brutta pittura, la quale perché sia convincente ha da essere ovunque e ovunque ripetuta. A patto che sia finta, chiaramente finta, totalmente finta.

Questo dilemma, il vero/finto, è presente anche nella poesia kitchen. Alcuni praticano il tutto finto, il vero finto invece della illusione di avvicinarsi al Reale, ma ci si aspetta che il Reale possa far sentire la propria presenza tramite il totalmente inventato, il parossismo, lo sketch. Ci riusciamo? Io qualche dubbio ce l’ho. Il tentativo di abbassarsi, togliersi dal concettuale, deriva dalla rinuncia a operare entro canoni estetici e ontologici considerati obsoleti, ma ci riusciamo solo procedendo, nel deserto, con frasi gratuite e affermazioni sfumate e velleitarie, attraversando il totalmente finto. Penso che il “qui e ora” abbia poco a che fare con i messaggi in bottiglia. Purché sia qui e ora, senza l’inganno di un’altrove.

Raffaele Ciccarone

Ritagli minimi 1

Il merlo canta la Traviata alla Fenice di Venezia
Violetta incantata offre Dom Perignon ai presenti

Dopo un lungo viaggio il merlo accusa mal di gola
il tampone è positivo, il medico lo mette in gabbia per tre giorni

Robert Frost al ristorante Arlecchino mangia
bucatini all’amatriciana, un merlo recita “L’infinito” di Leopardi

dei poeti elegiaci in smoking vanno sul tapis rouge
a ritirare il premio di poesia, un merlo canta “Libiamo nei lieti calici”

tra il becchime il merlo preferisce quello biologico
shampoo d’orzo e farro perlato tra addizioni e sottrazioni di vitamine

Set 136

Si trattava di richiamare la rucola, visto che il limone si spremeva
per trattenere i pezzi di parmigiano sul carpaccio di bresaola.

La balena ingoia un rospo, lo rigetta sulla spiaggia, lo chef serendipico
prepara filetto di pesce con la coda dorata alla griglia in Piazza Castello

La bombola del gas non trova un forno a microonde a Venezia
mentre un coccodrillo litiga con un boa in gondola, nel giardino da nominare.

Il pregiato vino rosé blankpink fa due passi all’Expo Kitchen di Parigi
un bavarese offre birra parallattica bionda in assaggio.

Il fegato di merluzzo si spina per un posto al sole, il Vesuvio
gli offre crema abbronzata per rigassificare i canali di scolo.

Oltrepassati i portici una squadriglia di bombardieri lancia confetti serendipici
al cioccolato, dei merli li rubano al volo, le cannoniere fanno fuoco d’artificio

L'Elefante sta bene in salotto Cover DEF
L’Elefante sta bene in salotto. E questo è l’incipit del libro saggistico sulla Poetry kitchen (Progetto Cultura, 2022 pp. 221 € 18)

L’Elefante sta bene in salotto. Intanto, con la sua proboscide fracassa il vasellame, le suppellettili e i ninnoli; ci dice che siamo già oltre i confini del Moderno, che siamo in pieno Dopo il Moderno, nell’epoca del modernariato e del vintage come repertorio permanente di stili defunti che possono essere ripescati e riciclati; il SuperModerno ci dice che non c’è alcun elefante, che tutto è a posto, che i nostri dubbi sono in realtà miraggi, prodotto di scetticismo e di cinismo; che abitiamo il migliore dei mondi possibili e ci invita a costruire con uno stile patico le nostre abitazioni di cartapesta e i lungometraggi con i quali allietiamo le nostre solitudini sociali. Il Signor Capitale ci ammannisce la sordità e la cecità ad obsolescenza programmata, ci dice che l’ultroneo va bene per situazioni ultronee e va bannato, che il reale è razionale e che ci troviamo nel migliore dei mondi possibili e immaginabili. Viviamo come se si fosse a bordo di un sommergibile, respiriamo quanto basta, amiamo senza le isoglosse del desiderio e della passione, in realtà siamo tutti diventati apatici e atopici, cittadini di un mondo glocale e insociale. (g.l.)

Mimmo Pugliese

Uova di girasole

Dalle porte protese sul resto del mondo
una foglia sbanda sul ghiaccio

Ai cerchi concentrici lasciati alle spalle
si aggrappano tutte le membra del falco

Il respiro spigoloso trema sui vetri
motori sordi farciscono medaglie e cicatrici

Nel cerchio rosso più alto si erano radunati gli ottoni
le diatribe avevano ancora tutte le carte in mano

I sogni dei cavalli pendono dalla caffettiera
le asole sono le bocche della luna

Sulle sedie restano briciole di mercurio
ai posti di blocco derubano le zattere

Uova di girasole risolvono quiz d’intelligenza
quadrilateri sudati transitano nel cielo di Marte

Equilibri incerti si appoggiano alle pareti
alambicchi scontrosi si ribellano alle ulne

Cristalli di sale si spogliano nelle camere oscure
le nuove isole avranno dita verdi

Nelle tasche hai chilometri di cicale
in penombra vene varicose e persiane giocano a dadi

Nell’indifferenza generale

Nell’indifferenza generale il cammello scala l’Everest.
Le pentole hanno sapore di fieno bagnato
al mediatore internazionale è saltata la dentiera
e il mezzobusto sbriciola il gobbo.

Poco importa l’altezza al velociraptor
non suona mai al citofono
cura l’emicrania con il kung-fu
mentre gomme americane al gusto di vodka partoriscono amebe.

Fotoni girovaghi scolpiscono il marmo,
mettono il giorno sottochiave
nelle stanze dei carriarmati,
provvedono a dissetare l’acqua.

Il risveglio è sulle fronde delle scale,
pioppi disseminati di strade
maestri in pantofole dietro la lavagna
e la febbre che scappa dal termometro.

Greggi preparano testamento,
vanno a nozze gli ideogrammi,
allodole sulla collina sbirciano le ciminiere,
mettete al riparo i funghi.

Le barche hanno la pancia piena
non si fermano più al pit-stop,
adesso assaggiano la sabbia
è molto facile che gli dei rìdano.

Non sai mai

Non sai mai
se puoi raccogliere
stelle in una pozzanghera
comprendere il raspo d’uva
che svuota il Trasimeno
sentire il fragore di dei
che si nascondono in un menisco
e le scale musicali diroccate
uguali a tagliole
a campi minati di mirto
dissolti in un lenzuolo
con ai capi artigli
e bavero di gallio
in stagioni sfogliate al contrario
diademi di cubi cuciti sugli obici
dentro un pugno senza uscita di sicurezza
aspettando il prossimo volo
da un lato all’altro della testa
per scoprire gli angoli
di soli in esubero

foto Complotto sul tetto 2

Marie Laure Colasson, Collage, Complotto sul tetto, 1992

.

Gli adulti assennati che sono stati educati alla poesia del Pascoli di Myricae (1891- 1903) avevano della poesia una rappresentazione illibata e intonsa, posizione che il Croce ha poi eternizzato nella la famosa forbice dicotomica: o è poesia o non lo è, risolvendo a suo modo, in modo semplicistico e al modo del liberalismo italiano post-ottocentesco una questione che avrebbe dovuto comportare una ben altra problematizzazione; quegli adulti poi sarebbero andati come ufficiali cadetti e soldati a invadere la Libia nel 1911 e a compiere massacri senza falsa coscienza e senza colpo feìrire… ammesso e concesso che le poesie del Pascoli avessero la funzione sanatoria di silenziare rimorsi (semmai ve ne fossero stati), le rimozioni e i dubbi sui massacri che essi stavano compiendo.
Oggi ai poeti post-pascoliani e post-minimalisti non viene certo in mente la situazione del mondo (di allora e di ora), quella cosa lì non li riguarda, infatti continuano a produrre poesie dozzinali ed epigonali che vengono incensate sul “Sole 24 Ore”; in confronto ad esse, le poesie di Mimmo Pugliese sono solo binocoli che osservano da molto lontano il mondo ridotto a fumo e cenere che il minimo alito di vento le farebbe volare via se non ci fosse il ferro di cavallo lontanissimo e quasi in disparizione della colonna sonora della poesia del Pascoli ma così scolorita da renderla irriconoscibile, e infatti irriconoscibile lo è la poesia di Pugliese, proprio come tutta la poesia della natura de-naturata e della natura de-formata della migliore e consapevole poesia di oggidì che fa capo alla poetry kitchen..

Quanto appare nel discorso poetico di Mimmo Pugliese come evidenza è questo aver superato le resistenze che il soggetto (je) pone all’oggetto, il linguaggio poetico; lavorando ad assottigliare le difese del soggetto Pugliese ha incentivato la possibilità di recepire il discorso poetico come discorso dell’Altro, discorso di un Estraneo che è entrato nella tradizione e la rilegge a suo modo e con i suoi occhiali. È questo che caratterizza la libertà del discorso poetico di Pugliese, il suo non prestare più il fianco alla vulnerabilità del soggetto, l’aver reso il soggetto (je) un Altro che rilegge la poesia della tradizione.

L’io (moi),  l’ego dell’immagine speculare, cioè quello del discorso poetico si oppone al soggetto (je) della parola degli altri, quello della tradizione; per dirla con Jacques-Alain Miller, «l’ombelico dell’insegnamento di Lacan».1 «L’io è», afferma Lacan, «letteralmente un oggetto – un oggetto che adempie una certa funzione che chiamiamo funzione immaginaria».2

Come sappiamo l’io costituisce un ostacolo al discorso del soggetto, che è il luogo in cui si esprime il desiderio. Lacan non cessa di sottolinearlo: esso è un’interruzione, un oggetto inerte che si oppone alla tenace insistenza del flusso di parola inconscio che disturba, mistifica, inquina il discorso. Nella misura in cui il soggetto trae godimento, l’asse immaginario è pensato da Lacan come un ostacolo che perturba l’elaborazione simbolica, di cui l’io non ne vuole sapere. Il linguaggio poetico avviene sempre e soltanto allorquando si verifica una smagliatura nell’ordine del Simbolico, smagliatura attraverso la quale può fluire il linguaggio poetico.

Contrariamente a ciò che comunemente si crede, il discorso locutorio della poesia di Mimmo Pugliese è sempre la voce dell’estraneo che entra nel discorso poetico della tradizione e la stravolge. La tradizione è ciò che si oppone al soggetto (je), che fa resistenza… fino al punto di cedimento in cui accade una rottura delle resistenze del soggetto (je). Solo da questo momentum il discorso poetico può fluire in quanto ha finalmente superato la resistenza alla riscrittura che le oppone la tradizione.

1 J. A. Miller, Linee di lettura, postfazione a J. Lacan, I complessi familiari, cit. p. 86
2 J. Lacan, Seminario II, cit. p. 56

Davide Galipò

Lo spettatore è introdotto
in una sala cinematografica
senza sedie, ai cui lati
vengono disposti degli altoparlanti.

Da questi si diffonde
una serie di discorsi alle nazioni europee
dei grandi dittatori del passato:
Mussolini, Franco, Hitler, Pinochet.

Avvicinandosi agli altoparlanti
possono essere compresi
nella loro interezza.

Sul fondo della sala, su uno schermo
viene proiettato un film muto
consistente in due labbra femminili.

Il filmato presenta poi dei frame
provenienti dai CIE libici:
radiografie di fratture, contusioni, traumi
che – spesso – vengono inviate
alle famiglie per chiedere un riscatto.

Le fotografie durano pochi secondi
e non vengono percepite dallo spettatore
se non a livello subliminale.

Man mano che il filmato va avanti
il volume dei discorsi alle nazioni aumenta
fino a sovrapporsi l’un l’altro.

Un suono acuto interrompe il brusio.
Sullo schermo un veloce montaggio
delle fotografie dei prigionieri libici.

Due altoparlanti all’uscita diffondono
il plagio di massa necessario
ad abbassare presso un’intera comunità
il livello di coscienza e accettare
passivamente tale prevaricazione.

Il testo è riportato integralmente
sullo schermo e scorre
a caratteri bianchi su sfondo nero
come i titoli di coda di un film.

https://davideidee.wordpress.com/2022/10/19/discorsi-alla-nazione/

Sono nato a Torino nel 1991 e cresciuto in Sicilia. Nel 2015 mi sono laureato all’Università di Bologna, con una tesi sulla poesia dadaista nella Neoavanguardia italiana. Nel 2016 ho partecipato al Premio Alberto Dubito di poesia e musica con il progetto spoken word music LeParole, arrivando tra i quattro finalisti. Nel 2020 sono arrivato in finale al Premio InediTO con il progetto spoken word music Spellbinder, menzionato dalla giuria tra i migliori testi di canzoni. Nel 2022 ho iniziato il mio progetto cantautorale, Galipœ. Sono autore delle raccolte di poesia visiva VIC0LO (2015) e di poesia lineare Istruzioni alla rivolta (2020) e degli EP Volontà di vivere (2016), Madrigale (2020) e La Terra La Guerra E Noi (2022). Dirigo il magazine «Neutopia – Rivista del Possibile» e organizzo il festival Poetrification, nel quartiere torinese Barriera di Milano. Sono referente del Premio Roberto Sanesi di poesia in musica. Vivo e lavoro a Torino come operatore culturale.
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Finalmente un giovane che non scrive poesia epigonale. Una eccellente composizione che sembra senza futuro e senza passato, uscita fuori da una cinepresa d’altri tempi. Dinanzi ad una poesia dobbiamo innanzitutto soffermarci sul lessico (Mussolini, Franco, Hitler, Pinochet, sala cinematografica, altoparlanti, schermo, sala, filmato, caratteri bianchi su sfondo nero, film, titoli di coda etc.); in secondo luogo, sullo stato di cose, ovvero, sullo stato del luogo (un cinema); in terzo luogo, l’azione che vi si svolge; in quarto luogo, lo stile, in questo caso dichiarativo, ovvero, nominale, cioè che semplicemente espone le cose e lo «stato delle cose»; in quinto luogo, le immagini. Tutte queste cose insieme formano una rappresentazione, ovvero, una composizione di nomi di cose messi in modo tale da dare al lettore una sensazione prima ancora che una impressione. La sensazione contagia e determina l’impressione. Nel caso della composizione di Davide Galipò abbiamo una rappresentazione neutrale e neutrofilica, come se le cose venissero viste dal di fuori dello «stato di cose» e dello «stato dei luoghi», proprio come avviene al lettore il quale vede le cose dal di fuori attraverso una rappresentazione ortogonale tutta di superficie, in piena visibilità.
È chiaro a questo punto che qui siamo fuori della ontologia negativa del novecento che perorava che l’essere è ciò che non si dice, qui siamo entrati nell’ontologia positiva per cui l’essere è ciò che si dice.

(Giorgio Linguaglossa)

Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Raffaele Ciccarone, sono del 1950, ex bancario in pensione, risiedo a Milano, dipingo e scrivo. Le mie poesie sono inedite per lo più. Per un periodo ho pubblicato su una piattaforma online con uno pseudonimo, circa un centinaio di poesie, e qualche prosa. Ho partecipato a gruppi di poesia a Milano. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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In un momento che vede l’Italia in procinto di pericolo per la sicurezza nazionale e per la collocazione internazionale del Paese, Una Domanda di Roberto Bertoldo a Giorgio Linguaglossa a proposito dei sedici autori presenti nella antologia Poetry kitchen pubblicata da Progetto Cultura nel 2022. Perché una poesia kitchen? Poesia kitchen, poesia da frigobar, messa giù con un linguaggio da frigidaire con parole conservate al freddo, ibernate; e anche kitsch poetry, instant poetry, poesia abrasiva, ablativa, colliquativa, manipolata, poesia palinsesto


Caro Giorgio Linguaglossa, avendo letto il tuo saggio L’elefante sta bene in salotto e l’antologia di autori vari Poetry Kitchen, vorrei rivolgerti dei quesiti su alcune problematiche che ti hanno visto fondatore di un movimento che si propone come avanguardia principalmente artistico-poetica.

 Domanda: La forte impronta descrittiva ravvivata da un’operazione tropologica, che comporta anche la metalepsi di cui parli nel saggio in oggetto, insieme alla costruzione a frammento che a volte richiama un’interpretazione allegorica unificatrice a livello semantico, è ciò che in modo più evidente vi differenzia dal minimalismo. Così si va dal descrittivismo più tradizionale di Guido Galdini, arricchito da personificazioni, traslati, ecc., al descrittivismo diffratto di altri autori e a quello principalmente narrativo. Ci sono poi molti riferimenti a personaggi noti e tanti altri aspetti che, come dice Marie Laure Colasson nella prefazione al suo libro di poesie Les choses de la vie, fanno sì che la poetry kitchen sia «un genere ibrido, fluido, mutevole, instabile». In tutto questo l’io non è assente. In che senso non sarebbe un «io plenipotenziario ed ergonomico»?

(Roberto Bertoldo)

Risposta: dal mio libro di critica: Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000-2013), Società Editrice Fiorentina, 2013 Firenze, pp. 150 € 15.

Nella poesia [italiana] degli Anni Dieci è evidente che il linguaggio tende a stare dalla parte della «cosa», più vicina alla «vita», e quest’ultima si scopre irrimediabilmente lontana dal «quotidiano»; sembra come per magia, allontanarsi dalla «vita» per via, direi, di un eccesso di intensità e di velocità. La polivalenza polifunzionale degli stili emulsionati raggiunge qui il suo ultimo esito: una sorta di fantasmagoria dialettica della realtà e della fantasia: una dialettica dell’immobilità dove scorrono le parole come fotogrammi sulla liquida superficie del monitor globale-immaginario caratterizzate dalla impermanenza e dalla instabilità. È la forma-poesia che qui né implode né esplode ma si disintegra come sotto l’urto di forze soverchianti e disgregatrici.

E la forma-poesia assume in sé gli elementi dell’impermanenza e della instabilità stilistiche quali colonne portanti del proprio essere nel mondo. La rivendicazione della «bellezza» rischia così di diventare una parola d’ordine utile agli altoparlanti del cerchio informativo mediatico. Quella che un tempo era la dimensione mitica (in quanto passato più lontano), si è tramutata in preistoria, e la preistoria è diventata più vicina a noi proprio in quanto preistoria di un mondo divenuto post-storia (barbaro e barbarizzato). Così pre-istoria e post-storia si uniscono in idillio. Possiamo dire che nelle nuove condizioni della poesia degli Anni Dieci il nuovo si confonde con l’antico, il patetico con l’apatico, l’incipit con l’explicit ed entrambi risultano indistinguibili in quanto scintillio di una fantasmagoria, alchimia di chimismi elettrici, brillantinismi di un apparato fotovoltaico.

A questo punto, dobbiamo chiederci: la problematica dell’«autenticità» e dell’«identità» che ha attraversato il Novecento europeo, ha avuto una qualche influenza o ricaduta sulla poesia italiana contemporanea? È stata in qualche modo recepita dalla poesia del secondo Novecento? Ha avuto ripercussioni sull’impianto stilistico e sull’impiego delle retorizzazioni? E adesso proviamo a spostare il problema. Era l’impalcatura piccolo-borghese della poesia del secondo Novecento una griglia adatta ad ospitare una problematica «complessa» come quella dell’«autenticità», della «identità», della crisi del «soggetto»? Nella situazione della poesia italiana del secondo Novecento, occupata dal duopolio a) post-sperimentalismo, b) poesia degli oggetti, c’era spazio sufficiente per la ricezione di una tale problematica? C’erano i presupposti stilistici? Malauguratamente, sia il post-sperimentalismo che la poesia degli oggetti non erano in grado di fornire alcun supporto filosofico, culturale, stilistico alla assunzione delle problematiche dell’«autenticità» in poesia. Di fatto e nei fatti, quelle problematiche sono rimaste una nobile e affabile petizione di principio nel corpo della tradizione poetica del tardo Novecento.

Personalmente, nutro il sospetto che il ritardo storico accumulato dalla poesia italiana del Novecento nell’apprestamento di una area post-modernistica e/o post-contemporanea, si sia rivelato un fattore molto negativo che ha influito negativamente sullo sviluppo della poesia italiana ritardando, nei fatti, la visibilità di un’area poetica che poneva al centro dei propri interessi la problematica dell’«autenticità» e dell’«identità». Relegata ai margini, l’area modernistica è uscita fuori del quadro di riferimento della poesia maggioritaria. Poeti che hanno fatto dell’«autenticità» e dell’«identità» il nucleo centrale della loro ricerca appartengono alla generazione invisibile del Novecento, i defenestrati dall’arco costituzionale della poesia italiana. È tutta la corrente sotterranea del modernismo e del post-modernismo che risulta espunta dalla poesia italiana del secondo Novecento, la parte culturalmente più vitale e originale.

Si spalanca in questo modo la strada all’egemonia della poesia piccolo-borghese del minimalismo romano e dell’esistenzialismo milanese degli anni Ottanta e Novanta, che giunge fino ai giorni nostri, e così si pacifica la storia della poesia italiana del secondo Novecento vista come una pianura o una radura di autori peraltro sprovveduti dinanzi alle problematiche che stavano al di là del loro angusto campo visivo e orizzonte di attesa.

Si stabilisce una affiliazione stilistica, un certo impiego degli «interni» e degli «esterni» urbani e suburbani, certe riprese «dal basso», certe inquadrature «di scorcio», una certa «velocità», un certo zoom paesaggistico, un certo modo di accostare le parole e una certa interpunzione dei testi, un certo impiego della procedura «iperrealistica» di avvicinamento all’oggetto; viene insomma stabilita una determinata gerarchia dei criteri di impiego delle retorizzazioni e della iconologia degli «oggetti». L’iconologia diventa un’iconodulia. In una parola, viene posto un sistema di scrittura dei testi poetici e solo quello. In un sistema letterario come quello italiano in cui viene rimossa una intera generazione di poeti ed una stagione letteraria come quella del tardo modernismo, non c’è nemmeno bisogno di imporre ad alta voce un certo omologismo stilistico e tematico, è sufficiente indicarlo nei fatti, nelle scelte concrete degli autori pubblicati nelle collane a maggiore diffusione nazionale.

Come la filosofia non progredisce (se accettiamo per progresso l’accumulo di risultati che si susseguono), anche la poesia non progredisce né regredisce (non soggiace alla logica economica del progresso né conosce crisi di recessione), semmai conosce tempi di stasi e di latenza. In tempi di stagnazione linguistica c’è di che domandarsi: A che pro? E per chi? E perché scrivere poesie?

Fortunatamente, la crisi spinge ad interrogare il pensiero, a rispondere alle domande fondamentali. Come ogni crisi economica spinge a rivedere le regole del mercato, analogamente, ogni crisi stilistica spinge a ripensare la legittimità dei fondamentali: Perché lo stile? Quando si esaurisce uno stile? Quando sorge un nuovo stile? Uno stile sorge dal nulla o c’è dietro di esso uno stile rivalutato ed uno rimosso? Che cos’è che determina l’egemonia di uno stile? Non è vero che dietro una questione, apparentemente asettica, come lo stile, si nasconda sempre una sottostante questione di egemonia politico-estetica? Non è vero che, come nelle scatole cinesi, uno stile nasconde (e rimuove) sempre un altro stile? Non è vero che l’egemonia piccolo-borghese della poesia italiana del secondo Novecento ha contribuito a derubricare in secondo piano l’emersione di un «nuovo stile» e di una diversa visione della poesia? Non sta qui una grave incongruenza, un nodo irrisolto della poesia italiana? C’è oggi in Italia un problema di stagnazione stilistica? I nodi irrisolti sono venuti al pettine? C’è oggi in Italia un problema tipo collo di bottiglia? Una sorta di «filtro profilattico» nei confronti di ogni «diverso» stile e di ogni «diversa» visione? Io direi che la stagnazione stilistica è oggi ben visibile in Italia e si manifesta con la spia della disaffezione dei lettori verso la poesia del minimalismo e del micrologismo. Ed i lettori fuggono, preferiscono passeggiare o guardare la TV.

Uno stile nasce nel momento in cui sorge una nuova autenticità da esprimere: è l’autenticità che spezza il tegumento delle incrostazioni stilistiche pregresse. Non c’è stile senza una nuova poetica. Uno «stile derivato» è uno stile che sopravvive parassitariamente e aproblematicamente sulle spalle di una tradizione stilistica. Gran parte della poesia contemporanea eredita e adotta uno «stile derivato», un mistilinguismo (alla Jolanda Insana) composito, aproblematico e apocritico che può perimetrare, come una muraglia cinese, qualsiasi discorso, qualsiasi chatpoetry. Che cos’è la chatpoetry? È lo stile, attiguo a quello dei pettegolezzi delle rubriche di informazione e intrattenimento dei rotocalchi, del genere dei colloqui da salotto piccolo borghese televisivo intessuto di istrionismi, quotidianismi e cabaret. Vogliamo dirlo con franchezza? Quanti libri di poesia adottano, senza arrossire, il modello televisivo del reality-show? Quanti autori adottano un modello di mistilinguismo, di idioletto di marca pseudo sperimentale acritico e gratuito? Quanta poesia contemporanea agisce in base al concetto di realpolitik del modello poetico maggioritario? Quanta poesia reagisce adattando il modello idiolettico (che oscilla tra chatpolitic e realityshow) di diffusione della cultura massmediatizzata? Vogliamo dirlo? Quanta poesia in dialetto è scritta in un idioletto incomprensibile e arbitrario? E dove lo mettiamo il mito della lingua dell’immediatezza? Il mito della lingua dell’infanzia? Come se la lingua dell’infanzia avesse un diritto divino di primogenitura quale lingua «matria» particolarmente adatta alla custodia dell’autenticità!

Oggi dovremmo chiederci: quanta poesia neodialettale del tardo Novecento fuoriesce dalla forbice costituita dalla retorica oleografica e dal folklore applicato al dialetto? Quali sono (in pieno post-moderno) le basi filosofiche che giustificano l’applicazione dello sperimentalismo al dialetto? Che senso ha, dopo la fine della cultura dello sperimentalismo, applicare la procedura sperimentale al dialetto come hanno fatto Franco Loi e Cesare Ruffato? Ha ancora un senso il mistilinguismo di Jolanda Insana? Ha senso adoperare la categoria della «Bellezza» avulsa da ogni contesto? E l’«autenticità»? Ha ancora senso parlare di «Bellezza» in mezzo alla «chiacchiera» del mondo del «si»? Si può ancora parlare della «Bellezza» in mezzo alla estraniazione del mondo delle merci e dei rapporti umani espropriati dell’ipermoderno?

Dalla «Nascita delle Grazie» fino al «mitomodernismo» c’è una incapacità di fondo a costruire una piattaforma critica. La poesia mitomodernista segue, e non potrebbe non farlo, il piano inclinato delle poetiche epigoniche del tardo Novecento, decorativa e funzionale agli equilibri della stabilizzazione stilistica. Il «recupero di concetti come Anima, Visione, Ispirazione, Destino, Avventura»; «La proposta della Bellezza come valore universale» (dizioni di Roberto Mussapi), sono concetti tardo novecenteschi, maneggiati in modo ingenuo-acritico, inscritti nel codice genetico del modello letterario mitopoietico.

Ma chi non è d’accordo sullo scrivere una poesia «bella»? È un proposito senz’altro condivisibile, ma non basta una semplice aspirazione per scrivere una poesia «bella». L’assenza peraltro di una struttura critica, di un pensiero filosofico in grado di affiancare quella proposta di poetica, ha finito per pesare negativamente sullo sviluppo del mitomodernismo come poetica propulsiva. Perorare, come fa Mussapi, che «come esiste l’Homo Religiosus esistano anche l’Homo Tradens e l’Homo Poeticus», è, come dire, un atto di inconfessabile ingenuità filosofica.

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Gino Rago, Strutture serendipiche, Mauro Pierno, Poesie da Antologia Poetry kitchen, Francesco Paolo Intini due poesie kitchen, Dialogo tra Giorgio Linguaglossa e Jacopo Ricciardi sulla poetry kitchen, La poesia maggioritaria di questi ultimi decenni adotta pezzi di modernariato in un arredamento linguistico che è diventato totalmente postmoderno, l’effetto complessivo è una riedizione in chiave conservatrice di oggetti linguistici del modernariato, fanno una liturgia del modernariato

Mauro Pierno
da antologia Poetry kitchen (Progetto Cultura 2022)
1
Il basilico dei vicini la sera si finge morto
di fronte alle nostre serie TV
Una Olivetti 32 vuole riscrivere la storia
dice di averla tutta nei tasti
Einstein pipa in bocca violino sotto il mento
suona la relatività in quattro dimensioni
I cavalieri stanno aspettando
che la partenza sia per sempre rimandata
Per rifiorire sull’altro versante.
Prima o poi. Domani. O forse…
2
Ora i proletari erano tutti agenti di commercio
Odorava di miele la catena di montaggio
La pagina quindici oscillò di sette secoli
Il fantasma entrò dalla porta blindata
Il secondo altissimo e magrissimo
indossava occhiali di tartaruga rossicci e mocassini neri in vernice
la carrozza di mezzogiorno, lungo il viale dello Steccato,
accompagna il cambio della guardia nella torre d’avvistamento.
3
Le mani rumorosamente sfregarono il gel disinfettante.
Lo sciacquone derubricato mondò i peccati.
Seduto sul divano uno spartito
sparpaglia tutt’intorno carte napoletane
l’utente è impegnato in un’altra conversazione
Daniil Charms sente nell’aria come un sibilo,
a distanza di chilometri non dà peso al fatto.
Pensa:
“Sarà stato il miagolio di un gatto
O uno starnuto dal Cremlino”.
Intorno sta un paesaggio deforme.
4
Due uomini non si capiscono ma conversano –
Molti altri umani si uniscono a loro.
“Avevi promesso di scrivere.”
“Ho preso appunti. Ma li ho mangiati.”
Un faro illumina un peschereccio che ondeggia.
Qualcuno paga con il bancomat.
Le dico, dattero. Non ho altre parole.
Toh, sei cavalli.
“Guerre, guerre e ancora guerre…basta, non studio più.”
Sofia lancia il libro dalla parte opposta della cameretta.
5
Alice non trova l’uscita dal Paese delle meraviglie,
Arianna gli offre la soluzione in cambio del cappello a fiori
Una squadriglia d’uccelli in alto nel cielo
nelle vesti di poliziotti sospettosi armati di binocoli ispezionano le migrazioni
i cieli inferociti sul mare
non si rassegnano a diventare uno sfondo
Strisciando sul guscio, sbriciolandone il calco.
Oltre i muri il pigolio, l’allucciolio, il bio
Monoliti contro un cielo blu-nero. Ghetti verticali.
6
Non c’era tempo per la chimica.
Il verso generava spettri di risonanza magnetica.
Gli schiamazzi della Performance si sentirono
Fino al terzo secolo avanti Cristo.
In un bastone da passeggio con il manico di avorio,
in un ombrello tricolore, in un fazzoletto profumato.
Molly è tornata ad innaffiare i gerani questa mattina: il professore dice
che Urano è nella costellazione del Leone e che l’oltre non avrà dominio.

Gino Rago
Strutture serendipiche

John Cage suona il flauto del filosofo Empedocle mentre sulla ventunesima stella piove a dirotto.
Il vespasiano in via dei Dauni aspetta la fine dei fuochi artificiali.
Un romanzo di Moravia + una poesia di Sandro Penna – un bicchierino di Rum x “Il nome della rosa” romanzo di Umberto Eco.
4 + 4 = Corsivo – Normal = Discorso etero diretto.
Era una sera buia e tempestosa. La poiesis ha finalmente fatto ingresso in cucina.
Evitare l’invidia degli specchi quando le lampadine sono fulminate.

Francesco Paolo Intini (da Facebook del 29 settembre 2022)

Spyke di fine settembre

Accadde all’inizio che un gatto sognò Tex Willer
E mangiò un topo.
Il nulla sopravvisse nelle scatolette di tonno.
Gnam!
La parola passò di bocca in bocca ed infine diventò poltrona e sofà:
-Che c’è di buono in France?
Il parrucchiere di Gay-Lussac trasmette la notizia al dentista di Biden:
-Qui i secoli non hanno vita facile, spesso perdono la testa e si avvitano allo zero assoluto.
Ma poi rinascono smaglianti nella bocca di un novantenne.
Il potere si conserva in bottiglie di pelati.
Dal sorriso riconosci il botox.
Putin nei lifting massivi
Labbra e denti della Pennsylvania.
Ma se vuoi un Andreotti saporito
Devi cucinarti un rospo all’amatriciana.
-Io non sono Antigone -ripete un ragno sul muro
Ho lunghe bollette nel cassetto. Un mutuo per ogni angolo del soffitto
E stasera si mangia un sushi di vespa orientalis.
La giuria lanciò i suoi dadi
lati che facevano linguacce
versi che mostravano le fiche
L’endecasillabo stravinse dappertutto
Mentre la rima divenne primo ministro.

Questa poesia è la prova comprovata che il kitchen sorge insieme all’ insorgere di un colpo apoplettico che colpisce il linguaggio riducendolo a zattere in-significanti e inoperose (g.l.)

Giorgio Linguaglossa

Roberto Mussapi, Biancamaria Frabotta, Antonella Anedda, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Antonio Riccardi e altri epigoni minori adottano pezzi di modernariato in un arredamento linguistico che è diventato totalmente postmoderno, l’effetto complessivo è una riedizione in chiave conservatrice di oggetti linguistici del modernariato, fanno una liturgia del modernariato. Da questo punto di vista il minimalismo di un Magrelli è linguisticamente più avanzato, almeno lui si libera di quegli oggetti liturgici gettando dalla finestra i pezzi di un modernariato ormai implausibili e impresentabili.

Il fatto è che oggi parlare di «autenticità», di centricità dell’io, di «identità», di «soggetto», di «riconoscibilità», di «originarietà» della scrittura poetica implica un rivolgimento: porre al centro dell’attenzione critica la questione di un’altra «rappresentazione», di un «nuovo paradigma», di una «nuova forma-poesia». Il discorso poetico della poetry kitchen passa necessariamente attraverso la cruna dell’ago della lateralizzazione e del de-centramento dell’io, della presa di distanza dal parametro maggioritario del tardo Novecento incentrato sulla metastasi dell’io egolalico ed elegiaco e su una «forma-poesia riconoscibile». Il capitalismo cognitivo in crisi di identità e di accumulazione genera ovunque normologia e riconoscibilità, quello che occorre è l’«irriconoscibilità», una poiesis che abbia una forma-poesia irriconoscibile, infungibile, intrattabile, refrattaria a qualsiasi utilizzazione normologica. Continua a leggere

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Domande di Roberto Bertoldo a Giorgio Linguaglossa a proposito dei sedici autori presenti nella antologia Poetry kitchen pubblicata da Progetto Cultura nel 2022, L’elefante sta bene in salotto ma nessuno lo vede, o meglio, tutti fanno finta che non c’è nessun elefante… tutti pensano di essere originali quando invece sono semplicemente maggioritari, si vive nel maggioritario, si cerca il securitario, si riconosce il compromissorio, siamo tutti diventati sostanzialmente ibridi e ibridatizzati

giraffa antropomorfaIbrido kitsch: giraffa antropomorfa femminile

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Caro Giorgio Linguaglossa, avendo letto il tuo saggio L’elefante sta bene in salotto e l’antologia di autori vari Poetry Kitchen, vorrei rivolgerti dei quesiti su alcune problematiche che ti hanno visto fondatore di un movimento che si propone come avanguardia principalmente artistico-poetica.

(Roberto Bertoldo)

Domanda: Prima di iniziare volevo chiederti l’eventuale conferma che la seguente affermazione tratta dal tuo saggio sintetizzi pienamente la tua e vostra posizione circa la “modalità kitchen”: «La riduzione del reale da trauma a spettro e dell’immaginario da riflesso narcisistico e scenario fantasmatico a categoria ontologica è uno dei punti decisivi e più importanti della modalità kitchen e del suo modo di operare» (p. 45).

Risposta: Confermo. Tengo a precisare che la poetry kitchen non è un movimento di «avanguardia» o di «retroguardia», entrambe categorie del lontano novecento che sono un po’ come i cibi scaduti, puzzano di stantio. Viviamo in un mondo in cui ciascuno si comporta come se non ci fosse alcun Elefante nel salotto, tutti agiscono e pensano a secondo di quello che conviene all’inconscio cognitivo di ciascuno, e così tutti pensano di essere originali quando invece sono semplicemente maggioritari, si vive nel maggioritario, si cerca il securitario, si riconosce il compromissorio. Siamo tutti diventati sostanzialmente ibridi e ibridatizzati.

Domanda: Uno dei principi espressi nel vario e complesso saggio L’elefante sta bene in salotto è che la metafisica è finita. Ora io sono contrario a questa asserzione, non credo che sia finita ma che si sia scoperto il suo inganno e che questa scoperta sia a sua volta un inganno, che è un inganno e così via all’infinito. La metafisica è a mio avviso evitabile solo in modo epifanico, da qui il valore del simbolismo in tutte le sue sfumature capaci di cogliere la “fisicità” ovvero l’immanenza delle cose. La tua tesi è chiara ma potresti esporla alla luce di questa posizione dissenziente? Per esempio mediante la tua critica al carattere epifenomenico della poesia occidentale.

Risposta: Qualcuno mi ha rubato le parole, me le ha sottratte. In questi ultimi anni è avvenuto in me un fenomeno strano: qualcuno mi ha rubato le parole, me le ha sottratte pian piano, un ladro si è infiltrato nella mia mente e mi ha trafugato le parole: QUELLE parole della «critica» con le quali si fabbricano le schede-libro delle note di lettura e dei quarti di copertina. Non sono più capace di adoperare: QUELLE parole per redigere le cosiddette «recensioni» o «note di lettura». Sono così rimasto senza parole. Non sono più capace di redigere quegli scritti augurali e procedurali che ammiro con sempre maggior stupore nelle schedine critiche che leggo in giro. Mi sono accorto che il vuoto ha inghiottito tutte QUELLE parole, e di QUELLE parole non è rimasto più nulla. E ne ho preso semplicemente atto.

Per questo sono stato accusato di essere un cavaliere del vuoto, un nullista, un nichilista, un nullificatore o non so che altro. Mi sono accorto che sono diventato incapace di adoperare QUELLE parole della poesia maggioritaria e posiziocentrica che si scrive oggi, quelle poesie corporali, confessionali, augurali, non so come dire, alla Mariangela Gualtieri, alla Vivien Lamarque e, ultimamente, alla Franco Arminio. Sono ormai diventato allergico a QUELLE parole. Le ho perdute. Le ho scacciate. E Penso che una analoga allergia sia stata avvertita anche dagli autori della antologia kitchen.

Fare poesia kitchen implica fare i conti con il nulla, il vuoto, l’insignificanza. Pensare di fare una poiesis dell’originario è una sciocchezza e una ingenuità filosofica, gli enti sono lontanissime tracce dell’Originario, di cui niente sappiamo e che comunque si è dissolto, si è auto tolto.

Scrive Giorgio Agamben:

«Viviamo in società abitate da un Io ipertrofico, gigantesco (corsivo mio), nel quale però nessuno, preso singolarmente, può riconoscersi. Bisognerebbe tornare all’ultimo Foucault, quando rifletteva sulla “cura di sé”, sulla “pratica di sé”. Oggi è rarissimo incontrare persone che sperimentino quella che Benjamin chiamava la droga che prendiamo in solitudine: l’incontro con sé stessi, con le proprie speranze, i propri ricordi e le proprie dimenticanze. In quei momenti si assiste a una sorta di congedo dall’Io, si accede a una forma di esperienza che è l’esatto contrario del solipsismo. Sì, penso che si potrebbe partire proprio da qui per ripensare un’idea diversa del credere: forme di vita, pratica di sé, intimità. Queste sono le parole chiave di una nuova politica».*

Ci sono in giro una molteplicità di «autori di poesia» impegnati nell’opera di auto storicizzazione della propria poesia, non c’è bisogno di altri posiziocentrici. La nuova poesia o possiede un disegno generale della poesia occidentale o, in mancanza di un Grande Progetto, si finisce per scrivere parole sulla sabbia.

Ancora nel 1966, anno dell’intervista a Montale in una trattoria, il poeta italiano poteva affermare tranquillamente che non ascoltava mai la radio e non possedeva la televisione. Io mi limito ad osservare che la nuova poesia, la «nuova ontologia estetica» non potrebbe essere nata senza la piena immersione nella civiltà mediatica. Oggi, se ci si pensa un attimo, non è possibile in alcun modo rifugiarsi in un angolo oscurato della civiltà mediatica, siamo tutti, volenti o nolenti, in qualche misura intaccati ed influenzati dal mondo mediatico. La fine della metafisica di cui qui si parla non è un optional che si può rifiutare e da cui ci si può difendere con una resistenza, una ostruzione, la metafisica è l’essere che si dispiega e che è giunta alla sua fine annunciata. In altre parole, la fine dell’essere è già stata segnata dall’insorgere della civiltà mediatica. Non volerne prendere atto, è, appunto, un atto di cecità oltre che di ingenuità.
La nuova ontologia del poetico e la poetry kitchen è il presente e il futuro della poesia perché implica l’accettazione di dover misurarsi con il mondo mediatico. La maieutica mediatica è un’ottima scuola. Ho avuto pessimi maestri, ed è stata una buona scuola.

* [da una intervista reperibile on line]

Domanda: Ma oltre al mondo ontologico non è metafisico pure il linguaggio verbale? E non lo sono anche il mondo fenomenico e quello che, nell’immaginario, lo trascende? Non è dunque proprio l’epifenomeno, che voi ritenete onnipresente nella poesia occidentale e che condannate, il solo modo in poesia di disattivare la metafisicità della lingua?

Risposta. «Epifenomeno» è una categoria che non ho mai usato, è una parola che rischia di portarci fuori strada. Ritengo «onnipresente» nella poesia occidentale la poesia dell’io plenipotenziario e penitenziario, quello sì, l’io petrarchista dove l’io è un «epifenomeno». Disattivare la lingua dalla servitù ad un significato, questo sì ritengo sia il compito di una nuova ontologia del poetico o poetry kitchen che dir si voglia.

Domanda: Se ho ben capito l’Instant poetry, una sorta di poesia estemporanea senza tema, che può rientrare nell’ambito del surrealismo, e la Kitsch poetry, con le sue consapevoli, volute nefandezze atte a rimuovere la bellezza stantia, compongono la Poetry Kitchen, il tavolo da lavoro per il riutilizzo della materia poetica. Non so se alla Poetry Kitchen ci siate arrivati per gradi o improvvisamente, non conosco la cronistoria se non un accenno del percorso della NOE. Non so per esempio se c’entra il collettivo Malika’s Kitchen di Malika Booker. Comunque la Poetry Kitchen mi pare una forma conchiusa di minimalismo ma con un impegno sociale esplicito e fondato sulla quotidianità e con un linguaggio ordinario, addirittura volutamente corrivo. L’impegno è nobile ma è come prendere una carota e renderla poetica cucinandola. Fare, simbolicamente, di una carota un’opera d’arte significa certamente rivitalizzare gli oggetti e toglierli dal dominio stantio dei salotti, col rischio però di idealizzarli, nonostante sia un modo valido per avere un fondamento concreto. Il rischio è l’«aglio di bassa cucina», come diceva Verlaine, che potrebbe essere il padre antico del progetto poetico di cui state parlando. Il Novecento, in alcuni casi, ha preferito fare di un’opera d’arte un oggetto quotidiano: tuttavia mangiare tutti i giorni Ossi di seppia, Guernica, la Sonata per pianoforte e violino in la maggiore n. 9, op. 47, San Rocco e un donatore o Blumenbilder, pur essendo didatticamente a mio modo di vedere più utile, ha in effetti poco a che fare con la creatività e rientrerebbe nel citazionismo postmoderno. In ogni caso i progetti sono dannosi in poesia, a meno di riuscire a non farsi prendere dalla foga del disegno e osservare non solo la strumentazione e l’azione ma l’ecumene. Certamente a differenza dell’arte postmoderna il vostro non è citazionismo, non è atto di natura parnassiana, di “metarte”, ma rivitalizza la quotidianità e i suoi oggetti. Le vostre opere dunque non mirano primariamente ad un esito estetico, nonostante l’inevitabilità di quest’ultimo, ma a rappresentare la vostra personale attuazione estetica. Mi scuso per gli inevitabili fraintendimenti di questa mia riflessione-quesito tutt’altro che assertiva.

Risposta: Con il «nuovo paradigma»  della nuova ontologia estetica cambia radicalmente la forza gravitazionale della sintassi, il modo di porre l’una di seguito all’altra le «parole», la scacchiera delle parole le quali obbediranno ad un diverso metronomo, non più quello fonetico e sonoro dell’endecasillabo che abbiamo conosciuto nella tradizione metrica italiana, ma ad un metronomo sostanzialmente ametrico, pluriprospettico, pluri spaziale, pluri temporale. Nella poetry kitchen non c’è più un metronomo perché non c’è più una unità metrica, di qui la importanza degli elementi non fonetici della lingua (i punti, le virgole, i punti esclamativi e interrogativi, gli spazi, le interlinee etc.), che influiscono in maniera determinante a modellizzare gli «enunciati» all’interno del nuovo «metro» ametrico. Di qui l’importanza di una sintassi franta, scombiccherata. Ecco spiegato il valore fondamentale che svolge il punto in questo nuovo tipo di poesia, spesso in sostituzione della virgola o dei due punti, o addirittura la mancanza totale della punteggiatura. All’interno di questo nuovo modo di modellizzare le parole all’interno della struttura compositiva si situa l’importanza fondamentale che rivestono le «immagini», l’impiego delle quali nella poetry kitchen è molto diverso da quello della pratica surrealista, nel kitchen i salti temporali e spaziali sono assolutamente indispensabili, il capovolgimento e la peritropè contraddistinguono la pratica kitchen.

Domanda: Leggendo l’antologia Poetry kitchen, al di là della innegabile validità e forza dei testi che la compongono, ho notato in alcuni autori quell’epigonismo che contraddistingue i gruppi letterari e artistici. Questo fatto non è necessariamente negativo, come dimostrò per esempio il futurismo, ma non rischia di etichettare come scolastica tutta l’operazione creativa? E quando parli, con coerenza alla linea di rivitalizzazione degli oggetti, di «compostaggio dei linguaggi deiettati, dismessi e tolti» (p. 51) confermi la natura necessariamente scolastica della nuova poesia?

Risposta: Deriva da una lettura pregiudiziale indicare come «scolastica» la modalità kitchen, «scolastica» è la poesia dell’io plenipotenziario ed ergonomico che si fa in Italia da quaranta anni a questa parte, che vuole essere anfibia e posiziocentrica quando invece è semplicemente banale.

Due autori dalla Antologia Poetry kitchen

Giuseppe Gallo Continua a leggere

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Poesie scritte in tempo di guerra, Il soggetto postedipico è diventato un soggetto serendipico, Poesia di Giorgio Linguaglossa, Il misuratore delle ombre, Antonio Sagredo, Poesia mostruosa, Francesco Paolo Intini, Grizzly, Mauro Pierno, Marie Laure Colasson, La macchia, due strutture dissipative, 50×50, 2020, L’arte sopraffina e peculiarissima di Francesco Intini è l’analogo delle contorsioni di una contorsionista maghrebina che una volta vidi al Circo Togni, la signorina si chiudeva dentro una valigetta 24 ore (o quasi) e poi ne usciva indossando dei tacchi a spillo e fumando una sigaretta, Io ero esterrefatta

Marie Laure Colasson Ordo Rerum Struttura dissipativaMarie Laure Colasson, La Macchia, 50×50 cm acrilico, 2020
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La macchia è la «materia-immagine» della disintegrazione, l’idea della de-figurazione stessa del soggetto e dell’oggetto nel testo, tanto che a realizzare opere di de-figurazione attraverso una lingua-corpo è stato anche il già Antonin Artaud, in testi e disegni dove la de-figurazione non è una banale lacerazione sanguinante né un puro e semplice annientamento della figura. Al contrario, essa è la forza di destabilizzazione che intacca la figura, la forza che mette la figura in movimento e le imprime una rotazione vertiginosa, un ilinx, che è la risposta alla percezione che vede germinare sciami di corpuscoli e striature laddove dovrebbe esistere un solo volto, una sola riconoscibile figura. Ci sono in atto delle forze, invisibili alla percezione quotidiana, che minano alle fondamenta la figuralità della immagine e la distorcono in macchia abnorme. Si tratta delle forze storiche della de-figurazione che agiscono nel profondo dell’inconscio del capitalismo cognitivo e dell’inconscio di ogni individuo, esse sono in azione da un bel pezzo, sono le forze della de-valorizzazione e della de-figurazione.

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Marie Laure Colasson Struttura Dissipativa B 2020

[Marie Laure Colasson, La macchia, Struttura dissipativa, acrilico, 50×50, 2020]
Sostiene Lacan che nel campo scopico lo sguardo è all’esterno, io sono guardato, cioè sono quadro, il soggetto non coincide più come voleva Cartesio, con il punto geometrale a partire da cui si prende la prospettiva sulle cose, ma vive l’esperienza spaesante di essere in qualche modo oggettivato da uno sguardo altro, ridotto ad oggetto che “fa macchia” nel quadro: siamo presi dentro il quadro, e la vanitas, che credevamo riguardasse solo ciò che è rappresentato nel quadro, si rivela invece essere già da sempre anche la nostra, “che ci ri-guarda proprio dal punto impossibile, il fuori quadro nel quadro, che è lo sguardo come oggetto a”
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Giorgio Linguaglossa

Il soggetto postedipico è diventato un soggetto serendipico

Chiunque legga una poesia kitchen si accorge che qualcosa come una violenta mega esplosione è avvenuta all’interno del linguaggio, uno shock di inaudite dimensioni, un trauma gigantesco: Il Collasso dell’ordine simbolico ha trascinato con sé il Collasso dell’ordine del significante. Il che implica che quel soggetto (scabroso) che era il punto principiale e terminale della catena significante, ha fatto fiasco, e con esso fiasco è andato al macero quella antica metafisica che era, tutto sommato, rassicurante, ospitale, che va da Giovanni Pascoli di Miricae (1891) a Franco Fortini di Composita solvantur (1994). L’io del romanzo e del poetico si è trovato, si è scoperto essere nient’altro che un involucro vuoto che attende dei riempitivi per apparire significante di nuovo.
La NOe e la poetry kitchen nascono quando si inizia a distinguere chiaramente questo gigantesco iceberg che sbarra la navigazione ad ogni tipo di enunciato dotato di senso. A quel punto è andato al macero anche la catena del significante e la serie sintagmatica dei significanti che costituiscono gli enunciati dotati di senso e di significato. Con la guerra di aggressione all’Ucraina ciò appare ovvio: quel linguaggio  infarcito di ideologemi e di falsa coscienza, non si può più adottare.
Il soggetto postedipico è diventato un soggetto serendipico. Il Nome-del-Padre è diventato il Nome-di-Nessuno.

Francesco Paolo Intini

Che dire?
Da quando è iniziata questa guerra leggo quanto posso e ascolto i Tg, i talk show che si susseguono sulle reti, ascolto tutti e tutte. Ci sto mettendo passione per riuscire a capire cos’è che mi spaventa. Per qualche tempo ho pensato ai neutroni trattenuti nelle testate nucleari, costretti a stare buoni e non invadere nessun altro territorio. Devo confessare di aver persino sognato che facessero squadra e si mettessero in sciopero se qualcuno avesse pestato il tasto sbagliato. Ma i neutroni escono volentieri anche dalle mie fantasticherie. Devono berci sopra per non sentirsi schiavi di un impulso di morte. Piccoli kamikaze in picchiata libera sulle portaerei di grossa stazza. Botte a destra e a manca per ricavare una cattivissima reputazione. Che soddisfazione c’è a distruggere quello che capita?
Dopotutto sono solo fantasie mie che non stanno in cielo né in terra. Piuttosto penso a come un linguaggio combatta con un altro che vuol essere di segno opposto. A come l’uno sia incompatibile con l’altro ma provi comunque a vincere. Già, anche alcune parole sembrano votate all’auto distruzione. GUERRA, VINCERE, ARRENDERSI, COMPROMESSO, PACE, RESISTENZA, EROE etc appartengono a vocabolari ormai inservibili come i carri armati sulla via di Kiev. Dovremmo farne a meno o al massimo usarle per un selfie con la famiglia. Siamo in presenza di un tentata fissione della realtà in due parti. Dove l’una è Propaganda e l’altra è Verità. Non vale girare la testa di qua e di là sperando in questo o quello. La partita a ping pong si trasforma facilmente in una di calcio e quindi di rugby con molossi sulle curve, grandi come portaerei a suonarsele di buona ragione.
Non ce n’è nemmeno per gli arbitri. Spesso si finisce impiccati a una traversa solo per aver soffiato nel fischietto sbagliato con su scritto la parola “PACE” e chissà quando un santo verrà a mettere la buona parola.
Fino a quando insomma l’assurdo si travestirà di senso? Ogni guerra è assurda e meriterebbe una trattazione profonda delle ragioni che l’hanno scatenata. Occorrerebbe farne una dimostrazione matematica e insegnarla alla prima elementare con la pallottoliera del due più due. In una atmosfera surriscaldata dal lutto invece ogni frase è sospetta e deve fare un giro di scongiuri e rituali magici, pronunciare parole d’ordine per farsi aprire la porta dell’amico e farsi accettare senza che si sospetti di parteggiare per la parte sbagliata.
In tutto questo quale tipo di attacco può avere l’armata di parole di uno che starebbe solo nelle scarpe di Charlot e il suo grande dittatore?
E certo non è edificante vedere Arlecchino passare alle vie di fatto per convincere la platea che sta agendo e pensando seriamente. La risposta passa per il linguaggio tra panzer in fase di annichilimento reciproco ma anche per quello che c’è di tragico e marcio in un buffone disposto a uccidere migliaia di persone per dimostrare la sua versione di verità: DUE PI§ DUE FA CINQUE.
Nascono raggi gamma che accecano d’odio ma da cui, grazie a Dio, il linguaggio poetico prova a liberarsi con l’arma del ridicolo, dell’ironia, della caricatura e della strombazzatura. Credo che questo avvenga per vocazione allo smascheramento da parte del bambino che addita la nudità di re ed eroi di ogni genere. Un Omero piccolo piccolo che veste Achille con le armi di Fantozzi ed Ettore con quelle di Filini impegnati in una gita di fine agosto intorno a un trullo di Alberobello.

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«tutti gli spettri metafisici emergono dagli antagonismi della vita reale». (Slavoj Žižek) 1

(Giorgio Linguaglossa)

1 S. Žižek  op. cit. p. 562

Giorgio Linguaglossa

Il misuratore delle ombre uscì dalla Cadillac nera

I

Il misuratore delle ombre uscì dalla Cadillac nera
parcheggiata sotto gli alberi
Il Mago Woland tirò fuori dal cilindro il Signor Putler in giacca e cravatta
il quale prese a tossire e a friggere
«È libera quella sedia?
Posso sedermi? È da tanto che sono in viaggio.
Ingehaltenheit in das Nicht»,
disse senza colpo ferire, aggiungendo la seguente postilla:
«Se in una poesia appare una bianca geisha,
non resta che contemplarla»

II

È arrivato finalmente il misuratore delle ombre
È entrato nella stanza con un metro pieghevole
Il letto era incassato nella parete
Ha preso le misure del letto, del lampadario, dei comodini, dell’appendiabiti
con le giacche del Signor Linguaglossa
Una torcia elettrica brillava nell’angolo dietro l’armadio
I bagagli erano tutti aperti, c’era della biancheria e delle scatole di medicinali
Il Signor K. si è accomodato sulla sedia dipinta in rosso
proprio di fronte al letto

«Una overdose di Remdesivir la si può prendere ad Abukir»
«Composizione per pantofole e violino»
«Infilare le pallottole nel pallottoliere»
«Spruzzare del borotalco»
«B. è un venditore di pentole, kitsch maleodorante disinfettato col deodorante»
«Sa, Linguaglossa, se in un romanzo compare una pistola, occorre che spari».
disse K.
« Sì, lo so, è incredibile: il Signor Putler e il Signor Salvini una volta erano dei bambini»,
replicai senza convinzione

III

Lafcadio, lo pseudo mulier, prese a tossire
si affacciò alla finestra
Mr. Humble si tolse gli occhiali di tartaruga mentre parlava fitto
Il bicchiere giallo era posato sul tavolo del tinello dipinto in verde
Il vento spazzava via i ricordi.

«È stato testato dal Signor Putler un budino all’isotopo di polonio in grado di abbattere in un sol colpo una intera brigata aviotrasportata della Nato»,
disse lo scrittore Gombrowicz che in quel momento aveva fatto ingresso dalla porta girevole nella hall dell’Hotel Excelsior di Budapest

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Kitsch Poetry di Francesco Paolo Intini, Il linguaggio è violenza concettuale esercitata sul mondo, Antologia della Poetry kitchen, I nostri discorsi testi devono fare continuamente i conti col non-senso come nella frase: Colorless green ideas sleep furiously, frase perfettamente grammaticale ma semanticamente insensata (Jakobson), Ed è grazie al non-senso che la frase acquista un alto grado di informazione, composizione grafica di Lucio Mayoor Tosi, la gallina Nanin uccisa probabilmente da una volpe

Lucio Mayoor Tosi Gallina Nanin uccisa

Lucio Mayoor Tosi, la gallina Nanin uccisa probabilmente da una volpe, 2022

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Francesco Paolo Intini

…Un merlo canta al centro del silenzio
Un merlo canta falso nel silenzio accecante
(Marie Laure Colasson)

SFUMANDO ORIGANO ADATTARONO GLI ALLUCI A CELLULE PIRAMIDALI

Ci fu una sommossa al largo del pomodoro.
Uno di quei merli lasciò il brodo vegetale
E venne a dirci il lato oscuro dello Chef.

Noi credemmo fermamente di rivoltare l’asse della terra
ma non ci riuscì di girare quello da stiro
e i pantaloni se ne andarono sgualciti per le ciabatte.

Scomparve l’io come lo zar di Russia
Su lui scivolò il Logos e lo stagno germinò zanzare

Al Ragù il comando del microonde
e finalmente il sapore della storia servita al dente.

E’ così grasso il Donbass che si scioglie sotto i colpi del vapore.
A picconate credo, di sale e pepe.

Senza lo SPID l’alveare divenne inaccessibile.
La regina morì con un colpo di rivoltella
a cui preferì l’impiccagione sull’uscio di casa.

Tramortite dall’ aglio le principesse cedettero al pesto.
Bastò un pestello che l’universo girasse in un mortaio.

Non toccò le sacre vie dell’incenso
Ma segni inequivocabili di piacere.

Eugualemmecidue è scritto nei Mcdonald
Ma si sfuma a vodka e recidiva yersinia.

Uno scorrere di spaghetti nel Grand Canyon
Accompagnò lamenti di pizza al crematorio.

LITHIUM AND OTHER

Centodiciotto sono le rose e forse serviranno altre per gioire.
Crescono a misura del muro, non come il fico che fa figli in trincea
E non gl’importa di chi sta in fila al posto suo.

Ma la guerra è il più artificioso dei sonetti
Con a capo un endecasillabo che grida Augh!

Un raggio gamma dà il fischio d’inizio ed è strage alla curva Sud.

L’incidente si chiude con una nota di spesa per ogni grado sopra lo zero kelvin
Alle rovine del perché arriva la bolletta di pinoli e intestini secchi.
-Signore c’è da firmare una raccomandata!
Cento dei suoi figli sono stati macerati sputando 2022 denti.

Lorca cedette i suoi elettroni al torero anarchico
Senza lasciare tracce del milione di donne grasse.
Un proiettile racconta i suoi segreti
come si allearono negli orbitali tori e crotali.

Peccato che la squadra dei protoni non si sia disunita.

In uno scatolo gli consegnammo pustole di vaiolo
Perché vedesse l’ultima volta la classe operaia
E noi a ridere di lui.

I neutroni ce la mettono tutta ma esce un creme caramel e un grattino omaggio
Ogni volta che si preme un pulsante per un seme di tritolo.

Nessuno sogna più di un neutrone.
Se diverrà anguilla si aprirà un varco nell’occidente e potremo festeggiare
sul pianeta Dio.

Sul Manifesto cresce erba cipollina della signora Jenni.
Soltanto un ponte aereo ci salverà dai versi baresi e una crema
Per le ragadi di Marx.

Chi tra voi ha un elettrone da prestarmi?
Gli dò in cambio un refrigerante di vetro per cuscino.

Montale non è qui. Perché bussi?

GAS GAS

Mentre il tempo gioca con l’immortalità
-Un suo difetto come il boro nel diamante azzurro-
Siamo qui ad osservare il giro del ventilatore

Torna tra noi dopo lunga assenza Ulisse e ciò che ha da dire
Lo dirà in conferenza stampa.

All’ingresso, sull’altare della rimembranza il Master Chef
Con firma dell’autore.
Compratelo prima che finisca la guerra di Troia.

Nel frattempo Nerone, re del riso patate e cozze,
è venuto a dirci:

Vendo epoche di focaccia barese appena sfornate
Crebbero intorno a nuclei di titanio
E la catena respiratoria ne fu orgogliosa,
come la Madre alla spesa di Einstein

E dunque erbe cipolline, mettetevi il baffetto bianco,
arruffate i capelli, sguainate la linguaccia all’ aglio.

La memoria è una piaga insopportabile
Si berrà anche questo bisque di cingoli chelati

Che altro farne di una parola usata?
Plof!

Scorre nelle vene dell’Occidente il cloroformio
Meglio il vino novello, ma tantè!

Faremo un cicchetto su in terrazza
Quasi un brindisi alla taglia quarantadue delle bare

Oppure a uno scarafaggio che batte il match point
Tra scopa e polvere di caffè.
Micidiale il suo Nadal in fronte al Sindaco.

VERSI ALLA COQUE CONTRO BILE SOLIDA NEL COLEDOCO

A frammenti disse, a sassate corresse e c’è una musica che invade.
Verbo pericoloso per il futuro delle tovaglie.

Dove il basilico si fa largo risponde l’aglio con minacce d’aborto.

Ci sono spie infiltrate nel tritolo e carbonati che precipitano a Milano.
Un modo forse per risciacquare senza lavatrice e cancellare Dicembre dal settentrione?

Niente enzimi nei fucili, niente spargimento di rosso sulle capricciose
solo lancette di gambero ai campanili.

Il messaggio giunse chiaro ma gli occhi si astennero dal guardare
Il contratto va rispettato fino in fondo.

-La penale ha orecchie dure!
Raglia forte il tradimento.

Come cavalcare un significato e farlo correre di schiena?

Si va avanti e i sogni emanano cloro. Per omnia saecula saeculorum
Perché protesta l’ossigeno tra i denti?

-D’ora in poi ci sarà fuoco nelle ossa. Non val la pena- disse-
si è troppo infetti per rischiare i polmoni di uno yankee.

I contratti cercano firme e soldati nei call center.
Crescono fichi d’india nei fili del discorso.

Galileo perse l’innocenza nel suo esperimento
Impotente a radere il Sole come l’ultimo dei Mohicani.

Il metodo resuscitò piuttosto calmo e luce che spalmava nel cervello
Poi, senza indugi si consegnò all’acido solforico
Più sicuro del sapone nei TFR.

Il programma automatico-antibiotico di un Anti linguaggio
 

La frase di Lacan: «Io mi identifico nel linguaggio, ma solo perdendomici come un oggetto»,1 Francesco Paolo Intini la volge nel modo seguente: «io mi dentrifico nel linguaggio, ma solo perdendomici». L’Io di Intini è veramente perduto nel linguaggio, l’io c’è ma dentrificato in un tubo di dentifricio, in un inestricabile labirinto di parole incomunicabili dove tutte le parole e tutte le connessioni tra le parole sono possibili in quanto perfettamente dentrificate e non identificate in un tubo di dentifricio. Ne risulta il caos delle parole finalmente liberate dall’io plenipotenziario. Ma nel caos c’è un ordine ci dice Lacan ed è l’ordine del linguaggio. E ricadiamo sempre nel medesimo punto: il linguaggio è inconscio nel momento in cui il processo di dentrificazione si è completato. L’inconscio parla nel tubo di dentifricio, parlerà ma obbedendo alla sua struttura che è inconscia. A differenza del surrealismo che intendeva pescare nell’inconscio con un atto di volontà delle parole in libertà, qui è l’inconscio che, una volta dentrificato, produce le parole e le connessioni tra le parole in modo simultaneo e permanente; qui non c’è nessun atto di libertà, ovviamente si tratta di una permanenza impermanente, aleatoria, una permanenza sottratta alle parole ma che le parole inseguono seguendo le misteriose leggi della struttura linguistica inconscia: una lalangue che procede sempre per la sua dritta e zigzagante via.
Dentrificare le parole significa questo: che qui c’è un vuoto, e lo devo riempire a tutti i costi; allora prendo le parole di qua e di là, le acciuffo e le ficco in quel buco che contiene il vuoto per turarlo, e ne metto sempre di nuove; ma il buco rimane, rispunta sempre di nuovo con il vuoto al centro del buco che reclama di essere riempito; e allora Intini ne mette altre di parole, tante altre, le ficca dentro a forza, così costipate da non lasciare nessun varco, nessuna fessura tra di esse; le stipa e le costipa in modo da turare il buco con le parole a mo’ di vinavil, da riempire il vuoto che balugina, che invece cresce e riesce sempre di fuori. Una fatica di Sisifo. E qui scatta la pulsione compulsiva: Intini ficca sempre di nuovo nuove parole nel buco nel tentativo disperato di riempirlo…

INCONTRO CON PARMENIDE AD UNA SAGRA DI FUNGHI MENTRE GLI PENDE UN FUSILLO DALLE LABBRA

– Il lungo tratto d’intestino porta ad Elea.
Ed è subito crasso.

La strada restringe il suo ragionamento in un parcheggio per belle di notte.
Una piantina che si alza gli slip, ansia pubica nei pistoni fucsia.

-Sono tutti qui a parlare di Essere ma investono in pollo arrosto.
I residui raccolti il lunedì e riciclati in un barattolo di carciofi sottolio.

Gli incisivi di Putin che sbattono su quelli di Biden.
Mandibole libere dal masticare. Il trionfo del Trigemino sul Sole.

Agli opliti -gli stuzzicadenti spartani delle Termopili-
il compito di liberare i canini dalle vettovaglie.

Avresti giurato sull’olfatto di Zenone ma seguì una freccia tricolore
In cui la digestione sfiniva in ruminare
E gli ossi delle olive si contavano all’infinito.

Le pistolettate di Clint Eastwood bucarono la Via Lattea
e finirono sui gigli di San Pancrazio: i senza culo.

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Cosa dire di questo patchwork? Implantologia di materiali inorganici in tessuti organici, innesti paleoindustriali in tessuti della ipermodernità, modelli unisex de-vitalizzati ed evirati adattati a muliebrità de-femminilizzate, metamorfosi anamorfiche del Moderno, parole come HIMARS, rocket systems, sessualità youporn, virilità della Garbatella riciclata in artiglieria sessuofobica alla Rocco Siffredi…
Ma non era Leonora Carrington che nel volume Il latte dei sogni asseriva con convinzione di esser nata dalla congiuzione di sua madre con una macchina da cucire?: metamorfosi, ibridazione, conjunctio, mixage di arti umani e artificiali, carne e metallo-macchina, macelleria di glutei e seni trasmessa in diretta e in podcast. Tutto ciò è l’ipermoderno.
Già l’Internazionale situazionista era l’erede di un surrealismo ormai tramontato e disarmato, perché l’irrazionale sortisce fuori ogni volta dalla rivoluzione mancata soppiantata dal lessico sgualdrinesco della Meloni che concupisce il bullo di Milano, la volgarità youporn con la complicità del Marchese del Grillo e del Principe di Salina… ecco trovata la scaturigine della poiesis di ceralacca e di polistirolo di Francesco Paolo Intini, che non sai mai se prendere sul serio oppure sul faceto per le sue furfanterie e le sue passamanerie o se derubricarla in «sartorie teatrali» di serie B come quelle che ci ammanniva il Montale secondo in vena di passamanerie e di stuzzicadenti.

(Giorgio Linguaglossa)

1 J. Lacan, Seminario I 

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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Due Autori dalla Antologia AA.VV. Poetry kitchen, Guido Galdini, Giuseppe Gallo, È l’entropia, non l’energia, che fa stare per terra i sassi e girare il mondo. L’intero divenire cosmico è un graduale processo di disordine, come il mazzo di carte che inizia in ordine e poi si disordina mescolando, riflessioni di Francesco Paolo Intini, Giorgio Linguaglossa

Locandina San Basile

È stato il primo Festival della Poetry kitchen tenutosi di fronte al Monastero basiliano circondato dai monti boscosi del Pollino. Non eravamo tanti, il Comune di San Basile conta 943 abitanti, ma è stato comunque un momento nobile e intenso. Gino Rago, Giuseppe Gallo e Vincenzo Petronelli hanno svolto una breve riflessione sulla modalità kitchen con cui noi stiamo nel mondo, Marie Laure Colasson ha recitato alcune poesie contenute nella antologia. La Poetry kitchen è ormai una realtà. L’anno prossimo, sempre in agosto, abbiamo deciso di fare il secondo Incontro della poetry kitchen con relativa pubblicazione della seconda Antologia, sarà una festa di paese, con vino, cibo e musica offerte dal Comune e la recitazione col megafono delle poesie kitchen da parte degli autori. Arrivederci, dunque, al prossimo Incontro. Qualche giorno prima, il 24 agosto, si è tenuto il debutto della Antologia della Poetry kitchen nello “Spazio cinema” di p.za Vittorio a Roma, Incontro organizzato dall’assessorato del Comune di Roma, Letizia Leone e Marie Laure Colasson, insieme a chi scrive, hanno presentato l’antologia con un grande successo di pubblico e viva curiosità.

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Francesco Paolo Intini

“E’ l’entropia, non l’energia, che fa stare per terra i sassi e girare il mondo. L’intero divenire cosmico è un graduale processo di disordine, come il mazzo di carte che inizia in ordine e poi si disordina mescolando.”
(L’ordine del tempo, pag 142 Carlo Rovelli , Adelphi Edizioni spa 2017)

La Poetry Kitchen secondo il mio modo di vedere le cose, lavora con questo concetto a disorganizzare il mazzo di carte che, per inteso, potrebbe essere semplicemente qualcosa da dire di socialmente utile, stimolante, ragionevole persino arrabbiato ma in ogni caso comprensibile e tale da poter essere accettato in qualunque discorso con il lettore.
La tendenza a crescere dell’entropia invece fa si che all’interno di un testo operino forze disgreganti sulle parole (talvolta diventando il contrario di quelle che assumerebbero se il testo fosse sensato) che per interferenza o altro diventano spiragli inattesi, idee, immagini, prospettive e in definitiva nuove avventure poetiche.
Ecco, l’aumento di entropia è questo moltiplicarsi delle possibilità d’immagini, di luoghi depurati del tempo storico, di analogie a partire da una situazione a minor entropia come l’idea di un cane che riposa al centro della piazza di Ovindoli e che mi ricorda Argo e il ritorno di Ulisse.
Se avessi dato forma alla mia ispirazione non sarei andato oltre questo concetto e sarei rimasto in una zona a bassa entropia, dove per inteso questo significa semplicemente un testo ordinato da un senso compiuto.
Forse avrei cercato il ritmo, le assonanze, le rime, la musicalità e dato fondo alle mie supposte capacità di procurare piacere nella lettura costruendo nel contempo una storia comprensibile, leggibile e accettabile come fossi al centro di una discussione con qualcun altro.
Qui invece il testo è semplicemente stoppato ad un istante deciso da me.
L’intervento dell’autore dunque è in questa decisione di staccare la spina e proiettare nel mondo il testo(che è solo uno degli infiniti testi possibili) semplicemente come se fosse una mano in un gioco di tressette.
Il ritorno dell’Io nella stesura del testo da cui risulta sempre assente come soggetto narrante, assomiglia quindi a quello di un croupier del tutto indifferente al risultato e perciò lontanissimo da un Io lirico desideroso di raccontarsi, confessarsi e far emozionare con una storia coinvolgente e universale.

Antologia Poetry kitchen

Guido Galdini

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è nato a Rovato, Brescia nel 1953; dopo studi di ingegneria opera nel campo dell’informatica; ha pubblicato le raccolte Il disordine delle stanze (PuntoaCapo, 2012), Gli altri (LietoColle, 2017), Leggere tra le righe (Macabor 2019) e Appunti precolombiani (Arcipelago Itaca 2019). Alcuni suoi componimenti sono apparsi in opere collettive degli editori CFR e LietoColle.
Ha pubblicato inoltre l’opera di informatica aziendale in due volumi: La ricchezza degli oggetti: Parte prima – Le idee (Franco Angeli 2017) e Parte seconda – Le applicazioni per la produzione (Franco Angeli 2018). È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Gli esperimenti

l’esperimento non è riuscito

di ricongiungere rallentare e disperdere
le cianfrusaglie della nostra vita

di rinunciare prima di aver desistito

di accostare i lati opposti dell’ombra
per ottenere un terzo lato segreto

di sottomettere l’euforia di un ruscello

di avere fatto finta di capire
senza destare il minimo sospetto

di far sempre qualche sogno indeciso
ogni volta che termina l’estate

di restituire quello che ci hanno rubato

di confidare a qualcun altro
ciò che andava taciuto anche a noi stessi

di guardare lo specchio all’improvviso
per smascherarci prima d’esserne delusi

di coniugare tutti i verbi al futuro
per dimenticare un po’ più in fretta il passato

di coniugarli al passato
per difenderci dalla fretta del futuro

di chiedere a chi si sta allontanando
perché cammina fingendo di ritornare

di contare le lettere della parola felicità
ed arrivare sempre fino a sette

di far rotolare le biglie giù da un piano inclinato
per misurare la solitudine dell’attrito

di tracciare due rette parallele
che si separeranno all’infinito

di rallentare la velocità degli istanti

di prevedere il passaggio della cometa
dalla sua coda riflessa in una pozzanghera

di sottintendere quel che c’era da scavalcare
di credere alle promesse dell’equinozio

di attraversare tutto il mondo a occhi chiusi
per rinunciare al fasto dell’apparenza

di ingarbugliare fino a che diventi più chiaro

di sopperire alla cautela dei ricordi
rovistando tra le rovine e i miraggi

di accorgerci che abbiamo seguito
un sentiero che non c’era mai stato

di impedire che l’arrivo diventi
un’abitudine da raggiungere verso sera

di imparare a memoria
le poesie partendo dalla fine
per non raccogliere la sfida dell’impazienza

di separare ciò che resta da vendere
da ciò che si può soltanto regalare

di regalare a tutti qualcosa di rosso

di riconoscere la fuga delle stagioni
dalla diminuzione delle parole
e dall’aumento dei sottintesi

di terminare prima che faccia buio
gli esperimenti non riescono quasi mai

Antonello da Messina San Girolamo

Antonello da Messina (Milano, Palazzo Reale, aprile 2019)*

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San Gerolamo

il manto scende ad ondate
s’increspa sul pavimento

il leone passeggia nell’ombra
fuori c’è un cielo da oltrepassare

qualche uccello in planata
si avvicina all’azzurro

troppi libri e altri oggetti
ingombrano le mensole

il pavone non ha nessuna voglia
di esibire la ruota

L’Annunciata

la mano destra si stacca
dal piano della tavola

è protesa per arrestare
la vicinanza di uno sconosciuto

l’altra mano trattiene il mantello
gli occhi hanno smesso di guardare

Pietà

il tempo ha sgretolato i volti di Cristo
e degli angeli che lo sorreggono
con le ali che pungono il cielo

il minuscolo teschio d’Adamo
è posato accanto all’albero rinsecchito

in piazza non c’è ancora nessuno
il mare è deserto di navi

un angelo tiene appoggiata alla guancia
la mano di Cristo
che pende inerme dal polso

il costato ha una breve ferita

Ritratti

bocche chiuse socchiuse
quasi aperte al sorriso

le guance in penombra
sono recise da pieghe verticali

i riccioli aggrovigliati
delle sopracciglia del volto di Torino
concludono l’ipotenusa dello sguardo

Locandina Poetry kitchen 24 agosto 2022

Giorgio Linguaglossa

Il pensiero non è uni-lineare ma può prendere simultaneamente molte strade diverse. Il pensiero poietico è per eccellenza quel campo di riconoscibilità entro il quale la parola sfonda i limiti della langue.

1) porre attenzione al principio antropopoietico dell’ibridazione;
2) porre attenzione alla dimensione gassosa della coscienza e dell’inconscio e della loro mutazione storica;
3) porre l’accento sulla pluralità prospettica delle parole;
4) la techne governa i linguaggi;
5) porsi dal punto di vista del futuro;
6) riconoscere l’ontologia delle alterità e della diversità;
7) derubricare il modello lineare del pensiero;
8) l’essenza di un ente coincide con il movimento storico dell’ente;
9) il principio dell’entanglement governa il pensiero in generale e il pensiero poetico in particolare. Continua a leggere

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Dalla Antologia Poetry kitchen (Progetto Cultura, 2022), La poesia ha finalmente fatto ingresso in cucina, Poesie di Alfonso Cataldi e Raffaele Ciccarone, mentre il Soggetto parla, la parola non sa in che direzione potrà prendere la sua parola, la parola va sempre in una direzione che il codice del linguaggio non può prevedere

Antologia Poetry kitchen

La poetry kitchen

(dal saggio introduttivo di Giorgio Linguaglossa)

 

«Le parole che si riferiscono a dei valori, si svalutano progressivamente come le monete, come, appunto, i valori»
(Andrea Emo, Quaderno 374, 1976)

«Quando pensiamo troppo profondamente, perdiamo l’uso della parola. La parola si può “usare”, cioè profanare, quando non se ne comprende il significato. Se comprendessimo il significato delle parole, non usciremmo mai più dal silenzio»
(Andrea Emo, Quaderno 374, 1976)

A. Emo, la Voce incomparabile del silenzio, Gallucci, 2013

 

La poesia ha finalmente fatto ingresso in cucina

La poesia ha finalmente fatto ingresso in cucina, ha lasciato i salotti degli intellettuali e gli androni con le colonne neoclassiche delle abitazioni borghesi e si è introdotta in cucina. È un’attività al tempo stesso ordinaria e generica (poiché tutti mangiamo, quindi appartiene al genere), quotidiana e individuale poiché il cibo viene preparato ogni giorno da ciascuno di noi. Nella sua dimensione ordinaria la cucina soddisfa i nostri bisogni più immediati, si lega alla dimensione intima della casa, del focolare, assolve un bisogno umano ma anche, consente differenze di stile e ingegnosità, fattori indispensabili ai fini della riproduzione dell’homo sapiens. Fin dall’inizio della storia dell’homo sapiens, la sua abitazione, con il suo luogo più importante è la cucina, luogo di confezionamento e consumazione dei cibi.

La poetry kitchen è un artefatto costruito in casa con gli utensili che abbiamo sotto mano tutti i giorni: i piatti, le padelle, il coltello, la forchetta, il sale, lo zucchero, lo zenzero, la curcuma, gli aromi etc. non c’è bisogno di indossare panni aulici o «sartorie teatrali», occorre scrivere in modo dimesso e dismesso, senza fare alcun conto delle abissali angosce e delle insondabili epifanie; è una poesia frittura di pesce, poesia omelette, poesia usufritta, fatta in padella, ascoltando il tiggì de “La 7” e i telegiornali di regime, magari masticando delle noccioline o trangugiando patatine fritte.

Qualcuno pensa erroneamente che la nuova fenomenologia del poetico, la poetry kitchen, sia solo un gioco di scacchi, di fuochi d’artificio o una collezione di figurine comiche e bizzarre, insomma, una bizarrerie. Al contrario, la nuova poesia è affollata in modo assordante dalla presenza del mondo, in essa si assiste al mondeggiare del mondo con tutte le sue acrobazie e le sue aporie. Che altro è l’espediente delle ipotiposi della «pallottola» che abita la poesia di Gino Rago che attraversa ampi spazi e svariatissimi personaggi di plurimi tempi se non un colloquio costante con la morte?, con la sua presenza ingombrante?, che altro sono gli inciampi linguistici e gli shifter, gli scambi di Francesco Paolo Intini se non l’ossessione della morte dei significati?, che cosa sono quei «pendeloques» di Marie Laure Colasson se non manifestazioni della morte ovunque si volga lo sguardo?. La poetry kitchen è ossessionata dalla presenza della morte, che tenta di esorcizzare con un caleidoscopio di immagini, di figure e di icone. In realtà, la morte è la protagonista assoluta della poesia kitchen.

Per Platone l’essenza della poiesis consiste nell’imitazione di una imitazione delle idee, da questa prospettiva la «cucina» sarebbe ancora più lontana dal mondo «vero» di quanto lo sia l’arte. Il principale argomento a tale riguardo si trova nel Gorgia: Socrate e Polo stanno discutendo di retorica, Socrate sostiene che essa non sia affatto un’arte ma una mera pratica volta a produrre piacere; Polo chiede allora a Socrate che cosa ci sia di male nel produrre piacere, e Socrate replica proponendo il paragone tra retorica e cucina: anche cucinare è un’attività che produce piacere ma, come per la retorica, si tratta di un piacere illusorio.

È dunque attorno al tema dell’illusione che ruota l’argomentazione platonica contro la cucina come arte: i piaceri che lusingano sono illusori, dunque falsi, perché prodotti da attività che simulano di essere vere arti. Socrate va avanti con gli esempi mostrando che sia la retorica sia la cucina rappresentano il polo negativo e illusorio dei veri piaceri dell’anima e del corpo. Rispetto alla retorica, la politica invece è vera arte perché mira al bene sociale; rispetto alla cucina, vera arte è la medicina perché mira al bene del corpo. (Platone, Gorgia 461c- 464d).

Fare poesia kitchen non equivale a fare poesia gastronomica, vuol dire fare della gastronomia un’arte culinaria, fare poesia con gli ingredienti e gli utensili che come detto troviamo in cucina, ma dobbiamo gettare via gli alambicchi sublimi della falsa metafisica della poesia di accademia.

Dall’“orinatoio” di Duchamp sappiamo che un qualsiasi oggetto quotidiano può diventare arte. Non serve necessariamente decontestualizzare l’oggetto o de-funzionalizzarlo, e neppure esporlo in un luogo o in un momento determinati, l’unico gesto che conta non è affatto un happening o una performance (che vale per chi non si è ancora liberato del plebeo gusto dello spettacolo circense), bensì il fatto mentale, l’idea, il concetto, l’auto legittimazione dell’arte.

Il mondo è diventato un gigantesco ready made. Il fare kitchen è in rapporto convenevole con gli ingredienti che troviamo  nella dispensa: qualsiasi «real object» può essere «ready made» e può diventare arte. Un oggetto può essere arte a intermittenza? Un oggetto può essere un semplice oggetto nella vita di relazione («real things») e poi diventare un oggetto d’arte allorché viene posto in una teca, su un podio, in una vetrina di museo, in una vetrina da bar, nella teca di una galleria, etc. Una frase giornalistica, un evento di cronaca possono diventare un oggetto d’arte se e quando verrà inserito in una poesia kitchen? Quale è il differenziale che decide se esso sia arte o non-arte?. La poetry kitchen prende un oggetto o un evento della cronaca e lo inserisce in un testo, che diventa, in virtù di questo semplice atto del creatore, un oggetto d’arte.

È squisitamente poetry kitchen la consapevolezza dell’evanescenza dei limiti tra un oggetto o evento della cronaca e un oggetto o evento d’arte. Una percezione vivissima, quasi da poetry kitchen, guida Guido Gozzano in La signorina Felicita: è l’inserimento di una «donzelletta» in chiave moderna, un vero e proprio ready made per l’epoca: la «Signorina Felicita» in presa diretta, dalla vita domestica al quadretto post-idillico della poesia gozzaniana, fantesca e milf del giovane avvocato senza speranze e senza virtù.

Perché non pensare ad una anti-soap-poetry?, perché non portare la promesse du bonheur a tutti come luogo della felicità contraffatta, indirizzata stabilmente verso la Lichtung della infelicità generale? Il luogo della felicità è al di là della prassi. Ci troviamo in quella che Wolfgang Welsch chiama la «de-realizzazione della realtà».1 L’Arte, nell’accezione hegeliana e romantica scende dal suo piedistallo per entrare nella catena di montaggio della comunicazione e replicazione mediatica e nell’industria della obsolescenza culturale programmata, tanto che l’arte di oggi è ad obsolescenza programmata, arte a termine e da risultato sicuro con tanto di euforia per la fine dell’arte. Si pensi alla Gioconda di Leonardo, l’opera più riprodotta del patrimonio artistico occidentale: dagli ironici baffi di Marcel Duchamp alle moltiplicazioni dei barattoli di Andy Warhol fino alle svariate immagini pubblicitarie che ci circondano, alle immagini seriali riprese e diffuse dai media. L’arte dismette la sua aura, cessa di essere un capolavoro venerabile e distante per diventare un’immagine prossima e familiare. L’oggetto-arte si trasforma sempre più in evento della cronaca e l’attenzione si sposta verso il contesto sociale e antropologico della civiltà moderna.2

L’homo aestheticus è diventato il modello di riferimento. L’estetica è diventata un paradigma ermeneutico della trans-modernità, una disciplina transeunte in grado di rendere ragione del superamento in senso trans-disciplinare e trans-genico che caratterizza la produzione dell’arte odierna. L’iperestetica si presta ad essere il luogo ermeneutico della baumiana «modernità liquida» in cui viviamo, improntata ad un continuo andare oltre.

Ciò che Lyotard chiamava il «sublime tecnologico» potremmo tradurlo con il nostro linguaggio come poiesis kitchen. La fine della metafisica ci pone davanti a questo nuovo orizzonte nel quale viene e cadere il confine che per duemilaecinquecento anni ha costruito la poiesis sulla nozione aristotelica di mimesis e sulla distinzione tra il possibile e l’impossibile. Prendere atto di questo fatto implica una direzione ben precisa per la collocazione della poiesis nell’ambito della civiltà della tecnica dispiegata. Il sublime si è desublimato, e questo lo ha certificato il trionfo della tecnica. Se la poetry kitchen adotta il linguaggio desublimato del mondo della tecnica, ciò deriva dalla presa d’atto che i nuovi linguaggi del mondo della tecnica sono i soli sopravvissuti della antica e nobile esperienza del sublime che è stata derubricata.

La parola kitchen è da pensarsi come evento linguistico: quindi evento dell’altro proprio perché si annuncia in quanto irruzione di ciò che è per venire, ciò che è assolutamente non riappropriabile; in quanto unico e singolare l’evento linguistico sfida l’anticipazione, la riappropriazione, il calcolo ed ogni predeterminazione. L’avvenire, ciò che sta per av-venire può essere pensato solo a partire da una radicale alterità, che va accolta e rispettata nella sua inappropriabilità e infungibilità.

La contaminazione, l’impurità, l’intreccio, la complicazione, la coinplicazione, l’interferenza, i rumori di fondo, la duplicazione, la peritropé, il salto, la perifrasi costituiscono il nocciolo stesso della fusione a freddo dei materiali linguistici, gli algoritmi che descrivono la non originarietà del linguaggio, il suo esser sempre stato, il suo essere sempre presente; una ontologia della coimplicazione occupa il posto della tradizionale ontologia che divideva essere e linguaggio; la ontologia della coimplicazione ci dice che il linguaggio è l’essere, l’unico essere al quale possiamo accedere. Non si dà mai una purezza espressiva nel logos ma sempre una impurità dell’espressione, un voler dire, un ammiccare, un parlare per indizi e per rinvii.

Il soggetto è subordinato alle leggi del linguaggio: mentre egli parla, il linguaggio non sa che direzione potrà prendere la mia/tua/sua/nostra/vostra/loro parola. La parola va sempre in una direzione che il codice del linguaggio non può prevedere nonostante la parola stessa sia impossibile senza il codice linguistico; non c’è primazia dell’uno sull’altro. L’atto della parola rende indispensabile la presenza del soggetto parlante.

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1 W. Welsch, Aesthetics beyond Aesthetics (1995), poi in Id., Undoing Aesthetics, Lon-don, Sage, 1997, pp. 85-86; il saggio è consultabile anche online [http://www2.uni-jena.de/welsch/ Papers/beyond.html].
2 Il «simulacro», per Baudrillard, è un’immagine priva di prototipo, l’immagine di qualcosa che non esiste. Cfr. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 2007, e anche M. Perniola, La società dei simulacri, Bologna, Cappelli, 1980, p. 122. Secondo Baudrillard, il sistema dei segni sostituisce la fsicità delle merci e le dissocia dai bisogni che avrebbero dovuto soddisfare. Si determina così una società della simulazione in cui i parchi a tema, i centri commerciali, i reality show divengono autoreferenzialie si trasformano in un caleidoscopico gioco di immagini rifesse. Il simulacro sostituisce progressivamente la realtà, rispetto alla quale appare più stimolante e attraente. Basta en-trare in un centro commerciale per accorgersi che tutto è illusione: le piazze, le aiuole, lanatura, la socialità, la confortante situazione di sicurezza, l’appagamento visivo. Cfr. Id., Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Bologna, Cappelli, 2008.
Cfr. Fabrizio Desideri (No aesthetics without meta-aesthetics, in Dopo l’estetica, cit., p. 67) che formula l’ipotesi di una “meta-estetica”. Lo studioso individua i confini verticali dell’oggetto di studio nel «territorio problematico che l’estetica scopre come qualcosa di concettualmente specifico e irriducibile» e, in particolare, nel «problema della genesi dell’estetico nel paesaggio umano», in relazione ai vincoli ambientali e ai presupposti psico-antropologici e i confini orizzontali nella riconfigurazione dell’estetica in rapporto alle altre discipline filosofiche («in particolare all’ontologia, all’etica, alla filosofia della mente e a quella del linguaggio»).

Alfonso Cataldi

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È nato a Roma, nel 1969. Lavora nel campo IT, si occupa di analisi e progettazione software. Nel 2007 pubblica Ci vuole un occhio lucido (Ipazia Books). Le sue prime poesie sono apparse nella raccolta Sensi Inversi (2005), Giulio Perrone Editore. Successivamente, sue poesie sono state pubblicate su diverse riviste on line tra cui lombradelleparole, Poliscritture, Omaggio contemporaneo, Patria Letteratura, il blog di poesia contemporanea di Rai news, Rosebud. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Voleva solo partecipare

Il corrimano sale fino al terzo piano e buca il finestrone.
«Hai caldo pure tu Luna?»

O due calici rasi sono sufficienti a immaginarti porno?

Confucio regalava sempre una goleador
a chi calciava un esempio di virtù nella comunità avversa.

«La società liquida è durata meno del previsto»
il Covid voleva solo partecipare

però la temperatura è scesa appena di tre gradi
e i barbecue non hanno fatto un fiato.

Il basilico dei vicini la sera si finge morto
di fronte alle nostre serie TV preferite.

«Jesse, non lasciarlo andare. Getta le chiavi dell’auto nel dirupo
non resisterà più di due puntate alla tua neurodiversità.»

 

Manca sempre

La newsletter gratuita del Post.it
alle ore 18.30 apre con la notizia:
“tafferuglio sulla chat interna della redazione”
e incorpora il print screen come prova.

Si discuteva su come si chiama la porta di un garage.
Ecco, come si chiama?
Porta del garage?
Porta basculante del garage?
Portone?
Bandone?

Il tono era ilare, ma serissimo al tempo stesso
così il lettore può provare lo spaesamento del commissario Donatella Costantina Giancaspero
quando dirime, in pochi metri quadri, la direzione delle venature
nel monolite del tempo
che rimane in sospeso.

La banderuola fissata alla scrivania indica l’intelligenza
dei dolcetti alla marmellata di fichi.
È il segnale che il signor Wonka
ha trovato la ricetta con la giusta mancanza di cioccolata nei biscotti.

Manca sempre una matita colorata all’appello, la sera
quando si ripone l’astuccio nello zaino
ogni mattina la stessa sfumatura
a un albero, a una casa, a una carnagione.
La maestra firma con la biro rossa.
Brava o Bravissima. Continua a leggere

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Da Malevic a Edward Hopper, Il Trash sublime, Riflessione di Slavoj Zizek, Poetry kitchen di Francesco Paolo Intini, Alfonso Cataldi, Lucio Mayoor Tosi, Esercizi serendipici di Gino Rago, Commenti di Jacopo Ricciardi

Locandina San Basile
tweet con versi di Francesco Paolo Intini

   Slavoj Žižek

Il Trash sublime

«… nell’arte contemporanea il margine che separa lo spazio consacrato del bello sublime dallo spazio escrementizio del trash (i rifiuti), si sta gradualmente assottigliando fino ad arrivare ad una paradossale identità degli opposti: i moderni oggetti artistici sempre più escrementizi, trash (spesso in senso esattamente letterale: feci, corpi in putrefazione, ecc.) non sono forse esibiti per – fatti al fine di, destinati a riempire – il LUOGO Sacro della Cosa? Non è forse questa identità la “verità nascosta” dell’intero movimento? Qualsiasi elemento che reclami di diritto di occupare il Luogo Sacro della Cosa non è forse un oggetto escrementizio per definizione, un rifiuto che non può mai essere “all’altezza del suo compito”? Questa identità della definizione degli opposti (l’elusivo oggetto sublime e/o il rifiuto escrementizio) con la minaccia sempre presente che l’uno sconfinerà nell’altro, che il sublime Graal si rivelerà essere un pezzo di merda, è iscritta proprio nel nocciolo dell’objet petit a lacaniano.

Questa impasse è, nella sua dimensione più radicale, l’impasse che influisce sul processo di sublimazione, non tanto nel senso che la produzione artistica non sia più oggi capace di realizzare oggetti semplicemente “sublimi”, quanto in un senso molto più radicale. Si può affermare, infatti, che lo schema fondamentale della sublimazione – quella del Vuoto centrale, dello Spazio vuoto (“Sacro”) della Cosa esonerata dal circuito dell’economia quotidiana, che viene infine riempito da un oggetto positivo che è “elevato alla dignità della Cosa” (definizione lacaniana della sublimazione) – è sempre più minacciato. Ciò che qui è minacciato è proprio lo scarto tra il Luogo Vuoto e l’elemento (positivo) che lo riempie. Quindi, se il problema dell’arte tradizionale (pre-moderna) era quello di riempire il sublime vuoto della Cosa (il Luogo puro) con un oggetto bello – ossia come riuscire ad elevare efficacemente un oggetto comune alla dignità della Cosa – il problema dell’arte moderna è, in un certo senso, quello opposto (e molto più disperato): non si può più contare sul fatto che il Luogo sacro sia lì, pronto per essere occupato dai manufatti umani; perciò il compito è di sostenere il Luogo come tale, per assicurarci che questo stesso luogo “avrà luogo”. In altre parole, il problema non è più quello dell’horror vacui, riempire il Vuoto, ma piuttosto quello, innanzitutto, di CREARE il Vuoto. Diventa, perciò, cruciale la co-dipendenza tra un luogo vuoto, non occupato, e un oggetto elusivo che si muove rapidamente, un occupante senza un posto?

Il punto è che c’è semplicemente il surplus di un elemento rispetto agli spazi disponibili nella struttura, o il surplus di un posto che non ha alcun elemento che lo occupi; infatti, un posto vuoto nella struttura sostiene la fantasia di un elemento che presto o tarsi lo colmerà, mentre un elemento eccedente senza posto sostiene la fantasia di un luogo ancora sconosciuto che lo attende. Il punto è invece che il posto vuoto nella struttura è in se stesso correlativo all’elemento eccedente che manca al suo posto: essi non sono due entità diverse, ma il diritto e il rovescio di un’identica entità, quell’una e medesima entità che si iscrive nelle due superfici del chiasma di Moebius. In altre parole, il paradosso è che soltanto un elemento che è completamente “fuori luogo” (un escremento, un rifiuto o uno scarto) può reggere il vuoto di un luogo vuoto – cioè la situazione à la Mallarmè, in cui “nulla, tranne il luogo avrà luogo”; nel momento in cui questo elemento eccedente “trovasse il posto giusto”, non ci sarebbe più nessuno Luogo puro distinto dagli elementi che lo riempiono.

Ed effettivamente, come suggerisce Gerard Wajcman il grande sforzo dell’arte moderna non è proprio quello di mantenere la struttura minima della sublimazione, uno scarto impercettibile tra il Luogo e l’elemento che lo riempie? Non è questa la ragione per cui il Quadrato nero su Fondo Bianco di Kazimir Malevič riduce il meccanismo artistico alle sue componenti essenziali, alla mera distinzione tra il Vuoto (lo sfondo, la superficie bianca) e l’elemento (la macchia del quadrato)? Dovremmo cioè sempre ricordare che il tempo verbale stesso (il futuro anteriore) del famoso rien n’aura eu lieu que le lieu (“nulla avrà avuto luogo se non il luogo stesso”) chiarifica che abbiamo a che fare con uno stato utopico il quale, per ragioni strutturali a priori, non può realizzarsi nel presente (non ci sarà mai un tempo presente in cui “solo il luogo stesso avrà luogo”). Non è semplicemente che il Luogo conferisca all’oggetto che lo occupa una dignità sublime; è che soltanto la presenza dell’oggetto sostiene il Vuoto del Luogo sacro, ma sarà sempre qualcosa che, retroattivamente, “avrà avuto luogo” dopo esser stato intralciato da un elemento positivo. In altre parole, se sottraiamo dal Vuoto l’elemento positivo, “il piccolo pezzettino di realtà”, la macchia eccedente che disturba l’equilibrio, non otteniamo il puro Vuoto equilibrato come tale; il Vuoto stesso, piuttosto, scompare, non è più lì.

Perciò il motivo per cui gli escrementi sono elevati al rango di opera d’arte, utilizzati per colmare il Vuoto della Cosa, non è semplicemente quello di mostrare come “anything goes – qualsiasi cosa va bene”, come l’oggetto sia, in definitiva, indifferente, dal momento che qualsiasi oggetto può essere elevato ad occupare il Luogo della Cosa: questo ricorrere agli escrementi testimonia, piuttosto, l’ultimo disperato stratagemma di assicurare che il Luogo sacro c’è ancora. Il problema è che oggi, nel duplice movimento della mercificazione progressiva dell’estetica, e dell’estetizzazione delle merci, un oggetto bello (piacevolmente esteticamente) può sostenere sempre meno il Vuoto della Cosa – è come se, paradossalmente, l’unico modo per mantenere il Luogo (Sacro) sia di riempirlo di rifiuti e di escrementi. Gli artisti contemporanei che espongono escrementi come oggetti d’arte, lungi dall’indebolire la logica della sublimazione, in realtà si sforzano disperatamente di salvarla. le conseguenze di questo collasso dell’elemento nel Vuoto del Luogo son potenzialmente catastrofiche: infatti, senza uno scarto minimo tra l’elemento e il suo Luogo, non esiste ordine simbolico: cioè, noi dimoriamo dentro l’ordine simbolico solamente in quanto qualsiasi presenza appare contro lo sfondo della sua possibile assenza (questo è ciò a cui Lacan allude con il concetto del significante fallico come significante della castrazione: è un significante “puro”, il significante come tale, nella sua accezione più elementare, in quanto proprio la sua stessa presenza evoca la SUA STESSA possibile assenza/mancanza).

Forse la definizione più concisa della rottura modernista in campo artistico è proprio che, grazie ad essa, la tensione tra l’Oggetto (arte) e lo Spazio che esso occupa è considerata riflessivamente: ciò che fa di un oggetto un’opera d’arte non sono semplicemente le sue caratteristiche materiali, ma il luogo che occupa, il Luogo (sacro) del vuoto della Cosa. In altre parole, con l’arte modernista, si perde per sempre una certa innocenza: non possiamo più fingere di produrre oggetti che, in virtù delle proprie caratteristiche, cioè indipendentemente dallo spazio che occupano, “siano” opere d’arte. Per questa ragione, l’arte moderna si divide, fin dalle sue origini, proprio nei suoi due estremi, Malevič da un lato, Duchamp dall’altro. da una parte, l’enfatizzazione pura del vuoto che separa l’Oggetto dal suo Spazio (il Quadrato nero); dall’altra, l’esposizione di un oggetto quotidiano (una ruota di bicicletta) come opera d’arte, per dimostrare che l’arte non si fonda sulle qualità dell’opera d’arte, ma esclusivamente sullo Spazio che esso occupa, in modo che qualsiasi cosa, anche se è merda, possa “essere” un’opera d’arte se si trova nel Luogo giusto. E qualsiasi cosa venga fatta dopo la rottura modernista, anche se è un ritorno al falso neoclassicismo alla Arno Breker, è già “mediata” da questa rottura. Prendiamo un realista del XX secolo come Edward Hopper: ci sono almeno tre aspetti del suo lavoro che testimoniano questa mediazione. Primo, la ben nota tendenza di Hopper a dipingere paesaggi urbani di notte, soli, in stanze molto illuminate, visti dall’esterno attraverso una finestra (anche quando la finestra non è direttamente percepibile, il quadro è dipinto in modo tale che lo spettatore sia spinto a immaginare una cornice immateriale e invisibile che lo separa dagli oggetti raffigurati). Secondo, il modo in cui sono dipinti i suoi quadri e la sua tecnica iperrealista, producono nello spettatore un effetto di irrealtà, come se si stesse osservando qualcosa di onirico, spettrale, etereo, invece che comuni oggetti materiali (come l’erba bianca nei suoi quadri campestri). Terzo, il fatto che la serie di quadri raffiguranti sua moglie seduta in una stanza solitaria, fortemente soleggiata, mentre guarda attraverso una finestra aperta, sono percepiti come un frammento disarmonico di una scena globale, che necessita di un supplemento, che rimanda ad un invisibile spazio fuori campo, come il fotogramma di una sequenza cinematografica privo del suo contro-campo (e in effetti si può sostenere che questi quadri di Hopper siano già “mediati” dall’esperienza cinematografica).»*

«Nell’arte di oggi il Reale NON ritorna anzitutto in guisa di scioccanti e brutali intrusioni di oggetti escrementizi, cadaveri mutilati, merda ecc. Questi oggetti, sono, sicuramente, fuori posto – ma perché possano esserlo, il posto (vuoto) deve essere già là, e questo posto è restituito dall’arte ‘minimalista’ a cominciare da Malevič. In questo risiede la complicità tra le due opposte icone del modernismo più estremo, il “Quadrato nero su superficie bianca” di Kazimir Malevič e l’esibizione di Marcel Duchamp di oggetti ready-made come di opere d’arte. La nozione che è implicita nell’elevazione da parte di Malevic di un oggetto comune e quotidiano ad opera d’arte afferma che l’essere opera d’arte non è una proprietà inerente ad un oggetto; è invece l’artista stesso che appropriandosi dello (o piuttosto di OGNI) oggetto e sistemandolo in un posto determinato lo rende opera d’arte, ma del “dove”. E quello che la disposizione minimalista di Malevič fa è semplicemente di restituire – di isolare – questo luogo come tale, lo spazio vuoto (o cornice) che ha la proto-magica proprietà di trasformare qualsiasi oggetto che si trovi nel suo raggio in opera d’arte. In breve non esiste Duchamp senza Malevič: solo dopo che l’esercizio dell’arte isola il posto/cornice in quanto tale, svuotato di tutto il suo contenuto, si può indulgere nella procedura ready-made. Prima di Malevič, un originale sarebbe rimasto solo un originale, anche se esibito nella più rinomata galleria.
L’appropriazione di oggetti escrementizi fuori posto è strettamente correlata all’apparizione del posto privo di oggetto, dello spazio vuoto in quanto tale. Di conseguenza, il Reale nell’arte contemporanea ha tre dimensioni, che in qualche modo ripetono la triade di Immaginario-Simbolico-Reale all’interno del Reale. Il Reale è innanzitutto l’anamorfico scolorimento, l’anamorfica distorsione dell’immagine diretta della realtà – come un’immagine distorta, come una pura apparenza che “soggettivizza” la realtà oggettiva. Quindi, il Reale è come lo spazio vuoto, come una struttura, una costruzione che non è mai qui, direttamente esperita, ma che può essere solo retroattivamente costruita e presupposta come tale – il Reale come costruzione simbolica. Infine, il Reale è l’osceno. Quest’ultimo Reale, se isolato, è un mero feticcio la cui presenza affascinante e accattivamnte maschera il Reale strutturale nella stessa maniera in cui, nell’antisemitismo nazista, l’ebreo come l’Oggetto escrementizio è Il Reale che maschera l’insopportabile Reale “strutturale” dell’antagonismo sociale. – Queste tre dimensioni del reale risultano dai tre modi in cui è possibile acquisire una distanza rispettto alla realtà ordinaria: sottomettendo questa realtà alla distorsione anamorfica; introducendovi un oggetto che in essa non trova collocazione; sottraendo/cancellando tutto il contenuto (gli oggetti) della realtà, in modo che tutto ciò che rimane è lo stesso spazio vuoto in cui questi oggetti sono collocati.»**

* S. Žižek, Il Trash sublime, Mimesis minima, (Milano-Udine), 2013 pp. 33-37
** S. Žižek, The Matrix, Mimesis minima, (Milano-Udine), 2010 pp. 28-29

Alfonso Cataldi

Invisibili

Manca il pane fresco sulla linea di porta
la Var ha deciso l’espulsione dei fornai di zona.

Il grano è in ostaggio negli spogliatoi
«Un sacrificio necessario per salvaguardare le coreografie dentro e fuori lo stadio.»

Le coppie di youtuber sorrisetti fissi lei strilloni lui
fatturano l’identità di Giacomo annoiata sul divano.

Cambiano i lavori, cambiano i nerd.
Il coding ha attecchito tra i frutteti dell’entroterra, lungo i terrazzamenti.

La CGIL ha paura dei tornanti stretti che finiscono nel bosco
Il bosco non tradisce e non fa scherzi.

A Bergeggi le meduse intrattenevano i turisti a riva
nelle retrovie gli inservienti su e giù lungo la spiaggia faticavano ad attirare l’attenzione.

(10/08/2022)

Gino Rago

Esercizi serendipici
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Mostra esistenzialista
John Cage suona il flauto del filosofo Empedocle mentre sulla ventunesima stella piove a dirotto.
*

Fuga da Alcatraz
Il vespasiano in Via dei Dauni aspetta la fine dei fuochi artificiali.

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Gabbia psicologica
Un romanzo di Moravia + una poesia di Sandro Penna x un bicchierino di Rum – “Il nome della rosa” romanzo di Umberto Eco.

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Gabbia ideologica
4 + 4 = Corsivo – Normal = Discorso etero diretto.

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La colomba di Picasso
Era una sera buia e tempestosa. La poiesis ha finalmente fatto ingresso in cucina.

*
Consiglio dell’astrologo
Evitare l’invidia degli specchi quando le lampadine sono fulminate.

*
L’ ospite
Sigillate il futuro in una busta di plastica, lo scolapasta ha litigato con l’appendiabiti Continua a leggere

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Da uno stralcio di Slavoj Zizek, Commenti e glosse di Jacopo Ricciardi, Poetry kitchen di Lucio Mayoor Tosi, Gino Rago, Francesco Paolo Intini, Oramai qui, sul pianeta Terra, non c’è più niente altro da fare che andare a fare yoga o seguire i seminari di teologia e jogging nei parchi, fare antirime agrituristiche alla Umberto Piersanti o dedicarsi alla flat-tax al 15% o al 23% delle parole superficiarie di Franco Arminio, il novello Tagore della poesia italiana

L’Antologia Poetry kitchen in vetrina in una libreria di Peschici

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Vetrina della Libreria di Peschici con la copia della Antologia Poetry kitchen

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Gino Rago

Madame Colasson

Una torta Sacher + biscotti Wafer Saiwa + una porzione di Camembert, paté de foies gras e una bottiglia di Bourbon annata 1997

Brigitte Bardot

Un violino + la somma dei quadrati sui due cateti di un triangolo isoscele + uno Spritz alla albicocca

Francesco Paolo Intini

NEGATIVO

Che vuol dire? La Sindone fa un balzo alla notizia.
-Pericolo scampato di riportarmi a una vita da Dio.

La vita eccitata da un tocco di virus è un via vai di smentite e conferme
E il risultato finale
Ricade in un pascolo di umanissimo non sense

Il politichese fu inventato prima o dopo il poetichese?

Già vedo l’intervallo: -Tityretupatulaerecubans
Ci vorrà tempo per mungerle e ricavarne un po’ di ricotta
Perché caricarle di colpe e sparare alla gola del vicino?

Non si perde energia tra uno schizzo e l’altro del 2022.
Vuoi sapere che fine ha fatto il Covid?

È queste gazze decisamente Blu,
lontane da ogni peccato commesso nel nome del Rosso.

E più in là dell’hula-hoop un giro di valzer in crociera
O forse d’incrociatore o addirittura di portaerei.

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