Archivi del mese: Maggio 2022

Compostaggio in tempo di guerra di reperti, cruciverba, stracci verbali e pensieri compostati e rifritti, Poesia kitchen di Francesco Paolo Intini, Lucio Mayoor Tosi, Marie Laure Colasson, La poetry kitchen è un campo aperto di possibilità stilistiche e linguistiche che trovano luogo in un campo osmotico, di Giorgio Linguaglossa

ucraina-la-bomba-termobarica-di-putin-video-500Esercito russo usa armi termobariche in Ucraina, l’onda d’urto provocata dallo scoppio delle testate: “Ci bruciano vivi” Il filmato, diffuso dal Ministero della Difesa ucraino, mostra l’impiego di lanciarazzi pesanti multipli TOS-1A (noti anche come Buratino) vicino a Novomykhailivka, nella regione del Donetsk, in Ucraina. I missili lanciati dal TOS-1A hanno una testata termobarica. L’esplosione dei missili termobarici avviene in due fasi: la prima a detonare è la testata, formata da due sostanze diverse, che crea una nuvola di aerosol. Quando questa nuvola esplode, la palla di fuoco che si forma sviluppa temperature elevatissime che bruciano l’ossigeno che hanno intorno producendo un’onda d’urto potentissima – che si vede distintamente nel filmato – distruttiva per qualsiasi cosa si trovi nella sua traiettoria. “Le forze armate russe utilizzano le armi non nucleari più pesanti contro gli ucraini, bruciando vive le persone”; ha twittato il consigliere di Zelensky, Podolyak, pubblicando il video sui social. Non è la prima volta che all’esercito russo viene imputato di utilizzare TOS-1A e testate termobariche: anche durante l’assedio di Mariupol erano state raccolte numerose prove a supporto.

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Compostaggio di reperti, cruciverba e stracci verbali

a cura di Giorgio Linguaglossa

Il dove siamo ha poca importanza, tanto la realtà ci riporta sempre a galla.
L’immedesimazione comporta straniamenti emotivi… (Mauro Pierno)

All’apertura del casello segue la caduta di Bisanzio.
Solo perché un ratto s’è messo in testa l’elmo di Nerone
Si apre il ventre di Agrippina. (F.P. Intini)

Ma la risposta non c’è. Kukident, 7 secondi. (L.M. Tosi)
Ascoltare, dove non so e quando – da chi e da cosa? (Antonio Sagredo)
Droni e coccodrilli -stelle sconosciute fino a ieri-
Scendono da Trinità dei monti. (F.P. Intini)

Le poesie sono finestre. Il resto è quel che sappiamo, volgiamo credere, Punto. La vita ricomincia da punto. (L.M. Tosi)

La portulaca fa il filo alle onde gravitazionali
ha zampe di riccio il nuovo soffitto. (Mimmo Pugliese)

È inutile girarci intorno oggi non è più possibile scrivere una poesia sulla guerra, Fondamento del terrore è l’idea che soltanto l’uccisione offra la garanzia del significato. (G. Linguaglossa)

«Ho idea che il passo più difficile, in questa nostra ricerca, sia quello del saper tornare – da un verso metafisico, da un’astrazione – al linguaggio condiviso.» (L.M. Tosi)

Ma il fatto è che quel «linguaggio condiviso» (il linguaggio di relazione e il linguaggio poetico), è la macchina principe della omologazione. (G. Linguaglossa)

Rileggo. Non sono poesie sulla guerra, sono poesie scritte in tempo di guerra. (L.M. Tosi)

Le potenze, gli stati-potenze sono universi semantici, si muovono nell’ordine di UN discorso (del soggetto); gli stati-colonie (come l’Europa) sono universi semiotici (cioè senza soggetto). (G. Linguaglossa)

Marie Laure Colasson

dalla mia raccolta in corso di stampa: Les choses de la vie, un’anticipazione della guerra in Ukraina (sono sempre in guerra!), poesia scritta nel 2021 –

[Le Maschere: il clown pailleté, la blanche geisha, Eredia, Edith sono le personificazioni dell’Altro, indicano (al contrario dell’impiegato Bartleby che dice sempre “Preferirei di no”), l’atto affermativo, il dire “Sì” ad una esistenza voluttuosa, fatta di lusso, di «lux, calme et volupté» di baudelairiana memoria); il dire “Sì”, è ben più reattivo e rivoluzionario del dire “No”. “Sì” alla vita sensuosa e sensibile, “Sì” al principio di Piacere, “Sì” al principio della jouissance, respingimento del principio di Realtà e della Guerra sua consorte fedifraga. In una parola “Sì” al rovesciamento della realtà. (m.l.c.)]

33.

Un clown pailleté d’un cirque en déroute
ignore le monde qui s’écroule autour de lui
Eredia tient sa tristesse à distance
met un masque pour déguiser son angoisse

Les yeux émerveillés Edith regarde une plume blanche
suspendue entre ciel et terre

La blanche geisha à fleur de rêve
écarte les ombres qui dansent sur le sol

Un fou sanguinaire en quête de mort
fait jouer les ressorts cachés de son triomphe

Tourbillon entrechoquement d’objects isolés
un violon luisant un ventilateur argenté

Un vase d’excrément un archet des cordes des poignards
tout conspire aux raffinements de la cruauté

Eredia la blanche geisha Edith entrainent le clown
loins du terrificant fracas métallique

ne laissant à terre que fragments décousus

*

Un clown con le paillette d’un circo in rovina
ignora il mondo che crolla attorno a lui

Eredia tiene la tristezza a distanza
indossa una maschera per dissimulare l’angoscia

Gli occhi stupefatti Edith guarda una piuma bianca
sospesa tra cielo e terra

La bianca geisha ai fiori di sogno
scarta le ombre che danzano sulla strada

Un folle sanguinario cerca la morte
fa giocare le molle nascoste dal suo trionfo

Vortici intersezioni di oggetti isolati
un violino lucido un ventilatore argentato

Un vaso d’escrementi un archetto delle corde dei pugnali
tutto cospira alla raffinatezza della crudeltà

Eredia la bianca geisha Edith trascinano il clown
lontano dal terrificante fracasso metallico

non lasciando a terra che frammenti scuciti

Pensieri compostati e rifritti

Ecco un pensiero di Derrida estrapolato dal contesto filosofico e psicanalitico in cui è nato ma che noi possiamo applicare tranquillamente al nostro progetto per una nuova fenomenologia del poetico, per la poetry kitchen, per la «poesia-polittico» o la «poesia compostata» nella quale non solo il «pensato» trovi posto ma anche e soprattutto il «non-pensato», il «de-negato», l’«impensato», il «non-tematizzato», il «punto di vista scentrato», l’«incorporazione», la «parallasse», il «compostaggio», l’«esproprio» citazionale, il «montaggio».

Questi pensieri compostati e rifritti sono possibili soltanto in un contesto di democrazia liberale. Ve lo figurate voi un tale armamentario concettuale in un movimento poietico nella Russia di Putin? o in qualsiasi altra zona del mondo a autocrazia illimitata, come nella Bielorussia di Lukashenko, nella Cina o nella Corea del Nord o in Afghanistan? Lì la poesia non può allignare se non nella forma forbita ed educata del discorso suasorio di un io magari post-lirico. Qui da noi almeno si ha un certo spazio di libertà per la ricerca.

Il semplicismo intellettuale di una forma-poesia incentrata sul discorso assolutorio dell’io post-lirico quale epicentro del reale è, dal nostro punto di vista, del tutto fuorviante e secondario; l’io è un «limite del mondo», come afferma Wittgenstein, non il suo centro e nemmeno il suo epicentro. Nella «nuova poesia polittico», l’io è un punto di vista periferico tra innumerevoli, infiniti altri punti di vista periferici e scentrati. E nient’altro.

«Il semplicismo del “questo è stato pensato” o “questo non è stato pensato”, il segno ne è presente o assente. S è P.. Si sarà allora tenui nel rielaborare completamente tutti i valori, essi stessi distinti (fino a un certo punto) e spesso confusi dell’impensato, del non-tematizzato, dell’implicito, dell’escluso sull’esempio della forclusione o della denegazione, dell’introiezione o dell’incorporazione, etc., silenzi che lavorano come tante tracce un corpus da cui sembrano “assenti”».1

La poetry kitchen è un campo aperto di possibilità stilistiche e linguistiche che trovano luogo in un campo osmotico

Un nuovo linguaggio poetico può sorgere soltanto quando il precedente linguaggio poetico è caduto nell’oblio. È quando cade il linguaggio poetico di Zanzotto e di Fortini che si profila all’orizzonte il nuovo linguaggio poetico. Una patria linguistica sorge e si afferma soltanto quando un’altra patria linguistica scompare.

Pensiamo un momento alla «patria linguistica» che noi siamo, che noi siamo diventati. Sono portato a pensare che il linguaggio poetico propriamente non esista, sia un non esistente, un non esistente in atto, cioè in presenza.
La costruzione di un nuovo linguaggio poetico non può mai sortire dai linguaggi precedenti o coevi per, diciamo così, filiazione diretta o indiretta; non c’è una linea di continuità o di discontinuità che ci può ricollegare ai linguaggi precedenti o coevi. Questa è l’idea del riformismo moderato applicato ai linguaggi che pensa di poter progredire in linea retta da un linguaggio poetico all’altro. Bisogna pensare a questa problematica mediante un altro apparato concettuale: è mediante la dialettica del negativo che possiamo afferrare questo concetto. Questa è una aporia che bisogna accettare. È una contraddizione incontraddittoria.

Quello che si può fare, e che noi stiamo tentando di fare, è costruire le cornici, le coordinate di un nuovo linguaggio poetico, e nient’altro. La poetry kitchen è appunto questo «contenitore dinamico» che però si scava la fossa nel momento in cui emerge, nel mentre cioè che scava il fossato che la divide dai linguaggi poetici del pregresso e del contemporaneo. Ecco perché il «contemporaneo» e il «nuovo» sono categorie che oggi sono diventate vuote, gassose, che non appena le afferri si sbriciolano tra le dita e volano via nell’aria. È per via del «frammezzo» (Das Zwischen) che la nuova poiesis può emergere, da una zona larvale e limbale che non sta né qui, nel mondo empirico, né là, nel mondo non empirico.

«Le difficoltà non risiedono nelle nuove idee ma nel sottrarsi alle vecchie che ramificano in ogni angolo della mente». (Keines)
«Non esiste un sistema che non sia instabile e che non possa prendere svariate direzioni». (Ilya Prigogine)

La nuova ontologia estetica segue il medesimo ordine di idee del grande chimico russo. Parafrasandolo potremmo dire che «la forma-poesia è un sistema instabile, e che non esiste un sistema instabile che non possa prendere svariate direzioni». È fondamentale la dimensione caosmotica e caosferica in ossequio a quella filosofia pratica e mondana, a quella prassi tipica della poiesis kitchen a cui si è accennato con la citazione di Prigogine. La zona di indeterminazione, è una zona stilisticamente sismica, altamente instabile e infiammabile che connette il fuori, con il dentro, che riesce a dentrificare il fuori e fuorificare il dentro, coltivare un immaginario, sortire fuori dalla nostra zona di comfort normografico e normologico ed entrare in una zona di indeterminazione e di indifferenziazione entro la quale costruire un crocevia d’incontri, un assemblaggio, un patchwork, compostaggi, story telling, puzzle dinamici e instabili, autobiologie, giustapposizioni di registri stilistici e lessicali, quello che Pasolini chiamava «multistilismo e multilinguismo». L’entanglement che si rinviene così di frequente nella poesia della nuova ontologia estetica o poetry kitchen è un concetto molto diverso dalla empatia che si ha nel discorso poetico epifanico della tradizione novecentesca (che oggi continua per esempio nei poeti in dialetto); nei testi odierni in lingua si ritrova l’empatia piuttosto che l’apatia, la ierofania piuttosto che la diafania, il sacro-sublime piuttosto che il profano; posizione comprensibilissima, in linea di continuità con la poesia epifanica di un Ungaretti e del primo Montale, il che in sé non è un disvalore ma segna una distanza considerevolissima rispetto alla poesia del profano che si tenta di perseguire con la poetry kitchen.

1 J. Derrida, La carte postale. De Socrate à Freud et au-delà, 1980 Flammarion, Paris – trad it. La carte postale Da Socrate a Freud e al di là, Milano Mimesis, 2015 pp. 508 € 28, a cura di Luana Astore, Federico Massari Luceri e Federico Viri. p. 359

Francesco Paolo Intini

MAGNESIO MANDA A DIRE A CALCIO

È una storia di lavatrici. Beghe tra detersivi e panni zozzi
–quelle da pubblicità che non ce la fanno a sostenere il prezzo-.

Candeggiare liquido o solido?
Meglio il programma ad acqua bollente?

Gli eventi si incurvano nel cestello.
Vendetta si siede al centro del programma
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Chi potrà difendersi dalla centrifuga?
A forza di gravitare attorno i linguaggi scambiano colore.

Visti dall’oblò gli uccelli rotolano a terra.
I nomi lasciano lettere alla rinfusa.

Basta aprire un vocabolo per trovare il tuorlo
ma si discute su un beccuccio di rondine

Bisogna togliere il calcare e sperare che il telecomando obbedisca agli ordini.

La possibilità che la madre abbandoni la partita
è proporzionale al mutuo da pagare.

Si farà un concerto per distinguere l’albume
Decidere se al contrario il giro è più rotondo.

Lucio Mayoor Tosi

Le poesie sono finestre. Il resto è quel che sappiamo, volgiamo credere, Punto. La vita ricomincia da punto.

Scrivila durante il film. Io intanto lavo i piatti.

È poesia moderna, piace a persone che guardano
fiction televisive.

19 bambini uccisi. Gesti sulle guance dei defunti.
Scrivere. Albeggiare, verbo, allontanarsi. Casa dei sogni.

Silenzio in luoghi remoti. Dormire in quel che c’è.

Reale fantasia domestica, come trovarsi a un passo
dal suicidio in metrò. Ma uscirne indenni, dopo essere
morti.

Amici. Pellicani. Oroscopo dei Mille. Donat-Cattin,
per una sinistra rigogliosa.

Guerra è rallentamento. Nero di seppia. Il secolo andato,
vissuto in fretta.

Ma la risposta non c’è. Kukident, 7 secondi.

O torna dagli amici. Sai che ci siamo. Ma non è detto.
E tu non ti offendi.

Marie Laure Colasson

Sì, «È una storia di lavatrici. Beghe tra detersivi e panni zozzi»

e tutto il resto. Qui, nella poesia di Intini, è evidentissimo che qualcosa è successo al linguaggio, che il linguaggio è stato fatto sloggiare dalla casa dell’essere e se ne è andato in giro per fatti suoi, le parole non corrispondono più alle parole, il luogo delle parole non è più un luogo, la guerra ha reso evidentissima questa situazione del linguaggio poetico, in particolare ciò è visibile in Italia dove il linguaggio poetico si è imbolsito in un formulario protocollare. E allora che fare?
Intini scrive:

Bisogna togliere il calcare e sperare che il telecomando obbedisca agli ordini.

Con la guerra in corso si è reso evidente ciò che era visibile anche prima: la scomparsa definitiva della sacralità del luogo dove avveniva l’epifania della parola poetica (da Ungaretti a Montale passando per Sanguineti e Pasolini fino a Franco Fortini). Il luogo così desacralizzato è diventato un non-luogo, ecco perché la NOe impiega i linguaggi della zona da indistinzione, delle zone di compromissione, che sono quei linguaggi che dimorano negli interstizi dei linguaggi ufficiali. Prendiamo ad esempio i discorsi del ministro degli esteri russo Lavrov: lì è evidentissimo che si parla di cose che si trovano in un altro universo di parole, non solo le cose e le parole sono ribaltate, ma di più: le parole hanno perduto la connessione con le cose e i fatti, si parla di cose e fatti di un altro universo parallelo. In questo ruolo Lavrov è un campione di disinformazia. Non è un caso che la disinformazia sia un tropo retorico impiegato di continuo dalla poetry kitchen e da Intini in particolare: disinformazia x disinformazia = altra disinformazia, tutte le parole sono andate al macero della loro insignificanza. Il di più di informazione e il di meno di informazione alla fine si equivalgono. Scrive Intini:

A forza di gravitare attorno i linguaggi scambiano colore.

È che cadute le paratie tra la cornice e il quadro, ciò che è rimasto è uno spazio vuoto, o meglio, uno spazio riempito di parole melliflue che ridondano la propria insignificanza. Le parole sono giunte al limite della feticizzazione, sono ipersignificative al punto che appena un passo e non significano più niente, si apre il baratro della credulità popolare degli asini che volano e delle trecce bionde di Cenerentola. Oggi le parole sono diventate ipersignificative, in quanto si sono gonfiate dagli estrogeni della propaganda e della pubblicità, rivelano uno scarto. Quello scarto, appunto, rivela la verità delle parole scartate.

Giorgio Linguaglossa

Heidegger in Essere e tempo scriveva (1927) che è il nostro «destino» esser gettati in un orizzonte storico contingente e insuperabile: e indicava i lineamenti della finitezza storica di ogni ente; il filosofo tedesco ha approfondito la fenomenologia del Dasein irretito nella gettatezza del mondo storico e dell’orizzonte degli eventi, di qui la tesi della «decisione anticipatrice» e dell’essere-per-la-morte… ma non ci ha detto nulla della differenza tra le micro decisioni del Dasein e le macro decisioni del mondo storico che imprimono una svolta storica agli eventi, il filosofo ha obliterato del tutto il mondo storico, sicché il Dasein appare deiettato e abbandonato tra gli eventi senza possibilità di autenticità o di riscatto.
C’è in Italia (l’anello debole dell’Europa occidentale), è percettibile nell’opinione pubblica italiana, uno smarrimento delle coscienze e delle opinioni e un ritorno al fatti i fatti tuoi, a un’ermeneutica dell’individualismo e del cinismo generalizzato e retrogrado che sospinge al menefreghismo e al qualunquismo, e quindi alle varie forme di sovranismo retrogrado e reazionario.

Forse dobbiamo tornare ad essere ingenui, come i selvaggi di Rousseau. E chiederci: «Che cos’è questo?», «Che cos’è quello?», «Chi ha cancellato l’Orizzonte?», «E perché?», «Chi ci ha fatto cadere?», «E perché la caduta continua?», come scrive Tadeusz Różewicz?, «Chi ha decretato la caduta di tutto?», «Perché cadiamo da tutte le parti?», «Perché abbiamo Sua Maestà il Nulla?», «Perché abbiamo Sua Maestà il Vuoto?», «Perché abbiamo Sua Maestà l’Ombra?»…
Scrive Nietzsche: «Noi lo abbiamo ucciso – voi e io!.. Chi ci ha dato la spugna per cancellare l’intero orizzonte?… Dove ci muoviamo? Non cadiamo forse continuamente?… Indietro, e di lato, e in avanti – da tutte le parti?».
Mi sembrano domande alle quali un poeta degno di questo nome non dovrebbe sottrarsi. E invece, si continua a fare poesia del quotidiano e degli oggetti. Ma quale quotidiano? Quali oggetti? Quale Io?, ma non ci rendiamo conto del pericolo in cui siamo “Caduti”? –
Penso che occorra fare una poiesis totalmente differente da quella che si fa oggi. Una poiesis che parli stabilmente con Sua Maestà il Nulla, Sua Maestà il Vuoto, e Sua Maestà l’Ombra.

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È possibile oggi scrivere una poesia sulla guerra? di Marie Laure Colasson, Poesie all’epoca della guerra in Ucraina di Francesco Paolo Intini, Giorgio Linguaglossa, Mimmo Pugliese, Mauro Pierno, Lucio Mayoor Tosi, È inutile girarci intorno oggi non è più possibile scrivere una poesia sulla guerra, Fondamento del terrore è l’idea che soltanto l’uccisione offra la garanzia del significato

Ritratto di Giorgio Linguaglossa

foto di Marie Laure Colasson, Ritratto di Giorgio Linguaglossa al tempo della guerra in Ucraina, 2022

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Marie Laure Colasson

 È possibile oggi scrivere una poesia sulla guerra?

È inutile girarci intorno oggi non è più possibile scrivere una poesia sulla guerra, per una semplice ragione: è la vita elementare, la vita quotidiana degli uomini delle democrazie neoliberali che è diventata una guerra permanente: andiamo in guerra tutti i giorni, tutti sono già preparati fin dalla culla ad andare in guerra, è una guerra generale e generalizzata, viviamo in una zona di conflittualità permanente e di permanente regime di esclusione (i più forti escludono i più deboli, i ricchi escludono i poveri, i mascalzoni gli onesti). Viviamo e prosperiamo in un regime ad esclusione portabile, controllata e irreggimentata, siamo entrati nell’epoca delle democrazie dell’esclusione controllata e auto controllata, con il premio di consolazione del sussidio di cittadinanza. La Nuova Ontologia Estetica e la poetry kitchen derivano dalla presa di conoscenza di questa situazione globale. Il modernismo è finito. Chi scrive alla maniera lirica e postlirica è un confidente e un connivente di questa situazione politica di stallo stilistico. È inutile girarci intorno: le democrazie neoliberali se vorranno sopravvivere in Occidente devono trovare il coraggio di fare delle riforme drastiche: togliere ai ricchi e agli straricchi per devolvere parte di questa ricchezza smodata ai poveri, rimettere in moto l’ascensore sociale, aprire gli spazi di libertà. Brodskij è stato un poeta del modernismo europeo, la poesia “Lettera al generale Z” risale al 1968, alla invasione di Praga; oggi, con la guerra di invasione dell’Ucraina prendiamo atto che il modernismo è morto e sepolto, scrivere una poesia della memoria o una poesia sulla guerra sarebbe kitsch, un esercizio alla maniera degli anni Sessanta. Brodskij intelligentemente ha aggirato il problema: ha fatto una poesia contro il “generale Z.” non contro la guerra in modo generalizzato. Torniamo all’oggi, chiediamoci: come è possibile che Putin e il suo regime autocratico abbia raccolto e raccolga tuttora tra i disgraziati e i poveri tanto consenso? La domanda è perentoria e richiede una risposta. Io penso che qui in Europa si può rispondere rilanciando la democrazia, con delle riforme, rimettendo in moto la democrazia. In Russia la democrazia non c’è mai stata, ma qui  in Italia e in Europa occorre da subito rafforzare la democrazia, soltanto costruendo un più di democrazia si potrà porre un argine alle smanie di potenza dell’élite di professionisti che ha fatto il suo apprendistato tra le file del KGB. Ma quello che c’è di più allarmante è vedere quanti appoggi e approvazioni indirette goda Putin e il suo regime tra le masse degli italiani e tra i partiti italiani di destra e anche in parte di sinistra. Come si può spiegare questo fatto? Come è stato possibile? – ma questo è un problema tutto italiano, squisitamente italiano.

Giorgio Linguaglossa

Negli anni che vanno dal 1914 al 1945 l’Occidente ha messo in atto, senza averne coscienza, un vero e proprio tentativo di auto annientamento. La guerra fredda che è seguita è stato un interludio di pace, armata ma di pace. Oggi con la guerra di invasione dell’Ucraina qui in Europa siamo entrati in una nuova era che però ci è ignota, in un certo senso noi siamo gli abitanti dell’ignoto. Non sappiamo se un’altra epoca si aprirà davanti a noi o se ci sarà il diluvio. Auden titolò L’età dell’ansia un poemetto ambientato in un bar di New York verso la fine della seconda guerra, oggi non so quale sarà il titolo di un libro di poesia che passerà ai posteri, forse il libro di Francesco Paolo Intini, Faust chiama Mefistofele per una metastasi (2019). Il titolo del mio libro che sto per dare alle stampe è Distretto n. 18. Ora che ci penso la parola «distretto» è un termine militare, siamo già tutti militarizzati senza saperlo e senza volerlo, viviamo in una zona altamente militarizzata in quanto disponiamo di un inconscio storico de-politicizzato e di una vita privata de-privata in via di privatizzazione progressiva. La nuova militarizzazione delle coscienze si avvale di una vita privata che è stata de-privata, che è incapace di esperire esperienze, si oscilla tutti tra turismo e terrorismo. E questo lo troviamo accettabile.

«Fondamento del terrore è l’idea che soltanto l’uccisione offra la garanzia del significato. Tutto il resto appare labile, incerto, inadeguato.
[…]
Nello stadio ultimo della sua formazione, il terrorismo islamico coincide con la diffusione della pornografia in rete, negli anni Novanta. All’improvviso si trovarono davanti agli occhi, facilmente e perennemente disponibile, ciò che avevano sempre fantasticato e desiderato. e che al tempo stesso svelleva l’intero assetto delle loro regole riguardo al sesso. Se quella negazione era possibile, tutto doveva essere possibile. Il mondo secolare aveva invaso la loro mente con qualcosa di irresistibile, che li attirava e al tempo stesso li irrideva e li esautorava. Senza uso di armi – e oltretutto non ammettendo o esigendo la presenza del significato. Ma loro sarebbero andati oltre. E, al di là dal sesso, c’è solo la morte. Una morte sigillata dal significato».1

1 Roberto Calasso ne L’innominabile attuale (Adelphi, 2017 p. 14)

Francesco Paolo Intini

“A questo punto interviene il Re:-il mondo va corretto termodinamicamente”

La coda di lucertola era parte del Logos-animale vissuto nel Pleistocene-
Ma si muove ancora, sbattendo la punta come una banconota l’Europa

Ed è di qua che si assiste alla caccia e di là che ricrescono i T-Rex
Tra i pastelli c’è ressa a ricostruire giungle. Il pollo si lascia dipingere su Pasifae.

Subentrano i missili ad personam-L’atomica tattica nel marsupio-
Tanto per umiliare l’amor proprio delle melanzane ed esaltare il cavolfiore.

Un grido:- Perché m’hai riportato al mercato?
I vocaboli vanno dal parrucchiere ad aggiustare la dentiera.

Se la zucca si spacca in due, nessuno è in grado di fermare i semi
Cocomeri e meloni si rompono a catena.
Pesche e albicocche distruggono l’Italia.

E dunque cos’è massaciquadro nella polpa delle nazioni?

Lucio Mayoor Tosi

È da un po’ che non scrivo. Ho chiesto al medico,
dice che sua moglie lo ha lasciato. Ha iniziato a scrivere.

– Ama quel che le pare. Si veste come una pazza. Si lascia rapire
da un verso. Sa, dice, implora; cioè, lo pensa. Non la senti parlare.
La casa (un) fai-da-te.

– “La rondine al tetto”. Libro per prostitute; scritto a quattro mani
con canterina che squilla – si vede che sta bene, neanche guarda
i tasti… vola!

L’arretrato del tutto, signor accapo.

– Dice di essere turca. Ha le lentiggini. Si esprime con gesti.
È muta.

Ci siamo. Tra sei ore gli occhi saranno chiusi. Strano destino.

– Sempre facendo gesti canta Fiume di parole tra noi.

Più in basso, le Dolomiti.

 

Mauro Pierno

Il dove siamo ha poca importanza, tanto la realtà ci riporta sempre a galla.
L’immedesimazione comporta straniamenti emotivi…

“il fumo delle sigarette tra gli scaffali e le bibite lasciate a metà, le mani
che si stringono alle maniglie, ai corrimani…”(Linguaglossa)

“-E dunque, mio caro animale, ognuno ha la voce che si merita.” (Tosy)

“-Ho una pupilla ballerina!
-No! No! Ha l’occhio pigro! Sentenziò l’oftalmico.”(Gallo)

“Stanotte la campagna è blu
nella mansarda è fiorito il baobab” (Pugliese)

… che tracciano un atemporalità. Tanto la realtà ci riacciuffa sempre.
Forse il tentativo di questa nostra poesia è già una sorta di ricostruzione, dopo un enne tempo.
C’è un tempo, uno spazio, dove tutto questo pensiero poetico può avverarsi!
Una sorta di sottinteso emotivo risucchiato da un gigantesco buco nero.
La felicità della poesia kitchen è una sorta di forte aspirazione.
L’atto di essere aspirati!
Non ispirati.

La poesia di Intini e di Mauro Pierno prende atto che ormai si può scrivere poesia soltanto facendo riferimento ad un ordine delle parole che è saltato, come del resto l’ordine dei fatti, su una sterminata quantità di guerre glocali (162 su tutto il pianeta) che sono il contraltare delle guerre globali (quelle non combattute con le armi ma con gli strumenti del web e delle Agenzie di Affari Riservati, per il tramite delle bande guerresche Wagner e similari).

«Non esiste più uno spazio circoscritto e sommariamente regolamentato entro cui si svolge la politica», commenta Roberto Calasso nel libro sopra citato a pag. 35, il quale così continua: «Nel 1967 Kissinger afferma: Non sarà possibile concepire un ordine internazionale se la regione entro cui si svolgono la sopravvivenza e l’evoluzione degli Stati rimane senza regole internazionali di condotta ed è abbandonata a decisioni unilaterali». Definizione dove Kissinger è costretto a mescolare linguaggio vestfaliano e linguaggio del cyberspazio.
[…]
Henry Kissinger avviò la sua carriera con un solo libro sul Congresso di Vienna. Passato dagli studi alla politica attiva, tentò in ogni modo di applicare quella che ha chiamato politica “vestfaliana”, quindi basata sull’equilibrio fra le potenze, introdotto nel trattato di Vestfalia del 1648 e riformulato per un’ultima volta nel 1815 con il Congresso di Vienna. e, finché durò una opposizione polare USA e URSS, quel principio trovò un ulteriore corollario, puntando questa volta sulla deterrenza nucleare e sulla spartizione delle aree di influenza. Ma dopo? Un ordine fondato sull’equilibrio delle potenze è diventato inattuabile, innanzitutto perché le potenze non si oppongono più frontalmente, ma su più lati. E non condividono neppure il principio della spartizione delle aree di influenza. (p.35)

 

Kitsch poetry

Il coccodrillo rivolge la parola ad un armadio, gli dice:
«Il pollo si cuoce nella carta stagnola».
Così avvenne che il Congresso di Vienna adottò il significante.
I think tank hanno sfornato un mandolino che suona “O sole mio” sul lungomare di Posillipo.
Il sindaco di Napoli però ha preso le distanze.
Parole vestfaliane si mischiano a quelle basedowike di una poesia sagrediana in modo che si possano mangiare in un panino imbottito.
L’Agenzia Affari Riservati del Signor Putler ha inviato un logogramma al Signor Dio, c’è scritto: «Chiuso per lutto».
«Chi controlla il passato controlla il futuro e chi controlla il presente controlla il passato»
mormorò il poeta Antonio Sagredo
il quale non si mosse dal busto in marmo sito in villa Borghese accanto a quello di Ugo Foscolo dove lo aveva piazzato un’ordinanza di papa Pio IX.
Uno stuolo di pappagalli passò di lì e ci fece la cacca.
Così avvenne che la tgirl Korra delle Amazzoni scambiò il fotoreporter del TG1 per il Macho Zozzilla noto attore del film porno intitolato “Il gorilla dello Zoo di Atlanta e la Signorina Biancaneve”.
Il che produsse sconcerto e imbarazzo presso gli utenti della pellicola.
La mannequin Clizia Sosostris in monokini ha dichiarato ai followers di Tic Toc: «Non diventate quello che vi hanno fatto».
In tutto questo trambusto un treno carico di uova fritte entrò direttamente nella suite dove Biancaneve stava girando una scena porno con i sette nani, causando scompiglio e sbigottimento.
Che è che non è, per porre fine a queste ipotiposi alla fine è intervenuto il Signor Dio,
il quale disse:
«Il mondo va corretto in una camera iperbarica ad alta densità di neutrini e positroni»
«E così sia»

Mimmo Pugliese

Non ti sei fidato

Non ti sei fidato
hai continuato a guardare il prato deserto

Il volo che hai sulle spalle
asperge tulipani e ciba cicogne

Una piccola voglia di caffè sul collo
sversa sulle canne dei fucili

Avevi la luna nel piatto
quando ti sei alzato e guardato fuori

Passavano bighe che trinciavano stricnina
avevano martingale di rovi

Domani le aquile dormiranno
i bambini mangeranno gelati alla frutta

Stringono i pugni le colonne
samurai vestito da lince accende fuochi

La portulaca fa il filo alle onde gravitazionali
ha zampe di riccio il nuovo soffitto

Sa di legno la fila di notti
che dalle grondaie spara ai papaveri

Tappeti persiani spezzano il sonno ai pattini a rotelle
l’ultimo brindisi è per l’acrobata cieco

Non ti sei fidato
polpastrelli di saccarina rovesciano il muro del suono

*

Per Wittgenstein le parole, le proposizioni valgono in quanto si riferiscono a contesti d’uso: «Che questa o quest’altra proposizione non abbia senso, è significativo in filosofia; ma significativo è anche che suoni comica», afferma il filosofo austriaco. La caratteristica più importante di questa nuova strategia riguarda l’apparenza di nonsenso che si produce nell’uso di giochi linguistici per esprimere esperienze nuove. È possibile individuare due conseguenze importanti per la riflessione del secondo Wittgenstein sul ruolo della filosofia e sull’etica: i giochi linguistici che utilizzano parole o espressioni insensate in relazione ai contesti d’uso della vita di relazione esibiscono questa apparente insensatezza solo perché impiegate in modo nuovo e inconsueto come reazione linguistica al presentarsi di una nuova esperienza. È quanto accade nella poetry kitchen, nella quale sono i contesti di uso delle parole che vengono cambiati. Non avrebbe senso parlare di insensatezza della poetry kitchen se noi considerassimo la questione dal punto di vista delle parole secondo i tradizionali contesti di uso. (g.l.)

Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. È in corso di stampa per Progetto Cultura di Roma la sua prima raccolta poetica, in edizione bilingue, Les choses de la vie.

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Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie.

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Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma (via Pietro Giordani, 18 – 00145). Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle).
Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, sempre per le edizioni EdiLet di Roma pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italiano/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019.
Nel 2014 fonda la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue nella ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato  un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, poesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo.

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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. 

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Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di  alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014), Compostaggi (2020). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”.

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Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York.  Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti.

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Iosif Brodskij (1940-1996), Lettera al generale Z. (1968), Brodskij e la Guerra, inedito, prima traduzione italiana a cura di Donata De Bartolomeo e Kamila Gayazova

Onto brodskij

Iosif Aleksandrovic Brodskij è nato a Leningrado nel 1940. Nel 1964 fu arrestato con l’accusa di parassitismo e condannato, dopo un processo che scatenò violente reazioni nell’opinione pubblica mondiale, a cinque anni di lavori forzati. Rilasciato dopo 18 mesi tornò a vivere a Leningrado. Nel 1970 fu costretto dalle autorità sovietiche a emigrare. Si stabilì in USA, dove tenne corsi in varie università e svolse un’ampia attività pubblicistica oltre che poetica. Brodskij ha esordito pubblicando nel 1958 alcune poesie in una rivista clandestina. Venne subito riconosciuto come uno dei lirici più dotati della sua generazione. Ebbe il sostegno di Anna Achmatova che gli dedicò una delle sue raccolte (1963). Dopo il rilascio seguito alla prima condanna, si dedicò soprattutto alla traduzione di poeti inglesi (Donne, Hopkins). La sua raccolta di versi Fermata nel deserto, in cui l’introspezione con venature ironiche si unisce all’afflato metafisico, uscì a New York nel 1970 confermando lo straordinario estro poetico di Brodskij. Dopo l’emigrazione tenne corsi in varie università e svolse ampia attività pubblicistica (Fuga da Bisanzio (Less than one), 1986) e poetica (Elegie romane, 1982). Nel 1987 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, e nel suo discorso a Stoccolma individuò le radici della sua opera di classico contemporaneo in quattro poeti: Anna Achmatova, Marina Ivanovna Cvetaeva, Robert Frost e W.H. Auden. Le motivazioni del Nobel: “for an all-embracing authorship, imbued with clarity of thought and poetic intensity”. Nel 1991 fu nominato poeta laureato degli Stati Uniti. Morì nel suo appartamento di Brooklyn per un attacco di cuore il 28 gennaio 1996. Innamorato dell’Italia, espresse il desiderio di venire seppellito a Venezia, città di acqua e canali come la natale Leningrado, e lì ha trovato per sempre riposo.

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IOSIF BRODSKIJ E LA GUERRA

 Nell’esemplare appartenuto all’autore del secondo tomo dei “Componimenti di Josiph Brodskij”, dopo la data 1968, veniva annotato: ”autunno; dopo l’invasione della Cecoslovacchia”. È plausibile che il modello della poesia fu suggerito a Brodskji dalla “Lettera al generale X“ di Antoine De Saint-Exupèry, uno degli scrittori preferiti della sua giovinezza. Pervaso dal pathos del pacifismo e dell’antitotalitarismo, il saggio fu scritto nel 1943 in una base militare del Nord Africa due mesi prima della morte dello scrittore e pubblicato postumo. In Russia circolò nei samizdat nella traduzione di Marina Kazimirovna Baranovich.

In Brodskij la Lettera al generale Z acquisisce una connotazione maggiormente ironica conservando, tuttavia, l’ambientazione tropicale che ricorda i film sulle imprese della Legione Straniera o di altri corpi di spedizione nei paesi caldi. In tal modo, a paragone delle posizioni di Brodskij su altre imperialistiche azioni del potere sovietico (vedi la poesia non pubblicata sulla rivoluzione ungherese del 1956), la Lettera al generale Z fu scritta in uno stile più iconoclastico, simbolico. Una particolare attenzione merita la ricorrente topica del gioco delle carte, l’iniziale calembour – carte geografiche/carte da gioco – della prima strofa che richiama l’avventurismo, il barare, lo spreco.

Un possibile impulso alla genesi del motivo delle carte fu il racconto, noto a Brodskji, della vedova di Bulgakov sull’incontro con Saint-Exupèry presso il consigliere dell’ambasciata americano a Mosca il primo maggio del 1935: ”Il francese – che risultò essere anche un pilota – raccontava dei suoi pericolosi voli. Faceva vedere inconsueti giochi di prestigio”.

Nei dettagli “LGZ” richiama sia la poesia del poeta americano Reed Whittemor Un giorno con la Legione Straniera, che Brodskji tradusse, che la lettera da lui scritta a Breznev sebbene qui il destinatario del poeta sia un’entità più surreale. Giova aggiungere che Brodskij rimandò la composizione di “LGZ” ai versi da lui composti sotto l’influenza poetica di Auden:

  “Ancora più acutamente il tema della responsabilità per gli atti storici della patria appare in Brodskij come un particolare sentimento di vergogna, disonore. Alla domanda se ci fossero stati momenti in cui aveva fortemente desiderato fuggire dalla Russia, rispose: «Sì, quando nel 1968 i carri armati sovietici invasero la Cecoslovacchia. Allora, ricordo, ebbi la voglia di fuggire ovunque possibile. Prima di tutto per la vergogna. Per il fatto che appartengo allo stato che compie queste azioni. Perché, bene o male, parte della responsabilità ricade sempre sul cittadino di questo stato». Reagì all’occupazione della Cecoslovacchia con la “LGZ”, il cui protagonista, un vecchio soldato dell’impero, si rifiuta di combattere. (dal libro di Lev Losev Josiph Brodskij, 2006)  

Stefania Pavan, saggio su Odissej Telemaku  (Odisseo a Telemaco) di Iosif Brodskij – La guerra di Troia / è terminata. Chi abbia vinto, non lo ricordo).

LETTERA AL GENERALE Z
La guerra, Vostra Grazia, è solo un gioco vuoto.
Oggi – fortuna e domani – un buco.
(Canzone sulll’assedio de La Rochelle) (1)

foto Kharkiv

Much-loved pub destroyed
In the city of Kharkiv, in north-east Ukraine, the beloved Old Hem bar – named after the owner’s literary hero Ernest Hemmingway – was destroyed by Russian shelling.
An extraordinary image shared widely on social media showed the building which once housed the pub reduced to rubble. The owner – now in western Ukraine – told the BBC that he hopes to return one day to his city and rebuild his bar.
“We will win and Hem will rise again,” Kostiantyn Kuts said [La scorsa settimana mi sono seduto in un parco del centro città, con l’erba tagliata con cura, le aiuole in fiore, e mi sono gustato un gelato al caffè. La città  (Kharkiv) è ancora in gran parte vuota, ma il numero di colpi di artiglieria russa è sceso da dozzine al giorno a solo una manciata. Le sirene dei raid aerei continuano a ululare regolarmente, ma Kharkiv non si sente più sull’orlo della catastrofe.]

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Generale! Le nostre carte sono una merda. Passo.
Il Nord non è affatto qui ma nel Circolo Polare Artico.
E l’Equatore è più ampio della banda dei vostri calzoni.
Perché il fronte, generale, è al Sud.
A una tale distanza una radiotrasmittente
trasforma qualsiasi ordine in boogie-woogie.

Generale! La confusione è degenerata in bordello.
L’impraticabilità delle strade non consentirà di ammassare riserve
e cambiare la biancheria: il lenzuolo è carta smerigliata;
questo, sapete, mi dà sui nervi.
Mai finora, credo, sia stato così
imbrattato l’altare di Minerva.

Generale! Stiamo così a lungo nel fango
che il re di cuori esulta in anticipo
e il cuculo tace. Dio ce ne scampi,
tuttavia, dall’ascoltare il suo verso.
Ritengo che bisogna dire merci
che il nemico non attacca.

I nostri cannoni stanno con le canne sprofondate a terra,
le palle si sono afflosciate. Soltanto i trombettieri,
estraendo le trombe dai
foderi, come accaniti onanisti,
le lucidano giorno e notte così che all’improvviso
quelle emettano un suono.

Gli ufficiali vagano, disprezzando il regolamento,
in calzoni a sbuffo e giubbe di diversi semi.
I soldati nei cespugli sulle terre arse
si abbandonano l’un l’altro ad una vergognosa passione
e arrossisce, abbassando il vessillo scarlatto,
il nostro sergente-scapolo.
————————————-
Generale! Io ho combattuto sempre e ovunque
per quanto fossero scarse e incerte le possibilità.
Non avevo bisogno di un’altra stella
oltre quella che è sul vostro cappello.
Ma ora sono come nella favola su quel chiodo:
piantato nel muro, privato della capocchia.

Generale! Purtroppo la vita è una.
Per non cercare maggiori prove,
ci toccherà bere fino in fondo
il nostro calice in questi boschi insignificanti:
la vita, probabilmente, non è così lunga
da accantonare il peggio a tempo indeterminato.

Generale! Solo alle anime sono necessari i corpi.
Certo le anime, si sa, sono estranee alla gioia maligna
e qui, penso, ci ha portato
non la strategia ma la sete di fratellanza: (2)
è meglio mettere bocca negli affari altrui
se non ci raccapezziamo nei nostri.

Generale! Adesso ho la tremarella.
Non capisco il perché: per vergogna o per paura?
Per mancanza di donne? O semplicemente è un ghiribizzo?
Non aiutano né il dottore né il guaritore.
Perché probabilmente il vostro cuoco
non distingue dove sia il sale, dove lo zucchero.

Generale! Ho paura che siamo finiti in un vicolo cieco.
Questa è la vendetta di uno spazio ampio.
Le nostre piche si arrugginiscono. La presenza di piche –
non è ancora garanzia di un bersaglio.
E la nostra ombra non si sposterà davanti a noi
persino all’ora del tramonto.
—————————————–
Generale! Voi sapete che non sono un vigliacco.
Tirate fuori il dossier, fate delle indagini.
Sono indifferente al proiettile. In più
non temo né il nemico né la posta in gioco.
Che mi piantino pure un asso di quadri
tra le scapole – chiedo le dimissioni!

Io non voglio morire per
due o tre re che
non ho mai visto in faccia
(non si tratta di paraocchi ma di tende impolverate).
Tuttavia non ho nemmeno voglia di vivere
per loro. A maggior ragione.

Generale! Sono stufo di tutto. Mi
annoia la crociata. Mi annoia
la vista nella mia finestra di montagne
immobili, boschetti, anse di fiumi.
E’ brutto quando il mondo all’esterno
è stato concepito da chi è tormentato dentro.

Generale! Non penso che, abbandonando
le vostre fila, le indebolirò.
Non sarà una grossa sciagura:
io non sono un solista ma uno estraneo all’ensamble.
Tolto il bocchino dal mio zufolo,
brucio la mia uniforme e spezzo la sciabola.
———————————————
Anche se non vedi gli uccelli, si sentono.
Il cecchino, tormentandosi di sete spirituale, (3)
non si sa se l’ordine o la lettera della moglie,
appollaiato su un ramo, legge due volte
e per noia il nostro artista si mette
a disegnare un cannone con la matita.

Generale! Soltanto il Tempo apprezzerà voi,
le vostre Cannes, le fortificazioni, l’accampamento, le coorti.
Nelle accademie andranno in estasi,
le vostre battaglie e le vostre nature morte
serviranno a far dilatare occhi,
sguardi sul mondo e l’aorta in generale.

Generale! Devo dirvi che voi
siete come un leone alato all’ingresso
di un portone. Giacché voi, ahimè,
non esistete proprio in natura. (4)
No, non è che siete morto
o siete stato battuto – voi non ci siete nel mazzo di carte.

Generale! Che mi mandino sotto processo!
Voglio portarvi a conoscenza del caso:
il totale delle sofferenze dà l’assurdo;
che l’assurdo abbia un corpo!
E si profila la sua sagoma
con qualcosa di nero su qualcosa di bianco.

Generale! Vi dirò un’altra cosa:
Generale! Vi ho usato per la rima con la parola
“è morto” – cosa mi è successo ma (5)
Dio non ha completamente separato
il grano dalla pula e adesso
usare questa rima – è una balla.
————————————————-
Nella landa desolata dove di notte ardono
due lampioni e marciscono i vagoni,
toltomi a metà il vestito
da clown e strappate le spalline,
mi blocco, incrociando lo sguardo
della macchina fotografica Leitz o gli occhi della Gorgone.

Notte. I miei pensieri sono colmi di una
donna, meravigliosa dentro e di profilo.
Quello che mi succede adesso
sta più in basso dei cieli ma più in alto dei tetti.
Quello che mi succede adesso
non vi offende.
———————————————
Generale! Voi non esistete e il mio discorso
è rivolto, come al solito, ora
in quel vuoto, i cui contorni sono i contorni
di un vasto, sordo deserto
che sulle mappe, cosa che voi ed io
abbiamo potuto vedere, non è nemmeno menzionato.

Generale! Se tuttavia voi mi
ascoltate, significa che il deserto cela
in sé una certa oasi, allettando
con ciò il cavaliere; e il cavaliere, quindi,
sono io; sprono il cavallo;
il cavallo, generale, non galoppa da nessuna parte.

Generale! Avendo combattuto sempre come un leone
lascio una macchia sulla bandiera.
Generale! Anche un castello di carte – è un porcile.
Vi scrivo un rapporto, mi attacco alla borraccia.
Per chi è sopravvissuto al grande bluff,
la vita lascia un brandello di carta.

(Autunno 1968)

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1) Nell’epigrafe, composta da B., il “buco” appare come metafora della morte a seguito di una pallottola.
2) Nella propaganda sovietica l’invasione della Cecoslovacchia veniva spacciata per “aiuto fraterno”.
3) Imprecisa citazione dalla poesia di Puskin “Il profeta”.
4) Nella sua corrispondenza da Mosca “Paris-Soir” Saint-Exupèry scriveva di Stalin: ”Si può quasi credere che non esista per quanto sia invisibile la sua presenza”.
5) In russo la parola “umiràl” fa rima con la parola “gheneràl” (generale).

 

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L’inizio di una poesia può essere porta d’ingresso o di uscita, Scritto di Pier Aldo Rovatti, Poesie kitchen di Lucio Mayoor Tosi, Giuseppe Gallo, Mimmo Pugliese, Giorgio Linguaglossa, Foto di Kharkiv bombardata, Vi sono zone di non consapevolezza che non solo è opportuno conservare, ma che vanno attivate proprio per permettere al soggetto di entrare in gioco con se stesso, Viviamo tutti dentro una zona di compromissione referendaria dalla quale non v’è alcuna possibilità di uscita

foto KharkivMuch-loved pub destroyed

In the city of Kharkiv, in north-east Ukraine, the beloved Old Hem bar – named after the owner’s literary hero Ernest Hemmingway – was destroyed by Russian shelling.
An extraordinary image shared widely on social media showed the building which once housed the pub reduced to rubble. The owner – now in western Ukraine – told the BBC that he hopes to return one day to his city and rebuild his bar.
“We will win and Hem will rise again,” Kostiantyn Kuts said [La scorsa settimana mi sono seduto in un parco del centro città, con l’erba tagliata con cura, le aiuole in fiore, e mi sono gustato un gelato al caffè. La città  (Kharkiv) è ancora in gran parte vuota, ma il numero di colpi di artiglieria russa è sceso da dozzine al giorno a solo una manciata. Le sirene dei raid aerei continuano a ululare regolarmente, ma Kharkiv non si sente più sull’orlo della catastrofe.]

Ucraina

Pier Aldo Rovatti

«Per Carlo Sini, l’esercizio con cui dobbiamo cercare di entrare in sintonia con il ritmo del nostro esistere è una “iniziazione” del soggetto. Che cosa può significare? Chiamare la pratica della soggettività “iniziazione”, e farlo in un contesto filosofico, significa prendere congedo da un’idea semplice e tradizionale di “autocoscienza”: potenza del lumen ed efficacia degli specchi, il normale regime o registro delle immagini, o ancor meglio dell’immaginario, dovrebbero essere “sospesi”. Ma, di nuovo, che significa “sospendere” se non proprio, nell’atto stesso del sospendere (o dell’esitare), mettere in questione il dominio delle leggi ottiche del mondo-oggetto, il mondo “cosale” del pleroma che dà semantica e sintassi al nostro discorso comune?

Allora il mettere fra parentesi, e il mettere tra parentesi le parentesi in un gioco distanziante e “abissale”, non potrà essere né gratuito né disinteressato, non potrà nutrirsi alla filosofia: nessuna amicizia e amore intellettuale per la verità, nessun rilancio sublimante (uno sguardo che si alza) verrà in soccorso all’esercizio, alla possibilità pratica di esso. Infatti, se qualcosa se ne può dire (poiché ha un suo rigore), è che, rispetto alla verità comunque intesa come una forma di “possesso” (reale o possibile), cerca un evitamento, una difesa, una resistenza: e ingaggia conseguentemente una lotta, o almeno una contesa, un contenzioso. Se si tratta di iniziarsi al soggetto come a ciò che ha da prendere ai nostri occhi una “figura inaudita”, ancorché noi lo siamo ogni giorno e in ciascun istante (dato che si tratterebbe di “ascoltare” qualcuno che ci dice che non siamo noi stessi ma altro, alterità), occorre predisporre uno spazio, dei margini, un’intercapedine, una zona di vuoto.

Per “lasciar essere” le cose, dobbiamo con molta fatica alleggerirci di molta zavorra, anche se ci dispiace (ecco la fatica) perché questa “zavorra” è fatta di saperi, strumenti, piccoli e grandi apparati vantaggiosi per la nostra personale potenza. Non si tratta di rinunciare a essi per chi sa quale “povertà”: bensì di ritirare identificazioni e investimenti, lateralizzare, togliere valore e importanza. Rispetto, per esempio, al credere che “conoscere è sempre un bene”. Il problema della “sospensione”, insomma il senso da attribuire alla “iniziazione”, si condensa sulla possibilità di praticare la persuasione (penso a Carlo Michelstaedter) che vi sono zone di “non consapevolezza” che non solo è opportuno conservare, ma che vanno “attivate” proprio per permettere al soggetto di entrare in gioco con se stesso [corsivo redazionale]». 1

1] Pier Aldo Rovatti Abitare la distanza, Raffaello Cortina, 2010, pp. 6-7

https://www.bbc.com/news/world-europe-61415677?ns_mchannel=social&ns_source=twitter&ns_campaign=bbc_live&ns_linkname=61415677%26Watch%3A%20On%20patrol%20with%20the%20soldiers%20pushing%20Russia%20back%262022-05-11T17%3A39%3A49.000Z&ns_fee=0&pinned_post_locator=urn:bbc:cps:curie:asset:aabb1f38-3f8f-4483-965c-99d45e394454&pinned_post_asset_id=61415677&pinned_post_type=share

Giorgio Linguaglossa da Distretto n. 18 di prossima pubblicazione

Distretto n. 18

È entrato nella stanza all‘ora della pausa pranzo
Si è seduto sulla sedia a dondolo
– il Signor K., in maniche di camicia –
«Un Campari?».
Guardò attraverso la finestra aperta dalla quale un vento sporco rimestava gli angoli della stanza come alla ricerca di una refurtiva nascosta.
«Non c’è fretta, caro Linguaglossa, c’è posto per tutti,
per le visioni, le revisioni e le permutazioni…»

Gli impiegati di banca entravano ed uscivano dai bar
preoccupati di qualcosa d’altro
entravano ed uscivano dalle porte girevoli,
li percepivo nella nebbia come se ci fosse un filtro,
i polsini delle camicie con i gemelli in finto oro, le spille, i fermacravatte
con le cravatte dozzinali,
il fumo delle sigarette tra gli scaffali e le bibite lasciate a metà, le mani
che si stringono alle maniglie, ai corrimani…
ricordo soltanto il profumo di un vestito femminile
muschio con legno di sandalo
non saprei dire…

Esteves è uscito dalla tabaccheria, s’è voltato, mi ha visto
e mi ha salutato con un cenno;
io mi sono alzato dalla sedia, sono andato alla finestra,
e gli ho risposto: «ciao Esteves!»,
poi lui si è allontanato, la nebbia gialla è entrata nella stanza

La nebbia gialla strofina il petto sui vetri della finestra,
la pioggia fitta sui vetri
le persone negli autobus vorrebbero dire qualcosa,
si tengono ai ganci;
una donna si ripassa il rossetto sulle labbra, fa una smorfia,
si osserva allo specchietto

Rivedo Giusy attraverso un acquario
appoggiata allo stipite della porta, tra le mani un porta sigarette d’argento
esita
mi getta un’occhiata, sorride, si volta all’indietro.

«Ricordi, Alberto?, io ero con il mio terrier, “Coccobill”,
al luna park, all’Eur, sulla Grande Ruota!
stavamo così stretti!, poi venne il buio, una pioggia fitta
sullo Stanbergersee…
lo ricordi Alberto?»;
io mi schernii: «no, non lo ricordo…»,
dissi
però non le ho detto che non ero io…

La pioggia cadeva fitta sui vetri
mi venne in mente che fosse una estranea;
dissi semplicemente:
«Un caffè, ti va?», così, per prendere tempo.
«Chiudi la porta, Giusy»
aggiunsi:
«Non dimenticare di chiudere sempre la porta alle tue spalle».

Mi sporsi dalla finestra per vedere se gli alberi erano ancora lì.
«C’è troppo caldo qui, non si respira…
facciamo due passi», dissi.

La incontrai molti anni più tardi sulla Berkeley street,
la spider rossa parcheggiata tra gli alberi
il tubino aderente
il décolleté rosso fuoco

Cadeva una pioggia fitta sullo Stanbergersee.
«Ripariamoci, andiamo via di qui,
fa freddo…»,
dissi.

(2013)

Lucio Mayoor Tosi

Instant poetry Lucio Mayoor Tosi

Lucio Mayoor Tosi
13 febbraio 2018 alle 23:53 Continua a leggere

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Antonio Sagredo, Poesie da Cantos del Moncayo, Ediciones Olifante, Zaragoza, 2022, traduzione in spagnolo di Manuel Martínez-Forega, Antonio Lopez Garcia, figure in una casa, 1967

ANTONIO SAGREDO (2)

Antonio Sagredo, foto di Enzo Ferrari

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Antonio Sagredo è nato a Brindisi il 29 novembre 1945 (pseudonimo Alberto Di Paola) e ha vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza. La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, Cantos del Moncayo, Ediciones Olifante, Zaragoza, 2022,2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile. Come articoli o saggi in La Zagaglia: Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984, (pseud. Baio della Porta): Leone Tolstoj  le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A. Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale). Ha curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema: Tumuli di Josef Kostohryz , pubblicato in «L ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e KateYina Zoufalová; i poemi: Edison (in Lozio,& ., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L ozio», 1988) di Vitzlav Nezval; (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudenkova, di Zbynk Hejda, Ladislav Novák, di JiYí KolaY, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar BYezina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo), trad. A. Di Paola e K. Zoufalová.

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…Entiende Sagredo la poesía como lugar de mediación intelectual, materializa una terminología intelectual e intelectualiza la percepción pesimista de un entorno social e histórico agresivo al que desafía. Es, en consecuencia, natural la adopción de un lenguaje interpelativo, incluso autointerpelativo (un «autodiálogo» habría dicho Clara Janés), cuyo propósito no es otro que preguntarnos sistemáticamente por qué y para qué hemos llegado hasta aquí si la historia, la literatura, la religión, el desarrollo técnico, las herramientas tecnológicas… han prestado muy poca atención al centro mismo de su razón de ser: el hombre (el Hombre): «Cantare la vita ― io? / Per la memoria degli uomini?//» concluye preguntándose en 1969 en un hermosísimo poema autorreferencial que comienza «Morirò un giorno, lontano / dalla mia casa…» Víctima lírica de cuantos acontecimientos han marginado a ese hombre trascendental, la antropología histórica a la que me refería toma cuerpo en sí mismo; es decir, que la diacronía histórica es paralela a la suya propia y, si en el precoz poema sin título que comienza «Morirò…» hace referencia a este paralelismo, la coherencia ontológica que su obra posterior pone de manifiesto representa una prueba más de ser un corpus estéticamente inquebrantable cuando Antonio Sagredo se dirige a su alter ego para celebrar de nuevo al Hombre y, en cierto modo, la asunción de que también en la derrota se gana, como atestigua su poesía más reciente.

 Cantos del Moncayo constituye un auténtico regalo inédito en español hasta hoy. Escrito en 2005 en Italia, es producto, sin embargo, de una visita que el poeta había hecho ese mismo año a España y, más concretamente, a la Comarca de Tarazona invitado por el Festival Internacional de Poesía «Moncayo» que ese año conmemoraba el IV centenario de la aparición del Quijote. En estos Cantos recorre Sagredo caminos poco explorados a través de un lenguaje en el que el símbolo desempeña una labor estética nuclear: la imaginería cristiana; la iconografía lumínica; la toponimia literaria; el nominalismo mitológico; el sarcasmo, la irreverencia de un lenguaje sin concesiones ornamentales, duro a veces, cruento, desnudo, críptico en ocasiones… que persigue, en cierta manera, deconstruir el idealismo de los fundamentos religiosos y literarios, en este caso tomando como ejemplo a nuestro ‘Ingenioso Hidalgo’ sin que por ello deje de testimoniar su profundo amor por nuestra literatura (Sagredo es, dicho sea de paso, lector entusiasta de Lorca, de Juan Ramón, de Machado, del Quijote, claro…)

(Manuel Martínez-Forega)

CANTOS DEL MONCAYO (2022)

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Antonio Sagredo da Canti del Moncayo

C’è una ferita nell’acqua: è l’ala di una colomba
nella cisterna vuota e bianca la sua ferita,
come bianca è la colomba del Moncayo.
Nel deserto non batte più l’ala cava sull’acqua,
la serpe albina deforma roventi trasparenze.

Questa colomba sbiadita e biancastra del Moncayo
s’è distesa come il Cristo del Mantegna!

E la colomba è nera – clausura!
Ossario di bandiere!
Sudario di colombe oscene!
Pietra: acqua crespata del deserto!

Cisterne di occhi equini, placidi
come i defunti nella Notte delle Ceneri!
Ecate, i ventri-volti sono vessilli di fuochi lacustri!
Per il vino dei Borgia non si scordano i veleni!

Strillano galli ferrosi i tradimenti,
come banderuole!
Sulle torri anche le lacrime hanno ossa eretiche!

Dietro le quinte e sui palchi sono violati i sipari.
Sono di viola soltanto le tue ali – labbra!
Per gli arazzi sugli altari e sulle croci:
la settimana santa è impazzita!

Ah, notte d’Aragona!

Pietra del sorriso! Corpo impunito e folle!
Mai una Madonna fu vergine due volte!
Conobbe il meretricio dell’estasi gratuita… cuore del tuo sesso
è sesso di colomba!
Sono quattro ali le tue labbra!
Muore o non muore questa colomba!?
Non muore.
Oh, è morta!
Ah, notte d’Aragona!

É risorta!
No, non è risorta!

Hay una herida en el agua: es el ala de una paloma
en el aljibe vacío, y blanca su herida,
como blanca es la paloma del Moncayo.
Ya no bate en el desierto el ala hueca sobre el agua,
el reptil albino altera las ardientes transparencias.

Esta paloma pálida y blanquecina del Moncayo
¡está tendida como el Cristo de Mantegna!

Y la paloma es negra —¡clausura!—
¡Osario de banderas!
¡Sudario de palomas obscenas!
¡Piedra: agua encrespada del desierto!

¡Aljibes de ojos equinos, plácidos
como los muertos en la Noche de las Cenizas!
¡Hécate, los rostros-vientres son el estandarte de los fuegos lacustres!
¡El vino de los Borja no olvida los venenos!

¡Cacarean gallos metálicos sus traiciones!
¡Como grímpolas!
¡Sobre las torres también las lágrimas contienen heréticas osamentas!

Detrás de las cortinas y su escenario son violados los disparos.
Solamente tus alas son púrpura —¡labios!—
En los tapices de los altares y de las cruces
¡la semana santa ha enloquecido!

¡Oh! ¡Noche de Aragón!

¡Piedra de la alegría! ¡Cuerpo impune y loco!
¡Jamás una Virgen fue virgen dos veces!
Conoció la prostitución del éxtasis gratuito… corazón de tu sexo
¡es sexo de paloma!
¡Son cuatro alas tus labios!
¿Muere o no muere esta paloma?
No muere.
¡Oh! ¡Está muerta!

¡Oh! ¡Noche de Aragón!

¡Ha renacido!
¡No, no ha renacido!

Antonio Lopez Garcia Figuras en una casa 1967

Antonio Lopez Garcia, figure in una casa, 1967
[Guardate il quadro di Antonio Lopez Garcia, si tratta di un interno, metà del quadro è immersa in una debole luce e l’altra metà in una oscurità, dalla oscurità e dalla luce emergono dei visi, due figure, sembra una vecchia fotografia un po’ sbiadita, e invece è un quadro alla maniera tradizionale, quei volti vorrebbero dirci qualcosa ma non parlano, sono diventati muti, l’abitazione dove avviene questa messa in presenza è nient’altro che un luogo inospitale, in quel luogo le persone non possono più parlare, non possono dire più ciò che volevano dire. È questa l’allegoria dell’arte moderna, che essa non può più parlare, parlarci perché hanno perduto le parole, le parole che volevano dire sono state dimenticate o rimosse…]

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Anniversario, di Fernando Pessoa (1988-1935), Lettura e video di Diego De Nadai, Un Appunto di Giorgio Linguaglossa, Non si capisce nulla della poesia di Pessoa se non si tiene bene aperto davanti agli occhi il registro del nichilismo, quel morbo invisibile che attecchì le menti degli abitanti dell’Europa di allora. Non si capisce niente del mondo di oggi se non teniamo bene aperto il quaderno del nichilismo di oggi: la crisi delle democrazie parlamentari dell’Unione Europea e dei suoi cittadini, spaesati, impoveriti e impauriti.

Diego De Nadai è nato a Cagliari il 20 luglio 1955 laurea in Lettere moderne. La carriera di voce recitante: Doppiatore , attore (maker creatore di video poesie ) nasce dopo il 1999 dopo una formazione di 5 anni con la docente di dizione e espressività vocale Ludumilla Martinucci.
Vincitore di vari concorsi nazionali a tema unico dell’accademia d’arte drammatica sezione A.D.I. “Associazione Doppiatori Italiani.”
1° classificato Napoli 2017 –Firenze e Torino 2018 – Milano 2019,
1° premio della fondazione Fernando Pessoa di Lisboa 2010 quale miglior interprete delle poesie di Fernando Pessoa in lingua italiana.
Film come attore. Io Bullo – Santa – Quando i papaveri erano rossi.
Lettore di poesia religiosa : Rai 3 per il Programma “Uomini e profeti “
Docente a Roma al “ Polmone pulsate- salita del Grillo “ di una scuola di interpretazione vocale con corsi specifici e individuali di (dizione, fonetica e espressività vocale ) con l’applicazione del metodo Stanislavskij. Ha anche organizzato concorsi di poesia.

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«La voce di Diego De Nadai è in sé una nobile arte frutto di scavo psicologico e lavoro sui testi. Arte che è un fare per veicolare messaggi, viaggio nel valore semantico delle parole, insieme al suono, al ritmo, alla modellizzazione secondaria. Non la voce è importante, ma “ciò che è nella voce” dice Aristotele. La fonogènica voce di Diego De Nadai, pregnante di pathos, racchiude in sé alcune qualità della musica e riesce a darci la Befindlichkeit, lo stato in luogo della voce; convogliare emozioni e stati d’animo in maniera più semanticamente più ricca di quanto talora faccia la musica stessa. La poesia come Dire originario diventa comunicazione quando si legge o si ascolta la poesia stessa arricchita dall’apporto emotivo di una particolarissima Befindlichkeit. La voce di De Nadai sinesteticamente convoglia nella sensibilità soggettiva dell’ascoltatore la sensiblerie della voce recitante. La voce recitante con il suo apporto emotivo incide sull’alone del significato della parola e sul suo valore semantico, contribuendo a fornire una maggiore e più profonda comprensione del testo poetico.»
(Giorgio Linguaglossa)

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Appunto di Giorgio Linguaglossa

Ci tenevo a postare questa poesia di Fernando Pessoa interpretata da Diego De Nadai. Personaggio di poeta così complesso e sfaccettato che non è possibile racchiudere in una formula. Uno dei principali poeti del novecento, uno dei massimi del modernismo europeo. Oggi mi chiedo chi siano in Italia gli eredi del modernismo europeo, se c’è stato in Italia un modernismo europeo o un movimento poetico ragguagliabile al modernismo in accezione specifica e perché e per quali ragioni in Italia non c’è stato un movimento poetico modernista. Che cosa significa oggi fare in Italia una poesia in qualche modo erede della tradizione del modernismo in un momento storico come quello attuale di fine del postmoderno e quindi di fine del modernismo. Impresa non facile e ricca di sfaccettature che richiede qualche riflessione. La nuova ontologia estetica o fenomenologia del poetico è una cosa che è in rapporto in qualche modo e misura con quella lacuna, con quella mancanza, è come se nella tradizione poetica italiana mancasse un anello, un tassello di congiunzione all’Europa, con il modernismo portoghese ed europeo, è questo il senso profondo di riproporre oggi la lettura di un poeta come Pessoa che impersona la grande crisi della cultura europea degli anni venti e trenta. Anche oggi, come allora, viviamo in un momento di grande crisi della cultura europea. Non è un caso che il poeta più influente degli anni trenta che abbiamo avuto in Italia è stato Vincenzo Cardarelli mentre in Portogallo c’era un certo Fernando Pessoa, la differenza dice tutto. La nuova ontologia estetica invece con la sua ultima produzione: la poetry kitchen assume: «La poesia non è figlia della memoria» perché la storia si è mutata in storialità. L’oblio della memoria (da cui i celebri versi di Brodskij: «La guerra di Troia è finita / chi l’ha vinta non ricordo»), segna l’inizio di una nuova poesia, di una nuova narrativa e di una nuova arte: una poiesis incentrata sulla dimenticanza della memoria e sull’oblio della tradizione.
Qui, in nuce, c’è il punto nevralgico della nuova poesia europea.
Un poeta del Dopo il Novecento non potrà più fruire dell’ausilio della memoria, dovrà imparare a farne a meno. La condizione dell’uomo nell’epoca del neoliberalismo è contrassegnata da questa duplice petitio principii: l’oblio della memoria (e della tradizione) e l’oblio della libertà, Pessoa rientra nella generazione di quell’Europa che si preparava, inconsapevolmente, a militare per la irregimentazione nei regimi illiberali e autoritari, di qui la dissoluzione dell’Io e la disintegrazione  dell’inconscio storico. Pessoa con straordinaria lungimiranza preannuncia tutto ciò.

Forse nessuno in Europa come Pessoa ha avvertito i segnali, i campanelli di allarme che tintinnavano dovunque. In Italia noi, in piena autarchia, abbiamo avuto un Cardarelli e il ritorno all’ordine de “La Ronda”, poca roba davvero. Oggi, l’epoca del neoliberalismo si nutre vampirescamente delle zone grigie dell’inconscio storico, la poiesis, priva di ricerca intellettuale, si riduce ad uno statuto ancillare e auto propositivo. Un poeta, la profondità di un poeta la si misura dalla sua capacità di captare i segnali del proprio tempo che preannunciano il futuro prossimo venturo, di sondare la crisi del proprio tempo. Non si capisce niente di Pessoa e della grande poesia europea di quegli anni se non teniamo presente la crisi dell’Europa: la poesia di Mandel’stam, Eliot, Pessoa, Montale sta lì a dimostrare che alcuni poeti avevano intravisto, molto in anticipo sui propri contemporanei, la crisi di civiltà e di valori della cultura del loro tempo. Non si capisce nulla della poesia di Pessoa se non si tiene bene aperto davanti agli occhi il registro del nichilismo e della dissoluzione dell’Io, quel morbo invisibile che attecchì le menti degli abitanti dell’Europa dagli anni trenta ai quaranta. Non si capisce niente del mondo di oggi se non teniamo bene aperto il quaderno del nichilismo di oggi: la crisi delle democrazie parlamentari dell’Unione Europea e dei suoi cittadini, spaesati, impoveriti e impauriti da una guerra insensata scatenata dalla autocrazia di Mosca. La poesia è tra le arti forse quella più idonea a rappresentare la crisi di un mondo, del nostro mondo…

da Il libro dell’inquietudine:

Mi ero alzato presto e mi attardavo a prepararmi ad esistere [147]

La generazione cui appartengo, quando è nata, ha trovato un mondo sprovvisto di fondamenta per chi abbia cervello e un cuore. Il lavoro di distruzione delle generazioni anteriori aveva fatto in modo che il mondo, sul quale siamo nati, non ci potesse dare nessuna sicurezza sul piano religioso, nessun aiuto sul piano morale, nessuna tranquillità sul piano politico. Siamo nati ormai in piena ansia metafisica, in piena ansia morale, in piena agitazione politica. Ebbre delle formule esteriori, dei meri procedimenti della ragione e della scienza, le generazioni che ci hanno preceduto hanno abbattuto i fondamenti della fede cristiana… [173]

Onto Fernando Pessoa

Fernando Pessoa

Anniversario

Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno,
io ero felice e nessuno era morto.
Nella casa antica, perfino il mio compleanno era una tradizione secolare,
e l’allegria di tutti, e la mia, era giusta come una religione qualsiasi.

Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno,
avevo la grande salute di non capire alcunché,
di essere intelligente per quelli della famiglia,
e di non aver le speranze che gli altri avevano in mia vece.
Quando arrivai ad avere speranze, non sapevo più avere speranze.
Quando arrivai a guardare la vita, avevo perso il senso della vita.

Sì, quello che fui di supposto per me stesso,
quello che fui di cuore e famiglia,
quello che fui di veglie di semiprovincia,
quello che fui perché mi amavano e perché ero bambino,
quello che fui – Dio mio!, quello che solo oggi so di essere stato…
Com’è lontano!…
(Nemmeno l’eco…)
Il tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno!

Ciò che oggi sono è come l’umidità nel corridoio in fondo alla casa,
che provoca muffa nelle pareti…
Ciò che oggi sono (e la casa di quelli che mi hanno amato trema attraverso le mie
[lacrime),
ciò che oggi sono è che abbiano venduto la casa,
è che tutti siano morti,
è che io sia sopravvissuto a me stesso come un fiammifero freddo…

Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno…
Quale oggetto d’amore è per me quel tempo, come una persona!
Desiderio fisico dell’anima di essere lì un’altra volta,
attraverso un viaggio metafisico e carnale,
con una dualità da me a me…
Mangiare il passato come pane per l’affamato, senza tempo di burro sotto i denti!

Vedo tutto ancora una volta con una nitidezza che mi rende cieco alle cose presenti…
La tavola apparecchiata con dei posti in più, con la porcellana migliore, con dei
[bicchieri in più,
la credenza con molte cose – dolci, frutta, il resto nell’ombra sotto la scansia –,
le vecchie zie, i cugini estranei, e tutto era per me,
al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno…

Fermati, cuore mio!
Non pensare! Lascia il pensiero alla testa!
Oh mio Dio, mio Dio, mio Dio!
Oggi non compio più gli anni.
Perduro.
I miei giorni si addizionano.
Sarò vecchio quando lo sarò.
Nient’altro.
Rabbia di non aver portato in tasca il passato rubato!

Il tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno!…

15 ottobre 1929 Continua a leggere

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Dopo il Moderno, Dopo il Novecento, Poesie kitchen di Giuseppe Gallo, Mauro Pierno, Lucio Mayoor Tosi, Antonio Sagredo, Il modernismo europeo in poesia come nel romanzo finisce negli anni Novanta. Zbigniew Herbert, uno dei massimi rappresentanti del modernismo europeo ha scritto negli anni Novanta: «La poesia è figlia della memoria». Herbert scrive questi versi significativi: «stammi vicino fragile memoria/ concedimi la tua infinità». Brodskij scrive in una poesia del 1988: «il trionfo della memoria sulla realtà»

Salvini Odoacre

immagine a computer del pelandrùn Salvini nelle vesti del barbaro Odoacre, il generale dei barbari che sconfisse Oreste, generale romano, e pose fine all’impero romano d’Occidente nel 476 d.C. Un magnifico esempio di come le sorti delle democrazie parlamentari d’Europa siano in pericolo e di poter naufragare in una confusa ideologia sovranista e antieuropea fatta di filo putinismo e anti atlantismo. Il pelandrùn ha detto che intende andare a Mosca a incontrare Putin, che ci vada pure magari con la maglietta quella con stampato il busto dell’autocrate russo in divisa militare. Il pelandrùn si comporta come il barbaro Odoacre, vuole mettere fine alle democrazie parlamentari perché hanno fatto il loro tempo, ma le democrazie parlamentari, pur con tutti i loro difetti, fanno paura alle autocrazie del globo… i dittatori temono le democrazie, le demonizzano, vogliono sanificarle, denazificarle, deucrainizzarle, saponificarle, derattizzarle… ma le democrazie sono più forti delle autocrazie e delle loro menzogne, e vinceranno con la forza stessa della  debole e contraddittoria istituzione chiamata democrazia.

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caro Gino Rago,

Il modernismo europeo in poesia come nel romanzo finisce negli anni Novanta. Zbigniew Herbert, uno dei massimi rappresentanti del modernismo europeo ha scritto negli anni Novanta:
«La poesia è figlia della memoria». Herbert scrive questi versi significativi: «stammi vicino fragile memoria/ concedimi la tua infinità».
Brodskij scrive in una poesia del 1988: «il trionfo della memoria sulla realtà».

La memoria, strettamente connessa alla tradizione, è vissuta dai poeti modernisti come la più grande alleata per situarsi entro l’orizzonte della tradizione, e quindi della storia. I poeti e i narratori dell’età del modernismo percepiscono la storia come tradizione e la tradizione come storia, in un nesso indissolubile; e nell’ambito della tradizione introducono il «nuovo», di qui le avanguardie del primo Novecento e le post-avanguardie del secondo Novecento. Con la fine del Novecento, con la caduta del muro di Berlino e del comunismo e la rivoluzione mediatica, le cose sono cambiate: la storia è diventata storialità e la tradizione è diventata museo, museo di ombre e di fantasmi, da difendere e da coltivare perché produce profitti.

La nuova ontologia estetica invece con la sua ultima produzione: la poetry kitchen assume: «La poesia non è figlia della memoria» perché la storia si è mutata in storialità. L’oblio della memoria (da cui i celebri versi di Brodskij: «La guerra di Troia è finita / chi l’ha vinta non ricordo»), segna l’inizio di una nuova poesia, di una nuova narrativa e di una nuova arte: una poiesis incentrata sulla dimenticanza della memoria e sull’oblio della tradizione.
Qui, in nuce, c’è il punto nevralgico della nuova poesia europea.
Un poeta del Dopo il Novecento non potrà più fruire dell’ausilio della memoria, dovrà imparare a farne a meno. La condizione dell’uomo nell’epoca del neoliberalismo è contrassegnata da questa duplice petitio principii: l’oblio della memoria (e della tradizione) e l’oblio della libertà (convertita in scelta tra più prodotti). Il primo motto di Microsoft recitava: «Where do you want to go today?», lasciando presagire la prossima ventura libertà assoluta della navigazione senza limiti nel web. Ma è la locazione dell’opera di poiesis, che ha dis-messo la memoria, l’ha derubricata in storialità, in storia minore. La parola della poesia nel tempo della storialità non fonda né stabilisce nulla tranne la propria interrogazione; un tempo forse la sua finalità era quella di dare un senso più puro alle parole della tribù, oggi questa è una domanda derubricata ad atto di fede. L’interrogazione poetica abita il traslato, il discorso spostato, indiretto, il discorso implicito, il meta discorso. La poesia abita la meta poesia. Dopo Giorgia Stecher (1929-1996) la sfiducia si è impossessata delle capacità discorsive della forma-poesia: i segni si proiettano su un fondale bianco da cui si diramano una molteplicità di significati possibili, altri segni sembrano indicare altri e diversi significati possibili. Il significato di questi segni non può essere conosciuto a priori, i segni sono enigmi che viaggiano nel tempo, o meglio, si diramano in più temporalità, e l’interpretazione di ciò che il tempo dice diventa sempre più problematico. Il tempo dice: nulla. Dunque, nichilismo.

La «secolarizzazione» ha investito il discorso poetico, lo ha privato, da un lato, del radicamento ad uno sfondo metafisico-simbolico, dall’altro, lo ha reso, nelle sue versioni epigoniche, sempre più riconoscibile, lo ha sproblematizzato. La topologia ci dice che tutti i luoghi sono simili, si assomigliano, gli aeroporti, i cavalcavia, le stazioni ferroviarie, i cinema, gli interni ammobiliati delle nostre abitazioni, le carlinghe degli aerei, i portabagagli delle nostre automobili, le nostre valigette ventiquattro ore… tutti i luoghi della nostra vita quotidiana si assomigliano, viviamo in non-luoghi, siamo noi stessi il precipitato dei non-luoghi, di non-eventi, viviamo noi tutti in temporalità terribilmente somiglianti. Il nostro modo di esistenza ha prodotto la moltiplicazione degli istanti, la moltiplicazione delle temporalità, la moltiplicazione delle immagini. Che cos’è l’immagine? L’immagine è l’istante. Che cos’è l’istante? Per Parmenide l’istante, o meglio l’istantaneo è: «L’istante. Pare che l’istante significhi(…) ciò da cui qualche cosa muove verso l’una o l’altra delle due condizioni opposte [del Passato e del Futuro]. Non vi è mutamento infatti che si inizi dalla quiete ancora immobile né dal movimento ancora in moto, ma questa natura dell’istante è qualche cosa di assurdo [atopos] che giace fra la quiete e il moto, al di fuori di ogni tempo…». (Parm., 156d-e).

Questa natura è una finzione, una petizione, una involontaria allegoria della nostra prigionia. Questa finzione narra la nostra condizione ontologica: siamo davanti al video e ci reputiamo presuntivamente liberi. Tutto il resto, ovvero, il reale, ci appare come degli epifenomeni laterali, periferici, consideriamo libertà la non-libertà.
Nell’oblio della libertà c’è tutta l’impossibilità per un poeta di oggi di scrivere come i poeti del modernismo europeo che erano guidati dalla stella polare del valore assiologico della parola «libertà». Tuttavia, come scrive Agamben, il naufragio «apre il luogo della parola, come quello in cui si può soltanto parlare e non sapere».

La dizione «poesia da frigobar», usata da Marie Laure Colasson, contrassegna la poesia del Dopo il Moderno, la crisi ormai ha assunto dimensioni planetarie…

(Giorgio Linguaglossa)

Antonio Sagredo

Mi portava via il Ponte dei Tormenti un non so che di me dal mio canto,
e ogni pietra della mia voce era il viatico per una discreta eternità – d’argilla
era la letania della notte che beffava con le note i miei capricci e il riso,
e conteggiava sul selciato i furori e i singulti – Viole d’amore dei miei occhi!
Tutti i passi erano meno di un’epoca e più di un mosaico greco!

E la caduta dei volti e delle maschere come petali dai balconi, i saluti recitati,
gli addii dai treni di confino, le gonfie glandole dell’infanzia di Pietroburgo.
I poeti sono martiri del futuro, e la loro parola è già oltre torture imprevedibili.

Applausi, e sul palco il can-can di despoti –
spettri ossuti del Moulin Rouge!
Torbidi tempi io vi sento… sipario!… ciak! –
siete pronti al trionfo delle apocalissi?

Giuseppe Gallo
28 aprile 2022 alle 9:25 

Omaggio alla “Pallottola” di Gino Rago

Il proiettile, dopo aver sorvolato la Muraglia cinese,
gli era entrato nell’occhio sinistro,
ma né Vic, né Mary se ne erano accorti.
-Mamy…
-Sì…
-Ho una pupilla ballerina!
-No! No! Ha l’occhio pigro! Sentenziò l’oftalmico.
-No, ribatté la madre, è un tentativo di suicidio.
-A quest’età? Si oppose il padre.
-Sì, perché mio figlio è molto precoce!
Jerry, comunque, gironzolava per casa come se niente fosse.
L’occhio pigro continuava a essere pigro
e non si curava di inseguire le farfalle
o le nuvole che si accoccolavano sulle sue spalle
invece che sulle antenne della città.
-Come farai a vivere
se non guardi sopra e sotto, sia a destra che a sinistra?
Si preoccupò la sorella.
-Non so… Perché non me la togli tu questa pallottola?
-Io?
-Tu, sì!
Allora Terry gli strinse il viso tra le mani,
afferrò il proiettile con gli incisivi e gli diede uno strattone.
E fu guerra tra Russia e Ucraina.

Mauro Pierno
2 Maggio 2022 alle 13:33 

Scappa di mano persino il sale. Da un buffet all’altro viaggia la fragranza dei cingoli. (F.P. Intini)

Ma poi non si ferma, da vero canto di disperazione. (Lucio Mayoor Tosy,)

una Bomba H, quella al neutrone che lascia le cose intatte e uccide gli esseri viventi (G. Linguaglossa)

Chi dovrebbe provvedere è in vacanza e non ha nessuna intenzione di tornare. (F.P. Intini)

lavatrici che si pensano libere dal giogo della centrifuga. (F.P. Intini)

la guerra di invasione di uno stato sovrano come l’Ucraina ha reso tutto ciò assolutamente evidente. (M.L. Colasson)

due cosmonauti russi i quali hanno issato a bordo della navicella spaziale la bandiera con la Z impressa. (M.L. Colasson)

aumentano i segnali che il regime si sta trasformando da autoritario a totalitario.( Greg Yudin )

leading from behind (Barack Obama)

L’America sarà l’Arsenale della democrazia». (Franklin Delano Roosevelt)

Ogni anno, il genere umano produce più di un trilione di immagini.(Linguaglossa)

E poi c’è questo gerundio che è sospettoso, perché indica una azione in atto (Sagredo)

Chissà che caldo fa in Africa! “ (A.Cechov).
E l’assassinio della Anna Politkovskaja non fu forse una regalo che si fece nel giorno di compleanno (Antonio Sagredo)

Le sue dita grasse sono pingui come vermi,
le sue parole sicure come pesi.(Osip Mandel’stam)

Scipione da grande generale aveva vinto ma si guardò dalla ambizione di voler stravincere.(Linguaglossa)

I cannoni della pandemia sono rimasti per qualche istanti vuoti.(F.P. Intini)

Una nuova genia d’animali viene fuori dai boschi di Chernobyl. (F.P. Intini)

Dvorský Petr Král a un certo punto della sua ermeneutica parla di poetica come “costellazione di parole” :(Gino Rago)

i cavoli da 81 a 99 rubli al kg
le patate da 50 a 53 rubli al kg. (Giorgio Linguaglossa)

TUTTO SI GENERA NEL CREMLINO E TUTTO DEGENERA NEL CREMLINO .(Sagredo)

Pacchi di odio legati con lo sputo.
-Tutto in ordine però-, rassicura l’airbag.”
(Francesco Paolo Intini)

le parole iperbariche, quelle stordite e istupidite da una immissione di ossigeno ad altissima densità (Marie Laure Colasson)

Sulla entalpia, cito la Treccani (Giorgio Linguaglossa)

partendo da James Joyce e Virginia Woolf, per il romanzo, da Ezra Pound e T. S. Eliot, per la poesia, (Rago)

E ci sovvennero i geroglifici incisi,
e le parole non identificate,
(Giuseppina De Palo)

Poi sono giunti dei presunti sacerdoti o qualcosa del genere a confondere i più le acque.(Sagredo)

Con la fine del Novecento, con la caduta del muro di Berlino e del comunismo(Linguaglossa)

o canto di disperazione. (Lucio M. Tosy)

Tra un po’ tolgo gli orpelli…

Mauro Pierno
2 Maggio 2022 alle 13:40 

Scappa di mano persino il sale. Da un buffet all’altro viaggia la fragranza dei cingoli.

Ma poi non si ferma, da vero canto di disperazione.

una Bomba H, quella al neutrone che lascia le cose intatte e uccide gli esseri viventi.

Chi dovrebbe provvedere è in vacanza e non ha nessuna intenzione di tornare.

lavatrici che si pensano libere dal giogo della centrifuga.

la guerra di invasione di uno stato sovrano come l’Ucraina ha reso tutto ciò assolutamente evidente.

due cosmonauti russi i quali hanno issato a bordo della navicella spaziale la bandiera con la Z impressa.

aumentano i segnali che il regime si sta trasformando da autoritario a totalitario.

Leading from behind
L’America sarà l’Arsenale della democrazia

Ogni anno, il genere umano produce più di un trilione di immagini.

E poi c’è questo gerundio che è sospettoso, perché indica una azione in atto

Chissà che caldo fa in Africa!
E l’assassinio della Anna Politkovskaja non fu forse una regalo che si fece nel giorno di compleanno?

Le sue dita grasse sono pingui come vermi,
le sue parole sicure come pesi.

Scipione da grande generale aveva vinto ma si guardò dalla ambizione di voler stravincere.

I cannoni della pandemia sono rimasti per qualche istanti vuoti.

Una nuova genia d’animali viene fuori dai boschi di Chernobyl.

Dvorský Petr Král a un certo punto della sua ermeneutica parla di poetica come “costellazione di parole”

i cavoli da 81 a 99 rubli al kg
le patate da 50 a 53 rubli al kg. (Linguaglossa)

TUTTO SI GENERA NEL CREMLINO E TUTTO DEGENERA NEL CREMLINO.

Pacchi di odio legati con lo sputo.
-Tutto in ordine però-, rassicura l’airbag.

le parole iperbariche, quelle stordite e istupidite da una immissione di ossigeno ad altissima densità.

Sulla entalpia, cito la Treccani

partendo da James Joyce e Virginia Woolf, per il romanzo, da Ezra Pound e T. S. Eliot, per la poesia

E ci sovvennero i geroglifici incisi,
e le parole non identificate,

Poi sono giunti dei presunti sacerdoti o qualcosa del genere a confondere i più le acque.

Con la fine del Novecento, con la caduta del muro di Berlino e del comunismo

o canto di disperazione.

(Lucio Mayoor Tosi)

 

1 Maggio 2022 alle 19:16 
caro Gino,

ci restano le parole iperbariche, quelle stordite e istupidite da una immissione di ossigeno ad altissima densità. Oggi abbiamo le parole ossigenate, ibrididatizzate, ibridizzate. La poesia di Intini fa incetta in grande quantità di queste parole mitridatizzate e addomesticate e le fa cozzare le une contro le altre come avviene con i fotoni all’interno del Large Hadron Collider di Ginevra che generano una energia miliardi di volte superiore a quelle immessa nel circuito.

In medicina: terapia iperbarica, tecnica terapeutica che prevede la somministrazione di miscele gassose costituite in prevalenza da ossigeno a pressione superiore a quella atmosferica, utilizzata per aumentare l’ossigenazione del sangue in pazienti colpiti da embolia gassosa. Camera iperbarica, speciale ambiente con pareti a chiusura ermetica, in cui si applica questo tipo di terapia.

Leggo con apprensione che è stato ferito il capo di stato maggiore delle forze armate russe il gen.le Gerasimov, l’inventore della guerra ibrida, ma il generale russo non poteva supporre che anche gli ucraini dispongono di un LHC di altissima qualità e precisione in grado di colpire i fotoni avversari con indubbia efficacia.

(Marie Laure Colasson)

2 Maggio 2022 alle 7:57 
cara Marie Laure,

in quanto alla guerra dei fotoni dell’HLC e alla guerra teorizzata da Gerasimov, la guerra ibrida, mi permetto di notare che anche la NOe ha teorizzato e praticato la iperbarizzazione delle parole ottenuta in una camera stagna mediante la ipermitridatizzazione e la iperibridazione delle parole, che è quella cosa lì che sta facendo in maniera encomiabile Francesco Paolo Intini.

Sulla entalpia, cito Francesco Intini:

«Il conto è fatto in entalpia ma bisognerà convertirlo in entropia. Ce la mettono tutta i ragazzi prodigi per la relazione semestrale. Tecnezio e Piombo seguiti da Titanio e Ferro lavorano sodo per tutta la notte ma il risultato finale è sempre lì che sfugge. Un po’ di massa non si converte al nichilismo.»

Sulla entalpia, cito la Treccani:

«[ἐνϑάλπω «riscaldare»]. – In termodinamica, funzione (detta anche impropriam. contenuto termico o calore totale) definita come somma tra l’energia interna e il prodotto della pressione per il volume di un fluido termodinamico; ha le dimensioni di un’energia e sua unità di misura SI è quindi il joule (J).»

Siamo entrati in quella dimensione fotosferica e fotogrammatica dove le cose (e le parole) che accadono sembrano accadere in vitro, in virtuale, all’interno della superficie di un monitor. Il reale è scomparso, ma non per far luogo all’Iperreale come asseriva Baudrillard ma per far luogo al minus quantum, al meno di reale. Siamo nella dimensione teorizzata da Zizek del «soggetto scabroso» di cui la poesia di Intini è il risultato ribaltato, un soggetto de-realizzato.

(Giorgio Linguaglossa)

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Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di  alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014), Compostaggi (2020). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”.

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Giuseppe Gallo, nato a San Pietro a Maida (Cz) il 28 luglio 1950 e vive a Roma. È stato docente di Storia e Filosofia nei licei romani. Negli anni ottanta, collabora con il gruppo di ricerca poetica “Fòsfenesi”, di Roma. Delle varie Egofonie,  elaborate dal gruppo, da segnalare Metropolis, dialogo tra la parola e le altre espressioni artistiche, rappresentata al Teatro “L’orologio” di Roma. Sue poesie sono presenti in varie pubblicazioni, tra cui Alla luce di una candela, in riva all’oceano,  a cura di Letizia Leone (2018.); Di fossato in fossato, Roma (1983); Trasiti ca vi cuntu, P.S. Edizioni, Roma, 2016, con la giornalista Rai, Marinaro Manduca Giuseppina, storia e antropologia del paese d’origine. Ha pubblicato Arringheide, Na vota quandu tutti sti paisi…, poema di 32 canti in dialetto calabrese (2018). È redattore della rivista di poesia “Il Mangiaparole”. È pittore ed ha esposto in varie gallerie italiane.

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Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di  alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014), Compostaggi (2020). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”.
Antonio Sagredo è nato a Brindisi il 29 novembre 1945 (pseudonimo Alberto Di Paola) e ha vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza. La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, 2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile.Come articoli o saggi in La Zagaglia: Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984,(pseud. Baio della Porta): Leone Tolstoj  le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A. Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale).Ha curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema: Tumuli di Josef Kostohryz , pubblicato in «L ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e KateYina Zoufalová; i poemi: Edison (in Lozio,& ., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L ozio», 1988) di Vitzlav Nezval; (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rud enkova, di Zbynk Hejda, Ladislav Novák, di JiYí KolaY, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar BYezina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo), trad. A. Di Paola e K. Zoufalová.

 

Dopo il Moderno, Dopo il Novecento, Poesie kitchen di Giuseppe Gallo, Mauro Pierno, Lucio Mayoor Tosi, Antonio Sagredo, Il modernismo europeo in poesia come nel romanzo finisce negli anni Novanta. Zbigniew Herbert, uno dei massimi rappresentanti del modernismo europeo ha scritto negli anni Novanta: «La poesia è figlia della memoria». Herbert scrive questi versi significativi: «stammi vicino fragile memoria/ concedimi la tua infinità». Brodskij scrive in una poesia del 1988: «il trionfo della memoria sulla realtà»

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