Fernando Pessoa (1888-1935), Poesie scelte di Álvaro de Campos,  Tre estratti dalle Odi di Ricardo Reis

 

Onto Fernando Pessoa

Nulla mi lega a nulla – Pessoa nella grafica di Lucio Mayoor Tosi

Fernando Pessoa (1888 – 1935) Per tutta la vita, trascorsa per la maggior parte in una stanza ammobiliata in affitto a Lisbona, dove sarebbe morto in solitudine, Fernando Antonio Nogueira Pessoa rimase pressoché sconosciuto al mondo editoriale ed al grande pubblico. Oggi egli viene comunemente riconosciuto come il più importante poeta portoghese moderno, membro più rappresentativo del Gruppo Modernista conosciuto anche come Orpheu.
Era nato a Lisbona, il padre Joaquim de Seabra Pessoa morì di tubercolosi quando Fernando era poco più che un bambino, la madre si risposò con il console portoghese per il Sud Africa dove la famiglia si trasferì nel 1896. Qui restò per tre anni, imparando perfettamente la lingua inglese ed interessandosi alla lettura delle opere di Shakespeare e Milton. Tornò a Lisbona nel 1905 per iscriversi all’Università, avrebbe tuttavia abbandonato gli studi molto presto per iniziare a lavorare come traduttore per conto di aziende commerciali. Nel frattempo Fernando Pessoa iniziò a scrivere lettere ed articoli per riviste letterarie quali l’Orpheus, suscitando spesso vivaci polemiche per le idee ed i termini anticonformisti. La sua prima collezione di poesie Antinous fu scritta in lingua inglese ed apparve nel 1918. Pure in inglese furono redatte le successive due raccolte e soltanto nel 1933 pubblicò il primo libro, Mensagem, in portoghese che, come i precedenti, passò completamente inosservato.
La maggior parte delle sue poesie apparvero su riviste letterarie quali Athena da lui stessa diretta e sotto gli pseudonimi di Álvaro de Campos, Riccardo Reis e Alberto Caeiro, veri e propri alter ego, ciascuno dotato di una differente personalità e di un proprio background (Campos un ingegnere affascinato da Walt Whitman, Reis un dottore epicureo dalla solida cultura classica) che spesso animavano le pagine di Athena dandosi battaglia, ora lodando ed ora criticando le “reciproche” opere.
Fernando Pessoa morì il 30 Novembre 1935, la sua fama iniziò a diffondersi, in Portogallo e poi in Brasile, a partire dal 1940 e tutte le sue opere furono pubblicate postume. Ricordiamo Poesias de Fernando Pessoa (1942) ed Odes de Ricardo Reis (1946). La sua autobiografia scritta sotto lo pseudonimo di Bernardo Soares, apparve solo nel 1982.

 (Marco Roberto Capelli Fonte: http://www.progettobabele.it)

fernando pessoa 1

Ciò che oggi sono è come l’umidità nel corridoio in fondo alla casa

Appunto di Giorgio Linguaglossa

Ci tenevo a postare, prima o poi, un articolo con le poesie di Fernando Pessoa. Personaggio di poeta così complesso e sfaccettato che non è possibile racchiudere in una formula. Uno dei principali poeti del novecento europeo, uno dei massimi poeti del modernismo europeo. Oggi mi chiedo chi siano in Italia gli eredi del modernismo europeo, se c’è stato in Italia un modernismo europeo. E qui chiedo aiuto a Carlo Livia, lui so che ha meditato su questo problema. Che cosa significa oggi essere in Italia un poeta della nuova ontologia estetica è una cosa che è in rapporto, in qualche modo, con il modernismo portoghese ed europeo, è questo il senso profondo di riproporre la lettura di un poeta come Pessoa e dei suoi eteronimi. Pessoa il poeta che impersona la grande crisi della cultura europea degli anni venti e trenta.

Forse nessuno in Europa come Pessoa ha avvertito i segnali, i campanelli di allarme che tintinnavano dovunque. In Italia noi, in piena autarchia, avevamo un Cardarelli e il ritorno all’ordine de “La Ronda”… Così anche oggi quando leggo la poesia che va di moda. Un poeta, la grandezza di un poeta la si misura dalla sua capacità di andare in profondità del proprio tempo, di sondare la crisi del proprio tempo. Non si capisce niente di Pessoa e della grande poesia europea di quegli anni se non teniamo presente la crisi dell’Europa: la poesia di Mandel’stam, Eliot, Pessoa sta lì a dimostrare che alcuni poeti avevano intravisto, molto in anticipo sui propri contemporanei, la crisi di civiltà e di valori della cultura del loro tempo. Non si capisce nulla della poesia di Pessoa se non si tiene bene aperto davanti agli occhi il registro del nichilismo, quel morbo invisibile che attecchì le menti degli abitanti dell’Europa di allora. Non si capisce niente del mondo di oggi se non teniamo bene aperto il quaderno del nichilismo di oggi. La poesia è tra le arti forse quella più idonea a rappresentare la crisi di un mondo, del nostro mondo…

da Il libro dell’inquietudine:

Mi ero alzato presto e mi attardavo a prepararmi ad esistere [147]

La generazione cui appartengo, quando è nata, ha trovato un mondo sprovvisto di fondamenta per chi abbia cervello e un cuore. Il lavoro di distruzione delle generazioni anteriori aveva fatto in modo che il mondo, sul quale siamo nati, non ci potesse dare nessuna sicurezza sul piano religioso, nessun aiuto sul piano morale, nessuna tranquillità sul piano politico. Siamo nati ormai in piena ansia metafisica, in piena ansia morale, in piena agitazione politica. Ebbre delle formule esteriori, dei meri procedimenti della ragione e della scienza, le generazioni che ci hanno preceduto hanno abbattuto i fondamenti della fede cristiana… [173]

Strilli Tranströmer 1Fernando Pessoa

Trippa alla maniera di Oporto

Un giorno in un ristorante fuori del tempo e dello spazio,
mi servirono l’amore come trippa fredda.
Dissi delicatamente al missionario della cucina
che la preferivo calda,
che la trippa (ed era alla maniera di Oporto) non si mangia fredda.

Si irritarono con me.
Non si può mai avere ragione, nemmeno al ristorante.
Non mangiai, non chiesi altro, pagai il conto,
e me ne andai a passeggio per l’intera strada.

Chi lo sa cosa vuol dire questo?
Io non lo so, ed è capitato a me…

(So benissimo che nell’infanzia di ognuno c’è stato un giardino,
privato o pubblico, o del vicino.
So benissimo che il fatto di giocarci era il padrone del giardino.
E che la tristezza è di oggi).

So questo molte volte,
ma, se io chiesi amore, perché mi portano
trippa alla maniera di Oporto fredda?
Non è un piatto che si possa mangiare freddo,
ma me lo portarono freddo,
non si può mai mangiare freddo, ma arrivò freddo.

Tabaccheria

Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato.
Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo.
Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto.
Ma sono, e forse sarò sempre, quello della mansarda,
anche se non ci abito;
sarò sempre quello che non è nato per questo;
sarò sempre soltanto quello che possedeva delle qualità;
sarò sempre quello che ha atteso che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta,
e ha cantato la canzone dell’Infinito in un pollaio,
e sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso.
Credere in me? No, nè in niente.

Strilli Rago Siamo uomini del dopo HiroshimaStrilli Rago1

Ode sensazionista

a José de Almada-Negreiros
Lei non immagina quanto Le sono grato per il fatto che Lei esista
(Álvaro de Campos)

I
[…]
Porto dentro il mio cuore,
come in uno scrigno troppo pieno per chiudersi,
tutti i luoghi dove sono stato,
tutti i porti a cui sono arrivato,
tutti i paesaggi che ho visto da finestre o da oblò,
o da casseri, sognando,
e tutto questo, che è molto, è poco per quello che voglio.
[…]
Ho viaggiato per più terre di quelle che ho toccato…
Ho visto più paesaggi di quelli su cui ho posato gli occhi…
Ho provato più sensazioni di tutte le sensazioni che ho sentito,
perché, per quanto sentissi, mi è sempre mancato qualcosa da sentire
e la vita sempre mi dolse, fu sempre poco, e io infelice.
[…]
Non so se la vita è poco o è troppo per me.
Non so se sento troppo o troppo poco, non so
se mi manca scrupolo spirituale, punto d’appoggio dell’intelligenza,
consanguineità col mistero delle cose, scossa
ai contatti, sangue sotto i colpi, sussulto ai rumori,
o se per questo c’è un altro significato più comodo e felice.
Sia come sia, era meglio non essere nato,
perché, con tutto l’interesse che ha in ogni momento,
la vita arriva a dolere, a nauseare, a tagliare, a sfiorare, a stridere,
a dar voglia di gridare, di saltare, di restare per terra, di uscire
fuori da tutte le case, da tutte le logiche e da tutti i balconi,
e andare a essere selvaggi verso la morte fra alberi e dimenticanze,
fra cadute e pericoli e mancanza di domani,
e tutto ciò dovrebbe essere qualche altra cosa più simile a ciò che penso,
a ciò che io penso o sento, che non so neppure cosa sia, oh vita.
[…]
Fernando Pessoa
22 maggio 1906 – 10 aprile 1923
(Traduzione di Antonio Tabucchi)
da Poesie di Álvaro de Campos, Adelphi Edizioni, 1993

*
de Passagem das Horas

Ode sensazionista

a José de Almada-Negreiros
Almada-Negreiros: você não
imagina como eu lhe agradeço o facto de você existir
(Álvaro de Campos)

I
Trago dentro do meu coração,
Como num cofre que se não pode fechar de cheio,
Todos os lugares onde estive,
Todos os portos a que cheguei,
Todas as paisagens que vi através de janelas ou vigias,
Ou de tombadilhos, sonhando,
E tudo isso, que é tanto, é pouco para o que eu quero.
[…]
Viajei por mais terras do que aquelas em que toquei…
Vi mais paisagens do que aquelas em que pus os olhos…
Experimentei mais sensações do que todas as sensações que senti,
Porque, por mais que sentisse, sempre me faltou que sentir
E a vida sempre me doeu, sempre foi pouco, e eu infeliz.
[…]
Não sei se a vida é pouco ou demais para mim.
Não sei se sinto de mais ou de menos, não sei
Se me falta escrúpulo espiritual, ponto-de-apoio na inteligência,
Consangüinidade com o mistério das coisas, choque
Aos contatos, sangue sob golpes, estremeção aos ruídos,
Ou se há outra significação para isto mais cômoda e feliz.
Seja o que for, era melhor não ter nascido,
Porque, de tão interessante que é a todos os momentos,
A vida chega a doer, a enjoar, a cortar, a roçar, a ranger,
A dar vontade de dar gritos, de dar pulos, de ficar no chão, de sair
Para fora de todas as casas, de todas as lógicas e de todas as sacadas,
E ir ser selvagem para a morte entre árvores e esquecimentos,
Entre tombos, e perigos e ausência de amanhãs,
E tudo isto devia ser qualquer outra coisa mais parecida com o que eu penso,
Com o que eu penso ou sinto, que eu nem sei qual é, ó vida.

Fernando Pessoa, Poesie di Álvaro de Campos, © 1993 Biblioteca Adelphi 279

Strilli Talia la somiglianza è un addioStrilli Král A tratti un libro ripostoDiluente

La vicina del numero quattordici rideva oggi sulla porta
da dove un mese fa è uscito il funerale del figlio piccolo.
Rideva in modo naturale con l’anima nel volto.
D’accordo: è la vita.
Il dolore non dura perchè il dolore non dura.
D’accordo.
Ripeto: d’accordo.
Ma il mio cuore non è d’accordo.
Il mio cuore romantico fa delle sciarade con l’egoismo della vita.
Ecco la lezione, o anima di gente!
Se la madre dimentica il figlio che uscì da lei ed è morto,
chi si prenderà la briga di ricordarsi di me?

Sono solo al mondo, come un mattone rotto…
Posso morire come la rugiada si asciuga…
Per un’arte naturale della natura solare…
Posso morire per volontà dell’oblio,
posso morire come nessuno…
Ma questo duole,
questo è indecente per chi ha un cuore…
Questo…
Sì, questo mi rimane nella strozza come un sandwich alle lacrime…
Gloria? Amore? L’anelito di un’anima umana?
Apoteosi alla rovescia…
Datemi acqua minerale, che voglio dimenticare la Vita!…

Non sono nulla

Non sono nulla, non posso nulla,
non perseguo nulla.
Illuso, porto il mio essere con me.
Non so di comprendere,
né so se devo essere,
niente essendo, ciò che sarò.
A parte ciò, che è niente, un vacuo vento
del sud, sotto il vasto azzurro cielo
mi desta, rabbrividendo nel verde.
Aver ragione, vincere, possedere l’amore
marcisce sul morto tronco dell’illusione.
Sognare è niente e non sapere è vano.
Dormi nell’ombra, incerto cuore.

Anniversario

Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno,
io ero felice e nessuno era morto.
Nella casa antica, perfino il mio compleanno era una tradizione secolare,
e l’allegria di tutti, e la mia, era giusta come una religione qualsiasi.

Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno,
avevo la grande salute di non capire alcunché,
di essere intelligente per quelli della famiglia,
e di non aver le speranze che gli altri avevano in mia vece.
Quando arrivai ad avere speranze, non sapevo più avere speranze.
Quando arrivai a guardare la vita, avevo perso il senso della vita.

Sì, quello che fui di supposto per me stesso,
quello che fui di cuore e famiglia,
quello che fui di veglie di semiprovincia,
quello che fui perché mi amavano e perché ero bambino,
quello che fui – Dio mio!, quello che solo oggi so di essere stato…
Com’è lontano!…
(Nemmeno l’eco…)
Il tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno!

Ciò che oggi sono è come l’umidità nel corridoio in fondo alla casa,
che provoca muffa nelle pareti…
Ciò che oggi sono (e la casa di quelli che mi hanno amato trema attraverso le mie
[lacrime),
ciò che oggi sono è che abbiano venduto la casa,
è che tutti siano morti,
è che io sia sopravvissuto a me stesso come un fiammifero freddo…

Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno…
Quale oggetto d’amore è per me quel tempo, come una persona!
Desiderio fisico dell’anima di essere lì un’altra volta,
attraverso un viaggio metafisico e carnale,
con una dualità da me a me…
Mangiare il passato come pane per l’affamato, senza tempo di burro sotto i denti!

Vedo tutto ancora una volta con una nitidezza che mi rende cieco alle cose presenti…
La tavola apparecchiata con dei posti in più, con la porcellana migliore, con dei
[bicchieri in più,
la credenza con molte cose – dolci, frutta, il resto nell’ombra sotto la scansia –,
le vecchie zie, i cugini estranei, e tutto era per me,
al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno…

Fermati, cuore mio!
Non pensare! Lascia il pensiero alla testa!
Oh mio Dio, mio Dio, mio Dio!
Oggi non compio più gli anni.
Perduro.
I miei giorni si addizionano.
Sarò vecchio quando lo sarò.
Nient’altro.
Rabbia di non aver portato in tasca il passato rubato!

Il tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno!…

15 ottobre 1929

Da: Fernando Pessoa, Poesie di Álvaro de Campos, (a cura di Maria José de Lancastre, traduzione di Antonio Tabucchi), Adelphi, Milano 1993.

pessoa fernando sguardo

Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato

Nulla mi lega a nulla

Nulla mi lega a nulla.
Voglio cinquanta cose allo stesso tempo.
Bramo con un’angoscia di fame di carne
quel che non so cosa sia –
definitamente l’indefinito…
Dormo irrequieto e vivo in un irrequieto sognare
di chi dorme irrequieto, mezzo sognando.
Mi hanno chiuso tutte le porte astratte e necessarie,
Hanno abbassato le tende dal di dentro di ogni ipotesi che avrei potuto vedere dalla via.
Non c’è nel vicolo trovato il numero di porta che mi hanno dato.
Mi sono svegliato alla stessa vita a cui mi ero addormentato.
Perfino i miei eserciti sognati sono stati sconfitti.
Perfino i miei sogni si sono sentiti falsi nell’essere sognati.
Perfino la vita solo desiderata mi stanca; perfino questa vita…
Comprendo a intervalli sconnessi;
scrivo a intervalli di stanchezza;
e perfino un tedio del tedio mi getta sulla spiaggia.
Non so quale destino o futuro compete alla mia angoscia disalberata;
non so quali isole del Sud impossibile mi aspettano naufrago;
o quali palmeti di letteratura mi daranno almeno un verso.
No, non so né questo né altro né niente…
E in fondo al mio spirito, dove sogno quel che sognai,
nelle estreme pianure dell’anima, ove ricordo senza motivo
(il passato è una nebbia naturale di lacrime false),
nelle strade, nei sentieri di remote foreste
ove ho supposto il mio essere,
fuggono in rotta, ultimi resti
dell’illusione finale,
i miei sognati eserciti, sconfitti senza essere esistiti,
le mie coorti ancora da esistere, sgominate in Dio.

Da: Fernando Pessoa, Lisbon revisited (1926) Poesie di Álvaro de Campos

Stanchezza

Quello che c’è in me è soprattutto stanchezza
non di questo o di quello
e neppure di tutto o di niente:
stanchezza semplicemente, in sé,
stanchezza.
La sottigliezza delle sensazioni inutili,
le violente passioni per nulla,
gli amori intensi per ciò che si suppone in qualcuno,
tutte queste cose –
queste e cio’ che manca in esse eternamente –
tutto ciò produce stanchezza,
questa stanchezza,
stanchezza.
C’è senza dubbio chi ama l’infinito,
c’è senza dubbio chi desidera l’impossibile,
c’è senza dubbio chi non vuole niente –
tre tipi di idealisti, e io nessuno di questi:
perchè io amo infinitamente il finito,
perchè io desidero impossibilmente il possibile,
perchè voglio tutto, o ancora di più, se può essere,
o anche se non può essere…
E il risultato?
Per loro la vita vissuta o sognata,
per loro il sogno sognato o vissuto,
per loro la media fra tutto e niente, cioè la vita…
Per me solo una grande, una profonda,
e, ah, con quale felicità, infeconda stanchezza,
una supremissima stanchezza,
issima, issima, issima,
stanchezza…

Da: Fernando Pessoa, Poesie di Álvaro de Campos

Strilli Cvetaeva perché voi siete malatoStrilli dzieduszycka Se fosse lineare decisa evidenteLicantropia

In qualche luogo i sogni diventeranno realtà.
C’è un lago solitario
illuminato dalla luna per me e per te
come nessuno per noi soli.

Lì la scura bianca vela spiegata
in un vago vento non sentito
guiderà la nostra vita-sonno
laddove le acque si fondono

in un lido di neri alberi,
dove i boschi sconosciuti vanno incontro
al desiderio del lago di essere di più
e rendono il sogno completo.

Là ci nasconderemo e svaniremo,
tutti vanamente al confine della luna,
sentendo che ciò di cui siamo fatti
è stato qualche volta musicale.

L’abisso

Tra me e la mia coscienza
c’ è un abisso
nel cui fondo invisibile scorre
il rumore di un fiume lontano dai soli,
il cui suono reale è cupo e freddo –
Ah, in qualche punto del pensare della nostra anima,
freddo e scuro e incredibilmente vecchio,
in se stesso e non nella sua dichiarata apparenza.

Il mio ascoltare è diventato il mio vedere
quel sommerso fiume senza luogo.
Il suo rumore silenzioso libera sempre
il mio pensiero dal potere del mio pensiero di sognare.
Una temibile realtà appartiene
a quel fiume di mute, astratte canzoni
che parlano della non realtà
del suo andare verso nessun mare.
Ecco! Con gli occhi del mio sognato sentire
io sento il non visto fiume trasportare
verso dove non va tutte le cose
di cui è fatto il mio pensiero – il Pensiero
in Sé, e il Mondo, e Dio, che
fluttuano in quell’ impossibile fiume.

Ah, le idee di Dio, del Mondo,
di Me stesso e del Mistero,
come da uno sconosciuto bastione colpito,
scorrono con quel fiume verso quel mare
che non ha raggiunto né raggiungerà mai
e apparterrà al suo moto legato alla notte.
Oh, ancora verso quel sole su quella spiaggia
di quell’ inattingibile oceano!

L’Altrove

Andiamo via, creatura mia,
via verso l’Altrove.
Lì ci sono giorni sempre miti
e campi sempre belli.

La luna che splende su chi
là vaga contento e libero
ha intessuto la sua luce con le tenebre
dell’immortalità.

Lì si incominciano a vedere le cose,
le favole narrate sono dolci come quelle non raccontate,
là le canzoni reali-sognate sono cantate
da labbra che si possono contemplare.

Andiamo via, creatura mia,
via verso l’Altrove.
Lì ci sono giorni sempre miti
e campi sempre belli.

La luna che splende su chi
là vaga contento e libero
ha intessuto la sua luce con le tenebre
dell’immortalità.

Lì si incominciano a vedere le cose,
le favole narrate sono dolci come quelle non raccontate,
là le canzoni reali-sognate sono cantate
da labbra che si possono contemplare.

Il tempo lì è un momento d’allegria,
la vita una sete soddisfatta,
l’amore come quello di un bacio
quando quel bacio è il primo.

Non abbiamo bisogno di una nave, creatura mia,
ma delle nostre speranze finché saranno ancora belle,
non di rematori, ma di sfrenate fantasie.

Oh, andiamo a cercare l’Altrove

pessoa_2Il violinista pazzo

Non fluì dalla strada del nord
né dalla via del sud
la sua musica selvaggia per la prima volta
nel villaggio quel giorno.
Egli apparve all’improvviso nel sentiero,
tutti uscirono ad ascoltarlo,
all’improvviso se ne andò, e invano
sperarono di rivederlo.
La sua strana musica infuse
in ogni cuore un desiderio di libertà.
Non era una melodia,
e neppure una non melodia.
In un luogo molto lontano,
in un luogo assai remoto,
costretti a vivere, essi
sentirono una risposta a questo suono.
Risposta a quel desiderio
che ognuno ha nel proprio seno,
il senso perduto che appartiene
alla ricerca dimenticata.
La sposa felice capì
d’essere malmaritata,
L’appassionato e contento amante
si stancò di amare ancora,
la fanciulla e il ragazzo furono felici
d’aver solo sognato,
i cuori solitari che erano tristi
si sentirono meno soli in qualche luogo.
In ogni anima sbocciava il fiore
che al tatto lascia polvere senza terra,
la prima ora dell’anima gemella,
quella parte che ci completa,
l’ombra che viene a benedire
dalle inespresse profondità lambite
la luminosa inquietudine
migliore del riposo.
Così come venne andò via.
Lo sentirono come un mezzo-essere.
Poi, dolcemente, si confuse
con il silenzio e il ricordo.
Il sonno lasciò di nuovo il loro riso,
morì la loro estatica speranza,
e poco dopo dimenticarono
che era passato.
Tuttavia, quando la tristezza di vivere,
poiché la vita non è voluta,
ritorna nell’ora dei sogni,
col senso della sua freddezza,
improvvisamente ciascuno ricorda –
risplendente come la luna nuova
dove il sogno-vita diventa cenere –
la melodia del violinista pazzo.

Strilli Carlo LiviaStrilli Colonna Passa, è passato, passeràOde alla notte

Vieni, Notte antichissima e identica,
Notte Regina nata detronizzata,
Notte internamente uguale al silenzio, Notte
con le stelle, lustrini rapidi
sul tuo vestito frangiato di Infinito.
Vieni vagamente,
vieni lievemente,
vieni sola, solenne, con le mani cadute
lungo i fianchi, vieni
e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,
fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,
tutte le strade che la salgono,
tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
e lascia solo una luce, un’altra luce e un’altra ancora,
nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
nella distanza subitamente impossibile da percorrere.
Nostra Signora
delle cose impossibili che cerchiamo invano,
dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,
dei propositi che ci accarezzano
sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,
al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,
e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.
Vieni e cullaci,
vieni e consolaci,
baciaci silenziosamente sulla fronte,
cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d’essere baciati
se non per una differenza nell’anima
e un vago singulto che parte misericordiosamente
dall’antichissimo di noi
laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può
essere nella vita.
Vieni solennissima,
solennissima e colma
di una nascosta voglia di singhiozzare,
forse perché grande è l’anima e piccola è la vita,
e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,
e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio
e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.
Vieni, dolorosa,
Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,
Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,
fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili,
sapore d’acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.
Vieni, dal fondo
dell’orizzonte livido,
vieni e strappami
dal suolo dell’angustia in cui io vegeto,
dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni
dal quale naturalmente sono spuntato.
Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,
e fra erbe alte margherita ombreggiata,
petalo per petalo leggi in me non so quale destino
e sfogliami per il tuo piacere,
per il tuo piacere silenzioso e fresco.
Un petalo di me lancialo verso il Nord,
dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo.
Un altro petalo di me lancialo verso il Sud
dove sono i mari e le avventure che si sognano.
Un altro petalo verso Occidente,
dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,
e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi
dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.
E l’altro, gli altri, tutti gli altri petali
– oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! –
affidali all’Oriente,
l’Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,
l’Oriente pomposo e fanatico e caldo,
l’Oriente eccessivo che io non vedrò mai,
l’Oriente buddhista, bramanico, scintoista,
l’Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,
tutto quanto noi non siamo,
l’Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo,
dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto…
Vieni sopra i mari,
sopra i mari maggiori,
sopra il mare dagli orizzonti incerti,
vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,
e calmalo misteriosamente,
o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!
Vieni, premurosa,
vieni, materna,
in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
e che vedesti nascere Geova e Giove,
e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
e il grande Spazio Misterioso al di la di essi… Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
avvolgi nel tuo mantello leggero
il mio cuore… Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
con le stelle che brillano (o Travestita dell’Oltre!),
polvere di oro sui tuoi capelli neri,
e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.
Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
Quando tu entri ogni voce si abbassa
Nessuno ti vede entrare
Nessuno si accorge di quando sei entrata,
se non all’improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
che tutto perde i contorni e i colori,
e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all’orizzonte,
già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.

pessoa_1.jpg

In qualche luogo i sogni diventeranno realtà

Ho pena delle stelle

Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo…
Ho pena delle stelle.
Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come delle gambe o di un braccio?
Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l’essere triste lume o un sorriso…
Non ci sarà dunque,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un’altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?

Autopsicografia

Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.

E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.

E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore.

Strilli Talia2Strilli RagoSensazione

I miei pensieri sono qualcosa che la mia anima teme.
Fremo per la mia allegria.
A volte mi sento invadere da
una vaga, fredda, triste, implacabile
quasi-concupiscente spiritualità.
Mi fa tutt’uno con l’erba.
La mia vita sottrae colore a tutti i fiori.
La brezza che sembra restia a passare
scrolla dalle mie ore rossi petali
e il mio cuore arde senza pioggia.
Poi Dio diventa un mio vizio
e i divini sentimenti un abbraccio
che annega i miei sensi nel suo vino
e non lascia contorni nei miei modi
di vedere Dio fiorire, crescere e splendere.
I miei pensieri e sentimenti si confondono e formano
una vaga e tiepida anima-unità.
Come il mare che prevede una tempesta,
un pigro dolore e un’inquietudine fanno di me
il mormorio di un incalzante stormo.
I miei inariditi pensieri si mescolano e occupano
le loro interpresenze, e usurpano
gli uni il posto degli altri. Non distinguo
nulla in me tranne l’impossibile
amalgama delle molte cose che sono.
Sono un bevitore dei miei pensieri
l’essenza dei miei sentimenti inonda la mia anima…
La mia volontà vi si impregna.
Poi la vita ferma un sogno e fa sfiorire
la bellezza nel dolore dei miei versi.

Non sto pensando a niente

Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l’aria notturna,
fresca in confronto all’estate calda del giorno.

Che bello, non sto pensando a niente!

Non pensare a niente
è avere l’anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita…
Non sto pensando a niente.
E’ come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente…

Strilli LinguaglossaStrilli GabrieleTutte le lettere d’amore

Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.

Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,
come le altre,
ridicole.

Le lettere d’amore, se c’è l’amore,
devono essere
ridicole.

Ma dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono
ridicoli.

Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo
senza accorgermene
lettere d’amore
ridicole.

La verità è che oggi
sono i miei ricordi
di quelle lettere
a essere ridicoli.

(Tutte le parole sdrucciole,
come tutti i sentimenti sdruccioli,
sono naturalmente
ridicole).

Magnificat

Quando passerà questa notte interna, l’universo,
e io, l’anima mia, avrò il mio giorno?
Quando mi desterò dall’essere desto?
Non so. Il sole brilla alto:
impossibile guardarlo.
Le stelle ammiccano fredde:
impossibile contarle.
Il cuore batte estraneo:
impossibile ascoltarlo.
Quando finirà questo dramma senza teatro,
o questo teatro senza dramma,
e potrò tornare a casa?
Dove? Come? Quando?
Gatto che mi fissi con occhi di vita,
chi hai là in fondo?
Si, sì, è lui!
Lui, come Giosuè, farà fermare il sole
e io mi sveglierò;
e allora sarà giorno.
Sorridi nel sonno, anima mia!
Sorridi anima mia: sarà giorno!

Pessoa-620x400

La morte è la curva della strada

Questo

Dicon che fingo o mento
quanto io scrivo. No:
semplicemente sento
con l’immaginazione,
non uso il sentimento.

Quanto traverso o sogno,
quanto finisce o manco
è come una terrazza
che dà su un’altra cosa.
É questa cosa che è bella.

Così, scrivo in mezzo
a quanto vicino non è:
libero dal mio laccio,
sincero di quel che non è.
Sentire? Senta chi legge.

La morte è la curva della strada

La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.

Amo tutto ciò che è stato

Amo tutto ciò che è stato,
tutto quello che non è più,
il dolore che ormai non mi duole,
l’antica e erronea fede,
l’ieri che ha lasciato dolore,
quello che ha lasciato allegria
solo perché è stato, è volato
e oggi è già un altro giorno.

Strilli LeoneLe isole fortunate

Quale voce viene sul suono delle onde
che non è la voce del mare?
È la voce di qualcuno che ci parla,
ma che, se ascoltiamo, tace,
proprio per esserci messi ad ascoltare.
E solo se, mezzo addormentati,
udiamo senza sapere che udiamo,
essa ci parla della speranza
verso la quale, come un bambino
che dorme, dormendo sorridiamo.
Sono isole fortunate,
sono terre che non hanno luogo,
dove il Re vive aspettando.
Ma, se vi andiamo destando,
tace la voce, e solo c’è il mare.

Onto mario Gabriele_1

Nulla

Gli angeli vennero a cercarla
la trovarono al mio fianco,
lì dove le sue ali l’avevano guidata.
Gli angeli vennero per portarla via.
Aveva lasciato la loro casa,
il loro giorno più chiaro
ed era venuta ad abitare presso di me.
Mi amava perché l’amore
ama solo le cose imperfette.
Gli angeli vennero dall’alto
e la portarono via da me.
Se la portarono via per sempre
tra le ali luminose.
È vero che era la loro sorella
e così vicina a Dio come loro.
Ma mi amava perché
il mio cuore non aveva una sorella.
Se la portarono via,
ed è tutto quel che accadde.

Strilli GiancasperoSe qualcuno…

Se qualcuno un giorno bussa alla tua porta,
dicendo che è un mio emissario,
non credergli, anche se sono io;
ché il mio orgoglio vanitoso non ammette
neanche che si bussi
alla porta irreale del cielo.
Ma se, ovviamente, senza che tu senta
bussare, vai ad aprire la porta
e trovi qualcuno come in attesa
di bussare, medita un poco. Quello è
il mio emissario e me e ciò che
di disperato il mio orgoglio ammette.
Apri a chi non bussa alla tua porta.

Tra il sonno e il sogno

Tra il sonno e il sogno
tra me e colui che in me
è colui che suppongo,
scorre un fiume interminato.
È passato per altre rive,
sempre nuove più in là,
nei diversi itinerari
che ogni fiume percorre.
È giunto dove oggi abito
la casa che oggi sono.
Passa, se io medito;
se mi desto, è passato.
E colui che mi sento e muore
in quel che mi lega a me
dorme dove il fiume scorre –
questo fiume interminato.

Pessoa

Altri avranno
un focolare, qualcuno che sappia, amore, pace, un amico.
L’intera, nera e fredda solitudine
mi accompagna.
Per altri forse
vi è qualcosa di caloroso, eguale, affine
nel mondo reale. Il mio turno
mai arriva.
«Che importa?», dico.
Ma solo Dio sa che non lo credo.
Neppure un casuale mendicante sulla mia porta
sedersi vedo.
«Chi dovrebbe essere?»
Men non soffre chi lo riconosce.
Soffre chi finge di disprezzare la sofferenza
poiché non scorda.
Questo, fino a quando?
Solo mi consola
l’avere gli occhi che si vanno all’oscurità
abituando.

(13 gennaio 1920 )

*


Contemplo il lago silenzioso
che la brezza fa rabbrividire.
Non so se penso a tutto
o se tutto mi dimentica.
Nulla il lago mi dice
né la brezza cullandolo.
Non so se sono felice
né se desidero esserlo.
Tremuli solchi sorridono
sull’acqua addormentata.
Perché ho fatto dei sogni
la mia unica vita?

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No: non voglio nulla./ Ho già detto che non voglio nulla

Tre estratti dalle ”Odi di Ricardo Reis”

1
“Nessuno, nell’ampia foresta vergine
del mondo innumero, finalmente
vede il Dio che conosce.
Solo quel che la brezza reca si ode nella brezza
Quel che pensiamo, sia amore o dei,
passa, perché passiamo.”

2
“Non so di chi ricordo il mio passato
che altro fui quando fui, né mi conosco
come se con la mia anima sentissi
quell’anima che nel sentire ricordo.
Da un giorno all’altro ci lasciamo.
Nulla di vero a noi ci unisce:
siamo chi siamo, e chi siamo stati fu
cosa vista di dentro.”

3
“Se ad ogni cosa un dio compete,
perché non ci sarà di me un dio?
Perché io non lo sarò?
E’ in me che il Dio dà vita
perché io sento.
Il mondo esterno chiaramente vedo:
cose, uomini, senz’anima.”

Brani estratti da Odi di Ricardo Reis, La vita felice – Milano

Strilli Talia la somiglianza è un addio……
No: non voglio nulla.
Ho già detto che non voglio nulla.
Non mi si venga con conclusioni!
L’unica conclusione è morire.
Non mi si venga con estetiche!
Non mi si parli di morale!
Mi si porti via di qui la metafisica!
Non mi si proclamino sistemi completi, non mi si elenchino conquiste
delle scienze (della scienze, mio Dio, delle scienze!) –
delle scienze, delle arti, della civiltà moderna!
Che male ho fatto io agli dèi tutti?
Se avete la verità, tenetevela!
Sono un tecnico, ma ho tecnica solo dentro la tecnica.
A parte questo sono pazzo, con tutto il diritto di esserlo.
Con tutto il diritto di esserlo, capito?
Non mi seccate, per l’amor di Dio!
Mi si voleva sposato, quotidiano e tassabile?
Mi si voleva il contrario di questo, il contrario di qualcosa?
Se io fossi un’altra persona tutti asseconderei.
Così, come sono, abbiate pazienza!
Andate al diavolo senza di me,
o lasciatemi andare al diavolo da solo!
Perché dovremmo andarci insieme?
Non mi si afferri il braccio!
Non mi piace che mi si afferri per il braccio. Voglio essere solo,
ho già detto che sono solo da solo!
Ah, che seccatura voler che io sia di compagnia!
O cielo azzurro -lo stesso della mia infanzia-
eterna verità vuota e perfetta!
O ameno Tago ancestrale e muto,
piccola verità in cui il cielo si riflette!
O amarezza rivisitata, Lisbona di un tempo e di oggi!
Nulla mi date, nulla mi togliete, nulla che io mi senta siete.
Lasciatemi in pace! Non m’attardo, che io non m’attardo mai…
E finché s’attardano l’Abisso e il Silenzio voglio stare solo!

*

Spero? No.
Dovrei Sperare?
Non lo so. Perché esisto lo ignoro,
Voglio dormire e dimenticare.

Se solo ci fosse un balsamo per l’anima
Capace di calmarla,
Condurla in una sorta di pace
Che, senza pensare,

Possa durare tutta la vita,
Che possa contenere tutti i pensieri –
Poi […]

Strilli De Palchi poesia regolare composta nel 21mo secoloLa Poesia

Nella mia mente è scolpita una poesia
che esprimerà la mia anima intera

La sento vaga come il suono e il vento
eppure scolpita in piena chiarezza.

Non ha strofa, verso né parola
non è neppure come la sogno.

E’ un mero sentimento, indefinito,
una felice bruma intorno al pensiero.

Giorno e notte nel mio mistero
la sogno, la leggo e riprovo a sillabarla,

e sempre la parola precisa è sul bordo di me stesso
come per librarsi nella sua vaga compiutezza.

So che non sarà mai scritta.
So che non so che cosa sia.

Ma sono contento di sognarla,
e una falsa felicità, benché falsa, è felicità.

Sogno

Era un luogo solitario
di silenzio e di luna.
Tutto come una laguna.
Non vi penetrava alcun affanno
tranne il vago deliquio del vento.

Paesaggio intermedio
tra sogni e terra.
Il vento si era placato, soffiando piano.
Ricche di alghe erano le acque
dove immergevamo la nostra mano.

Lasciavamo la mano vagare
nell’acqua non vista.
I nostri occhi erano abbagliati
dal meandro illuminato di luna
nello scenario della foresta.

Perdevamo lo spirito
del nostro quieto essere noi stessi.
Eravamo liberi come fate,
non avendo da ereditare
niente dall’essere.

Lì le fate e i folletti
imporporavano i loro strascichi illuminati dalla luna.
Lì per un pò conquisteremo
l’inafferrabilità dell’io
che non si può mai ottenere.

Strilli GriecoEpisodio

Qualunque cosa sognamo,
ogni sogno è realtà.
Tutto quel che appare,
Dio lo fa visibile
e dunque è
reale come ogni cosa.

Tutto ciò che desideriamo,
lo otteniamo altrove,
ora, sempre ora, e qui
siamo ricchi dell’al di là.
Nel nostro sentirci io
autodiscerniamo Dio.

A volte penso che la speranza
possa tramutare tutto in realtà,
ma mi fermo, brancolo
e la vita, la paura e il dolore
è tutto ciò che resta.
Perché dunque queste pene,

quest’inquietudine che fa fremere
di una possibile gioia
tutto il dolore che colma
la nostra speranza fino a nausearla?
Perché tutto questo, perché,
se tutto è incerto?
Oh, concedetemi una brezza
su di un prato di questa terra,
e lasciate che quella brezza appaghi
benché io non capisca.
Per ogni angoscia c’è
un vago desiderio di felicità.

Poco importa da dove la brezza…

Poco importa da dove la brezza
trae l’aroma che in essa viene.
Il cuore non ha bisogno
di sapere cos’è il bene.
A me basti a quest’ora
la melodia che culla.
Che importa se, lusingando,
le forze dell’anima spegne?

Chi sono, perché il mondo si perda
dietro quel che penso sognando?
Se mi avvolge la melodia
solo il suo avvolgermi io vivo…

Strilli Espmark Le labbra dell'insegnanteGuardando il Tago

Ella guidò il suo gregge al di là delle colline,
la sua voce riecheggia verso di me nel vento,
e una sete per il suo dolore colma
in me quanto è indefinito.

Laghi spirituali cinti di rocce
dormono nel vuoto della sua canzone.
Lì la sua astersa nudità indugia
e guarda a lungo la sua ombra ristagnata.

Ma, di tutto questo, è reale
solo la mia anima, la sera, il molo
e, ombra del mio sogno di tutto,
il dolore di un nuovo dolore in me.”

Va’: non hai niente da perdonare

“Va’: non hai niente da perdonare.
Sognare è meglio che vivere.

Ma vedrà il sorgere del sole
colui che lascia ogni cosa incompiuta;
il cui pensiero si allontana dal dover pensare
come il sostituirsi di una maschera.

Solo errerà attraverso valli ancora più verdi
di quelle che splendono dalle finestre
delle favole per bambini,
colui che pensa che il mondo si rinnova.

Solo per colui che siede e canta
presso gli steccati dimenticando la propria strada
il passero fatato spiega le sue ali
e i fiori magici crescono più rigogliosi.

Non troverà una mano che nutra
le fonti silenziose del suo desiderio.

Nessuno gli indicherà il ruscello dove
possa appagare la sete dell’infanzia.

Ma vallate più verdi dell’Oggi
e pensieri più cari del Lontano
busseranno alla sua finestra e sveglieranno
la sua freschezza altre seti da appagare.

Così come una silenziosa sartina seduta
alla finestra all’ora del tramonto
in un villaggio sconosciuto
egli non apparterrà a nulla di insano,

ma, incorporea come un augurio,
la sua anima attraverserà come un arcobaleno
i pascoli verde – pioggia del suo perdersi
e la terra diventerà parola.”

Onto Mario Gabriele_2

Sono pallido e tremo

Sono pallido e tremo.
Quale potere del chiar di luna
vibrante sotto il fiume
mi addolora così con diletto?

Quale incantesimo raccontato dalla luna
libera la mia anima intera?
Oh, parlami! Svengo!
Cede in me il dominio sulla vita!

Io sono uno spirito lontano, perfino
nel luogo sentito di me stesso.
O fiume troppo sereno
per la mia tranquillità!

O mal di vivere!
O tristezza per un qualcosa!
O luna – dolore che mi dai la consapevolezza
di essere inutilmente re

Nel magico confine di un reame muto,
in una solitaria terra lunare!
O sofferenza di un flauto che muore
mentre vorremmo che continuasse a suonare!”

Incantesimo

“Dalla sponda dei sogni illuminata dalla luna
tendo le mani vinte verso te,
oh, declinanti altri fiumi
che gli occhi possano pensare di vedere!
Oh, incoronati con la luce dello spirito!
Oh, velati di spiritualità!

I miei sogni e i miei pensieri piegano
i loro stendardi ai tuoi piedi.
Oh, angelo nato troppo tardi
perché ti incontri un uomo affranto!
In quale nuova condizione dei sensi
potrebbero le nostre vite unite sentire tenerezza?

Quale nuova emozione devo
sognare per pensare che mi appartieni?
Quale purezza della lussuria?
Oh, cirri della vite
attorno alla mia vagheggiata speranza!
Oh, sogno – pigiato vino – anima!”

19 commenti

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19 risposte a “Fernando Pessoa (1888-1935), Poesie scelte di Álvaro de Campos,  Tre estratti dalle Odi di Ricardo Reis

  1. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/08/fernando-pessoa-1888-1935-poesie-scelte-di-alvaro-de-campos-tre-estratti-dalle-odi-di-ricardo-reis/comment-page-1/#comment-26617
    Ci tenevo a postare, prima o poi, un articolo con le poesie di Fernando Pessoa. Personaggio di poeta così complesso e sfaccettato che non è possibile racchiudere in una formula. Uno dei principali poeti del novecento europeo, uno dei massimi poeti del modernismo europeo. Oggi mi chiedo chi siano in Italia gli eredi del modernismo europeo, se c’è stato in Italia un modernismo europeo. E qui chiedo aiuto a Carlo Livia, lui so che ha meditato su questo problema. Che cosa significa oggi essere in Italia un poeta della nuova ontologia estetica è una cosa che è in rapporto, in qualche modo, con il modernismo portoghese ed europeo, è questo il senso profondo di riproporre la lettura di un poeta come Pessoa e dei suoi eteronimi. Pessoa il poeta che impersona la grande crisi della cultura europea degli anni venti e trenta.

    Forse nessuno in Europa come Pessoa ha avvertito i segnali, i campanelli di allarme che tintinnavano dovunque. In Italia noi, in piena autarchia, avevamo un Cardarelli e il ritorno all’ordine de “La Ronda”… Così anche oggi quando leggo la poesia che va di moda. Un poeta, la grandezza di un poeta la si misura dalla sua capacità di andare in profondità del proprio tempo, di sondare la crisi del proprio tempo. Non si capisce niente di Pessoa e della grande poesia europea di quegli anni se non teniamo presente la crisi dell’Europa: la poesia di Mandel’stam, Eliot, Pessoa sta lì a dimostrare che alcuni poeti avevano intravisto, molto in anticipo sui propri contemporanei, la crisi di civiltà e di valori della cultura del loro tempo. Non si capisce nulla della poesia di Pessoa se non si tiene bene aperto davanti agli occhi il registro del nichilismo, quel morbo invisibile che attecchì le menti degli abitanti dell’Europa di allora. Non si capisce niente del mondo di oggi se non teniamo bene aperto il quaderno del nichilismo di oggi. La poesia è tra le arti forse quella più idonea a rappresentare la crisi di un mondo, del nostro mondo…

    da Il libro dell’inquietudine:

    Mi ero alzato presto e mi attardavo a prepararmi ad esistere [147]

    La generazione cui appartengo, quando è nata, ha trovato un mondo sprovvisto di fondamenta per chi abbia cervello e un cuore. Il lavoro di distruzione delle generazioni anteriori aveva fatto in modo che il mondo, sul quale siamo nati, non ci potesse dare nessuna sicurezza sul piano religioso, nessun aiuto sul piano morale, nessuna tranquillità sul piano politico. Siamo nati ormai in piena ansia metafisica, in piena ansia morale, in piena agitazione politica. Ebbre delle formule esteriori, dei meri procedimenti della ragione e della scienza, le generazioni che ci hanno preceduto hanno abbattuto i fondamenti della fede cristiana… [173]

  2. donatellacostantina

    “Un nichilismo doloroso e cinico”

    • donatellacostantina

      Fado e Saudade

      “Cantigas de portugueses
      São como barcos no mar-
      Vão de uma alma para outra
      Com riscos de naufragar.”

      Canti di portoghesi
      Sono come barche nel mare-
      Vanno da un’anima all’altra
      Col rischio di naufragare.

      “A vida è pouco aos bocados.
      O amor è vida a sonar.
      Olho para ambos os lados
      E ninguém me vem falar.”

      La vita è brevi frammenti.
      L’amore è una vita che si sogna.
      Guardo da entrambi i lati
      E nessuno viene a parlarmi.

      Fernando Pessoa scrisse più di trecento quartine, dal 1907 fino a pochi mesi dalla sua morte, nel 1935.
      Le quartine in rima (ABAB; ABCB) di settenari e/o ottonari sono la forma dei fados tradizionali.
      E, a proposito del fado, Pessoa scriveva:
      «Il fado non è né allegro né triste, è la stanchezza dell’anima forte, l’occhiata di disprezzo del Portogallo a quel Dio cui ha creduto e che poi l’ha abbandonato: nel fado gli dei ritornano, legittimi e lontani… »

      Amália Rodrigues (1920 – 1999), grande interprete di questa forma musicale a livello internazionale, è ricordata come “a Rainha do Fado”. Sebbene imitata da tanti, resta inimitabile…

      ***

      Tutto questo è fado

      Mi hai chiesto l’altro giorno
      se sapevo cosa fosse il fado.
      Ti ho risposto che no, non lo sapevo.
      Mi hai guardata stupito
      senza sapere cosa dire.
      Ti ho mentito quel giorno,
      ti dissi che non lo sapevo,
      ma te lo dirò adesso.

      Anime sconfitte
      notti andate perse
      ombre bizzarre
      nel Quartiere dei Mori
      il canto di una ruffiana
      chitarre in lacrime
      amore geloso
      ceneri e fuoco
      dolore e peccato
      Tutto questo esiste
      Tutto questo è triste
      Tutto questo è fado

      Se vuoi essere il mio uomo
      e avermi sempre al tuo fianco
      non parlarmi solo d’amore
      parlami anche di fado.
      Il fado è il mio castigo
      nacque per farmi perdere.
      Fado è tutto quello che dico.
      Altro non so dire.

      ***

      Buon ascolto!!

      • londadeltempo

        INTERESSANTE! Brava Donatella Costantina! Mi hai fatto entrare ancora più in profondità nel senso del Fado, anima dell’anima portoghese! Grazie.

        Mariella

        • donatellacostantina

          Grazie a te, Mariella, per l’attenzione e l’apprezzamento che riservi ai miei interventi musicali. Come vedi, cerco sempre di trovare dei richiami, delle relazioni tra poesia e musica. Credo, così, di poter non solo approfondire e rendere più interessante la lettura poetica, ma anche sensibilizzare il pubblico meno informato alla conoscenza musicale. Tale conoscenza è importante per tutti, ma in modo particolare per chi fa poesia. Non dimentichiamo questo pensiero di Ezra Pound: “I poeti che non s’interessano alla musica sono, o diventano, cattivi poeti”.
          Ciao, Mariella! E a presto, con altri buoni ascolti…

          • donatellacostantina

            Questo

            Dicon che fingo o mento
            quanto io scrivo. No:
            semplicemente sento
            con l’immaginazione,
            non uso il sentimento.

            Quanto traverso o sogno,
            quanto finisce o manco
            è come una terrazza
            che dà su un’altra cosa.
            É questa cosa che è bella.

            Così, scrivo in mezzo
            a quanto vicino non è:
            libero dal mio laccio,
            sincero di quel che non è.
            Sentire? Senta chi legge.

            ***

            Isto

            Dizem que finjo ou minto
            Tudo o que escrevo. Não.
            Eu simplesmente sinto
            Com a imaginação.
            Não uso o coração.

            Tudo o que sonho ou passo,
            O que me falha ou finda,
            É como que um terraço
            Sobre outra coisa ainda.
            Essa coisa que é linda.

            Por isso escrevo em meio
            Do que não está ao pé,
            Livre do meu enleio,
            Sério do que não é.
            Sentir? Sinta quem lê!

            ***

            • senza la mia immaginazione sarei un cadavere. Grazie Costantina per la musica .

              • donatellacostantina

                Grazie a te, Francesca, per l’apprezzamento!! Sì, l’immaginazione è tutto. E la musica sostiene molto l’immaginazione. È musica e immaginazione anche la lingua, soprattutto quando, non conoscendola, l’ascoltiamo soltanto. Così per questa poesia di Pessoa, Sou lúcido, recitata in portoghese.

  3. “Come una silenziosa sartina seduta/ alla finestra all’ora del tramonto/in un villaggio sconosciuto”;quasi mi vergogno a dire che, di tutto quanto ho letto di Pessoa e su Pessoa,questi tre versi sono quelli che,entrati nel mio immaginario, resteranno per sempre.

  4. L’ha ribloggato su RIDONDANZEe ha commentato:
    Che inquietudine!

  5. L’INTRUSO
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/08/fernando-pessoa-1888-1935-poesie-scelte-di-alvaro-de-campos-tre-estratti-dalle-odi-di-ricardo-reis/comment-page-1/#comment-26650
    dell’ombra
    scalfisco la luce, quest’ultimo tratto indistinto
    la stasi.
    queste tregue di lenti fruscii, dopo,
    dopo le parole in tempesta. dopo,
    dopo l’acqua alta a Venezia
    migliaia di volti in cornici dorate.
    I volti dipinti parlavano tra di loro.
    Dicevano: «Non fate entrare le ombre maledette!
    Sbarrate loro l’ingresso!».
    […]
    Mi accorgo che dalla porta entrano in molti.
    Dicono: «Buongiorno» e «Addio».
    l’intruso solo interruppe.

    • londadeltempo

      Mi sembra molto interessante questo tipo di intervento creativo che si riallaccia ai versi di un altro poeta: e mi piace il titolo: “L’intruso” che crea una svolta espressiva e un registro diverso di scrittura/significati evocati.

      Mariella Colonna

  6. antonio sagredo

    Leopardi-Pessoa: nihilismo, pessimismo, ateismo, sesso… ecc.
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/08/fernando-pessoa-1888-1935-poesie-scelte-di-alvaro-de-campos-tre-estratti-dalle-odi-di-ricardo-reis/comment-page-1/#comment-26661
    [(per inciso: lo scrittore portoghese F. Pessoa riguardo l’ateismo di Leopardi scrive in:Bara de Teive, A Educacao do Estyoico:”Como posso en encarar com seriedad e como pena o ateismo de Leopardi se sei que ateismo secuararia com a copula?; (prosegue in lingua inglese) :”The worst of this sort of tragedy is that it is comic”. L’asserzione del Pessoa coincide con quella di Nietzsche (> vedi * pag.30.) È, ovvio, che qui ateismo sta anche per pessimismo. Březina sfiorerà l’ateismo, dopo la morte dei genitori, per cui non esiste che la sordida materia e il Nulla (vedi pag.87); e sarà pessimista, proprio come Machar?!].
    ————–
    * > Nietzsche, F.: “questi ultraplatonici, ai quali sfugge sempre l’ingenuità, finiscono male. Qualcosa nell’uomo dev’essere duro e rozzo; altrimenti si perde in modo ridicolo, per continue contraddizioni coi fatti più semplici: per esempio, con il fatto che un uomo di tanto in tanto ha bisogno di una donna, come di tanto in tanto ha bisogno di un buon pasto.” (in: Nachgelassene Fragmente. Frühjar-Herbst 1884; VII 2, 255).
    —————————————-
    dalla mia Tesi : Profilo di Otokar Brezina, 1974-75 – pgg. 30 – 90

  7. antonio sagredo

    ….devo plaudire Linguaglossa per averci finalmente presentato alcune poesie del poeta portoghese – bisognerebbe più spesso presentare autori che paiono lontani e periferici (colpa della periferia geografica, in questo caso) e invece sono al centro delle problematiche culturali europee fra i due secoli.
    Il poeta ceco-moravo Ot. Brezina è uno di questi autori, ancora più sconosciuto dello stesso Pessoa – ma del primo ho presentato in questo blog alcune sue poesie.

  8. sono lontana dal molo. Lo stesso ErgoSum
    nuota contro il canale e gli orsi marini. Due ore circa per Venezia.
    Di fronte la grandine rossa. Non sapevo molto dei palazzi lagunari.
    Il primo punto? Una maschera dai fiori in plastica. Lo sgherro (invece) si intercalava sulla superficie di rottura.
    La potenza di un flash avrebbe potuto illuminare la sartoria teatrale _ ma le ombre girevoli sventavano ogni mano ferma
    il tempo tra le meduse agganciate alle mie caviglie.
    Nel film un tumulo di secondi . I rulli dei tamburi dopo il ponte sub anemico.
    Ora la muschiata della piazza è una fotografia a scacchi.
    Poco o nulla _ penso_ alla sola vista di te con i coriandoli filanti.
    Un gondoliere ha l’aria turbata.
    – Buon carnevale_ dice a tutti.

  9. caro Antonio Sagredo,
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/08/fernando-pessoa-1888-1935-poesie-scelte-di-alvaro-de-campos-tre-estratti-dalle-odi-di-ricardo-reis/comment-page-1/#comment-26670
    Una interlocutrice ha scritto che ogni giorno «diventiamo sempre più sagrediani». Ben detto!, ho sempre pensato che gli «ultraplatonici ai quali sfugge sempre l’ingenuità» (Nietzsche), finiscono sempre per andare a braccetto con l’Euro e il Potere, con il conformismo dei nuovi clerici. Sia detto con la massima chiarezza: non interessano alla «nuova ontologia estetica» le capriole della poesia bene educata, quella fatta negli epicentri di Milano e nel circoletto romano di piazza Argentina, noi siamo per una poesia sempre più sagrediana, sempre più mariogabrielana e sempre meno chiesastica (intesa nel senso fatta da chierici).

    Mi piace la bella poesia di Mauro Pierno fatta con gli scampoli del parlato di una mia poesia, mi piace questa ibridazione anche perché anch’io nelle mie poesie faccio frequentemente delle citazioni e dei richiami impliciti od espliciti a versi di altri poeti, così tanti che poi ne perdo finanche la memoria. Questo tessuto di scampoli, di stracci, di frasari perduti sono le nostre tombe, le nostre pietre tombali… ci stiamo bene nelle tombe… viviamo in una civiltà che ha fatto del passato un «immenso camposanto di lapidi» (cito me stesso), va quindi benissimo fare interagire «Evelyn» (personaggio inventato da Mario Gabriele) con le mie «Maschere», con il «tedio» di Pessoa, con il turlupinare sgomento di Antonio Sagredo e che il tutto finisca nella «Commedia» di Mariella Colonna. Tutto ciò è motivo di autenticità, molto vivo, effervescente come una poesia sagrediana! – La poesia deve vivere e prosperare sulla «crisi del senso», che è concetto complesso che i poetini della domenica mattina che poetano sull’io non possono minimamente neanche immaginare.

    Mauro Pierno
    L’INTRUSO

    dell’ombra
    scalfisco la luce, quest’ultimo tratto indistinto
    la stasi.
    queste tregue di lenti fruscii, dopo,
    dopo le parole in tempesta. dopo,
    dopo l’acqua alta a Venezia
    migliaia di volti in cornici dorate.
    I volti dipinti parlavano tra di loro.
    Dicevano: «Non fate entrare le ombre maledette!
    Sbarrate loro l’ingresso!».
    […]
    Mi accorgo che dalla porta entrano in molti.
    Dicono: «Buongiorno» e «Addio».
    l’intruso solo interruppe.

    Una poesia di Edith Dzieduszycka si intitola «Groviglio». Ebbene, che cos’è il «groviglio»? Lascio la parola ad Adorno (filosofo troppo spesso oscurato dagli ignorantini poetini di oggi): «Il groviglio di fili, l’intreccio organicistico viene tagliato e distrutta la credenza che un elemento si combini vitalmente con l’altro, a meno che l’intreccio non diventi così fitto e arruffato da oscurarsi sul serio al senso»; «ma la soglia fra l’arte autentica, che prende su di sé la crisi del senso, ed un’arte rinunciataria, consistente in frasi protocollari in senso letterale e traslato, è che in opere significative la negazione del senso si configura come cosa negativa, nelle altre si riproduce in maniera cocciutamente positiva».1]

    Facciamo dunque una poesia aggrovigliata, ibridata, sovrareale, che si fa beffe del senso, che si fa beffe del paludamento dell’anima bella e del pretesco poetese.

    Alcuni pensieri sulla poesia della «nuova ontologia estetica»

    L’«Evento» è quella «Presenza»
    che non si confonde mai con l’essere-presente,
    con un darsi in carne ed ossa.
    È un manifestarsi che letteralmente sorprende, scuote l’io,
    o, sarebbe forse meglio dire, lo coglie a tergo, a tradimento
    Il soggetto è scomparso, ma non l’io poetico che non se ne è accorto,
    e continua a dirigere il traffico segnaletico del discorso poetico come se nulla fosse.

    La parola è una entità che ha la stessa tessitura che ha la «stoffa» del tempo
    La costellazione di una serie di eventi significativi costituisce lo spazio-mondo.

    Con il primo piano si dilata lo spazio,
    con il rallentatore si dilata e si rallenta il tempo.

    Con la metafora si riscalda la materia linguistica,
    con la metonimia la si raffredda.

    Nell’era della mediocrazia ciò che assume forma di messaggio viene riconvertito in informazione, la quale per sua essenza è precaria, dura in vita fin quando non viene sostituita da un’altra informazione. Il messaggio diventa informazionale e ogni forma di scrittura assume lo status dell’informazione quale suo modello e regolo unico e totale. Anche i discorsi artistici, normalizzati in messaggi, vengono silenziati e sostituiti con «nuovi» messaggi informazionali. Oggi si ricevono le notizie in quella sorta di videocitofono qual è diventato internet a misura del televisore. Il pensiero viene chirurgicamente estromesso dai luoghi dove si fabbrica l’informazione della post-massa mediatica. L’informazione abolisce il tempo e lo sostituisce con se stessa.
    L’atto dello scrivere, corre sempre il rischio di porsi come invasione dello spazio della scrittura da parte del soggetto, corre sempre il rischio di trasformarsi in immagine intransitiva, positiva, autoreferenziale, di risolversi in una retorizzazione del soggetto. Dinanzi alla poesia «in vitro» di oggi potremmo parlare di un pensare scrivendo; in ogni scritto si celano due testi: uno esplicito e l’altro segreto, due inseparabili dimensioni: il testo «in chiaro» e la sua dimensione «nascosta».

    Aristotele ha sostenuto che i segni scritti sono immagine di ciò che «è nella voce», Platone invece come ha rilevato Derrida, ha presentato il discorso orale come ripercussione di una inattingibile archi-scrittura al di qua della voce sensibile, una archiécriture che è la poesia stessa nell’atto del suo prendere forma. Per contro, la scrittura che «appare» non può che agire quale «comunicazione del comunicabile», come affermò genialmente Walter Benjamin, ossia corre sempre il rischio di essere mera trasmissione e pubblicizzazione di significati attraverso i suoi segni pubblici. L’immediatezza di certa scrittura poetica di oggi pensa ancora possibile e attingibile la scrittura come sguardo frontale. È qui, a mio avviso, in questa impostazione categoriale aporetica, che sussulta e frigge la posizione della poesia moderna, in questa oscillazione tra una archiscrittura (celata) e una scrittura dell’immediatezza (manifesta), che non può trovare alcuna soluzione compromissoria.

    Il discorso «manifesto» non può comunicare pubblicamente i suoi messaggi se non si è già attivata la misteriosa danza dell’invisibile archiscrittura. Ogni poesia non può non tendere l’orecchio dell’ascolto nei riguardi del segreto di quella danza nascosta. Ogni poesia è un porre in atto mediante parole ciò che in atto non è.

    La «nuova ontologia estetica», almeno questo è il mio pensiero, non è né una avanguardia né una retroguardia, è un movimento di poeti che ha detto BASTA alla deriva epigonica della poesia italiana che durava da cinque decenni. Deriva da un atto di sfiducia (adoperiamo questo gergo parlamentare), abbiamo deciso di sfiduciare il governo parlamentare che durava da decenni nella sua imperturbabile deriva epigonica. Occorreva dare una svolta, imprimere una accelerazione agli eventi. E deriva da un atto di fiducia, fiducia nelle possibilità di ripresa della poesia italiana.

    Francesca Dono

    sono lontana dal molo. Lo stesso ErgoSum
    nuota contro il canale e gli orsi marini. Due ore circa per Venezia.
    Di fronte la grandine rossa. Non sapevo molto dei palazzi lagunari.
    Il primo punto? Una maschera dai fiori in plastica. Lo sgherro (invece) si intercalava sulla superficie di rottura.
    La potenza di un flash avrebbe potuto illuminare la sartoria teatrale _ ma le ombre girevoli sventavano ogni mano ferma
    il tempo tra le meduse agganciate alle mie caviglie.
    Nel film un tumulo di secondi . I rulli dei tamburi dopo il ponte sub anemico.
    Ora la muschiata della piazza è una fotografia a scacchi.
    Poco o nulla _ penso_ alla sola vista di te con i coriandoli filanti.
    Un gondoliere ha l’aria turbata.
    – Buon carnevale_ dice a tutti.

    (6 novembre 2017 alle 19:44)

    Antonio Sagredo

    Tu sei vicina alla destinazione che ti ho assegnato,
    ma non t’abbandona la melanconia di Saturno –
    forse è la chiacchiera del lutto o il suo contrario
    che alla vuota contemplazione si ribella… invano!

    L’allegoria è come la carezza di una satira strisciante
    che la risonanza dei lamenti trasmuta in candelabri accesi
    per una fine che mai è un compiuto atto – sul capezzale,
    se vuoi, non confondere la genesi e il tuo fare originale.

    Il dramma che inizia da un rogo annunciato sostiene l’altare
    barocco di Bamberga – e, così sia, la visione di una santa: rose
    sul letto ha sparso una più alta vergine!… e il suo confessore
    non le vede: per l’intelligenza non si prevede libera docenza!

    (Vermicino, 9 luglio 2008)
    *
    Allegorie

    Incontrai sul Ponte delle Anime Gioiose la stramba maschera… deforme di tutte le finzioni che sul selciato i passi dei monatti e i segni lasciavano interdetti i testimoni,
    e sui portoni il loro volto ornavano di ceppi e di capestri…. i corpi decollati delle Erinni smarrivano i riti circoncisi su pagani altari fra Centauri e Giganti.

    I cardini legnosi dei tre regni vomitavano ruggine urlando che era quello del Verbo, originario tradito dalla volgarità cristiana, il volto senza maschera di un sogno… il toscano Cordigliero, per inferni e paradisi creò la parola più sottile con la sua cetra maledetta e i crudeli battiti del sangue conteggiò per un viaggio al centro

    oltretombale della teologia, e traguardi ignoti indicò nella geometria degli imbuti, e le sfere che celesti non so dire… dubitò del cosmo di Tolomeo e predisse la caduta nel regno di Como di tragiche figure e la sacralità dell’Erebo pagano, mollò dubbioso come Caronte i remi alle correnti poi che il traghettare anime buffe

    o bizzarri corpi non seppe mai – si scocciò infine… Cerbero col veleno delle note crollò il Tempo Assoluto, schifò il trono Minosse, e Colui che si nasconde dalla Notte col belletto della ruggine… il grecoro si pinse il sogno d’una finzione… e il canto del cerchio terzo recitò: maledetto, consùmati la maschera – con le lacrime!

    (Roma, 27-28 ottobre 2015)

    Carlo Livia.

    Paradiso artificiale

    Ieri hanno portato via l’ultimo corpo, in parte già trasformato in luce,bianco-musica e celeste-silenzio.
    Al suo posto è apparsa la macchina che guarisce il pensiero: il dolore è dissolto dal raggio verde, la paura risucchiata dagli specchi.
    Sembra che il sistema abbia raggiunto la perfezione, eliminando ogni sensazione ed emozione o altro elemento di disturbo, solo onde di piacere nelle menti-ricevitori, che le riflettono all’infinito.

    sono nel sogno sbagliato
    raccolgo i miei occhi e cado
    nell’universo che è la mia zona morta
    no sono la mente del Dio oscurato dal programma
    sguardo frantumato in miriadi di occhi che si allontanano
    o la colpa di esistere nel cuore-tabernacolo
    dell’ombra-fanciulla che simula l’essere

    Attenzione: residuali entità antisistema potrebbero sfuggire al controllo delle barriere di filtraggio e mutazione di campo.
    Il rischio maggiore è che, introducendosi nelle fasi ricettive, alterino la qualità dei valori di soddisfazione e riproducano perturbamenti e segnali negativi, superflui e nocivi.

    ero la ferita del cielo
    ero prigioniero della processione di istanti o di maschere
    ai piedi della candida peccatrice
    nella dogana di lune e sospiri dov’erano gettati tutti i desidèri
    sognavo corpi che erano frutti di cieli lontani
    cieli spogliati d’ombre malate di parole
    parole come squarci d’addio nel pensiero
    aspettavo poi venne il sonno
    un macigno di lacrime fra arcate di nubi
    e quei saliscendi finti che gridavano
    che la mia testa era senza confini

    Sembra che permangano visibili tracce di entità non ancora conformi alla codificazione del sistema; occorre approntare al più presto sistemi di identificazione ed eliminazione totale, per evitare che producano segnali in grado di interferire con l’attività programmata.

    Come sono arrivato in fondo a questo precipizio
    corridoio di domande oscurate
    dove sono esposti tutti i miei peccati
    stella spenta o giuramento tradito
    trascino pensieri sono bagagli di cenere
    angeli disossati pendono dalle feritoie
    da millenni lo stesso luogo di polvere
    niente più che viva e palpiti
    ma la morte è scomparsa
    o attende fra le porcellane
    ponte gettato nell’oscurità
    tento di raggiungere il mio essere
    che non sorge e non si estingue
    sento l’esterno che non esiste ma ferisce
    ma non posso sentire l’interno
    oceano di fontane spente
    sterminio di Dei o di parole allacciate
    amplesso immobile o folle paradiso paralizzato
    sogno dell’oscuro Dio scomparso
    mani che tentano di forzare la grande serratura celeste
    dietro cui attende la vergine distesa
    che non posso ricordare

    Sembra che l’azione di contrasto abbia avuto effetto: le tracce di elementi non conformati si fanno sempre più labili ed evanescenti.

    lo squarcio, i sogni che sfuggono, e

    no, perché quando scompari trascini il peccato per un sentiero scosceso e completamente azzurro, gridi di aspettare, ma
    da quando il tuo regno non è di questo mondo

    il tuo sguardo, il profumo del Paradiso,
    il silenzio dell’immenso violino che

    l’estasi della nuvola sul pendolo del mistero, la veglia delle deliziose lontananze col suo supplizio di corallo, la tenerezza del crepuscolo appesa al chiavistello di stelle morte, la visione che aspetta l’ultimo respiro, il gomitolo delle finestre da

    nel freddo della soglia scavata nell’anima
    l’attimo resterà
    quando risponderai

    Vorrei spendere due parole per questa composizione di Carlo Livia (anche il termine poesia è divenuto obsoleto e fuorviante!).

    Conosco Carlo Livia dal 1994, conosco la sua poesia, l’ho studiata attentamente negli anni, inoltre Carlo è uno dei poeti più colti e consapevoli che abbia conosciuto in questi ultimi tre decenni, preparato anche nel campo filosofico, il che è una assoluta singolarità nel panorama dei letterati italiani che si occupano di poesia (lascio da parte il termine “poeta” ormai del tutto fuori luogo e talmente massificato che non si può più usare).

    Livia sono trent’anni che è impegnato nella proposizione, nell’ambito della poesia italiana, di un campo espressivo di origine e di derivazione surrealista… compito arduo, difficilissimo perché la poesia italiana del novecento non ha mai avuto un movimento surrealista o di derivazione surrealista, lacuna questa, come Livia ben sa, che è stata uno dei motivi che ha condannato la poesia italiana del secondo novecento ad un ruolo di minorità e complementare rispetto alla poesia europea più aggiornata. Quindi Carlo Livia è un benemerito, innanzitutto perché i suoi sforzi trentennali non sono caduti nel pozzo dell’oblio, e poi perché gli esiti raggiunti dal poeta romano sono senza dubbio considerevoli.

    Vorrei dire subito che il tentativo di costruire una piattaforma collettiva in grado di rilanciare la poesia italiana in ambito europeo passano anche per la via intrapresa da Carlo Livia, il suo tentativo è utilissimo per riparametrare la poesia italiana di oggi, per individuare nuove strade di sviluppo e per ricostituire un terreno comune, di poetica intendo, sul quale costruire, oggi, qui in Italia, una poetica della surrealtà o della sovrarealtà con strumenti espressivi consapevoli ed evoluti.

    In questa composizione noto degli esiti notevoli:

    «Ieri hanno portato via l’ultimo corpo, in parte già trasformato in luce,bianco-musica e celeste-silenzio.
    Al suo posto è apparsa la macchina che guarisce il pensiero: il dolore è dissolto dal raggio verde, la paura risucchiata dagli specchi.
    Sembra che il sistema abbia raggiunto la perfezione, eliminando ogni sensazione ed emozione o altro elemento di disturbo, solo onde di piacere nelle menti-ricevitori, che le riflettono all’infinito.

    sono nel sogno sbagliato
    raccolgo i miei occhi e cado
    nell’universo che è la mia zona morta
    sono la mente del Dio oscurato dal programma…
    »,

    esiti che vanno in concordanza con ciò che si propone la nuova ontologia estetica, la quale non può non porsi il problema di una poesia fondata su un concetto di «reale» meno referenziato e meno «mimetico» di quello adottato dalla poesia di questi ultimi decenni.

    Unico suggerimento che mi permetterei di dare a Carlo Livia è di eliminare qualche riferimento all’io soggetto pronominale, almeno in quelle parti della composizione che non lo necessitano e, soprattutto, di giustificare le sue composizioni a sx, evitando di giustificarle centrate.

    T.W. Adorno Teoria estetica Milano, Einaudi, 1975 pp. 220, 221

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