Annachiara Marangoni, veronese, di formazione sanitaria e umanistico – pedagogica, dirige a Trento una struttura riabilitativa per giovani affetti da disturbo dello spettro autistico. Fa parte del movimento poetico Realismo Terminale (RT), fondato dal maestro Guido Oldani. Già autrice nel 2013 delle raccolte poetiche Nerooro e nel 2019 Il corpo folle, collana I Gigli, editi da Montedit (Mi), ha pubblicato nel 2021 per l’editore Aletti una plaquette realistico terminale raccolta nel volume Enciclopedia dei Poeti Contemporanei. Presente nell’antologia RT Il gommone forato curata da T. Di Malta, editore Puntoacapo, 2022. Ha pubblicato per la rivista Atelier, diretta da Giuliano Ladolfi, per la rivista Amicando Semper, diretta da Enzo Santese. Per il direttore della rivista La Terrazza, ha curato l’introduzione di un gruppo di poesie di Guido Oldani. Ha pubblicato per la rivista internazionale Noria, diretta dal prof. Giovanni Dotoli, sul numero 5, 2023, un articolo dal titolo Autismo e realismo terminale. Per la rivista polacca Bezkres ha pubblicato numerosi testi poetici ed articoli, traduzioni e cura di Izabella Teresa Kostka. Presente nell’antologia italo – polacca “Inter Amicos (Dobrota, Polonia 2023), curata dalla poetessa Izabella Tereza Kostka, con una plaquette di poesie realistico terminali. Suoi testi poetici sono presenti in alcune pubblicazioni, volumi e riviste culturali.
.
da 24 carati nel Realismo Terminale (inediti)
Tempo nostrum
Smunto come un ombrellone chiuso
il nostro tempo di promesse spente
piantuma intorno al pianeta tutto
alberi di cuccagna consistenti.
Seduta all’ombra aspetto il pacco dono
scaffai Amazon già continentale
poi ho l’INPS che mi scrive sempre
vedo il dopo da un occhiale opaco.
Il gomitolo
L’odio è un gomitolo di lana
stringe come l’acqua fredda in un inverno.
E allora lo lavori a maglia
con gli aghi piantati sotto pelle
addosso è un’armatura arroventata
ti scioglie come dado dentro all’olio.
Ma ci si abitua a diventare ferro
anche la voce è come una ciabatta,
e l’anima nel barattolo di latta
è un fagiolo dimenticato dentro al fondo.
Il direttore
È un termometro il traffico dirige
che i ghiacciai senza la corrente
sono appesi come gocce al vento.
E la terra con le sue cornicette
è una colata credo, di mercurio
in mezzo ai denti, arsa con gli insetti.
Dio su in alto è il condizionatore
fa cascare frescura nei container
dove la calca è priva di pudore.
Disumale
Le facce sono treni al finestrino
sfrecciano fino a farne un volto uno.
Poi stesi in corridoio all’ospedale
la banda la fa un vecchio quando russa.
Gli arrivano coperte come burka
per scaldare il nessuno che sta sotto.
Ed ora il tempo si misura adesso
mentre di sete muore il giorno stesso.
Annachiara Marangoni
Il bisturi
La croce è una sala operatoria
dai camici simili a un sudario,
l’anestesia, imballaggio del dolore
spala ore fuori dal quadrante.
Steso con il sesso fuori,
è uno spiedo con le penne sparse
e la fiducia la cardiamo a mano,
mezzo vivo, prossimo e lontano.
.
Il barbone
Il sole è il lampione della strada
che gli fa da materasso, pressappoco.
E i quadri sono le facce dei passanti,
che ogni giorno scambia tra di loro
le pareti di vento pari a ferro,
fanno da perimetro alla gente
che gira alla larga, ma fa niente.
.
Tempi storti
Seduti davanti a un telo bianco
scorrono i secondi accartocciati
delle vite di quelli come noi.
Come spilli scordati nel vestito
le manovre dei potenti sono guai
tutti cristi, tempi storti, siamo noi.
.
Niente
C’è gente in questo arso continente
il cui ventre è un piatto vuoto,
la faccia da palloncino sgonfio
e sono in tanti a non avere niente
sulla bilancia pesano una piuma
impastati con la trasparenza
sono spiriti senza ricorrenza.
.
Legale ora
Spazzolata l’ora
come fa il tergicristallo con la pioggia
furto di buio, sottrazione d’oscurità
la sera è un mazzo di lampadine accese
palpebre schiuse come saracinesche
sono sorrisi in mezzo alla faccia.
.
La fronte sullo specchio
Lo specchio stamattina
mi rimbalza un volto uguale a un’officina,
in cui le macchine sostano sdraiate
in attesa di essere aggiustate.
Una carezza asporta l’olio dalle dita
a ricordare le malattie subite,
un po’ tutti ci hanno messo mano
a rendermi gli occhi come lenti sopra il naso
che mirano al tutto da un puntino,
il mondo è meno grande del sogno di un bambino.
.
Dash
Dopo il temporale litigammo
al deposito dei carrelli del super.
Ai ¾ di bianco della casa
apparivano i titoli di coda
di un’apologia atomica
ad oriente i riscatti
ad occidente i ricatti.
Offrimi un drink babysapiens.
.
Carceri accaventiquattro
È agosto e si ribolle,
tra le sbarre incandescenti,
umani pressati aspettano gli sconti.
A decine le lenzuola stese sugli uscenti.
La bilancia li destina nella turca
lo stato dice non c’è spazio
e così la dignità è una Simmenthal
abbonata all’obitorio aperto accaventiquattro
ma fra tutti c’è chi se ne frega.
*
caro Antonio Sagredo,
è vero, tu hai per certi aspetti anticipato gli esiti della «nuova poesia», ti sei costruito un «linguaggio-soglia» che non abita in nessun-luogo. Voglio dire che il concetto di «soglia» è la negazione di quell’altro concetto di «viaggio» inteso come «ritorno» (nostos). La «soglia» è una intuizione più antica di quella di «ritorno», il «ritorno» per ecellenza è il viaggio di Ulisse nell’Odissea, mentre nella «soglia» ogni nostro movimento, ogni nostro peregrinare che avviene per mezzo di avatar, di sosia, di doppi… è soltanto irreale, virtuale, onirico. La poetry kitchen è fatta di «linguaggi soglia» che non comunicano niente di essente, ma comunicano ombre, ombre di ombre. Certo, mette disagio nei letterati abituati e costruiti nelle certezze (dell’io, del noi, del voi, di questo e di quello etc.) scoprire che ci possono essere linguaggi-soglia, linguaggi-di-ombre… che là, nei «linguaggi-soglia» c’è una ricchezza inusitata che loro non potrebbero mai neanche immaginare.
Detto con le parole di Lucio Tosi: “La poetry kitchen ha il merito di aver individuato la durata di ogni pensiero, il suo passare (nel vuoto, spazio e tempo), e nelle parole il loro morire”.
Detto con le parole di Marie Laure Colasson: “Sostare sulla soglia, fare una poesia della soglia significa accettare l’instabilità e la precarietà dello stare sulla soglia (né dentro né fuori)”.
L’idea dell’io come semplice modalità deriva dalla Faktizität di Heidegger, e quindi dalla sua ontologia, che individua nella modalità dell’esser-ci la sua matrice più profonda, unitamente alla dialettica proprio-improprio da cui emerge la centralità della modalità quale caratteristica del Dasein.
Da qui all’«ontologia modale» di Agamben e alla «ontologia modale» della «nuova poesia» c’è solo un passo.
La poesia del «realismo terminale» ruota pur sempre attorno all’epicentro dell’io, anch’essa è costruita in parte su un «linguaggio della soglia». È l’io che costruisce la geografia e la topografia di questa poesia «terminale», dunque, si tratta di una poesia che mantiene ancora un legame, seppur tenue e in via di decostruzione, con quella della tradizione. Fatto a meno dell’io, messo tra parentesi l’io, ecco che si entra in un nuovo «condominio linguistico»: se viene meno lo shifter (io) viene meno anche l’istanza di discorso che lo shifter apre e legittima. E si aprono le possibilità del «linguaggio della soglia»
(Giorgio Linguaglossa)