Archivi del mese: settembre 2023

Annachiara Marangoni, da 24 carati nel Realismo Terminale (inediti), con una Lettera ad Antonio Sagredo di Giorgio Linguaglossa

Gif Polanski

Annachiara Marangoni, veronese, di formazione sanitaria e umanistico – pedagogica, dirige a Trento una struttura riabilitativa per giovani affetti da disturbo dello spettro autistico. Fa parte del movimento poetico Realismo Terminale (RT), fondato dal maestro Guido Oldani.  Già autrice nel 2013 delle raccolte poetiche Nerooro e nel 2019 Il corpo folle, collana I Gigli, editi da Montedit (Mi), ha pubblicato nel 2021 per l’editore Aletti una plaquette realistico terminale raccolta nel volume Enciclopedia dei Poeti Contemporanei. Presente nell’antologia RT Il gommone forato curata da T. Di Malta, editore Puntoacapo, 2022. Ha pubblicato per la rivista Atelier, diretta da Giuliano Ladolfi, per la rivista Amicando Semper, diretta da Enzo Santese. Per il direttore della rivista La Terrazza, ha curato l’introduzione di un gruppo di poesie di Guido Oldani. Ha pubblicato per la rivista internazionale Noria, diretta dal prof. Giovanni Dotoli, sul numero 5, 2023, un articolo dal titolo Autismo e realismo terminale. Per la rivista polacca Bezkres ha pubblicato numerosi testi poetici ed articoli, traduzioni e cura di Izabella Teresa Kostka. Presente nell’antologia italo – polacca “Inter Amicos (Dobrota, Polonia 2023), curata dalla poetessa Izabella Tereza Kostka, con una plaquette di poesie realistico terminali. Suoi testi poetici sono presenti in alcune pubblicazioni, volumi e riviste culturali.

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da 24 carati nel Realismo Terminale (inediti)

Tempo nostrum

Smunto come un ombrellone chiuso
il nostro tempo di promesse spente
piantuma intorno al pianeta tutto
alberi di cuccagna consistenti.
Seduta all’ombra aspetto il pacco dono
scaffai Amazon già continentale
poi ho l’INPS che mi scrive sempre
vedo il dopo da un occhiale opaco.

Il gomitolo

L’odio è un gomitolo di lana
stringe come l’acqua fredda in un inverno.
E allora lo lavori a maglia
con gli aghi piantati sotto pelle
addosso è un’armatura arroventata
ti scioglie come dado dentro all’olio.
Ma ci si abitua a diventare ferro
anche la voce è come una ciabatta,
e l’anima nel barattolo di latta
è un fagiolo dimenticato dentro al fondo.

Il direttore

È un termometro il traffico dirige
che i ghiacciai senza la corrente
sono appesi come gocce al vento.
E la terra con le sue cornicette
è una colata credo, di mercurio
in mezzo ai denti, arsa con gli insetti.
Dio su in alto è il condizionatore
fa cascare frescura nei container
dove la calca è priva di pudore.

Disumale

Le facce sono treni al finestrino
sfrecciano fino a farne un volto uno.
Poi stesi in corridoio all’ospedale
la banda la fa un vecchio quando russa.
Gli arrivano coperte come burka
per scaldare il nessuno che sta sotto.
Ed ora il tempo si misura adesso
mentre di sete muore il giorno stesso.

Annachiara Marangoni

Annachiara Marangoni

Il bisturi

La croce è una sala operatoria
dai camici simili a un sudario,
l’anestesia, imballaggio del dolore
spala ore fuori dal quadrante.
Steso con il sesso fuori,
è uno spiedo con le penne sparse
e la fiducia la cardiamo a mano,
mezzo vivo, prossimo e lontano.

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Il barbone

Il sole è il lampione della strada
che gli fa da materasso, pressappoco.
E i quadri sono le facce dei passanti,
che ogni giorno scambia tra di loro
le pareti di vento pari a ferro,
fanno da perimetro alla gente
che gira alla larga, ma fa niente.

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Tempi storti

Seduti davanti a un telo bianco
scorrono i secondi accartocciati
delle vite di quelli come noi.
Come spilli scordati nel vestito
le manovre dei potenti sono guai
tutti cristi, tempi storti, siamo noi.

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Niente

C’è gente in questo arso continente
il cui ventre è un piatto vuoto,
la faccia da palloncino sgonfio
e sono in tanti a non avere niente
sulla bilancia pesano una piuma
impastati con la trasparenza
sono spiriti senza ricorrenza.

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Legale ora

Spazzolata l’ora
come fa il tergicristallo con la pioggia
furto di buio, sottrazione d’oscurità
la sera è un mazzo di lampadine accese
palpebre schiuse come saracinesche
sono sorrisi in mezzo alla faccia.

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La fronte sullo specchio

Lo specchio stamattina
mi rimbalza un volto uguale a un’officina,
in cui le macchine sostano sdraiate
in attesa di essere aggiustate.
Una carezza asporta l’olio dalle dita
a ricordare le malattie subite,
un po’ tutti ci hanno messo mano
a rendermi gli occhi come lenti sopra il naso
che mirano al tutto da un puntino,
il mondo è meno grande del sogno di un bambino.

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Dash

Dopo il temporale litigammo
al deposito dei carrelli del super.
Ai ¾ di bianco della casa
apparivano i titoli di coda
di un’apologia atomica
ad oriente i riscatti
ad occidente i ricatti.
Offrimi un drink babysapiens.

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Carceri accaventiquattro

È agosto e si ribolle,
tra le sbarre incandescenti,
umani pressati aspettano gli sconti.
A decine le lenzuola stese sugli uscenti.
La bilancia li destina nella turca
lo stato dice non c’è spazio
e così la dignità è una Simmenthal
abbonata all’obitorio aperto accaventiquattro
ma fra tutti c’è chi se ne frega.

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caro Antonio Sagredo,

è vero, tu hai per certi aspetti anticipato gli esiti della «nuova poesia», ti sei costruito un «linguaggio-soglia» che non abita in nessun-luogo. Voglio dire che il concetto di «soglia» è la negazione di quell’altro concetto di «viaggio» inteso come «ritorno» (nostos). La «soglia» è una intuizione più antica di quella di «ritorno», il «ritorno» per ecellenza è il viaggio di Ulisse nell’Odissea, mentre nella «soglia» ogni nostro movimento, ogni nostro peregrinare che avviene per mezzo di avatar, di sosia, di doppi… è soltanto irreale, virtuale, onirico. La poetry kitchen è fatta di «linguaggi soglia» che non comunicano niente di essente, ma comunicano ombre, ombre di ombre. Certo, mette disagio nei letterati abituati e costruiti nelle certezze (dell’io, del noi, del voi, di questo e di quello etc.) scoprire che ci possono essere linguaggi-soglia, linguaggi-di-ombre… che là, nei «linguaggi-soglia» c’è una ricchezza inusitata che loro non potrebbero mai neanche immaginare.
Detto con le parole di Lucio Tosi: “La poetry kitchen ha il merito di aver individuato la durata di ogni pensiero, il suo passare (nel vuoto, spazio e tempo), e nelle parole il loro morire”.
Detto con le parole di Marie Laure Colasson: “Sostare sulla soglia, fare una poesia della soglia significa accettare l’instabilità e la precarietà dello stare sulla soglia (né dentro né fuori)”.

L’idea dell’io come semplice modalità deriva dalla Faktizität di Heidegger, e quindi dalla sua ontologia, che individua nella modalità dell’esser-ci la sua matrice più profonda, unitamente alla dialettica proprio-improprio da cui emerge la centralità della modalità quale caratteristica del Dasein.
Da qui all’«ontologia modale» di Agamben e alla «ontologia modale» della «nuova poesia» c’è solo un passo.
La poesia del «realismo terminale» ruota pur sempre attorno all’epicentro dell’io, anch’essa è costruita in parte su un «linguaggio della soglia». È l’io che costruisce la geografia e la topografia di questa poesia «terminale», dunque, si tratta di una poesia che mantiene ancora un legame, seppur tenue e in via di decostruzione, con quella della tradizione. Fatto a meno dell’io, messo tra parentesi l’io, ecco che si entra in un nuovo «condominio linguistico»: se viene meno lo shifter (io) viene meno anche l’istanza di discorso che lo shifter apre e legittima. E si aprono le possibilità del «linguaggio della soglia»

(Giorgio Linguaglossa)

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Archiviato in Poesia contemporanea

La raffigurazione del fungo atomico con il colore dello spicchio di melone o di limone sul bicchiere del Campari, Marie Laure Colasson, Fungo atomico, 40×20, acrilico 2020, Poesia di Giuseppe Talìa (Tallia) Lo Stato di sWAp

Marie Laure Colasson Struttura dissipativa F acrilico, 225x40
[Marie Laure Colasson, Fungo atomico, 40×20 acrilico 2020]

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Il gesto di Pollock di scagliare i colori contro una parete innocentemente bianca vuole distruggere il presente e il futuro, ma anche il passato; Burri vuole rendere evidente che «ciò che resta» sono i sacchi di juta, le vernici, le toppe… vuole distruggere il presente e il futuro, ma anche il passato. E fin qui tutto bene. Fare tabula rasa ma in un percorso contrastivo e opposizionale alla propria epoca. Ma oggi?, che cosa resta oggi dell’Oggi? Il gesto vitale di Pollock mi fa sorridere per la sua ingenuità, mi fa addirittura tenerezza. Anche il gesto estetico di Andy Warhol mi fa tenerezza per anticuità, e mi annoia.
Oggi forse non c’è altra risposta che l’azzeramento di ogni linguaggio, sensato e sensorio, di ogni posizione-opposizione estetica che ponga un senso o che vada alla ricerca di un senso o che vada alla ricerca del non-senso. Oggi semmai ha giustificazione soltanto il «fuori-senso» e il «fuori-significato». È che sono gli «oggetti» ad essere destituiti di oggettità, la «merce» è diventata insensata, si è de-fondamentalizzata. Oggi i barattoli di fagioli di Warhol andrebbero a ruba in Africa o nelle bidonville di affamati delle megalopoli di tutto il pianeta, quelle medesime megalopoli che sono diventate spazi de-politicizzati e che magari votano con convinzione Trump, Bolsonaro, Orban, Putin, Salvini, la Meloni e Berlusconi…
In fin dei conti, la pseudo poesia, la pseudo pittura, la pseudo arte del sensorio, del corporeo, del proscenio, con tutti gli addendi di effetti speciali, tatuaggi, arte corporale, effetti fotovoltaici, effetti psichedelici, etc., quel sensorio, quel proscenio che si fabbrica oggi presso le officine delle emittenti linguistiche, degli editori beneducati e delle istituzioni culturali appropriate oltre che farmi tenerezza, mi ingenera soprattutto disgusto, come i taxi del mare che portavano gli immigrati in salvo sulla terraferma. Quel tipo di poltiglia dell’io liofilizzato e bonificato da ideologemi ci parla di presunte esperienze denaturate e liofilizzate del corpo, esperienze-chat, ipo-esperienze, ipo-verità dello pseudo profondo. Si tratta di un mondo in pseudo. Si tratta di auto illusione nel migliore dei casi. E invece è un falso, una fake news. La Colasson raffigurando il fungo atomico con il colore dello spicchio di melone o di limone sul bicchiere del Campari a cospetto della nerità del fondo, disegna la dimensione in cui l’uomo di oggi ammicca alla propria utopia privata. Quella topologia outopica della soglia ci vuole mettere in guardia avverso ogni disquisizione sul bene e sul male, sulla felicità e sui taxi del mare che portano in salvo i clandestini sulla terraferma, tutte cose esautorate e derubricate a logaritmi della ratio e dell’anima bella.
È incredibile come oggi c’è chi prende ancora sul quasi-serio quella poltiglia liofilizzata, de-politicizzata e zuccherata della pseudo arte dei giorni nostri che ammicca alla auto riproduzione del valore.

(Giorgio Linguaglossa)

Promenade nocturne 19 collage acrilico 50x50 2023

[Marie Laure Colasson, Promenade nocturne, 50×50, acrilico e collage, 2023]

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Giuseppe Talìa

Lo Stato di sWAp

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Non vi sono limiti alla tua esposizione. Con il passaporto sWAp raggiungi ogni angolo del mondo. Sei qui e sei lì. Sei qua e sei là. Sei ovunque tu desideri d’essere.

Non esiste burocrazia nello Stato di sWAp. Tutte le controversie sono risolte ad istanza di parte semplicemente con i tasti “archivia” o “elimina”.

Nello Stato di sWAp non ci sono frontiere con i Paesi vicini. L’entrata e l’uscita dal territorio può avvenire in qualsiasi momento. Quotidianamente. Agevolmente. In pochi istanti. Con un semplice segnale acustico di tua scelta sWAp.

Il sistema su cui si fonda lo Stato di sWAp è così efficiente, efficace ed economico che supera di gran lunga il Trattato di Schengen.

La geografia dello Stato di sWAp si espande ininterrottamente senza alcuna barriera. Puoi essere dove non sei. Dove sei. Dove non puoi esserci. Essendoci al contempo.

Non è previsto alcun censimento della popolazione. Lo Stato di sWAp è l’unico stato al mondo in cui i vivi e i morti coabitano contestualmente.

La lingua ufficiale dello Stato di sWAp è generativa. Si compone. Si scompone. Si frammista. La Buuuu-language è l’unica lingua al mondo i cui lemmi e parole possono essere sostituiti per intero dall’immagine di uno stato d’animo.

Non c’è una vera e propria capitale nello Stato di sWAp. La tecnocrazia è minore del 30 per cento sui circa 82 kg di CO2 per ciascuno degli abitanti prodotti dagli altri Stati.

In sWAp la leggerezza fa rima con lentezza. Il tempo in sWAp è intermittente. Tiene in conto e ingloba i fusi orari terracquei, a partire dall’ora di Greenwich. Collega i quattro angoli del mondo in tempo reale, fin su le stelle.

La sanità è efficientissima. Si possono ricevere consulti medici specialistici, non solo da singoli professionisti, ma da interi gruppi. I gruppi di sWAp -sWAp -sWAp sono tra i più rinomati del mondo per la loro caratteristica esperienziale e la tecno-simbologia emoji utilizzata.

La religione ufficiale dello Stato di sWAp è di difficile definizione -la parola è il francobollo dell’immagine. sWAp riconosce a tutti i cittadini la libertà di manifestare la propria fede e il proprio credo.

L’interconnessione di sWAp permette nell’immediatezza di recuperare reperti, prove, attestazioni, immagini e video.

La memoria nello Stato di sWAp è soggetta a tariffazioni previste dagli operatori economici che forniscono i servizi di appoggio alla rete infrastrutturale in divenire.

Le altre opzioni sWAp sono di norma previste con le funzioni, rispondi, inoltra, elimina, archivia.

Il backup di sWAp avviene una volta a settimana. Nella cartella “salva una vita”, nome e cognome, si possono recuperare tutte le storie del passato.

L’economia dello Stato di sWAp si regge sul principio dell’inseparabilità del capitale e della tecnologia. Il capitale pensa e la tecnologia realizza.

La virtualizzazione della finanza, in associazione al lavoro immateriale, permette allo Stato di d’incamerare i profitti necessari per il mantenimento del benessere collettivo di sWAp.

Le tasse in sWAp sono previste in pochissimi e specifici casi e di norma non superano i centesimi. Sono accettate tutte le valute esistenti e quelle che verranno.

Il Prodotto interno lordo dello Stato di sWAp è correlato al numero della popolazione dei richiedenti la residenza. I flussi in entrata sono illimitati.

La fabbrica del mondo di sWAp utilizza esclusivamente metadati prodotti da nuove dimensioni.

(Tallia, 16 settembre 2023)

Lo Stato di sWAp è una superba allegoria del nostro presente e del prossimo futuro. Una poesia che può scrivere soltanto a chi è capitato di Vivere alla fine dei tempi. Da Le vocali vissute del 1999 a questa composizione passano 24 anni, e bisogna ammettere che Giuseppe Talia ha compiuto passi da gigante, ha messo tra i rifiuti indifferenziati tutta la paccottiglia delle poesie elegiache e post che dir si voglia. Ed è partito. A sua misura, è uno dei capolavori della poetry kitchen. E’ il prodotto del vuoto-sotto-vuoto. Il prodotto del supervuoto. E’ una allegoria della condizione storica della nostra civiltà. Per prima cosa è stato introdotto di nuovo il «discorso» che, come ogni discorso, si basa sul verosimile e sul credibile, ovvero, sulla menzogna e sui sentieri interrotti, ma non verso la «verità» ma verso il non-luogo. Discorso sul non-luogo quindi. Discorso che può essere pronunciato soltanto nel luogo-non-luogo che noi abitiamo.

(Marie Laure Colasson)

Giuseppe Talìa (pseudonimo di Giuseppe Panetta), nasce in Calabria, nel 1964, risiede a Firenze. Pubblica le raccolte di poesie: Le Vocali Vissute, Ibiskos Editrice, Empoli, 1999; Thalìa, Lepisma, Roma, 2008; Salumida, Paideia, Firenze, 2010. Presente in diverse antologie e riviste letterarie tra le quali si ricordano: Florilegio, Lepisma, Roma 2008; L’Impoetico Mafioso, CFR Edizioni, Piateda 2011; I sentieri del Tempo Ostinato (Dieci poeti italiani in Polonia), Ed. Lepisma, Roma, 2011; L’Amore ai Tempi della Collera, Lietocolle 2014. Ha pubblicato i seguenti libri sulla formazione del personale scolastico: LʼIntegrazione e la Valorizzazione delle Differenze, M.I.U.R., marzo 2011; Progettazione di Unità di Competenza per il Curricolo Verticale: esperienze di autoformazione in rete, Edizioni La Medicea Firenze, 2013. È presente con dieci poesie nella Antologia Come è finita la guerra di Troia non ricordo a cura di Giorgio Linguaglossa, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2016.; con il medesimo editore nel 2017 esce la raccolta poetica La Musa Last Minute. È uno degli autori presenti nelle Antologie Poetry kitchen 2022, Poetry kitchen 2023, e nella Agenda. Poesie edite e inedite 2023 e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Archiviato in la grande bellezza

Francesco De Girolamo, Luci segrete (haiku), Ed. Il ramo e la foglia, 2023 pp. 64 € 12, Lettura di Giorgio Linguaglossa

Non è stato Thomas Stearns Eliot che in La terra desolata, ha scritto: «Aprile è il più crudele dei mesi … Fiorirà quest’anno? … Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine» (This fragments I have shored against my ruins). Molti si sono chiesti cosa significasse la parola «rovine», senza trarre le dovute conseguenze da quella parola. Le «rovine» siamo noi, sono le nostre «parole», sempre fuori-luogo e fuori-significato, con le quali non possiamo comunicare alcunché di significativo. E allora la poesia più attenta di oggi torna a rivolgersi istintivamente a quelle «rovine» che in un altro tempo, in altre civiltà sono state «parole» vive e pregne di significato.

In questo libro di haiku di Francesco De Girolamo c’è l’esposizione della biplanarità del testo-haiku: da una parte l’io, dall’altra la realtà. L’haiku è storicamente la forma che per eccellenza punta sulla evanescenza della realtà e sulla de-localizzazione dell’io. Il soggetto scopre che «non è più padrone in casa propria» (Freud), che i pensieri e le parole sfuggono, si muovono indipendentemente dalla volontà della «mente», e che questo ininterrotto peregrinare  è nient’altro che il luogo della soggettività. L’itinerario della soggettività risiede nella distanza tra: a) la parola e l’immagine; b) tra l’immagine e la realtà; sul presupposto che l’immagine è già una rappresentazione della parola, e che la parola (e quindi l’immagine) è l’atto del pensiero.

Per noi, in Occidente, la poiesis non è soltanto un «dire», un «dire» autosufficiente, ma un «fare», un operare concreto. La poiesis in Occidente mette in atto una «pratica» del non dire i significati noti e acclarati, infatti, non dà luogo a significati già noti, ma deve essere intesa come un «dire» significati che un attimo prima dell’atto del gramma non erano neanche immaginabili, quindi per noi in Occidente la parola è un segno, un atto più o meno «arbitrario» nel senso che può conformarsi o no ai significati già noti, un gesto performativo. In questi haiku di De Girolamo invece si ha un esercizio «inoperoso», il «dire» è un «fare inoperoso», un fare ricco di «inoperosità» (nel senso in cui lo intende Agamben), quando si riferisce a «un operare che, in ogni atto, realizzi il proprio shabbat e in ogni opera sia in grado di esporre la propria inoperosità e la propria potenza». (Giorgio Agamben)

Il modo in cui il pensiero può ancora distinguersi dal comune opinionare è fare ciò che né la doxa né la scienza possono fare. Questo è il compito storico della poiesis: menzionare l’ombra che altro non è che la distanza tra la parola e la medesima parola pronunciata un attimo dopo la prima volta; l’ombra non coincide con il percetto né con l’atto del pensiero ma rivela una distanza, è la difference tra la parola e la ripetizione della parola medesima (1 non è mai eguale a 1). L’ombra è quella realtà che sempre accudisce la forma della luce. Gli haiku di De Girolamo hanno sempre a che fare con l’ombra, non si accontentano dei significati consolidati, anzi, dirò di più, è un raffigurare la distanza tra la parola e la parola ripetuta, è un volgere la raffigurazione all’orlo, al limite, alla condizione di possibilità della significazione.

Muro di sabbia

una mano di piombo

soffoca l’onda.

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Dietro il cristallo

della neve ferita

soffia l’azzurro.

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Entra il libeccio:

la tenda del balcone,

velo da sposa.

La raffigurazione in questi haiku è un esercizio etico, un «fare» (che è anche un «dire») che si indirizza sulle tracce del punto cieco di ogni conoscenza per mettere in luce il limite dei suoi presupposti. La parola è qui lo specchietto retrovisore che accudisce il punto cieco della visione. La parola non è tutto, non può essere tutto, qualcosa sfugge sempre alla parola, anche in questi haiku, è questa la ragione della vitalità della lingua, che la parola, ogni parola è insufficiente ai fini del «dire».

Questa pratica-haiku è un abitare il mondo delle parole senza adottare i significati consolidati che corrispondono storicamente a quel mondo di parole. Questa pratica, questo esercizio quotidiano implica e richiede una «torsione» delle parole per rivelare la loro ombra, quell’ombra che infirma i significati consolidati.

Ad esempio, nel terzo haiku riportato, il «velo da sposa» richiama alla mente, per via di un correlativo oggettivo, l’atto del primo verso che si presenta con la personificazione di un inanimato (il libeccio): «Entra il libeccio»; il secondo verso funziona come trait d’union tra le immagini del primo e del terzo verso, funziona cioè come mediazione. Gli haiku di De Girolamo funzionano tutti secondo questo schema: dove il secondo verso agisce come momento di mediazione tra il primo e il terzo verso, in ciò rendendo evidente che si tratta di haiku modernissimi, di haiku dove agisce una sensibilità squisitamente occidentale, modernistica.

(Giorgio Linguaglossa)

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Francesco De Girolamo è nato a Taranto, ma vive da molti anni a Roma, dove, oltre che di poesia, si è occupato di teatro, avendo curato la regia di diversi spettacoli, tra cui: “Le sette maschere” ispirato a Kahlil Gibran (1992) ed “Il piacere di dirsi addio” da Jules Renard (1996).
Ha pubblicato: “Piccolo libro da guanciale” (Dalia Editrice, 1990), con introduzione di Gabriella Sobrino; “La lingua degli angeli” (Edizioni del Leone, 1997); “Nel nome dell’ombra” (Ibiskos Editrice, 1998), con una nota critica di Gino Scartaghiande; “La radice e l’ala” (Edizioni del Leone, 2000), con prefazione di Elio Pecora; “Fruscio d’assenza” – Haiku della quinta stagione – (Gazebo Libri, 2009); e “Paradigma” (LietoColle, 2010), con introduzione di Giorgio Linguaglossa.
E’ presente nelle antologie: “Poesia dell’esilio” (Arlem Edizioni, 1998), “Poesia degli anni ’90” (Edizioni Scettro del Re, 2000), “Haiku negli anni” (Empiria, 2005), “Calpestare l’oblio” (Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana), Argo, 2010) e “Quanti di poesia” – Nelle forme la cifra nascosta di una scrittura straordinaria – a cura di Roberto Maggiani (Edizioni L’Arca Felice, 2011). Articoli letterari e recensioni sono stati pubblicati su: “Tempi Moderni”, “Le reti di Dedalus”, “La Mosca di Milano”, “Polimnia” e su diversi blog e siti specializzati di Poesia e Critica. Nel 1999 è stato scelto tra i rappresentanti della Poesia italiana alla “Fiera del libro” di Gerusalemme. Ha collaborato dal 1994 al 2000 con l’organizzazione di “Invito alla lettura” a Castel Sant’Angelo e nel 2006 con il “RomaPoesia – Festival della Parola”. Nel 2007 è stato Responsabile Territoriale per il Lazio del Sindacato Nazionale Scrittori. Si sono occupate criticamente della sua opera, tra le altre, le riviste: “Poesia”, “Folium”, “Poiesis” e “Atelier”.

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Archiviato in Haiku italiani

POETRY KITCHEN, Antologia Poetry kitchen 2023, Lettura di Teresa D’Errico, “La poesia kitchen non ha identità alcuna (…) disconosce i concetti di avanguardia e retroguardia”, scrive Marie Laure Colasson, tuttavia, a una lettura attenta, la Poetry kitchen per certi aspetti può ricondursi al modello rivoluzionario avanguardistico-surrealista, pur distaccandosene sia per la mancanza di tensione polemica, di critica radicale contro la tradizione classica, sia per la perdita del carattere orfico-onirico rivelativo che ha caratterizzato buona parte della poesia d’Avanguardia

Antologia_cover_pop

Mentre altrove piovono bombe sparano
droni cannoni e altre simili cose
la giraffa spicca il volo supera la muraglia
sotto il rullo di tamburi a sequestrare
il cielo

(Raffaele Ciccarone, “Mentre altrove piovono bombe”, Poetry kitchen, 2023)     

Orazio nell’Ars poetica scriveva: ut pictura poesis. La tradizione ha ritenuto la poesia simile a un quadro, in grado cioè di rappresentare la realtà, e perciò sin dai tempi più remoti è stata sempre dotata di un’intrinseca comprensibilità finalizzata alla trasmissione di un messaggio chiaro e definito. Quella tradizionale si configura perciò come una poesia di “cose” nel senso che – anche quando gli sperimentalismi sono diventati più arditi e acuti –  c’è sempre stato un rapporto diretto tra le parole e le cose, tra l’idea e il linguaggio atto ad esprimerla. Tuttavia il Novecento con il suo carico di irrazionali atrocità culminate nell’Olocausto e nell’atomica su Hiroshima e Nagasaki, con l’inquietante “banalità del male” commesso da persone ordinarie e ritenute benpensanti, con quella sua inquietante e forse irripetibile atmosfera che Mark Fischer ha definito wird and eerie e che ha reso la distopia un dato di fatto, ebbene il Novecento ha rotto il legame tra le parole e le cose. Quando le “follie di morte”, per usare un’espressione montaliana, hanno dettato tempi e fatti della Storia, mistificando il linguaggio e frantumando ogni orizzonte di senso, quale possibilità comunicativa può ancora essere attribuita alla poesia? Se c’è un vuoto di senso è a quel vuoto che la poesia deve dare voce.

Stat rosa pristina nomine. Nomina nuda tenemus: così Umberto Eco concludeva il suo celebre romanzo Il nome della rosa. Ci restano solo nomi e ogni nome è un flatus vocis che non approda a nessun significato definito e compiuto. È desolazione? È libertà? I poeti non giudicano e non hanno risposte né perciò possono fornirle, però traducono nelle loro scelte lo Zeitgeist, lo spirito del tempo in cui vivono.

Incontri di suoni, fascinazioni lessicali, accostamenti inediti e inusuali tra nomi, personaggi mitologici, oggetti tratti dalla quotidianità più ordinaria, frantumazione della metrica, scomparsa delle rime, andamento prosastico, assenza di punteggiatura sono i tratti di un modo diverso di fare poesia, come dimostrano gli artisti che nelle due antologie di Poetry Kitchen (la prima pubblicata nel 2022, la seconda nel 2023) hanno raccolto versi ricchi di una dirompente carica di libertà espressiva. Sebbene nell’antologia edita nel 2023, Marie Laure Colasson dichiari apertamente che “la poesia kitchen non ha identità alcuna (…) disconosce i concetti di avanguardia e retroguardia”, tuttavia, a una lettura attenta, la Poetry kitchen per certi aspetti può ricondursi al modello rivoluzionario avanguardistico-surrealista, pur distaccandosene sia per la mancanza di tensione polemica, di critica radicale contro la tradizione classica, sia per la perdita del carattere orfico-onirico-rivelativo che ha caratterizzato buona parte della poesia d’Avanguardia.

Nella Poetry Kitchen non c’è rabbiosa cesura con il passato, piuttosto si assiste a un riuso libero del patrimonio culturale della tradizione, dissezionata, atomizzata e riadattata per dare vita a forme completamente nuove, attraversate da correspondances capaci di avvicinare cose e parole normalmente irrelate ma che la creatività artistica può accostare e che la libertà interpretativa ha il diritto di ricomporre, scorgendovi significati possibili, brandelli di verità nascoste, suggestioni emotive: “la poesia assomiglia a un unicorno vestito da pappagallo” (M.L. Colasson, in Poetry Kitchen 2023, Dichiarazione)

La Poetry kitchen è decostruttiva, slegata dal referente.  Nell’introduzione alla seconda raccolta (2023) G. Linguaglossa osserva che la Poetry kitchen è “un gioco di specchi (…) di fuochi d’artificio (…) una bizarrerie“. 

Locandina Poetry kitchen San Basile 2023

“Sono stanco che il Sole resti in cielo, non vedo l’ora che si sfasci la sintassi del Mondo”, scrive I. Calvino  nell’excipit del Castello dei destini incrociati. E così smembrando sintassi e ritmi, la Poetry kitchen registra lo sfaldamento delle architetture tradizionali ritenute incrollabili,  dà atto della caduta di quelle granitiche cattedrali di certezze e si apre a letture personali, sollecita contributi esegetici che mettano in gioco la creatività di chi legge, intercetta lo sguardo di chi cerca strade non battute dai più. “Il mito è falso, ha narrato il falso”, nota G. Linguaglossa (Poetry Kitchen 2023) alludendo all’inesorabile crepuscolo degli idoli  cui la tradizione si è illusoriamente aggrappata.

Eppure tra i labirinti delle possibilità sembrano farsi strada alcuni punti fermi.

Si avverte, per esempio nei versi di Raffaele Ciccarone (Poetry kitchen 2022) un acuto rilievo rivolto alla contemporaneità e alle sue derive: “una Olivetti 32 vuole descrivere la storia/ dice di averla tutta nei tasti”. Emerge chiaramente il riferimento alla manipolazione dei fatti storici operata da una sempre più incontrollabile tirannide tecnologica simboleggiata dalla “Olivetti 32”. Si tratta di una sottile denuncia contro l’arroganza di un presente dominato dal prometeico vortice di un’iper-digitalizzazione che reprime ogni tentativo di inversione della rotta: il potere dei “tasti” schiaccia ogni alternativa. Controllati da un invisibile Panopticon viviamo in una dittatura algoritmica, offrendoci spontaneamente alla sovraesposizione, sentendoci erroneamente liberi di esprimerci senza capire che forse proprio questa pornografia dei dati che noi stessi forniamo nasconde una profonda opacità che sconfina nel controllo. L’altra faccia della razionalità algoritmica è infatti un regime di sorveglianza digitale: la macchina possiede ormai la storia e “dice di averla tutta nei tasti”. E non c’è scampo: la tirannide tecnologica non lascia spazi vuoti, profana persino gli altari delle chiese:

“il prete perdonava tutti seduto al touch screen”

(F.P. Intini, Poetry kitchen, 2023)

Antologia_poetry_kitchen_2023 Azzurra_web

Con tono amaramente ironico Giorgio Linguaglossa nei suoi componimenti, registra il definitivo tramonto della domanda e del dubbio: “i punti interrogativi si sono ribellati e sono stati sostituiti/ dai punti esclamativi” (Poetry kitchen, 2023). L’età della ricerca, dei perché, dei percorsi anche tortuosi attraverso cui si sperimentava il piacere della conoscenza fatta di curiositas, è finito e con la domanda è per sempre scomparso il tempo dell’ascolto, dell’apertura all’altro da sé. La pretesa dell’assoluta validità delle proprie affermazioni si accampa oggi con la perentorietà propria di chi è pronto a schiacciare il punto di vista altrui. Sono le domande che creano relazioni, dialoghi, attese di risposte, confutazioni, confronti, incontri, possibili convergenze, altrimenti è l’afasia. La scomparsa della domanda come sparizione dell’altro determina una «tribalizzazione» (dizione di Linguaglossa) dei comportamenti: mi confronto solo con chi la pensa come me e chi non è con me è contro di me. Persino l’algoritmo asseconda questa chiusura tribale nelle filter bubble che restringono l’orizzonte delle informazioni a ciò che asseconda i gusti e le preferenze personali. Le conseguenze sono tristi: isolamento intellettuale, riduzione del confronto, polarizzazione delle opinioni e di conseguenza incremento degli scontri a danno del dialogo e del rispetto delle posizioni altrui.

D’altra parte, se, però, mancano gli approdi, è comprensibile l’atto di ribellione dei punti interrogativi: se il verbum non riesce più a dire il verum, la domanda è inutile e la parola può diventare vocabulum, mera vox clamans in deserto con cui “giocare” come i poeti kitchen dimostrano. Quello dell’Essere resta un sogno, forse un desiderio che la storia ha spazzato via e, scrive F.P. Intini, citando i versi di Quasimodo, giace “trafitto da un raggio di Sole”, un Sole che come un dardo ferisce senza ormai illuminare più niente, senza più aura divina. E perciò quella sullo “smarrimento” del mondo contemporaneo resta kafkianamente una “domanda” senza risposta, consegnata all’assurdo: “alla domanda sullo smarrimento, la pratica passò di ufficio in ufficio” (Francesco Paolo Intini, Poetry kitchen, 2023).

Siamo immersi in un caos febbricitante: “il rumore della marmitta fracassa il tetto/il vetro si sbriciola”, (R. Ciccarone, Poetry Kitchen 2022), quello delle città è un “ruggito” che aliena (M. L. Colasson, Poetry Kitchen 2023) e che ricorda, con la sua carica spersonalizzante, la rue assourdissante che rendeva a Baudelaire impossibili i suoi desideri d’incontro e d’amore. E in questa realtà confusa, “in assenza di una scacchiera” (R. Ciccarone, Poetry Kitchen 2022), trasciniamo i nostri giorni, condannati ormai a una politica senza progetti, una politica incapace cioè di suggerire una direzione ai destini di masse travolte da false promesse e ripetuti inganni. “La lunga mano della pubblicità” (F. P. Intini, Poetry kitchen, 2023) condiziona scelte e condotte, colonizza l’immaginario, ha preso il posto della politica nel fornire risposte ai bisogni della gente.

Poetry kitchen cover

I poeti antologizzati nei due volumi Poetry kitchen (Tiziana Antonilli, Alfonso Cataldi, Raffaele Ciccarone, Marie Laure Colasson, Giuseppe Gallo, Francesco Paolo Intini, Letizia Leone, Giorgio Linguaglossa, Vincenzo Petronelli, Mimmo Pugliese, Gino Rago, Giuseppe Talia, Lucio Mayoor Tosi) con il loro tocco leggero planano sul presente constatandone – senza grevi condanne o nostalgie per stagioni irrevocabili – la palustre immobilità: “la girandola è ferma, il vento assente” (R. Ciccarone, Poetry Kitchen 2022).

Sembra non esserci più spazio per imprese eroiche, per ambizioni, aspirazioni grandiose: la poesia dà voce allo stato d’animo di chi, nella sua prigione quotidiana, si sente “come un gambero messo in padella che frigge/ e saltella” (M. L. Colasson, Poetry Kitchen 2023). Ma forse anche gli eroi del mito sono un inganno e G. Linguaglossa (Poetry Kitchen 2023) ne rivela il vero volto: Menelao come un uomo qualsiasi, “soffre di eiaculatio praecox”, Clitennestra “posa mezza nuda per il calendario Pirelli” e Menelao, in fondo, è solo un “cornuto”: la tradizione ha mascherato la realtà, ha inventato superbe fole per nascondere l’infinità fragilità dell’umana condizione.

E nell’assuefazione generale al “collasso del simbolico” (G. Linguaglossa, Poetry Kitchen 2023) probabilmente non rimane che “contemplare (…) le acrobazie che un ragazzo fa fare al suo wifi drone” (R. Ciccarone, Poetry Kitchen 2022).

Ebbene, questo forse oggi resta da fare ai poeti: “giocare” con le parole per “sequestrare il cielo” (R. Ciccarone, Poetry kitchen 2023), perché nonostante tutto è in quelle “acrobazie” della creatività che si nasconde la chiave che aprirà ai giovani le porte del futuro.

“Il genere umano non può sopportare troppa realtà”, osservava T. S. Eliot. Perciò, suggerisce Raffaele Ciccarone, esiste la forza della poesia, per spiccare il volo, per superare la montaliana “muraglia” di un’ingabbiante datità in cui tristemente, scriveva C. Sbarbaro, “tutto quello/ che è, è soltanto quel che è”.

Locandina Festival Poetry kitchen 2023

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Locandina Poetry kitchen San Basile 2023

Pensieri poveri sulla fine della metafisica

La vita che si mantiene in vita per la vita della produzione e il consumo si tramuta in contraffazione della vita quale essa veramente è; ma è vero anche il contrario: che chi cerca un senso da dare alla vita o un non-senso, si mantiene nell’orbita della speranza, ultima ideologia del mondo amministrato per chi non ha più speranza e si illude con lo specchietto retrovisore della speranza.

L’arte si mantiene in vita fin quando rilascia certificati di buona condotta e dichiara senza vergognarsi il principio dell’autoconservazione quale regolo base del consorzio civile.

Non c’è speranza di salvezza dall’autoconservazione se non nell’abbandono senza riserve di ciò che deve essere lasciato cadere.

Non c’è alcuna ragione di produrre un libro in più o in meno, soltanto un libro necessario ha diritto all’esistenza. Ma anche l’esistenza degli uomini non ha alcun diritto che la garantisca perché non c’è alcun libro che la dice.

Il concetto di intelligibile resta una aporia. Così il concetto di necessità. Non si dà alcuna ragione veramente necessaria. È necessario soltanto il vuoto. È per questo che è necessaria una poetica del vuoto.

Lo Jugendstil dei primi anni del novecento suppone e prefigura nella sua essenza fatta di tortile vuoto la grande strage che sta per avvenire.

Il senza-stile o stile cosmopolitico o stile globale dei giorni nostri, preannuncia e condensa in sé le leggi del mercato globale, del mercato unico. I tentativi di frapporre dazi e barriere allo svolgersi del mercato globale sono i colpi di coda del coccodrillo che mastica le sue prede con lacrime da coccodrillo.

Il non-stile cosmopolitico dei giorni nostri annuncia a prefigura nella sua essenza fatta di tortile pieno la grande stasi che è già avvenuta e sta avvenendo.

La metafisica dello stile presuppone sempre una metafisica dei costumi.

La falsità dell’ontologia sta nella dimostrazione ontologica dell’esistenza o inesistenza di Dio. La vera questione risiede invece nella esistenza, o meglio, nella «non esistenza» degli uomini.

La bancarotta dell’ontologia sta in coloro che la ritengono un rapporto paritario tra il credito e il debito.
Una volta che sia stata fatta sloggiare dall’esistenza degli uomini la metafisica, si sta preparando per essi la bara dello spirito, subito seguita di frequente dalla bara degli uomini.
Gli uomini vivono sotto il totem di un sortilegio: che la vita abbia un senso o che non ne abbia alcuno. Il senso è un totem, e come tale esso viene venerato.

Pura immediatezza e feticismo sono ugualmente non veri.

Così anche la disperazione e l’angoscia sono le ultime ideologie, utilissime ai fini dell’autoconservazione.
Le cose si irrigidiscono in frammenti di ciò che è stato soggiogato.
La coscienza infelice è la costruzione di una coscienza falsa. Ma la coscienza falsa è sempre il prodotto di una coscienza infelice.

(Giorgio Linguaglossa)

L’angoscia… perpetua il sortilegio come il freddo tra gli uomini.

(Adorno)
Le epoche della felicità sono i suoi fogli vuoti.

(Hegel)
Nessuno capace di amare e così ciascuno crede di essere amato troppo poco.

(Adorno)

Alfonso Cataldi

Caro Tallia,

qui la distanza dal pianeta Terra favorisce la sopravvivenza dei frigoriferi vuoti
le rotte casalinghe sono teleguidate dalla carta “dedicata a te”

I profumi, più dell’essenza, hanno preso il sopravvento dai resti di navi arenate.
Avete abbattuto la Gigabit Society e le tariffe?

L’ordinamento matriarcale sembra aver attecchito in forma di polvere e gas
I Liburni, al seguito della dea Sentona
hanno conquistato la galassia e liberato le casse dei supermercati.

La materia oscura che ci tiene in equilibrio, dicono
è composta da uno sconto del 15% su tutti i prodotti, detersivi inclusi. Non è sorprendente?

L’ottimismo è un rifugio insperato. È bastato spegnere i tg.
Finirà per bruciare? Margherita Hack ci benedirà.

Lucio Mayoor Tosi

Non possiamo escludere che in futuro la gran parte delle opere create per restare nel tempo, in quanto immobili e finite, di un’epoca ancora artigianale, perderanno valore.

Estate.

Bonaparte e il novecento.

il bacio della sposa.

La fossa del dente.

Piadina Kathmandu.

Defunti. Pennuti. alberi a rischio.

Due stanze, con velieri dipinti
da Edward Hopper.

Ritratto di Lucio Mayoor Tosi.

Pacifico aspirapolvere.

Cena veloce, senza incantesimi.
«Secondo voi, i minerali vivono di luce?»
«Guardare le stelle aiuta a dimenticare?»

Francesco Paolo Intini

Caro Germanico

ALL’OMBRA DI UN DISTRIBUTORE POST METAFISICO
(quasi un dialogo intorno all’odore di caffè)

Mia figlia mi chiede di Zenone.
L’irraggiungibilità della tartaruga non la convince.
– Roba che non sta né in cielo né in terra-dice
come questa fune sospesa tra il Significante e il significato.

Sopra c’è Charlot, sicuro del trucco.
Poi a carte scoperte, sempre più vicino al cadere, sempre che riesca a muoversi…

– Ma dimmi che fine fa la sabbia della clessidra
se dopo tutto riuscirà a fermarsi?

Se il pensiero corre in sella ad una biro
Ci sarà un nesso tra lo scrivere dei poeti
e raggiungere la tartaruga.

Le metafore sono radici di un’ equazione di mezzo grado
E con Stantibus ci si potrebbe mettere d’accordo:
Tra testosterone e trotto, di mezzo ci va lo zero K.

È noto infatti che mentre Parmenide cucinava fusilli con pomodoro fresco e basilico, fu stregato da un solo atomo di zolfo che gli suonava attorno come un incantatore di Calcutta.

Ora davanti a me c’è proprio lui.
Lo sguardo fisso da duemila anni.
Nell’aria un buon odore di origano e bufala cilentana.

Dicono che sia idrogeno cristallino tipici delle basse entropie, ma non c’è differenza tra una mollica di pizza al taglio e il suo abitare un museo, mentre una zanzara gli gira attorno, senza un piano preciso, un punto caldo dove succhiare il buon sangue, sbandando qui e là tra uno zigomo, una crepa della barba e l’ontologia.

Alfonso Cataldi è nato a Roma, nel 1969. Lavora nel campo IT, si occupa di analisi e progettazione software. Scrive poesie dalla fine degli anni 90; nel 2007 pubblica Ci vuole un occhio lucido (Ipazia Books). Le sue prime poesie sono apparse nella raccolta Sensi Inversi (2005) edita da Giulio Perrone. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Giorgio Linguaglossa è nato nel 1949 e vive e Roma. Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re, Roma), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce, Roma). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle). Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, per le edizioni EdiLet pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italia-no/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2002 esce  l’antologia Poetry kitchen che comprende sedici poeti contemporanei e il saggio L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe, l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch, il Covid, la Moda, la Poetry kitchen). È il curatore della Antologia Poetry kitchen 2022 e Poetry kitchen 2023e dei volumi Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022), L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. Nel 2014 ha fondato e dirige tuttora la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue la ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato  un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, poesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo
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Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York.  Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti. È uno degli autori presenti nelle Antologia Poetry kitchen 2022 e 2023, oltre che nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel saggio di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

 

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