«L’incontro con il Reale è sempre traumatico, c’è qualcosa perfino di minimamente osceno in esso» , scrive Slavoj Žižek.
Non possiamo non essere d’accordo con il filosofo di Lubiana. Ad esempio, nella poesia kitchen degli autori di questo post c’è qualcosa di «osceno» e di «traumatico» per un lettore educato al linguaggio poetico maggioritario e alle emittenti del consenso maggioritario; ma è un ottimo segnale, e corrisponde al vero, questo linguaggio kitchen non può rientrare nel Simbolico, è la frattura del Simbolico, la sua infrazione, e viene respinto, rimosso… E così ecco che il Reale torna sempre al suo posto, che poi è il posto della rimozione collettiva: il luogo della normologia, il posto della ideologia normologante che agisce in modo invisibile e automatico, mediante automatismi ma agisce rimettendo sempre di nuovo le cose al loro posto, che poi è il posto dell’autorimozione collettiva. Il ritorno del rimosso coincide con il ritorno del nomos. La poiesis kitchen è un meteorite diretto alla volta del Simbolico, produce uno schianto e una frattura, mette in discussione tutta la cultura del consensus omnium e del nomos.
Breve retrospezione della Crisi della poesia italiana del secondo novecento. La Crisi del discorso poetico
di Giorgio Linguaglossa
Di fatto, la crisi della poesia italiana esplode alla metà degli anni sessanta del novecento. Occorre capire perché la crisi esploda in quegli anni e capire che cosa hanno fatto i più grandi poeti dell’epoca per combattere quella crisi, cioè Montale e Pasolini per trovare una soluzione a quella crisi. È questo il punto, tutto il resto è secondario. Ebbene, la mia stigmatizzazione è che i due più grandi poeti dell’epoca, Montale e Pasolini, abbiano scelto di abbandonare l’idea di un Grande Progetto, abbiano dichiarato che l’invasione della cultura di massa era inarrestabile e ne hanno tratto le conseguenze sul piano del loro impegno poetico e sul piano stilistico: hanno confezionato finta poesia, pseudo poesia, antipoesia (chiamatela come volete) con Satura (1971), ancor più con il Diario del 71 e del 72 e con Trasumanar e organizzar (1971).
Questo dovevo dirlo anche per chiarezza verso i giovani, affinché chi voglia capire, capisca. Qualche anno prima, nel 1968, nell’anno della pubblicazione de La Beltà di Zanzotto, si situa la Crisi dello sperimentalismo come visione del mondo e concezione delle procedure artistiche.
Cito Adorno: «Quando la spinta creativa non trova pronto niente di sicuro né in forma né in contenuti, gli artisti produttivi vengono obiettivamente spinti all’esperimento. Intanto il concetto di questo… è interiormente mutato. All’origine esso significava unicamente che la volontà conscia di se stessa fa la prova di procedimenti ignoti o non sanzionati. C’era alla base la credenza latentemente tradizionalistica che poi si sarebbe visto se i risultati avrebbero retto al confronto con i codici stabiliti e se si sarebbero legittimati. Questa concrezione dell’esperimento artistico è divenuta tanto ovvia quanto problematica per la sua fiducia nella continuità. Il gesto sperimentale (…) indica cioè che il soggetto artistico pratica metodi di cui non può prevedere il risultato oggettivo. anche questa svolta non è completamente nuova. Il concetto di costruzione, che è fra gli elementi basilari dell’arte moderna, ha sempre implicato il primato dei procedimenti costruttivi sull’immaginario». 1
Quello che oggi ci si rifiuta di vedere è che nella poesia italiana di quegli anni si è verificato un «sisma» del diciottesimo grado della scala Mercalli: l’invasione della società di massa, la rivoluzione mediatica e la rivoluzione delle emittenti mediatiche.
Davanti a questa rivoluzione in progress che si è svolta in tre stadi temporali e nella quale siamo oggi immersi fino ai capelli, la poesia italiana si è rifugiata in discorsi poetici di nicchia, ha tascabilizzato la metafisica (da un titolo di un libro di poesia di Valentino Zeichen, Metafisica tascabile, del 1997, edito ne Lo Specchio), ha scelto di non prendere atto del «sisma» del 18° grado della scala Mercalli che ha investito il mondo, di fare finta che il «sisma» non sia avvenuto, che nel Dopo Covid tutto sarà come prima, che si continuerà a fare la poesia di nicchia e di super nicchia di sempre, poesia autoreferenziale, chat-poetry.
Qualcuno ha chiesto, un po’ ingenuamente: «Cosa fare per uscire da questa situazione?». Ho risposto: un «Grande Progetto», «declinando il futuro». Che non è una cosa che possa essere convocata in una formuletta valida per tutte le stagioni.
Il problema della crisi dei linguaggi post-montaliani del tardo Novecento, non è una nostra invenzione ma è qui, sotto i nostri occhi, chi non è in grado di vederlo probabilmente non lo vedrà mai, non ci sono occhiali di rinforzo per questo tipo di miopia. Il problema è quindi vasto, storico e ontologico, si diceva una volta di «ontologia estetica».
Rilke alla fine dell’ottocento scrisse che pensava ad una poesia «fur ewig», che fosse «per sempre». Noi invece pensiamo a qualcosa di dissimile, ad una poesia che possa durare soltanto per il presente, per l’istante, una poesia per il soggiorno, mentre prendiamo il caffè, o mentre saliamo sul bus, i secoli a venire sono lontani, non ci riguardano, fare una poesia «fur ewig» non so se sia una nequizia o un improperio, oggi possiamo fare soltanto una poesia kitchen, che venga subito dimenticata dopo averla letta.
Per tutto ciò che ha residenza nei Grandi Musei del contemporaneo e nelle Gallerie d’arte educate, per il manico di scopa, per il cavaturaccioli, le scatolette di birra, gli stracci ammucchiati, i sacchi di juta per la spazzatura, i bidoni squassati, gli escrementi, le scatole di Simmenthal, i cibi scaduti, gli scarti industriali, i pullover dismessi con etichetta, gli animali impagliati. Tutto ciò fornisce un formidabile sostegno alla normologia asfissiante delle società a democrazia parlamentare dell’Occidente. Non ci fa difetto la fantasia, che so, possiamo usare il ferro da stiro di Duchamp come oggetto contundente, gettare nella spazzatura i Brillo box di Warhol, con la macarena e il rock and roll possiamo farci gli gnocchi.
Essere nel XXI secolo è una condizione reale, non immaginaria
Essere nel XXI secolo è una condizione reale, non immaginaria. Non è un fiorellino da mettere nell’occhiello della giacca: è un modo di pensare, di vedere il mondo-coccodrillo in cui ci troviamo: un mondo confuso, costipato, contraddittorio, illogico. Cercare di dire questo mondo in poesia non può quindi non presupporre un ripensamento critico di tutti gli strumenti della tradizione poetica novecentesca. Uno di questi – ed è uno strumento principe – è la sintassi: che oggi è ancora telefonata, discorsiva, troppo concatenata e sequenziale, quasi identica a quella che è prevalsa sempre di più fra i poeti verso la fine del secolo scorso, in particolare dopo l’ingloriosa fine degli ultimi sperimentalismi: finiti gli eccessi, la poesia doveva farsi dimessa, discreta, sottotono, monotonale, diventare l’ancella della prosa.
Rebus sic stantibus, dicevano i latini con meraviglioso spirito empirico. Che cosa vuol dire: «le cose come stanno»?, e poi: quali cose?, e ancora: dove, in quale luogo «stanno» le cose? – Ecco, non sappiamo nulla delle «cose» che ci stanno intorno, in quale luogo «stanno», andiamo a tentoni nel mondo delle «cose», e allora come possiamo dire intorno alle «cose» se non conosciamo che cosa esse siano.
«Essere nel XXI secolo è una condizione reale», ma «condizione» qui significa stare con le cose, insieme alle cose… paradossalmente, noi non sappiamo nulla delle «cose», le diamo per scontate, le cose ci sono perché sono sempre state lì, ci sono da sempre e sempre (un sempre umano) ci saranno. Noi diamo tutto per scontato, e invece per dipingere un quadro o scrivere una poesia non dobbiamo accettare nulla per scontato, e meno che mai la legge della sintassi, anch’essa fatta di leggi e regole che disciplinano le «cose» e le «parole» che altri ci ha propinato, ma che non vogliamo più riconoscere.
Carlo Michelstaedter (1887-1910) si chiede: «Quale è l’esperienza della realtà?». E cosi si risponde:
«S’io ho fame la realtà non mi è che un insieme di cose più o meno mangiabili, s’io ho sete, la realtà è più o meno liquida, è più o meno potabile, s’io ho sonno, è un grande giaciglio più o meno duro. Se non ho fame, se non ho sete, se non ho sonno, se non ho bisogno di alcun’altra cosa determinata, il mondo mi è un grande insieme di cose grigie ch’io non so cosa sono ma che certamente non sono fatte perch’io mi rallegri.
…”Ma noi non guardiamo le cose” con l’occhio della fame e della sete, noi le guardiamo oggettivamente (sic), protesterebbe uno scienziato.
Anche l’”oggettività” è una bella parola.
Veder le cose come stanno, non perché se ne abbia bisogno ma in sé: aver in un punto “il ghiaccio e la rosa, quasi in un punto il gran freddo e il gran caldo,” nella attualità della mia vita tutte le cose, l’”eternità resta raccolta e intera…
È questa l’oggettività?…».2
Ancora urgenti e centrate queste osservazioni del giovane filosofo goriziano che ci riportano alla nostra questione: Essere del XXI secolo, che significa osservare le »cose» con gli occhi del XXI secolo, che implica la dismissione del modo di guardare alle «cose» che avevamo nel XX secolo; sarebbe ora che cominciassimo questo esercizio mentale, in primo luogo non riconoscendo più le «cose» a cui ci eravamo abituati, (e che altri ci aveva propinato) semplicemente dismettendole, dando loro il benservito e iniziare un nuovo modo di guardare il mondo. La nuova scrittura nascerà da un nuovo modo di guardare le «cose» e dal riconoscerle parte integrante di noi stessi.
Dopo il novecento
Dopo il deserto di ghiaccio del novecento sperimentale, ciò che resta della riforma moderata del modello sereniano-lombardo è davvero ben poco, mentre la linea centrale del modernismo italiano è finito in uno «sterminio di oche» come scrisse Montale in tempi non sospetti.
Come sistemare nel secondo Novecento pre-sperimentale un poeta urticante e stilisticamente incontrollabile come Alfredo de Palchi con La buia danza di scorpione (1945-1951), che sarà pubblicato negli Stati Uniti nel 1993 e, in Italia nel volume Paradigma (2001) e Sessioni con l’analista (1967). Diciamo che il compito che la poesia contemporanea ha di fronte è: l’attraversamento del deserto di ghiaccio del secolo dell’experimentum per approdare ad una sorta di poesia che faccia a meno delle categorie del novecento: il pre-sperimentale e il post-sperimentale oggi sono diventate una sorta di terra di nessuno, in un linguaggio koinè, una narratologia prendi tre paghi uno; ciò che si apparenta alla stagione manifatturiera dei «moderni» identificabile, grosso modo, con opere come il Montale di dopo La bufera e altro (1956) – (in verità, con Satura del 1971, Montale opterà per lo scetticismo alto-borghese e uno stile poetico intellettuale olistico-pubblicistico), vivrà una terza vita ma come fantasma, in uno stato larvale, scritture da narratologia della vita quotidiana. Se consideriamo un grande poeta di stampo modernista, Angelo Maria Ripellino degli anni Settanta: da Non un giorno ma adesso (1960), all’ultima opera Autunnale barocco (1978), passando per le tre raccolte intermedie apparse con Einaudi: Notizie dal diluvio (1969), Sinfonietta (1972) e Lo splendido violino verde (1976), dovremo ammettere che la linea centrale del secondo Novecento è costituita dai poeti modernisti. Come negare che opere come Il conte di Kevenhüller (1985) di Giorgio Caproni non abbiano una matrice modernista?, ma è la sua metafisica che oggi è diventata irriconoscibile. La migliore produzione della poesia di Alda Merini la possiamo situare a metà degli anni Cinquanta, con una lunga interruzione che durerà fino alla metà degli anni Settanta: La presenza di Orfeo è del 1953, la seconda raccolta di versi, Paura di Dio, con le poesie che vanno dal 1947 al 1953, esce nel 1955, alla quale fa seguito Nozze romane; nel 1976 il suo miglior lavoro, La Terra Santa. Ma qui siamo sulla linea di un modernismo conservativo.
Ragionamento analogo dovremo fare per la poesia di una Amelia Rosselli, da Variazioni belliche (1964) fino a La libellula (1985). La poesia di Helle Busacca (1915-1996), con la fulminante trilogia degli anni Settanta si muove nella linea del modernismo rivoluzionario: I quanti del suicidio (1972), I quanti del karma (1974), Niente poesia da Babele (1980), è un’operazione di stampo schiettamente modernista, come schiettamente modernista è la poesia di Elio Pecora, da La chiave di vetro, (1970) a Rifrazioni (2018), di Anna Ventura con Brillanti di bottiglia (1976) e l’Antologia Tu quoque (2014), di Giorgia Stecher di cui ricordiamo Altre foto per un album (1996), e adesso Tutte le poesie (1978-1996), pubblicato da Progetto Cultura, (2022) e Maria Rosaria Madonna, con Stige (1992), la cui opera completa appare nel 2018 in un libro curato da chi scrive, Stige. Tutte le poesie (1980-2002), edito sempre a mia cura da Progetto Cultura di Roma. Il novecento termina con le ultime opere di Mario Lunetta, scomparso nel 2017, che chiude il novecento, lo sigilla con una poesia da opposizione permanente che ha un unico centro di gravità: la sua posizione di marxista militante, avversario del bric à brac poetico maggioritario e della chat poetry dominante, di lui ricordiamo l’Antologia Poesia della contraddizione del 1989 curata insieme a Franco Cavallo, da cui possiamo ricavare una idea diversa della poesia di quegli anni. In questi ultimi anni degna di nota è la forma-poesia pensante di Paolo Valesio, con Il servo rosso (2016) e Il testimone e l’idiota (2023), che persegue una poesia dialogata, un itinerario insolito e in contro tendenza che nulla concede alle rapsodie dell’io.
«Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».3
Le strutture ideologiche post-moderne, dagli anni settanta ai giorni nostri, si nutrono vampirescamente di una narrazione che racconta il mondo come questione «privata» e non più «pubblica». Di conseguenza la questione «verità» viene introiettata dall’io e diventa soggettiva, si riduce ad un principio soggettivo, ad una petizione del soggetto. La questione verità così soggettivizzata si trasforma in qualcosa che si può esternare perché abita nelle profondità presunte del soggetto. È da questo momento che la poesia cessa di essere un genere pubblicistico per diventare un genere privato, anzi privatistico. Questa problematica deve essere chiara, è un punto inequivocabile, che segna una linea da tracciare con la massima precisione.
Questo assunto Mario Lunetta lo aveva ben compreso fin dagli anni settanta. Tutto il suo interventismo letterario nei decenni successivi agli anni settanta può essere letto come il tentativo di fare della forma-poesia «privata» una questione pubblicistica, quindi politica, di contro al mainstream che ne faceva una questione «privata», anzi, privatistica; per contro, quelle strutture privatistiche, de-politicizzate, assumevano il soliloquio dell’io come genere artistico egemone.
La pseudo-poesia privatistica che si è fatta in questi ultimi decenni intercetta la tendenza privatistica delle società a comunicazione globale e ne fa una sorta di pseudo poetica, con tanto di benedizione degli uffici stampa degli editori a maggior diffusione nazionale.
La poesia kitchen
L’estraneazione è l’introduzione dell’Estraneo nel discorso poetico; lo spaesamento è l’introduzione di nuovi luoghi nel già conosciuto. Il mixage di iconogrammi e lo shifter, la deviazione improvvisa e a zig zag sono gli altri strumenti in possesso della musa della poesia kitchen. Queste sono le categorie sulle quali il kitchen costruisce le sue parole instabili in movimento. Il verso è spezzato, segmentato, interrotto, segnato dal punto e dall’a-capo, è uno strumento chirurgico che introduce nei testi le istanze «vuote»; i simboli, le icone, i personaggi sono solo delle figure, dei simulacri di tutto ciò che è stato agitato nell’arte, nella vita e nella poesia del novecento, non esclusi i film, anche quelli a buon mercato, le long story… sono flashback a cui seguono altri flashback che magari preannunciano icone-flashback… Nella poesia kitchen di Francesco Paolo Intini, Mimmo Pugliese, Raffaele Ciccarone, Letizia Leone, Marie Laure Colasson, Vincenzo Petronelli, Giuseppe Gallo, Giuseppe Talia, Alfonso Cataldi, Gino Rago, Tiziana Antonilli, Lucio Mayoor Tosi e mia c’è il vuoto, però, e in grande abbondanza. E questo la normologia del cassetto-poesia non lo può accettare, fa paura, esce dal bon ton, è estraneo alla poesia dell’amichettismo. Il vuoto proprio no, non è educato metterlo lì in bella vista, in primo piano.
Altra categoria centrale è il traslato, mediante il quale il pensiero sconnesso o interconnesso a un retro pensiero è ridotto ad una intelaiatura vuota, vuota di emozionalismo e di simbolismo. Questo «metodo» di lavoro introduce nei testi una fibrillazione sintagmatica spaesante, nel senso che il senso non si trova mai contenuto nella risposta ma in altre domande mascherate da fraseologie fintamente assertorie e conviviali. Lo stile è quello della didascalia fredda e falsa da comunicato che accompagna i prodotti commerciali e farmacologici, quello delle notifiche degli atti giudiziari e amministrativi. Il kitchen scrive alla stregua delle circolari della Agenzia dell’Erario, o delle direttive della Unione Europea ricche di frastuono interlinguistico con vocaboli raffreddati dal senso chiaro e distinto. Proprio in virtù di questa severa concisione referenziale è possibile rinvenire nei testi, interferenze, fraseologie spaesanti e stranianti.
Tutto questo armamentario retorico era già in auge nel lontano novecento, qui, nel kitchen è nuovo, anzi, nuovissimo il modo con cui viene pensata la nuova poesia. È questo il significato profondo del distacco della poesia kitchen dalle fonti novecentesche; quelle fonti si erano da lunghissimo tempo disseccate, producevano polinomi frastici, dumping culturale, elegie mormoranti, chiacchiere da bar dello spot culturale. La tradizione (lirica e antilirica, elegia e anti elegia, neoavanguardie e post-avanguardie) non produceva più nulla che non fosse epigonismo, scritture di maniera, manierate e lubrificate.
la poesia kitchen dà uno scossone formidabile all’immobilismo della poesia italiana degli ultimi decenni, e la rimette in moto. È un risultato entusiasmante, che mette in discussione tutto il quadro normativo della poesia italiana.
Siamo entrati da tempo nel campo largo, anzi, larghissimo del commonplace (del banale)
Oggi la dicotomia tra stile e maniera ha perso significato. Poiché se tutto è consentito nulla ha più importanza di un’altra cosa, e se l’arte è un semplice «gioco» di possibilità, tutte le possibilità diventano note e calcolabili; in questo contesto categoriale, le antiche categorie di originalità, autenticità e genuinità perdono progressivamente significato. La distinzione tra stile e maniera risulta obsoleta per ragioni storiche e ontologiche (perdonatemi la brutta parola): nel mondo dell’arte post-storico i mezzi stilistici appaiono come opzioni liberamente disponibili, come metodi o tecniche di cui chiunque può servirsi. Ma ne deriva che le opere di poiesis che sono immediatamente e pubblicamente riconoscibili, in quanto opere di techne, sono prive di «valore» (nel senso che si sono distaccate dalla catena di valore della tradizione), in quanto possono essere ripetutamente applicate in serie, infatti la serializzazione si applica alle opere che si basano sulla categoria della riconoscibilità pubblica, non certo sulla categoria del «valore». In tal senso, le opere di Andy Warhol ne sono la esemplificazione perfetta.
Sollevare questioni riguardanti la autenticità o la genuinità o la identità di un autore o di una serie di opere implica il rischio di commettere errori categoriali. Non si dà autenticità o genuinità garantite. Nell’opera di poiesis di oggi non si dà alcuna garanzia, l’opera lasciata sola con se stessa si comporta come un «incomunicabile», come un «intrasmissibile», come un «infungibile».
Nel Dopo il Moderno la differenza tra mera maniera e stile autentico svanisce.
È proprio il segno del momento post-storico il fatto che la richiesta di un’identità riconoscibile sia rivendicata dagli artisti e dai critici che si battono per la riconoscibilità di una identità artistica. Ma qui ci troviamo in un momento regressivo dell’arte. Uno stile definito non equivale a dire uno stile stabile, oggi un artista che non si muove dal proprio stile è un artista inconsapevole della complessità del lavoro artistico, e fa del déjà vu.
È errato interpretare la fine dell’arte come l’epoca del manierismo che si ripresenta sempre identico a se stesso. Il manierismo deve essere invece inteso come modus, come modalità, come tecnica di indagine a disposizione di un artista che abbia consapevolezza della techne che impiega. Da questo punto di vista la distinzione tra stile e maniera, tra originalità e commonplace è oggi una questione obsoleta, siamo entrati da tempo nel campo largo, anzi, larghissimo del commonplace (del banale).
Lo stile della NOe (nuova ontologia estetica o nuova fenomenologia del poetico) è quello delle didascalie dei prodotti commerciali e farmacologici
Altra categoria centrale è il traslato, mediante il quale il pensiero sconnesso o interconnesso a un retro pensiero è ridotto ad una intelaiatura vuota, vuota di emozionalismo e di simbolismo. Questo «metodo» di lavoro introduce nei testi una fibrillazione sintagmatica spaesante, nel senso che il senso non si trova mai contenuto nella risposta ma in altre domande mascherate da fraseologie fintamente assertorie e conviviali. Lo stile è quello della didascalia fredda e falsa da comunicato stampa che accompagna i prodotti commerciali e farmacologici, quello delle notifiche degli atti giudiziari e amministrativi. La NOe scrive alla stregua delle circolari della Agenzia delle Entrate, o delle direttive della Unione Europea ricche di frastuono interlinguistico con vocaboli raffreddati dal senso chiaro e distinto. Proprio in virtù di questa severa concisione referenziale è possibile rinvenire nei testi della NOe interferenze, fraseologie spaesanti e stranianti.
L’ispirazione è rubinetteria di terza mano, utensileria buona per i pronostici del totocalcio, eufemistica, superstizione, epifenomeno di un armamentario concettuale in disuso, concetto cafonal-kitsch, concetto da Elettra Lamborghini in topless per poveri di spirito.
L’Elefante sta bene in salotto, è buona educazione non scomodarlo
L’Elefante si è accomodato in poltrona. Tant’è, si fa finta di non vederlo, così si può sempre dire che non c’è nessun elefante, che i bicchieri sono a posto, le teche di cristallo intatte, le suppellettili pure, che la poiesis gode di buona, anzi, ottima salute, che non c’è niente da cambiare, che la poiesis da Omero ad oggi non è cambiata granché, che da quando il mondo è mondo la poiesis è sempre stata in crisi… come dire che il linguaggio normologato è il nostro riparo, non abbiamo più niente da dire né da fare. Ed è vero: la poesia italiana che si fabbrica in Egitto non ha veramente nulla da dire, evita accuratamente e con tutte le proprie forze di vedere l’Elefante che passeggia in salotto e che con la sua proboscide ha fracassato tutto ciò che c’era di fracassabile. L’Elefante adesso si è accomodato in poltrona. È disoccupato. Il suo posto è stato preso dai corvi.
La NOe
La NOe (nuova fenomenologia del poetico) dà uno scossone formidabile all’isomorphismo della poesia italiana degli ultimi decenni, e la rimette in moto. È un risultato entusiasmante che mette in discussione tutto il quadro normativo della poesia italiana.
(Giorgio Linguaglossa)
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1 T.W. Adorno, Teoria estetica, trad. it. Einaudi, 1970, p. 76
2 Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica Joker, 2015 pp. 102-103 (prima edizione, 1913)
3 M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017
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Mimmo Pugliese
GLI ARGINI
Gli argini hanno spolpato i fari
la lunula stordisce gli imbroglioni
Nelle trincee si insegna il forrò
nevica sulle case senza tetto
Ai lati della settimana mancano le finestre
nei ripostigli bombe molotov nutrono trecce di aglio
Mercanti di parole conservano pupille di rame
pitoni accendono candele e bevono argento
Nel trolley bivacca l’occhio di pernice
sull’arco sesto boccheggiano bisce color fragola
La regina di quadri è una carrozza
stivali lucidano maniglie della vasca da bagno
Una giraffa vaga tra le carcasse d’auto
all’ora del thè si trapianta le narici
Dai campanili cravatte asportano scogli
un ombrello rovescia telline e rosmarino
La disillusione degli alluci è un presepe a righe
cacciaviti inchiodano colombe al soffitto in discesa
Marie Laure Colasson
16.
“Jadore boire un saké avec un Massai”
dit la blanche geisha “et toi Eredia?”
“Oh moi je préfère les radis-beurre
et l’éternité enlacée à un Dogon”
Tonitruant le chien de Madame Bonjour intervient
“Vos conversations sont grasses
comme un démon à l’oeil manquant
allongé sur un tapis persan”
Une ombre folle et magouilleuse
s’entremet et chante à tue-tête
“Les ressuscités fauchent l’herbe multicolore
et un fou allume un feu écologique
avec le Marquis de Sade”
“Quelle est cette belle voix?”
demande Sapho frémissante
“Mais ma douce exilée moi le héron
voleur de pastèques et de raisins
sur un collage de Juan Gris”
Tonitruant le chien de Madame Bonjour intervient
“Vos conversations sont grasses
comme un démon à l’oeil manquant
allongé sur un tapis persan
et de ce pas je file à la cérémonie des persifleurs”
*
“Adoro bere saké con un Masai”
disse la geisha bianca “e tu Eredia?”
“Oh io, preferisco il ravanello al burro
e l’eternità intrecciata con un Dogon”
Interviene tonitruante il cane di Madame Bonjour
“Le tue conversazioni sono triviali
come un demone dall’occhio mancante
sdraiato su un tappeto persiano”
Un’ombra folle e ammaliante
si intromette e canta a squarciagola
“I risorti falciano l’erba multicolore
e un pazzo accende un fuoco ecologico
con il Marchese de Sade”
“Cos’è questa bella voce?”
chiede Saffo fremente
“Ma mia dolce esiliata sono io l’airone
ladro di cocomeri e uva
su un collage di Juan Gris”
Interviene tonitruante il cane di Madame Bonjour
“Le tue conversazioni sono triviali
come un demone dall’occhio mancante
sdraiato su un tappeto persiano
e adesso vado alla cerimonia dei motteggiatori”
Francesco Paolo Intini
UN BITE E MEZZO
Raggruppare lana sulla lampada.
Raggruppata.
(In fondo si trattava di sostituire una u difettosa)
Morso di pecora al posto del cavallo.
Sostituito.
(Unità di misura non ammessa dal SI)
Alla scomparsa di Guernica cambiò rotta la corrente del golfo.
Anche i Sette Sigilli furono ritoccati da Filini.
Dalla sedia del regista originò un ratto e altri risalirono la rena.
Innestare uno speculum sulla Punto rottamata.
Chi ha parlato male della r?
Forse un pungiglione calmerà la sete di peste?
C’è un ragazzo sul predellino che riempie un secchiello di nostalgia.
Faremo un castello con qualche trucco di cartone
ma alla fine morderemo un pezzo di pane.
Il collo di mollica che nessun demone riesce a baciare.
-Che furfanti riempiono le valigie?
Svuotare anche la stiva della scrivania.
Litanie da bombarolo in un lapsus.
Un tirannosauro incastrato in prossimità del cuore.
Ma nessuno vuol parlarne.
Forse un infarto chiarirà la misura del suo bite
o un’indagine televisiva sulle pillole di dentina.
Alle dieci del mattino interviene una marmitta catalitica.
E in fondo potevamo coltivarli come lumache
Sarebbero cresciute al profumo di mimosa.
Avremmo discusso con un angelo biondo.
Bignè sulle guance e tulipani dopo i canini.
Anteprima e via coi programmi sul cappellino.
Fa così buio sul Tempo
e i lampioni suonano black to black per raggelarsi.
Ha un lampo d’amuchina mentre sposta una parete
Un tocco di meraviglia sistema le piastrelle.
Si tratta di uno scarico da inabissare nella fossa delle Marianne.
I critici non capiscono i tubisti che murano le strofe tra pesci rotti.
L’emporio della metafisica pubblica i suoi depliants.
Sfogliarli all’alba, sul Collins ogni parola che buca una tomba.
Per il momento gli eventi girano attorno ad uno scarico
Finire in strada senza ausili né parcheggio riservato.
Un’ape morta sul lavandino.
Un cardellino con la bocca di un bambino.
Non c’è tregua nel creme caramel.
Raffaele Ciccarone
Non c’è tregua nel creme caramel
Giasone sale sullo yacht
Giasone sale sullo yacht parte per la Colchide
insieme al Corsaro Nero vanno alla ricerca del Vello d’oro
Maigret passeggia a Montmartre Lupin gli ruba la pipa
la rivende la domenica successiva al mercatino delle pulci
Il mezzo busto televisivo mostra sul dorso delle mani
i peli irsuti del dr Jackie – i bimbi si rifugiano sotto il letto
quando vedono le ombre dei mostri
Alice non trova l’uscita dal Paese delle meraviglie
Arianna gli chiede in cambio il cappello a fiori
note biobibliografiche
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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti: NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
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Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, nonché nella Agenda Poesie kitchen 2023 edite e inedite Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022; con il medesimo editore nel 2023 pubblica Domani il giorno comincia un’ora prima.
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Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
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Raffaele Ciccarone è nato nel 1950, ex bancario in pensione risiede a Milano. Dipinge e scrive. Ha pubblicato su una piattaforma online con uno pseudonimo circa un centinaio di poesie e qualche prosa. Ha partecipato a gruppi di poesia a Milano. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022; nel 2023 pubblica Al canto delle sirene manca l’acqua potabile
Esercizi serendipici di Tiziana Antonilli, Marie Laure Colasson, Francesco Paolo Intini, Mimmo Pugliese, Le strutture serendipiche affinano i procedimenti già sperimentati nella fondazione di una nuova ontologia e della poetry Kitchen. Letture leggere ma perturbanti, anche se visionate con l’occhio veloce e distratto, Commenti di Letizia Leone, Lucio Mayoor Tosi, Giorgio Linguaglossa
Tiziana Antonilli
Esercizi serendipici
Temporale
Turner legato all’albero maestro intingeva gli occhi nell’acqua e nel petrolio.
L’uomo misterioso venne scovato dai social e crocifisso per non aver indossato il cappello.
Neanche il quarto d’ora di fama se il sereno si affretta.
L’uomo ora cammina in verticale mentre si fa la doccia.
Per millenni hanno sferzato i senza nome moltiplicati in senza nome.
Bagnati e asciugati senza aver mai conosciuto la direzione delle miniere d’oro.
Come destino il rullare continuo dei formicai.
Marie Laure Colasson
Morso
un mammut melodico capace di divorare se stesso in fa diesis .
Lente d’ingrandimento
un gufo spennato assapora una marmellata di ribes armato di uno stuzzicadenti.
Sedia
sul bidet Monsieur Camembert ha perso la memoria .
Uccello cinciallegra
Renaud Capuçon cucina una fricassée di pesci – volatili nel suo violino
Quadro di Klee
visione del disordine di cassetti ed armadi al piede dell’Etna
Gioco di scacchi
sguardo estatico di un melodramma capelluto all’ultimo piano della Tour Eiffel
Asciugacapelli
Erezione elegante sotto il casco di un militare con tacchi di 25 cm.
Francesco Paolo Intini
Magellano
Gonfio di verde scende verso Sud. Trova lo stretto e sbuca in un piatto. Per farla breve, in mezzo agli spaghetti veleggia Magellano ma dopo un susseguirsi di gorghi per la via, soccombe nella bocca.
Lolli
Due passeri si azzuffano a morte sul piazzale dell’obitorio mentre sopraggiunge l’ auto dei becchini. Il tempo si concede una pausa. Torna indietro per ritrovare le coordinate smarrite. In effetti non sa se ripartire o parcheggiare. Nell’ auto enorme s’intravedono due tacchini in giacca e cravatta. Uno dei due è l’orologio che sgobba mentre l’altro dorme poggiato alle lancette. In sogno uno dei due uccelli giace nella bara. È così ogni volta che l’auto arriva: lo spazio abbonda intorno a uno dei gitani, mentre la vita si libera del vinile.
Verso libero
tutti al pesciolino d’argento! E quello si gira, fa un tentativo di sfuggire alla potenza dei piedi, a zig zag sui mattoni. Poi arriva un verso, sfuggito da un catorcio nel cestino, che gli abbaia dietro. La ricerca del corpo fu inutile. Ognuno aveva la sua ragione, il pezzo di racconto rumoreggiava tra i denti. Le parole insomma ne furono orgogliose. Il mondo libero è anche un pesciolino morto, tre miliardi di anni o quattro spazzati via da un verso che crede di aver visto un lupo correre dentro casa.
Quark
A pancia piena cantano lodi gregoriane. Non sanno chi suoni l’organo né chi diriga il gran concerto. Dopo aver apparecchiato il nido – alcune specie di pappagalli lo cingono di bouganville come la fronte di Gesù- covano le uova . Aspettano con ansia il pigolio delle zanzare.
Ibiscus
Che male c’è a nascere radio telescopio? Ci sono api che vengono dal nulla. L’occhio potente mette a fuoco la nascita del primo ronzio.
Silenzio
Matrioska di corvi. Gracchiano al mattino, gracchiano la sera. Interferiscono di giorno.
Eugualeemmecidue
Non aprire la porta del neurone estremo. Dopo, nel paradosso, quando sei di là, tra pupe che mai si schiusero- Capsule della conservazione che mai si dissolsero- Il terzo occhio del baco che non trovò gelso:-sono la cellula senza sangue, dove il respiro adombra il suo “non c’è”.
Governo
Accade che un governo entri nella spazzatura e trovi pace tra Rumor e Leone. Oggi però soltanto non riciclabile sarà reso al creatore. Mancano le stragi, ma la tensione promette un’estate di tira e molla in favore dell’organico.
Bottiglie
Ascoltare i poeti … mentre battono i denti delle assonanze.
Un CRA di qua, un CRA di là e TRALLALLERO di:
– Comare hai una cipolla?
E dentro un buco nero la stella nana della malinconia:
– Mi stiri la camicia che domani ho un matrimonio?
Sarà stritolata dal bel canto per una madre, una campagna che residua un filo d’erba, il ciliegio immune ai pesticidi e il colibrì che succhia Andromeda.
Silenzio!
Inizia il pianto antico.
Spunta la luna dal monte… fiu..fiu..
Uno sbuffo di qua, uno li là del toro Islero in Manolete.
Mimmo Pugliese
Montagna
Prosciuga il mare che dalle cassette di frutta spirulina plana sui campanili.
Case ormeggiate su efelidi copulano con limoni nel vano motore.
Il pranzo della domenica ha stupito gli abeti immersi nello spartito del Bolero.
Scaglie di plastica, funghi di ferro battuto, il dentista in lavanderia si annoia.
Vuoi farti una foto? Lo sfondo è un flash ultravioletto.
La terrazza più glamour ha vista neve attraverso l’archetto multifocale.
Oscilla la montagna….
Spagna
Campagna
Taccagna
Lasagna
Lavagna
Cagna
Lagna
Compagna
Terragna
Lucio Mayoor Tosi
La procedura serendibica ricalca il modello base della frase (soggetto-predicato). È certo da inserire nella strumentazione kitchen, diciamo per favorire il “volo”. Ma di nuovo, come all’inizio fu per il distico, andrebbe considerato il passo di marcia (questo fa questo, quello fa quest’altro). A tal proposito è da sottolineare l’andare più spedito rispetto a certa poesia surrealista, di cui si avverte l’eco; d’altra parte è il mondo, la società civile, ad avere cambiato passo… lingua impoverita, nuovi termini internazionali (di brevissima durata), quindi va così anche per la poesia. Però divertente… anche se un maestro della pubblicità, con cui ho avuto modo di collaborare, quando gli sottoponevo nuove idee, a volte se ne usciva con un ‘embè?’, ‘e allora?’. La mia curiosità è adesso rivolta alle reazioni dei pochi o tanti lettori, con quali commenti, ecc. E lo faranno sulle poesie, questo è chiaro.
Letizia Leone
Le strutture serendipiche affinano i procedimenti già sperimentati nella fondazione di una nuova ontologia e della poetry Kitchen. Letture leggere ma perturbanti, anche se visionate con l’occhio veloce e distratto che si potrebbe dedicare alla street art, per esempio. Eppure qualcosa ancora stimola le nostre intelligenze in questi testi. La nostra “sciacquatura dei panni in Arno” passa per “l’amusement-mania”, l’effimero, per gli apparati scenici pubblicitari o lo show mediatico del reale ma il testo resite nella sua altera autonomia poietica. Almeno per me. Un dialogo testuale felice con ottimi compagni di strada, ognuno con la propria netta individualità. Grazie per la particolare attenzione a Jacopo Ricciardi e un particolare riconoscimento a Giorgio Linguaglossa per il coinvolgimento!
Giorgio Linguaglossa
È il «reale» che ha frantumato la «forma» panottica e logologica della tradizione della poiesis novecentesca, i poeti della nuova ontologia estetica si limitano e prenderne atto e a comportarsi di conseguenza.
Serendipity (serendipità)
La definizione del concetto di serendipità si può dire così: la sostituzione di una parola, di un oggetto che cercavamo con un’altra parola, un altro oggetto che non ci aspettavamo di trovare. In conseguenza di ciò, la nuova parola, la nuova proposizione non avranno nulla in comune con la parola e con la nuova proposizione che le precedono. E questo semplice accostamento tra due parole o proposizioni produce una scintilla di senso imprevisto, una estraneazione.
Parallax (Parallasse)
È molto importante la definizione del concetto di «parallasse» per comprendere come nella procedura della poesia della nuova ontologia estetica, in misura più o meno avvertita, sia rinvenibile in opera questa procedura di «spostamento di un oggetto (la deviazione della sua posizione di contro ad uno sfondo), causato da un cambiamento nella posizione di chi osserva che fornisce una nuova linea di visione.*
*The common definition of parallax is: the apparent displacement of an object (the shift of its position against a background), caused by a change in observational position that provides a new line of sight. The philosophical twist to be added, of course, is that the observed difference is not simply ‘subjective,’ due to the fact that the same object which exists ‘out there’ is seen from two different stations, or points of view. It is rather that […] an ‘epistemological’ shift in the subject’s point of view always reflects an ‘ontological’ shift in the object itself. Or, to put it in Lacanese, the subject’s gaze is always-already inscribed into the perceived object itself, in the guise of its ‘blind spot,’ that which is ‘in the object more than object itself,’ the point from which the object itself returns the gaze *
La definizione comune di parallasse è: lo spostamento apparente di un oggetto (lo spostamento della sua posizione rispetto a uno sfondo), causato da un cambiamento nella posizione di osservazione che fornisce una nuova linea di visione. La svolta filosofica da aggiungere, ovviamente, è che la differenza osservata non è semplicemente “soggettiva”, dovuta al fatto che lo stesso oggetto che esiste “là fuori” è visto da due diverse stazioni, o punti di vista. È piuttosto che […] un cambiamento “epistemologico” nel punto di vista del soggetto riflette sempre un cambiamento “ontologico” nell’oggetto stesso. O, per dirla in lacanese, lo sguardo del soggetto è sempre-già iscritto nell’oggetto percepito stesso, a guisa del suo “punto cieco”, ciò che è “nell’oggetto più dell’oggetto stesso”, il punto da cui l’oggetto stesso restituisce lo sguardo
* Zizek, S. (2006) The Parallax View, MIT Press, Cambridge, 2006, p. 17.]
Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti: Natomaledue è in preparazione.
Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie.
Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie.
Tiziana Antonilli ha pubblicato le raccolte poetiche Incandescenze (Edizioni del Leone), Pugni e humus (Tracce). Ha vinto il premio Eugenio Montale per gli inediti ed è stata inserita nell’antologia dei vincitori “7 poeti del Premio Montale” (Scheiwiller). Tre sue poesie sono entrate a far parte di altrettanti spettacoli teatrali allestiti dalla compagnia Sted di Modena. Il suo racconto “Prigionieri” ha vinto il Premio Teramo. Ha pubblicato il romanzo Aracne (Edizioni Il Bene Comune) e la raccolta di poesie Le stanze interiori (Progetto Cultura, 2018). Insegna lingua e letteratura inglese presso il Liceo Linguistico “Pertini” di Campobasso.
Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma (via Pietro Giordani, 18 – 00145). Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle).
Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, per le edizioni EdiLet pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italia-no/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma. Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2002 esce l’antologia Poetry kitchen che comprende sedici poeti contemporanei e il saggio L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe, l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch, il Covid, la Moda, la Poetry kitchen). Nel 2014 ha fondato e dirige tuttora la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue la ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, poesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo.
Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York. Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti.
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