Ladislav Fanta: I paragrafi della memoria, Try to Remember, a cura di Antonio Parente

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Domanda: Può contestualizzare per noi la sua composizione poetica ‘Try to remember’, che qui presentiamo?

Risposta: Con l’età sento una crescente riluttanza a ogni genere di puntualizzazione generalizzante. Non esiste una formula per la comprensione della vita, che sia nel tempo o nello spazio. Vale a dire: a partire da un certo punto, è meglio lasciare che le cose fluiscano liberamente, seguendo il proprio percorso. Meglio se con lo sguardo silenzioso verso il mondo che ci circonda, in modo che si possa sviluppare un flusso stratificato di idee, impressioni e associazioni, con le quali il nostro mutevole io cerca di entrare in contatto con la storia del suo tempo. Determinare o precisare quanto l’uomo si trovi fuori chiave. In questo senso, questi avvenimenti di giorni andati e dimenticati possono essere visti come un tentativo dell’autore di far rivivere il profondo sentimento di smarrimento e dissociazione vissuto nel mezzo di una piccola città dove si trasferì nel 1990 e dove trascorse alcuni anni successivi. Forse si tratta della denominazione della “tendenziosità”, sopravvissuta in noi, e sulla quale si può ancora contare, nonostante la realtà fangosa e impersonale. Con nostalgia per ciò che va allontanandosi …

*

La rivista ha pubblicato, sempre su l’Ombra, una intervista con Ladislav Fanta a cura di Antonio Parente:

Intervista al poeta ceco Ladislav Fanta (1966) a cura di Antonio Parente, Topazi e giovinezza, Composizioni in cornice di Lucio Mayoor Tosi, “linguaggio di immagini concrete, materiali, senza alcuna censura, senza stilizzazione, artificialità di stile, laconicità e antiletterarità, l’impressione di piante secche, stantie tirate fuori da un vecchio erbario, Il tempo dei manifesti, delle raccolte di firme, di sfide e dichiarazioni aperte attraverso le quali i surrealisti si pronunciavano sui problemi del tempo, devono a mio parere registrare un cambiamento di prospettiva”

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Ladislav Fanta, Try to Remember

(In memoria di Jiří Havlíček*)

… the kind of September
Harry Belafonte ft.Tom Jones

Amico, tempora mutantur et nos in illis – i tempi cambiano in modo imperativo – e noi con loro
Quando tutti vogliono avere il proprio idolo una figura amata senza spigoli
Che spuntano direttamente da noi o da qualcuno a noi vicino
La propria pietra tombale su un nobile piedistallo pieno di profondi inchini tiepidi
sul quale crescono grandi rivelazioni di granito solidificato nella flora
come un turista sperduto
Nella paglietta di spiacenti imbarazzi sopra il nastro strappato
Di Dio solo sa quanti piani quinquennali
I feticci del vecchiume nostalgico ma dove sono finiti
Sembra che siano stati bevuti come una limonata stantia e il supervisore si copre d’ortica
Piantare nuovi declamatori e attendere con curiosità che li impolverino di cenere di interiezioni indistruttibili
È una necessità alla quale alla fine in qualche modo prima o poi arrivano tutti coloro che demolirono il Muro di Berlino facendone pezzi che inviarono come ricordo di tempi passati – con magnifiche scritte e pitture – ai loro parenti
O anche li vendettero in cambio di valuta pregiata agli stranieri portati dal vento sulla vasta pianura tedesca
Sculture fantastiche che sono ormai un pezzo di folklore già passé
Come la moda fuori dal carcere
Nel tuo caso metà totem o stenogrammi di sculture animali e nel frattempo (senza sentimento) anche un pezzo di villaggio slovacco
Non li si può separare l’uno dall’altro i tuoi falò ironici ne sono prova sufficiente
Una quantità infinita di ieri smarriti – lo spazio che continua a crollare
Quando si risvegliò in te il sangue degli antenati da tempo indurito e la scultura fu solo un ritorno istintivo ai luoghi dell’antica origine
Ceppi-radici senza doversi preoccupare di come vivere
Ma anche espressioni africane di gioia dolore e degli altri stati emotivi espressi con lo scalpello intagliati in linee morbide sfumate selvagge e che si abbattono nuovamente l’uno sull’altro e l’uno contro l’altro nella schiacciante brutalità animalesca della protocreatura
Sono io stesso un primitivo che gode per la trillante tensione dei massi erratici molto più che per l’adunata di tutti i tahitiani di Gauguin
Non affrettarti rallenta ciò che in ogni caso non può sfuggire
In questo gioco all’idea della più grande comodità e utilità di ogni secondo si gioca in effetti ininterrottamente al domani
Ecco perché il tempo scorre infallibilmente a margine
E ogni poco come se nulla fosse dal caos emergono le forme del mondo originale nuovamente crollate

*

Non resta che continuare a piedi percorrere i paragrafi prolissi fino alle ultime bozze
che stridono nel dormiveglia
Voler carpire i fremiti fittizzi nelle punte dei rimbombi onirici
E cercare di tradurli in fonemi simili al volapük
Sfregare l’accendino e squadrare il presente
Col peso refrigerante del silenzio notturno
Il mondo imbevuto di fumo cinereo di un bar mal ventilato e di esalazioni
Poco inebriante come i suoi bozzetti che in questo momento nella penombra del mattino tendono l’agguato nel cassetto della cucina
Con una scorta di algen radepur e altre delizie candidi regalini tondeggianti capaci di presunti collegamenti con l’aldilà
(ammettilo, Jenda di Kozlowski, così sei convinto o almeno credi)
Al piano di sotto
Invano frughi nei tubetti vuoti dove è rimasta soltanto la fine polverina bianca delle pasticche
La tarda estate di san martino sul viso dove passano le fugaci ragnatele della stanchezza
In assenza di cristalli insaporenti degli scaramucciatori rauchi del confine
Di chimere
Il meprobamato si apre il varco con le briciole di morfina
Dal cervello una polvere infernale
A malapena riesci a tenere aperti gli occhi dai quali in perenni rivoli densi scorrono i nervi come dalla grondaia
Sui parati cancerogeni in giallo canarino
Nel caf’ conc’ con la mano volta ancora in direzione della grafica colorata dell’Associazione per la Repubblica-Partito Repubblicano della Cecoslovacchia
Quando l’oscurità ha cominciato a lacerala.

*

Sulla tela solcata da sentieri di sabbia e profumata di morbide stradine c’è quasi silenzio
Solo occasionalmente si sente un colpo cupo
Risuona il clic del bidone dell’immondizia o l’impugnatura sonante della secchia
Honza Vaidner inforna nella stufa una sfilza di mattoni di ecrasite
I colpi assordanti del silenzio assoluto
Il meriggio a Šternberk è capace di riecheggiare cavo e vuoto
Sia in vicinanza che a tiro
Tutto ciò che è stato diverso e sarebbe potuto essere il contrario
Un’estate leggermente sbiadita al chiosco con la nebulosa di vini rossi
Dalla vela sporge solo la parte superiore del manganello alleggerito dal risciò
Dagmar Močičková-Pospíšilová Ngern Kratúnek-Cambogia
Entrambi presi in custodia dopo una festa di sette ore al ristorante bangkochiano Brehmen dalla radice di ginseng come ospiti non paganti
È un’opera musicale che si compone dei diversi suoni prodotti durante la spillatura e la mescita della birra scura
Con riferimento alla testimonianza bibliografica dei randelli di bambù
Sulla spilla da balia agganciata alle labbra truccate
Sopra il cavaletto da pittore di forma insolita ma piacevole
Somiglia alle fette di torta simili ad un dolce a più piani o alla fisarmonica dei Picasso Kryvošej Pospíšil j-a-Havlíček
Abbattere le circonvoluzioni cerebrali col rum frettolosamente spruzzato sull’antichissima regione boscosa del cortile
Lasciarsi cullare dalla serenità della domenica non ancora appensantita dall’arrivo dei cambiamenti sgraditi della tinta dei capelli
Ricordare le inondazioni di formule chimiche con le quali in età adulta abbiamo imparato a dire amore
Capire perché tutto cade a pezzi sotto le mani al calore che concilia il sonno del silenzio dei fischietti di osso
Errare con lo sguardo nervoso sulle pareti vuote passare rapidamente per la stanza buia e attendere
Predestinare alla decrepitezza fisica agguindolarsi tra le cose completamente fuori campo
Poi di nuovo a sinistra qua e là scalcinare a poco a poco i muri incollare e di nuovo staccare un paio di sguardi del tutto irrilevanti
Sentire l’alcool e qualcosa che ricorda i funerali e i cimiteri che con un delicato crepitio si scioglie lentamente nelle nostre bocche
Quelle cose che vengono alla mente di quasi tutti noi solo che nessuno vuole dirle ad alta voce
L’infrangersi di cristalli ironici tra decine di isolette traslucide
Catturare l’attimo del contatto spesso appena riconoscibile che molte volte ignoriamo con una breve occhiata che non dice nulla che si attacca ai lati di un annuncio funebre appena incollato
Quelle pungenti battute ad esempio sui morenti che sfogliano sul letto di morte il catalogo delle bare o sull’impiccato ad un albero accanto al quale un’altra persona controlla se l’orologio gli funziona ancora
Poi inutilmente essere alle prese con un manoscritto spesso illeggibile dare il benvenuto allo sbandieramento
Continuare la litania in proprio tirando il fiato in solitudine e nel vuoto
Inevitabili ed anche aneddotici
Andare sempre negli stessi bar insieme a Vlad’a Mazoch sapere che Eisestein finì come un buddista
Consumare l’alloggio dell’immaginazione fino a svuotare l’appartamento
Al piano avanzato dove gli sniffatori di toluene condirono le narici con il rapporto forse incomprensibile ma comunque esistente tra l’uomo e la sostanza volatile
Come se ora mi scricchiolassero ancora tra i denti dei minuscoli granelli di sabbia penetrata anche dalle finestre ermeticamente sigillate della stanza e che in mezz’ora ha coperto l’intero pavimento con uno strato spesso

*

Dall’apertura di una tendina di perline colorate entrano i cercatori di funghi
Risolversi per un reciproco discorso emotivo e carezzare la testa arruffata
La pioggia battente
Abbiamo bisogno del polo opposto – gli ioni positivi
Crepe crostali che attraversano la calda lieve brezza notturna le dita sul corpo
Lunghe strisce di polvere e sabbia
L’impressione di pochi minuti di confidenziale sincerità cancella la rotazione con l’interruttore elettrico
Ancora una volta guardare l’eccesso di luce scintillante d’argento
Formazioni fantastiche di macchie esplose come se venissero da una bottega di arte astratta
Una voce fumosa lentamente e con chiarezza esagerata spiega come dove si calcolano i prezzi di pasti caffè tè
I nostri cuori con la loro magia
Per noi è rimasta a lungo indecifrabile come una discarica di ossa di mammut
Già di per sé in qualche modo ci avvicinava a voi e voi ancora a noi
Un gustoso ricordo – le schegge dei fiammiferi tagliate molto sottilmente
La naivité perfidamente raffinata del maestro Vojkůvka l’articolo sicuramente voluto sul mercato interno ed estero
“I flagelli semi stagionali” dello scultore Kuba che dovrebbero piuttosto essere notati dai venditori di souvenir
“I nostri semi comuni, le fiamme dalle pigne” – sono qui di nuovo come prima
“La proteina della pesantezza che scorre nel mio sangue blu con l’idea dello sfondo di Magritte”
— certo certo
Un certo signor Šabo cala sulle ginocchia dei quadrati di cartone imbrattati legati con la morfina allucinazioni ricalcate con precisione
Uno di noi o qualcun altro che conosciamo seduto nella sala al tavolino
Ai disegnini nascenti spesso dedicano un ghigno e ai loro autori assegnano gangli atrofizzati
Non è solo tirare linee geometriche e spostare strani numeri
Ciò che è sfugge o si avvicina
Scivola sulla rètina
e infine senza lasciare traccia
languisce

*

In lontananza luccica ancora il pelo di una gatta silenziosa che fa le fusa
Qui tra la penuria e le spese impreviste da qualche parte inizia un posto desolato nell’universo
‘Lay by’ come dicono gli Inglesi
È tornato il tempo – il tempo zero
Afferrò la mano con un fiammifero bruciato e la dimezzò
Le unghie con lo smalto rosso sbrecciato
È interessante come si rievochino delle linee ondeggianti che avanzano inesorabilmente nell’acqua della teiera gorgogliante
Sono tornate le acque stagnanti
Il tempo morto alienato imbiettato sotto i coni arrotolati
di altre 24 ore su questo pianeta
Tempo zero zero nulla
Riceviamo il suo presente dai programmi televisivi
Quell’armonia incorniciata della giornata umana
Tutti i luoghi li proiettiamo nel microscopio dei ricordi
Quando come in uno stato di trance
(senza esercizi di concentrazione yoga)
premiamo le dita sulle corde dure

*

Albeggia
Negli angoli di molti luoghi scintilla ancora l’emisfero opale
delle lampade sul soffitto
E forse anche per l’ultima volta la nostra isola mitica
ricoperta dal tappeto di “cigli” d’aneto
Correr fuori per dieci minuti a comprare il giornale al chiosco
Imbucare nella cassetta postale cartoline colorate
In breve le rughe che disegnano l’estate
Prima che entri in gioco l’estremità della consunzione
Intanto tocca la liscia ringhiera lisa la cui vernice negli anni è svanita per gli innumerevoli tocchi
Risuonano i passi ma poi scende di nuovo il silenzio
Nei tubi scroscia l’acqua non potabile

*

Il giorno è iniziato
Il tempo della siesta permanente con una sensazione di fame
Fuori c’era il rifugio per il fuoco la facciata che si sfalda
La vita uguale ad oggi
Con le chiavi della porta d’ingresso e i tramonti ambrati
Abbiamo ascoltato le invocazioni dei profeti locali
grati per ogni espressione di benevolenza e comprensione
Papà dei demoni e fratelli dei rasoi elettrici
Ota Nuc circondato da un alone di stato di aggregazione solido
I quanti di esprit le materie di rum
(“Vivere l’inferno”)
Tozzo bruno la Cambogia con il volto corroso dall’acido
Con il potere e la ricchezza cresce anche il suo ego
E la paranoia
Enormi case galleggianti di mondi assenti
Giornate tristi quando ci imbeviamo di acqua che imbratta il vetro in strisce opache
Spazzatura scarabocchi sui muri
Il riverbero delle posate e dei bicchieri
non lavati
Che veleggiano verso distanze illimitate
Il kung-fu di questo recidivo ci spinge all’angolo: l’apertura di appartamenti devastati
Dove perdiamo il collegamento con noi stessi
La pompa – avvio manuale ed elevazione – un calcio o un pugno
Con la macchia di fumo di sigaretta
Quando il profumo dell’autunno si spande nella pineta
Girandola e terminale elettrico
Il flusso di molecole la fusione continua degli incastri
Ma vuoi di più
Un trattamento incerto goffo fuori dalla vita
Dove ogni anno fa ritorno
Lungo un sentiero di conifere
Dietro muri spessi incisi di ornamenti tratteggiati
E con l’intonaco imbevuto di meditazioni di molte generazioni di muffa

*

Mandala è un rimedio per la psiche e per il corpo
L’effetto alone dei riflessi insonorizzanti
dei vetri delle finestre
Quando si permette loro di diffondersi per l’intera anima
Come un’euforia pervasiva
È facile lasciare tutto e andare in lungo e in largo
Sento la tua voce dire che gli yogin a Lhasa sono in grado di distruggere e formare intere galassie
Mentre per strada corrono gli ultimi suoni senza senso
Sono quasi sul punto di andarmene quando improvvisamente dalle finestre della cucina si alza
La pelle di un flauto latteo
Da qualche recesso emerge un ricordo
Sul piano luminoso della vecchia credenza sfregiata con i calciatori della Bundesliga
incollati
Camminiamo lungo la scala e il corridoio
Senti il fruscio della carta sotto i piedi
Ma tutto è improvvisamente indifferente
Già si dovrebbe sviluppare in qualche modo
Sul lato opposto si spalanca
La porta della foresta
Rivelando che oltre non c’è nulla
Ládík, vecchio drago
La via polverosa non esiste più
Passo di là e penso chissà cosa stai facendo
I terreni di quelle case si restringono dopo la scarificazione
Vi germina l’erba sudanese
Vi passa il vapore invetriante degli sguardi con l’eyeliner pronunciato
Del mare affinché suoni come un vecchio
Com’è davvero l’attimo
In cui si passa ad altri pensieri?
L’ingiallimento del bianco degli occhi del fibroso fungo erubescente

*

Sì, era allora – allora …
Con ogni secondo che passa si ricopre in oscillazioni di angoli dentellati
E tutto ciò che è mio è vostro vicini e fratelli e tutto ciò che è vostro è mio
Si è trasferita la tomba indiana
Si è trasferito il circo della musica concreta
Una sovrapposizione ritmica di periodi sensibili
Ricordo come al servizio militare i nonni appiccicavano negli armadietti le pompe di benzina
I remi immersi in vernici di sale
La piazza d’armi dei turni del mattino
Ricordo
Sulle spalle Security
Lo chiamavamo Victor ugò in polvere
Il direttore del cimitero nel Tibet centrale tutto impettito in un metro quadro e mezzo di concentrato di morfina
Le lunghe ombre dei castani si diramavano sui lati
Le scioline spray Skare e Klister nell’impermeabile
In quel momento come se il nervosismo di qualcuno cospargesse questo luogo di impulsi elettrici
Con gli scapi cerati taglienti
delle antenne satellitari
Si è trasferito il frastuono dei bambini
Le stuoie naturali sulle sedie di plastica da giardino ingrigite del bistrò fuori sotto l’ombrellone
Dove l’aria si muove solamente in moto ondulato o deformandosi in pozzette
Proprio attraverso dei fori rinforzati per appendere gli anelli per evitare eventuali strappi delle tende
L’urto improvviso dell’angolo smussato di sbieco
Quando nei bicchieri scorreva da qualche parte il profumo di mentolo
E la presa era rilassata

*

Ci si sedeva negli angoli polverosi delle taverne
(è ancora possibile scorgerne l’acquoso contorno verde scuro)
Magari durante una piacevole domenica autunnale con le foglie ingiallite e il cielo azzurro
Nel sottoscala la corrente giocava con la porta di casa mal chiusa
Nell’arido deserto di fessure e crepe
Lentamente si zittiva il ronzio metallico
Nei raggi ultravioletti dell’energia solare ogni volta ti accoglieva l’oste Voska
anche con la corona
Di boccali spillati
Come una vibrazione appena percettibile del flusso d’aria
Gli inizi di incendio nelle pattumiere del palazzo comunale ad affitto modico
La scarica di adrenalina nel sangue
Ci si sedeva sotto un sottile e scintillante strato di polvere
Le particelle corpuscolari che spiovevano dall’abbaino ci investivano caldamente
col respiro di vecchie macchie stirate via
Il tempo dei vecchi tappi di sughero
Si trattava di fumo non ispirato
(come quando si esce sulla radura illuminata dal sole)
Nel mucchio di pietre gettate sotto la finestra
Dove i ciclisti raspano i loro cerchioni arrugginiti
Di rado parlava normalmente il più delle volte sbocconcellando come se
solo in quel momento concludesse il suo pensiero e cercasse di chiarire più a se stesso
che al suo interlocutore ciò che occupa tutto il suo tempo
Come a voler allontanare qualcosa senza senso inutile qualcosa che non c’entra
La vernice violacea sulle pareti dell’entrata
Ed era sempre così

*

Il dinner al rum di Honza V.
Toník Mangéra che leccava i sacchi da box
Fatti di sacchetti
Di sale
Mete esotiche:
Tankiš
Pálava
E con l’inizio della stagione del riscaldamento
La fine dei momenti di gioia
La vita è composta di opposti altrimenti non sarebbe
Come lo strobilo intatto delle suture craniche
Nella sala il calore del riscaldamento centralizzato col termostato
La vaccinazione antitubercolare 1 o 2 volte
I “reps” di Šternberk
Riempiti di ossigeno
Volenti o nolenti assumono la funzione simbolica del piccolo allevamento
Di votanti del partito di destra
Destinati ad una carriera in parte coperta in parte oltre
Il tetto di casa
Le bombole di nuvole di propano-butano

*

Ti vedo col ramoscello di maggio in mano che passi per la piazza superiore
Lo scorso anno vidi le tue opere nel catalogo della ditta Magnet-Camif SPA
Allora uno scoppio nella memoria
(quella un pochino consumata e coperta di terriccio)
Proprio sotto gli alberi sulle foglie cadute
Tenere sempre a disposizione una riserva di almeno due o tre soluzioni finali
In qualche momento ingarbugliato
Lavare la faccia con sverniciatori di smalti invecchiati
Tirar fuori dalla manica in compagnia di amici delle storielle e sul doppio foglio del giornale
Discutere su come eliminare la disoccupazione così come di Hegel seguire le relazioni nelle aziende apistiche determinare non so per quante volte ancora dove siamo diretti
Saper dislocare la creazione della Terra ancora più in là nel passato
Prima che il mondo si rovesci dalla curva a destra
Se si vuole col tempo abbassarsi e carezzare la sabbia lacustre finemente stratificata
nelle creme lenitive e protettive
E attraversare con lo sguardo la boscaglia bassa della rigogliosa vegetazione su entrambi i lati
delle marce tavole tarlate
Le ultime assolate ma già tristi giornate dell’estate di san martino
Che per un attimo scompare per poi subito riemergere
E perciò non resta che aspettare
Queste linee visibili come la schiuma omogenea di lunghe coperture dense di elevata stabilità
Oppure come strisce interrotte che scompaiono
veloci
Che si formano non lontano nel vapore di bicchieri con bevande calde
Il freddo inizia a irrigidirsi
La cenere si ingrigisce e si polverizza in zollette che poi si sbriciolano
Per alcune di queste cose non si può tornare indietro e io lo so bene
In principio questo bosco non aveva fine solo un santuario aperto e arioso
Su terreni di lieve calcare
Soltanto graffiare la superficie sotto la quale intendiamo penetrare
Giravamo per il nascondiglio dietro gli scuri vetri a tenuta stagna dei vuoti a rendere
Oli K. in bocca la sigaretta che dondola noncurante
Il respiro degli atleti sottoforma di pulviscolo acquoso
Si precipita lungo le calde pareti di questa preistoria
Il flusso di segnali intermittenti tra le ere glaciali ricorda ancora quelli che ci raggiungevano a nuoto
nelle rimesse abbandonate
Il twist di Popokatépetl delle conoscenze più basilari conservate nei codici genetici
Il corpo fusiforme di Tonda Ailaviù che si arrangiava nei saltuari periodi morti con i ballottini
con l’antigelo
Dietro le pareti del bianco accecante della vernice nitro
Il buio dal quale spuntano corpi variamente contorti e ritorti
Le labbra violacee che scaricano nastrini stretti di veleni azzurri
Le lunghe ore serali si trasformavano in deserti fruscianti in polvere
Míla Kučerák con i suoi indimenticabili Allora, eh?
Any evening, any day…
Lo sgorgare di bolle d’aria ad ogni passaggio degli aerei supersonici
Malakov – la torta di biscotti farciti alla crema
Allora d’estate bevemmo insieme una bottiglia di vino e la sera stessa da te esalano
descredenda di rammarico per il tuo ultimo bicchiere svuotato come nei “Cavalieri della Tavola rotonda” di Cocteau
Nel brindisi in bicchierini con scene di caccia dipinte l’hallalì
Leggermente acido sufficientemente umido diffuso orizzontalmente nella corrente gelata
Le lunghe ore serali che si trasformavano
In buchi tonchiosi
Con i loro viticci vegetativi e graticci divisori
Dei bei tempi andati dei riflessi bagnati.

*

Tutti ormai commerciano in tessuti svizzeri di seconda mano
In fusti speciali mescolati a palline di naftalina
a ritmo sostenuto fa ritorno il primo tocco del metallo freddo
Altre volte apri la portiera della macchina
Ti togli l’uniforme la getti sulla bastionata
Tutto è mimetizzato dai seni acuminati dei cespugli
Una grande crosta tutto ciò che non è possibile scansare né dimenticare
Qualcosa che comprenderai in una frazione di secondo
E il seguito continua a rimanere sconosciuto
È durato a lungo la muffa rodeva adagio la temperatura corporea
I Lebensborn manageriali nei locali di uffici di granito lucidato
Descredenda di rammarico
La vaga consapevolezza dell’infiammabilità del legno dal quale aleggia un fumo
leggermente tiepido
Piuttosto che lasciarla per principio senza risposta
Stop
Il Mahatma Gandhi lentamente si dilegua per via Sokolská
Toni – Musica – Buddha
E la gelatina per alimenti che non si rafferma altrimenti se lo facesse tutto il lavoro precedente andrebbe a farsi friggere
Fuori continua a piovere
Potrei raccontare a lungo di queste cose ma finirei solo per ripetermi
Fin dall’inizio ho la sensazione che sia un “testo – verità” o che almeno
con notevole successo cerca di farlo credere
Sì qualcosa del genere è dovuta realmente accadere
Quelli di domani difficilmente si lasceranno scappare qualcosa
Nemmeno se adesso ad un tratto si alza e dice che è tutto un nonsense che non è affatto
morto e non morirà che ha fatto soltanto uno scherzo stupido perché voleva verificare
come si parlerà di lui dopo la sua dipartita
Non possiamo mica fermarci dopo un inizio così ben riuscito, scemi
I fluidi contorni di poltrone pronte a gettare le impronte di altri sederi
Come Robert Graves nei Miti greci
Una formidabile opportunità di scorgere un’ultima volta il cielo
Ancor prima dell’importo annuale della luce solare

*

Come è strano che una decisione cambia tutto
La linea di vita: qualcuno è venuto e sei qui
Sei tu
Agente segreto Lemmy Caution alias Eddie Constantin
Che in un vecchio film di Godard insegna ai residenti dell’irreale Alphaville a spremere da se stessi la vitalità umana
Un ultimo sguardo alla brasserie e ai buffet degli agglomerati urbani
Dove nel fruscio della pioggia molto oltre la mezzanotte in qualche modo tutto cominciava a ingrigirsi
I volti di piombo ma gli sguardi del tutto normali nessuna pupilla dilatata come dopo aver ingerito oppiacei
Prendi per la maniglia ciò che solleva col gancio
La casa anche con i cavi dell’alta tensione
Un groviglio di corridoi comuni e spazi abitati per la dipendenza di molti di noi alla quotidiana
scatola di dolci sigarette cubane
Abitudini molli come frutta
Da qualche parte risuona la tipica tosse da fumatore
Il prezzo del dettaglio risiede in ciò che erige di continuo sotto gli occhi
Come rinvenimento della prova qui ci sono stato
Nelle stie separate dei cubicoli dei caffè
E dei loro grembi imbottiti

*

Ora già non più forse ma certamente
Dici tutto si è vissuto profondamente
Dal rinfrescante crepuscolo primaverile affluiva un viluppo di felci e equiseti
Come se qualcuno miracolosamente lo ravvivasse e gli infondesse una memoria prodigiosa per il viaggio di ritorno
Il tempo era più caldo brillante e speciale
Un movimento nelle crepe dei muri
Quando nella stanza si diffonde la penombra che gradualmente poi sprofonda nel buio e invano svanisce per la scala a chiocciola
I muretti serpeggianti che si estendono dal giardino verso il basso
Dove un venticello fonde la superficie dei mattoni
Come il bucato che si appende da solo sui fili
Diritto alle radici delle piante
Quando crescono tutto è cambiato

(1996, 2014)

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* Nota dell’autore: Jiří Havlíček (30. 3. 1948 – 2. 5. 1997), creatore di encausti, decalchi, mandala … Ma anche, come si legge in un articolo su di lui: “… Ribelle e stolto in Cristo. mistico e profeta traviato”, descrizione certamente calzante. Così l’ho conosciuto io. Amico-iniziatore più anziano con un senso dell’assurdità della vita e del tempo. Curato come schizofrenico sempre trimestralmente, quando apparivano episodi di questa malattia. Sembra fosse originario di Příbram. In seguito si spostò permanentemente a Olomouc. Non si sa molto degli ultimi suoi anni di vita, a quanto pare viveva nei boschi, e scendeva tra i comuni mortali alla maniera dello Zarathustra di Nietzsche … circondato da un branco di cani randagi (“Quest’albero è solitario sul monte; esso crebbe alto sopra gli uomini e gli animali”). Morì di appendicite perforata quando, nonostante le sue gravi condizioni, chiese ai medici curanti di firmare la lettera di dimissioni…

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Ladislav Fanta nasce a Uherské Hradiště nel 1966. Completata la scuola elettrotecnica, lavora come giornalista e operaio. Importanti per la sua formazione furono gli incontri con gli artisti Jaromír Čechura, Hynek Šnajdar, Leonidas Kryvošej e con i surrealisti Jiří Koubek, Pavel Řezníček e Milan Nápravník. A cavallo degli anni 1980 e 1990 prese parte alle attività del gruppo informale di giovani artisti e scrittori attivi nella città di Šternberk, accomunati oltre che dalle percezioni ed espressioni legate alle tendenze mondiali, anche dalla necessità di ricollegarsi agli impulsi del movimento surrealista. Questa generazione di autori nati tra il 1964 e il 1966 rifiutò di accettare in bianco la democrazia esteriore e commerciale, che iniziava allora a far sentire la sua rumorosa presenza in Cecoslovacchia. La coulisse del paesaggio di una piccola città e i banali “utensili” della vita locale, così come gli originali personaggi che la popolano, saranno per lui fonte di ispirazione anche in seguito, in testi che inventariano il passare irreversibile del tempo. Insieme allo scrittore e poeta surrealista Pavel Řezníček prese parte alla pubblicazione degli almanacchi inediti del più antico samizdat ceco, Doutník (Sigaro), presentando una stretta cerchia di autori (K. Šebek, E. Válková ed altri). Sempre con Pavel Řezníček, è anche autore di una raccolta di prosa grottesca, Miss Mléko a jiné burlesky (Miss Latte e altri burlesque), scritta utilizzando il metodo della corrispondenza.
Il suo interesse per la storia moderna e più recente, unito a quello per la psiche umana, lo capitalizza in una vasta ricerca teorica, che si tradurrà in una serie di analisi storico-sociali, in pubblicazione. È anche coautore, insieme a Jiří Koubek, del libro intervista Ne Deník: k 70. výročí založení Skupiny surrealistů v ČSR (Non Diario: per il 70° anniversario del Gruppo surrealista cecoslovacco), sulla crisi del surrealismo e sulle sue prospettive dopo il 1989. È anche curatore delle opere inedite di Milan Nápravník, raccolte, per il momento, in un primo volume intitolato Prokletá slast a jiné eseje (Piacere maledetto e altri saggi, 2019)
(Estratto del servizio pubblicato su Poesia, n. 314, 2016.)

21 commenti

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21 risposte a “Ladislav Fanta: I paragrafi della memoria, Try to Remember, a cura di Antonio Parente

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  2. antonio sagredo

    Leggendo quei versi – spacciati come versi -il ritmo mi ha fatto pensare al ritmo dei versi del poema di V. Nezval “Il becchino assoluto “.
    ———————————————————————-
    “Il testo surreale di Nezval è considerato da Angelo Maria Ripellino (in Storia della poesia ceca contemporanea del 1950) “il libro che segna… il vertice del surrealismo ceco… uno dei vertici del surrealismo mondiale”, e più avanti puntualizza: “dopo Il becchino assoluto comincia la decadenza di questo poeta….
    Decadenza che sembra iniziare dopo che Nezval si è arrogato il diritto di “sciogliere” il gruppo surrealista nel 1938. (contrasti forti con Breton).
    È, dunque, questo scioglimento il risultato di antichi mai sopiti e risolti contrasti, fra critici poeti scrittori e artisti, iniziati prima della nascita dello stesso surrealismo ceco (1934), prima del Poetismo (1924) e risalenti all’epoca della poesia proletaria del Devĕtsil *, poco dopo la prima guerra mondiale”.

    (dalla mia prefazione al poema pubblicato sulla Rivista “l’Ozio”, nel 1988).
    ——————————————————-
    Dunque come scrivevo leggendo questi versi del poeta ceco Ladislav Fanta non posso fare a meno di pensare al ritmo “surrealista” dei versi del poema nezvaliano. I contenuti è ovvio sostanzialmente sono diversi, ma la tensione, la scansione e perfino la forma sono similari, quindo non c’è stata una evoluzione della forma e questo penalizza i versi “fantiani” e dei poeti a lui contemporanei o vicino a lui come corrente.
    Questi versi fantiani mi lasciano indifferente e non meritano da prte mia che poca attenzione.

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  3. milaure colasson

    Straordinario poeta questo Ladislav Fanta, che non conoscevo, Grazie ad Antonio Parente per la traduzione.
    Mi sembra un certo modo di fare poesia niente affatto lontano dalla nostra poesia kitchen. Fanta si lascia scivolare sulla cresta d’onda della funzione metonimica… senza tregua. Facile a dirsi. Allora è vero che in giro in Europa ci sono dei poeti che si muovono nella nostra medesima direzione di ricerca, ci sono, basta scovarli.

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  4. Ha scritto Germano Celant:

    «L’arte contemporanea in questo momento chiede di essere lasciata in pace, non vuole essere ridotta a parole o a letture critiche, non vuole intervenire o offrire una lettura del mondo, non si pone in chiave moralistica, non accetta di essere addomesticata secondo una visione univoca e unisensa, rifiuta le incrostazioni interpretative, è solo preoccupata di verificare nuovamente la sua intenzionalità eco-bio-logica, e si offre solo nella sua naturalità magico-mentale. Commentarla significa modificarla, offrirla in chiave deformata e deformante, compiere un servizio repressivo e reazionario, che ne muta l’uso e la funzione. Che tipo di teoria o critica d’arte si può allora tentare oggi? Quali possono risultare gli strumenti di cui la critica d’arte contemporanea può servirsi senza compiere una violenza linguistica, per intervenire come complice nel divenire del lavoro artistico contemporaneo? Esiste una possibilità di una critica acritica?
    Su queste domande si stanno formulando diverse soluzioni critiche che però partono dal comune presupposto di un tentativo non più a giudicare o a criticare l’opera d’arte, ma a viverla od esperirla, a conservarla o raccoglierla. La ricerca critica sembra ora interessata a precisare, non tanto il suo potere giudicante, che la rende una “critica pettegola”, quanto le sue possibilità in rapporto dialettico con il lavoro artistico, attraverso tutti gli strumenti in suo possesso.
    La critica non vuole più offrire ricette rassicuranti con cui levigare gradatamente le punte estreme dei movimenti contemporanei, non è tesa a compilare ricette “digestive” per il grande pubblico impreparato ed ignorante ai fatti artistici, vuole piuttosto esporsi come azione storica o come evento, in divenire con il lavoro artistico.»

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  5. L’implosione dell’Ordine Simbolico

    Non si può comprendere qualcosa della poetry kitchen se non la si pensa entro quel grande rivolgimento dei giorni nostri che è l’implosione dell’Ordine Simbolico. L’epoca del Dopo il Moderno non solo tende a produrre comportamenti psicopatologici alla catena di montaggio dell’esistenza quotidiana ma si configura come una società ad alta incidenza di psicopatologie diffuse, psicopatologie di massa e omologismo di massa.
    La diffusione del «fantasma» a livello di massa nella attuale fase di sviluppo del capitalismo cognitivo è una spia di queste condizioni di vita che va di pari passo con la diffusione delle psicopatologie, delle allergie post-traumatiche e delle ossessioni fantasmatiche non più come mero «sogno ad occhi aperti» di Freud ma come una vera e propria proliferazione di fantasmi dell’Immaginario, è questa la caratteristica saliente della Implosione del Simbolico. Ciascuno ha il proprio fantasma, così come ciascuno ha il proprio raffreddore. Ciascuno ha i propri sintomi, così come ciascuno soffre di allergie diffuse. Ciascuno ha la propria solitudine, così come ciascuno ha il proprio Maalox.

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  6. Alfonso Cataldi

    Il 28 marzo 2022, sulla poesia di Ladislav Fanta, Linguaglossa scriveva: “è un ininterrotto approssimarsi alle «cose» con la piena libertà di non volerle mai racchiudere dentro una gabbia concettuale o linguistica per seguire la via metonimica di approssimazione alle cose, una approssimazione che non può mai finire, e infatti la composizione non finisce, potrebbe non finire mai… ”
    L’effetto che l’autore vuole lasciare al lettore, come scrisse Tiziana Antolilli, è quello di una telecamera che riprende le macerie di una civiltà post-industriale, in un unico lunghissimo piano sequenza, un “long take”.
    Ricordo il film “Arca Russa”, di Sokurov, girato con un unico piano sequenza, dentro il Palazzo d’inverno. Bellissimo, ma anche soffocante,stancante.
    Questo, a mio avviso, per la mia lettura, è il limite di questi lenzuoli senza fine: obbligare a pause, a mettere un segnaposto e quindi disperdere le immagini più a fuoco.

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  7. antonio sagredo

    … a questo primo surrealismo di cui fece parte il poeta praghese Vitezslav Nezval e altri successe un secondo surrealismo poco
    dopo la Seconda Guerra Mondiale sotto un nuovo ordine politico : un opprressivo comunismo staatle che ancor di più soffoco una possibile evoluzione creativa delle forme artistiche di tuttti i generi, e quindi anche di questo secondo surrealismo che a differenza del primo aveva in se il marchio di una lugubre tristezza infinita. Di questo secondo surrealismo sono ancora visibili le tracce tuttora, i versi del Fanta, ne sono una testimonianza evidente di come la forma poetica si è bloccata.
    Capisco l’entusiasmo della Colasson come se si fosse trovata davantia qualcosa di nuovo da celebrare: nulla di nuovo.
    E il paragone con la poesia kitchen alla pittrice sembra qualcosa di qausi straorninario, ma non è così. Il surrealosmo ceco, primo e secondo, ha attinto frequentemente al mondo della cucineria, da mescolare il lugubre col gusto di varie cibarie: il becchino assoluto infatti si ciba di tali schifezze culinarie per fini da vantarsene.
    E pure tutto ciò non è una cosa nuova se già nel poeta russo Derzavin, tra fine settecento e inizio ottocento, vi troviamo tale misture.

    a.s.

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  8. antonio sagredo

    Ma se si va ncora più indietro nel tempo, p.e., al secolo 16° giungiamo al pittore Arcimboldo che con le sue “TESTE COMPOSTE” ci dà un esempio lampante di “pittura kitchen”.
    E sono certo che vi sono esempi similari a decine prima dell’Arcimboldo che investono le varie arti.
    E allora possiamo affermare che tutte le arti sono KITCHEN e non certo unicamnete la POESIA.
    La POESIA KITCHEN così come viene proposta, non soltanto teoricamente, dai poeti dell’Ombra non è che l’ultima manifestazione artistica, e va dato di certo un merito non indifferente alla evoluzione della Poesia in Italia mentre li vedo appunto dell’indifferentismo [che] comincia a crollare.
    E allora questa poesia kitchen così come ci è stata proposta fino ad adesso deve cambiare marcia trasformandosi in un cuneo che penetri e distrugga una poesia “omologa” presente ancora e che debilita purtroppo una evoluzione direi naturale della poesia stessa.
    IL 90° della poesia – non soltanto italiana – che leggo costantemente è da buttare via… mi viene la nausea e il vomito a leggere certi sedicenti versi che formano la struttura di omologazione imperante, ma è da sperare che dal letame esca fuori un nuovo fiore: non so se sia la poesia kitchen o altra forma.
    as

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  9. caro Antonio Sagredo,

    posto qui la risposta ad una domanda su come immagina il suo futuro ad una 18enne. E questa è la sua risposta:

    [di Sofia Sossai]

    A volte sento il bisogno ossessivo di trovare un pezzo di carta, scrivere per ricordare, in un tentativo di immagazzinare tutto. Ho sempre pensato che non mi sarei potuta costruire il futuro senza scrittura.

    L’altro giorno ho scorso le note del mio telefono: sogni ricorrenti, frammenti di conversazioni origliate in treno, pensieri lampo o meditati, dialoghi immaginari, di persone incrociate per strada, gesti che mi commuovono o mi intristiscono, frasi riportate tra virgolette che mi scattano un ricordo, impressioni.

    Se scavassi nei taccuini che ho nell’armadio, custoditi dalle scuole elementari, troverei forse pagine meno asistematiche, ma la mia tendenza a tenere traccia di quello che sono e del mondo che vedo attraverso le parole affonda le sue radici già da allora: la mia passione avrebbe coinciso con il mio mestiere.

    Davanti a me si profilava un improbabile ossimoro: un futuro incerto che nasceva da una ferma convinzione.

    Mi chiamo Sofia, ho 18 anni e a settembre andrò all’università.

    Non è la medesima piattaforma da cui può nascere la nuova poesia?, pluristilistica e plurilinguistica, il sogno di Pasolini?, non è la nostra medesima piattaforma di poetica (ridotta in parole povere)?

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  10. La nuova poesia è fondata sul rigetto del principio della abduzione, che è quel procedimento mentale che riconduce tutto ciò che non comprendiamo alla comprensione. L’abduzione è quell’operazione mentale che riconduce l’ignoto al noto. Ciò che sta al mezzo tra ciò che è semiosico e ciò che non lo è, un qualcosa che sfugge alla semiosi, che la ostacola, la ritarda e la devia. Secondo Peirce alla base della abduzione è la «sorpresa» per ciò che si presenta come un qualcosa che sfugge alla semiosi e spinge la mente a comprendere questo fatto paradossale; il suo fine è di mettere ordine nella semiosi, la sua funzione è conservatrice e basata sul principio del tutto inconscio che nulla può sfuggire alla semiosi e all’orizzonte di attesa proprio della semiosi. La poesia kitchen invece è fondata sul principio opposto che vuole sottrarre l’ignoto all’abduzione, al di qua della assimilazione che il sistema semiosico pretende mediante l’abduzione; come nel gioco del poker dove il giocatore alza sempre di più la posta in gioco dell’incomprensibile, il discorso poetico kitchen tenta di sottrarsi alla petizione di voler comprendere ciò che si sottrae alla comprensione propria del sistema semiosico.
    C’è una pulsione istintiva nel nostro apparato psichico che precede il linguaggio ordinario, si tratta di una linguisticità che precede quella articolata propria delle lingue, infatti la «lalingua serve a tutt’altra cosa che alla comunicazione. Ce l’ha mostrato l’esperienza dell’inconscio, in quanto esso è fatto di lalingua», ha scritto Lacan, Ed è vero, il discorso poetico che si muove lungo l’asse metonimico vuole sfuggire a tutti i costi alla abduzione. Ed è qui che si producono scintille.

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  11. antonio sagredo

    questi miei versi dedicati alla signorina Sofia Sossai, spero che li legga.

    —————————————————
    Eleusina, insegnami l’arte dell’estremo martirio,
    il tramonto s’è sgozzato in una tazza occidentale
    quando il trivio ha inforcato la rossa lanterna
    e la fiammella s’è spenta per mutarsi in fuoco fatuo.

    L’anima, questa invenzione, l’anima quanti specchi ha ingannato!
    Io non potevo beccarla a sangue come i gabbiani, questi marosi alati!
    Che di biacca truccano la mia maschera dalle altezze fin dietro le quinte
    Per tradurre un Pierrot d’altri tempi in terrorista suggerito dalle scene!

    Gli applausi, queste mani votate al chiacchiericcio, dagli altari a migliaia
    Per tortili colonne mastini discendono dopo il sacrificio dei loggioni in fiamme,
    Ed eccoti serafini in lacrime, Arlecchini incolori, Colombine assunte in lupanari…
    Maschere queste anime orfane di corpi indistinti in giro dalle notti ai mattini!

    La finzione che dagli specchi mi ritorna con disincanto
    Eleusina, insegnami l’arte del disamore, il verso che disarma le parole!

    Antonio Sagredo

    19/20 agosto 2014

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    • Raffaele Ciccarone

      Un mio contrbuto inedito.

      Il fine rispecchia sempre la cifra quantica

      Il processo psicologico alterava gli elettrodi
      Imposti dalle matrici filosofiche alle colonne d’Ercole

      Quelle volute da Asimov scalzavano il pan grattato
      nulla poteva il fiume che eruttava furente lava

      Tutti i gialli tiravano su un po’ di rosso rinveniente
      al sugo dei peperoni piccanti del film Amleto

      Dunque quali conclusioni se la giustifica
      per l’assenza non ha la firma del piano Bar?

      Il fine rispecchia sempre la cifra quantica
      pagata al ristorante per un piatto di carbonara.

      By rc

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      • Le ipotiposi del vecchio Odisseo

        Odisseo applica gli elettrodi alle tempie della vecchia Penelope, poi ci fa scorrere l’energia elettrica a 4000 volts e finalmente finisce qui la storia d’amore decantata da quel figuro di Omero
        Riunisce i proci nel nuovo partito di Fratelli di Itaca, afferma che cancellerà le accise dai francobolli e che toglierà il guano dalle strade dell’Urbe
        Con un decreto decreteggia il nuovo Piano quinquennale per l’elettrificazione dell’Africa
        Poi incontra Cesare sul Rubicone e lo convince a fare marcia indietro, non contento interviene nella battaglia di Stalingrado e mette in fuga l’esercito russo, Stalin è costretto a chiedere l’armistizio in base al quale cede a Hitler tutta la Rus’ fino agli Urali, così, checché se ne dica, quel furfante del baffetto, non contento, invade anche l’Africa e la dichiara suo cortile di casa. Roosevelt si mette le dita nel naso, Mussolini si dimette il 25 aprile e instaura il terrore, manda a tutti i congiurati delle margherite con delle ciambelle pugliesi

        L’ex presidente del consiglio Giuseppe Conte dichiara che la terra è piatta, si mette a capo di una ciurma di terrapiattisti e no-vax e invade il campidoglio, sfratta il legittimo sindaco dell’Urbe e lo dà in pasto a un capodoglio che passava di lì
        Avviene che il movimento 5Stelle prende alle elezioni il 99% e l’Itavia dichiara guerra a Xi
        L’inflazione va alle stelle, il Pil crolla al 5% del debito pubblico, Monna Lisa esce dal Louvre e dichiara di voler sposare il suo creatore, Leonardo da Vinci

        In Burkina Faso con soldi cinesi e mercenari russi la Meloni ha conquistato un tram
        La Schlein si è cestinata da sola nel cestino dei rifiuti, lo ha dichiarato “La Verità”
        Sondaggi: Fratelli d’Itavia è in calo e il PD recupera terreno
        Un macaco giapponese è a piede libero nelle Highlands scozzesi
        A Berlino a una forca è stato appeso un semaforo
        A Mosca un semaforo è stato appeso a una forca
        A Roma un panettone è stato aggiunto a un semaforo
        A Milàn il lumbard Salvìn gira in veste di regista un video
        Una scimmia indossa calzoni di flanella bianca
        Pipistrelli squittivano e sbattevano le ali e strisciavano a capo all’ingiù lungo un muro annerito
        Phlebas il Fenicio è morto da quindici giorni
        «Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine», disse un poeta…

        Che è che non è, i poeti kitchen Vincenzo Petronelli e Giorgio Linguaglossa si mettono a capo di una ciurma autodenominatasi “La nuova avanretro avanguardia”, pongono in atto una manifestazione delle lettere, dicono che è appena un antipasto della insurrezione universale di tutti i poeti kitchen
        Brindano alla dittatura della poetry kitchen
        distribuiscono manifestini e biscotti alla plebe narcotizzata e liofilizzata e panini imbottiti con prosciutto al plutonio, non contenti di tutto ciò dichiarano lo stato di assedio, acciuffano quel mascalzone di Odisseo e lo mettono in prigione.
        Così è ciò che non è.
        E vanno tutti felici e contenti alla trattoria “La sora Magnani” di via Ripetta a magnà li spaghetti alla amatriciana.

        lombradelleparole.wordpress.com
        Scrive Ilya Prigogine:
        «Non esiste un sistema che non sia instabile e che non possa prendere svariate direzioni».
        Come aveva già stabilito Adorno, la critica della cultura è spazzatura non meno della cultura di cui si tratta. Non c’è soluzione, non c’è una via di fuga dalla spazzatura e dall’immondezzaio che non sia spazzatura e immondezzaio. La critica che si fa oggi alle opere d’arte è accompagnamento musicale sulla via dell’immondezzaio.
        La nuova ontologia estetica segue il medesimo principio coniato dal grande chimico russo. Parafrasando lo scienziato potremmo dire che «la forma-poesia è un sistema instabile, infatti, non esiste un sistema che non sia instabile e che non possa prendere svariate direzioni».
        È fondamentale indagare la dimensione caosmotica e caosferica in ossequio a quella filosofia pratica, a quella prassi tipica della poiesis kitchen a cui si è accennato con la citazione di Prigogine: fabbricare una zona di indeterminazione, un sistema altamente instabile da connettersi con un fuori, con un immaginario verso cui tendere per camminare fuori dalla nostra zona di comfort normografico e normologico, una zona di indeterminazione e di indifferenziazione entro la quale costruire un crocevia fortuito d’incontri, un assemblaggio, un patchwork, una story telling, un puzzle dinamico e instabile, instabile perché se c’è la stabilità c’è la normologia.
        Mi sembra che la poesia kitchen sopra postata sia sufficientemente instabile, adattabile e infiammabile.

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  12. notizia di cronaca

    Cosa è Neuralink e come funziona: il primo dispositivo telepatico “controlla i dispositivi con il pensiero”

    Al momento l’obiettivo è nobile e si tratta principalmente di aiutare le persone senza arti a comunicare più velocemente. Ma il dispositivo telepatico potrebbe avere conseguenze disastrose se usato in una guerra. Si tratta di una serie di sensori – chiamati “Stentrode” – vengono inseriti all’interno dei vasi sanguigni fino a raggiungere la parte superiore del cervello.

    Sensori nei vasi sanguigni controllati con il wireless

    I sensori sono controllati da remoto utilizzando il “Synchron Switch”, un ricevitore wireless collocato sottopelle all’altezza del torace, che digitalizza gli impulsi cerebrali e li ritrasmette a pc, tablet e smartphone, che a quel punto possono essere attivati semplicemente pensando a un comando motorio.

    In questo modo quando la persona pensa a muovere una mano, il suo iPad lo registra come il tocco di un dito sullo schermo. “Il primo essere umano ha ricevuto un impianto da parte di Neuralink e si sta riprendendo bene”

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  13. Dichiarazione del nuovo allenatore della Roma, De Rossi, ai microfoni Dazn dopo la partita vinta ieri contro la Salernitana.

    “All’intervallo ho detto che il nostro possesso palla era lento e dovevamo andare a cercare di rompere la linea difensiva, cercando il buco e aggredendo come gli avvoltoi. Bisogna lavorare per capire i momenti della partita, quelli del gioco e comportarsi da grande squadra. Solo così possiamo vincere le partite. Possiamo parlare di schemi, moduli, alla fine sono i duelli a deciderla. Tutto il resto è filosofia, se i ragazzi non vincono i duelli è colpa mia. Devono capire quando la giocata può essere tentata oppure no, poi i duelli li vinceranno perché sono forti.
    Altrimenti una squadra valida come la #Salernitana ti castiga. Però allo stesso tempo, pur con un po’ di preoccupazione, devo dire che non è passato uno spillo in area di rigore. Non è passato più. Non ho visto il fallo su #Candreva, nè il rigore che ci hanno dato a favore. Lo rivedrò e magari mi accorgerò di qualcosa, dalla panchina invece ritengo che l’arbitro abbia diretto decisamente bene. Devo essere più bravo io a trasmettere le mie idee. Dal punto di vista tecnico credo che siamo una squadra che può proporre un certo tipo di calcio soprattutto se tutti sono dentro la partita e partecipano attivamente. Spesso affronteremo avversari che ti aspettano, chiudono le linee di passaggio e ti creano difficoltà, sta a noi trovare soluzioni perchè l’81% del possesso palla non ti dà punti o gol in più. Però vi invito anche a guardare l’azione dello 0-2. Credo che sia stato fatto tutto davvero bene. #Dybala fuori posizione? Lui può agire in tante posizioni del campo, sappiamo quanto è importante e sappiamo che sarà sempre marcato con attenzione. Ribadisco: tocca a me far sì che le potenzialità della rosa vengano esaltate dal gioco.”

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    • milaure colasson

      caro Giorgio,

      non ho nemmeno letto la dichiarazione del nuovo allenatore della Roma perché non mi interessa.
      Il mio è un rifiuto aprioristico, visto che i calciatori hanno degli stipendi lussuosi e mettono i loro capitali nei paradisi fiscali!

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  14. milaure colasson

    Ladislav Fanta parla giustamente di “flusso” entro il quale il discorso poetico deve viaggiare, è un concetto non nuovo ma nuova è l’interpretazione che ne dà.
    Ho chiesto a Giorgio come è venuta fuori la sua composizione e lui mi ha risposto che è iniziata rubando una parola della poesia di Ciccarone sopra postata, precisamente “elettrodi”, e che poi è andato a tentoni, a vanvera non sapendo cosa avrebbe scritto al rigo seguente, rubando diciture da twitter, e traendo ispirazione dalla follia della politica italiana. Il finale lo deve sempre a Ciccarone il quale termina la sua poesia con la “pasta alla carbonara”, che Giorgio ha variato in “spaghetti all’amatriciana”. Che altro dire? Che questa è spazzatura? Che tutta la cultura è spazzatura? E che fare critica della cultura è fare spazzatura? Forse che sì…

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  15. antonio sagredo

    Il fatto è che è il contrario, cara Milaure e cioè “la cultura della critica” chè ancor più che spazzatura… è letame, cosa marcia, vomitevole, ecc.
    Questa cultura si identifica col chiacchiericcio, col pettetegolezzo, con le dicerie che sono acerrimi nemici del poeta, degli artisti in generale.
    Quanti di questi sono statti uccisi dalle dicerie… quanti artisti?!

    Per questo i poeti sono crudeli, per reazione fin tanto che le fanno
    esempi bastano due del secolo passato: Lorca e Majakovskij… ma sono decine e decine.

    Quel «flusso» di Fanta lo si trova nel primo sureralismo ceco studiato in saggi da personalità critiche di primo ordine.
    Ancora oggi queste personalità sono sconosciute alla cultura di primo ordine p.e. italiana che resta ignorante a livello europeo, e non di certo agli specialisti, specie francesi, italiani, tedeschi…

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  16. L’ambiguità di accelerare. La velocità non sempre coincide col progresso

    di MARIANO CROCE
    filosofo
    31 gennaio 2024 • 16:32 su “”Domani”

    C’è il legittimo sospetto che la recente battaglia di Salvini contro il limite dei 30 all’ora in città denunci qualcosa di più che il timore di un congestionamento del traffico. Il futurismo di Marinetti e l’ipercrescita di Nick Land, la risposta di Mark Fisher e l’esperienza di slow food. Viaggio nella lentezza e nella rapidità di destra o di sinistra

    C’è il legittimo sospetto che la recente battaglia di Salvini per il ripristino di limiti di velocità più laschi denunci qualcosa di più che il timore di un congestionamento del traffico. È assai probabile che in un pensiero di destra muscolare e maschio torni a far breccia l’encomio di un’accelerazione capace di suggerire l’orizzonte di una società nuova. E in effetti, è possibile che questa resistenza al bisogno di città “più lente” sia l’indice di un non pienamente elaborato trauma da declino della civiltà, che fa parte del panorama psichico della destra più a destra.

    È noto l’apologo secondo cui, nel 1908, Filippo Tommaso Marinetti, alla guida della sua nuova Fiat, incrociava due ciclisti sulla strada e per evitarli finiva in un fosso. Ne usciva “straccio fangoso elettrizzato da una gioia acutissima”. Eppure lodava compiaciuto l’istintivo “scarto” dal volante, utile a scansare gli “incauti ciclisti già promessi all’ingordigia” delle sue ruote, mentre l’auto si capovolgeva “lenta, meno lenta, prestissimo”. Secondo la fantasia mitopoietica del Nostro, fu questa l’origine del Futurismo, che assieme al pericolo, l’energia, la temerarietà, e il coraggio, l’audacia, la ribellione, celebrava i fasti della velocità estrema. Una “eterna velocità onnipresente”, come recita il Manifesto del Futurismo, che per codice etico e professionale ne sposava appieno il rapporto di prossimità con la morte.

    Eppure, al netto del fastoso vitalismo con cui glorificava l’esperienza dell’uscita di strada, quello fu uno choc personale tale da fare il paio con lo choc collettivo del tramonto di una civiltà, quella ottocentesca, che andava incontro a un plumbeo destino. Marinetti si faceva istintivo cantore del senso di una fine, giunta per mano di una società nuova, capace di innovazioni tecnologiche e scientifiche di inimmaginate proporzioni. Il lutto veniva psichicamente elaborato tramite la necessità di accogliere con arrogante disinvoltura il rischio mortale da sempre inscritto nell’invito ad accelerare. E una tale mescolanza di slancio vitale e spavalderia nutriva l’immaginario, altrimenti piuttosto povero, dei movimenti fascisti al loro primo sorgere.

    Cento anni dopo, l’accelerazione presenta lo stesso grado di ambiguità. All’inizio degli anni Novanta, Nick Land articolava con visionario cinismo il suo invito a liberare del tutto il potere espansivo del capitalismo, sempre frenato da una politica inefficiente e timorosa. La civiltà occidentale, diceva Land, avrebbe dovuto accelerare verso il disastro, aumentare il disordine senza alcuna deviazione dal flusso di morte che tutto toccava. Qui nasceva il movimento noto come accelerazionismo, piattaforma frammista di idee ipermoderne e reazionarie, che invoca una drastica intensificazione della crescita capitalista e del progresso tecnologico per sveltire la pratica di dismissione di una società in piena decadenza.

    Certo, esiste anche un accelerazionismo di sinistra, legato soprattutto al nome di Mark Fisher, che delinea scenari di maggiore equità, con più intensi tassi di libertà, gravidi della promessa di una più schietta eguaglianza sociale. Ma il tema dell’accelerazione eccita soprattutto le reti internazionali di neofascisti, neonazisti e suprematisti bianchi, che propiziano lo scontro finale nel loro trasognato conflitto razziale e puntano ad affermarsi col ricorso a mezzi violenti. Non è un caso che, nell’EU Terrorism Situation and Trend Report, l’accelerazionismo venga messo alla stregua del satanismo apocalittico là dove ambo i movimenti “fomentano il caos per accelerare il crollo delle società occidentali e raccomandano la violenza più estrema per perseguire questo loro obiettivo”. Insomma, si tratta di una velocità che non è tanto la realizzazione decisa e spedita di un corso della storia, ma un delirante cupio dissolvi in un affresco tanto grottesco quanto irrealistico.

    LA SINISTRA CHE RALLENTA

    Non stupisce che chi sposa l’accelerazione trovi ripugnante l’idea del suo opposto. A sinistra, ad esempio, il movimento slow food, diffusosi a partire dagli anni Ottanta, ha cercato di trasformare l’esperienza quotidiana della produzione, dello scambio e del consumo di cibo. Mentre contestava l’industrializzazione rampante e l’affezione consumistica alla cucina del tardo capitalismo, slow food raccomandava economie sociali da sviluppare attorno a incontri culinari più consapevoli e radicati nel territorio. Con più o meno conscio richiamo all’utopismo meno rivoluzionario, che non rovescia ma dà forma, l’intento di slow food era ed è educare il gusto e rendere visibili i legami tra stagionalità, territorio e consumo: non tutto si può avere e consumare dappertutto e sempre.

    Del pari, il concetto di città slow ne sposa l’aspirazione utopistica nel segno del pragmatismo, per disegnare un’alternativa alla corsa che affatica e drena. Questo modello di urbanistica invita alla pianificazione di una mobilità che, sì, risparmi tempo, ma lo faccia puntando sull’organizzazione collettiva e non sull’accelerazione individuale. Per fare un esempio, la città slow immagina soluzioni ibride fra il lavoro a distanza e quello in presenza, come la pratica del coworking: luoghi di lavoro condivisi, in cui lo spazio è a disposizione di lavoratori a distanza, freelance e piccole imprese. Un tale approccio, almeno nei migliori auspici, è volto a stimolare le economie locali, creare momenti di condivisione pubblica e ridurre le emissioni legate al pendolarismo.

    Beninteso: in quanto ho sin qui scritto non c’è alcun intento di disegnare polarità o attribuire velocità diverse, fisiche e morali, alla destra e alla sinistra. In fin dei conti, nella Russia sovietica, i futuristi presero a definirsi “costruttivisti” per esprimere il senso di una proiezione verso il salto industriale e l’edificazione di una società nuova. Si dedicavano a grandiosi e immaginifici progetti in ogni campo, dall’architettura e l’industria fino alla moda, quando i colleghi italiani dovevano accontentarsi di un mondo nuovo inscenato su carta o dipinto su tela. Né chi scrive, sempre prossimo al sinistro per incauta conduzione dello scooter, potrebbe tirar su un didatticismo spicciolo sui trenta all’ora.

    Il problema, piuttosto, sta nell’idea un poco avventata secondo cui velocità e progresso sarebbero sinonimi. Di contro a ogni affanno e vertiginoso slancio, il progresso è pianificazione accorta sulla base di una studiata riduzione degli ostacoli, che un po’ derivano dalle infrastrutture inadeguate un po’ dall’umana stupidità. E se è vero che a quest’ultima non c’è rimedio che tenga, credo che neppure il collasso apocalittico auspicato dai velocisti nostrani saprebbe eradicarlo in via definitiva.

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  17. Tiziana Antonilli

    So solo una cosa : considerando la situazione della linea ferroviaria in Molise , velocità equivarrebbe a progresso.

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