Gazmend Leka, pittore albanese, 2009
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Risposta di Gino Rago alla triplice domanda:
– Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?
– Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?
– Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali?
Non vi è dubbio che nel pensiero di Vattimo la crisi del senso unico e assoluto a favore di sensi molteplici e relativi fa tutt’uno con l’abbandono delle categorie forti della metafisica tradizionale e con l’imporsi di una visione debole dell’essere. Vattimo giunge a tale risultato ispirandosi a Nietzsche e ad Heidegger. Più precisamente, Vattimo deriva da Nietzsche l’annuncio della “morte di Dio”, ossia della consapevolezza secondo cui le evidenze forti dei tempi passati altro non erano che forme di rassicurazione del pensare in un orizzonte garantito; e assume da Heidegger la concezione epocale dell’essere secondo cui l’essere non è ma accade e accade nel linguaggio per cui il senso dell’essere si risolve nella trasmissione di messaggi linguistici tra le varie generazioni.
Ne consegue che questa concezione dell’essere comporta una sua temporalizzazione, ossia un suo indebolimento strutturale con il risultato che, per Vattimo, al metafisico essere forte subentra un post-metafisico essere debole.
La fine della metafisica e l’indebolimento dell’essere sono riconducibili al nichilismo, ma per Vattimo si tratta di un nichilismo debole , un nichilismo vattiano nel quale né si ricerca il nuovo, né si vive di rimpianti ma ci si abitua a convivere con il niente e cercando soltanto nella nostra condizione delle positività possibili da esperire. Così, alla idea heideggeriana di essere come stabilità, eternità e forza viene sostituita l’dea di essere come vita e maturazione, nascita e morte.
Per questo nella sua Introduzione a Verità e Metodo, di H.G. Gadamer, Gianni Vattimo scrive:
«La coscienza, la certezza che l’io ha della verità come caratterizzata da chiarezza e distinzione,che da Cartesio fino allo stesso Hegel rimane l’istanza suprema, non è più per Nietzsche un testimone attendibile. In modo più radicale di Marx e Freud, che pure sono i positivi campioni dello smascheramento nel pensiero del nostro tempo, Nietzsche universalizza il sospetto nei confronti dell’autocoscienza, introducendo in modo definitivo nella nostra cultura la consapevolezza dell’attività di mascheramento e di mistificazione in cui consiste la vita stessa della coscienza».**
Dopo essere passato attraverso la fine delle grandi sintesi unificanti e rassicuranti e dopo avere assunto fino in fondo la condizione debole dell’essere e anche della esistenza, l’individuo post-metafisico è colui che ha imparato a vivere con sé stesso, con la propria infondatezza, con la propria finitudine.
Alla domanda che solleva una questioni epocali : «Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?», le risposte non sono semplici, ma una è possibile darla in riferimento al passaggio dall’idea di “uomo metafisico” a quella di “uomo post-metafisico”: è possibile scrivere poesia anche dopo la morte della metafisica, ricordando che la metafisica muore quando comincia il nichilismo secondo Nietzsche, ma è possibile soltanto una poiesis che prenda atto anche della fine della storia in un nichilismo compiuto che accetta e afferma la realtà e la vita così come esse sono senza sovrapposizioni metafisiche, nella consapevolezza dell’assenza di fondamenti che impone un carattere fittizio di qualsiasi interpretazione, nella coscienza che nel post-metafisico c’è posto soltanto per il gioco e per l’erranza.
Il poeta post-metafisico deve scrivere per l’uomo post-metafisico, ossia deve scrivere nella pratica attiva della non-violenza, del dialogo, della tolleranza e nella consapevolezza di un mondo fluido, diversificato, in cui la certezza di possedere la verità assoluta è crollata e con tale certezza è morta anche la storia la quale cede il posto alla «storialità». Una poiesis post-metafisica in cui nasce e si afferma una componente etica che è cifra esclusiva del «pensiero etico» di Vattimo, un pensiero debole in cui l’indebolimento dell’essere si configura non soltanto come destino, ma come compito.
Ed è qui che si inseriscono la Nuova Ontologia Estetica e la Poetry kitchen, le quali ripudiano gli stucchi e le ragnatele della stanzetta del poeta dell’Io, rifiutando definitivamente la poiesis della «dimensione privata» (che ancora si fa oggi in quantità industriale) se non altro perché, per dirla con Giorgio Linguaglossa “[…] è semplicemente Kitsch, discarica di rifiuti quale è diventata la vita privata nella «dimensione privata» delle società post-democratiche dell’Occidente”. Per questo nella poetry kitchen assume una importanza decisiva il discorso serendipico che ha sempre a che fare con la pluralità delle significazioni, cioè con la nozione di essere come plurivocità e molteplicità di significazioni, ma la novità del nuovo discorso kitchen sta nella mancanza di significazione e nella falsa coscienza di ogni posizione di significato con cui si ha a che fare, con cui la soggettività dell’uomo dell’epoca cibernetica si trova a dover rendicontare.
Ciò che era fondamento, certezza e verità immediata e mediata, deve essere considerato come pregiudizio della coscienza o mito della coscienza. La coscienza di sé è un’illusione che sorge da una illusione anteriore: l’illusione della cosa e della cosa in sé. Questo perché il filosofo allenato alla scuola di Cartesio è stato defenestrato dal filosofo che sa che le cose sono parallattiche, che non sono in un luogo come appare ma in più luoghi contemporaneamente, che ci sono tante cose quanti sono gli esseri umani sulla terra, e tante altre quante sono le infinite posizioni di ogni singolo essere umano sulla terra.
Il discorso serendipico non fa riferimento al concetto di rendicontazione della cosa ma a quello di libera indagine circa l’essere o l’illusione delle cose.
Marie Laure Colasson, Promenade nocturne, collage, 30×40, 2023
L’arte moderna diventa astratta quando si accorge che non si può più raffigurare l’irrappresentabile, perché la poiesis è diventata decorativa e funzionale alla estetizzazione diffusa e fa da cornice alla immondizia e ai cassonetti dei rifiuti. Così, non è più possibile oggi fare dei ritratti che non siano kitsch o peggio, il volto umano non è più raffigurabile, così come non è più raffigurabile un paesaggio, con buona pace del zanzottismo e dei suoi fedeli seguaci. L’arte moderna diventa astratta perché ha orrore degli oggetti, che nel frattempo sono stati defenestrati dalla sanità pubblica del buon gusto. L’arte moderna diventa astratta perché ha in orrore la falsa coscienza del ‘ritratto’ con l’annessa e connessa spiritualità posticcia e invereconda delle anime belle… (g.l.)
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Risposta. Penso che più che parlare di “poesia europea del ‘900” sarebbe opportuno parlare di “poesia del Novecento in Europa”, se si considera che ancora oggi una Europa che non sia della finanza e delle banche non esiste. Così come una casa comune della poesia in Europa ancora non c’è. Così come non si può fare a meno di affermare che le grandi esperienze poetiche del ‘900, da quella di Thomas Stearns Eliot ed Ezra Pound a quelle di Fernando Pessoa e René Char, di Ghiorgos Seferis, Dylan Thomas e Gottfried Benn, sono state grandi e influenti ricerche di poesia, ma tutte legate a poetiche ancora fortemente metafisiche. La poesia che pienamente intercetta il mio gusto estetico invece è quella di alcune poiesis post-metafisiche. Lo spatiacque e nella Nuova Antologia Estetica fondata, proposta e diffusa intorno al 2014 dalla rivista on line L’Ombra delle Parole. La differenza tra una poesia di scuola metafisica, (ma anche del tardo novecento italiano e, in genere, occidentale) e quella della NOE sta in buona parte qui: la NOE costruisce una poiesis fondata su un concetto polidimensionale dell’essere, a partire dal quadridimensionalismo, del dopo tridimensionalismo di Proust, in cui alla profondità, all’altezza, alla lunghezza la NOE aggiunge la “Memoria” come quarta dimensione. Ossia, saper cogliere con colpo d’occhio il passato, il presente e l’avvenire, non solo, ma anche il mio, il tuo, il nostro, il vostro «reale» in un unico flusso. Per dirla con Giorgio Linguaglossa: “[…] Per riuscire in questo obiettivo occorre modificare non solo la semantica, ma forzare la sintassi, agire in profondità sulla modellizzazione secondaria del verso, ridimensionare fino ad annullare il ruolo dell’«io», quell’Ego puntiforme di stampo cartesiano che oggi è soltanto un antico ricordo; significa abolire il tempo lineare e aggiungerne altri, moltiplicare i tempi e gli spazi, moltiplicare le prospettive e i punti di vista[…]”.
giù nel profondo dove l’Atlantico è nero
giù nel profondo dove l’Atlantico è nero
nello specchio Greta Garbo. È sempre più simile
a Socrate. Forse a la causa è una cicatrice sul vetro.
L’occhio incrinato del tempo. O forse è solo una stella
che sbraita nel vaudeville locale.
Una lunga lettera – come il mondo smisurato.
Scrivi come in vita muori. Come ai poeti
Le raccolte di versi sono andate quest’anno.
Ti chiudi il cappotto se c’è vento?
E i fiumi se piove si bagnano ancora
oppure prosciugati scorrono a ritroso?
scrive esattamente come il poeta A.
E che il signore con la camicia rossa ti parla.
E che anche due più due è uguale a due.
più prudente? più triste? col berretto?
Scrivi come in vita muori.
Aspetto la tua lettera. Lo sai, no?
ti risponderò e in sogno te la darò.
Oppure vengo io. Oh, come vorrei farlo!
Ma non so che tempo farà.
Ignoro amichevolmente.
Mi ritiro nel profondo.
Non mi stupisce la folla.
Profitti e perdite fanno tutt’uno.
Di notte nutrisco i pipistrelli.
osservo
l’ostrica del sole che tramonta.

(Poesie nuove 2000-2002)
Alle 18 in punto il tram sferraglia
Alle 18 in punto il tram sferraglia
al centro della Marketplatz in mezzo alle aiuole;
barbagli di scintille scendono a paracadute
dal trolley sopra la ghiaia del prato.
Il buio chiede udienza alla notte daltonica.
In primo piano, una bambina corre dietro la sua ombra
col lula hoop, attraversa la strada deserta
che termina in un mare oleoso.
Il colonnato del peristilio assorbe l’ombra delle statue
e la restituisce al tramonto.
Nel fondo, puoi scorgere un folle in marcia al passo dell’oca.
È già sera, si accendono i globi dei lampioni,
la luce si scioglie come pastiglie azzurrine
nel bicchiere vuoto. Ore 18.
Il tram fa ingresso al centro della Marketplatz.
Oscurità.
Il merlo gracchiò sul frontone d’un tempio pagano
Il merlo gracchiò sul frontone del tempio.
La coturnice soffiò col becco rosso.
Dopo un secolo, il mare sciabordando
entrò nel peristilio spumoso
della villa e le voci degli abitanti fluirono
nella carta assorbente d’una acquaforte.
E lì rimasero incastonate.
Due monete d’oro brillano sul mosaico
della vasca dove murene sgusciano agili.
Un narciso osserva nello specchio
della vasca la propria immagine riflessa,
mentre un satiro danzante solleva il nitore
delle colonne doriche di viticci e tralci.
*
È un nuovo inizio. Freddo feldspato di silenzio.
Il silenzio nuota come una stella
e il mare è un aquilone che un bambino
tiene per una cordicella.
Un antico vento solfeggia per il bosco
e lo puoi afferrare, se vuoi, come una palla di gomma
che rimbalza contro il muro
e torna indietro.
*
Con rumore di carrucola venne giù il temporale.
Nella piazza c’era un monumento ai caduti in bronzo
e un gelataio italiano.
Città lituana, nitida e trasparente come un merletto di Murano.
«Ricordi?».
«Sì, lo ricordo».
La gente veniva dal bosco con le ceste piene di funghi.
Io parlavo come da un altoparlante che abbia
inghiottito la voce…
Ciò è avvenuto non più di un secolo di luce fa.
Forse più, forse meno…
*
La luna splende di un lilla sempre più tenue
un cono di luce intenso e fragile.
Io sono nuda davanti allo specchio.
Sono l’amante del Faraone, le ancelle mi preparano
all’udienza con il dio vivente,
profumano le mie carni delicate.
La sfera della luna rotola nel cielo
come un carro trainato da schiavi fenici.
Forse anch’io sono intensa e fragile.
Tra me e il dio c’è una distanza d’aria.
C’è soltanto aria che puoi toccare come
una palla da basket.
Tra me e il dio non ci sono parole.
Non c’è bisogno di parole.
Isotopi delle parole i sospiri
come ondate successive di un mare
sconosciuto.
da Stige. Tutte le poesie (1990-2002) Progetto Cultura, 2020
Caro Germanico, bisogna sistemare Caproni
Spargere le ceneri di Gramsci nell’aria Satura
Sotto il pitosforo nano del belletto minimal-chic
Dove non cresce oramai che il trifoglio di Malvoglio.
Tu sai, Germanico, quanto i Fortini della politica
Discendenti di Ascanio, dalla Suburra abbiano
Tratto giovamento fin dal regno di Numa Pompilio.
Quanto il “finger food” e lo “street food” siano degni
Del castrato in salsa di cipolla e tortelli di piccione.
Bisogna sistemare Caproni, rileggere il sessanta
E il settanta, capire perché sia fallita l’osteria familistica
I buoni contorni una volta saltati in padella di ghisa
Per l’odierna smania nervosa verso l’antiaderente.
Lucio Mayoor Tosi
13 agosto 2018
Complimenti.
Anche per le precisazioni. Ma non avevo dubbi, sei per me uno scrittore poeta di pennino – termine preso in prestito dalla pittura – capace di segni inaspettati e forti.
Giuseppe Talia
13 agosto 2018
Nell’applicare il linguaggio non si può ad esso attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del fonatore e del relativo muscolo cricotiroideo?
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Giorgio Linguaglossa
13 agosto 2018
caro Tallia,
ti scrivo questa missiva tra gli ozi di Capua
e i negozi di Ercolano in compagnia del passito di Pantelleria.
Germanico consuma fast food con Orestilla
la figlia di quel coccodrillo di Fasullo
che si è dato al commercio di schiavi
mentre la sua amante, Gaia Priscilla, si gode
un muscoloso negro d’Egitto, nipote dei Tolomei,
dice il manigoldo, rampollo della nobile stirpe
di Osiride e di Anubi. Che vuoi, l’impero è tanto grande
che un frammento di esso occuperebbe
il Circo Massimo e il Foro di Traiano dell’Urbe.
A proposito, hai notizie del poeta Gino Rago?, sai
sono un po’ preoccupato, ultimamente ha cambiato lo stile
della sua poesia, adesso scrive in distici,
ma la sua Musa risulta alquanto attempata e impettita
come una mercenaria di infimo rango
che impiega il belletto e il soffritto di alghe
per i suoi capelli untuosi…
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Gino Rago
Due inediti
[a Giuseppe T., ad Alfonso C., a Giorgio L., a Mauro P., a Lucio M. T., a Roberto B., e ai poeti oggi non presenti su L’Ombra]
1- Ciò che ci ha amato non ha una via di uscita
L’onda esala odori di libeccio e nei marosi tremano i pontili.
[A noi di terra serve per partire nello sgomento della vastità].
Chi valica i fili degli ultimi orizzonti forse più non torna.
Chi s’imbarca per l’esilio farà ritorno come un’ombra
perché ciò che ci ha amato non ha una via di uscita
2 – Parla il saggio [i marinai lo chiamano «il filosofo»]:
«Meglio non partire,
chi rimane ha sempre la certezza d’una tomba.
Mette i suoi confini all’immensità.
Una pergola fra gli orti.
Un filare di pioppi fra l’avena e il grano.
Un frangivento fra l’arancio e il cedro.
Un canneto fra la marina e il mondo.
Un muro a secco fra se stesso e l’altro.
Tu mi chiedi a chi basta il mare?
Il corallo trattiene le voci dei morti,
la tolda nell’afa di agosto
spande odori di boschi bruciati.»
Ma sugli scogli nella bora insonne il mare mette ali all’anima.
Il grido d’un gabbiano
segno d’eterno fra la spuma e il cielo.
[non resta altro da fare che una rinegoziazione di un passato che non si consegna se non nella forma di una latenza]
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Giuseppe Talia
13 agosto 2018
Caro Germanico,
anche io preso dall’ozio dello Jonio con Nosside
ed Afrodite che bevono una detox alla rucola.
Parlano di Kavafis, “Ionio abbraccia Ionio”, dicono
E ridono di Gallieno che in primavera si fa costruire
Giacigli di rose e imbandisce la tavola con vasellame
D’oro: “la memora è come morta”, va affermando
Preso come sempre dalla Playstation e dal gioco
D’azzardo, ironizza sul prossimo Decreto Dignità.
Che serie danno stasera su Sky? Domanda Nosside
L’Ispettrice Athena Licinia con quel gran pezzo di
Claudio Marcello in un thriller nella Gallia Cisalpina?
Afrodite, invece, si è fatta un nuovo tatuaggio
Una banda nera all’altezza del braccio alla maniera
di Dybala e come lui calcia cocomeri in giardino.
Del poeta Rago non ho notizie certe tranne,
qualche straccio che m’è rimasto in un sacco di iuta.
A Marasà l’aspetto il Rago in distici e ditirambi
caro Tallia,
qui nell’Urbe malatempora currunt, il console Salvinus,
quel bellimbusto padrone della Padania,
che se la spassa con la sua Sofonisba, la terrona
della Libia, ha emanato un decreto di coscrizione obbligatoria
per tutti i cittadini sfaccendati della città eterna,
lo chiama, il becero, Decreto dignità…
al fine, dice il manigoldo, di rinfoltire i ranghi
delle legioni del Nord, dice il ribaldo che una nuova guerra
si avvicina con le bande di germani e di alemanni
che scorrazzano nell’impero fino ad Aquileia!
Stattene nella tua Nosside, caro Tallia, qui rischieresti
le legioni del Reno e del Danubio, i freddi fiumi
invernali, le battaglie ingloriose contro i barbari,
bèati dei sicomori e dei fichi secchi della Bitinia
finché sei in tempo…
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Alfonso Cataldi
14 afosto 2018
Caro Giorgio, Cari avventori,
ho incontrato per caso la Musa dell’Ombra delle parole
all’ufficio postale. Mentre scrivo, gesticola
dietro lo sportello dei distici non ritirati.
C’è un gran ressa, chi ha espletato la pratica
riceve un biglietto omaggio per il foro Traiano.
Tra mezz’ora è atteso il poeta Gino Rago
che spiegherà le ragioni della conversione.
Io non riuscirò a fare in tempo ed altro non so dirvi
ho ancora trenta numeri avanti
le pratiche sono lunghe, manca l’aria condizionata
tutti hanno da spedire un alibi su cui posare il cappello.
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14 agosto 2018
piove e non piove qui sulle pietre del molo
il cielo si è ridotto ad una frase
le navi che partono hanno ciascuna
una lettera di commiato scritta sopra le vele
e noi dovremmo essere così coscienziosi
da leggere anche le parole cancellate
le navi che ritornano invece
hanno scritte troppo sicure di se stesse
ma questo non ci disturba, è da gran tempo
che dobbiamo inventare i nostri alfabeti.
Mauro Pierno
14 agosto 2018
La propaganda dei nostri sguardi intravede l’ozio delle parole tra nuvole filiformi di batteri incompresi. Questi mostri di discorsi che attraversano le mani.
Nei gesti le estenuanti nude dichiarazioni.
Questo fumo di vento
Ha il volto perso.
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Maria Rosaria Madonna
da Stige. Tutte le poesie (1990-2002), Progetto Cultura, Roma, 2018 pp. 150 € 12
Sai, nel Dottor Zivago c’è il protagonista
chiuso nella casa gelida immersa nella neve…
fuori dalle finestre l’ululato dei lupi.
E’ un poeta. –che cosa fa? –
fa quello che fanno tutti i poeti: scrive poesie.
Scrive poesie, poesie, poesie.
Si deve sbrigare perché tra poco le guardie rosse
lo verranno a prendere. Davvero,
c’è così poco tempo per scrivere poesie.
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Se Maria Rosaria Madonna avesse saputo che per qualcuno, un giorno, Lei sarebbe stata d’avanguardia, chissà cosa avrebbe pensato. Sono tante e tali le somiglianze…
Le poesie in neolingua sono capolavori, ma sono cosa a parte, sovrumane, fuori dal tempo e per me impossibili da ri-considerare. Ma gli inediti, le ultime poesie scritte nel 2002, insegnano chiarezza e irregolarità. Nel 2002 era già fuori, aveva fatto il salto… Neve inattesa. Sulla fronte. – Fa bene alla pelle.
(citata da Lucio Mayoor Tosi)
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