opera di Lucio Mayoor Tosi, frammento, acrilico, 2021
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Una poesia di Lucio Mayoor Tosi
Arsenale
Parole di mezzo mondo. Pagina quattrocento
“Single”, silloge in Fa, codazzi e sbandieramenti. Perché
non sono nata ieri. Come piove.
Dal burattinaio: servono emendamenti.
Cartaforno, pescispada. Fabbriche di camomilla.
Renata.
Hawaii, futurismo. Perché due guerre invece di una.
Mele cadute. Sapore di sale. E venne giorno. Segnali
di fumo. La Bibbia.
Ho scritto in Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010 (2011) che Ennio Flaiano è il più grande poeta italiano degli anni cinquanta.
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Una poesia di Ennio Flaiano
Chi apre il periodo lo chiuda.
È pericoloso sporgersi dal capitolo.
Cedete il condizionale alle persone anziane, alle donne e agli invalidi.
Lasciate l’avverbio dove vorreste trovarlo.
Chi tocca l’apostrofo muore.
Abolito l’articolo, non si accettano reclami.
La persona educata non sputa sul componimento.
Non usare l’esclamativo dopo le 22.
Non si risponde degli aggettivi incustoditi.
Per gli anacoluti servirsi del cestino.
Tenere i soggetti al guinzaglio.
Non calpestare le metafore.
I punti di sospensione si pagano a parte.
Non usare le sdrucciole se la strada è bagnata.
Per le rime rivolgersi al portiere.
L’uso del dialetto è vietato ai minori dei 16 anni.
È vietato servirsi del sonetto durante le fermate.
È vietato aprire le parentesi durante la corsa.
Nulla è dovuto al poeta durante il recapito
(Ennio Flaiano, Grammatica essenziale – 1959)
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Una poesia di Giorgio Linguaglossa
Un aeroplano cade giù dalla stratosfera
Tempo della discesa 2 minuti e 33 secondi
Nel frattempo le donne si ripassano il fard sulle gote, si mettono il rossetto sulle labbra, si spruzzano del profumo, sembrano allegre…
Gli uomini non finiscono mai di radersi la barba, hanno anche il tempo di chiacchierare convivialmente tra di loro, cercano di scorgere dai finestrini le nuvole…
Durante questo tempo tutti invecchiano, passano decine di anni, i capelli diventano bianchi, le guance pendule, gli occhi cerulei, ancora per un po’ possono godere dei tramonti…
Ma solo per un po’ perché il tempo sta per scadere.
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Una poesia di Tiziana Antonilli
: Allergia o letargia?
Una processione di macchie di unto
si è fermata nella Sala della Lettura
e applaude la madre di Inconsapevole junior
che stende un tappeto di jazz persiano.
La signora dello zero assoluto
veste un completo Armani
fatto di trecento buchi a perdere
spalmati su parole di marmellata di mirtilli,
buona per le unghie spezzate sul davanzale
éngagè del convegno sannitico.
Nuda sotto i fori strabuzza la pelle:
è allergica al nichel dei neuroni.
opera di Lucio Mayoor Tosi, frammento, acrilico, 2021
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Giorgio Linguaglossa
27 marzo 2018 alle 12:30
Milosz è stato un mio maestro, tanto tempo fa leggevo i suoi versi con ammirazione. L’ammirazione è restata ma è subentrato il rammarico che non posso più contare sui suoi versi… Milosz è un altro tipo di poeta, lui era un credente, credeva nella «pesantezza» della parola e delle parole, viveva in un mondo regolato dalla cortina di ferro, le parole per lui erano di ferro… Adesso noi invece sappiamo di abitare un mondo di sabbia dove le parole sono sabbia di sabbia, e le parole di un poeta non sono altro che geroglifici inscritti nella sabbia. Noi della nuova ontologia estetica non potremmo mai scrivere un verso siffatto:
Quando morirò, vedrò la fodera del mondo
perché non c’è più un «Quando», noi sappiamo che non c’è mai stato un «quando», semplicemente non è mai esistito, che i nostri ricordi non ci sono più, che è saltata la continuità tra il passato del «Quando» e il presente del «quanto», siamo diventati «deboli» e «orfani», non possiamo più pronunciare le parole «pesanti», abbiamo dismesso l’avverbio «Quando» e lo abbiamo sostituito con l’avverbio «Forse», siamo entrati nel cono d’ombra delle parole d’ombra. Noi oggi potremmo tutt’al più scrivere:
Forse un giorno anch’io vedrò la fodera del mondo
ma è molto improbabile… che ciò avvenga, la distanza tra me e Milosz la possiamo cronometrare in miliardi di chilometri che separano la cintura di Kuiper dalla nebulosa di Oort. Le stelle del suo firmamento stanno qui sul mio comodino insieme alle mie parole di sabbia… non ho altre certezze che la certezza della mia incertezza, questa sì, la mia più grande certezza, dalla quale però non mi è lecito arretrare.
La nostra è una ontologia metastabile della caducità, la nostra ontologia è diventata «caduca», chi non l’ha afferrato non ha capito nulla di quello che è accaduto al nostro mondo. Ci sono rimaste le «parole caduche» e con quelle, volenti o nolenti, ci dobbiamo arrangiare. Chi usa le parole «forti», le parole dell’elegia, le parole del panlogismo del secondo novecento, il discorso zanzottiano e post-zanzottiano, le parole «fortificate» , le parole polifrastiche e paesaggistiche o non ha capito nulla del nostro mondo o è uno sciocco (che poi sono la stessa cosa). Quelle parole sono finite nel buco dell’ozono della afasia dell’ultimo Zanzotto, e non poteva andare diversamente perché quelle parole corrispondevano ad una visione panlogistica del discorso poetico. A noi di quel mondo non ci sono rimasti che frammenti, e non ci resta altro da fare che impegnarci nella loro raccolta e catalogazione in un discorso poetico che sarà necessariamente frammentato e dissestato. A noi di quell’«armadio delle meraviglie» (dizione di Anna Ventura) del novecento è rimasto il «vuoto». Abbiamo dovuto sgombrare molte case, abbiamo dovuto abbandonare molte abitazioni noi della fine del novecento, e queste fatiche ci hanno lasciati esausti, vuoti.
opera di Lucio Mayoor Tosi, frammento, acrilico, 2021
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Tre poesie di Anna Ventura (1936-2018)
L’armadio delle meraviglie
Con mani tremanti e occhi azzurri
ho aperto l’armadio delle meraviglie
– c’era scritto anche fuori:
armadio delle meraviglie –
Ma dentro era vuoto.
Ho spiato ogni angolo, se mai
una piccola ampolla, una piuma,
una scatola cinese, una perlina
fosse rimasta ancora. Vuoto
dovunque, vuotissimo vuoto.
Ho rinchiuso le ante,
dolcemente, con grazia,
affinché nessuno sentisse
il cigolio dei cardini. Chi sa
forse è bene
che altri continui a credere
in questi armati e forse
in tutta la terra grandissima,
o in qualche vecchio museo,
ancora esiste un armadio
che non sia vuoto e risponda
al suo nome meraviglioso
con vere meraviglie.
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Come una fragile tazza
Come una fragile tazza
a ricami verdi
questo pomeriggio vuoto;
che orribile spreco – imperdonabile –
di splendore.
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Le case
Ho amato molte case
E due moltissimo. La prima
Era nel vecchio quartiere della città,
partiva da terra ma poi si capiva
che spaziava sui tetti in piccole terrazze fitte di voli.
La componeva
una serie di stanze minuscole
bianche di luce e calce-casa
di astronomo,
o di marinaio-
In fondo, l’altana coperta
Di travi decrepite,
gonfia d’aria e di sole.
Ma sotto ci abitavano gli straccivendoli,
e dai terrazzi a conchiglia si vedeva
la loro vita miseranda brulicante da basso.
Non piacque a mia madre,
anzi, le fece paura. Io invece
ne rimasi ferita a morte,
col tempo mi ammalai di nostalgia.
L’altra è la casa del vento,
tutta esposta a Occidente, davanti nulla,
solo gli spiriti dell’aria
che di giorno e di notte
bussano ai vetri con le loro manine.
Neanche questa casa piace.
E perché dovrebbe?
Solo che intanto io ho imparato
A mettere il bavaglio ai miei sogni,
accettato l’assioma
che la realtà rifiuterà di abbracciarli
nel suo concretissimo giro ma io
me li terrò lo stesso,
nel giro infingardo
della mia verità.1.
1 A. Ventura, L’armadio delle meraviglie, Collana di studi Abruzzesi, 2004 p. 13
opera di Lucio Mayoor Tosi, frammento, acrilico, 2021
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Ho dimenticato di dire a proposito di una poesia che stavo commentando che non so se sia una poesia, forse è «altro» che indossa un vestito di «poesia»… ma forse è prosa, o addirittura finta prosa, o prosa che imita la «poesia»… Davvero, qui siamo nel regno dell’incertezza massima (e qui non si tratta soltanto di incertezza stilistica), poiché non c’è più una cornice che possa legittimare una poesia; possiamo dire che forse c’è un «quadro» ma senza più «cornice». Siamo arrivati dunque nel regno dell’incertezza massima, la poesia da qualsiasi punto di vista la osservi è qualcosa di irriconoscibile, siamo arrivati al punto che non possiamo più distinguere una «cornice» dal «quadro», una «poesia» dalle linee del pentagramma che la delimitano, siamo entrati nel mare aperto, abbiamo perduto le «forme» e, in un mondo senza «forme», tutto diventa «informe»… senza che ce ne accorgessimo siamo entrati in un nuovo orizzonte di eventi dove gli «eventi» sono privi di «forma». Stavo riflettendo su questo fatto, perché è un «fatto», si tratta di un «fatto» che è accaduto e che non dipende dalle nostre singole volontà, anzi, dirò di più, dirò che tutti coloro i quali scrivono dei romanzi o delle poesie senza aver riflettuto su questo «fatto» rivelano di essere degli amatori ingenui, scrivono opere kitsch, fanno del kitsch perché non sanno quello che fanno, perché accettano per vera quella che è una fiction, una finzione… e allora bisogna scrivere con la massima consapevolezza che quello che scriviamo è privo di «forma», perché siamo nel campo aperto dell’«informe»… ma… senza «forme» non ci sono «eventi», perché l’evento si dà sempre sub specie di una forma… e allora si verificano conseguenze ancora più gravi: quello che scrivono e hanno scritto i bravi «poeti» inconsapevoli di oggi e di ieri l’altro, sono cose kitsch, sono frattaglie… perché manca la consapevolezza che «andiamo verso la catastrofe con un eccesso di parole»… come scrivevo qualche anno fa. Donatella Giancaspero ha scritto una poesia intitolata «Al quadro manca una ragione», al che io le ho chiesto come mai quel titolo, e lei mi ha risposto candidamente che voleva dire che le mancava la «ragione» di fondo per scrivere una poesia. E così è nata una sua straordinaria poesia, senza alcuna «ragione», è nata dalla consapevolezza che ormai «manca una ragione», e nulla e nessuno potrà trovare una «ragione» o un surrogato di essa che giustifichi una qualsiasi poesia. Ed è questa la condizione della poesia oggi.
Quelle «cose» che abitavano una certa ratio, noi non le riconosciamo più, abbiamo deciso di rigettarle, sono cose che rigettiamo, o mettiamo tra parentesi, che ci lasciamo dietro di noi come un abito liso perché abbiamo dis-conosciuto quella «ragione» che era la loro/nostra garanzia di autenticità, l’esperienza non è una porta aperta, per la quale gli oggetti esterni, quali essi sono, possono introdursi in noi, ma un processo per via del quale l’apparizione delle cose si produce in noi. Quel «processo» è il nostro indebolimento grazie al quale adesso sappiamo riconoscere quelle cose dalle altre cose. Le nostre cose differiscono dalle cose prese in sé stesse, noi lo sappiamo e accettiamo di dimorare con quelle cose che sono altro dalle cose stesse, e questa estraneità, paradossalmente, ci conforta, ci induce serenità perché quella «perdita» di «ragione», è stato un elemento positivo, contrassegna la nostra accettazione della «porta aperta». Adesso siamo più liberi, più leggeri, abbiamo convertito «il peso più grande» nel «massimo alleggerimento».
opera di Lucio Mayoor Tosi, frammento, acrilico, 2021
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Giorgio Linguaglossa è nato nel 1949 e vive e Roma. Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re, Roma), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce, Roma). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle). Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, per le edizioni EdiLet pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italia-no/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma. Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2002 esce l’antologia Poetry kitchen che comprende sedici poeti contemporanei e il saggio L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe, l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch, il Covid, la Moda, la Poetry kitchen). È il curatore delle Antologie Poetry kitchen 2022 e Poetry kitchen 2023 nonché dei volumi Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022), del saggio L’Elefante sta bene in salotto, Progetto Cultura, Roma, 2022. Nel 2014 ha fondato e dirige tuttora la rivista on line lombradelleparole.wordpress.com con la quale insieme ad altri poeti, prosegue la ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, poesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito letterario del Collasso del Simbolico, di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo di oggi.
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Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York. Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti. È uno degli autori presenti nella Antologie Poetry kitchen 2022, Poetry kitchen 2023 nonché nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
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Tiziana Antonilli ha pubblicato le raccolte poetiche Incandescenze (Edizioni del Leone), Pugni e humus (Tracce). Ha vinto il premio Eugenio Montale per gli inediti ed è stata inserita nell’antologia dei vincitori “7 poeti del Premio Montale” (Scheiwiller). Tre sue poesie sono entrate a far parte di altrettanti spettacoli teatrali allestiti dalla compagnia “Sted” di Modena. Il suo racconto Prigionieri ha vinto il Premio Teramo. Ha pubblicato il romanzo Aracne (Edizioni Il Bene Comune) e la raccolta di poesie Le stanze interiori (Progetto Cultura, 2018). Insegna lingua e letteratura inglese presso il Liceo Linguistico “Pertini” di Campobasso. Sue poesie kitchen sono presenti nella Agenda 2023. Poesie kitchen edite e inedite, Progetto Cultura, 2022, nonché nella Antologia Poetry kitchen 2023.
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Anna Ventura è nata a Roma, da genitori abruzzesi. Laureata in lettere classiche a Firenze, agli studi di filologia classica, mai abbandonati, ha successivamente affiancato un’attività di critica letteraria e di scrittura creativa. Ha pubblicato raccolte di poesie, volumi di racconti, due romanzi, libri di saggistica. Collabora a riviste specializzate ,a quotidiani, a pubblicazioni on line. Ha curato tre antologie di poeti contemporanei e la sezione “La poesia in Abruzzo” nel volume Vertenza Sud di Daniele Giancane (Besa, Lecce, 2002). È stata insignita del premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha tradotto il De Reditu di Claudio Rutilio Namaziano e alcuni inni di Ilario di Poitiers per il volume Poeti latini tradotti da scrittori italiani, a cura di Vincenzo Guarracino (Bompiani,1993). Dirige la collana di poesia “Flores”per la Tabula Fati di Chieti. Suoi diari, inseriti nella Lista d’Onore del Premio bandito dall’Archivio nel 1996 e in quello del 2009, sono depositati presso l’Archivio Nazionale del Diario di Pieve Santo Stefano di Arezzo. È presente in siti web italiani e stranieri; sue opere sono state tradotte in francese, inglese, tedesco, portoghese e rumeno pubblicate in Italia e all’estero in antologie e riviste. È presente nei volumi: AA.VV. Cinquanta poesie tradotte da Paul Courget, Tabula Fati, Chieti, 2003; AA.VV. e El jardin,traduzione di Carlos Vitale, Emboscall, Barcellona, 2004. Nel 2014 per EdiLet di Roma esce la Antologia Tu quoque (Poesie 1978-2013). Dieci sue poesie sono presenti nella Antologia di poesia Come è finita la guerra di Troia non ricordo a cura di Giorgio Linguaglossa (Roma, Progetto Cultura, 2016).
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Ennio Flaiano rappresenta la prima geniale anticipazione di una poesia costruita interamente di rottami e di lessici pubblicitari. Il poeta che compendia e riflette le contraddizioni, le inquietudini degli anni Cinquanta è Ennio Flaiano: un non-poeta, uno sceneggiatore, uno scrittore di epigrammi, di pseudo poesie, uno scrittore di non-romanzi, o meglio, di romanzi mancati, «ridanciano, drammatico, gaglioffo, plebeo e aristocratico» come egli ebbe a definire Il Morgante di Luigi Pulci. «Perché io scrivo? Confesso di non saperlo, di non averne la minima idea e anche la domanda è insieme buffa e sconvolgente», scrive Flaiano. Poeta lunatico, irriverente, un arcimbolodo antidemagogico, antiprogressista, anti marxista e anti borghese, personalità squisitamente originale che non può essere archiviata in nessuna area e in nessuna appartenenza letteraria. Personaggio tipico romano della nuova civiltà borghese dei caffè, che folleggia tra l’erotismo, l’alienazione, la noia dell’improvviso benessere. Con le sue parole: «In questi ultimi tempi Roma si è dilatata, distorta, arricchita. Gli scandali vi scoppiano con la violenza dei temporali d’estate, la gente vive all’aperto, si annusa, si studia, invade le trattorie, i cinema, le strade…». Finita la ricostruzione, ecco che il benessere del boom economico è già alle porte. Flaiano decide che è tempo di mandare in sordina la poesia degli anni Cinquanta, rifà il verso alla lirica che oscilla tra Sandro Penna e Montale. Prova allergia e revulsione verso ogni avanguardismo e verso la poesia adulta, impegnata, seriosa, elitaria, olistica. Ne La donna nell’armadio (1957) si trovano composizioni di straordinaria sensibilità e gusto epigrammatico con un quantum costante di intento derisorio verso la poesia da paesaggio e i quadretti posticci alla Sandro Penna, le punture di spillo alla poesia di De Libero.
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In quanto ad ontologia metastabile e parole caduche mi sia consentito ripescare delle poesie metastabili di Lucio Tosi che forse lui stesso ha dimenticato:
Sollievo è dato dal primo amore all’ultimo, e sono finiti.
Altro sollievo è desiderare nella ripetizione, come
non si abbia abbastanza di un proprio figlio. Anzi per sempre.
E ancora, sollievo è morire in fretta. Darsi appuntamento
senza luogo, solo nel tempo. Godot, autore di se stesso,
ne sarebbe felice. – Via le doppie, in un posto tra le virgole.
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Scopo della ripetizione è distruggersi il cervello. Dividerlo
in quattro parti, di cui tre resteranno disabitate.
Dal braciere escono canzoni registrate, vaniglia in tutte
le salse. Ricordi di luna, poche nubi al tramonto.
Scrivere reclam per il lusso. Le svastiche
ripiegate indietro.
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Servono uno scritti dal polso fermo. Gente
che abbia dimenticato l’Avemaria. O, Padre Nostro
che nei cieli perso chiedi e sarà più in là. Versi come
in eucarestia servono a dare riposo. Finché
il tempo non si spaccherà. A quel punto avremo finito
le riserve di ossigeno. Mi darò morto a me stesso.
[ …]
Non diciamoci niente. Non giochiamo a scacchi.
Resta solo un po’ con me.
[ …]
Qui accanto, in un monolocale al pianoterra
vivono in numerosa famiglia dei marocchini.
Musica indiavolata. Si sono fatti la discoteca.
Male suona alle finestre una pioggia di sguardi
non corrisposti. L’espressione tortuosa deriva dal
famigerato Nord ovest. Del resto io pure scrivo alla Beckett.
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Cara signora. Si sono formate qui attorno
tante mele marce. Non so come fare per esprimerLe
il mio disappunto per la lingua in La minore
che ci tocca; e tante volte non può, come adesso
togliersi dai vetri la curiosità. Non che il Male sia morte,
anzi; tante volte converrebbe ai vivi darsi una martellata.
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Non Exit. Parole morte. Via del Compasso. Al cimitero
del tecnigrafo. Un quadro sbagliato. Male.
Per tre quarti vuoto. Sole a picco. Angoli di strada.
Asfalto, dove cresce l’erba senza avvertimento.
Il mare in casetta. Novi Ligure, Tortona. Candia
Lomellina e un balenio di stracci. Come Aznavour.
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Sulla Metafora
«Ciò che nel linguaggio si rispecchia, il linguaggio non lo può rappresentare».1]
È questa l’aporia del linguaggio. La tautologia e la contraddizione mostrano che esse si trovano, convergono, nella metafora, la quale contiene in sé sia la tautologia (il non-identico è lo stesso che l’identico) che la contraddizione (il non-identico non è l’identico). Da ciò se ne può dedurre che nella metafora convergono tutte le aporie del linguaggio, il lato effabile e il lato ineffabile, il dicibile e l’indicibile.
Talché voler estromettere la metafora dal discorso poetico è come voler aggiustare Procuste mettendolo sul letto di Procuste.
Il discorso poetico tende «naturalmente» alla metafora.
1.Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, 1979 p. 33
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Non credo che la poesia – di qualsiasi tipo – possa capire il mondo.
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Bisogna intendersi bene sul concetto di “linguaggio poetico” e pure sul concetto di “caducità”.
Che il linguaggio poetico coincida col concetto di caducità a me personalmente mi sta bene, perché entrambi i concetti hanno sostanza di provvisorietà; ed il linguaggio poetico è forse per antonomasia un linguaggio caduco, provvisorio e talvolta inefficace ed è per questo che talvolta nella sua storia (storia del linguaggio poetico intendo) ha avuto bisogna di regole, e nel caso della poesia della metrica e similari. Spesso la Poesia ha sentito il peso delle regole e si è ribellata mandando al diavolo qualsiasi analisi, sintetica o analitica non importa, e in questa ribellione si è fatta aiutare dal suono della parola, dalla sua musicalità, dalla consonantica come dalle vocali, dalla vocalità, dal senso o dalla sua assoluta mancanza nel verso, dalla fonologia, dai semiologia, dai segni come da ogni vivisezione della parola fino ad atomizzarla (in linea con le “scienze” della fisica e della chimica)… insomma qualsiasi aiuto interno o esterno per ribellarsi alla regola era ben accetto. Anche l’armonia era ben accetta dalla Poesia purché adatta a rovesciare i canoni imperanti. La Poesia ha anche accettato di farsi scomporre minutamente anche dal punto di vista morfologico e sintattico fino a distruggere in se stessa la fonologia che l’ha sempre sostenuta fino a scoprire che la Poesia ha una propria maschera e una propria Finzione e allora è cominciato a crollare tutto ciò che originava i significati e i significanti e tutto ciò che restava: i detriti della parola… e da questi avanzi allora qualsiasi regola veniva bandita perché la parola non avesse mai più il potere di generare la parola poetica, e dunque un linguaggio poetico, e con ciò si arriva alla caducità della parola poetica incapace di riconoscere se stessa.
Il Poeta non sa più “fare” poesia!!!
Non sa cosa sia il verso, il comporre, non riconosce alcuna parola, né dal suono e né dal concetto…
Non sa nulla il Poeta, ma alla Poesia cosa è rimasto?!
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Le opere frammenti di Lucio Tosi hanno una caratteristica: che le cornici sono parte integrante dei riquadri, così non sai se si tratta di una composizione per inclusione o una composizione per complessità. Nella via di mezzo lo spettatore resta ammirato. Queste opere hanno un impatto emotivo e coloristico notevole.
Le poesie ripescate da quel giocoliere di Giorgio hanno degli spunti esilaranti, molto riusciti. Potrebbero essere rielaborate è un ottimo materiale di partenza, ci sono degli spunti interessanti.
In questo post si passa dalla allegria serissima di Ennio Flaiano alla economia malinconica di Anna Ventura, due poeti di altissimo livello.
A Luciano Nanni vorrei dire che non è compito della poesia “capire il mondo” ma esprimere con un linguaggio appropriato un altro mondo. Se fa questo la poesia e il romanzo sono atti di libertà di cui l’homo sapiens non può fare a meno. E vorrei dire che la libertà massima è di esprimersi con un linguaggio appropriato, chi si esprime con il linguaggio di tutti è destinato alle urne dell’oblio.
Sottoscrivo ciò che afferma Antonio Sagredo, che bisogna intendersi su che cos’è il linguaggio caduco della poesia, ad esempio il linguaggio poetico della Signora Lamarque non è un linguaggio poetico, non ha nulla di «proprio», è «un» linguaggio di tutti che può accogliere le opinioni becere di tutti. In questa accezione è un linguaggio reazionario perché fruibile da «tutti» e da «tutti» ripetuto a memoria.
La poesia non è ricattabile.
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Il linguaggio poetico lo riconosci per il tono assertivo tipico di chi insegue verità.
È come se i poeti sentissero il dovere di rispondere a una chiamata.
Con le opinioni non si possono scrivere poesie.
Al cospetto di stranezze verbali, dette poetiche, tutti si tolgono il cappello (secoli di poesia hanno conferito autorevolezza).
È grazie al tono assertivo se molti poeti hanno potuto scrivere rispettabili poesie a contenuto politico.
Massimo rispetto per Ezra Pound e Pasolini.
In molte poesie kitchen è ancora presente Il tono assertivo.
Il molte poesie kitchen il tono assertivo è mitigato da astrattezza, fuori senso, sovvertimento tellurico della semantica.
La poesia Kitchen, ma prima ancora la NOE, nasce con l’obiettivo di rifondare il discorso poetico alle radici.
Il NUOVO crea sconcerto.
Nessun poeta che abbia a cuore la parola poetica può esimersi dal dovere di accostare parole con criteri di assonanza. Ma si dà per scontata la “musicalità”. Oggi, aggrapparsi a questo salvagente, a questo minimo criterio, è davvero poca cosa. O almeno non la cosa di fronte alla quale tutti si dovrebbero inchinare. Perché basta… Insomma, ci vuole orecchio. Lo diceva Jannacci.
Versi kitchen non sono scritti per reggere sedie o teoremi.
Se aprite su Google “pittura zen” troverete molte interpretazioni del famoso cerchio eseguito con un sol gesto. Il piacere di chi osserva sta nel ripercorrere il gesto sicuro (non sono ammessi tentennamenti) dell’esecuzione. Lo stesso piacere accade nel leggere poesia kitchen: rivivere l’atto del concepimento, il modo in cui in ogni verso viene negata l’esistenza del linguaggio poetico convenzionale.
È poesia?
È poesia a-semantica, cioè poesia che esce dal suo territorio verso arti a-semantiche. Appunto, come la musica o la pittura.
(io comunque faccio prima, perché ho abolito il discorso)
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Sottoscrivo dalla prima parola all’ultima caro Lucio, il linguaggio assertivo che usano i poeti da migliaia di anni deriva dal voler dominare qualcosa di non-dominabile, di voler imprigionare (nella assertività) una verità.
Questo concetto di linguaggio poetico che ha avuto legittimità per secoli e secoli è in realtà un linguaggio di potere, un linguaggio impiegato per il dominio (del significato, cioè della verità). La poetry kitchen, quando riesce ad essere kitchen, non piega il linguaggio ad un uso assertivo ed assertorio ma si limita ad impiegare (cioè piegare) il linguaggio in funzione del gioco liberatorio di piegare il linguaggio al solo fine di giocare con il linguaggio (che è cosa serissima e difficilissima a farsi) per null’altra destinazione che il gioco nel senso più alto della parola. Infatti gli dèi nell’Olimpo passavano il tempo a giocare, mentre gli uomini sulla terra passavano il tempo a fare la guerra.
Probabilmente, quando gli uomini cesseranno di farsi la guerra cesseranno anche di fare del linguaggio una strumento per il dominio. Fare una poesia a-semantica è un atto rivoluzionario perché libera il linguaggio dalla schiavitù del significato, ovvero, della verità.
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(Campagna di Campomarino di Maruggio, 21 ottobre 2023)
“Il linguaggio poetico lo riconosci per il tono assertivo tipico di chi insegue verità”.
(Mayoor Tosi Lucio)
Se dovessi riconoscere il linguaggio poetico per il tono assertivo, poiché pare che questo “tono assertivo insegue la verità” allora non avrei mai scritto alcun verso e tanto meno avrei pensato di scrivere un linguaggio poetico. Inseguire la verità significa non acchiapparla mai! Significa inseguire un linguaggio poetico di cui non si è mai padrone. Significa inseguire una assertività che non sarà mai tale.
Non ci siamo affatto.
Non ho mai inseguito la verità, se mai la finzione che non è l’opposto della verità, se mai la finzione smaschera le nefandezze della verità. Né tanto meno avrei usato un tono assertivo, che tra l’altro detesto poiché è l’anticamera di tante presunte verità.
Significa comprendere cosa è mai un linguaggio poetico che lo si può definire soltanto dopo averlo “fatto”, costruito (e nessun poeta sa in effetti cosa è un linguaggio poetico) e a questo punto di può e si deve procedere con tentativi di definizione.
Linguaggio poetico raramente coincide con la Poesia. Ogni scuola lungo tutti i secoli di storia della Poesia ha fallito proprio perché si cadeva nella trappola di voler fare coincidere la Poesia con la Verità!
E quando mai? Se la Finzione è dietro ogni angolo della Poesia! Specie quando la Finzione è la Poesia stessa! Tanto che è più comprensibile per il Poeta nascondere la Poesia nella Finzione, che è più arduo di certo il costruire il contrario. La Poesia usa la Finzione come fosse il proprio specchio così che non si può più distinguere la Poesia della Finzione dalla Finzione della Poesia. E il buon P essoa ne sa qualcosa quando dice di “fingimento”.
Potrei continuare all’infinito e non trovare in alcun infinito nessuno specchio!
as
e in questi versi (versi?) mi ritrovo perchè non ci capisco nulla:
Il suono del sangue e Il sangue della poesia
Quando raccolsi la cenere dei tuoi occhi
I tuoi occhi in cenere
per il trucco dei miei occhi
nei miei occhi il suono del sangue
e nel suono il sangue della poesia
e nello specchio il sangue del suono
e il suo riflesso nei miei occhi
e nei tuoi occhi il sangue della mia cenere
versai dalla clessidra della tua orbita
negli occhi suoi il calice… non versato.
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Il linguaggio assertorio è un linguaggio da obitorio.
Il linguaggio poetico kitchen si dà a seguito di una grandissima quantità di energia concentrata in un punto, una sorta di Big Bang dal quale si crea lo spazio e il tempo e nasce l’inflazione. Il Grande Bum è il punto di non ritorno. Non c’è un ritorno perché non c’è un luogo dove si possa tornare. La nostalgia è una auto illusione. L’io è una auto illusione. Scacciate la nostalgia dalla vostra poesia e scacciate l’io dalla vostra poesia, ciò che resta è qualcosa che assomiglia al linguaggio poetico. Occorre una grandissima quantità di energia e di coraggio per fare una poesia kitchen.
“Dante – scrive Mandel’štam- è il più grande padrone e amministratore…il più grande direttore dell’arte europea”. Ebbene, questo pensiero del poeta come “padrone e amministratore” ci è estraneo, il poeta kitchen sa che non è padrone di nulla e non amministra nulla di nulla, che ha solo parole estraniate, parole convenzionali, parole menzogna…
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Mia risposta il 22 ottobre a Milaure Colasson :
Cara Milaure Colasson,
sono di accordo con Te riguardo all’obitorio assertivo e non poteva essere diversamente e in qualche maniera su questo contesto la pensiamo più o meno eguale.
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Ebbene spiegami a proposito di Mandel’stam quel tuo “..ci è estraneo”, sarebbe stato più esatto “mi è estraneo”! ma agli studiosi euroepei di cose slave questo “pensiero del poeta” non è affatto estraneo”, e ciò dipende dal fatto che Mandel’stam ancora oggi è un estraneo per una cultura europea più omeo spicciola.
Dunque Mandel’stam lo conosco così bene che ai termini “padrone e amministratore” avrei aggiunto il termine “commerciante” poiché Mandel’stam tutta la sua vita ha commerciato la propria e altrui poesia con grande passione e devozione, come del resto Dante, e poi tutti i grandi poeti posteriori.
Tu scrivi che “ il poeta kitchen sa che non è padrone di nulla e non amministra nulla di nulla, che ha solo parole estraniate, parole convenzionali, parole menzogna… “
e stavolta sono in disaccordo.
Il poeta Kiitchen proprio perché la pensa così è a sua volta amministrato e asservito dalla sua poesia e quelle parole estraniate… convenzionali… menzognere non gli appartengono affatto poiché sono termini presenti in tutta la poesia fina dalla sua nascita… tutti i poeti degni di nota hanno usato tali parole!
Vorrei continuare… ma Mandel’stam bisogna conoscerlo bene e meglio.
antonio
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Sull’insegna luminosa d’ una bettola c’era scritto:
Contrada Mandel’štam
27 dicembre 1938
Recitavi da tetrarca a Vladivostok…
davanti ai falò Laura danzava sul secolo XX°
ti offriva veleno per farla finita col verso classico
ti donava una carriola di zucchero e cavoli.
Indossava per fame i rifiuti di una pelliccia piumata,
ma restava il principe dei Barboni questo usignolo – non lupo!
La scopolamina, al poeta, per farlo cantare!
Petrarca, il suo duca, gli offriva un passaggio svitato.
A nord-est, gridava, c’è un esotico sogno – a fumetti!
Ma il barbuto spauracchio recitava sonetti.
Fu gettato svestito senza la corteccia d’un cencio,
festeggiò il Natale con Mozart in una fossa comune.
Ma Laura s’invaghì dei suoi capelli nostalgici
che ricordavano una gravida Tauride veneziana,
come se il suo collo, per uno spostamento degli occhi,
la sua testa di cammello piegasse anche il tiranno.
Sul fondo d’una fossa luminosa c’era scritto:
Contrada Mandel’štam!
antonio sagredo
Vermicino, 4 gennaio 2005
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Dò notizia che alcune poesie di Mimmo Pugliese sono stati tradotti in albanese e pubblicati qui: Albania press.
APRILE VENTIVENTIDUE
Scappava da 12 giorni
tutti gli indirizzi che ricordava erano sbagliati
La giacca appena comprata
era parente di una scatola di fiammiferi
Scappava da 12 giorni
dopo avere seppellito tappi di sughero
Uomini con gli occhi di passero
discutono con rane e trattori
La mongolfiera vende passaporti alle formiche
timonieri incrociano davanzali
Sulla schiena della collina
i vasi comunicanti avevano serrature finte
Stanotte la campagna è blu
nella mansarda è fiorito il baobab
Torpide gondole rovistano ortiche
donne con le trecce interrogano fondi di caffè
L’ipotenusa della foresta va alla guerra
ha un fastidioso prurito al braccio destro
Scappava da 12 giorni
hai fame?
hai sete?
hai dormito?
La geografia stringeva le labbra
sputava cicatrici lo specchio.
PRILL NJËZETNJËZETEDY
Prej 12 ditësh ia mbathte
të gjitha adresat që kujtonte ishin të gabuara Xhaketa që sapo e kishte blerë
ishte e afërmja e një kutije shkrepseje
Prej 12 ditësh ia mbathte
pasi kishte varrosur tapat e shisheve
Burra me sy harabeli
diskutojnë me bretkosat dhe traktorët
Ballona u shet pashaporta milingonave timonierët kryqëzojnë parmakët
Në shpinën e kodrës
vazot komunikuese kishin brava fallco
Sonte fshati është blu
në papafingo një baobab çeli
Gondolat e përgjumura
gërmojnë nëpër hithra
gratë me gërsheta fallxhojnë fundin e kafesë Hipotenuza e pyllit shkon në luftë
ka një kruarje të bezdisshme në krahun e djathtë
Prej 12 ditësh ia mbathte
Je i uritur?
Ke etje?
Ke fjetur?
Gjeografia shtrëngonte buzët
pështynte plagë pasqyra.
NON SOLO FERRO
Il ferro da stiro esce da scuola. Collide
James Bond è morto. Fuoco
Bertoldo beve naftalina
rovi e piastrelle si sfidano a ping-pong
uova di cenere scalano il muro del suono
la cartilagine del chinotto tossisce
sbuffano le Termopili
la colite sconfigge la terrazza
il nichel offre calabroni
Mercurio illude il pranzo
il pettine sviene
Godot suda
Nerone importa nitroglicerina
l’indice di borsa doppia l’appendiabiti
Decibel. Piove ancora?
vuoto senza uscita.
JO VETËM HEKUR
Hekuri i hekurosjes del nga shkolla. Përplasje
James Bond ka vdekur. Zjarr
Bertoldo pi naftë
ferrat dhe pllakat konkurrojnë në ping – pong vezët e hirta ngjisin shkallët e tingullit
kërci i chinotto-s kollitet
mllefosen Termopilet
koliti mposht tarracën
nikeli ofron grerëza
Mërkuri zhgënjen drekën
krëhërit i bie të fikët
Godot djersitet
Neroni importon nitroglicerinë
indeksi i bursës dyfishon varësen e palltove Decibel. Ende bie shi?
boshllëk pa dalje.
ISCHIA
Ischia è una lisca di pesce
bastimento in bottiglia ad aria compressa
Nel buio polare fantasmi muti
scavalcano balconi cantando l’Internazionale
49 turiboli intermittenti
scaricano uva secca dai battelli di New Orleans
Calcolata l’ipotenusa dei tuoi polpacci
il bollettino meteo diventa vino
Treno dopo treno
il sottoscala è occupato da attinie vedove
In autostrada le tartarughe hanno sciarpe di lana
per vivere stappano barattoli di incisivi
Ieri era l’anno che verrà
a strozzare le fondamenta dei caschi di banana
Megafoni salpano dalle ecografie
gli abbracci hanno padri di lievito madre
Sulle onde medie a bassa intensità svolazza il papirola lavatrice della Prefettura è campionessa di tiro con l’arco
Le lampade alogene producono coleotteri
la carta vetrata si trucca per le televendite
Dopo un nuovo tatuaggio
i calamari cambiano anche le pasticche dei freni
Il deodorante non dice bugie
a Natale partirà soldato.
ISKIA
Iskia është një halë peshku
anije në shishe me ajër të kompresuar
Në errësirën polare fantazma të heshtura
kapërcejnë ballkone duke kënduar Ndërkombëtaren
49 temjanica me ndërprerje
shkarkojnë rrush të thatë nga vaporat
në New Orleans
Përllogaritet hipotenuza e puplave të tua
Buletini i motit bëhet verë
Tren pas treni
shkalla e poshtme është e zënë nga anemonat vejushe të detit
Në autostradë breshkat kanë shalle leshi
për të mbijetuar hapin kavanoza me prerës Dje ishte viti që do të vijë
për të mbytur themelet e helmetave të bananeve
Megafonët lundrojnë nga ekografitë
me ultratinguj
përqafimet kanë baballarë të majasë nënë
Në dallgët me intensitet mesatar e të ulët valëvitet papirusi lavatriçe i Prefekturës
është kampione e gjuajtjes me hark
Llambat halogjene prodhojnë brumbuj
letra zmeril bën makiazh për teleshopingun Pas një tatuazhi të ri
Kalamarët ndërrojnë edhe ilaçet e frenave Deodoranti nuk thotë gënjeshtra
në Krishtëlindje do të niset ushtar.
LA CASA DI EINSTEIN
Al mercato nero un litro di vaccino
si scambia con sporte di pellet
evase dal dentifricio ultralight
reso prezioso dalla portiera del frigo
chiusa in faccia ai succhi gastrici
Il mormorio dell’agente segreto è ovale
ha la fretta di una palla in buca
al collo una discesa libera
nel pollaio è successo qualcosa
è in atto il trapianto del red carpet
I giorni di gesso
nascondono le mani nel cellulare
che semina acqua di colonia
necessaria per citare in giudizio
le caravelle di Cristoforo Colombo
Gocce di caffè in dribbling sulla pubalgia
pesano il doppio del quadrato
davanti ad arnie di neutrini
che fanno salti lisergici
nella casa obliqua di Einstein.
SHTËPIA E AJNSHTAJNIT
Në tregun e zi një litër vaksinë
shkëmbehet me thasë me pelet
dalë nga pasta e dhëmbëve ultra të lehta
e çmuar nga dera e frigoriferit
e mbyllur në fytyrën e lëngjeve gastrike
Pëshpërima e agjentit sekret është ovale
ka nxitimin e një topi në gropë
në qafë një rrëpirë e lirë
Në pulari diçka ndodhi
është në akt transplanti i tapetit të kuq
Ditët me shkumës i fshehin duart në celular
të cilat mbjellin ujë kolonje
e nevojshme për të paditur
karavelat e Kristofor Kolombit.
Pika kafeje në driblim pikojnë në pubalgji
peshojnë dyfishin e katrorit
përballë koshereve të neutrinos
që bëjnë kërcime lisergjike
në shtëpinë e shtrembër të Ajnshtajnit.
Pregatiti Angela Kosta shkrimtare, poete, gazetare, eseiste dhe Zv. Drejtore & Zv. Kryeredaktore në Albania Press dhe Kryeredaktore në portalin Dritare e Re.
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Ecco l’inizio di una mia poesia sopra postata:
Un aeroplano cade giù dalla stratosfera
Tempo della discesa 2 minuti e 33 secondi
Ecco il titolo di una poesia di Tiziana Antonilli sopra postata
Allergia o lethargia?
Ecco l’incipit del commento di Marie Laure Colasson:
Il linguaggio assertorio è un linguaggio da obitorio.
Ecco il titolo di una poesia di Antonio Sagredo sopra postata:
Il suono del sangue e Il sangue della poesia
Ecco l’incipit di una poesia di Mimmo Pugliese sopra postata:
Scappava da 12 giorni
tutti gli indirizzi che ricordava erano sbagliati
In un mondo dove l’ontologia è diventata caduca non c’è da meravigliarsi se la poesia più consapevole reca in sé l’atmosfera ferale della brutalità che i preannunci di guerre sempre più vaste e pericolose in giro per il mondo rendono evidente.
Viviamo in un mondo destinato ad essere sempre più pericoloso in cui si scatenano autocrazie sanguinarie, sovranismi, populismi, crisi climatica, crisi economiche, crisi politiche, crisi geopolitiche… e non c’è da meravigliarsi se la poesia più ricettiva recepisce i sintagmi delle minacce globali che sovrastano il nostro mondo.
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Complimenti al caro Mimmo Pugliese per questo ritorno alla lingua dei padri e delle madri…
Giuseppe Gallo
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Mentre noi Poeti discutiamo di Poesia ecc. ecc.
a Mosca si è aperta la successione a Putin: falchi o colombe?
Succederà questo come sempre è successo in Russia da secoli:
i falchi saranno falsi falchi e si muteranno in colombe,
le colombe saranno false colombe e si muteranno in falchi.
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I poeti russi odierni stranamente in letargo – ma è una finzione – sotto Putin, ora usciranno fuori come le lumache. ma con le corna!
Già sento le voci in falsetto nei locali notturni di Mosca e di Pietroburgo… alcuni Poeti pronti a brindare, altri si nasconderanno ancora di più, ma sottoterra!
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L’ontologia metastabile integra al suo interno una differenza ontologica metastabile di cui la psicanalisi è parte integrante. Quella psicoanalisi che ha avuto fin dai suoi inizi la pretesa erronea di proporsi come un discorso scientifico che ha per oggetto l’inconscio è finita in un vicolo cieco. I detrattori della psicoanalisi, a iniziare da Popper, hanno sostenuto che tale discorso non soddisfa affatto i criteri dell’oggettività scientifica, e che l’inconscio, pseudo-entità priva di tempo e priva di spazio, non può in alcun modo essere identificato come un oggetto scientificamente apprezzabile. Ogni tentativo di identificare tale «non-oggetto» con la realtà bioenergetica ibrida della pulsione, o di ricondurlo, come hanno tentato alcuni neuroscienziati, al cervello subcorticale e limbico, è sempre stato destinato al fallimento. Se tali tentativi avessero successo, la psicoanalisi si ridurrebbe in psicologia evoluzionistica, in etologia umana o neuroscienza dell’ipotalamo o dell’amigdala.
Benché non sia un oggetto, e sia quindi irriducibile a qualsiasi forza fisica misurabile manifestantesi in modo indiretto tramite sogni, sintomi, lapsus, atti mancati o altro, l’esistenza dell’inconscio è perfettamente dimostrabile in modo semplice e diretto. La prova che l’inconscio esiste è il fatto che c’è il linguaggio che ce lo rivela e c’è un corpo che intrattiene un rapporto prelinguistico con il linguaggio e che tuttavia comunica con l’ambiente relazionale e sociale. L’inconscio non è un oggetto, è un «non-oggetto» e un «non-soggetto» (pur essendo parte integrante e preponderante della soggettività), esso è la differenza ontologica, lo scarto irriducibile che esiste tra il corpo, vissuto e «centrico», e il linguaggio, per forza di cose «eccentrico», un «non-soggetto» e un «non-oggetto» che parla in terza persona e che quindi è «eccentrico», cioè imposto dall’Altro.
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