Archivi del mese: Maggio 2024

La poesia che parla all’orecchio destro mentre l’autore è distratto (da sé e dai propri pensieri), e detta un verso inspiegabilmente bello; e l’autore che la cerca, cerca quel suggerimento, Poesie kitchen di Francesco Paolo Intini, Giorgio Linguaglossa, Tiziana Antonilli, Marie Laure Colasson, Giuseppe Talia (Gneo Gaius Fabius, Germanico, Tizyfardwell, Scintilla, Tallia)

absence, tavolo bianco, 20x20, acrilico 2024

(Marie Laure Colasson, absence, acrilico, 30×30, 2024)

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La poesia che parla all’orecchio destro mentre l’autore è distratto (da sé e dai propri pensieri), e detta un verso inspiegabilmente bello; e l’autore che la cerca, cerca quel suggerimento… è quel che tentiamo di fare tutti da quando ci ha colpiti al cuore, la prima e poi la seconda volta. C’è invece da considerare la possibilità che la Musa si sia trasferita, dal lato destro al centro operativo e abbia preso possesso dell’autore, il quale dovrà così assumersi la piena responsabilità per ogni cosa che scrive, meriti e demeriti. Ma dovrà farsi carico della conoscenza di sé e dei meccanismi comunicativi dell’inconscio, che in epoca di incessante e diffusa comunicazione è gettato allo scoperto. Perciò, creatività ed empatia. Ontologia del poeta. “Sono forse io?” sì, lo sei.

(Lucio Mayoor Tosi)

Francesco Paolo Intini

LA VIA PAL E UN JOYSTICK

Undici anni per allungare un braccio e afferrare il Nord
Lo spettro bianco di Yashin oltre i carrarmati.
Tutti in barriera dunque
Il Sole vuol menare di santa ragione!
Fa effetto questo infilare balle nell’angolino
quasi un topo avido di tombini.
– A quanto una fetta di Luna?
– Con i popcorn o senza?
La marea non è di volta buona.
Altro che Sistina: il dito si riprende tutto.
Aumentano i crateri nella memoria
E le bambole meccaniche cosparse di benzina.
Sale l’urlo sugli spalti: per una strage d’ospedale si fanno turni di notte.
Un bambino dichiara la sua estraneità al missile sul palazzo.
Un altro getta una molotov da una macchina volante.
Si tratta per la nutella che cicciobello getta sul tavolo delle trattative.
Col succhiotto al lato della bocca esprime l’arte della guerra.
Il dildo riprende fiato: ha visto troppe tribolazioni per rimettersi in piedi
Ora è solo una palla da golf, domani sarà madre che allatta una mitraglia.
O la frittella nel cucinino di Barbie?
Con le labbra di latta posso sollevare la questione all’Onu
Ma se mancano pile come potrò compilare il questionario?
L’ola sugli spalti si muove come un cactus
e un fotone della spina le risponde – la Via Lattea non ha tette gratis.

(Gneo Gaius Fabius)

Giorgio Linguaglossa

Caro Gneo Gaius Fabius,

Per favore il triangolo no!
Anche il sole si è messo le bretelle
Che poi al fulmicotone lancia razzi sull’albero di Natale
Che poi se n’è andato per i fatti suoi lasciando la Terra alle prese con i bau bau e i Brillo box
Che vuoi che ne sappia il T-Rex Sterminator della tartaruga del Sol Levante?
Salviamo almeno le api con le bombe a grappolo
Oppure diciamo: Che cosa vuoi che sia un fotone a petto di un solitone?
Entrambi sono componenti del cielo stellato di Kant
Anche Putoler canta “Bella ciao”
Ma sì, i positroni hanno fatto a fettine la luna, così i poeti sono rimasti vedovi
«Mamma voglio la torta!»
«Stai zitto tu, fai prima i compiti!»
Ecco ciò che resta:
Un pallone a forma di zibibbo, una bretella a guisa di nastro di Möbius, un gatto di Schrödinger che sembra un rettangolo, una scatola di bottoni…
Tutto gratis:
La Via lattea, Andromeda e altre mille miliardi di galassie, né più né meno, tutte sopra il cielo stellato…

(Germanico)

absence con tavolo rotondo 20x20, acrilico 2024

(Marie Laure Colasson, absence, acrilico, 30×30, 2024)

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Dalla Antologia ‘Voci degli Avatar dagli esopianeti disseminati nel Cosmo’, Voci di Giuseppe Gallo (Gaius Gallus), Alfonso Cataldi (Alf. Galacticus), Giorgio Linguaglossa (Germanico), Tavole di Raffaele Ciccarone e Lucio Mayoor Tosi

Lucio Tosi senza titolo 1 70x70 2024

(Lucio Mayoor Tosi, senza titolo, 70×70, acrilico, 2024)

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Giuseppe Gallo

Caro Lucius Verus,

è vero che sulla stella 3GG-28/7:50,
a volte, germogliano strani fenomeni,
ma decriptare qualcosa
che non ho avuto la possibilità di leggere
è un miracolo!

Forse trattasi di un’interferenza.
O di una collisione tra pensieri.
Un baluginio generato dall’urto di due corpuscoli atomici.

Caro Germanico,
sono felice per te e i tuoi compagni
sfuggiti alla decomposizione per calore.
Uso lo stesso termine “felice”
anche se il suo contenuto mi è oscuro.

Vuoi dire che su Alpha, la tua nuova residenza,
non incombe più alcuna catastrofe?
Leggo… no! Forse ho letto…
chiedo venia se incontro qualche difficoltà
a rimanere ancorato al vostro linguaggio,
che una volta anche sul pianeta terra
esisteva un Eden, dove meli e fichi, papaveri e margherite,
“si aprivano tutti i giorni in tutte le stagioni…”

Non è, caro Germanico,
che hai trasformato un ricordo filogenetico
in un sogno?
Auguro, perciò, a te, gentile amico,
che il tuo sogno continui e che tuoi bagni di sole
non diventino roventi
come la pioggia metallifera alla quale sei già sfuggito una volta.

Qui, dove a me pare di esistere,
i ricordi non hanno né forma né sostanza.
E quello che voi chiamate inconscio è… non è…

(Gaius Gallus)

Alfonso Cataldi

Caro Tallia,

Quella che cerchi credo di averla intravista su un palco in teatro. Una pornostar distesa su corpi alienati che danzavano “Blue collar” al Ballet-ex.

In sottofondo suoni metallici risvegliavano da un analgesico di temporanea bellezza.

«La messa in scena è salva!» si è sentito gridare dietro le quinte. Il patto con i coni da tre euro, però, non è riuscito a decollare in galleria.

L’incombenza della recitazione si è presa gli artefatti di ogni ordine e grado.

Squamata la perlustrazione originaria.

“È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?”, chiesero all’Idiota.

«Ma che ci fa una potatura di alloro ad olio su tela?

Ah no, è Gloria! Proviene da una lallazione al fortepiano. Luminosa.» rispose prontamente il principe Miškin.

Ha smesso di lasciare tracce il millepiedi; il basement, senza prospettiva Nevskij, non esiste più.

«La comprensione dell’abiezione umana salverà la bellezza.»

«Tu rendi enormi cose piccole e insignificanti»

lo accusò la ballerina in fuga dalla complicità.
(Alf. Galacticus)

Lucio Mayoor Tosi Paesaggio Mirò 70x70 2024

(Lucio Mayoor Tosi, paesaggio, acrilico, 70×70, 2024)

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Giorgio Linguaglossa

AVVISO a tutti gli abitanti di tutti gli esopianeti:

Il pianeta Google Authenticator è fuoriuscito dalla sua orbita attorno al Sole Nemesis ed è andato a sbattere contro l’esopianeta Substack producendo una protuberanza, ovvero, una montagna alta 140 khilometri
Così, Eni Plenitude ha dovuto dichiarare bancarotta perché lassù ci aveva costruito una città spaziale per lo sfruttamento del tadzio, del polonio e del lettonio
Ho scritto a Scintilla: «Non usare l’ascensore dei ricordi durante l’incendio», la risposta della pittrice è stata: «chiacchiere e tabacchiere di legno non sono accolti al banco del pegno», che non so cosa possa significare, ma non mi sono arreso e le ho replicato con la poesiola di Giuseppe Panetta, in arte, Tallia:

Purple rain, purple rain
Purple rain, purple rain
Purple rain, purple rain
I only wanted to see you
Bathing in the purple rain

Tizyfardwell mi ha telegrafato telepaticamente: «There was an error in the payment transfer. What should I do?»

Io le ho risposto: «I don’t know»

Comunicato a tutti gli abitanti del pianeta Mephisto:

Poesia olografica: ossia, gentificazione di un pianeta disabitato
28 compresse travestite con film
Non aprire le ante del futuro prima di chiudere quelle del passato
La realtà non è altro che una sorta di super-ologramma dove il passato, il presente ed il futuro coesistono simultaneamente
Una poesia olografica, dove tutte le singole parti siano interconnesse con tutte le altre, pur distanti 10 minuti di autobus o 10 miliardi di chilometri
Stop

(Germanico) a noi sconosciuti.

Raffaele Ciccarone acrilico corde di colori 2024

(Raffaele Ciccarone, corde colorate, acrilico, 2024)

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È accaduto che quelle «cose» (quelle parole) hanno traslocato…

Si parlava qualche tempo fa intorno a quella nuova parola, a quei nuovi concetti: «dis-fania», «serendipità», «de-figurazione», «de-localizzazione», «dis-metria», «dis-tassia», «entanglement», «de-territorializzazione» e «riterritorializzazione» del discorso poetico propri della «nuova ontologia estetica». Chiedevo: di che si tratta? Ecco il punto. Come accade una parola «nuova»? Da dove cade? E verso dove cade? E perché cade? Una parola «nuova» indica una cosa «nuova»?, una cosa che prima non esisteva? E se non esisteva è perché nessuno aveva sentito il bisogno che esistesse, nessuno l’aveva cercata, e magari trovata? – In verità, una parola «nuova» viene incontro ad un «nuovo» bisogno, a una «nuova» esigenza. Da Gadamer in poi noi utilizziamo, in modo inconsapevole e irriflesso, un concetto di linguaggio inteso fondamentalmente come dialogo, quale «orizzonte di un’ontologia ermeneutica»; ciò implica che il «nuovo», se è nuovo, non può non inserirsi nell’«orizzonte di un’ontologia ermeneutica» che ricomprenda il «vecchio» in quanto presupposto del «nuovo». Secondo questa concezione ermeneutica non c’è «nuovo» se non c’è il «vecchio», il «nuovo» e il «vecchio» sono le due facce di una stessa moneta. È la forza del «vecchio» che spinge verso il «nuovo», il «nuovo» è una forza oggettiva, che spinge e preme verso il futuro. È il treno ermeneutico che non si può arrestare.
Detto questo, possiamo sostenere che la poesia di oggi indica qualcosa di «nuovo»?, che qualcosa di «nuovo» è avvenuto, magari a nostra e sua insaputa, mentre eravamo distratti, non avevamo fatto caso a certi segnali, a certi accenni, a certi indizi? – Il mondo nel frattempo però è mutato e la «nuova» poesia avverte che qualcosa è cambiato, che occorrono parole diverse, nuove, non usurate.
La «nuova» poesia» indica un atto poeticamente attivo di dis-missione, una piegatura verso la dis-proprietà, una dis-appropriazione, una de-angolazione prospettica rispetto al punto di vista del quotidiano, il lasciar andare a fondo ciò che deve cadere, ciò che fino a un minuto prima ci sembrava importante. E, all’improvviso, ci accorgiamo che tutte quelle «cose» che credevamo importanti e determinanti per la nostra sicurezza, per i nostri valori di cui non potevamo fare a meno, adesso non sono più così importanti, perché è cambiato il metro dei valori, la scala gerarchica entro cui quelle «cose» trovavano il loro luogo.
È accaduto che quelle «cose» (quelle parole) hanno traslocato, hanno cambiato domicilio, e noi non siamo più con esse, presso di esse; perché anche noi nel frattempo abbiamo cambiato domicilio, in quanto siamo sempre alla ricerca di un domicilio più accogliente, di un divano più comodo, di un luogo dove le parole possano attecchire e albergare, perché il vecchio domicilio è stato dismesso, quel domicilio dal quale siamo stati sfrattati e costretti a sgomberarlo e a gettare nella discarica le vecchie masserizie, le vecchie inutili suppellettili, le parole usurate… La dis-appropriazione implica la rinuncia a qualcosa che non ci appartiene più, che non è più nostra proprietà, che qualcosa ci è diventata estranea e non la riconosciamo più. Mediante l’atto mentale della dis-appropriazione possiamo percepire meglio gli «angoli interni» delle cose, diventiamo più leggeri, gettiamo a mare l’ingombrante zavorra delle «cose» per noi non più utili e le lasciamo andare a fondo. Torniamo a respirare. Ci scopriamo più leggeri. Continua a leggere

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