Dario Bellezza, Tutte le poesie, Oscar Mondadori, 2015, pp. 826 € 20 Lo stanco spettacolo annunciato nel risvolto di Morte segreta (1976), quello dell’uomo che mette in scena «un esorcismo (…) fingendo di essere un grande poeta»

Dario Bellezza 1971 Foto di Massimo Consoli

Dario Bellezza 1971 Foto di Massimo Consoli

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Dario Bellezza, un poeta esemplificativo del privatismo narcisistico delle società moderne ad alto tasso di teatralizzazione dell’egotismo

di Giorgio Linguaglossa

Dario Bellezza (nato e morto a Roma: 1944-1996), è stato un poeta esemplificativo di quella ideologia del privato che ha invaso la poesia italiana dagli anni settanta ad oggi, poeta minore ma significativo di quella deriva e svolta culturale che ha contrassegnato la poesia italiana degli anni settanta più per le sue pecche che per le sue poche preziosità; poeta molto vicino a Pasolini, Moravia, Sandro Penna ed Elsa Morante, segna tuttavia da quei poeti un distacco e una deriva culturale. Tra le sue opere: L’innocenza (1970), Invettive e licenze (1971), Lettere da Sodoma (1972), Morte segreta (1976), Morte di Pasolini (1981), Io (1983), Serpenta (1987), Libro di poesia (1990), Testamento di sangue (1992), Proclama sul fascino (1996). A rileggerlo oggi a distanza di tanti anni il poeta romano ci appare con tutte le sue rughe, tutti i suoi eccessi, le sue simulazioni, le sue dissimulazioni, con il suo dolore smaccatamente riversato sulla pagina, quel dolore visivamente esternato da cui non riuscirà mai a liberarsene, ammesso e non concesso che abbia mai pensato a liberarsene. Religiosità atea del cascame e dell’oblio messi in vetrina. Bellezza esordisce nel ’71 con Invettive e licenze. La raccolta è sponsorizzata da Pasolini, che nel risvolto definisce quel ragazzo «il miglior poeta della sua generazione». Si trattava di un eccesso di generosità pronunciata con un velo di malinconia, ma Pasolini non è elusivo quando indica quel giovanissimo poeta, ancora prigioniero dei «cascami letterari passati a un livello inferiore o al parlare comune dei privilegiati, dal dizionario piccolo borghese professionale», come un autore stretto tra impulso libertario piccolo-borghese che si autodefiniva un «Himmler un po’ pretesco di se stesso» e l’intento testimoniale di fare di se stesso un monumento. Pasolini legge il linguaggio poetico di Bellezza come «inviluppato nella sua vita privata come in un vestito sporco, chiuso nel suo caso come in uno stambugio dall’aria irrespirabile (…) Da dove viene Dario Bellezza? Da un mondo vecchio che egli, accecato dal suo dolore e dalla sua mancanza di libertà, non ha potuto o voluto o osato riconoscere come vecchio». C’è in Bellezza l’aspirazione piccolo-borghese a épater les bourgeois, a mettere in scena il suo personale e privato teatro dell’omosessuale respinto da una società bigotta e ottusa, ma si trattava di una posizione di retroguardia nella quale lo scandalo della diversità sessuale non fa più scandalo, anzi viene utilizzata dai programmi televisivi come un feticcio da mostrare al pubblico voyeuristico affamato di scandalo a buon mercato:

Non sono né invincibile ne Dio;
ma mortale assaporo i sapori più forti della vita
e vomito, considerandomi fallito
agli occhi di Dio

Bellezza conosceva bene i retrobottega della visibilità e ci si immolava con fervore quando con una nota di autoincensamento dichiarava che la sua diversità era «avversaria impotente della mia banalità». In realtà Bellezza ci sta bene in quella Roma letteraria che volge al tramonto e alla indifferenza del pubblico, la sua oratoria compiaciuta e masochisteggiante è in realtà una abile strategia per épater les bourgeois e i piccoli borghesi che lo irridono. Sospeso tra il neosperimentalismo di Amelia Rosselli e l’esotismo della Morante de Il mondo salvato dai ragazzini (1968), il poeta romano accede ad un linguaggio poetico autocentrato, ombelicale, egolatrico e giornalistico:

«Niente si offre per l’ultima volta,
perché tutto dopo il sonno ricomincia.

Si riforma il seme dei ragazzi. Le
polluzioni sono infinite. Compagni,

ragazzi morituri, orfani matricidi
spegnete la sete che è in me d’amore
deluso in questi versi rattrappiti».

Tra una capriola stilistica e un conservatorismo linguistico si consuma il percorso poetico di Dario Bellezza incapace, come del resto tutti i suoi coetanei, di instaurare un rapporto con la Storia e con i linguaggi del nuovo capitalismo; si consuma così il divorzio dalla Storia e dai linguaggi del mondo moderno di cui non riesce a coglierne la complessità e la problematicità. Istrionismo, vitalismo, esasperazione, insurrezionalismo, esibizionismo, emozionalismo rimangono le cifre del suo linguaggio poetico, traccia speculare del suo istrionismo esistenziale: «Il mare di soggettività sto perlustrando / immemore di ogni altra dimensione». Bellezza ormai si dipinge con foja sul fondale di una Roma decaduta e matrigna; come un mediocre attore di avanspettacolo Bellezza continua a tenere in piedi il suo teatrino di maledettismi narcisi e artificiosi che riversa sulle pagine con meticolosa e capillare auto indulgenza; è il personaggio che offre lo stantìo spettacolo annunciato nel risvolto di Morte segreta (1976), quello dell’uomo che mette in scena «un esorcismo (…) fingendo di essere un grande poeta». In realtà soltanto un piccolo poeta può autodesignarsi come «un grande poeta».

(Giorgio Linguaglossa)

Lucio mayoor Tosi cover Def

Da Invettive e licenze, 1971

Il mare di soggettività sto perlustrando

Il mare di soggettività sto perlustrando
immemore di ogni altra dimensione.

Quello che il critico vuole non so dare. Solo
oralità invettiva infedeltà

codarda petulanza. Eppure oltre il mio io
sbudellato alquanto c’è già la resa incostante
alla quotidianità. Soffrire umanamente

la retorica di tutti i normali giorni delle
normali persone. Partire per un viaggio

consacrato a tutte le civili suggestioni:
pensione per il poeta maledetto dalle sue
oscure maledizioni.

Dio mi moriva sul mare

Dio mi moriva sul mare
azzurro, sul suo pattino dove
mi aveva invitato ad andare.

Ma fu la gelosia, la normalità
dei ragazzi a spingermi a rifiutare,
ad alzare le spalle alle battute
salaci.

L’odore del mare riempiva
le navi e tu cantavi negli occhi
ridarella di vittoria.

A Elsa Morante

I ragazzo drogati, guardie del corpo
dell’Assoluto, vanno per il mondo
mattutino fino alla sera della loro
sopravvivenza: come passerotti
mangiano distrattamente
tutti presi dai loro sogni d’avventura.

E la sciagura che li coglie per strada
e li fulmina pienamente stecchiti
li lascia preda delle iene umane
che scrivono i loro necrologi sui giornali.

Le loro dita sono piene di anelli,
la loro grazia bugiarda di mentire
sa che io non ho bisogno di droghe.

E mi guardano come un povero reietto,
un infelice, ma troppo non m’offendo.
So che vanno per le vie del mondo
con in bocca il sapore della polvere
e del tossico:
strepito vano è il loro baloccarsi
bambino, orgoglio luciferino
di chi si consuma, strugge come cera,
ma anche così la mia voce smorta
li vorrà sempre al mio capezzale.

A Pier Paolo Pasolini

M’aggiro fra ricatti e botte e licenzio
la mia anima mezza vuota e peccatrice
e la derelitta crocifissione mia sola
sa chi sono: spia e ricattatore
che odia i suoi simili. E non trovo
pace in questa sordida lotta
contro la mia rovina, il suo sfacelo.

Dio! Non attendo che la morte.
Ignoro il corso della storia. So solo
la bestia che è in me e latra.

Da Morte segreta, 1976

Ho paura. Lo ripeto a me stesso

Ho paura. Lo ripeto a me stesso
invano. Questa non è poesia né testamento.
Ho paura di morire. Di fronte a questo
che vale cercare le parole per dirlo
meglio. La paura resta, lo stesso.

Ho paura. Paura di Morire. Paura
di non scriverlo perché dopo, il dopo
è più orrendo e instabile del resto.
Dover prendere atto di questo:
che si è corpo e si muore.

Fuori di me

Alla follia, non badate, datemi retta!
Pensate piuttosto ai nuovi ritmi in cui
immergere la vostra vita perduta dietro
l’apparenza delle cose. Cercate l’immortalità,
l’eterna questione del mare splendente
dentro il sole di giugno che diventa nero
a notte e scompare nelle tenebre. Io
dimenticato relitto di una civiltà
passata sono il solo che piango i defunti
miraggi di un’età morta e ancora
coprendomi di ridicolo scrivo lettere
d’amore a traditi amori di un’epoca trascorsa,
la giovinezza, e ricordo lo studente
che piegava la sua retta immagine
a misurare l’angolo della sua carnale diversità,
a versare nel seno asciutto di una madre
occasionale la solitudine futura dei suoi
giorni tutti uguali. Lasciatevi andare
verso il mare della vita! Assaporatene
la musica sbiadita, e trionfatore sarà
solo il Tempo e il suo nero oltraggio, la Morte!
Mentre io ancora scriverò che il poeta
chiude in stremate parole il suo cervello
mirando il muro in alto della sua stanza
e le poesie scivoleranno via, senza pietà,
e nessun Dio le registra, incarnandosi
per un attimo.
Il ritmo non sa di mirtillo acerbo
e piegarsi sulla bianca pagina di un diario
il meglio dell’ispirazione fa in un fiato
dileguare.
Chiamatemi così: pazzo, deserto testimone
di un deserto da percorrere in una torrida
estate, senza acqua raccolta nella gobba
di un domestico dromedario, e la mia poesia
definitela con crudeltà e livore come lubrica,
oscena, interessata e manigolda consigliera
di sventura o furto di anime giovanili
in cerca di nuove reincarnazioni.
Sappiate però che brucio di gioia, di allegria
feroce dentro la mia casa buia, prigioniero
di calamitose idee, slabbrando la mia merda
in privata visione senza lo scempio
di immagini e talenti altrui. Sono un genio
geniale che la vita spassa da un dolore all’altro,
teatrale, senza ferite apparenti che non siano
d’amore, piaghe purulente lasciate da una donna
fatale che nessuno conosce. Slabbro la mia
merda in privata visione: ghirigori
collettivi e birbanti. Muratemi
in una galera con la bibbia e i santi.

Morte segreta

Ora alla fine della tregua
tutto s’è adempiuto; vecchiaia
chiama morte e so che gioventù
è un lontano ricordo. Così
senza speranza di sapere mai
cosa stato sarei più che poeta
se non m’avesse tanta morte
dentro occluso e divorato, da me
prendo infernale commiato.

Da Libro d’Amore, (1968-1981)

Delinquente mio delinquente
non lasciando Roma azzardo
contro i maschi stazionari una offesa
e falsa virilità.

Vecchi discorsi, logori, remoti
che tu con i tuoi denti adolescenti
mi spegnevi in una bocca piena di saliva.

Il tempo era ancora
un carnefice che non dava paura.

Ora esisti. So che eri lì, dal mio
rivale. Mangi ogni tanto caviale
e molte volte salti il pranzo.

Io non tramonto lentamente
ma t’assicuro di essere già morto!

Sterminate primavere d’ebbrezza
quando la carne era senza freni
e la diversità sapeva le lusinghe
più traboccanti d’incanto e di piacere
vi assista ormai l’angoscia immensa
dei ragazzi sordi che parlano con le mani
e non sanno le parole torturate per ricordarvi!

E costellate bellezze dell’inverno precoce
se alla luce dei fanali salpavano le notti
verso le albe della chiarità vanagloriosa
che allagava la stanza profonda
dei rimorsi e dei sogni del sonno.

Ora che io mio destino si rischiara
non posso fare a meno di pensare a te
lacrima eterna del mio pianto.

Intenso o soffocato il tuo amore
è l’unico suono dal tempo inviolato
che m’incanta.

L’immagine cara che non tradisce
rimane intatta; sei vicino a me, ti tocco,
ti bacio la bocca, gli occhi allegri o mesti,
tutta tutta la tua svaporata essenza
mi risveglia, accorre verso il punto
che s’estingue nel lagno delle stagioni
che richiamo alla carezza.

Le trombe squilleranno
l’incubo sordo
allora forse ti rivedrò
non più di carne
con un altro al lato
orgoglioso passerò senza saluti
nessuno più ci presenterà
il vituperio assordante
silenzioso impazzirà
i nostri detriti cervelli
dissepolti per l’ultima colta
in un’apocalisse irrisolta.

Da Angelo, 1979

Non sono né invincibile ne Dio;
ma mortale assaporo i sapori più forti della vita
e vomito, considerandomi fallito
agli occhi di Dio.
E tu, donna, vienimi incontro.
Portami in salvo. Brucia le resistenze.
Satana mi vuole perduto e peccatore.
Io devo smettere l’orgoglio
di sapermi diverso, irreale
amante dei diversi.

Ho deciso di non più frequentare la tua perfidia
Immonda di terrestre consumato dall’invidia
Delle mie celesti opere che nel mondo illuminando
La verità del destino, il fato aguzzino dei soavi
Ragazzini incatturabili dai mostri osceni e turpi
Come te, lasciano l’irrealtà, per sprofondare
Nella mia straordinaria coscienza. Dilato
Il mio giudizio su di te, corruttore di bambini
E straripante lemure che la ristorante mi afferri
E con le tue stregate pargolette di scostumato
Poeta di periferia, m’infilzi, bivaccando
Presso i barbari drogati dell’Assoluto Relativo.
Non sei niente, ma vorrei assistere al tuo funerale.
Vederti mentre mi vedi
Venire al tuo funerale senza poter obiettare
A questa assente presenza che sarei io, a lutto
Vestita, in attesa di parlare di te
Al ristorante con i miei cortigiani.

Da Io, 1975-1982

C’è un pianto dentro di me: la vita
Urlando non lascia tracce verosimili,
sfigurata allaccia amore e morte,
nella notte ingrata al sonno.

Allora si pensa ai trascorsi inganni:
so sogna. Tutto quello che in pace
importa di più va combattuto,
respinto…Che ci sto a fare? A prendere congedo
Da stanche proposte di Re Musoni
Promettitori dei vani insulti al Dio,
o calamitosi al perché di vita
ignobile e incerta? Io piango
le tetre scalee di gioventù
ove il sorpasso della mente
ai giorni, all’ore estreme
era sembiante vivo
del nostro destinato incrociarsi
in terra seminata di freschi
virgulti, tenere silee
di speranza
inquieta nel suo sfarsi.

Da Testamento di sangue, 1992 (poema drammatico)

Scena quinta

POETA

Insonnia che rapida vieni, spiega
all’illustre discepolo del niente
la vera verità dell’attimo fuggente!
Spiega che morendo s’insinua dentro
il corpo il verme distruttore
e l’anima impigrita non vuole
al Creatore, ma insana s’insabbia
ancora più giù, come un serpe
immondo che le nere visceri
non vorrebbero ospitare.
Niente resta dunque tranne il dolore,
e la fantasticheria simultanea
di una diversa fine che, principio
possibile di ogni mistero,
chiede una preghiera per trasformarsi
in niente.

Da L’avversario, 1994

L’avversario

Non furono immagini, raggianti e regali
immagini del reale salutare il mio forte:
il forte di ogni ora rimescolata, nella
siesta o controra della brame assolute.
E trascorsi i secoli in ghingheri
trasecolammo con scheletri tardivi di Musa
antiquata lungo le cime dei monti Tiburtini
invano cercati da mani infantili.
Non cercammo i cuori lacerati e indecisi
né il lieto sapore dei muscoli d’Acciaio.

Si, immagini, rumori: mai il mio forte,
il vero forte, o panforte della poesia.
Truccata idea dai sensi inquieti
o calpestati singhiozzi nel letto
ospite e ospitale, orinale mentre tendo
l’orecchio alla salita delle scale,
le mani collegiali chiuse e derise
dentro la palma umida, liquida,
vivendo al capestro le sensazioni virginali.
Stanze illuminate, poi. Garbate
ingiurie del vino, ma il giorno è
passato ormai, orfano innamorato
agitandomi in piedi, in ansia: apro
la finestra nel freddo lunare
spio la mortalità terrestre e serale:
tombale silenzio, e noia, noia
calamità naturale del poco amarsi
nel riaccendere la luce
perché svaniscano gli incerti fantasmi
della notte.

Raffaele_Ciccarone_cover

8 commenti

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8 risposte a “Dario Bellezza, Tutte le poesie, Oscar Mondadori, 2015, pp. 826 € 20 Lo stanco spettacolo annunciato nel risvolto di Morte segreta (1976), quello dell’uomo che mette in scena «un esorcismo (…) fingendo di essere un grande poeta»

  1. Mi pare che la poesia di Bellezza sia ìndice di un disagio che non riesce a risolversi.

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  2. caro Luciano,

    in arte non è importatnte il «disagio» in sé ma quanto quel «disagio» da mero dato personale si sia tradotto in una nuova impostazione del discorso artistico e poietico, non è un caso che la poesia più intelligente e innovativa a far luogo da Il mondo salvato dai ragazzini (1968) e da Invettive e licenze (1971) dipenda da il quantum di metaletterarietà presente nel testo; dato questo fondamentale non solo da un punto di vista astrattamente speculativo, ma anche sotto il profilo figurale, posto il carattere fortemente spettacolare e figurale che contraddistingue l’atto della scrittura e, in particolar modo, l’atto della poesia kitchen. È soltanto osservando all’indietro le opere letterarie del passato dal punto di vista della poetry kitchen che possiamo renderci conto di quanta strada sia stata percorsa. Penso che questo sia un dato auto evidente.

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  3. PIETRO EREMITA

    già vivente lui era destinato al dimenticatoio
    ed io ventenne a leggerlo un poco a quei tempi bastava per metterlo da parte senz’appello…

    la sua poesia (poesia? come di tanti altri suoi coetanei) nemmeno interessante, pareva forzata la sua parola che tentava di esser poesia senza riuscirvi…
    lo consideravano un poeta: non lo era affatto, lo era soltanto per quei “coatti” che lo circondavano…

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  4. Oggi l’immaginario anedonico è mantenuto in vita artificialmente tramite un respiratore e un defibrillatore. Quando vediamo un film o leggiamo un romanzo o una poesia riconosciamo subito l’immaginario che li popola. È l’immaginario a fornire l’alfabeto, il lessico, e anche la sintassi delle cosiddette «istanze di verità»; è l’Immaginario che piega alle sue ragioni le ragioni del logos. Non possiamo né dobbiamo accettare, sic et simpliciter, la certificazione di qualità dell’Immaginario che ci consegna la normologia dominante. La poiesis fa parte della visione del mondo di un’epoca storica, quindi anch’essa è un prodotto dell’ideologia normologica dei tre ordini: il Reale, l’Immaginario e il Simbolico. Che cosa significa fare «istanza di verità»?, ha ancora senso parlare di «istanza di verità»?La poetry kitchen protesta contro l’immaginario anedonico e il logos che lo racconta, protesta contro la tradizione feticizzata a non tradizione. Sono «istanza di verità» anche tutto ciò che viene espulso dalla «verità» della tradizione e che dimora nella «non verità» della non tradizione, tutto ciò che non è ritenuto degno di entrare nella «verità». L’eccedenza, i rifiuti, gli scarti del Simbolico della «non-verità» sono anch’essi parte integrante del Simbolico della «verità ipoveritativa» o «iperveritativa» che contrassegna la poiesis decorativa dei giorni nostri. È questa la lezione della poesia buffet o poetry kitchen che si limita a capovolgere l’impermeabile, l’immaginario anedonico diventa così un immaginario popolato di Avatar, di sosia, di eventi, di duplicati, di surrogati, di palinsesti, di resti, di scarti…

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  5. 12 marzo 2024 alle 8:11

    caro Gneo Gaius Fabius,

    dimmi, posso mettere l’universo in una scatola?
    il filosofo Briatore afferma che a Montecarlo quando scuoti la tovaglia cadono giù milioni di euro

    Girovagando ai confini del sistema solare ti incontro il poeta Francesco Paolo Intini col maglione a collo alto e scarpe da tennis che gioca a flipper con i bulbi oculari di Putoler, con il suo libro sotto il braccio dal titolo “Faust chiama Mefistofele per una metastasi”

    Il listino prezzi del barbiere François contempla il taglio alla nuca per € 25,00
    «Se arriva un missile lo scambio con del borotalco e delle ballerine col tutù»
    dice il parrucchiere in tono assertivo

    Les Demoiselles d’Avignon vanno in vacanza su Plutone, incontrano il poeta Antonio Sagredo che legge le sue “Poesie senili” e, spaventate, tornano indietro con la prima astronave disponibile.
    «Ci sono più cose nel borotalco che nella tua patafisica»
    «L’elefante gioca al rebus con il corvo sulla tavola periodica»
    ripete monotono il pappagallo Proust seduto su uno strapuntino del salotto
    Al “Tiffany club” il pappagallo Proust recita: «Whether it makes things better or worse depends on whom you ask»

    Nel movie “Honolulu and bikini” King Kong stende al tappeto Kim Basinger mentre grida alla telecamera:
    «This is the ideal waterflosser for the hygiene of the moon!»

    (Germanico)

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  6. milaure colasson

    … quanti poetini piccoli piccoli oggi mettono in scena il teatrino di maledettismi narcisi e artificiosi?, si potrebbe dire che oggi Dario Bellezza ha fatto scuola, i pessimi maestri hanno sempre avuto schiere di adepti, pessimi adepti che sono andati a scuola da pessimi piccoli maestri, è tutto una filiazione in discesa che non sai più dove porta questa discesa infinita

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  7. Alfonso Cataldi

    Di Dario Bellezza ricordo l’alterco con Aldo Busi a Mixer Cultura del 1986.

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  8. Simone Carunchio

    Grazie per l’accurata condivisione di questo poeta che mi ha sempre attirato (“Bellezza”) ma che non ho mai trovato modo di leggere né tanto meno approfondire.

    Molto interessante, a mio avviso, questo passaggio di Linguaglossa: “Tra una capriola stilistica e un conservatorismo linguistico si consuma il percorso poetico di Dario Bellezza incapace, come del resto tutti i suoi coetanei, di instaurare un rapporto con la Storia e con i linguaggi del nuovo capitalismo; si consuma così il divorzio dalla Storia e dai linguaggi del mondo moderno di cui non riesce a coglierne la complessità e la problematicità”.

    Passaggio che pare legarsi perfettamente a questo passo poetico di Bellezza:

    “Io
    dimenticato relitto di una civiltà
    passata sono il solo che piango i defunti
    miraggi di un’età morta e ancora
    coprendomi di ridicolo scrivo lettere
    d’amore a traditi amori di un’epoca trascorsa”.

    Non so, quindi, quanto ci sia di ‘falso’ negli scritti di Bellezza, ma pare che incarni proprio ciò che si trovi a incarnare, ossia una cultura da dopo guerra che ha lasciato l’Italia senza identità, ossia senza radici e senza rami.

    Certamente poesia che appare, almeno in parte (di cui conosco troppo poco), anacronistica.

    Qualche legame con una ‘certa’ cultura di sinistra?

    Grazie ancora per la condivisione.

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