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Donatella Costantina Giancaspero, Lettera a un poeta – Poesie di Donatella Costantina Giancaspero, Giorgio Linguaglossa, Alfonso Cataldi, Mauro Pierno, Ewa Lipska, Charles Simic, Tomas Tranströmer – con un Commento di Gino Rago

 

Gif maniglia

«quel che accade ha spezzato al pensiero metafisico speculativo la base della sua compatibilità con l’esperienza» (Th.W.Adorno) – «Sono invisibili, ma io li vedo./ A tentoni… giro una maniglia» (G. Linguaglossa)

Donatella Costantina Giancaspero
24 luglio 2018 alle 14:47 

«quel che accade ha spezzato al pensiero metafisico speculativo la base della sua compatibilità con l’esperienza» (Th. W. Adorno)

Gentile Roberto Maggiani,

da quando sono ne L’Ombra, è in assoluto la prima volta che mi trovo in una situazione così incresciosa. E mi sorprende moltissimo! Mi sorprende ricevere tale genere di rimprovero: «l’educazione vorrebbe che…». Ehi, ehi, andiamoci piano con «l’educazione»! Mi pare di essere una persona attenta e corretta, e più di un esempio può testimoniarlo. Ma veniamo ai fatti:

1. l’«invito in casa» (per riprendere le Sue parole) l’ha stabilito il nostro coordinatore, Giorgio Linguaglossa;

2. questa «casa» (ovvero la rivista) è di tutti, è libera, è di chiunque voglia intervenire, apportando con onestà il proprio contributo;

3. i commenti, a volte, possono sembrare slegati dall’articolo proposto; e qui sottolineo “possono sembrare”, perché niente, in realtà, è «fuori tema», o nasce per caso (come andrò a dimostrare proprio riguardo all’intervento di Mario Gabriele e alla mia conseguente risposta. Vedrà quanto invece sia inerente a questo articolo il senso – attenzione, ho detto “senso” – di quelli che Lei definisce genericamente «altri temi»);

4. questa «casa» non è «mia»: semmai, se proprio di qualcuno dev’essere questa casa, vivaddio!, sarà della Poesia. E qui, ne L’Ombra delle Parole, tutti hanno considerazione per tutti, almeno «un minimo», anche attraverso il silenzio, se vuole, qualora si preferisca astenersi da ogni commento diretto. Una libera scelta anche questa. E va rispettata;

5. ne L’Ombra, il fatto di «parlare con i miei amici dei miei temi» non esiste proprio, perché il web offre altre piattaforme preposte a questo: Facebook, in primis. Viceversa, nella rivista, i cosiddetti «temi» riguardano tutti, coinvolgono tutti, perché affrontano problematiche estetiche, storiche, filosofiche… In pratica, tutto ciò che può riguardare la nostra comune ricerca finalizzata a una Nuova Ontologia.

Chiariti questi punti, dirò che mi sono sentita in dovere di rispondere all’interlocutore Mario Gabriele (badi bene, ho detto “interlocutore”, perché qui siamo tutti interlocutori, prima ancora di essere amici), insomma, ho sentito la necessità di intervenire, poiché ho compreso il “senso” implicito del suo commento. E, nella mia risposta, ho inteso esplicitare questo “senso”, riproponendo la posizione di Th. W. Adorno nella sua Dialettica negativa (1966), a proposito della Poesia e dell’Arte in generale, dopo Auschwitz, dopo l’Olocausto. Il filosofo dichiara:
«nessuna poesia, nessuna forma d’arte, nessuna affermazione creatrice è più possibile. Il rapporto delle cose non può stabilirsi che in un terreno vago, in una specie di no man’s land filosofica».

Con queste parole, Adorno assume quella tragedia storica come simbolo universale della messa in scacco dell’idea di un «senso di ciò che è».
In questa condizione, il dovere del filosofo e, nondimeno, del poeta, è quello di farsi carico della realtà.

Sì, farsi carico della realtà. Quale realtà? Questa realtà. Questa nostra, del XXI secolo. Hic et Nunc il poeta deve farsi carico della propria epoca.
Molti cambiamenti epocali, e drammatici, si sono verificati nell’ultimo (quasi) ventennio. In particolare dopo le stragi delle Torri Gemelle. The day after l’11 settembre 2001, il mondo non è più, irreversibilmente, lo stesso di prima.

Dopo Auschwitz, dopo Hiroshima e Nagasaki (di cui si avvicina l’anniversario), la strage delle Torri Gemelle rappresenta la tragedia del XXI secolo che segna l’inizio della terza guerra mondiale “a pezzi” (l’ha detto Qualcuno…).

E l’Uomo? Che cosa è diventato l’Uomo? E la metafisica? «La metafisica è paralizzata, perché quel che accade ha spezzato al pensiero metafisico speculativo la base della sua compatibilità con l’esperienza», scriveva Adorno dopo Auschwitz.

E la poesia? Parafrasando Adorno potremmo dire: “quel che accade ha spezzato alla poesia la base della sua compatibilità con l’esperienza”.

A questo fanno eco le parole di Giorgio Linguaglossa nella sua «Ermeneutica» alle poesie di Roberto Maggiani: “Il mondo nel frattempo è mutato e la «nuova» poesia avverte che qualcosa è cambiato, che occorrono parole diverse, nuove, non usurate”.

Ecco il punto: dove sono le «parole diverse, nuove, non usurate», nella poesia di Roberto Maggiani? La sua poesia «è da tempo impegnata alla riunificazione del discorso umanistico e del discorso scientifico» (Linguaglossa): sì, vero!, ma non è più questo che oggi occorre alla poesia: «oggi la poesia ha bisogno di un modus dis-propriante, dis-allontanante, de-angolante…» (cit.).

Le parole appartenute all’ontologia estetica del Novecento risultano inadeguate al dire del XXI secolo. E già l’ultima parte del Novecento ha preparato la Storia al nostro cambiamento epocale. Ovvero, il «vecchio» ha spinto al «nuovo». Ora la Storia ci rovescia addosso i più tragici avvenimenti.

L’Occidente (in senso lato) è devastato. “In tutto l’Occidente”, il sole, quello che Roberto Maggiani vede “più luminoso”, “le cui dita tocchino i tetti e le strade/ come qui a Lisbona”, è morto. A Lisbona come in tutto il resto del mondo. Quella che gli appare, così elegiaca, è una visione di superficie, appunto, apparente. C’è qualcosa aldilà dei tetti, delle strade e perfino oltre le molecole, che la sua poetica non vede, non coglie. Forse sarebbe stato meglio soffermarsi su quel “sottile disagio” finale. E che il disagio, da sottile, fosse diventato “spesso”, “duro”. Invece, la poesia mette il punto e chiude. Trasvola proprio su quell’unica cosa importante: il disagio. Disagio di oggi, della nostra epoca. Disagio di vivere. Disagio che è dramma attuale dell’Uomo, al centro di un nuovo Esistenzialismo, che pone inquietanti interrogativi sulla condizione etico-civile dell’individuo. Tutti noi dobbiamo prendere atto di questo. Ma più di tutti deve farlo il poeta, perché senza tale consapevolezza non possiamo parlare di Poesia.
Il primo passo verso tale coscienza consiste nel farsi carico della realtà in cui siamo, salutando il Novecento. Senza rimpianto.

Strilli Lucio Ricordi

Versi di Lucio Mayoor Tosi – «quel che accade ha spezzato alla poesia la base della sua compatibilità con l’esperienza» (D.C. Giancaspero)

Donatella Costantina Giancaspero

Le strade mai più percorse:
esse stesse hanno interdetto il passo
– alla stazione Bologna della metro blu, una donna. Sospesa.
In anticipo sulla pioggia –.

Qualcuno ha voltato le spalle senza obiettare,
consegnato alla resa gli occhi che tentavano un varco.

Le ragioni mai sapute vanno. Inconfutate
– scampate al giudizio – per i selciati – gli stessi
ritmati di prima – gli stessi –
da martellante fiducia – nell’equivoco di chi c’era.

Per un’aria che non rimorde – l’ombra
sulla scialbatura – avvolte da scaltrito silenzio.

Strilli Gabriele2

Giorgio Linguaglossa

Omega

[…]
A tentoni. Corridoio. Andito. Corridoio.
Ambiente climatizzato. Pareti bianche, soffitto bianco,

corridoio bianco.
Un pianoforte bianco e dei bambini anch’essi bianchi.

A destra e a sinistra ci sono porte sprangate.
Saracinesche. Inferriate. Oblò.

D’istinto, mi dirigo a destra [a destra (!?)],
[perché a destra (!?)]
[…]
La prima porta, la apro.
Il sole tramonta su un mare nero.

Archi di trionfo. Templi diroccati. Colonne.
[…]
La seconda porta.
Ci sono i morti che hanno inghiottito il buio.

Sono invisibili, ma io li vedo.
A tentoni… giro una maniglia.
[…]
Apro la terza porta.
Ci sono gli uomini che hanno mangiato la mela.

Adesso sono visibili.
«Davvero, che gioco è questo (!?)».

Avanzo con circospezione, nel corridoio… c’è un terrazzo.
Una ringhiera si affaccia su un mare nero.

«Questo è il posto del Re», dice il Re di denari. Continua a leggere

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Roberto Maggiani POESIE SCELTE da “La bellezza non si somma” (2014) con una nota di lettura di Giorgio Linguaglossa – “Rubrica: Gli Autori della Nuova Generazione”

roberto maggiani la bellezza non si somma copertina Roberto maggiani forme_e_informe (1)Roberto Maggiani è un autore della nuova generazione essendo nato nel 1968, l’anno che segnò lo sconvolgimento di una intera generazione e la ribellione giovanile. Il ’68 però, è noto, non ha prodotto risultati in poesia, la sua influenza si è piuttosto sedimentata a livello molecolare sociale e nello sperimentalismo nell’arte. Leggendo questo libro di Maggiani, sicuramente il suo lavoro più maturo, si ha la sensazione che quel ’68 sia diventato archeologia, e probabilmente questo è un bene. È una poesia ottica piuttosto che sonora, punta dritto sul denotatum, sul referente, è una poesia di fotogrammi narrativi a telecamera fissa ma non è il montaggio l’elemento determinante quanto la sequenza degli oggetti osservati dall’occhio; campeggia la visione nitida e neutra, di qui la sua narratività piana, tranquilla, la materia invece è sublime: «la bellezza» che «non si somma», le belle signore borghesi che si mettono il rossetto sulla spiaggia, lo «spazio confinato di una tazza nella sua ombra tonda», «il mattino… regno degli uccelli», con improvvise allusioni a «l’universo metastabile», alle «risonanze elettromagnetiche», alle «espansioni inflazionarie». Dicevo della materia sublime (la bellezza) trattata con un lessico sobrio, prosaicizzato, privo di svolazzi, preciso, nitido, che segue la misura della sintassi, il passo breve del respiro metrico con una attenzione costante alla precisione del referente anche mediante l’impiego di espressioni del linguaggio scientifico e di espressioni aforistiche che impegnano il lettore, lo obbligano a fermarsi, a riflettere sulle giunture del discorso, sugli snodi da un piano all’altro del linguaggio. (g.l.)

da “La bellezza non si somma” (Italic, 2013) pp. 66 € 12

roberto maggiani indicibile
Regni

I

Il mattino presto è il regno degli uccelli –
le sue evidenze sono
i volteggi rapidi delle rondini nel garrito
che s’espande e si contrae
e le prime arroganze nel gracchiare
dei corvi.

 

roberto maggiani

roberto maggiani

Fetish

I

Signore e signori si va in scena
interpreti principali sono i piedi
qui esposti
l’uno in fila in fondo ai lettini.
Correndo li si tocchi
oppure li si ammiri soltanto
e si desideri la loro forma
il giro dell’impronta
nel loro appiattirsi al suolo –
il tira e molla delle dita
le unghie
il bianco della pianta.

roberto maggiani

roberto maggiani

 

 

 

 

 

 

 

Dio

Ho imparato ad evocarti
dai colori e dalle forme delle cose.

Per riconoscere la tua presenza
mi bastano la soglia di una porta
sempre aperta su un patio
e una tenda
che nella brezza sappia danzare
lentamente.

Sei come un albero
che nella sua totale presenza
si assenta nell’abitudine
dello sguardo

Io invece sono come il mio gatto
che parla ai corvi lontani:
vedendoli piccoli
vorrebbe farne un boccone –
li prega di scendere
con versi inconsulti
non sapendo della loro grandezza.

Ti cerco instancabilmente
ed è solo per la nostalgia che ho di te
che scrivo poesie.

roberto_maggiani scienza aleatoria

 

 

 

 

 

 

 

 

La paura

È un qualunque mattino di serenità:
il sole alto sull’orizzonte marino
la nuvola bianchissima nell’azzurro subtropicale
la palma ondeggiante lungomare
il frastuono dell’onda sulle pietre.

Minuti sospesi
sul baratro dell’inesistenza –
ma noi di questo non ci preoccupiamo.
Nell’Universo dal vuoto metastabile
(potrebbe disintegrarsi da un momento all’altro)
qualcuno si spaventa per una sirena
un incendio improvviso nel bosco
un forte vento.

La paura
è solo un momento in cui vediamo
riflessa nel mondo
la precarietà
della rete che ci sostiene.

roberto maggiani Angeli_in_volo
Nello spazio confinato di una tazza
nella sua ombra tonda – è la tua identità
il tuo evidente successo sul mondo:
la bellezza non sommabile del cosmo

 

 

 

 

 

roberto_maggiani_cielo indivisoStupore di un morto davanti alla vita

Credevo che non avvenisse altro
dopo di me
finisse il mondo
si fermasse – almeno
si congelasse… invece..
invece si rinnova –
continua –
per me irreale.

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ANTOLOGIA PER IL PARNASO VI – Antonella Antonelli, Nazario Pardini, Stefanie Golisch, Adriano Accattino, Ivan Pozzoni, Ambra Simeone, Tiziana Antonilli, Maria Pia Quintavalla, Roberto Maggiani, Carmelo Pistillo, Faraòn Meteoses

Antonella Antonelli in orangeAntonella Antonelli

Un’altra fuga

“E’ mia la dipendenza?”
Ti chiedo smarrita.

“E quali catene ti ho dato io?
Nessuna. Sei libera di andare,
scegliere, volermi e non volermi.
Non smetterò mai di cercarti
lasciandoti andare”

“E come faccio io senza catene?
Passa dunque da qui, la mia indipendenza?”

Togli gli occhiali,
mi fissi negli occhi
con gli occhi stanchi,
come fosse faticoso,
ancora una volta,
spiegarmi:

“elemosini amori incatenanti
per non perderti, e poi scappi
senza mai liberarti.

Una semplice evasione
la tua fuga.”
Resta appena socchiusa
la tua bocca, come volessi aggiungere
qualcosa.

“Come faccio ad amarti
se non mi tieni?”

“A catena amore, come un cane fedele?
Io non ti tengo, no.
Sei libera di andare oppure di restare.”

Ti abbraccio di slancio, stupita.
Metto la testa sulle tue gambe,
mi sfiori i ricci, li sento
aggrovigliarsi tra le tue dita.
Vorrei fossi un gigante
e io nella tua mano, ballerina,
girare sul palmo fino a cadervi.

Mi tiri su.
Metti gli occhiali
ti rimetti a leggere
metti mille libri a sommergerti.
Mille capelli sulla tua testa ferma.
E’ notte e di notte i pensieri
ruzzolano come palloni su scale popolari.
Odore di refettorio dalle porte aperte.
Il caldo si mescola, vorrei andare
una gamba piegata, l’altra pronta,
ma non mi dici niente
ti chiedo “posso restare?”
“decidi tu, amore”.

Sposti gli occhiali, mi guardi
e i tuoi occhi si muovono rapidi
sulle mie labbra incerte
“no, meglio che vada” dico
e mi sento piangere,
in silenzio, senza lacrime o scosse
dentro, come un innaffiatoio bucato.
“Peccato” dici “è già così buio.”

Ti rimetti a leggere
“allora resto” ti dico fiduciosa.
“No. Ora va.”
“S’insegna così la libertà?”
Ti chiedo altera e delusa.
Continui a leggere.
Ognuno in questo gioco ha la sua parte.
“Mi lanci un’altra sfida?”
Non mi rispondi.
Vedo gli occhiali, fili bianchi e una poltrona.
Me ne vado con il tuo silenzio.
E questa, è solo un’altra fuga.

Foto Nazario ii

Nazario Pardini

Contro le lune
Ho sempre fissa, padre, la tua immagine;
i nostri sogni, il cielo: prevedere
dure gelate a divorare pane,
piogge future ad annullare semi;
e brezze, e folate affilate
a recidere illusioni mai appagate.
Eppure si aspettava primavera
immaginando anche il suo profumo
nel suono nemico dell’urlo invernale.
È sempre fissa, sì!, la tua visione:
tronco scheggiato da lame
forgiate dal tempo;
fronda sfrascata da inverni ribelli;
idea appesantita
da troppe lune piene. Sì!, ti rivedo
ancora qui con me, padre immolato,
a regalarmi odori d’erbe offerte
alle frullane lucide di sole.

Sai, padre!
Qui non ci sono più terre feraci
disposte a dare vita
a mèssi generose;
fronde feconde
ad ospitare nidi da allevare.
Sulla tue terre crescono le case
abbracciate fra loro
come pietre di cava sopra storie
destinate a finire. Chiedo solo
– al cielo, a qualcuno, non so a chi –
che mi mantenga in seno la tua voce,
che mi mantenga in cuore il tuo sorriso,
il tuo sagrato profumato d’erba,
e la tua voglia, maledetta voglia,
di seminare sogni anche nei giorni
più neri della notte.
Contro le lune.

13/05/2013 h. 11 (inedito)

stefanie-golisch-190

Stefanie Golisch

Fly and Fall

.
Piano il giorno apre gli occhi
per salutare la mattina di fine agosto.
Ecco ciò che sta per accadere oggi:

Un uomo troverà l’amore e un altro lo perderà.
Qualcuno arriverà alla stazione giusto in tempo,
mentre un altro attenderà invano.
Un merlo sussurra nell’orecchio di un altro, che bello volare e cadere.
Qualcuno inaugurerà il giorno con una bottiglia di birra,
e un altro ascolterà a lungo l’eco dei sogni complessi.
Qualcuno scriverà una lettera scarlatta,
mentre nel cuore ferito del suo vicino non è rimasta una sola parola.
Una bambina si sveglierà dai suoi sogni notturni
stringendo il suo orsacchiotto, e una donna si sveglierà
soltanto per morire a metà mattina poiché il giorno
richiede tutto questo. Lottando scivolerà via davanti agli occhi
dei vivi nello stesso momento in cui
un pittore finalmente trova il suo blu.
Oggi sarà il mio giorno pensa il giovane,
mentre si allena, impaziente di gettarsi nella mischia.
Nella cantina di una casa abbandonata,
una gatta tigre gioca con un topo soltanto
per intrattenere la piccola cosa

Quel che il pittore non sa
è che quel blu non esiste,
ma soltanto una voce lontana,
quasi non udibile nel brusio di tutto questo fare all’amore,
morire, chiacchierare con gli amici, mangiare, bere,
spaventarsi e gioire,
impaziente di placare l’insaziabile
oggi

Adriano Accattino

Adriano Accattino

Può significare una svolta del respiro… non è più
parola, ma toglie la capacità di parlare

Forse qui, affrancatosi qui e in quale modo..
forse si libera ancora qualcos’altro

A partire da questo punto… ora può percorrere
le proprie strade… più volte

Tra le speranze vi sia quella di parlare per conto
di un Altro. Forse è concepibile un incontro..

Su questo indugia, s’azzarda… mette in rapporto
con la creatura

Nessuno può dire quanto… la pausa del respiro
duri ancora

*

Cerco la stessa cosa, la figura, in vista del luogo,
del farsi libera, del passo in avanti

Oppure tenta di percepire la figura nella direzione
che le è propria, fugge innanzi

Ben sappiamo dove vada la sua vita, dove sia
per andare: così era andata la sua vita

Gli risultava talvolta sgradito il fatto
di non poter camminare sulla destra

Ecco l’oscurità che muove da una distanza
che essa stessa, forse, ha tentato di progettare

Noi professiamo l’oscurità*

* da Poesie rubate Mimesis, 2013

Ivan Pozzoni

Ivan Pozzoni

Ivan Pozzoni

PENE D’ARTISTA

Non conosco chi è Ninnj Di Stefano Busà,
– c’aggia fa!- non appena Kairos Editore
mi chiederà ancora 200€, così da essere inserito,
con tre testi, ne L’evoluzione delle forme poetiche
La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio,
nun me resta che accettà, in modo da essere anche io migliore,
migliore di come sono, 200€ migliorano la mia scrittura,
è la vittoria dell’economia, sul conflitto tra natura e cultura.

Chi cazzo è Ninnj Di Stefano Busà?
Forse un’emula di De Signorinibus, o De Signorinibus
un emulo ermetico der medico de li mortacci,
non funziona, quando bustrofedo alle due di notte,
dopo succo d’uva e Sangria, un Bellini, Porto,
divento incoerente, una sorta di Don Chisciotte,
meglio dei vari Don Abbondio che bazzicano l’orto
dell’irta arte italiana, disponibili a versare,
non nel senso di fare versi, 1500€ a Carabba,
con lo scopo recondito di farsi pubblicare,
facendo sermoni sulla gratuità dell’arte
quando vai a chiedere 30€ di quota solidale
per sconfiggere i cartelli dell’industria editoriale.

M’inchino a Ninnj Di Stefano Busà
– c’aggia fa!- senza aver capito se è una donna, un uomo, un trans,
se è un uomo, o un trans, non m’inchino,
minchia, mi sento troppo brillo per continuare,
e non sono abituato a brillare, mi toccherà tornar da Ambra,
a letto, come un’ombra, senza far rumore,
lei mette i tappi nelle orecchie per non sentirmi battere,
io, quando batte lei, nel senso di battere al Pc,
mi metto un tappo in bocca, è meraviglioso spiarla scrivere,
di lei sono sicuro che non è un uomo, o un trans,
– svelando queste cose rischio di ritrovarmi cadavere-,
o un emulo imperterrito di Oronzo Canà
davanti alla fama imperitura di Ninnj Di Stefano Busà.

(inedito)

Ambra Simeone

Ambra Simeone

Ambra Simeone

mi prendo la libertà di quel che scrivo

e poi questa storia della libertà io davvero me la sono sempre chiesta,
che ti dicono che molte persone della tv, politici, soubrette, giornalisti, attori
e che persino molti scrittori famosi, non sono liberi come quelli che non li conosce nessuno,
perché a loro manca di fare certe cose normali, come andare a fare una passeggiata da soli,
farsi fotografare solo quando vogliono loro, fare l’amore senza dire niente a nessuno,
e che allora la notorietà non è più una questione di libertà, se dicono, che più sei noto
e più perdi la libertà di fare certe cose, come le fanno tutti gli altri sconosciuti,
ma a molti sembrerebbe una bufala, e allora non conviene essere famosi? lo dicono tutti?
io quindi me la sono sempre chiesta questa cosa qua, che forse uno è libero se non è riconosciuto
è libero se nessuno sa chi è, cosa fa e come vive, uno è libero se diventa invisibile,
e forse è proprio una bella scusa, una bella invenzione ideata da chissà quale creatore,
mah, sarà, proprio un bell’affare la libertà, che uno però non è libero di diventare famoso,
ma di essere uno come tanti, uno in una massa indistinta di sconosciuti, così ti dicono,
dunque secondo me la libertà l’ha inventata un bravissimo scrittore.

tiziana antonilli

tiziana antonilli

Tiziana Antonilli

Come si chiamava
Lei che inavvertita folgorava l’occhiaia
scomponendone il viola
si accapigliava con l’inerzia
sbranandola
ridisegnandoci
ombretto rosso sole
inanellava il blu
inarreso dello sguardo.
Sopravvive
ma solo quando l’inverno cede
e la prima rondine
posa stanchezza

allora sembra di nuovo possibile
che uno schiocco di dita
ci inabissi all’istante
ma quella sfrontatezza quanto
insegue
sanguina
esige
se è ancora?

Quintavalla

.

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.

.

Maria Pia Quintavalla
Qui, che ridiventa nido

I)

Se mi mettessi fuori a testimone,
del tempo e del mercato,
che la stessa scena ogni giorno
r i c o n c r e a

ma per meglio cogliere nel flusso
che si libera, io lenta
navigante che non sporge più
non rema a braccia a nuoto,
nuove luci arricchiscono disegnano
i suoi i fianchi flessi come l’iride.

Se testimone fossi dell’intero,
nel verso io potrei smorta
carpire un suono madido che afferra,
piega a lato in frescura,
la bocca benedice non sente più
pianti nolenti ma bambini
lesti nel correre,
che ricambiano il suo v o l o.
II)

Rivivi la tua infanzia, mentre ricrei
a Itaca, col padre
nel nome tuo familia nova che
come l’altra, drammatica insoluta

perché per crescere occorreva
essere amati, io adulta genitrice
della vita che si fa futura,
non mentore soltanto di occasione – infanzia
che si genera rifà mi pianta
intorno a un’ostrica mi incolla
alla matrice unita al male
con il bene, un arco soddisfatto
in sincronia f u t u r a.

Roberto Maggiani.

.

.

.

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.

Roberto Maggiani

da “La bellezza non si somma” (Italic, 2013)

Dio

Ho imparato ad evocarti
dai colori e dalle forme delle cose.

Per riconoscere la tua presenza
mi bastano la soglia di una porta
sempre aperta su un patio
e una tenda
che nella brezza sappia danzare
lentamente.

Sei come un albero
che nella sua totale presenza
si assenta nell’abitudine
dello sguardo

Io invece sono come il mio gatto
che parla ai corvi lontani:
vedendoli piccoli
vorrebbe farne un boccone –
li prega di scendere
con versi inconsulti
non sapendo della loro grandezza.

Ti cerco instancabilmente
ed è solo per la nostalgia che ho di te
che scrivo poesie.

Carmelo Pistillo aprile 2012_

.

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Carmelo Pistillo

LEI È QUI, DENTRO DI ME…

Lei è qui, dentro di me,
mi offre i sensi, torce
il suo orizzonte.

E’ in ginocchio e grida
vivi, ma io piango,
e non so quanto
il mio seme cerchi
luminescenze nella sua bocca
o quanto le sue trecce
siano già corda spezzata.

Tutto è stato così lento,
la mia testa fra le sue gambe,
le mie labbra sulle sue.

Siamo saliti e scesi
su ogni errore.

Come acrobati nell’elegia,
come acrobati nell’elegia.

Stefano Amorese

.

.

.

.

Faraòn Meteoses (pseud Stefano Amorese)

Inghiottitoio
(estratto)

1
Mi macera dentro per la malora
una congettura contraddittoria,
per di più di un’idea dannata
dapprincipio premeditata sotto una pensilina…
mal sopportata assai
da quel pregiudizio altrui dissuaso mai
dalla supremazia degli Àrcadi e degli aedi:
una tara ereditaria intrinseca
che sempre di più mi estranea dalle virtù degli Avi…
un’interferenza, che mi elide acidula
una vocale atona…
un sapore amaro che mi sgocciola
nell’ingestione di una Sostanza càustica…
una Bestia onnivora che mi guaisce in petto:
un autoritratto a tempera, se lo si preferisce…
una frenesia che si perpetua assidua
che mi adùltera e mi deteriora
per questo testo d’inconsistenza,
che da un incubo si è ingenerato
e che m’ingerisce…
in un buco nero divaricato.

2
In una foiba
che m’affascina fabulosa,
che non mi dice nulla
e che non ha favella…
che sia in quell’avello disseppellito
dall’unghia ippocratica del terapeuta,
che con beneficio di inventario e di bioenergetica,
mi strizzò il cervello nel sotterraneo,
cagionandomi intimamente
un malumore putrido di morfina:
una magodìa, che anche ad oggi, mi sopisce appena…
ossia il dialogo di me stesso con il mio sosia,
una messa in scena di un ricordo nitido di ciò che sono:
una comparsa anonima entro una proiezione
per chi desidera esserne l’autore.
In una simbiosi insolita, in un torbido malinteso
con il mio congenito parassito
e con l’ospite, che mi molesta e che mi fu inatteso:
un pretestuoso… un presunto me,
che non si attenua né si rasserena
nemmeno per una semicroma suonata dall’aulète
ubicata all’imboccatura…
in cui sprofondo in un tonfo sordo,
in un grido acuto…
che ormai mi ha asfissiato esausto
e compiuto nel mistero,
così come mi fu esposto
dal mio viatore muto,
col quale ho convissuto,
in cui sono compreso
e tutto ho condiviso.

 

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ANTOLOGIA IV PER IL PARNASO – Roberto Maggiani, Giuseppe Panetta, Chiara Moimas, Sabino Caronia, Giuseppina Di Leo, Marzia Spinelli, Davide Cortese, Stelvio Di Spigno

Parnaso 1

roberto maggiani

roberto maggiani

Roberto Maggiani

La paura

È un qualunque mattino di serenità:
il sole alto sull’orizzonte marino
la nuvola bianchissima nell’azzurro subtropicale
la palma ondeggiante lungomare
il frastuono dell’onda sulle pietre.

Minuti sospesi
sul baratro dell’inesistenza –
ma noi di questo non ci preoccupiamo.
Nell’Universo dal vuoto metastabile
(potrebbe disintegrarsi da un momento all’altro)
qualcuno si spaventa per una sirena

un incendio improvviso nel bosco
un forte vento.

La paura
è solo un momento in cui vediamo
riflessa nel mondo
la precarietà
della rete che ci sostiene.

 

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Giuseppe Panetta

Il cuore assente per il troppo battito
gli occhi riversi nel bagliore di compassione
e la luce del lavacro torbido di Giove prono nella galassia
antigene del Potere asfittico pronipote di Venere distributrice
di bevande nell’aferesi della prima spremitura di nube con la sorte
della grappetta dei fogli pidocchiosi d’inchiostro dall’alto del satellite cieco
il profilo del malaffare planetario pesca nell’idolatria rinsecchita del dio denaro
in rivoli di melma di una qualsiasi povertà che vìola e recide la protostella al nascere
della galassia del vivere nell’infrarosso interagente nel libertinaggio masturbatore
d’ogni fibra oftalmica avvelenatrice del rimpatrio delle stelle dell’orsa maggiore
che guidano i disperanti nel mare nostrum della sera con diaspore di sconforto
di speranza nei frangiflutti delle luci morte delle supernove che come fari
d’ogive e distruzione di gas e polveri in luogo del seme rifuggono
nel procellarum muto l’oscurità il riassetto del mondo per mano
d’uomo e in questo primo quarto il nulla a-cosmico
come un corno d’Africa porta fortuna

Chiara Moimas

Chiara Moimas

Chiara Moimas

Preziosamente

Zaffiri stemperano il cielo e l’orizzonte,
acquamarina fresca zampilla dalla fonte,
rossi rubini a coprir l’occiduo sole
e d’ ametista i petali delle nascoste viole.

Smeraldi intensi sopra i pendii e sui prati,
coralli e lapislazzuli son fiori profumati,
stille di diamanti paion gocce di rugiada
e sopra le tue palpebre il pallore della giada.

La notte si accende, son topazi le stelle,
ed è d’ambra dorata la tua pelle,
boccioli di corniola i pruni del tuo seno
racchiusi nel cristallo i colori del baleno.

Bisso prezioso e casto a ripararti il pube
e incenso conturbante che avvolge in una nube.
Un’ostrica ho divelto per cullare il tuo riposo;
opalescente perla, che toccar non oso.

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Sabino Caronia

da Diario di un’assenza

È il vuoto che mi lasci la mia vita.
No, non manca la sedia ma il tuo posto
e più manca la voce e più il silenzio
dell’averti qui accanto, di quei grandi
occhi perduti che lasciano il mondo.
Anche la chiara luna su nel cielo
solitaria di te nel buio splende.
Tutto intorno è il diario di un’assenza.

A distanza

A distanza, dai luoghi che traversa
l’ansia d’averti, come sai, ti chiamo
ed una gioia sento in me diversa
a cui m’arrendo come pesce all’amo.

Tutta la vita in fondo è cosa persa,
l’inganno di un inutile richiamo,
la filastrocca bella e un po’ perversa
che ci seduce con il suo “ti amo”.

Pure resta un ricordo: l’usignolo
che cantava nel bosco ed era solo
e l’ombra che scendeva nella sera

dalle ciglia, materna ombra severa,
e gli angoli incurvava della bella
bocca altera e distante come stella.

 FOTO G. DI LEO

Giuseppina Di Leo

Un uomo dai quattro occhi ho guardato
due li aveva nel petto sotto la camicia
ronzavano alla maniera di un animaletto
ali le ciglia sbattevano segretamente
senza esser visti divoravano
l’eccesso del cuore facendolo sterile
gli occhi del viso erano gioiosi
si posavano curiosamente
sui platani dal bordo castano
stimme verde arancio o di morfea
nella morfallassi di un tempo intero
avanzavamo a scoprire genesi e genere
a un’età dove riposto è già ogni sgomento
con altri occhi somiglianze non ve n’erano
mai ne avevo visti di così belli;
ma i due occhi nel petto
non mi fu possibile guardare
né mi preoccupai invero di scoprirli
segreti ammorbavano chiarori in lampi
e, allontanandomi, essi trafissero il dolore.

*
C. M. E.

La cenere nuota nell’acqua
di un bicchiere mezzo vuoto.
Una cicca di primo mattino.
Qualche scatto assestato per bene
tra piccoli fiori coltivati ad arte
nel piccolo giardino davanti
l’alloggio, e se puoi dimmi
al risveglio cosa ricordi
se il bacio sulle labbra
a quale parola associare.

Aria fresca e avvio di un motore
un pensiero anche
apertosi tremando
come noi tremiamo.

Spinelli foto

Marzia Spinelli

Ti ho cercato in ogni deserto
per le strade di questa odorosa
amorosa città
ho scavato nella terra
e abbracciato la carne
disegnando un sorriso
un suono della tua voce
un profumo tuo
nel giorno
che continua il sogno di te
della notte, di notte qualcosa di te
ho immaginato
la tua lucente armatura d’eroe
e il mio abito di fanciulla perduta
per entrambi
in un trasparente corpuscolo
nella grana ruvida delle stelle
nell’aurora una nuova sembianza di noi.

(inedito)

davide corteseDavide Cortese

Vomito boschi dalle erbe odorose,
unicorni dalle storie millenarie.
Con un solo filo dei miei pensieri
giovani marinai dimenticano il mondo
intrecciando con dita di scheletro
gasse degli amanti e nodi dai nomi
che i loro figli mai nati
non smettono ancora di inventare.
Ciò che si muove nel mio ventre
è l’intero mondo,
bagnato fradicio, fino al cuore di fuoco,
dalla pioggia splendente della vita.
Ma sarò solo una gabbia d’ossa
se ora tu non verrai ad amarmi.
Sarò il cimitero dei miei popoli iridati,
degli arcani baciatori,
dei miei incendiari poeti.
Sarò maestoso nubifragio di tristezze
se solo tu ora non verrai.

(da “Anuda” Aletti 2011)

Elvio Di Spigno

Stelvio Di Spigno

Barcarola della fortuna

A Stefania Buonofiglio

Fai brillare i cavalli al tuo treno perché
è soltanto miseria il nostro mondo, anche se
si affaccia a rincuorarti mentre cammini
ai bordi di una foto, su Positano inusitata
di colori e di acacie, e a lungo la faccia che hai
perde il verde del suolo primitivo.

Brevettammo universo e allegria, come a metà
del Novecento i nostri avi, entrambi contadini,
ma su due facce di cielo distanti in fascine,
poi vennero i giorni di caduta, ora ricordo
che fosti incinta di me come una madre,
mi curavi e cercavi, mi adottavi e viravi

la tua barchetta molle delle astuzie marine
verso un’isola dove restasti sola, drammatica,
a morire di sghembo, senza essere chiamata,
più da nessuno da quel giorno, dolcezza,
signora, amore, pietà, larghezza amata.
Restano tra i vivi gli olivi calabresi,

il filmino della casa, l’anno 2006, la mente andata,
e ogni nuovo volto è un dolore che affoga:
popolammo il motore della fine, quando
tutto cominciò, in un giorno di carta, ere fa,
nessuno ancora l’ha scritto o l’ha tradito,
perché a ogni fatica noi affondammo insieme.

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Roberto Maggiani Poesie da “La bellezza non si somma”, inedito (2014)

Roberto MaggianiRoberto Maggiani è nato a Carrara nel 1968, vive a Roma, dove insegna. Laureato in Fisica all’Università di Pisa, è divulgatore scientifico e poeta. In particolare si occupa del rapporto tra poesia e scienza. Ha fondato, insieme a Giuliano Brenna, la rivista letteraria libera LaRecherche.it, di cui è coordinatore di Redazione, e per la quale cura la collana di e-book “Libri liberi”. Questa è la sua tredicesima raccolta di poesie. Suoi testi e traduzioni dal portoghese sono pubblicati su varie riviste letterarie e antologie. Continua a leggere

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