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La cultura è spazzatura e l’arte ne dipende come la nettezza urbana dall’immondizia, di Giorgio Linguaglossa, Poesie di Tiziana Antonilli, Marie Laure Colasson, Nell’ambito della comunicazione globale, arte e nettezza urbana vanno a braccetto, Il Bello e l’immondizia

foto 4 galline

Giorgio Linguaglossa

La cultura è spazzatura e l’arte ne dipende come la nettezza urbana dall’immondizia

La cultura è spazzatura e l’arte ne dipende come la nettezza urbana dall’immondizia. Parlare di contenuto di verità a proposito dell’arte moderna è come parlare di immondizia dello spirito.

L’oggetto dell’estetica è qualcosa che non sta né qua né là. E l’arte non ha modo di acciuffarlo, se non con l’accalappiacani o l’acchiappafarfalle. In ciò, il concetto di arte è affine a quello delle nuvole. È un concetto rarefatto. Un concetto meteorologico.

L’arte che vuole essere fondazionale, si ritrova ad essere funzionale, perché l’arte non fonda più alcunché tranne la propria metessi con lo spirito fatto di immondizia. Così, l’arte scopre la propria natura meteorologica e merceologica. L’arte suprema è la forma suprema di merceologia dello spirito.

L’arte suprema di Baudelaire ha mostrato che quella «promesse du bonheur» che essa promette è, in realtà, una truffa, in quanto nella società delle merci essa è sempre meno sicura della propria esistenza e della propria sopravvivenza. L’arte però risponde alla propria insussistenza con il ritorno del rimosso, ripresentando ogni volta quella promessa fedifraga sapendo della menzogna, ma tacendo. Ed ecco come il silenzio si insinua nella sua struttura con il ritorno del rimosso. Baudelaire ci ha mostrato in maniera indiscutibile quanto quella «promesse du bonheur» sia una truffa dello spirito servile e quanto la pacchianeria sia vicina all’arte nella sua più alta forma di espressione.

«L’oggetto dell’estetica si determina come indeterminabile, negativo. Perciò l’arte ha bisogno della filosofia, che la interpreta, per dire ciò che essa non può dire e che però può esser detto solo dall’arte, che lo dice tacendolo. I paradossi dell’estetica le sono dettati dall’oggetto: “Il bello richiede forse l’imitazione schiavistica di ciò che nelle cose è indeterminabile” (P. Valéry)

«Il momento ripetitivo del gioco è copia del lavoro non libero, così come la forma di gioco che domina al di fuori dell’estetica, lo sport, ricorda obblighi pratici ed adempie incessantemente la funzione di abituare incessantemente gli uomini alle esigenze della prassi…».

(Adorno Teoria estetica, Einaudi, 1970)

Il Bello, concetto contraffatto e ingenuo, presuppone sempre la borsa della spesa, la sporta piena di delizie dolciarie da supermarket. Dà l’illusione del piacere dell’immediatezza. E invece è il piacere dell’immondizia. Il momento del piacere nella fruizione di un’opera d’arte, non può essere intuitivo né immediato se non nella forma rozza del realismo ingenuo, che ingenuo non è affatto perché sottoposto alla mimica e alla mimesi del «reale». Il problema si ripresenta sempre allo stesso modo. E risponde alla eterna domanda: Quest’arte è realistica? È rispondente ai criteri di ciò che intendiamo per realismo?

Il fatto è che nell’epoca del crescente impoverimento dello spirito oggettivo, di fronte al factum brutum dell’obiettività sociale, l’arte è costretta a dichiarare bancarotta e a recedere a ironizzazione dello stile floreale, a parodia dello stile.

Quindi, stabilire che cos’è il «reale» e che cosa intendiamo per reale è sempre prioritario per l’arte che non voglia apparire in funzione decorativa o utilitaristica. Però, l’arte che va a letto con il «reale» recita la parte della concubina fedifraga, e non è neanche tanto seria quanto vorrebbe apparire. Epperò, la poca serietà dell’arte è sorella della sua natura fedifraga.

«Mediante la moda l’arte va a letto con ciò cui è costretta a rinunciare e ne trae forze che si atrofizzano sotto la rinuncia; senza di questa, tuttavia, l’arte non ci sarebbe. L’arte, come apparenza, è il vestito di un corpo invisibile. La moda è il vestito come assolutezza. In questo la moda e l’arte si capiscono». (Adorno, op. cit. p.447) – «Il concetto di corrente alla moda – moda e arte moderna sono termini linguisticamente affini – è un caso disperato« (Adorno, op. cit. p.447)

Direi che la moda è il vestito del corpo visibile, e l’arte di quello invisibile. Metessi della Moda e dell’arte.

Nell’ambito della comunicazione globale, arte e nettezza urbana vanno a braccetto. Quel tanto di spirito soggettivo che trasuda dai suoi belletti, richiama alla mente l’abito della Signora Sosostris.

Un consiglio ai giovani poeti:

Frequentate l’obitorio più spesso, lì c’è qualcosa che la Musa non disdegna. Ma ci sono anche la discariche abusive frequentate dai gabbiani e dal Signor Socrate, il quale apprezza fuori misura questo moderno peripato…

La Weltanschauung giudaico-cristiana è finita nell’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari. Dopo duemila anni di cristianesimo siamo diventati dei pazienti che cincischiano sul lettino di Freud. Riduciamo tutti i problemi alla loro verificazione e falsificazione. Se veramente vogliamo dare un senso alla poiesis possiamo ricorrere al bricolage e alla giardineria, è preferibile.

Tiziana Antonilli

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Tiziana Antonilli è nata a Campobasso dove insegna lingua e letteratura inglese. Ha pubblicato Incandescenze  (Ed. del Leone), Pugni e humus  (Tracce) e  Foglia del vostro ramo, silloge poetica vincitrice del Premio Montale in 7 Poeti del Premio Montale (Scheiwiller, Milano, 1997), e il romanzo di denuncia Aracne  (Ed. Il Bene Comune). È presente nell’Almanacco  poetico iPoet (dodici poeti italiani), LietoColle, 2016. Nel 2018 pubblica Le stanze interiori (Progetto Cultura, Roma)

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Ha usato il tuo coltello preferito

con mano ferma

come tu le hai insegnato

poi sugli orli della ferita

ha spalmato il tuo rossetto cruelty free

così potrai parlarne in giro.

Perdonerai il delitto?

Era solo per cercare empatia

già domani diventerà merce di scambio

e il coltello tornerà nella tua mano Continua a leggere

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Paradigma dello Specchio – Quindici poesie e prose per quindici poeti a cura di Gino Rago – Poesie e prose di Silvana Baroni, Gino Rago, Ghiannis Ritsos, Guido Galdini, Giuseppe Talia, Mario Gabriele, Zbigniew Herbert, Donatella Costantina Giancaspero, Jorge Luis Borges, Francesco Lorusso, Mauro Pierno, Francesca Dono, Giuseppe Gallo, Lorenzo Pompeo, Lidia Are Caverni, con un Commento di Giorgio Linguaglossa

Gif La noia

Nota di Gino Rago

Gran parte delle ragioni che mi hanno spinto a indagare nella poesia contemporanea, e di questa [per me la più avanzata] dei poeti scelti e antologizzati, il confronto lirico-dialettico con il paradigma dello specchio è condensata nella missiva a me diretta da Giuseppe Talia, che riporto:

«Caro Gino Rago, è molto interessante questa indagine sullo specchio che stai conducendo in queste pagine. Che cosa è lo specchio se non la storia delle generazioni che si succedono nel corso del tempo. E’ impossibile esprimere – scrive Tarkovskij – la sensazione finale che questo tipo di ritratto produce su di noi. Secondo Lacan, attraverso lo specchio il bambino arriva, attraverso varie fasi, a riconoscere se stesso separato dagli altri e di conseguenza prende coscienza di sé. Ciò che si verifica davanti allo specchio è la costituzione del proprio Io. Il riflesso speculare ricopre per il bambino il ruolo che il Doppio assume per il conflitto narcisistico nell’adulto. Questo testo che ti sottopongo è interamente calato nell’odierno narcisismo, nella doppiezza in cui però la costruzione del proprio Io porta con sé una malattia: la metafora di Nietzsche sul cammello, per esempio. La passione per la libertà, la passione per la creatività, come afferma Massimo Recalcati, non è la passione fondamentale, la passione fondamentale che orienta la vita umana è la passione per le catene. Ecco che allora il set del mio testo è in una palestra, luogo di fatica, di costruzione di un corpo che non è il corpo, quanto, invece, l’idea di corpo. Un luogo di tortura medievale, almeno così io l’ho inteso, con il mio stile».Altre ragioni non meno urgenti a sostegno della idea di indagare la Poesia verso il paradigma dello specchio derivano direttamente dalla domanda che Giorgio Linguaglossa pone alla filosofia:
«C’è una differenza ontologica fra l’immagine allo specchio e l’immagine che sta nella mia testa?», partendo dalla Dialettica negativa [pag.68] di Adorno:«Lo specchio è un concetto aporetico per eccellenza, perché converte il più concreto nel più astratto, e quindi il più vero nel più falso. In ciò lo specchio è l’esatto contrario dell’essere, concetto anch’esso aporetico in sommo grado, perché quest’ultimo «trasforma il più astratto in più concreto e quindi più vero».

I quindici poeti antologizzati hanno in comune una cifra che nella scelta operata è stata per me decisiva: la tensione metafisica, se non mistica, che emerge dai loro versi. Cifra che induce questi poeti a confrontarsi con il mondo visto da uno specchio attraverso il quale scorre la vita, esprimendo o anche soltanto accennando l’indicibile, senza la pretesa di possederne le risposte. Sotto lo sciame degli aerei da bombardamento, il lettore continui a tagliare il suo cocomero.

1- Silvana Baroni

Persa e ritrovata

Semplice, più che semplice
si tratta di allontanarsi e tornare
che non è altro che attraversare – di questo si tratta.
Sul bordo dello specchio schivo il taglio
un colpo di reni e libera! carne igienica finalmente!
Così da non rispondere all’insistente centralino
e smetterla d’appassire nella solita poltrona
a dire al gatto che il filosofo è un disperato assassino
d’omicidi ininterrotti.
Oh vitreo viso! Alveo di buio da cui risorgere!
Certo che mi vedo! Ho la faccia dei miei morti
sono il sosia d’una comunità di conclusi.
Eppure esito, che il sentimento è un lusso
preferisco negarmi, farmi vedova d’oscura innocenza
tornare all’immagine sbaciucchiata, persa
e ritrovata da labbra settembrine
che nel fascio di luce dello specchio ancora son gesti
a garanzia d’accoglienza, giusto il tempo
di stringermi ad ogni loro dettaglio.
Scivolo nei bulbi, attraverso il diametro delle sfere
mi perdo nel tempo perso dalla luna, nel riflesso di lei
che ancora vuole che io sia.

 

2 – Gino Rago

il Vuoto, lo specchio

Cara Signora Jolanda W. ,

[…]
Il mio amico [di Roma]*, quello che si occupa del Signor Nulla,
litiga di nascosto con lo specchio.

Lo fa tutti i giorni, non dategli molto credito,
dice che fa i conti con il Vuoto,

Il Vuoto che capta altro Vuoto.
Il tempo cade sotto forma di polvere, opacizza l’immagine,

sbiadisce le fotografie, scontorna il presente, il futuro e il passato,
il mio amico se la prende con il Signor K.

Una donna, la sgualdrina di Vivaldi, fa un valzer con il primo che passa,
Mario Gabriele mangia una Sacher con panna,

lo vedo attraverso la vetrata della Gebäck der Prinzessin Sissi.
Che volete, i miei amici, quelli della nuova ontologia estetica,

hanno un debole per le pasticcerie.
Adesso lo vedo allo specchio mentre si rade la barba e fischietta.

Una risata da dietro i gerani.

*[Il mio Amico [di Roma] è Giorgio Linguaglossa]

 

3 -Ghiannis Ritsos

Quarta dimesione [da Crisotemi ]

” […] In una grande stanza disabitata era appeso da anni
un antico specchio dalla cornice d’oro. In quella stanza
non entrava nessuno. Là dentro gettavano alla rinfusa
tutto il vecchiume inutile – lampade, poltrone, candelieri, tavolini,
ritratti di antenati e altri di generali deposti, di poeti, filosofi,
vasi di cristallo dalle forme strane, treppiedi, bracieri di bronzo,
grandi maschere di gesso o di metallo, e altre piccole di velluto nero,
teste imbalsamate di cervi e fiere, uccelli
multicolori impagliati, azzurri e d’oro, dai becchi adunchi-
di cui ignoravo il nome-
attaccapanni, armature, consolle e tende pesanti,
di solito color porpora o verde scuro. Quello era il mio rifugio.

C’era un odore di stoffa tarlata, di polvere e frescura. Dunque,
lo specchio, appeso in alto sul muro, concentrava tutta quanta la luce-
era l’occhio
della stanza cieca piena di anfratti.
Quell’occhio
regnava calmo e intramontabile sull’inservibilità e la desolazione,
anzi le immortalava; – memoria sacra nell’oblio profondo.
Una sera,
salii su un baule e mi guardai allo specchio; – non vidi niente –
niente, soltanto luce – una luce oscura, come fossi io stessa
tutta quanta di luce – e lo ero veramente. Compresi, allora,
(o forse ricordai) ch’ero sempre stata luce. Un ragno
passeggiava sul chiarore dello specchio e sul mio viso. Non
mi spaventai affatto” […]

 

4- Guido Galdini

Specchio

è uno specchio per le allodole
o sono allodole per lo specchio
o le allodole sono lo specchio?

Tiziano Scarpa

Pagina del nuovo libro di poesia di Tiziano Scarpa uscito da Einaudi – Ecco qui un mio commento:
parafrasando Charles Simic:
La storia letteraria è un libro di ricette. Gli editori sono i cuochi. I filosofi quelli che scrivono il menu. I preti sono i camerieri. Gli scrittori sono gli operatori ecologici. I critici letterari sono i buttafuori. Il canto che sentite sono i poeti che lavano i piatti in cucina.

5 – Giuseppe Talia Continua a leggere

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Aldo Mastropasqua IL CONTRASTO PASOLINI – SANGUINETI

p.p. Pasoini e peppino de filippo in totò diabolicus

totò e peppino de filippo in totò diabolicus

p.p. pasolini e orson welles in La ricotta 1962

p.p. pasolini e orson welles in La ricotta 1962

ninetto davoli in Canterbury di p.p. Pasolini

ninetto davoli in Canterbury di p.p. Pasolini

da leretidedalus.it

Mezzo secolo fa, 1963, nasceva il gruppo 63, al centro oggi di giuste celebrazioni. Ma il 1963 è anche l’anno in cui Pier Paolo Pasolini firmava la sua terza regia cinematografica dopo Accattone (1961)e Mamma Roma (1962). Si trattava – come è noto – della Ricotta, terzo episodio del film Ro.Go.Pa.G. che prendeva il titolo dalle iniziali dei quattro registi coinvolti: Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti.  Non starò qui a ricordare le caratteristiche di questo film, nel quale i quattro registi si confrontavano con il tema della perdita d’identità nell’Italia della modernizzazione, del boom e della incipiente società  del consumo.  Pasolini toccava il tema della perdita del sacro, inventando, con il sarcastico stratagemma del cinema nel cinema, le figure contrapposte di Stracci, sottoproletario eternamente affamato, che nel film sulla passione di Cristo deve interpretare la parte del buon ladrone, e del regista, affidata al mitico Orson Welles, doppiato dalla voce di Giorgio Bassani. Non sto qui a ricordare gli elementi che rendono memorabile questo episodio del film collettivo, dall’uso insieme del colore e del bianco e nero, alle innumerevoli citazioni figurative (le deposizioni di Pontormo e di Rosso Fiorentino), letterarie e filosofiche (da Jacopone da Todi al Capitale di Marx, fino alle autocitazioni) e anche musicali (da uno scatenato twist, alla Traviata, fino a Bach, Scarlatti e Gluck) per non parlare di quelle cinematografiche.  Mi voglio riferire invece all’intervista che sul set, appollaiato sulla sua sedia, il regista rilascia controvoglia a un impacciato e intimidito giornalista di Teglie-sera. Eccone il testo:

 

p.p. pasolini e orson welles in La ricotta 1962

p.p. pasolini e orson welles in La ricotta 1962

 

pasolini orson welles-ne-la-ricotta

pasolini e orson welles sul set de La ricotta

orson welles legge Mamma Roma di Pasolini

orson welles legge Mamma Roma di Pasolini

Tegliesera: – Permette una parola? Scusi tanto, forse disturbo? Sono Pedoti del Tegliesera.

Regista: – Dica, dica.

Tegliesera: – Permette? Vorrei da lei una piccola intervista.

Regista: – Ma non più di quattro domande.

Tegliesera FC: – Aaaah! …Grazie.

Tegliesera: – La prima domanda sarebbe: che cosa vuole esprimere con questa sua nuova opera?

Regista: – Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo.

Tegliesera FC: – … arcaico cattolicesimo.

Tegliesera: – E…cosa ne pensa della società italiana?

Regista: – Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa.

 

Terminata l’intervista con altre due domande, una sulla morte e una su Federico Fellini, il giornalista dopo aver ringraziato sta andando via, quando il regista lo richiama e inizia a leggere una poesia: «Io sono una forza del passato…», al termine della quale chiede al malcapitato che cosa ha capito. Al balbettamento del giornalista , il regista, imperiosamente:

 

Accattone film di p.p. pasolini

Accattone film di p.p. pasolini

 Scriva, scriva quello che le dico: lei non ha capito niente perché è un uomo medio. È così?

pasolini orson welles io sono una forza del passato

pasolini con orson welles sul set di La ricotta

pasolini giovane con il padre

pasolini giovane con il padre a Roma

Tegliesera: – Beh, sì…

Regista: – Ma lei non sa cos’è un uomo medio? È un mostro. Un pericoloso delinquente. Conformista! Colonialista! Razzista! Schiavista! Qualunquista!

Tegliesera: – Ah ah ah ah!

Regista: – È malato di cuore, lei?

Tegliesera: – No, no facendo le corna!

Regista: – Peccato, perché se mi crepava qui davanti, sarebbe stato un buon elemento per il lancio del film. Tanto lei non esiste. Il capitale non considera esistente la manodopera, se non quando serve la produzione. E il produttore del mio film è anche il padrone del suo giornale!… Addio! Continua a leggere

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