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Giuseppe Talìa:  Omaggio per L’Ombra delle Parole: Poesie per Alfredo de Palchi (Giove), Antonio Sagredo (Marte), Giorgio Linguaglossa (Urano), Salvatore Martino (Saturno), Ubaldo de Robertis, Flavio Almerighi, Anna Ventura, Annamaria De Pietro, Antonella Zagaroli, Letizia Leone, Sabino Caronia, Giuseppina Di Leo, Donatella Costantina Giancaspero, Ambra Simeone

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L’ALMA e il GESTO

Appunto di Giuseppe Talìa

L’alterazione paradossale che sottolinea la realtà attraverso la simulazione, l’interrogazione, per mezzo di un procedimento speculativo nei sistemi estetici, come quello di K.W. Solger, viene solitamente considerata costitutiva dell’arte. L’antifrasi e l’eufemismo significano ribaltare, per sopravvivenza fisica e mentale, l’ironia in autoironia, distaccarsi dall’estetismo per una dimensione più etica.  Ecco, questo è uno dei tanti profili che mi rappresentano.

Ma qual è stata la molla di questi frizzanti schizzi a Voi dedicati, care amiche e amici dell’Ombra delle Parole? Un cadeaux, una semplice come complessa traslitterazione di fatti analitici, psicoanalitici, qualche volta una semplice foto o l’impressione di un verso letto e che è rimasto nel substrato inconscio della comunità poetante di cui mi sento parte.

E come un artigiano che si rispetti ho dispiegato gli arnesi giusti su un piano geometrico adeguato e tessuto l’ordito: per ognuno di Voi, amiche e amici, sei versi, forme chiuse e forme variabili, citazioni, carattere, un qualche segno indelebile impresso nell’anima, una tradizione e un simbolo cosmologico abbinato che penso vi rappresenti nell’almagesto dell’unicità.

Questo gioco semi-serio, in cui si possono rilevare tracce di Palazzeschi, Stecher, Szymborska come di altri, l’ho iniziato con l’intento di omaggiare i Poeti costituenti del momento, Alfredo de Palchi (Giove), Antonio Sagredo (Marte), Giorgio Linguaglossa (Urano), Salvatore Martino (Saturno), per continuare con gli amici con cui tengo una corrispondenza, Ubaldo de Robertis, Flavio Almerighi e con le Poete e Poeti che stimo, Anna Ventura (nodo ascendente), Annamaria De Pietro, Antonella Zagaroli, Letizia Leone, Ambra Simeone, Sabino Caronia, Giuseppina Di Leo, Donatella Costantina Giancaspero (nodo discendente), anche se non sempre i miei commenti a riguardo, lasciati sul blog dell’Ombra delle Parole, sono stati gratificanti: ubi maior minor cessat.

Sono quattordici costellazioni più una, misteriosa, che in ogni gioco che si rispetti tocca al partecipante indovinare a chi è dedicata e perché.

Con i miei migliori Auguri per un poetico e sempre più comunitario 2017. Evviva (è viva) la Poesia.

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A Alfredo de Palchi

Cielo d’agosto e Zefiro che lucida l’occhio concavo
Lo sputo delle stelle per un’ora d’aria nel periplo della pena
Le unghie spezzate nel quadrilatero dell’Ades*
Tra sessioni scorpioni e paradigmi la gatta Gigì incatena
Una Storia più grande degli anni e della stessa presenza
Che pone l’Essere nella forma di una galassia antenna

*Adige, e non solo

A Anna Ventura

Nella costellazione di Eridano vi è una corposa nebulosa
La testa di una Strega ascendente nella selva circumpolare
E allatta Coefore massicce con l’alamaro quando uno zio
Coniglio (sorta di ricordo fotoevaporante o stella brillante)
Con Torquemada Tauri icastico e mostrino lavora di fino
E al je m’en moque dell’aguzzino oppone un tu quoque (?)

A Antonio Sagredo

Bayer ti diede il nome o forse solo il suo cognome
Figlio di una costellazione inconsueta come
La Nave di Argo nel coelum dei frangiflutti
Con una Nereide dissipata in un soprannome
Spoliazione della Colchide e dei suoi frutti
Smembrata senza rotta e con i remi asciutti

A Letizia Leone

Summa creata e sola virtute della cometa nera
Tra un debole Cancro e una vasta Venere eclittica
Chi dona speranza dona vita alle stelle bambine
Della costellazione madre di tutte le galassie
Con poche mandorle per confetti d’un matrimonio
Nei primordi mai consumati del Tutto in un granello

A Giorgio Linguaglossa

I frantumi dei giganti gassosi del Tempo e del Padre
Bande magnetiche di stelline soffiate dalle Parche
Graie con stami fusi e cesoie gli ombelichi mortali
Corpi minori negli editoriali di una qualche cometa
E rari ammassi di luce nelle effemeridi siderali
I transaturniani evoluti imprevedibili e rivoluzionari

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A Antonella Zagaroli

Fortilfragile volpina nell’eterno presente sei Cassiopea
Della via Lattea e Anfitrite ti tagliò i lunghi capelli biondi
Da allora come ora riesci dal tempo e ti ritrovi Gilania
Una Venere minima a cui il dono del silenzio è condanna
O forse manna di Psiche il respiro che serra a ventaglio
L’Abito immaginario per il corpo nudo pieno d’anima

.
A Salvatore Martino

Nella tua prigione, o stella blu, i bracci delle galassie
Trovano ammassi aperti di giganti nel disco galattico
D’una vita dedicata alla gravitazione di pregiate malvasie
Da cinquant’anni e oltre l’almagesto nell’atto catartico
Dal locus amoenus del Capricorno a est del Sagittario
Tu, cancellazione, sfera ideale, nutri il marmo erbario

.

A Annamaria De Pietro

Con te non è certo facile solleticare il carapace
Si dice rimario abbecedario binario come glossario
Certo Annamaria di miracoli ne fai stella arancione Tauro
o Aries che infila le perline e di parole ne fa Pietra
Conservazione tālis-qualis dell’ordine del multiverso
Una cera persa nello stampino del creato creatore

A Ubaldo De Robertis

Chi pensa sia semplice tracciare il moto delle Pleiadi
Non sa che ammassi di leggende l’astro occulta
Nella crepa segaligna della parti d’un discorso
Poetico l’anfora sussulta nelle spore gravitazionali
Delle Naiadi con le geramiadi e lo spartito sferico
Del re minore incompiuto o del minotauro che ausculta

A Giuseppina Di Leo

Quanta bellezza e quanta gioventù lontano nel sole
Una stella ancora nell’infanzia prima del monossido
Quando solo ghiaccio e rocce e una firma spettroscopica
Segnavano il passaggio d’una cometa dialogante a più voci
Una lunga notte la più lunga che si ricordi in un inedito
Una parola impronunciata rimbalzata sul muro invisibile

A Flavio Almerighi

Due ombre si uniscono nel silenzio fragoroso della luce
Una ballata d’anime solitarie nell’emisfero terrestre
Di Borea Pyxis il talent scout dell’ascensione retta
Dal bulino del vandalo della nebbia mareale magra
Come un gambo un sorvolo ravvicinato un albatros
L’albedo urbanizzato in un deserto di storie a margine

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A Ambra Simeone

Nel far di pace come nel far di pece come nel far di specie
Litio è una batteria di superficie una post-colonia di Jackie
Ma non basta l’occaso arrabbiato né la tangenziale affollata
Spazio alle stelle emergenti del Sud, Antiliae l’isola opposta
Di lingue cattive che poi a far naso t’accorgi che il contemporaneo
Non ha nessuna lingua semmai ammassi qualche volta sassi

A Sabino Caronia

Tolomeo s’era perso nell’Acquario tra stelle variabili
Ad eclissi controllata quando Copernico scoperchiava
Sfere omocentriche nell’accelerazione degli specchi di Borges
E l’amore che ne veniva sopperiva lo Stato gassoso dei Blazar
Nei minuscoli idilli di astroparticelle delle galassie ospitanti
Con l’apparenza del Zommo Pontescife pe’ castiga’ li bbuggiaroni

A Donatella Costantina Giancaspero

Da un presagio d’ali la casa di latte nella costellazione familiare
Di Stern stempera la tempera verbale esigua del Circinus
Nella periferia dell’universo con Iperoni e Neutrini a far
Piastrelle per il selciato domestico del sole pomeridiano
A Torre Spaccata nell’atonale pungiglione di luce
Con la Lira e il contrappasso per una musica di carta e di cielo

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Lingua di lotta e lingua di luna la luna
Che non parla che non possiede che l’umano
Occhio il sovrumano splendore d’albume
Battente con un cuore di colibrì e chicchirichì
Mite chiarore aneliti brevi falce calante
Sterili economie allunate di messi mancanti

Giuseppe Talìa (pseudonimo di Giuseppe Panetta), nasce in Calabria, nel 1964, risiede a Firenze. Pubblica le raccolte di poesie: Le Vocali Vissute, Ibiskos Editrice, Empoli, 1999; Thalìa, Lepisma, Roma, 2008; Salumida, Paideia, Firenze, 2010. Presente in diverse antologie e riviste letterarie tra le quali si ricordano: Florilegio, Lepisma, Roma 2008; L’Impoetico Mafioso, CFR Edizioni, Piateda 2011; I sentieri del Tempo Ostinato (Dieci poeti italiani in Polonia), Ed. Lepisma, Roma, 2011; L’Amore ai Tempi della Collera, Lietocolle 2014. Ha pubblicato i seguenti libri sulla formazione del personale scolastico:Integrazione e la Valorizzazione delle Differenze, M.I.U.R., marzo 2011;Progettazione di Unità di Competenza per il Curricolo Verticale: esperienze di autoformazione in rete, Edizioni La Medicea Firenze, 2013. È presente con dieci poesie nella Antologia Come è finita la guerra di Troia non ricordo a cura di Giorgio Linguaglossa, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2016.

 

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CINQUE POESIE E CINQUE POETI SUL TEMA DELLA MORTE O DELLA QUASI MORTE- L’ULTIMA GENERAZIONE: Valerio Gaio Pedini, Matteo De Bonis, BSA, Ambra Simeone, Mariano Menna, Daniela Guarnaccia a cura di Ambra Simeone e con un Commento di Giorgio Linguaglossa

 Erich Eckel Il giorno di vetro 1913

Erich Eckel Il giorno di vetro 1913

Commento di Giorgio Linguaglossa

Il tema della morte è un classico della riflessione poetica e filosofica. Ne Il mito di Sisifo Camus dice che una filosofia che non sa liberarci dalla paura della morte è una filosofia inutile. Heidegger ontologizza la morte e ne fa una destinazione dell’esserci, la sua forma costitutiva in-der-Welt-sein. Spinoza, Adorno, Ortega y Gasset e molti altri filosofi hanno violentemente protestato contro questa invasione dell’ontologia della morte ed hanno parlato dell’essere-per-la-vita quale forma costitutiva dell’ente umano, quell’ente autoprogettantesi, che progetta, getta i ponti dei propri progetti sopra l’abisso della morte e di là costruisce la città-della-vita.

Che il gruppo dei giovani dell’ultima generazione scriva poesie sul tema della morte era quasi inevitabile, da sempre i giovani hanno un rapporto privilegiato con la morte, la considerano con condiscendenza, con sussiego, anche con sarcasmo, magari con ironia, spazzano il campo dalla facile analogia morte-immortalità, dichiarano la loro aperta diffidenza verso ogni teoria che addomestichi la morte in ideologia per essere utilizzata contro i vivi e la vita. Mi sembra che in queste scritture ci sia una sana antiretorica avversa alla falsa retorica della morte di cui abbonda tanta non originale poesia dei nostri giorni.

Valerio Gaio Pedini

Valerio Gaio Pedini

Valerio Gaio Pedini

Gloria te o morte: monologo mortuario

Asfissia: una parola complessa, penso: ché poi mica tanto complessa è
La NATURA del mio precipizio UMANO:
ora, non è per fare il filosofo: la filosofia è un’accozzaglia di ipocriti: di uomini soli:
di uomini e basta: LA CRITICA DELLA RAGION PURA: ma quale RAGION PURA.
“Gloria Teo Morte!”
Riecheggia nell’Alba, che è solo un Tramonto, nel tramonto, che è solo un’alba!
Sfiorire è nascere, nascere è sfiorire:
perire lentamente.
No, no, no, no, no, no, no, no, no, no, merda, merda, merda, merda, merda
Non credete alla sanità delle parole! Alla ragione!
La terra è rimpianto, pianto isterico: nostalgia: i fiori appassiscono nascituri
Com’io mi sgretolo nella mia tirannia psicologica:
fatto, disfatto
Mai cercai Morte
Gloria Teo Morte
È la morte che vive dentro di me, di noi, di tutto: là dove c’è vita c’è morte: è solo il principio di un equilibrio cosmico:
“Non incontrerai mai la morte” profetizza Epicuro, filosofo del giardinaggio.
Nooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo! La morte vi è poiché esisto, poiché nacqui, poiché fui generato: senza la vita, non vi è morte, senza la morte non vi è vita
È tutto uno sfiorire lento
Calpestato dai nostri piedi:
l’uomo? È un suicidio: un suicidio permanente che deve essere terminato, perché io sono uomo che supera l’uomo e che non vuole esserlo
come nessuno mai, consapevole delle proprie debolezze, del proprio dolore, della propria disarmonia!
Assuefatti a scomparire siamo cadaveri mangiati dai vermi, ma almeno nutriamo i vermi:
dalla cenere può nascere ancora qualcosa, oh uomo:
ascolta Eraclito, era più profeta di Cristo: Tutto Scorre, Tutto Muta: un sasso sarà pur un’altra vita, perché darà vigore alla Terra: finalmente.
Dove sarà quell’unico corpo di VITA, lì troverò SPERANZA nella FINE DEL TEMPO: la fine del VACUO.

matteo-de-bonis

matteo-de-bonis

Matteo De Bonis

Morte di un lirico ideale
a Salvatore Toma

Attraverso
le diroccate rovine di un
ponte carnale a voi
fluiscono ora,
purché siano rigonfie,
coorti di rose immaginose che
auliscono.

Mentre
la penna danzante avanza
su fogli puntellati col sangue,
piombavano
e vincevano nerborute
fisicità.
Un lirico ideale è stramazzato in terra,
colpito da ventitre coltellate. Ahimè!
Attraverso le voci singolarmente
affettate per voi
s’impennano ora, che sommuovano
almeno,
coorti di rose immaginose che
occhieggiano.

Bsa

Bsa

BSA
Morte

Insopportabile sarà
la Vita per colui che
la Morte non ha accolto nel suo cuore.
Nascere, morire, nascere,
morire, nascere. Questa la Natura
dei Vivi. Nascer non puoi senza
Morte, Vita mai sarai così bella
togliendo la precarietà. Zeus stesso
questa c’invidiava.

io io io io io io io io io io
sono Immortale finché non penso.
Ma gl’Immortali sono i soli già morti.
Rinunci a pensare alla Morte,
Rinunci a migliorare ed accettare ciò
che non ti piace. Morto in vita per
la Morte evitare. Ipertrofico l’IO
rende stupido, impreparato e banale.

Finalmente morrò, il mio zainetto
di carne lasciato a biodegradare, finalmente
dopo tanti pasti uno abbondante
lascerò al microscopico
mondo batterico, sempre attivo, sempre cangiante.

Dei rimanenti 21 grammi non so, non m’interessa.
Troppo difficile cercare una risposta, che
se esiste mi sarà data al giusto momento.
Ripeto senza sosta:

Morte ti amo, perché parimenti
amo la Vita.

Ambra Simeone

Ambra Simeone

Ambra Simeone
alcune indicazioni utili da ricordare in caso di morte

in caso di morte violenta per guerre o genocidi sulla striscia di Gaza
ricordarsi di postare su facebook tutte le foto più orribili, così che qualcuno le veda
e rimanga sconvolto un minuto e poi scriva sì mi piace oppure lasci un commento,
in caso di funerale di parente, di amico o conoscente che dir si voglia,
ricordarsi di applaudire e di mettere sulla bara la bandiera della squadra del cuore,
che poi si potrebbero portare anche una o due trombe da stadio, che fanno colore,
in caso di suicidio di poeta sconosciuto ricordarsi di scrivere più articoli sui blog
che parlino di lui, del suo sfortunato destino e di come non se lo cagava nessuno,
perché adesso, adesso ci sta davvero a cuore e quel che scriveva ora ci piace,
in caso di morte dell’autore più noto, ricordarsi quanto meno di ristampare
tutto ciò che lo riguarda, biografie, prime uscite, vecchie lettere e cartoline
poi ricordare a tutti che è stato importante e vendere tutto quel che è possibile,
in caso di morte di muratore o minatore, dirlo in tv una volta sola e poi basta
in caso di morte di dittatore o d’imprenditore ricordarsi di dirlo più volte,
scrivere libri sulla loro vita e ingaggiare opinionisti che ce ne parlino tanto,
in caso di morte di bimbo, investito da ubriaco, ricordarsi di avviare il processo
in caso di morte accidentale di un cane sotto l’auto di uno che non lo aveva visto,
non dimenticare di chiamare un po’ di gente, che ci aiutino a farlo un poco a pezzi,
in caso di morte per droga di un cantante o di un attore, non vogliamo mica non
glorificarlo, si ci facciano su un paio di film, una serie di quadri e tre reportage,
insomma casomai vi doveste scordare, alcune indicazioni utili in caso di morte.

mariano menna

mariano menna

Mariano Menna

La ballata del suicida
Troppe, lunghe ore, io passo ad aspettare
la fine di una vita che non ha più altre trame.
Chiuso nel mio buio, nella mia paura,
appeso ad una corda rendo a Dio la sua fattura.

Questo suo regalo che voi chiamate vita,
non è che una bestemmia ormai finita.
Penso ai miei tre figli che sto per lasciare,
perché nel mio corpo l’aria no, non ci può stare!

Diventerò un suicida quando il gallo canterà,
non ho saputo reggere allo stress della città
in cui venuto al mondo, già stanco per natura,
mi sono condannato a tanti debiti d’usura.

Tanti i fallimenti che ho dovuto sopportare,
troppe le ferite che ho tentato di guarire,
ora lascio il mondo e voi lasciatemi morire,
solo, in questa stanza, l’esistenza terminare.

Rido mentre piango, è scoccata la mia ora,
un ultimo consiglio lascio udir dalla mia gola:
“Non ripudiate il mondo perché, pur pentito, adesso
capisco questo errore, ma dovrò morire lo stesso…”

schimdtt, volti

schimdtt, volti

Ambra Simeone

geografia del verso

verso sud sempre verso sud ché
se ognuno è a sud di un nord è anche
per questo verso che scende e slarga
giù lungo questa pagina e nel bianco
che la seppellisce parola definitivamente
e la marchia nel vuoto per restare

così l’incontro questo pensiero
in un posto dove si nasce e si cresce
e lo si annoda alla penna ago di bussola
che verte in fondo e punta nel profondo
e chino seguendo leggi gravitazionali

ché nell’assenza della carta affiori
un discorso la sostanza dell’inchiostro
come dal mare un fogliame d’alghe
come cibo d’acqua rinfoltito al sole
non pioggia ma mare sacca di vita
a scandire il verso che cade in fondo
sotto sotto a sud in un altro solco

qui la parola resta in fondo alla pagina
come a forzare l’inizio e il principio
un rigo che viene per cadere e chiede
di essere ascoltato scavato a nostra immagine
e chiuso in limite in chi confida nel finale


Valerio Pedini

TRAMONTO

Mi acceco
Di ribrezzo.


SPERANZE

Siam come nel cimitero
I cadaveri
Nel ventre dei vermi.

.
Mariano Menna

Il giardino dell’Io

Adagiato su un manto di fiori,
osservo l’azzurro ed il bianco:
le ore mi assalgono in branco
e offuscano lo spazio di fuori.

La mente è alienata dal mondo;
si è chiusa in sé come un riccio,
ma l’esilio non è un capriccio:
è una morte che cela lo sfondo.

Incombono gli eventi sull’Io,
lo disintegrano senza ritegno:
il suo giorno è amaro destino.

Lieta dimora è questo giardino;
non v’è tempo di cui esser degno
perché l’uomo qui è il proprio Dio.

.
Daniela Guarnaccia

RECLAME

Semmai v’era da porre un rimedio
tosto che Dio col suo dito medio,
cercar lo si doveva nella rima
e nelle belle parole di prima.
L’etterno dolor è il presente
non si ritrova la perduta gente

Ma adesso: pubblicità
un po’ per non vedere
dove si va
un po’ per non capire
ciò che
non si fa.

PER LA TERZA VOLTA

Non m’importa ch’il sol abbia scelto
d’accorciarsi, non è questo
che muta del tempo la coscienza.
Ma quei mille e novantacinque giri suoi
che sono men d’uno
se tu lo vuoi.

BSA, Oudeis, Anam sono tre nomi usati dal “poeta”. Classe 1989, mai laureato, ha pubblicato i suoi scritti nella raccolta Viaggi diVersi (Poeti e Poesia), e varie volte con deComporre edizioni, in diverse antologie a cura di Ivan Pozzoni.

Valerio Pedini nasce il 16 giugno del 1995, di otto mesi, e viene tempestivamente scambiato nella culla: il misfatto viene subito scoperto. Esattamente 18 anni dopo, Valerio, divenuto Gaio, senza onorificenze, decide di organizzare il suo primo evento culturale ad Artiamo (gastrite e l’epilessia e quasi nessuno ad ascoltare); nell’intermezzo ha iniziato a recitare, preferendo l’espressività del teatro di ricerca rispetto al metodismo popolare e a scrivere, uscendo, in collaborazione col circolo narrativo AVAS – Gaggiano, nelle antologie Tornate a casa se potete, Rigagnoli di consapevolezza e Ma tu da dove vieni?. Nell’ottobre del 2013 inizia il progetto Non uno di meno Lampedusa, insieme ad Agnese Coppola, Rossana Bacchella, Savina Speranza e ad Aurelia Mutti. A dicembre conosce Teresa Petrarca, in arte Teresa TP Plath, con cui inizia diversi progetti artistici: La formica e la cicala, Essence e Pan in blues e in jazz. Sta lavorando ad una monografia filosofica: Maggiorminore: la disperazione dei diversi uguali. A Maggio 2014 è uscita la sua prima raccolta poetica, con IrdaEdizioni: Cavolo, non è haiku ed è stato inserito nell’antologia Fondamenta Instabili (deComporre Edizioni) e, successivamente, sempre con deComporre Edizioni, uscirà nelle antologie Forme Liquide, Scenari ignoti e Glocalizzati.

MARIANO MENNA è nato a Benevento nel 1994. Ha conseguito la maturità scientifica presso l’istituto Polispecialistico Gandhi di Casoria. É iscritto al primo anno del corso di laurea in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli. Nel 2012 è risultato vincitore del Concorso Nazionale “Scrittura attiva” di Tricarico, nella sezione giovani, con la poesia La ballata del vagabondo; nel 2013 sono uscite due raccolte di poesie La grande legge e La pagina bruciata, entrambe edite da Marco Del Bucchia. É stato inserito nelle antologie: Poesia per Dio (La Ziza) e Fondamenta instabili (deComporre Edizioni). Alcune sue poesie sono apparse su blog e riviste online come “L’ombra delle parole” di Giorgio Linguaglossa, “Alla volta di Leucade” di Nazario Pardini, “La distensione del verso” di Sandra Evangelisti, “Le Reti di Dedalus” di Marco Palladini e “Poetrydream” di Antonio Spagnuolo. É membro cofondatore della corrente artistico-letteraria del Labirintismo.

AMBRA SIMEONE è nata a Gaeta il 28-12-1982 e attualmente vive a Monza. Laureata in Lettere Moderne, ha conseguito la specializzazione in Filologia Moderna con il linguista Giuseppe Antonelli e una tesi sul poeta Stefano Dal Bianco. Collabora con l’Associazione Culturale “deComporre”. La sua prima raccolta di poesie Lingue Cattive esce a gennaio del 2010 per i tipi della Giulio Perrone Editore di Roma. Del 2013 è la raccolta di racconti Come John Fante… prima di addormentarmi per la deComporre Edizioni. La sua ultima raccolta di quasi-poesie esce quest’anno per deComporre Edizioni con il titolo “Ho qualcosa da dirti – quasi poesie”. È co-curatore de “Il Gustatore – quaderni Neon-Avanguardisti” che hanno ospitato Aldo Nove, Giampiero Neri, Peppe Lanzetta, Giorgio Linguaglossa, Paolo Nori e molti altri. Alcuni suoi testi sono apparsi su riviste letterarie nazionali e internazionali tra le quali l’albanese Kuq e Zi, la belga Il caffè e l’americana Italian Poetry Review e su antologie; le ultime due per Lietocolle a cura di Giampiero Neri e per EditLet a cura di Giorgio Linguaglossa.

MATTEO DE BONIS è nato a Cosenza il 27 Giugno 1991; è laureando in Filosofia e Storia presso l’Università della Calabria. Nel 2008 ha partecipato al premio letterario ‘Federica Monteleone’ nella sezione dedicata alla narrativa, figurando tra i vincitori. Nel 2011 ha partecipato e vinto la selezione regionale delle Olimpiadi di filosofia. Ha collaborato con numerose riviste on-line di cultura e filosofia. Attualmente s’occupa di tematiche quali i rapporti tra poesia e ontologia e la riabilitazione del sapere estetico. È uscito nell’antologia Fondamenta instabili (deComporre Edizioni).

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LA GENERAZIONE DEGLI ARRABBIATI – GLI ALIENI ovvero sull’alienazione a cura di Ambra Simeone e Ivan Pozzoni – Poesie di Artin Bassiri Tabrizi, Bsa, Erica Gazzoldi, Mattia Macchiavelli, Mariano Menna, Valerio Pedini, Ambra Simeone

belloARTIN BASSIRI TABRIZI

SISIFO

Terminato il tempo degli anatemi
Scorrazzo nel campo in cui i verbi fioriscono
Errare, vagabondare, vagare…
ogni frutto trascina nel tempo
torturandomi con immagini scolpite nel nulla

Invano ne cerco le origini,
gelatine nel magma libinale
sbavano lacrime e sconfitte

Chiudendo gli occhi, respiro quei profumi aspri
vacillanti
tastando ancora quelle pelli sature, umide
baciando quelle occhiaie complici

Eppure, l’infausto procedere m’impone di aprirli
di nuovo
E, ancora una volta
quei dolci sussurri migrano lontano

Flussi dolenti s’approssimano
mi chiamano per nome,
succube

La mia dimora è la Morte
le grida fucilate
le facce d’ombra
gli assensi metallici

Quel campo ha strattonato il mio sangue,
ora in me pulsa stremata
l’eterna domanda

giace, la roccia immonda
ed io scivolo ancora nella mia sorte

Artin Bassiri Tabrizi

Artin Bassiri Tabrizi

ARTIN BASSIRI TABRIZI è nato ad Assisi il 1992; frequenta Filosofia all’Università degli studi di Perugia e anche il conservatorio F. Morlacchi della stessa città, come studente di pianoforte. Attualmente svolge studi all’Université Paris Pantheon-Sorbonne; a breve si iscriverà all’Università Statale di Milano per la specialistica. È uscito nell’antologia Umane transumanze (deComporre Edizioni).

 

 

Bsa

Bsa

 

 

 

 

 

 

 

 

BSA

ALIENATION

Nazioni e Tempi il galateo
eleggono, Male e Bene nei costumi.
Scorre il succedersi, secoli e secoli.
Cambia il culto delle colte culture,
Yin e Yang s’invertono. Se ti sottrai alieno
sarai additato dai violenti scribi,
censori e critici, di coscienza
obiettori. Nichilista, relativista
sarà il tuo nome, sofista. Relativo non è il mio
bensì il vostro mutevole mondo.
Nichilista non chi non crede
ai vostri primitivi dogmi, loro sì
disfattisti pan-cidi.

Artista, dall’anonimo Kabbalista a Rumi,
da Krishnamurti a Baudelaire,
da Gibran a Mishima,
da Pelevin a Jodorowsky.
Periodi lontani più dei luoghi.
Connessi tutti alla più alta,
sempiterna Energia. Lei consiglia,
chiamata dio, allah, termodinamica od insight, un tema
sempre uguale, lodevole, amorevole.
Se l’abbracci rischi, dagli abitanti
della Caverna riceverai i fischi opprimenti,
poi niente pane, come indisciplinato cane
bastonate sui denti, corone d’alloro
in spine tramutate.

Nasconditi, o vero artista,
finchè sei in tempo!

BSA, Oudeis, Anam sono tre nomi usati dal “poeta”. Classe 1989, mai laureato, ha pubblicato i suoi scritti nella raccolta Viaggi diVersi (Poeti e Poesia), e varie volte con deComporre edizioni, in diverse antologie a cura di Ivan Pozzoni.

 

Erica Gazzoldi

Erica Gazzoldi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ERICA GAZZOLDI

INCUBO RICORRENTE

Spesso m’abbacina un sogno sardonico
di luci tintinnanti in una fiera
o, meglio, un party –nel galateo tonico
di chi infioretta una qualunque sera.

Io scivolo sola nel gorgo cronico
di figure parate a primavera,
gale, orecchini –e un che di malinconico
imbeve tavole e vesti qual cera.

Un’ombra palpita oltre quel mare,
col canto nitido e muto d’un faro:
amore o nulla –così è, se pare.

Da quel richiamo abbagliante ed avaro
è diretto il risucchio del mio andare:
quest’è sostanza del mio cuore amaro.

ERICA GAZZOLDI è nata a Manerbio (BS) l’8 settembre 1989; ha conseguito la maturità scientifica all’istituto di istruzione superiore “Blaise Pascal” (Manerbio, BS). È stata allieva dell’Università degli studi di Pavia, del collegio S. Caterina da Siena e della Scuola Superiore IUSS. Il 7 dicembre 2011, ha conseguito la laurea triennale in Antichità classiche e orientali, con una tesi dal titolo Hellenism and the Seleucids in the Book of Daniel. Il 18 febbraio 2014 ha conseguito la laurea magistrale in Filologia, letterature e storia dell’antichità, con una tesi dal titolo The Additions to the Book of Esther: Historical Background. Ha collaborato per anni col mensile studentesco Inchiostro (http://inchiostro.unipv.it). Coltiva la passione della scrittura fin dalla prima adolescenza; si è cimentata con diversi generi: il romanzo, il racconto breve, la lirica, il libretto d’opera. Talvolta, ama creare personalmente le illustrazioni. Gestisce un blog miscellaneo: Il filo di Erica (http://erica-gazzoldi.blogspot.it). Ha al proprio attivo una raccolta poetica: La tessitrice di parole (Brescia, 2011, Marco Serra Tarantola Editore).

Mattia Macchiavelli

Mattia Macchiavelli

 

MATTIA MACCHIAVELLI

L’ULTIMO RITRATTO DI GÉRICAULT

L’indovino del villaggio preferisce l’Isola dei Pioppi
è una fenarete premurosa Madame de Warens
solo i flauti d’ambrosia costringono alla libertà:
Salomè deve lasciare cadere tutti e sette i veli
sinolo d’inchiostro e promessa è quel contratto
Volontà Generale esige riverente genuflessione.
L’archimandrita di Boudry è un pifferaio di ratti:
Urras o Anarres?

Philosophiae nullam operam impendit
autoerotismi d’una teleologia allo specchio:
uno e trino è il parto dell’infelice coscienza
vi è un labirinto d’alterità nel ventre di Gea
ritorna sempre in sé il volo della nostalgica nottola.
tanto peggio per i fatti se Napoleone reinventa l’Assoluto
in neolingua scriviamo un eterno presente

Le porcellane di Löw sono un eden di riflessione
non sigillare ermeticamente il sistema
fuori dal tempo vi sono solo le statue dell’indifferenza:
è fragranza di desiderio l’ontologia di Dio
catene di Es ci avviluppano a fantasmatiche proiezioni
Libertà indossa un provocante sensualismo.
Che cosa hai mangiato oggi?
Astolfo ha assunto tre grammi di soma.

Spira da Treviri un vento rosso
– francamente, io odio tutti gli dèi –
nessuna lepre marzolina trasformerà il mondo:
le mani senza figli sono madri orfane di futuro
Charlot continua ad avvitare i seni delle donne
conosce la gravità il masso di Sisifo
ogni altro è sempre un mezzo, mai un fine.
Si è smarrito lo spettro per l’Europa:
i pompieri hanno bruciato ogni volume.

Anche Kripke ha una sola dimensione
la caverna platonica è un linguaggio senza codice
oggi ho venduto l’ultimo abbonamento
trimestrale, a rate, tre euro per la cauzione del badge:
sono venuto bene nel ritratto di Géricault

MATTIA MACCHIAVELLI è nato a Bologna nel 1988; si è diplomato in Scienze Sociali al Liceo Laura Bassi di Bologna ed è iscritto alla facoltà di Filosofia presso l’Alma Mater Studiorum. Eterno studente, ex receptionist, attualmente salumiere, da sempre appassionato di letteratura e poesia. Nel 2010 pubblica la sua prima silloge poetica: Orgasmi di fata (Albatros-Il Filo). Nel 2012 inizia una collaborazione con la rivista on line “Clamm Magazine” (www.clammmag.com) dove pubblica una serie di articoli incentrati sull’analisi fenomenologica della cultura pop. Nel 2013 è tra gli ideatori e i soci fondatori dell’associazione culturale bolognese Metro-Polis (www.metropolisbologna.it), di cui è a tutt’oggi Presidente. Nel 2014 pubblica due poesie (Ombra e Biston Betularia) nell’antologia Homo Eligens, a cura di Ivan Pozzoni, con deComporre Edizioni; sempre nel 2014 pubblica altre due poesie (Il sesso delle stelle e Cenere vogliosa) nell’antologia Forme liquide, a cura di Ivan Pozzoni, con deComporre Edizioni.

 

mariano menna

mariano menna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MARIANO MENNA

ALIENAZIONE

I passanti sono ombre indistinte:
avanzano incessanti nelle notti
senza fine,
osservando le vetrine dei negozi
che nutrono la sete di possesso.
Ho stracciato il solerte calendario
che si diverte a smuovere le ore,
ma non c’è sipario
al suo rumore prolungato.
Mi manca il fiato spesso
-i giornali mi soffocano –
i giorni sono guerre mai reali.
La casa mi protegge dal progresso,
è un bunker ed io confesso:
il cuore è una granata nel petto
e aspetto l’esplosione, inerte.
Lo specchio riflette un uomo nudo:
sono io -ho creduto-
ma non mi riconosco.

mariano mennaMARIANO MENNA è nato a Benevento nel 1994. Ha conseguito la maturità scientifica presso l’istituto Polispecialistico Gandhi di Casoria. È iscritto al primo anno del corso di laurea in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli. Nel 2012 è risultato vincitore del Concorso Nazionale “Scrittura attiva” di Tricarico, nella sezione giovani, con la poesia “La ballata del vagabondo”. Nel 2013: ha pubblicato due raccolte di poesie La grande legge e La pagina bruciata, entrambe edite da Marco Del Bucchia rispettivamente a maggio e novembre; è risultato secondo classificato nella sezione “Giovani” del concorso Nazionale “Città di San Giorgio a Cremano” con la lirica“Iris”. Nel 2014: si è classificato al 3°posto nella 5^ edizione del premio letterario internazionale “Le parole dell’anima” Città di Casoria (NA) con il libro di poesie  La pagina bruciata; al 2° posto alla IX edizione del Premio Artistico – Letterario Internazionale Napoli Cultural Classic con l’inedita “Il crepuscolo”. È stato inserito nelle antologie Poesia per Dio, curata dalla casa editrice “La Ziza” con la poesia inedita “La scelta” (marzo 2014) e Fondamenta instabili, curata da deComporre Edizioni. Alcune sue poesie sono apparse su blog e riviste online come “L’ombra delle parole” di Giorgio Linguaglossa, “Alla volta di Leucade” di Nazario Pardini, “La distensione del verso” di Sandra Evangelisti, “Le Reti di Dedalus” di Marco Palladini e “Poetrydream” di Antonio Spagnuolo. È membro cofondatore della corrente artistico-letteraria del Labirintismo, il più grande movimento d’avanguardia del 2000 con più di 200 iscritti.

valerio gaio pedini

valerio gaio pedini

 

 

 

 

 

 

 

VALERIO PEDINI

ALIENO LIQUIDO-SGRETOLAMENTO DEL SE’ IN STATUS INDIVIDUALISTA (IN CONFRONTO IL CONCETTO DI ALIENAZIONE DI MARX E’ UNA SIMPATICA BEFFA)

Non poter cominciare in un modo armonico
Questo è il principio della rarefazione della Persona:
termine sporco, posticcio, insignificante:
termine liquidato.

Le feritoie della galera oltrumana si sono spezzate,
l’oltre è ridicola macchinazione di un Nietzsche letto ormai troppo male:
l’uomo si è disintegrato in una brutale abnegazione,
il Sé è morto in un lancio, privo di qualsivoglia belligeranza, del Sé.

Una saetta non incenerisce, una saetta non illumina, una saetta non è:
una “saetta” è una parola, la mia decostruzione è una Saetta
che s’insinua nelle fenditure di un Universo aspro:
sordità di un moto vacuo-non vi è luogo- non vi è poesia- poiché non vi è luogo,
non vi è sé- non vi è poeta poiché non vi è sé.
Non vi è uomo poiché non vi è sé.

Incenerito in un individuo vacante, l’uomo non si muove,
non più alieno sociale, ma alieno corporale, alieno intellettuale, alieno psicologico, alieno linguistico, alieno politico, alieno ideologico, alieno artistico, alieno storico, alieno urbano, alieno sub urbano!
Alieno della menzogna delle sue imprecazioni,
si sfilaccia in un continuo scodinzolio.

Latra- latra- un cane che non è nemmeno amico di se stesso-figurarsi dell’uomo
Che si strizza come una spugna marina,
senza comprendere di chi sia quel sangue leucemico che inonda il globo.

Incastonato nella sua ininterezza non può far altro che ridere goliardicamente alla propria – non del tutto propria- inappartenenza alla Natura, che scricchiola sotto il peso di un corpo inesistente.

Ma estraniato da tutto, da tutti, l’Antisé, grida: “Non rimpiangere ciò che hai lasciato alle spalle, ciò che sei è ciò che desideravi essere, perciò ora muori- e non sarà un Tramonto”

Non vi è catastrofismo nelle mie parole, non confesso e non sconfesso nulla,
quando il dolore attecchisce,
allora il mio sguardo si scioglie.

valerio pediniVALERIO PEDINI nasce il 16 giugno del 1995. Esattamente 18 anni dopo, Valerio, divenuto Gaio, senza onorificenze, decide di patrocinare il suo primo evento culturale da sé, per sé, ma Artiamo lo festeggia male, con la gastrite e l’epilessia e quasi nessuno ad ascoltare, a vedere il frutto del suo lavoro e di quello della sua allora amata pittrice-poetessa Sofia Bollini e della cantante Arianna Meda. Nell’intermezzo ha iniziato a recitare, preferendo l’espressività del teatro di ricerca rispetto al metodismo popolare che comunque gli è utile per i suoi lavori sul movimento; a scrivere, pubblicando in collaborazione col circolo narrativo AVAS Gaggiano, nelle antologie Tornate a casa se potete, Rigagnoli di consapevolezza, Ma tu da dove vieni? (in collaborazione con Mambre). Nell’ottobre del 2013 inizia il progetto Non uno di meno Lampedusa, insieme alle poetesse Agnese Coppola, Rossana Bacchella, Savina Speranza e alla narratrice Aurelia Mutti, con lo scopo di dare una voce poetica e artistica alla tragedia di Lampedusa. Ha contribuito ad un progetto artistico diretto da Agnese Coppola, che tratta del doppio nell’arte e sta facendo studi teorici sulla poesia intesa come caos. Inoltre sta lavorando ad un libro di filosofia, che tratta della mediazione della paura di massa e ad una silloge poetica (Maggiorminore: la disperazione dei diversi uguali). A maggio è uscita la sua prima raccolta poetica, con IrdaEdizioni: Cavolo, non è haiku ed è stato inserito nell’antologia Fondamenta Instabili (deComporre Edizioni) e successivamente sempre con deComporre Edizioni nelle antologie Forme Liquide, Scenari Ignoti, Glocalizzati.

 

Ambra Simeone

Ambra Simeone

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AMBRA SIMEONE

cercando il significato di alienazione su wikipedia

sarà almeno da qualche secolo che l’hanno scoperta, l’alienazione
e poi ce l’hanno spiegata una serie di grandi filosofi della rivoluzione,
infatti se cerchi la parola su wikipedia, ti danno una serie di significati
che sono tutti un po’ uguali ma tutti un po’ diversi, il primo parte dal greco,
che vuol dire straniero, cioè uno che è diverso da te, uno diverso dal resto,
il secondo è chi decide di allontanare qualcosa da sé, di prendere tutto a distanza
il terzo invece è simile a essere folli, dei veri disadattati, fuori dalla comunità,
come uno che vive ai margini della società, insomma non proprio fuori del tutto,
il quarto dice che essere disagiato è molto simile all’essere alienato,
e poi c’è il quinto che sei proprio così, se vivi nell’era moderna e industriale,
sarà che se hai un lavoro, un lavoro qualunque, uno poi si aliena per questo,
che stare a fare la coda in tangenziale uno si sente come un po’ impazzito
o anche entrare in tram che tutti stanno a toccare uno schermo luminoso,
e che ascoltano musica in cuffia, è davvero alienante; loro non esistono, sono
fuori dal mondo, come se avessero deciso di allontanarsi da sé e dagli altri,
insomma se uno si sveglia e beve sempre lo stesso thè, bacia sempre la stessa
persona, guida sempre la stessa macchina, entra sempre nello stesso ufficio,
guarda sempre lo stesso capo, le stesse persone, la stessa città, la stessa tv,
allora è proprio un tizio alienato dal mondo, perciò credo che dovrei
aggiornare le mie convinzioni, che quelli che il lavoro non ce l’hanno
non dovrebbero essere alienati come gli altri, ma neanche mi sembrano felici,
e saranno alienati anche loro oppure no, non lo so, così ho letto su wikipedia,
che dice questa è l’alienazione, ma a me lo psicologo, ha detto che è solo vita.

Ambra Simeone copertina Ho qualcosa da dirtiAMBRA SIMEONE è nata a Gaeta il 28-12-1982 e attualmente vive a Monza. Laureata in Lettere Moderne, ha conseguito la specializzazione in Filologia Moderna con il linguista Giuseppe Antonelli e una tesi sul poeta Stefano Dal Bianco. Collabora con l’Associazione Culturale “deComporre”. La sua prima raccolta di poesie Lingue Cattive esce a gennaio del 2010 per i tipi della Giulio Perrone Editore di Roma. Del 2013 è la raccolta di racconti Come John Fante… prima di addormentarmi per la deComporre Edizioni. La sua ultima raccolta di quasi-poesie esce quest’anno per deComporre Edizioni con il titolo Ho qualcosa da dirti – quasi poesie. È co-curatore de Il Gustatore – quaderni Neon-Avanguardisti che hanno ospitato Aldo Nove, Giampiero Neri, Peppe Lanzetta, Giorgio Linguaglossa, Paolo Nori e molti altri. Alcuni suoi testi sono apparsi su riviste letterarie nazionali e internazionali tra le quali l’albanese Kuq e Zi , la belga Il caffè e l’americana Italian Poetry Review e su antologie; le ultime due per LietoColle a cura di Giampiero Neri e per EditLet a cura di Giorgio Linguaglossa.

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CINQUE POESIE E CINQUE POETI SUL TEMA DELLA MORTE – GLI ARRABBIATI Valerio Gaio Pedini, Matteo De Bonis, BSA, Ambra Simeone, Mariano Menna a cura di Ambra Simeone e Commento di Giorgio Linguaglossa

Escher Maurits Cornelis Drago

Escher Maurits Cornelis Drago

 Il tema della morte è un classico della riflessione poetica e filosofica. Ne Il mito di Sisifo Camus dice che una filosofia che non sa liberarci dalla paura della morte è una filosofia inutile. Heidegger ontologizza la morte e ne fa una destinazione dell’esserci, la sua forma costitutiva. Adorno, Ortega y Gasset e molti altri filosofi hanno violentemente protestato contro questa invasione dell’ontologia ed hanno parlato dell’essere per la vita quale forma costitutiva dell’ente umano, quell’ente che progetta, getta i ponti dei propri progetti sopra l’abisso della morte e là costruisce la città della vita.

Che il gruppo dei giovani Arrabbiati scriva poesie sul tema della morte era quasi inevitabile, da sempre i giovani hanno un rapporto privilegiato con la morte, la considerano con condiscendenza, anche con sarcasmo, con ironia, spazzano il campo dall’analogia morte-immortalità, dichiarano la loro aperta diffidenza verso ogni teoria che addomestichi la morte in ideologia per essere utilizzata contro i vivi e la vita.

(Giorgio Linguaglossa)

 

valerio gaio pedini

valerio gaio pedini

Valerio Gaio Pedini

Gloria teo morte: monologo mortuario

 Asfissia: una parola complessa, penso: ché poi mica tanto complessa è
La NATURA del mio precipizio UMANO:
ora, non è per fare il filosofo: la filosofia è un’accozzaglia di ipocriti: di uomini soli:
di uomini e basta: LA CRITICA DELLA RAGION PURA: ma quale RAGION PURA.
“Gloria Teo Morte!”
Riecheggia nell’Alba, che è solo un Tramonto, nel tramonto, che è solo un’alba!
Sfiorire è nascere, nascere è sfiorire:
perire lentamente.
No, no, no, no, no, no, no, no, no, no, merda, merda, merda, merda, merda
Non credete alla sanità delle parole! Alla ragione!
La terra è rimpianto, pianto isterico: nostalgia: i fiori appassiscono nascituri
Com’io mi sgretolo nella mia tirannia psicologica:
fatto, disfatto
Mai cercai Morte
Gloria Teo Morte
È la morte che vive dentro di me, di noi, di tutto: là dove c’è vita c’è morte: è solo il principio di un equilibrio cosmico:
“Non incontrerai mai la morte” profetizza Epicuro, filosofo del giardinaggio.
Nooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo! La morte vi è poiché esisto, poiché nacqui, poiché fui generato: senza la vita, non vi è morte, senza la morte non vi è vita
È tutto uno sfiorire lento
Calpestato dai nostri piedi:
l’uomo? È un suicidio: un suicidio permanente che deve essere terminato, perché io sono uomo che supera l’uomo e che non vuole esserlo
come nessuno mai, consapevole delle proprie debolezze, del proprio dolore, della propria disarmonia!
Assuefatti a scomparire siamo cadaveri mangiati dai vermi, ma almeno nutriamo i vermi:
dalla cenere può nascere ancora qualcosa, oh uomo:
ascolta Eraclito, era più profeta di Cristo: Tutto Scorre, Tutto Muta: un sasso sarà pur un’altra vita, perché darà vigore alla Terra: finalmente.
Dove sarà quell’unico corpo di VITA, lì troverò SPERANZA nella FINE DEL TEMPO: la fine del VACUO.

 

matteo de bonis

matteo de bonis

Matteo De Bonis

Morte di un lirico ideale
a Salvatore Toma

Attraverso
le diroccate rovine di un
ponte carnale a voi
fluiscono ora,
purché siano rigonfie,
coorti di rose immaginose che
auliscono.

Mentre
la penna danzante avanza
su fogli puntellati col sangue,
piombavano
e vincevano nerborute
fisicità.
Un lirico ideale è stramazzato in terra,
colpito da ventitre coltellate. Ahimè!
Attraverso le voci singolarmente
affettate per voi
s’impennano ora, che sommuovano
almeno,
coorti di rose immaginose che
occhieggiano.

 

Bsa

Bsa

BSA
Morte

Insopportabile sarà
la Vita per colui che
la Morte non ha accolto nel suo cuore.
Nascere, morire, nascere,
morire, nascere. Questa la Natura
dei Vivi. Nascer non puoi senza
Morte, Vita mai sarai così bella
togliendo la precarietà. Zeus stesso
questa c’invidiava.

io io io io io io io io io io
sono Immortale finché non penso.
Ma gl’Immortali sono i soli già morti.
Rinunci a pensare alla Morte,
Rinunci a migliorare ed accettare ciò
che non ti piace. Morto in vita per
la Morte evitare. Ipertrofico l’IO
rende stupido, impreparato e banale.

Finalmente morrò, il mio zainetto
di carne lasciato a biodegradare, finalmente
dopo tanti pasti uno abbondante
lascerò al microscopico
mondo batterico, sempre attivo, sempre cangiante.

Dei rimanenti 21 grammi non so, non m’interessa.
Troppo difficile cercare una risposta, che
se esiste mi sarà data al giusto momento.
Ripeto senza sosta:

Morte ti amo, perché parimenti
amo la Vita.

 

Ambra Simeone

Ambra Simeone

Ambra Simeone
alcune indicazioni utili da ricordare in caso di morte

in caso di morte violenta per guerre o genocidi sulla striscia di Gaza
ricordarsi di postare su facebook tutte le foto più orribili, così che qualcuno le veda
e rimanga sconvolto un minuto e poi scriva sì mi piace oppure lasci un commento,
in caso di funerale di parente, di amico o conoscente che dir si voglia,
ricordarsi di applaudire e di mettere sulla bara la bandiera della squadra del cuore,
che poi si potrebbero portare anche una o due trombe da stadio, che fanno colore,
in caso di suicidio di poeta sconosciuto ricordarsi di scrivere più articoli sui blog
che parlino di lui, del suo sfortunato destino e di come non se lo cagava nessuno,
perché adesso, adesso ci sta davvero a cuore e quel che scriveva ora ci piace,
in caso di morte dell’autore più noto, ricordarsi quanto meno di ristampare
tutto ciò che lo riguarda, biografie, prime uscite, vecchie lettere e cartoline
poi ricordare a tutti che è stato importante e vendere tutto quel che è possibile,
in caso di morte di muratore o minatore, dirlo in tv una volta sola e poi basta
in caso di morte di dittatore o d’imprenditore ricordarsi di dirlo più volte,
scrivere libri sulla loro vita e ingaggiare opinionisti che ce ne parlino tanto,
in caso di morte di bimbo, investito da ubriaco, ricordarsi di avviare il processo
in caso di morte accidentale di un cane sotto l’auto di uno che non lo aveva visto,
non dimenticare di chiamare un po’ di gente, che ci aiutino a farlo un poco a pezzi,
in caso di morte per droga di un cantante o di un attore, non vogliamo mica non
glorificarlo, si ci facciano su un paio di film, una serie di quadri e tre reportage,
insomma casomai vi doveste scordare, alcune indicazioni utili in caso di morte.

 

Mariano Menna

Mariano Menna

Mariano Menna

La ballata del suicida

Troppe, lunghe ore, io passo ad aspettare
la fine di una vita che non ha più altre trame.
Chiuso nel mio buio, nella mia paura,
appeso ad una corda rendo a Dio la sua fattura.

Questo suo regalo che voi chiamate vita,
non è che una bestemmia ormai finita.
Penso ai miei tre figli che sto per lasciare,
perché nel mio corpo l’aria no, non ci può stare!

Diventerò un suicida quando il gallo canterà,
non ho saputo reggere allo stress della città
in cui venuto al mondo, già stanco per natura,
mi sono condannato a tanti debiti d’usura.

Tanti i fallimenti che ho dovuto sopportare,
troppe le ferite che ho tentato di guarire,
ora lascio il mondo e voi lasciatemi morire,
solo, in questa stanza, l’esistenza terminare.

Rido mentre piango, è scoccata la mia ora,
un ultimo consiglio lascio udir dalla mia gola:
“Non ripudiate il mondo perché, pur pentito, adesso
capisco questo errore, ma dovrò morire lo stesso…” Continua a leggere

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LA GENERAZIONE DEGLI ARRABBIATI (Parte II)- Gregory Corso, Ambra Simeone, Bsa, Artin Bassiri Tabrizi, Matteo De Bonis, Valerio Pedini a cura di Ivan Pozzoni con preambolo di Giorgio Linguaglossa

Andy Warhol_Marilyn 1967 serigrafia su carta pezzo unico fuori edzione cm91x91

Andy Warhol_Marilyn 1967 serigrafia su carta pezzo unico fuori edzione cm91x91

«Poetar è dis-umano / poetar è dis-ordine», scrive Artin Bassiri Tabrizi; « La mia penna come / un dildo il cere-bellum», scrive Bsa; «una volta leggendo un poeta contemporaneo, / mi è sembrato di capire che non ci avevo capito niente», scrive Ambra Simeone; «Il poeta, che è per un istante volto di luna, /siede, lungo sentieri limacciosi / e appestati da infernali pozzanghere», scrive Matteo De Bonis; «L’uomo è già distrutto, Dio pur non esistendo si è suicidato», scrive Valerio Pedini.

Mi sembra chiaro che qui siamo di fronte ad una diseconomia valoriale ed estetica. Una generazione che va dai venti ai trent’anni, che ha perduto la propria identità, la generazione che è venuta Dopo il Moderno, e dopo, diciamolo, il fallimento della poesia italiana della Tradizione e della Anti Tradizione, dopo il fallimento della politica degli ultimi trenta quaranta anni, dopo un lunghissimo decennio di strisciante stagnazione e recessione economica dell’Italia. Che altro dire? Che cosa possiamo rimproverare a questi giovani? Io, per rincuorarli, direi che hanno avuto pessimi maestri e che è stata una buona scuola. Non posso dir loro nient’altro. Non gli abbiamo lasciato nulla di duraturo (intendo valore estetico duraturo), nulla che valesse la pena di un impegno; gli abbiamo detto che la poesia è gioco, che si deve occupare dei ritagli e dei detriti, che si deve occupare del proprio corpo, che la poesia è «farsi i fatti propri» come scrive un poeta contemporaneo che va di moda, che la poesia è un atto «irresponsabile», come hanno scritto altri autori, e altre varie corbellerie. Non dobbiamo quindi meravigliarci se questi giovani hanno perduto le coordinate valoriali, politiche ed  estetiche (su quelle etiche non mi pronuncio). Hanno perduto tutto (anzi, gli abbiamo sottratto tutto). Cosa gli è rimasto?. Semplice, le «fondamenta instabili» (titolo di una antologia a cura di Ivan Pozzoni), non gli è rimasto nulla, non credono in nulla, tantomeno alla poesia.

(Giorgio Linguaglossa)

 

Gregory Corso
HO 25 ANNI

Con un amore un delirio per Shelley
Chatterton Rimbaud
e l’affamato guaito della mia gioventù
si è propagato da orecchio a orecchio:
IO ODIO I VECCHI SIGNORPOETI!
Specialmente i vecchi signorpoeti che ritrattano
che consultano altri vecchi signorpoeti
che esprimono la loro gioventù in bisbigli,
dicendo: – Queste cose le ho fatte allora
ma è acqua passata
è acqua passata –
Oh vorrei tranquillizzare i vecchi
dirgli: – Sono vostro amico
ciò che eravate una volta, grazie a me
lo sarete ancora –
Poi di notte nella sicurezza delle loro case
strappare le loro lingue apologetiche –
e rubare le loro poesie.

trad.it. Massimo Bacigalupo
[testo scelto da Ambra Simeone]

Ambra Simeone

Ambra Simeone

 Ambra Simeone copertina Ho qualcosa da dirtiAmbra Simeone
UNA VOLTA LEGGENDO UN POETA CONTEMPORANEO

una volta leggendo un poeta contemporaneo,
mi è sembrato di capire che non ci avevo capito niente,
che quel che aveva scritto lo aveva scritto per non farsi capire,
cercavo sul dizionario le parole difficili, che intanto mi ero incuriosita,
e forse anche un po’ arricchita, avevo imparato parole nuove,
o meglio parole vecchie, parole che non sentivo dirle più a nessuno,
che scritte mi sembravano ancora più antiche, rimaste lì tra le righe,
pensavo a come scriverle anch’io, per far vedere che le sapevo,
per far impazzire chi le leggeva, che poi come me doveva aprire il dizionario,
e anche lui imparava quella nuova parola, e stava lì a decifrare un codice,
come in guerra, che se non capisci il codice sei morto o giù di lì,
ma se anche dopo imparate le parole che non sapevo, io non ci capivo,
che vorrà dire, mi sono chiesta? che sono ignorante? forse,
io ignoro perché il poeta contemporaneo lo aveva fatto, perché, mi chiedevo?
allora a chi vuole leggermi gli dico qualcosa che forse l’ha fatta anche lui,
che forse voleva proprio farla, che forse non ci aveva mai pensato,
che poi dice cavolo ora la faccio proprio, che allora c’ha proprio ragione!
ecco perché ti scrivo un ammasso di parole sentite per strada,
che il mio racconto se te lo senti dentro oppure no, me lo dirai,
chissà, ma almeno lo sappiamo di cosa stiamo parlando.

AMBRA SIMEONE è nata a Gaeta il 28-12-1982 e attualmente vive a Monza. Laureata in Lettere Moderne, ha conseguito la specializzazione in Filologia Moderna con il linguista Giuseppe Antonelli e una tesi sul poeta Stefano Dal Bianco. Collabora con l’Associazione Culturale “deComporre”. La sua prima raccolta di poesie Lingue Cattive esce a gennaio del 2010 per i tipi della Giulio Perrone Editore di Roma. Del 2013 è la raccolta di racconti Come John Fante… prima di addormentarmi per la deComporre Edizioni. La sua ultima raccolta di quasi-poesie esce quest’anno per deComporre Edizioni con il titolo Ho qualcosa da dirti – quasi poesie. È co-curatore de “Il Gustatore – quaderni Neon-Avanguardisti” che hanno ospitato Aldo Nove, Giampiero Neri, Peppe Lanzetta, Giorgio Linguaglossa, Paolo Nori e molti altri. Alcuni suoi testi sono apparsi su riviste letterarie nazionali e internazionali tra le quali l’albanese Kuq e Zi, la belga Il caffè e l’americana Italian Poetry Review e su antologie; le ultime due per Lietocolle a cura di Giampiero Neri e per EditLet a cura di Giorgio Linguaglossa.

 

Bsa

Bsa

Bsa
LA POESIA FA IL POETA, IL POETA FA POESIA

La mia penna come
un dildo il cere-bellum riordina,
placa sconquassando teorie
a spada tratta, niente
vasellina ma con sabbia unge, bagna,
calma la rabbia
delle labbra oro-neurovaginali.
Estro non è creatività bensì
intimo sanguinare, mensile o emorroidale. Il dolore
aiuta pel pensiero astrale. Frullo
ora a freddo il fremente Freud: Arte,
ESSENZA SENZA formal tecnica non
si riduce al solo ES.

Poesia, grazie
per il sublime sublimato
io,
sazio e savio e dissolto
che regali.

Sei un bel gioco
per bambini mai banali.

BSA, Oudeis, Anam sono tre nomi usati dal “poeta”. Classe 1989, mai laureato, ha pubblicato i suoi scritti nella raccolta Viaggi diVersi (Poeti e Poesia), e varie volte con deComporre edizioni, in diverse antologie a cura di Ivan Pozzoni.

 

Artin Bassiri Tabrizi

Artin Bassiri Tabrizi

Artin Bassiri Tabrizi
IN MORTE DEL POETA MAI NATO
a Jacques Derrida

Commensale, commensale !
Dammi da bere
e inizierò a narrare

Amico mio, devi sapere
Che noi poeti d’antico mestiere
– mal celati
mai compresi –
con diversi sotterfugi
l’Animo umano sappiam cangiar!

Acciocché possa capire
quel che io ti sto per dire
prova un po’ a immaginare
a quant’è sconfinato il mare

Troverai, con dispiacere
che c’è poco da tacere!
Ahi, lasso, qual buon vento
mena le vele a piacimento

e cangiarlo non si puote
(non importano le quote)
tentennar è criminale
se di fronte hai un bel crinale

senza fronzoli o anatemi
lo smargiasso di sistemi
cosa può dinanzi a noi?

Che poi vedi, oh commensale
la nostra
ingordigia tutto travolge
non solo al mare
essa si volge

Sterpi danzanti
muri vibranti
chioschi dolenti
volti piangenti.

L’orecchio tende l’agguato
la parola, inerme

Esso
si intinge di lusso
si veste di fango

La simmetria di questo pensiero
non esiste, non può d’altronde
esso è rapace
avvilito da quello che gli si mostra :
teste marce, scuotono meccanicamente
l’assenso, come a dimostrarne l’inconsistenza

Sapresti affermare, con viltà
che questo è movimento?
Che questa è possibilità?
Posso forse immergerti in questo specchio unto?

Posso osare
carpire le forme del tuo volto cieco immerso in una sostanziale uniformità di linguaggio
menomare quegli occhi acuminati
sostenere il tuo respiro?

Posso forse, io
– con cotanta perfidia –
chiederti ora, avvolta nei nembi
di mescere, con me, ignave forme di silenzio
di sostare inerte finché tutto sia brullo?

Poetar è dis-umano
poetar è dis-ordine,

Nel ventre del sonno
che ormai tutto tace
noi siam la fornace
già! quella loquace!

Ma senza proventi
marciscono lenti
quei decadenti
che aman poetar

Vieni, anche te!
a esplorare il sentier
insieme al burlier
e al suo destrier

Unitevi in coro,
amanti dell’oro!
agiremo caparbi
sosterremo gli sguardi

Narcisi violenti
scappate, fetenti!
è il turno dell’ombra
le cui stanche membra
tanto pazienti
finirono algenti
disperse dai venti

Oh, commensale
quanto mai vale
questa sporca realtà?

ARTIN BASSIRI TABRIZI è nato ad Assisi il 1992; frequenta Filosofia all’Università degli studi di Perugia e anche il conservatorio F. Morlacchi della stessa città, come studente di pianoforte. Attualmente svolge studi all’Université Paris Pantheon-Sorbonne; a breve si iscriverà all’Università Statale di Milano per la specialistica. È uscito nell’antologia Umane transumanze (deComporre Edizioni).

 

Matteo De Bonis

Matteo De Bonis

Matteo De Bonis
IL POETA

Il poeta, che è per un istante volto di luna,
siede, lungo sentieri limacciosi
e appestati da infernali pozzanghere, su una selce
solitaria.

La sua mente è rivolta verso l’incandescente
forma d’una poesia-conchiglia;
in essa giocherà
un’eco del mare invisibile.

MATTEO DE BONIS è nato a Cosenza il 27 Giugno 1991; è laureando in Filosofia e Storia presso l’Università della Calabria. Nel 2008 ha partecipato al premio letterario ‘Federica Monteleone’ nella sezione dedicata alla narrativa, figurando tra i vincitori. Nel 2011 ha partecipato e vinto la selezione regionale delle Olimpiadi di filosofia. Ha collaborato con numerose riviste on-line di cultura e filosofia. Attualmente s’occupa di tematiche quali i rapporti tra poesia e ontologia e la riabilitazione del sapere estetico. È uscito nell’antologia Fondamenta instabili (deComporre Edizioni).

 

valerio gaio pedini

valerio gaio pedini

 valerio pediniValerio Pedini
POIESIS ET NATURAE: NIETZSCHE E CAPRONI S’INSULTANO, MENTRE BUKOWSKI RIDE- ED IO EVAPORO

“Dio è morto”, inizia così la triste- ma forse non così tanto vicenda
Del litigio dogmatico dei poeti dei mondi- fanculo se l’uno ispirò l’altro-
Fanculo se tutti ispirarono me-nessuno ispira nessuno, perché noi siamo destinati a scioglierci
E la Poesia allora domina nel nostro decadimento- la salvezza del Tutto, in un brodo assiomatico
Di niente-nienti-perdenti-dente
Che macella
Tutto in-giustamente
“Dio si è suicidato”- fa niente che non sia mai esisto, ma si è suicidato!
“Dio è superato”- la Natura domina- il vero Dio lo respiriamo
Dio è pietra che saremo- pietra che già siamo
Una pietra è magmatica e la si può salire, guardando in basso
Dobbiamo scoprire noi
Dobbiamo scoprire il sé, l’io, il noi, ogni pronome personale soggetto è superato, troppo smidollato
Insulto smidollato, vivi secondo natura, conosci i tuoi limiti e la tua saggezza e la tua non saggezza, ignora questa vacua tua poesia-non sarai capace a descrivere la rosa, perché dialogherai solo con te stesso-questa è la tua vacua poesia!
Pregna, pregna dell’umana impotenza
“L’uomo va superato”
L’uomo è già distrutto, Dio pur non esistendo si è suicidato

Ah ah ah,
i coglioni se la litigano,
mentre io mi faccio una sega,
oh, che la poesia sia la natura mi ci gioco le palle
ma mi ci gioco le palle che il miglior modo per descriverla
è descrivere me stesso, snaturalizzandomi un po’
ed è pur vero che i gatti fanno le fusa
mentre si lavano colla lingua,
mentre le puttane vengono stuprate,
mentre la politica rimane sempre uno spreco di tempo,
mentre io mi scolo un po’ del mio sangue,
guastandomi il mio pancreas
in questa morte naturale
non vi è inizio alla poesia, né morte, un arbitrario passatempo per scrivere cazzate,
questa è la filiera della decadenza poetica,
una fiera di hot dog e patatine unte bisunte- patatine, che, a differenza del mio culo, fanno cagare

Dio-tanto è il vostro, non me ne frega un cazzo, mi preoccuperei se fosse il mio- voi credete che io sia pazzo?
Voi credete che sia un porco frustrato che non ha alcunché da fare per vivere in modo sano?
Diamine, mi avete sgretolato tutto, ora umana spezie, della poesia ignoranti, io sgretolo voi- ed evaporo
Alla mia Natura! Continua a leggere

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POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELL’ADDIO (Parte I) Iosif Brodskij, Antonella Zagaroli, Giovanni Turra, Ambra Simeone, Giuseppina Di Leo, Gian Piero Stefanoni

«Il tema dell’addio. L’addio è una piccola morte. Ogni addio ci avvicina alla morte, si lascia dietro la vita e ci accorcia la vita che ci sta davanti. Forse il senso della vita è una sommatoria di addii. E forse il senso ultimo dell’esistenza è un grande, lungo, interminabile addio».

 

canciani 

Iosif Brodskij

Iosif Brodskij

Iosif Brodskij

Arrivederci, o magari addio

Non è necessario che tu mi ascolti,
non è importante che tu senta le mie parole,
no, non è importante, ma io ti scrivo lo stesso
(eppure sapessi com’è strano, per me, scriverti di nuovo,
com’è bizzarro rivivere un addio…)
Ciao, sono io che entro nel tuo silenzio.
Che vuoi che sia se non potrai vedere come qui ritorna primavera
mentre un uccello scuro ricomincia a frequentare questi rami,
proprio quando il vento riappare tra i lampioni,
sotto i quali passavi in solitudine.
Torna anche il giorno e con lui il silenzio del tuo amore.
Io sono qui, ancora a passare le ore in quel luogo chiaro che ti vide amare e soffrire…
Difendo in me il ricordo del tuo volto, così inquietamente vinto;
so bene quanto questo ti sia indifferente,
e non per cattiveria, bensì solo per la tenerezza
della tua solitudine, per la tua coriacea fermezza,
per il tuo imbarazzo, per quella tua silenziosa gioventù che non perdona.
Tutto quello che valichi e rimuovi
tutto quello che lambisci e poi nascondi,
tutto quello che è stato e ancora è, tutto quello che cancellerai in un colpo
di sera, di mattina, d’inverno, d’estate o a primavera
o sugli spenti prati autunnali – tutto resterà sempre con me.
Io accolgo il tuo regalo, il tuo mai spedito, leggero regalo,
un semplice peccato rimosso che permette però
alla mia vita di aprirsi in centinaia di varchi,
sull’amicizia che hai voluto concedermi
e che ti restituisco affinché tu non abbia a perderti.
Arrivederci, o magari addio.
Librati, impossessati del cielo con le ali del silenzio
oppure conquista, con il vascello dell’oblio, il vasto mare della dimenticanza.

Antonella Zagaroli

Antonella Zagaroli

 labirinto

 

Dalla sezione Costruzioni cinematografiche

Apologia della Libertà

La telecamera si avvicina
Lentamente al letto bianco
Al quaderno col risvolto nero

(…)
Guardate oggi è il mio turno.
Non esisto più.
Finalmente mi libero da ogni guardiano.
Muoio al mondo senza suicidarmi
(non ho questo coraggio).
Non c’è più sesso nel mio corpo.
Sola, mi lascio toccare soltanto dal letto.
Abbasso le braccia.
Non sono riuscita ad essere un centro qualsiasi.
Ho fallito.
Finalmente dico basta alla mia spoliazione.
Ad occhi chiusi e nel letto disegno il futuro.

(…)
Adesso al buio il fremito mi prepara:
“cammina, cammina la principessa
va all’appuntamento
………………………”

(…)
Senza volontà cambio volto
divento un grande orecchio
rintocco di piume
dilatazione di boccioli
voce in fondo agli abissi
………………………
Piano sequenza lentissimo sul volto e sul corpo della donna nuda.

Ecco finalmente lascio il deserto e
vado via anche da te, figlio senza padre
claudicante castellano della solitudine
dolente cavaliere di principesse e principi
ultimo regnante dalla parola magica.
Mi allontano dalle tue e dalle mie vedovanze
caro volto, voce di ambigua specie
confuso crogiuolo di lutti passati
bagliore di inaspettate gemme emotive
per comuni slanci di tenerezza.
Sì, la persistenza è fuggevole volo
a chi soffoca la sulfurea materia,
prezioso custode della malincolìa!
A te finalmente restituisco
il giardino-labirinto d’ogni incontro.
Perderò le trasfigurazioni del tuo viso.
Nel letto insieme alla respirazione
interrompo lo slancio verso il martirio,
ho imparato la carnalità dell’anima.
Oggi, alleggerita dall’ardore,
ubbidisco alla morte.

 

labirinto aleph

labirinto aleph

Dalla sezione La vista del Corpo

Un grido di idee dallo stomaco
e le gambe si alzano
la lingua si ferma,

il colore senza più matite
compone l’assonanza,
l’unica possibile conoscenza.

Il segreto scompare:
“E se la Morte fosse Dio
Buddha Yahvè Allah

la Grande Madre
apparsa concreta
nella vita di Cristo?

Sarebbe Lei la Verità Rivelata
dell’esistenza tutta
motore e paura degli umani?

La continuità della luce?
L’amore senza ragione
al di là di ogni pulsazione?”

“Sì. Morte è notte sole luna stelle
luogo che si perpetua
per tutti coloro che la trovano.

Cratere d’acqua, deserto,
lirico roco lamento
che turba e rasserena,

fiammella, dubbio,
tristezza nella sosta
per l’ignoto.”

Allora mi affido a lei
nella cenere bagnata

la penetro,

nel renderle grazie
scuoto la difesa e vedo
vedo il giardino del tiaso.

(Venere Minima, Rupe Mutevole Bedonia (Parma) -2009)

Giovanni Turra

Giovanni Turra

 

wassily-kandinsky-yellow-red-blue-1925

wassily-kandinsky-yellow-red-blue-1925

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni Turra

l’orologio da parete

Il pensile orologio da parete,
il metallo brunito della scocca.
Con tatto d’entomologo ne sfili
come altrettante ali le lancette:
un volo di lancette sul quadrante,
tutta la tua vita in un botto.
E s’accampano di getto,
come usciti dall’armadio,
i tuoi morti uno e due.
A mezzo busto dentro una cornice,
in un giorno di sole.

 

l’apolide

Mio padre l’apolide,
gravato nel petto per l’angina,
ben conosceva tutti i duty-free
del Norico, della Pannonia.
E mai s’è dato che per me,
l’unico figlio,
ne sia tornato senza
la stecca rossa di Marlbòro
a metà prezzo.
Così oggi persino questo
mi tocca ricordare:
dei miei vizi,
assolti impunemente
e per amore
dai miei vecchi genitori. Continua a leggere

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POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELLA MUSICA O SUGLI STRUMENTI MUSICALI di Antonella Zagaroli, Paolo Polvani, Giuseppina Di Leo, Lucia Gaddo Zanovello, Lidia Are Caverni, Eugenio Lucrezi, Loris Maria Marchetti, Annamaria De Pietro, Leopoldo Attolico, Ambra Simeone

picasso astratto musica

picasso astratto musica

 

Antonella Zagaroli

Antonella Zagaroli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Antonella Zagaroli

“Potrei entrare nel labirinto
in quel vortice dove tutto si confonde
e il bianco accoglie ogni senso,
forse mi scoprirei come sono

nuda vertigine profumata.

Per rivelare la cadenza al ritmo
ti incontrerei sugli scogli, vergine madre mia”.

(1998)

 

“canto e brindo
con chi sa ascoltare nomi in risonanza,
all’orecchio strumento m’inchino.”

Fra tenerezza e turbamento
madre e suo nutrimento,
dai pori della terra semente aria

la maschera ritrova il suo senso,
nella corda d’altalena
nell’occhio della memoria, a schegge:

“Arresa al mondo possibile
dischiudo il crocicchio claustrale
per te, elisir accoccolato entro ogni cunicolo.”
Da Primo alfabeto 2002
È l’ora rosa
rintoccano le foglie
sui dorsi dei cavalli
su pietre che evaporano
vita solitaria,
nella dimora a bocciolo
avanza il centro che accoglie,
lascia inermi.

Dopo gli scrosci al buio
rrurr rrurr rrurr rrurr
la tortora si risveglia alla pienezza.
La riconducono primitive dee
danzando
in mezzo a parole senza pelle.

Dal flauto l’alito cresce alto
sfiora il confine al cielo
ridiscende
lentamente
in ogni organo,
torna a terra in continuità.

Da Venere Minima 2010

 

violino_Barroco

violino_Barroco

Paolo Polvani

La violoncellista

La violoncellista estrae dal pozzo della notte
un alveare volante, le rotaie
della metropolitana, un tonfo,
un garrulo stuolo di cornacchie,
il vento che gonfia le lenzuola, il vento
che fa di marzo un maestro di nitidezze.

L’archetto si profuma di laghi.

La violoncellista ci abitua ad ogni sorta di miracolo marino
la testa gonfia di singhiozzi
percorre le incongruenze delle periferie
i sussulti dei treni inghiottiti dalla nebbia
i tornanti scoscesi dell’amore.

La violoncellista esibisce a volte un sorriso che non è di questo mondo
ricorda le beatitudini del bosco
siepi di rosmarino spalancate sulle palpebre.

Ma io voglio vedere le sue gambe voglio vedere
se l’alba le disegna una città di mare sulla fronte.

Paolo Polvani, Murge 2013

Paolo Polvani, Murge 2013

L’ultima dimora di Tchiajkovski

Di Tchiajkovski abbiamo visto l’ultima dimora
passando in pullman di sfuggita
e ora è qui che ci abbaglia
ci fa lacrimare seduti
e dimenticare che ci ospita la pancia luccicante di un teatro.

Le passeggiate lungo i viali della Neva.
Le bocche che si cercano sono finestre sigillate
che scoprono i denti in un ghigno obliquo.
Queste sono le carezze che distribuisce il violino.

Le pozzanghere riflettono il cielo
di una profonda estate
cielo di velluto e smalto col fiato di uccelli fiduciosi.
Questi sono i vibranti schiaffi dei timpani.

I fulmini che scaglia il flauto si nutrono dei brividi
che costeggiano la vita come un mare perenne,
grigio e tormentato e austero Baltico,
solcato da battelli e dalle barbe dei loro capitani.

I caldi abbracci degli ottoni convergono all’ombra dei palazzi
interrogandosi sulla direzione della notte,
sui messaggi del vento,
sul moto ondoso delle morti e sul brulicante
prato delle rinascite.
Il maestro cavalca l’onda del fiume scintillante
ne conosce le anse fruscianti d’erba, i segreti anfratti,
conosce le carezze dei salici fulgenti.

Ma è il sole che si agita e che ci fa tremare.
L’orchestra invita il sole a splendere più forte.

 

musica tra gli egiziani

 

 

 

 

 

Giuseppina Di Leo

Quaresimale
(pausa)

Chiasmo stupore e sogno.
La lingua balbetta precisi rigori
parole di fiele da stille di miele
suoni d’inverno in converse primavere.

Per due soldi e un rancio di pane
sul punto solleva a gola d’organo
il basso la nota del pianto cattedrale.

(da Slowfeet, Gelsorosso 2010)

giuseppina di leo

giuseppina di leo

Il silenzio, silenzio non è. Se in questo silenzio
si ferma il giorno. Nell’ora della compieta
le parole fanno parentesi graffe
senza testa né coda;
tra riquadri luminosi evidenzia la pietra
i solitari profili umanoidi restano assorti in posa.
Dicono che tutto viene rimandato, pazientemente
separano note taciturne da porre al fondo dell’io
da chissà quale piano virtuale racchiuso dentro.
Ora, che un acuto bizzarro scaccia via anche il sole.

(2010 / 18 giugno 2014)

Stradivari 1681

Stradivari 1681

Lucia Gaddo Zanovello

Volúmine

Tiene cosí alto il tono
questa verità
che assorda
vibrando
tutte le stelle dei sentimenti
che trapungono
di malinconica meraviglia
il cobalto della notte.

Erma salì
profetica e perfetta
èmato enfiando nelle vene
igneo sguardo
a contemplare
l’errante errare
di quest’isola nel mare
che ha radice qui nel centro
dell’abisso che non vedi.

Canta ora con un’eco di risacca
a squarcia fiordo dentro il cuore
della musica interiore

la ridico come posso,
ma è una rana dentro il fosso
che una luna ha tinto in rosso.

(da Memodia, 2003) Continua a leggere

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POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELLA NATURA MORTA di Anna Ventura, Francesca Diano, Giorgio Linguaglossa, Annalisa Comes, Antonio Sagredo, Laura Cantelmo, Giuseppina Di Leo, Ivan Pozzoni, Ambra Simeone, 

rene magritte les deux mysteres 1966

rene magritte les deux mysteres 1966

Ut pictura poesis. E Leonardo ha scritto: «La pittura è una poesia muta e la poesia è una pittura muta». Ogni natura morta ci parla, parla di noi, che siamo fuori quadro. Essa è assenza che attende la presenza umana, o meglio, è una presenza umana che è scomparsa, ed è rimasta l’assenza. E l’assenza ci parla con il proprio apparire, il proprio essere là.

Magritte elective affinities 1933

Magritte elective affinities 1933

Anna Ventura

Natura morta con insetto

Dalla vetrata aperta, una mosca entrò, perentoria,
quando la signora appese al muro
della sala da pranzo
il quadro appena acquistato
in un’asta di Montecatini. Quel quadro
era un simbolo di gioia,
per lei, donna fortunata
e consapevole di esserlo.
Sulla felicità delle sue scelte
nessuno avrebbe osato dubitare Eppure
in quel quadro
c’era qualcosa che stonava:
forse l’opulenza eccessiva
delle uve, l’arancione forte
di una fetta di melone, il rosso acceso
di una granata aperta. La mosca
ronzava intorno al quadro. La padrona di casa
volle scacciarla, agitando un panno
inumidito, ma quella
era più tenace di lei:
all’improvviso entrò nel quadro,
si attaccò a un acino d’uva,
e lì rimase. Non ci fu verso
di allontanarla. Ma la signora
non poteva- ne andava della sua reputazione-
farsi beffare da un insetto. Chiamò un pittore
di buona fama e gli fece dipingere una mosca
proprio lì, su quell’acino d’uva
dove l’intrusa giocava a rimpiattino.
Il giorno dopo,
l’insetto dipinto era scomparso.
L’acino d’uva, liscio, tondo, viola,
l’aveva nascosto
nel folto delle foglie di vite che,
maestose,l’assediavano dal basso.
La mosca viva ronzava per la stanza.

Anna Ventura

Anna Ventura

 

 

 

 

 

 

 

Club

Un sospetto di neoclassico fascista
sfiora le squallide rotondità
di poltrone, angoli, tende
senza colore.
Passa il cameriere basso,
con tre tazze fumanti sul vassoio.
La sala di lettura: deserta,
un uomo solo, nascosto dal giornale.
Corridoi lunghi, pavimento screziato,
archi.
Ripassa il cameriere,
con le tre tazze vuote.
La stanza del bridge è piccola,
colorata di verde e rosso-i tavoli-,
tenue fumo ristagna
tra gli occhi fissi.
“Siamo noi. Siamo arrivati.”
Morti?
No, vivi di una propria vita.
Rossa è la tentazione socialista,
azzurro
il fascino discreto della monarchia.
Ripassa il cameriere, ossequioso,
con quattro tazze colme.
La stanza proibita
È all’angolo,
dopo l’ultimo corridoio.
Bordello?
No, si gioca d’azzardo.
La porta è chiusa, peccato!
E il vetro ha un’ombra di liberty.
Il cameriere è vivo:
fa parte del copione,
e ci crede.

(da Tu quoque” Antologia Poesie (1974-2013) EdiLet 2014

De Chirico la metafisica

De Chirico la metafisica

Francesca Diano

Natura morta veronese

Otto pesche ed un vaso –
Di ceramica azzurra
Opaca ed all’interno traslucida
Di biancore cinereo –
Otto pesche sparse sul tavolo
Privo di gambe e confini
Soltanto un piano che linea
Ombrosa ha come sua fine.
Trasmutante il colore
Avvolge la forma nella sua eternità.
Invisibili due bambine
Nascoste dall’ombra
Sottratte alla visione

francesca diano

 

 

 

 

 

 

 

 

Donna nuda con fiore

La Madre siede
Composta nell’azzurro
Velato di fili
Il corpo solido di materia
Scolpisce lo spazio
Lo colma di peso
Pesanti le cosce il ventre
Nudo che è cupola sciamana
Seni robusti venati di marmoree
Correnti promettono mondi
Sommersi da un fiore
Che la mano porge.
Congela in sé il flusso
Di particelle raccolte
In atomi e molecole
E morule e organi
Infinitamente diversi
Nella ripetizione del modello
Eidetico utero cosmico
Matrice d’universi fecondati.

opera di Giuseppe Pedota

pianeta bianco di Giuseppe Pedota anni Novanta

 

 

 

 

 

 

 

 

Giorgio Linguaglossa

Atropo

Colei che non si volge è qui:
Atropo. Indossa un vestito nero
che le fascia il corpo come un guanto.
Suoi attributi sono gomitoli e forbici
con le quali taglia il filo della vita.
Osserva una sfera di cristallo
e legge su un rotolo misteriosi geroglifici:
il destino degli umani.
È la più vecchia delle sorelle Cloto e Lachesi.
Guarda sempre in avanti, così ha decretato Zeus.
Ha una gorgiera di ferro che le impedisce il respiro
e non può voltarsi né a destra né a sinistra né indietro.
È sempre in affanno.
Ruota in eterno tra le sue mani la sfera di cristallo
legge il rotolo di pergamena
e col gomitolo avvolge la sfera
che ruota attorno al proprio asse magnificamente.
Ma lei, la megera, non sa
né quando né come né perché
taglierà il filo del gomitolo.
La vecchia pazza gioca con le forbici
e il gomitolo. E ride, ride.

 

Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

Apro la prima porta a sinistra

… Apro la prima porta a sinistra:
ci sono tre donne sedute intorno ad un tavolo:
stanno per parlare ma non parlano
sembrano in ascolto ma non ascoltano,
indossano vestiti bianchi, hanno il plettro
e una chitarra azzurra,
ciascuna guarda davanti a sé ma ognuna
in direzione diversa,
ogni direzione è una dimensione;
il loro volto non ha volto, e guardano
con un solo occhio; «che cosa guardano
– ci chiediamo noi – se non il vuoto?»;
non possono uscire dal solco tracciato dal fonografo
non possono uscire dalla foto scattata dal fotografo:
traducono la traccia magnetica in onda sonora,
possono cantare soltanto ripetendo il medesimo ritornello
come gli uccelli sugli alberi:
«ciò che noi siamo voi mai sarete
e ciò che siete noi mai saremo».
La prima, Lachesi, canta le cose che furono,
la seconda, Cloto, canta le cose presenti
e la terza, Atropo, canta le cose che saranno;
cantano le tre signore un coro discorde
che neanche Zeus, loro padre, può appianare.
Cantano? È questo il destino del canto?
sì, è questo, e il loro canto è nemico della morte.
Ogni canto è nemico della morte?
Ogni canto è amico della morte.
Lachesi ha il volto rivolto al passato
Cloto ha il volto rivolto al presente
soltanto Atropo ha il volto rivolto al futuro
ma Atropo, la terza tra le donne, è cieca
e non può vedere ciò che taglia
e taglia con robuste cesoie il filo della vita
che non vuole cessare. E canta.

 

acrilico su tela, anni Sessanta, di Giuseppe Pedota

acrilico su tela, anni Sessanta, di Giuseppe Pedota

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Annalisa Comes

Natura morta e partenze

Parte di questo mondo se ne va.
Se n’è già andata una manciata d’anni,
una famiglia con quattro rampe di scale e una torre
a via Mantova.
Se ne sono già andati lontano lontano,
senza che faccia la minima differenza,
un gatto e un padre.
Se ne sono andate via brezze invernali, estive e piogge
in gocce leggere.

Un vestito blu troppo stretto, il cappello di paglia, il vaso di violette
ch’era ai piedi del nostro letto.

 

annalisa comes

annalisa comes

 

 

 

 

 

 

 

Ringraziamento in domestica natura morta

Foglie di vite e
grappoli di uccelli.
Sull’orlo delle pagine :
l’orlo della tovaglia,
le posate,
beccano senza sosta mani
e unghie.

Allora, ecco, posso ringraziare questi lavori domestici,
per il sapone che lava piume e
scaglie,
e il vino che arrossa il fondo dei bicchieri,
brocche da impugnare e tazze e tazzine.

E per le storie che ho detto e per quelle che ho ascoltato,
– grembiule e alfabeto dei miei giorni-.
E per la pelle liscia delle patate
che fanno il nido, qui,
dopo vetri e ringhiere,
qui,
docilmente.

ardengo soffici donna seduta con finestra

ardengo soffici donna seduta con finestra

Antonio Sagredo

I ricordi beati dei poeti

sulla Montagna dei Passeri
dove mai sono stato
né mai ho pestato un’ala
io vidi le vostre dita
intrecciarsi come fiocchi invernali,
carezze crollavano come chicchi di sinistre stelle!

Se ne andavano in slitta i due poeti
sapevano le destinazioni egiziane:
il riposo in un’algida fossa mozartiana,
la Marina sul molo dei Nodi scorsoi.

Cantavano con avanzi di grida e parole la propria epoca,
conteggiavano dal passato il martirio dei loro giorni luciferi.

La corda e la trave smaniavano per un collo
che non soffriva ancora – che ancora non si offriva!
L’esilio dantesco come un deterrente sognava
un requiem, un trionfo d’ossa, una fine comune.

Una nera carrozza notturna brillava di neri stivali,
non più cortese si fermò sotto un fanale d’orange
in Via della Mortalità dell’Arte:
c’era posto soltanto per milioni di poeti…

il primo – ucciso per asfissia ovvero mancanza d’aria – il cigno
il secondo – ucciso dagli stenti – il prigioniero d’assonanze
il terzo….
ecc. ecc.

ma il Tempo si ritrasse come un verme….

oggi Basquiat Jean-Michel è evirato dai colori

non c’è scampo
per i suoni, e la parola!

Roma, 25 maggio 2014 Continua a leggere

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SUL TEMA DELL’ISOLA DEI MORTI  di Böcklin (Stige o Acheronte) – Poesie di Giuliana Lucchini, Salvatore Martino, Silvana Baroni, Gian Piero Stefanoni, Ivan Pozzoni, Ambra Simeone

arnold bocklin Toteninsel (L'isola dei morti)

arnold bocklin Toteninsel (L’isola dei morti)

La spiaggia di Levrechio sull’isola di Paxos si trova di fronte alla foce dell’Acheronte fiume che attraversa l’Epiro, regione nord-occidentale della Grecia, e si congiunge col mare nei pressi della cittadina di Parga. L’Acheronte è un affluente del lago Acherusia e nelle sue vicinanze sorgono le rovine del Necromanteio, l’unico oracolo della morte conosciuto in Grecia. Ma Acheronte (in greco Ἂχέρων, -οντος, in latino Ăchĕrōn, -ontis) è anche il nome di alcuni fiumi della mitologia greca, spesso associati al mondo degli Inferi. Secondo il mito sarebbe proprio un ramo del fiume Stige che scorre nel mondo sotterraneo dell’oltretomba, attraverso il quale Caronte traghettava nell’Ade le anime dei morti; suoi affluenti sarebbero i fiumi Piriflegetonte e Cocito. Il suo nome significa “fiume del dolore”. (nota di Francesco Aronne)

 

Isola dei morti, quarta versione

Isola dei morti, quarta versione

giuliana lucchini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuliana Lucchini

Ashes in the Museum

(a mia sorella Ilva)

 

Portammo
ceneri al museo, in una cripta d’argento,
raccolte dentro il cuore di una tela,

ceneri dalle rive d’Acheronte.

Nella trasparenza della luce
il velo sulla forma, il velo
che si stampò della bellezza

nella sua bara :

la tua creatura di cenere, Alma-Tadema*,
che si sbriciola tra le dita
appena implode al solco dello Stige.

Via della Croce sopra le spume,
struggente raffinatezza del deperibile
che la mano dell’artista eterna :

abbandona il peso, esce dal chiostro,
brilla di tutte le stagioni,
cammina da sola verso l’immateriale.
* (mostra al Chiostro del Bramante)
** “Sei nell’anima
e lì ti lascio per sempre ..” (canta Gianna Nannini)

 

opera di Dalì

opera di Dalì

 

 

 

 

 

 

 

 

salvatore martino col sigaro

Salvatore Martino

Sopra un quadro di Böcklin

Ritornato dal caotico inferno
e dalla solitudine
l’immagine appare
schiacciata contro il muro
affatto rettilineo il tracciato del cuore
privo di ossigeno il cervello

Dopo quaranta giorni nel deserto
a combattere l’assenza di me stesso
muta discende una preghiera

– Angelo atterrito
che abiti le caverne del mio fiato
tieni lontana
dall’orma del mio piede dall’approdo
la bianca figura dell’Isola dei morti
riportala nel gorgo della sua tela
con l’alito atroce della tua parola- Continua a leggere

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ANTOLOGIA DI POESIA ITALIANA CONTEMPORANEA – Antonio Sagredo, Chiara Moimas, Meeten Nasr, Franco Fresi, Lucia Gaddo Zanovello, Vincenzo Mascolo, Ambra Simeone, Patrizia Pallotta

Parnaso 1

Parnaso1

 

 

 

 

 

 

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo

 

 

 

 

 

 

 

 

Antonio Sagredo

La metamorfosi della finzione

 

Quando il tempo il vuoto dei miei atti scorre umile e inquieto
possa io convertire il passo umano in ambio dislocato,
il ferro equino calzare come una corona non domata la giostra
di un torneo che muterà rogo e croce in volto circense e scespiriano.

La clessidra il vuoto del tempo e dei miei atti mescola con la cenere,
con una figura che abiura il tratto secco, la matita e il disegno non ornato,
ma le dita schizzano scellerato il segno e la visione di un pensiero declinato
per quella fede perduta nel perdono, per il rimorso di un palco non calcato!

Saprò io con ferrigna mente disseccare un salice e le lacrime custodire
io in un ricordo collassato e nello schianto attutito di un’arteria terminale
cedere io a una stella vespertina la struttura di un marcio crocefisso…
ah, vorrei una misericordia non divina, ma umana per Cristo e Giulio!

E un linguaggio cordigliero da un pulpito d’avorio alle navate vorrei
risonare come vessilli tra ostie insanguinate e mitrate angeliche parole,
quando una clessidra vuota inquieta scorre la gerarchia dei miei atti –
libertini se volete condannarmi, ma pietosi, lacrimosi – come Pierrot!

Roma, 28 marzo 2014
(all’ora quarta)

antonio sagredo Teatro Politecnico 1974

antonio sagredo Teatro Politecnico 1974

 

 

 

 

 

 

 

*

Stermini, e ti lasci andare al sogno ovunque e rosicchiano i secoli
il chiavistello della tranquillità, e t’accorgi inerme come la voce assenta
la lingua nei deserti della consapevolezza e il raccapriccio inventa
un mestiere al poeta, la sua parola tu bevi dal calice dell’inconsistenza.

E i suoni non hanno senso sui ghiacciai, liquidi cessano d’essere Maestri
di canto all’uomo… l’ugola non regge l’errata corrige di una volta che ci sovrasta
e marcia è la matematica e i disegni di un linguaggio che non sai… sfacelo
delle laringi, e il cerebro e il vuoto e il pensiero si specchiano in contumacia!

Non puoi dire se giostra è la finzione, se circo e tornei una imitazione,
i versi, le parole e i sensi sono meno di una tavoletta d’argilla che squilla
adesso come una lanterna antelucana – per l’aurora è un azzardo il giorno!
e i tramonti non hanno più una tazza dove affogare la propria morte recidiva.

E il lutto non s’addice più alle nostalgie dei nastri funebri, a quegli angeli
che sui feretri sono marionette… il conforto agli umani avanzi non è più
un dono e i loro occhi e le lacrime e quelle mani… non sappiamo nulla…
non sappiamo nulla… e il riso è solo un ricordo cartapestato… logoramento

delle felicità e delle tristezze ci corrode il futuro… non è il caos, né la rovina,
né gli stermini – e il divino ci disturba, ci ha succhiato la coscienza, ci ha rubato
la storia e la nostra stessa essenza e la natura e quella terra… io la miravo, e non
è più la mia origine, non più la sede di dei che mai furono – e io, interdetto, me ne vado!

Roma, 10 aprile 2014

Chiara Moimas

Chiara Moimas

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiara Moimas

Dafne

Rincorsa da Apollo invaghito
Dafne braccata non sa che fare
inconsapevole d’ essere un mito
vergine e pura vuole restare.

Il dio è vicino stanco e sfinito
già la ghermisce: non può scappare.
– Che il desiderio venga punito.
Che la bellezza possa mutare-.

La chioma fulgida fronda diventa
e già le dita alloro si fanno.
Non è l’ignoto che la spaventa

è l’ansimare d’Apollo, l’affanno.
E’ la sua bocca che il pube rasenta
e trova corteccia. Mirabile inganno. Continua a leggere

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ANTOLOGIA PER IL PARNASO VI – Antonella Antonelli, Nazario Pardini, Stefanie Golisch, Adriano Accattino, Ivan Pozzoni, Ambra Simeone, Tiziana Antonilli, Maria Pia Quintavalla, Roberto Maggiani, Carmelo Pistillo, Faraòn Meteoses

Antonella Antonelli in orangeAntonella Antonelli

Un’altra fuga

“E’ mia la dipendenza?”
Ti chiedo smarrita.

“E quali catene ti ho dato io?
Nessuna. Sei libera di andare,
scegliere, volermi e non volermi.
Non smetterò mai di cercarti
lasciandoti andare”

“E come faccio io senza catene?
Passa dunque da qui, la mia indipendenza?”

Togli gli occhiali,
mi fissi negli occhi
con gli occhi stanchi,
come fosse faticoso,
ancora una volta,
spiegarmi:

“elemosini amori incatenanti
per non perderti, e poi scappi
senza mai liberarti.

Una semplice evasione
la tua fuga.”
Resta appena socchiusa
la tua bocca, come volessi aggiungere
qualcosa.

“Come faccio ad amarti
se non mi tieni?”

“A catena amore, come un cane fedele?
Io non ti tengo, no.
Sei libera di andare oppure di restare.”

Ti abbraccio di slancio, stupita.
Metto la testa sulle tue gambe,
mi sfiori i ricci, li sento
aggrovigliarsi tra le tue dita.
Vorrei fossi un gigante
e io nella tua mano, ballerina,
girare sul palmo fino a cadervi.

Mi tiri su.
Metti gli occhiali
ti rimetti a leggere
metti mille libri a sommergerti.
Mille capelli sulla tua testa ferma.
E’ notte e di notte i pensieri
ruzzolano come palloni su scale popolari.
Odore di refettorio dalle porte aperte.
Il caldo si mescola, vorrei andare
una gamba piegata, l’altra pronta,
ma non mi dici niente
ti chiedo “posso restare?”
“decidi tu, amore”.

Sposti gli occhiali, mi guardi
e i tuoi occhi si muovono rapidi
sulle mie labbra incerte
“no, meglio che vada” dico
e mi sento piangere,
in silenzio, senza lacrime o scosse
dentro, come un innaffiatoio bucato.
“Peccato” dici “è già così buio.”

Ti rimetti a leggere
“allora resto” ti dico fiduciosa.
“No. Ora va.”
“S’insegna così la libertà?”
Ti chiedo altera e delusa.
Continui a leggere.
Ognuno in questo gioco ha la sua parte.
“Mi lanci un’altra sfida?”
Non mi rispondi.
Vedo gli occhiali, fili bianchi e una poltrona.
Me ne vado con il tuo silenzio.
E questa, è solo un’altra fuga.

Foto Nazario ii

Nazario Pardini

Contro le lune
Ho sempre fissa, padre, la tua immagine;
i nostri sogni, il cielo: prevedere
dure gelate a divorare pane,
piogge future ad annullare semi;
e brezze, e folate affilate
a recidere illusioni mai appagate.
Eppure si aspettava primavera
immaginando anche il suo profumo
nel suono nemico dell’urlo invernale.
È sempre fissa, sì!, la tua visione:
tronco scheggiato da lame
forgiate dal tempo;
fronda sfrascata da inverni ribelli;
idea appesantita
da troppe lune piene. Sì!, ti rivedo
ancora qui con me, padre immolato,
a regalarmi odori d’erbe offerte
alle frullane lucide di sole.

Sai, padre!
Qui non ci sono più terre feraci
disposte a dare vita
a mèssi generose;
fronde feconde
ad ospitare nidi da allevare.
Sulla tue terre crescono le case
abbracciate fra loro
come pietre di cava sopra storie
destinate a finire. Chiedo solo
– al cielo, a qualcuno, non so a chi –
che mi mantenga in seno la tua voce,
che mi mantenga in cuore il tuo sorriso,
il tuo sagrato profumato d’erba,
e la tua voglia, maledetta voglia,
di seminare sogni anche nei giorni
più neri della notte.
Contro le lune.

13/05/2013 h. 11 (inedito)

stefanie-golisch-190

Stefanie Golisch

Fly and Fall

.
Piano il giorno apre gli occhi
per salutare la mattina di fine agosto.
Ecco ciò che sta per accadere oggi:

Un uomo troverà l’amore e un altro lo perderà.
Qualcuno arriverà alla stazione giusto in tempo,
mentre un altro attenderà invano.
Un merlo sussurra nell’orecchio di un altro, che bello volare e cadere.
Qualcuno inaugurerà il giorno con una bottiglia di birra,
e un altro ascolterà a lungo l’eco dei sogni complessi.
Qualcuno scriverà una lettera scarlatta,
mentre nel cuore ferito del suo vicino non è rimasta una sola parola.
Una bambina si sveglierà dai suoi sogni notturni
stringendo il suo orsacchiotto, e una donna si sveglierà
soltanto per morire a metà mattina poiché il giorno
richiede tutto questo. Lottando scivolerà via davanti agli occhi
dei vivi nello stesso momento in cui
un pittore finalmente trova il suo blu.
Oggi sarà il mio giorno pensa il giovane,
mentre si allena, impaziente di gettarsi nella mischia.
Nella cantina di una casa abbandonata,
una gatta tigre gioca con un topo soltanto
per intrattenere la piccola cosa

Quel che il pittore non sa
è che quel blu non esiste,
ma soltanto una voce lontana,
quasi non udibile nel brusio di tutto questo fare all’amore,
morire, chiacchierare con gli amici, mangiare, bere,
spaventarsi e gioire,
impaziente di placare l’insaziabile
oggi

Adriano Accattino

Adriano Accattino

Può significare una svolta del respiro… non è più
parola, ma toglie la capacità di parlare

Forse qui, affrancatosi qui e in quale modo..
forse si libera ancora qualcos’altro

A partire da questo punto… ora può percorrere
le proprie strade… più volte

Tra le speranze vi sia quella di parlare per conto
di un Altro. Forse è concepibile un incontro..

Su questo indugia, s’azzarda… mette in rapporto
con la creatura

Nessuno può dire quanto… la pausa del respiro
duri ancora

*

Cerco la stessa cosa, la figura, in vista del luogo,
del farsi libera, del passo in avanti

Oppure tenta di percepire la figura nella direzione
che le è propria, fugge innanzi

Ben sappiamo dove vada la sua vita, dove sia
per andare: così era andata la sua vita

Gli risultava talvolta sgradito il fatto
di non poter camminare sulla destra

Ecco l’oscurità che muove da una distanza
che essa stessa, forse, ha tentato di progettare

Noi professiamo l’oscurità*

* da Poesie rubate Mimesis, 2013

Ivan Pozzoni

Ivan Pozzoni

Ivan Pozzoni

PENE D’ARTISTA

Non conosco chi è Ninnj Di Stefano Busà,
– c’aggia fa!- non appena Kairos Editore
mi chiederà ancora 200€, così da essere inserito,
con tre testi, ne L’evoluzione delle forme poetiche
La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio,
nun me resta che accettà, in modo da essere anche io migliore,
migliore di come sono, 200€ migliorano la mia scrittura,
è la vittoria dell’economia, sul conflitto tra natura e cultura.

Chi cazzo è Ninnj Di Stefano Busà?
Forse un’emula di De Signorinibus, o De Signorinibus
un emulo ermetico der medico de li mortacci,
non funziona, quando bustrofedo alle due di notte,
dopo succo d’uva e Sangria, un Bellini, Porto,
divento incoerente, una sorta di Don Chisciotte,
meglio dei vari Don Abbondio che bazzicano l’orto
dell’irta arte italiana, disponibili a versare,
non nel senso di fare versi, 1500€ a Carabba,
con lo scopo recondito di farsi pubblicare,
facendo sermoni sulla gratuità dell’arte
quando vai a chiedere 30€ di quota solidale
per sconfiggere i cartelli dell’industria editoriale.

M’inchino a Ninnj Di Stefano Busà
– c’aggia fa!- senza aver capito se è una donna, un uomo, un trans,
se è un uomo, o un trans, non m’inchino,
minchia, mi sento troppo brillo per continuare,
e non sono abituato a brillare, mi toccherà tornar da Ambra,
a letto, come un’ombra, senza far rumore,
lei mette i tappi nelle orecchie per non sentirmi battere,
io, quando batte lei, nel senso di battere al Pc,
mi metto un tappo in bocca, è meraviglioso spiarla scrivere,
di lei sono sicuro che non è un uomo, o un trans,
– svelando queste cose rischio di ritrovarmi cadavere-,
o un emulo imperterrito di Oronzo Canà
davanti alla fama imperitura di Ninnj Di Stefano Busà.

(inedito)

Ambra Simeone

Ambra Simeone

Ambra Simeone

mi prendo la libertà di quel che scrivo

e poi questa storia della libertà io davvero me la sono sempre chiesta,
che ti dicono che molte persone della tv, politici, soubrette, giornalisti, attori
e che persino molti scrittori famosi, non sono liberi come quelli che non li conosce nessuno,
perché a loro manca di fare certe cose normali, come andare a fare una passeggiata da soli,
farsi fotografare solo quando vogliono loro, fare l’amore senza dire niente a nessuno,
e che allora la notorietà non è più una questione di libertà, se dicono, che più sei noto
e più perdi la libertà di fare certe cose, come le fanno tutti gli altri sconosciuti,
ma a molti sembrerebbe una bufala, e allora non conviene essere famosi? lo dicono tutti?
io quindi me la sono sempre chiesta questa cosa qua, che forse uno è libero se non è riconosciuto
è libero se nessuno sa chi è, cosa fa e come vive, uno è libero se diventa invisibile,
e forse è proprio una bella scusa, una bella invenzione ideata da chissà quale creatore,
mah, sarà, proprio un bell’affare la libertà, che uno però non è libero di diventare famoso,
ma di essere uno come tanti, uno in una massa indistinta di sconosciuti, così ti dicono,
dunque secondo me la libertà l’ha inventata un bravissimo scrittore.

tiziana antonilli

tiziana antonilli

Tiziana Antonilli

Come si chiamava
Lei che inavvertita folgorava l’occhiaia
scomponendone il viola
si accapigliava con l’inerzia
sbranandola
ridisegnandoci
ombretto rosso sole
inanellava il blu
inarreso dello sguardo.
Sopravvive
ma solo quando l’inverno cede
e la prima rondine
posa stanchezza

allora sembra di nuovo possibile
che uno schiocco di dita
ci inabissi all’istante
ma quella sfrontatezza quanto
insegue
sanguina
esige
se è ancora?

Quintavalla

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Maria Pia Quintavalla
Qui, che ridiventa nido

I)

Se mi mettessi fuori a testimone,
del tempo e del mercato,
che la stessa scena ogni giorno
r i c o n c r e a

ma per meglio cogliere nel flusso
che si libera, io lenta
navigante che non sporge più
non rema a braccia a nuoto,
nuove luci arricchiscono disegnano
i suoi i fianchi flessi come l’iride.

Se testimone fossi dell’intero,
nel verso io potrei smorta
carpire un suono madido che afferra,
piega a lato in frescura,
la bocca benedice non sente più
pianti nolenti ma bambini
lesti nel correre,
che ricambiano il suo v o l o.
II)

Rivivi la tua infanzia, mentre ricrei
a Itaca, col padre
nel nome tuo familia nova che
come l’altra, drammatica insoluta

perché per crescere occorreva
essere amati, io adulta genitrice
della vita che si fa futura,
non mentore soltanto di occasione – infanzia
che si genera rifà mi pianta
intorno a un’ostrica mi incolla
alla matrice unita al male
con il bene, un arco soddisfatto
in sincronia f u t u r a.

Roberto Maggiani.

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Roberto Maggiani

da “La bellezza non si somma” (Italic, 2013)

Dio

Ho imparato ad evocarti
dai colori e dalle forme delle cose.

Per riconoscere la tua presenza
mi bastano la soglia di una porta
sempre aperta su un patio
e una tenda
che nella brezza sappia danzare
lentamente.

Sei come un albero
che nella sua totale presenza
si assenta nell’abitudine
dello sguardo

Io invece sono come il mio gatto
che parla ai corvi lontani:
vedendoli piccoli
vorrebbe farne un boccone –
li prega di scendere
con versi inconsulti
non sapendo della loro grandezza.

Ti cerco instancabilmente
ed è solo per la nostalgia che ho di te
che scrivo poesie.

Carmelo Pistillo aprile 2012_

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Carmelo Pistillo

LEI È QUI, DENTRO DI ME…

Lei è qui, dentro di me,
mi offre i sensi, torce
il suo orizzonte.

E’ in ginocchio e grida
vivi, ma io piango,
e non so quanto
il mio seme cerchi
luminescenze nella sua bocca
o quanto le sue trecce
siano già corda spezzata.

Tutto è stato così lento,
la mia testa fra le sue gambe,
le mie labbra sulle sue.

Siamo saliti e scesi
su ogni errore.

Come acrobati nell’elegia,
come acrobati nell’elegia.

Stefano Amorese

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Faraòn Meteoses (pseud Stefano Amorese)

Inghiottitoio
(estratto)

1
Mi macera dentro per la malora
una congettura contraddittoria,
per di più di un’idea dannata
dapprincipio premeditata sotto una pensilina…
mal sopportata assai
da quel pregiudizio altrui dissuaso mai
dalla supremazia degli Àrcadi e degli aedi:
una tara ereditaria intrinseca
che sempre di più mi estranea dalle virtù degli Avi…
un’interferenza, che mi elide acidula
una vocale atona…
un sapore amaro che mi sgocciola
nell’ingestione di una Sostanza càustica…
una Bestia onnivora che mi guaisce in petto:
un autoritratto a tempera, se lo si preferisce…
una frenesia che si perpetua assidua
che mi adùltera e mi deteriora
per questo testo d’inconsistenza,
che da un incubo si è ingenerato
e che m’ingerisce…
in un buco nero divaricato.

2
In una foiba
che m’affascina fabulosa,
che non mi dice nulla
e che non ha favella…
che sia in quell’avello disseppellito
dall’unghia ippocratica del terapeuta,
che con beneficio di inventario e di bioenergetica,
mi strizzò il cervello nel sotterraneo,
cagionandomi intimamente
un malumore putrido di morfina:
una magodìa, che anche ad oggi, mi sopisce appena…
ossia il dialogo di me stesso con il mio sosia,
una messa in scena di un ricordo nitido di ciò che sono:
una comparsa anonima entro una proiezione
per chi desidera esserne l’autore.
In una simbiosi insolita, in un torbido malinteso
con il mio congenito parassito
e con l’ospite, che mi molesta e che mi fu inatteso:
un pretestuoso… un presunto me,
che non si attenua né si rasserena
nemmeno per una semicroma suonata dall’aulète
ubicata all’imboccatura…
in cui sprofondo in un tonfo sordo,
in un grido acuto…
che ormai mi ha asfissiato esausto
e compiuto nel mistero,
così come mi fu esposto
dal mio viatore muto,
col quale ho convissuto,
in cui sono compreso
e tutto ho condiviso.

 

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ANTOLOGIA V PER IL PARNASO. Antonio Sagredo, Umberto Simone, Gianni Iasimone, Ambra Simeone, Roberto Mosi, Marco Furia, Eugenio Lucrezi, Giorgina Busca Gernetti, Alfredo Rienzi, Lidia Are Caverni

Parnaso 1

 

Antonio Sagredo3

Antonio Sagredo

cinematografo

Al banchetto della sacra mortalità tu volgevi altrove il suo sguardo basedowico.
Avevi nelle mani il cerebro di Dio sezionato allegramente da occhiceruli teologi.
Ricordavi che la giostra del pensiero illumina gli orrori della teofania ultraterrena,
ma con gli occhi di una chiavica tu miri la bellezza delle pellicole impiccate ad una corda.

Ad ogni passo una stazione che rideva… 12 stazioni di applausi, battimani straniati e
3 cadute come esche ad una sarabanda di dèmoni: non c’è sabbia né palme nei deserti!
Il parallelo s’impone, come nei massicci le creste, ai trionfi del rogo dei santi eretici:
stazioni di carbone sono le ossa… la fine è che gli occhi cercano orbite cave! Continua a leggere

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