Giorgio Linguaglossa
Un pappagallo scambiò le gambe di Marilyn
per quelle di Mary Poppins
Il semaforo gorgheggiò una canzone di Mina
degli anni sessanta.
Disse che si trattava della «frattura metafisica della presenza»
o giù di lì.
«È la biodiversità», disse.
E passò ad altro.
Un giorno, circa di un anno fa, un giovane poeta romano (Faraòn Meteosès), mi chiese se, a mio avviso, fosse possibile ripristinare una nuova avanguardia oggi.
Risposi che, a mio avviso, era possibile proclamare una nuova avanguardia. Doveva essere un gruppetto di “arditi” i quali avrebbero dovuto diffondere all’Ansa e presso tutti i mezzi di comunicazione che il giorno X alle ore 18,30 sotto l’Arco di trionfo di Costantino in Roma si sarebbe riunita l’Avanguardia letteraria “ZTL” a traffico limitato aperta ai residenti che avrebbe proclamato la propria nascita, e che alle ore 18,35 tutti i membri del Gruppo si sarebbero suicidati in pubblico, davanti ai turisti distratti, agli oziosi pedoni romani, in mezzo ai centurioni fasulli in cerca di turisti e ai fotografi abusivi…
Questa, dissi, è l’avanguardia che mi auguro possa sortire fuori dal tombino della nostra epoca medial-mediatica. A mio avviso, aggiunsi, l’avanguardia non può resistere più di cinque minuti perché verrebbe scavalcata dai potentissimi motori e rotori della civiltà metal-mediatica e dalla velocità dei suoi mezzi di locomozione-informazione.
E allora, che cosa ci resta da fare?, mi chiese Faraòn Meteosès…
Gli risposi che una vera avanguardia deve calcolare e disporre liberamente il proprio decesso, programmarlo ed attuarlo in piena libertà, sottraendosi alla (falsa) libertà coscrittiva della comunicazione mediatica e alla normologia del sistema culturale. Un atto «programmato e programmatico», dunque, perfettamente inutile e perfettamente superfluo.
E il Gruppo 93?, mi chiese il poeta.
Beh, quella è un’altra cosa, si trattava di una faccenda di ufficiali giudiziari, di ufficiali dell’aviazione teorica e di pubblicitari della poesia… – risposi.
(Giorgio Linguaglossa)
Mimmo Pugliese
Domani comincia
Domani il giorno comincia un’ora prima
a colazione inoculano cristalli liquidi.
I lati scaleni del rettangolo scorrono sulle dune,
adesso che le albicocche sono asteroidi
il collo dell’ukulele è il figlio di Andromeda.
Secoli di neve vivono in armadi di papavero,
sulla punta degli ombrelli
lo stagno diventa nave alberata.
Il pentagramma ha alamari di onice
Agata ha perso l’allure, beve succo di ceci.
La locomotiva assiste al torneo di Winbledon,
Il coppiere della Tavola Rotonda è un agente del Kgb.
Betaprotene gioca a baccarat con il gallo cedrone.
Coppie di paguri baciano sulla bocca delle torce elettriche
nella tenda dell’erborista indiano
al campeggio sul versante oscuro del Circo Massimo..
Un delfino
Un delfino smercia casse di birra.
I segni zodiacali hanno l’emicrania
fuggono in taxi.
Il giardino d’inverno non ha palpebre,
un’alba di betulle svincola sulla superstrada.
Giacche di ozono marciano sulle grondaie,
sono in saldo fasci di endecasillabi.
Le picozze sudate dell’alpinista
brandiscono campi di grano selvatico.
La criniera dello spritz
cerca stelle cadenti nella clessidra,
un geo disinvolto ha fatto un brutto sogno
lo racconterà al mercato delle falci.
La tendopoli imbroglia il segnale orario,
rampe di scale raggiungono Capo Horn in un balzo.
La rotta degli alluci
coincide con il prossimo anticiclone
che trafùga oggetti alla primavera.
Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, edito da Calabria Letteraria- Rubbettino, una raccolta di n. 36 poesie.
Complimenti vivissimi per questi tuoi due componimenti caro Mimmo: trovo la prima in particolare strepitosa già a partire dal suo incipit: “Domani il giorno comincia un’ora prima a colazione inoculano cristalli liquidi”. La trovo un incalzare di immagini potenti e mozzafiato, grazie al ritmo serrato che la contraddistingue. Buona domenica ed un abbraccio.
Tiziana Antonilli
caro Mario e cara Tiziana,
penso che la nuova ontologia estetica che si è sviluppata nella poetry kitchen sia una strada a senso unico, non ci consente esitazioni o passi indietro, ma solo in avanti. La via della ricerca non può essere arrestata o rinviata sine die o ritardata, la nostra ricerca non può inseguire i sondaggi, non tende la mano alla popolarità, la poetry kitchen non deve limitarsi a cercare il consenso, non è una proposta politica ma una proposta poietica, il che è diverso.
Il fatto che la poesia italiana da alcuni decenni sia diventata una cosa da supernicchia che parla agli abitanti della supernicchia, oggettivamente non ci giova, la supernicchia difende se stessa perché produce serialità letteraria, al massimo professionalità letteraria. Non mi aspetto che la poetry kitchen venga adottata nei manuali scolastici, prima deve fare i conti con la cesura del silenzio e della marginalizzazione che l’accademia letteraria produce e non potrebbe non produrla. Adesso la poetry kitchen è matura, i suoi valori sono visibili, penso che alla fine di agosto manderò l’Antologia della poetry kitchen all’editore Progetto Cultura di Roma per la pubblicazione, ci saranno i poeti che hanno contribuito con il loro lavoro alla nostra ricerca, sarà un prodotto di novità dirompente, assolutamente fuori dalle righe della omologazione della poesia di accademia.
deve essere un giorno storico, quello relativo alla Antologia NOE, cioè l’altra faccia della poesia che si immette sui detriti di un terremoto in cui la storia e l’inettitudine dei poeti, hanno immobilizzato senza variazione alcuna, il rinnovamento del linguaggio e dello stile. Spetta all’Editore fare campagna pubblicitaria, la più dirompente possibile, entrare nei social, in Facebook, in ogni sito possibile, fare PDF dell’Opera, mandandola a tutti gli iscritti all’Ombra delle Parole. Non spetta a me rubare il mestiere all’Editore. Ma qui si tratta di un evento straordinario! Un Abbraccio, Mario.
Scrivere della poesia di Mario M. Gabriele; ma anche solo l’idea di volerne scrivere, mi è pari all’idea di voler scalare una montagna. Il fatto è che, a fronte di una poesia che in lettura si presenta chiara e comprensibile, il tentativo ermeneutico, anche il più ingenuo, introdurrà elementi di complessità che il poeta, nel suo immediato, ha già ben risolto. Voglio dire con questo che non prevale sulla poesia l’accorgimento critico, sebbene quello di Giorgio Linguaglossa sia di gran lunga il più adatto, quello che più si avvicina all”inafferrabile”.
Ecco, se devo dire qualcosa sulla poesia futura, immagino sia questo l’aspetto più rilevante: che si sia abbandonata la forma poesia strutturata, dal verso libero sempre più sofisticato. La poesia di Gabriele è infatti di diversa e nuova architettura. Sgombra di ascesi e verticalità, è una poesia orizzontale; che nell’evento è di ampio accoglimento perché tutto sembra accadere nell’unico istante, qui o/e da ogni altra parte del mondo; e che sa giocare con la memoria.
È nuovo, per me, il discorso che arriva frammentato ma diretto e comprensibile. Frutto di attento lavoro di dismissione di regole obsolete; linguaggio che si avvale di una sintassi semplificata, che ha fiducia nella grammatica, perché tanto basta. Poesia del dimagrimento linguistico, della perdita di orpelli. Poesia del suolo, e del reale che non ti aspetti perché è sempre altrove.
La perfetta originalità dei suoi frammenti pare adatta ad essere incastonata in soggetti cinematografici, o per dare vita e sorpresa a narrazioni altrimenti agonizzanti nel perdurare di un pensiero o di un’emozione. Frammenti che spezzano e ravvivano, spezzano e vanno oltre.
Ma è anche poesia mono tonale, lo stesso che si potrebbe dire di un fiume; non fosse che Gabriele è poeta sperimentale, quindi destinato a disegnare sempre nuove mappature…
Aggiungo una riflessione su quel che accade alla “voce” a causa del continuo dismettere del pensiero: che la voce, o dovrei dire le voci, per principio di individuazione, finiscono per rivelasi sonoramente; e mi chiedo se esista una voce sovrana, e se possa convivere in rapporto, anche conflittuale, con altre voci; queste sì, che hanno parvenza demente…
Con tastierismo modernista
In mancanza di tempo:
fermi al semaforo / dentro una stanza in affitto/
soprani, nell’acuto / tra la gente.
–
Come Jimi Hendrix, quando stonava.
–
Sulla panchina, due giovani innamorati decisero
di scadere a livello delle promesse d’amore.
Venisse una pestilenza, mangeremo castagne.
Moriremo insieme. Sull’autostrada, di notte.
(may – giu 201)
Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York. Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti.
…riguardo alla affermazione di Mengaldo secondo il quale Montale si avvicina «alla teologia esistenziale negativa, in particolare protestante» e che smarrimento e mancanza sarebbero una metafora di Dio, mi permetto di prendere le distanze. «Dio» non c’entra affatto con la poesia di Montale, per fortuna. Il problema è un altro, e precisamente, quello della Metafisica negativa. Il ripiegamento su di sé della metafisica (del primo Montale e della lettura della poesia che ne aveva dato Heidegger) è l’ammissione (indiretta) di uno scacco discorsivo che condurrà, alla lunga, alla rinuncia e allo scetticismo. Metafisica negativa, dunque nichilismo. Sarà questa appunto l’altra via assunta dalla riflessione filosofica e poetica del secondo Novecento che è confluita nel positivismo. Il positivismo sarà stato anche un pensiero della «crisi», crisi interna alla filosofia e crisi interna alla poesia. Di qui la positivizzazione del filosofico e del poetico. Di qui la difficoltà del filosofare e del fare «poesia». La poesia del secondo Montale si muoverà in questa orbita: sarà una modalizzazione del «vuoto» e della rinuncia a parlare, la «balbuzie» e il «mezzo parlare» saranno gli stilemi di base della poesia da «Satura» in poi. Montale prende atto della fine dei Fondamenti (in questo segna un vantaggio rispetto a Fortini il quale invece ai Fondamenti ci crede eccome!) e prosegue attraverso una poesia «debole», prosaica, diaristica, cronachistica, occasionale. Montale è il massimo responsabile della parabola discendente in chiave epigonica della poesia italiana del secondo Novecento, si ferma ad un agnosticismo-scetticismo mediante i quali vuole porsi al riparo dalle intemperie della Storia («sterminio di oche») e dei suoi conflitti (anche stilistici), adotta una positivizzazione e privatizzazione lessicale e stilistica che lo porterà ad una poesia sempre più «debole» e scettica, a quel mezzo parlare dell’età tarda. Montale non apre, chiude. È una operazione di dismissione, di liquidazione in saldo prendi tre paghi uno. Chi non l’ha capito ha continuato a fare una poesia «debole», a, come dice Mengaldo, continuare a «demetaforizzare» il proprio linguaggio poetico. Quello che Mengaldo apprezza della poesia di Montale: «il processo di de-metaforizzazione, di razionalizzazione e scioglimento analitico della metafora», è proprio il motivo della mia stigmatizzazione e presa di distanze da Montale. Montale – accompagnato da Pasolini di Trasumanar e organizzar (1971), di Giovanni Giudici con La vita in versi (1965) e di Vittorio Sereni con Gli strumenti umani (1965) -, era il più rappresentativo poeta dell’epoca ma non aveva la caratura del teorico. Critico raffinatissimo privo però di copertura filosofica. Montale, insomma, apre le porte della poesia italiana alla de-fondamentalizzazione del discorso poetico. Con questo atto compie una legittimazione dell’impero mediatico che era alle porte, legittima la ciarla, la chiacchiera, lo scetticismo e lo psicologismo in poesia. Autorizza il rompete le righe e il si salvi chi può. E gli esiti ultimi di questo comportamento agnostico sono ormai sotto i nostri occhi.
Il problema principale che Montale si guardò bene dall’affrontare era quello della positivizzazione del discorso poetico e della sua modellizzazione in chiave diaristica e occasionale. La poesia come elettrodomestico. Qui sì che Montale ha fatto scuola! Ma la interminabile schiera di epigoni creata da quell’atto di lavarsi le mani era (ed è) un prodotto, in definitiva, di quella resa alla «rivoluzione» del Ceto Medio Mediatico come poi si è configurata in Italia.
La Storia della poesia italiana del Novecento è tutta attraversata da sigle letterarie e da fasi di stallo che per lunghi periodi hanno tenuto in tilt ogni forma di ricambio. In realtà si trattava di annettersi o disgiungersi con temi formali, apofonici, politici, elegiaci, ecc. a volte reattivi nei confronti della staticità del linguaggio.
Queste operazioni non duravano più di un ventennio e anche meno, venendo subito dopo sostituite con altre Proposte disgiuntive dalla Forma Regina. Non a caso abbiamo assistito a scremature continue del linguaggio che hanno prodotto sigle poetiche diverse con le relative Antologie prodotte dalle maggiori Case Editrici, e con le prefazioni dei migliori critici al Top Ten delle classifiche, presenti anche come poeti,
Da qui la nascita di correnti letterarie e poetiche, che assemblavano nelle loro proposte, qualche canone postjoyciano, dopo le fermentazioni di canzonette di regime e di potere, autentici droni poetici da parte di D’Annunzio, e via via fino al percorso di livello psicologico, narrativo, umanistico-individualistico in un sistema che ha corroso culturalmente il nostro paese fino a detronizzarlo con l’afasia, con i Soggetti Dio e il Nulla con il Futurismo e il Crepuscolarismo, l’Ermetismo e la poesia Visuale, l’Avanguardia e altre forme evasivo-liriche. Questo per evidenziare come la poesia sia andata nel corso del Novecento soggetta a ricambi strutturali e ideologici. E proprio in questi corridoi di percorrenza stilistica e poetica che si muove la Nuova Ontologia Estetica con annessa la Poetry Kitchen o Buffet o performativa, che ha come unico scopo quello di evidenziare un fatto: il tentativo di ricucire un vestito sdrucito in tutte le sue parti, aprendo le sartorie poetiche dopo l’usura e l’assenza della poesia pervenendo alla pubblicazione di una Antologia, già omologata nella mente di Giorgio Linguaglossa.
LA NOSTRA POESIA
La nostra poesia è musica su carta
fogli(e) scritte e canto
fiume sanguigno in movimento
azione muscolare
palestra di oralità
fisica corporale
torbida trasparenza
erotica protesta
propaganda di contrasto
artistica resistenza
Poeti all’opera nell’impasto
di silenzio, suoni e vita
negli incastri di versi
diversi lemmi in rima.
La nostra poesia
è semiologica guerriglia
estasi e tormento
schianto e parapiglia
conturbamento
di bellezza e ossessione
indignata denuncia.
Mette in crisi
demagogia e menzogna
il politically correct
essa lo guarda con sospect.
La nostra poesia
riconquista il suo posto
nella cultura e nella società
facendo ritorno
al primigenio bagliore
della sua semplicità
La nostra poesia
è antagonista
lava eruttiva
versi roventi
zolfo di vulcano
La nostra poesia
è ribelle e sediziosa.
Ma fate attenzione
non suona il piffero
per nessuna rivoluzione
né si mette in posa
un eversivo nuovo stile
ad un sistema ostile
tutto liquido e magmatico.
La nostra poesia
è nuova e antichissima
fa breccia nella porta
attraversa i muri
in macerie li riduce
di tacere non è mai paga
e in fondo viene a dirti
che la tua anima
non è morta
ma non è un rock bambino
il fanciullo è ormai cresciuto
e ha gli occhi spenti.
La nostra poesia
deve far male
appassionare e commuovere
lasciare senza fiato.
Consolare e orientare
essa è farmaco e cura
esiziale cianuro
anestetico ad effetto
per le masse ammaestrate
dai discorsi accomodanti
del mainstream in comode rate.
La nostra poesia
sa di uomini e di mondo
viene dal Cielo,
e dall’Averno più profondo.
*Peter Genito *
(per i TREDICI. I poeti del Bandino, Firenze)
Il giorno mer 16 giu 2021 alle 08:40 L’Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internaziona
sembrano i versi di alcune canzoni di Battiato che fosse avanguardia senza saperlo? Le serenate all’istituto magistrale Nell’ora di ginnastica o di religione Per carnevale suonavo sopra i carri in maschera Avevo già la luna e urano nel leone “Il mare nel cassetto” “Le mille bolle blu” Da quando sei andata via non esisto più “Il mondo è grigio il mondo è blu” Cuccurucucu paloma Ahia-ia-ia-iai cantava Cuccurucucu paloma Ahia-ia-ia-iai cantava L’ira funesta dei profughi afgani Che dal confine si spostarono nell’Iran Cantami o diva dei pellerossa americani Le gesta erotiche di Squaw “pelle di luna” Le penne stilografiche con l’inchiostro blu La barba col rasoio elettrico non la faccio più “Il mondo è grigio il mondo è blu”
Il giorno mer 16 giu 2021 alle ore 08:40 L’Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internaziona
COMMENTARIO
Non siamo e vogliamo essere tramite di nulla. La poesia ci attraversa, forse suona, forse stona.
È un flauto di traverso. Un rullo compressore. Non abbiamo uno stile, soltanto parole distese. Parole senza più un racconto preciso.
La nostra poesia è disorientata.
Segna tutti i punti cardinali.
(Sottopongo alla vostra attenzione questo post.)
https://poetarumsilva.com/2021/06/15/omar-suboh-contro-limpegno-walter-siti/amp/?__twitter_impression=true
Grazie OMBRA.
L’iperbole, dal greco: ὑπερβολή, hipér “sopra” e bolé “lancio”, con il significato di esagerazione, è una figura retorica di contenuto. Nel linguaggio comune e nelle affermazioni poetiche è una figura largamente diffusa, basti pensare a espressioni del tipo:
-Siamo in un mare di guai.
-«Quivi parendo lontana a Rinaldo mille miglia.» (Ariosto, L’Orlando furioso)
Da questi due semplici esempi si evince che l’iperbole eccede nella descrizione della realtà: i guai sono un mare sterminato; e la distanza che Rinaldo ha di fronte si sottrae a qualsiasi misurazione. La realtà descritta, però, può subire anche una diminuzione,
-È pronto in un minuto!
-Non hai un briciolo di cervello!
In questi ultimi esempi si esagera, sempre, ma per difetto. Ecco la verità che sta dietro le parole: ciò che si esprime non va preso alla lettera! L’iperbole è un trucco, un’illusione, rende l’idea, circuisce la nostra logica razionale e la proietta verso il fantastico. Infatti, spessissimo, l’iperbole funziona nelle favole, nei racconti per bambini e in quella letteratura consapevole che il linguaggio contiene in sé la possibilità intrinseca di un “discorso doppio”, quello dell’invenzione e quello della realtà; l’iperbole non vuole ingannare, ma quasi; un po’ di vero deve rimanere in piedi, ma deve essere stravolto, con l’iperbole l’impossibile diventa possibile!
Ma oggi, come stanno le cose? Oggi che impera l’immagine audiovisiva, a tutti i livelli. Videogiochi, fantasy, spot pubblicitari avveniristici, il cielo che cade sulla terra, l’universo che non ha alcuna legge su cui reggersi… Oggi che abbiamo a disposizione lacerti poetici di questo genere:
“Il semaforo gorgheggiò una canzone di Mina
degli anni sessanta” ( Giorgio Linguaglossa).
“I lati scaleni del rettangolo scorrono sulle dune,
adesso che le albicocche sono asteroidi
il collo dell’ukulele è figlio di Andromeda” (Mimmo Pugliese)
“Roba che si vede al Bancomat: il Minotauro
e Teseo che parcheggia la Rolls Royce” ( Franco Intini )
sembra che la metafora iperbolica investi la struttura stessa del discorso. Oggi non “affoghiamo in un bicchiere d’acqua”, ma in tutti i bicchieri e in tutte le acque, tornando ad essere bambini, incapaci di distinguere tra vero e falso, tra verosimile e improbabile, tra esagerazione e compressione…
Giuseppe Gallo
Un cordiale saluto a tutti…
caro Giuseppe,
condivido quanto scrivi sull’iperbole, la poesia kitchen è proprio questa ricerca dello stato aurorale del linguaggio. Facile a dirsi ma difficile a farsi.
Care amiche e cari amici de “l’Ombra delle Parole”,
grazie sempre, di cuore, e complimenti vivissimi, con i più sentiti auguri e saluti da
Mariella (Bettarini)
All’Ufficio Affari Riservati di Via Pietro Giordani n.18
il direttore, il critico Giorgio Linguaglossa,
intercetta un messaggio in codice
lanciato dai Servizi Segreti del Vaticano.
Lo fa tradurre dall’agente speciale Sherlock Holmes,
il messaggio dice:
tutte le guardie svizzere hanno lasciato i posti di guardia,
sono state viste allo Stadio travestite da tifosi
in maglie azzurre
per l’incontro di calcio Italia-Svizzera…
Il Vaticano è in pericolo,
si teme un colpo di stato,
quelli dello IOR tramano contro Papa Francesco
Un nuovo tentativo di Instant poetry
Gino Rago
Il commissario Maigret convoca Gorgio Linguaglossa a Parigi
A Parigi, sotto la finestra dell’atelier
di Marie Laure Colasson
in Rue du Lapin
un tenente vietnamita sul marciapiede
blocca la Renault.
Il poeta Giorgio Linguaglossa,
convocato d’urgenza a Parigi dal commissario Maigret
per l’affaire «Belfagor sur le Metrò»,
chiede a monsieur Perrault
se ha una maschera di Pierrot.
Il bouiquiniste risponde di no
e gli offre un bicchierino di pernod.
Complimenti per l’efficacia delle tue sintesi poetica caro Gino: sei riuscito, con poche rapide pennellate a ritrarre varie articolazioni d’attualità poetico-politiche, con il coronamento della cornice evenemenzial-calcistica del momento ed il tutto condito dalla tua inimitabile ironia. Ci sono delle onde spumeggianti che ribolliscono sullo specchio d’acqua della Nuova Ontologia Estetica, tra le quali ogni poeta, mi pare, stia estrinsecando il meglio della propria ispirazione.
Un caro abbraccio,
Nel 2009 ho letto una notizia straordinaria: la scoperta della stella più antica, ai confini dell’universo. Ho riportato la notizia di cronaca in questa quasi-prosa e quasi-poesia. Intuivo che c’era qualcosa in quella notizia di cronaca che poteva essete messa in poesia ma non riuscivo a vedere cos’era, mi sfuggiva il nocciolo, non riuscivo a vedere Il Che Cosa. Proprio ieri la quasi-prosa mi è venuta sotto gli occhi, e all’improvviso ho capito Che Cosa dovevo volgere in forma poetica. E l’ho fatto. Me lo spiego così: È che non avevo (avevamo) ancora messo a punto una poetica che me lo consentisse. la poetry kitchen me lo ha rivelato in un lampo. Ecco la necessità di una nuova poetica, di una direzione di ricerca:
La gif di Marilyn spalanca gli occhi
Bacia la faccina emoticon con gli occhiali
Le dice: I like you
Il pappagallo Totò deglutisce del ragù
sulla testa del poeta Gino Ragò
E starnutì
Proviamo ad immaginare e a operare un cambiamento di prospettiva nel modo di parlare del linguaggio. Diciamo che le questioni di metodo non sono mai neutre, ed hanno delle importanti ricadute politico-ideologiche. Diciamo di adottare una modalità kitchen.
Proviamo ad immaginare un linguaggio (la parole) finalmente liberato, il linguaggio di una umanità che ha rimesso i suoi peccati al peccatore, che si è alleggerito, e si sia scoperto perciò libero come un uccellino nel bosco.
Ed ecco che sortirà fuori la instant poetry, o poetry kitchen.
Caro Giorgio, hai assolutamente ragione: le questioni di metodo non sono mai neutre, a maggior ragione quando si tratta di linguaggio, di parole. Mai come oggi, a mio avviso, avremmo bisogno di una redenzione delle parole dal condizionamento della politica, delle ideologie, delle consorterie varie, dei populismi che stanno facendo precipitare l’Europa e buona parte del mondo in una spirale drammatica, della quale i più non hanno consapevolezza, proprio perché anestetizzati dalla sterilizzazione che la politica, funzionalmente ai propri piani, operata sul linguaggio. Credo che il disegno Noe intercetti non solo un’esigenza di rinnovamento poetico, ma di soteriologia della parola, possibile solo attraverso una poesia degli avanzi, del patchwork che consenta di ricostruire i brandelli del sisma gnoseologico e ricostruire le strutture del pensiero e di un sapere critico per un nuovo umanesimo.
Buonanotte a tutti, amici dell'”Ombra”.