Zygmunt Bauman (Poznań, 19 novembre 1925 – Leeds, 9 gennaio 2017) sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche. Nato da genitori ebrei a Poznań nel 1925, Bauman fuggì nella zona di occupazione sovietica dopo che la Polonia fu invasa dalle truppe tedesche nel 1939 all’inizio della seconda guerra mondiale. Successivamente, divenuto comunista, si arruolò in una unità militare sovietica. Dopo la guerra, incominciò a studiare sociologia all’Università di Varsavia, dove insegnavano Stanisław Ossowski e Julian Hochfeld. Durante una permanenza alla London School of Economics, preparò la sua maggiore dissertazione sul socialismo britannico che fu pubblicata nel 1959.
Bauman collaborò con numerose riviste specializzate tra cui la popolare Socjologia na co dzien (“La Sociologia di tutti i giorni”, del 1964), che raggiungeva un pubblico più vasto del circuito accademico. Inizialmente, egli rimase vicino al marxismo-leninismo ufficiale, per poi avvicinarsi ad Antonio Gramsci e Georg Simmel soprattutto dopo il 1956 e la destalinizzazione.
Nel marzo del 1968, la ripresa dell’antisemitismo, utilizzato anche nella lotta politica interna in Polonia, spinse molti ebrei polacchi a emigrare all’estero; tra questi, molti intellettuali distaccatisi dal regime. Bauman, che aveva perso la sua cattedra all’Università di Varsavia, fu uno di questi. Egli dapprima emigrò in Israele per andare a insegnare all’Università di Tel Aviv; successivamente accettò una cattedra di sociologia all’Università di Leeds, dove dal 1971 al 1990 è stato professore. Dal 1971 ha quasi sempre scritto in lingua inglese. Sul finire degli anni ottanta, si è guadagnato una fama internazionale grazie ai suoi studi riguardanti la connessione tra la cultura della modernità e il totalitarismo, in particolar modo sul nazismo e l’Olocausto. Ha infine ottenuto anche la cittadinanza inglese.
Ieri, Zygmunt Bauman si è spento il 9 gennaio 2017, all’età di 91 anni, nella città di Leeds, dove viveva e insegnava da tempo. Brevemente, riepiloghiamo qui i punti essenziali del pensiero di Zygmunt Bauman (1925-2017), ricordando quanto i concetti del sociologo polacco abbiano influenzato anche il pensiero in ambito estetico.
L’estetica del consumo
Con questo concetto Bauman ha richiamato l’attenzione su un fenomeno che oggi ha assunto una auto evidenza assoluta: il mondo è stato trasformato dall’economia globale in un “immenso campo di possibilità, di sensazioni sempre più intense” in cui ci muoviamo, spesso alla ricerca di Erlebnisse, di esperienze vissute, magari desunte dall’effimero e dal virtuale.
L’analisi dell’Olocausto
La svolta delle ricerche di Bauman avviene tuttavia prima di questi celebri lavori, nel 1989, con Modernità e Olocausto. Un tema di sconvolgente attualità. Esemplare il tracciato di Bauman che indica e mette in comunicazione la persecuzione degli ebrei e le dinamiche della modernità. In questo senso Bauman fa dello sterminio un fatto ripetibile, lo toglie dall’isolamento trasformandolo in un prodotto della civiltà moderna, delle sue regole economiche ed efficientiste. La Shoah come parto della tecnologia e della burocrazia. Uno sviluppo della lunga storia della società, quasi un orribile test che ne ha rivelato le possibilità occulte difficilmente verificabili nell’ordinarietà.
Post-panopticismo
In una prospettiva futura, per capire cioè cosa arriverà dopo la post-modernità, Bauman – in particolare nel libro Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida uscito un paio di anni fa, scritto con David Lyon – ha un approccio originalissimo delle strutture di potere, che sorpassa i classici modelli di controllo teorizzati da Jeremy Bentham e Michel Foucault. Oggi viviamo in un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e del consumo. In cui i dati e non le persone diventano appannaggio delle organizzazioni transnazionali, ne sono le loro emanazioni digitali.
Modernità liquida
L’espressione del sociologo Zygmunt Bauman, “modernità liquida” indica un’epoca in cui la società e le sue strutture sono sottoposte a un processo di “fluidificazione”: per effetto dei fenomeni globali, qualsiasi entità passa dallo stato solido allo stato liquido, perdendo i suoi contorni chiari e definiti. Comportandosi proprio come i fluidi che, non avendo forma propria, assumono quella del contenitore, anche i concetti di luogo, di confine e di identità continuano a trasformarsi e la loro forma viene continuamente ridefinita dalle situazioni.
Si parte dai luoghi, passando per i confini, fino a giungere all’identità: è l’itinerario baumiano. Tramite la conoscenza dello spazio e l’esperienza del confine possiamo entrare in relazione con la realtà esterna e con gli altri, costruendo così la nostra identità, la nostra persona. Questo percorso ci rivela inoltre che i concetti non sono immutabili, bensì possiedono dei contorni fluidi e flessibili, perché si adattano al variare della realtà in cui sono immersi. Essi presentano un carattere ambiguo e sono sempre in evoluzione: allo stesso tempo racchiudono un’idea e il suo contrario, esprimono una definizione del reale e contemporaneamente il suo opposto. Questo ci fa capire che le distinzioni e i concetti puri sono possibili solo a livello concettuale, perché per poter analizzare e classificare i fenomeni del reale, servono delle categorie astratte, precise e univoche, ma ciò non vuol dire che siano delle realtà concrete e immutabili.
Società in movimento
Il termine “globalizzazione” è ampiamente diffuso e conosciuto, è però anche un termine spesso abusato, un’espressione utilizzata per indicare una miriade di fenomeni, che interessano e trasformano la società in cui viviamo, nel tentativo di metter un po’ d’ordine nel caos degli avvenimenti e di trovare una spiegazione a tutti i cambiamenti, che avvengono oggigiorno nelle nostre vite. Le definizioni date al fenomeno della globalizzazione sono tante e diverse, ma volendo riassumere il concetto e puntare al nocciolo della questione, potremmo dire che la parola “globalizzazione” viene usata per descrivere quella serie di processi e di trasformazioni che riguardano le attuali società in tutti i loro settori (economico, sociale, culturale, ecc…) e che possono essere inclusi nel concetto di “compressione dello spazio e del tempo”.
Il concetto è di nostro interesse, perché queste alterazioni a livello spaziale e temporale, oltre ad avere delle ripercussioni in ambito economico, sociale e culturale, hanno indubbiamente delle conseguenze non indifferenti sulle persone e sul loro rapporto con lo spazio, producendo anche delle differenze evidenti. Esiste infatti un collegamento tra le trasformazioni delle categorie di tempo e di spazio e la struttura della società: i cambiamenti, che avvengono a livello temporale e spaziale, influiscono sulle società e sul loro modo di organizzarsi.
Libertà e necessità di movimento
Ben lontano dall’essere un fenomeno omogeneo, la globalizzazione agisce su diversi piani e genera contemporaneamente effetti contrastanti: da un lato tende a unire, uniformare, dall’altro invece tende a dividere, a creare nuove distinzioni e questi effetti sono visibili su scale diverse, sia a livello globale, che a livello locale. “Globale” e Bauman, Zygmunt (1999): Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, p. 4. – Zygmunt Bauman, nel suo libro scrive: “La globalizzazione divide quanto unisce; divide mentre unisce, e le cause della divisione sono le stesse che, dall’altro lato, promuovono l’uniformità del globo“. In parallelo al processo emergente di un “locale” sono i due poli attorno ai quali si aggregano gli individui in base alla loro maggiore o minore capacità di movimento. Per alcuni, “globalizzazione” significa libertà di movimento, libero accesso alla dimensione globale, per altri invece essa rappresenta una limitazione del movimento, una capacità ristretta di muoversi e un legame indissolubile con la dimensione locale.
L’elemento, quindi, che acquisisce una nuova importanza e fa la differenza è la mobilità: La mobilità assurge al rango più elevato tra i valori che danno prestigio e la stessa libertà di movimento, da sempre una merce scarsa e distribuita in maniera ineguale, diventa rapidamente il principale fattore di stratificazione sociale dei nostri tempi, che possiamo definire tardo-moderni o postmoderni.
La capacità di movimento diventa un requisito e una qualità essenziale per gli abitanti della “modernità liquida” 4], perché la libertà di movimento o la mancanza di questa capacità di movimento determinano rilevanti differenze nella collocazione degli individui all’interno della società e del fenomeno chiamato globalizzazione. Tutto e tutti sono in movimento, fisicamente o virtualmente, la società stessa è in movimento e richiede che i suoi soggetti si muovano con essa; l’immobilità non è una scelta possibile o una soluzione da prendere in considerazione. Il moto è uno stato che ci accomuna tutti; quello che cambia è l’ampiezza di questo movimento: chi è libero, sciolto da ogni vincolo, può abbandonare la realtà locale e proiettarsi nello spazio globale, chi invece non è libero di muoversi, rimane, al contrario, legato alla sua dimensione locale. Questa diversa capacità di movimento produce quindi diseguaglianza tra le persone ed è il criterio, in base al quale le persone vengono classificate come “globali” o in alternativa come “locali”.5]
Il fatto di “essere locali”6] diventa però un fattore umiliante; viene vissuto come una condizione di inferiorità e questa sensazione di limitatezza è accentuata dal fatto che il scala planetaria per l’economia, la finanza, il commercio e l’informazione, viene messo in moto un altro processo, che impone dei vincoli spaziali, quello che chiamiamo «localizzazione»”; il controllo degli eventi e soprattutto dello spazio e dei significati da attribuirgli non è più in mano ai soggetti delle realtà locale, ma dipende dalla dimensione globale.
“Gli spazi di interesse pubblico sfuggono all’ambito della vita per così dire «localizzata», gli stessi luoghi stanno perdendo la loro capacità di generare e di imporre significati all’esistenza; e dipendono in misura crescente dai significati che vengono loro attribuiti e da interpretazioni che non possono in alcun modo controllare […]. I centri nei quali vengono prodotti i significati e i valori sono oggi extraterritoriali e avulsi da vincoli locali – mentre non lo è la stessa condizione umana che a tali valori e significati deve dar forma e senso.”7]
La mobilità, valore indiscusso dell’epoca postmoderna, determina importanti cambiamenti nel rapporto tra l’uomo e lo spazio, uno dei quali è la scomparsa dei vincoli spaziali con la località. A tale riguardo emblematica è la frase di Albert J. Dunlap: L’impresa appartiene alle persone che investono in essa, non ai dipendenti, ai fornitori, e neanche al luogo in cui è situata.8] La frase sopra citata fa riferimento alla sfera economica, ma rispecchia pienamente la situazione, caratterizzata dall’assenza di ogni legame con lo spazio locale, che si riscontra anche negli altri ambiti. Dunlap mette in luce il fatto che, nella fase di globalizzazione in cui ci troviamo, le imprese e le decisioni, che servono a condurre tali imprese, non dipendono dai fattori locali, incluse le persone che ci lavorano, ma dipendono totalmente dagli “investitori”, i quali possono svolgere il loro lavoro ovunque, indipendentemente da dove essi si trovino, perché non hanno alcun genere di legame con lo spazio. Gli altri soggetti che comunque sono coinvolti nel processo produttivo e fanno parte dell’impresa, non hanno invece alcuna possibilità di intervenire nella sua gestione, prendendo parte alle decisioni che la riguardano. L’esempio dell’impresa illustra perfettamente la condizione in cui si trova il cittadino della società globalizzata: ogni individuo è inserito in un contesto, di cui fa parte e a cui partecipa, ma sul quale non può intervenire in alcun modo, perché le decisioni non dipendono per esempio dalla comunità, che abita quel determinato.
Le conseguenze sulle persone
Le decisioni dipendono da avvenimenti e fattori rintracciabili a livello globale. Questo processo, che porta a un progressivo distacco dei luoghi dal loro significato, viene definito da Zygmunt Bauman come “la Grande guerra di indipendenza dallo spazio”, “una guerra durante la quale i centri decisionali, insieme alle motivazioni stesse che determinano le decisioni, gli uni e le altre ormai liberi da legami territoriali, hanno preso a distaccarsi, in forma continua e inesorabile, dai vincoli imposti dai processi di localizzazione”. 9 Un altro aspetto frutto della mobilità è l’istituzione di “nuove gerarchie sociali, politiche, economiche e culturali.”10 In seguito alle trasformazioni che hanno coinvolto lo spazio, la mobilità è diventata in effetti uno dei valori più importanti che determinano la nuova organizzazione e struttura sociale. In base alla presenza o assenza di vincoli territoriali, le persone possono essere più o meno libere di muoversi e la loro posizione nella gerarchia sociale dipende proprio dalla minore o maggiore libertà di movimento che possiedono. Mobilità corrisponde a libertà di movimento e libertà dai vincoli territoriali, il che significa capacità di muoversi facilmente e di divincolarsi: chi ha la possibilità di muoversi facilmente e rapidamente, nonostante le distanze, ha anche la capacità di liberarsi, sciogliersi dai vincoli territoriali, ma anche da qualsiasi altro dovere o obbligo sociale. Mobilità significa dunque libertà di movimento, ma va intesa anche come assenza di ogni responsabilità.
Libertà di movimento e Stati nazionali
Quella che oggi è chiamata libertà di movimento, è stata guadagnata mediante un’aspra lotta che dal rinascimento va fino alla fine dell’età imperialistica dello stato moderno. La liberazione dai vincoli territoriali, per poter muoversi leggeri e agire liberamente nello spazio globale, oggi è diventata un sotto prodotto dello stato moderno.
La situazione dello stato nazionale è mutata irrimediabilmente in seguito al crollo dei due blocchi. Al termine della guerra fredda sono sorti molti stati nuovi, ma le funzioni che rientravano nell’ambito di azione dello stato non erano più tutte quelle del passato, o meglio, non erano più le stesse. Importanti funzioni che prima erano di competenza dello stato, ora si sottraggono all’ambito d’azione degli stati, in primis la capacità di intervenire nell’economia. “La stessa distinzione tra mercato interno e mercato globale, o più in generale tra ciò che è «interno» ed «esterno» allo stato, è estremamente difficile da mantenere, se non nel senso più ristretto di «controllo di polizia del territorio e della popolazione».” Vengono meno alcuni principi fondamentali della sovranità statale. Gli stati non hanno più il potere e le risorse per gestire l’economia globale, ma possono solo limitarsi a svolgere una funzione di controllo, sorveglianza, sicurezza all’interno della società, del territorio.
Il non-luogo
Il concetto di non-luogo può indicare anche i luoghi immaginari, frutto della fantasia e prodotti della finzione letteraria (come ad esempio le utopie), quando Marc Augé parla di non-luoghi si riferisce più propriamente a degli spazi concreti, realmente esistenti. Rientrano nella categoria dei non-luoghi tutti quegli spazi, quegli ambienti come gli scali, le stazioni ferroviarie, le sale d’attesa, gli aeroporti, i mezzi di trasporto, i centri commerciali e i luoghi di consumo.
“Certi luoghi non esistono che attraverso le parole che li evocano; in questo senso nonluoghi o piuttosto luoghi immaginari, utopie banali, stereotipi. […] Ma i nonluoghi reali della surmodernità, quelli che frequentiamo quando viaggiamo sull’autostrada, quando facciamo la spesa al supermercato o quando aspettiamo in un aeroporto il prossimo volo per Londra o Marsiglia, hanno questo di particolare: essi si definiscono anche attraverso le parole o i testi che ci propongono; insomma attraverso le loro modalità d’uso, che si esprimono a seconda dei casi in modo prescrittivo («mettersi in fila sulla destra»), proibitivo («vietato fumare») o informativo («state entrando nel Beaujolais») e che a volte ricorrono a ideogrammi più o meno espliciti e codificati (quelli del codice della strada o delle guide turistiche) e a volte alla lingua naturale.”8]
Il tempo e il senso
La prima figura dell’eccesso concerne “il tempo, la nostra percezione del tempo, ma anche l’uso che ne facciamo, la maniera in cui ne disponiamo”. Nella società odierna il tempo è diventato una categoria sempre più difficile da comprendere, che sfugge a qualsiasi tentativo di interpretazione e alla quale si fa fatica attribuire un senso. “La storia ci sembra non avere senso perché accelera e si avvicina. Il tempo che viviamo sembra aver subito una forte accelerazione; senza che ce ne rendiamo conto, il presente, appena vissuto, diventa passato ed entra a far parte della storia ad una velocità impressionante. In realtà la percezione che abbiamo di una storia accelerata dipende da un accumularsi eccessivo di avvenimenti: “L’«accelerazione» della storia corrisponde infatti ad una moltiplicazione di avvenimenti il più delle volte non previsti da economisti, storici o sociologi.” Questo eccesso di avvenimenti genera come reazione una continua ricerca di senso e un continuo tentativo da parte degli individui di attribuire dei significati al mondo che li circonda. Ciò che è nuovo, non consiste nel fatto che il mondo abbia poco senso, meno senso, o non ne abbia affatto. Il punto è che noi proviamo esplicitamente e intensamente il bisogno quotidiano di dargliene uno: di dare un senso al mondo, non a tale villaggio, o a tale lignaggio. Questo bisogno di dare un senso al presente, se non al passato, costituisce il riscatto di questa sovrabbondanza d’avvenimenti, corrispondente ad una situazione che potremmo definire di «surmodernità» per render conto della sua modalità essenziale: l’eccesso.9]
Gli spazi vuoti
Gli spazi vuoti sono innanzitutto e soprattutto vuoti di significato. Non sono insignificanti perché vuoti: sono piuttosto visti come vuoti (o più precisamente non vengono visti affatto) perché non presentano alcun significato e non sono ritenuti in grado di presentarne uno. In tali luoghi refrattari di significato la questione del negoziare le differenze non sorge neanche, dal momento che non c’è nessuno con cui negoziare. Gli spazi vuoti sono vuoti non sono visibili e non vengono visualizzati, sono luoghi che non destano alcun tipo di interesse, e perciò sono volutamente esclusi da mappe, progetti urbanistici e architettonici.
L’identità
Scrive Bauman: «Dopo tutto, il nocciolo duro dell’identità […] può formarsi solo in riferimento ai legami che connettono l’io ad altre persone e alla presunzione di affidabilità e stabilità nel tempo di tali legami. Abbiamo bisogno di relazioni, e abbiamo bisogno di relazioni su cui poter contare, una relazione cui far riferimento per definire noi stessi. Nell’ambiente della modernità liquida, però, a causa degli impegni a lungo termine che notoriamente ispirano o inavvertitamente generano, le relazioni possono essere gravide di pericoli. E ciononostante ne abbiamo bisogno, ne abbiamo ferocemente bisogno, non soltanto per la preoccupazione morale per il benessere di altre persone, ma anche per il nostro stesso bene, per la coesione e la logica del nostro stesso essere». 10]
L’identità e le relazioni necessitano di tempo e del contatto con l’altro da me, ma in un mondo dove le relazioni l’uno con l’altro si sono dissolte e sono evaporate, resta il vuoto. Per conoscere se stesso l’uomo contemporaneo ricorre al Tavor, agli anti eccitanti, agli eccipienti ipoeccitanti o iper eccitanti. Il mondo da recipiente è diventato un eccipiente.
Comunità guardaroba
«Da qui nasce la crescente domanda per quelle che potrebbero essere chiamate comunità guardaroba, quelle comunità che prendono corpo, anche se solo in apparenza, quando si appendono in guardaroba i problemi individuali, come i cappotti e i giacconi quando si va a teatro. (…) Le comunità guardaroba vengono messe insieme alla bell’e meglio per la durata dello spettacolo e prontamente smantellate non appena gli spettatori vanno a riprendersi i cappotti appesi in guardaroba. Il loro vantaggio rispetto alla «roba autentica» sta proprio nel breve arco di vita e nella trascurabile quantità di impegno necessario per unirsi ad esse e godere (sia pur brevemente) dei loro benefici». 10]
La mobilità, tipica espressione della modernità liquida, coinvolge anche l’identità, che diventa flessibile e mutevole, in grado di modificarsi e adattarsi a situazioni differenti, la flessibilità attecchisce anche alla identità all’interno di un ambiente anch’esso instabile e in continua mutazione.
Identità come puzzle
Alla possibilità di paragonare l’identità ad un puzzle composto da tanti pezzi diversi, Bauman risponde: “È vero, si compone la propria identità (o le proprie identità?) come si compone un disegno partendo dai pezzi di un puzzle, ma la biografia può essere paragonata solamente a un puzzle difettoso, in cui mancano alcuni pezzi (e non si può mai sapere esattamente quanti).”9] L’identità, come un puzzle, è un’immagine frammentata, che si compone di tanti piccoli pezzi, ma a differenza di esso, non segue uno schema, un disegno prestabilito. Ogni persona ha a disposizione degli elementi diversi, che può assemblare e ricomporre a proprio piacimento, in base alle sue esperienze di vita e può ripetere la stessa operazione più volte, dando origine a forme sempre nuove. Il risultato di questo tipo di operazione quindi non sarà un’immagine fissa e sempre uguale, ma sarà una grande varietà di immagini possibili, che si possono ottenere sistemando i pezzi ogni volta in maniera diversa. Ognuno, componendo i tasselli che ha raccolto nel corso della sua vita, dà forma alla propria identità, senza seguire un’immagine o uno schema predefinito. I singoli pezzi possono essere ricomposti in maniera differente e possono sempre aggiungersene di nuovi, motivo per cui l’immagine di se stessi, che si produce non sarà mai quella definitiva: al contrario continuerà a modificarsi
(a cura di Giorgio Linguaglossa)
3 Bauman, Zygmunt (1999): Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, p. 4. 4 Termine coniato da Z. Bauman, vd. Modernità liquida, Roma: GLF editori Laterza, 2006. 5 “Globali” e “locali” sono definizioni usate da Z. Bauman nell’introduzione della sua opera Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, 1999, pp. 4-5. 6 Ibidem
7 Ibidem, p. 5. 8 Albert J. Dunlap (con Bob Andelman), How I Saved Bad Companies and Made Good Companies Great, Time Books, New York 1996, pp. 199-200, citato in Zygmunt Bauman nell’opera Dentro la globalizzazione
8 Augé, Marc (2007): Tra i confini: città, luoghi, integrazioni, Milano: B. Mondadori, p. 53.
9 Ibidem p. 95
10 Bauman, Zygmunt (2005): Intervista sull’identità; a cura di Benedetto Vecchi, Roma [etc.]: Laterza, p. 26 e segg.
Grazie del lavoro che fai e diffondi. Un abbraccio e buon anno. Carmelo Pistillo
E’ una pagina sacra. Bravo e grazie caro Giorgio. La società liquida rischia di inondarci.
Gino Rago
La società è talmente, più che liquida, polverizzata, che nemmeno più si sa chi decida il destino di una nazione o di un continente. Il danaro è il nuovo nazismo, basta muoverlo come si deve nell’interesse di uno o di pochi, e si mettono in ginocchio le politiche e le nazioni. L’esempio italiano è semplice ed efficace. Il nostro debito pubblico è sempre meno in mani italiane, nel 2011 la Bundesbank mise in vendita alcune centinaia di miliardi di nostro debito pubblico. Risultato, spread a 500, insediamento di Monti con le sue politiche distruttive dello stato sociale, in una drammatica accelerazione che nemmeno il suo predecessore poteva concepire (a lui bastava farsi i cazzi suoi): istituzione di nuove tasse esose, accorpamento all’Inps, allora in pareggio, dell’INPDAP (l’Inps dei dipendenti pubblici) giusto per nascondere che lo stato non versava più ai suoi dipendenti i contributi dal 1996. Trecentomila persone, trecentomila destini, rimasero senza stipendio e senza pensione, e nessuno fece una piega. Artigiani, commercianti, dipendenti privati e i giovani, hanno pagato per tutti. I successori, Letta palle d’acciaio, Renzi il bimbominkia e l’attuale Gentiloni sono staiti e sono semplici commissari liquidatori di un paese a cui è scoppiato il cuore. il sindacato sbraita per il lavoro e paga spesso i suoi collaboratori con gli stessi voucher per i quali ha raccolto firme per un referendum abrogativo. Il lavoro c’è, manca il reddito, e nessuno che tenga al suo posto e alle sue prebende interessa cavalcare la tigre di una seria politica dei redditi. L’Italia, paese a sovranità limitata, e ancora oggi non vediamo la faccia di nessun responsabile, di nessun nemico di classe o del popolo. la società si è liquefatta. Fine dei punti di riferimento. Dalla teoria alla pratica. Nemmeno il danaro inteso come bene esiste più, è diventato plastica e travaso elettronico di numeri da un conto all’altro, da un mondo all’altro.
MARX È MORTO DA UN PEZZO
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/01/11/riepiloghiamo-qui-i-punti-essenziali-del-pensiero-di-zygmunt-bauman-1925-2017-ricordando-quanto-i-concetti-del-sociologo-polacco-abbiano-influenzato-anche-il-pensiero-in-ambito-estetico-lestetic/comment-page-1/#comment-17230
Caro Flavo, hai fatto un bel resoconto dello stato sociale, economico e politico di questa Italia allo sbaraglio, defraudata dai “servi” della Potere massonico. Marx è morto da un pezzo e il concetto di “alienazione” è più che mai attuale, Non sono riusciti a mummificarlo. Capitale e lavoro rimangono due opposti “cavalli di battaglia” mentre la politica (vedi il ministro Poletti che si dà da fare per snaturare il lavoro dei giovani gratificando quello del proprio figlio) Nel discorso di Linguaglossa abbiamo letto un tracciato dei punti essenziali del pensiero di Bauman. Ma vi è un altro sempre dello stesso filosofo relativo alla cultura inserito nella “Vita Liquida” dove riporto alcuni passi:”Il concetto di cultura fu coniato, dopo il 1759, per esprimere sinteticamente l’idea di una gestione del pensiero e del comportamento umano. Il termine entrò a far parte del dizionario per designare un’attività finalizzata. Alle soglie dell’era moderna si smise di accettare gli esseri umani come – dati in modo non problematico- anelli preordinati della catena della creazione divina (dove divina stava per immodificabile e intoccabile-. e si iniziò a vederli come elemento duttile, ma anche urgentemente bisognoso di restauro. La parola cultura, scrive ancora Bauman, fece la sua comparsa nel vocabolario meno di 100 anni dopo un altro fondamentale concetto moderno (quello espresso dal verbo to manage – gestire. dirigere- che, secondo l’Oxford English Dictionary, significa ” sottoporre persone, animali ecc. al proprio controllo”. Ecco cosa intendeva il filosofo per cultura e controllo delle masse, pensiero non ostativo a quello di Marx. Se il potere finanziario decide tutto ogni anno a Eidelberg, non c’è risorsa reattiva nella società, che possa scardinare questo “sistema”. I giovani di oggi non sono come quelli del Movimento francese e del pensiero di Giovanni Jervis che nel convegno londinese Dialectis of Liberation riportato poi in Quaderni piacentini n. 32 del 1967, così dichiarava:”Tutti gli uomini sono in catene.Le proprietà del sistema mondiale ci forzano a sottometterci in un contesto globale, dove la cultura è contro di noi”.Bauman e Jervis sono stati qui onorati per come hanno focalizzato la storia umana, umiliata dai conflitti bellici e di dominanza territoriale (Aleppo e Siria insegnano) mentre Il pericolo viene oggi dalla formazione di una economia mondiale, che sottrae al singolo individuo l’appartenenza al mondo del lavoro e del progresso civile. Ma se si accettano i Voucher come ha fatto anche il sindacato, allora siamo veramente ridotti a raccoglitori di pomodori ricompensati con piccoli bonus.
Carissimo Mario, centri il punto, il nocciolo della questione. Qual è la prima cosa che si toglie a una massa per schiavizzarla? La propria cultura identitaria. Ad Auschwitz tagliavano i capelli e tatuavano un codice Ibm, adesso gli stati poveri affittano per 99 anni ai paesi ricchi i terreni più fertili a scopo alimentare. I popoli che ci vivono sopra, vengono semplicemente sfrattati dalla terra con cui vivono in armonia e rispetto da secoli. Non se ne vanno di loro sponte? Deportazione o morte.
SOCIETA LIQUIDA, CATEGORIE LIQUIDE?
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Ieri sono andato al supermercato qui sotto casa mia, a San Paolo (Roma). Ho visto due magnifiche caffettiere per fare il caffè con il rivestimento in colori metallici: verde elettrico e azzurro elettrico. Le ho comprate entrambe, una per me e una per un dono ad una amica. L’effetto di quei colori elettrici mi ha stregato. La stessa forma della caffettiera, ottagonale, magnificava i riverberi dei colori metallici. In realtà ho acquistato le due caffettiere non per le loro proprietà intrinseche quanto per i colori sgargianti e le forme ortogonali che rispecchiavano e moltiplicavano la luce riflessa dai colori elettrici.
È l’effetto della diffusione dell’estetico che anestetizza la percezione. L’effetto delle luci diffuse e moltiplicate della odierna architettura azzera le capacità critiche della percezione.
Ecco, società liquida, colori elettrici.
Oggi è il rivestimento che significa il «contenuto», non è più la «forma». La forma è diventata un significante, e quello che doveva essere il significato è invece un altro significante… cosicché l’uno moltiplica l’effetto dell’altro. È un effetto moltiplicatore, un effetto di specchi.
Così come non c’è più un discorso compiuto, oggi si accede con agilità alla forma commento in quanto il commento permette quella «leggerezza» tanto divulgata da Calvino, che oggi è diventata un anatema e una jattura. Quella leggerezza delle forme estetiche è un morbo, un virus prepotente e invasivo che ha svuotato dall’interno le «Forme» estetiche e contro il quale non c’è antibiotico che possa combatterlo.
La stessa idea di «rivoluzione» (e con essa l’annessa idea dell’utopia), è passata dalla forma solida a quella liquida e da questa alla forma gassosa, è evaporata nello spazio di un mattino. Oggi, lo dico senza ironia, l’unica forma di composizione poetica «possibile» è quella di Vivian Lamarque e di Valerio Magrelli, forme gassose. abitate da enunciati ironici e da mottetti di spirito…
Eh carissimo Giorgio, anch’io venni stregato 4 mesi fa da una Bialetti rosso carminio, dobbiamo stare attenti, perché la società liquida e i colori elettrici ci stanno folgorando.
La nuova lotta di classe
di Slavoj Zizek: lo consiglio a chi non lo conosce.
PER UNA CRITICA DELL’ECONOMIA ESTETICA
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Io penso che una critica dell’economia politica sia oggi indispensabile. Come è indispensabile una critica dell’economia estetica e una critica dell’economia dello spirito. Perché no? Anche lo Spirito deve sotto mettersi alla critica. Credo. Anche lo Spirito santo.\
Il frammento firmato da Benjamin col nome di Agesilaus Santander parla dell’angelus novus in questi termini:
«La Kabbalah racconta che Dio crea ad ogni istante un numero sterminato di nuovi angeli, ciascuno dei quali è destinato soltanto a cantare per un attimo le sue lodi davanti al suo trono, prima di dissolversi nel nulla. L’Angelo Nuovo si palesò per tale prima di volersi nominare».
Veramente, che spreco di risorse angeliche! Non vi pare? Si vede che chi pensa alla maniera di Agesilaus Santander, pensa ancora in termini di economia domestica. oggi la globalizzazione invece pensa in termini di economia planetaria, gli angeli che Dio produce incessantemente sono le merci che il Capitale produce incessantemente…
Aveva visto giusto Benjamin ne le Tesi di filosofia della storia (1940) quando sostituisce il concetto di «classe» ormai desueto con quello degli «oppressi».
Lo stato attuale della questione critica è alquanto critica.
Scrive Bauman in “L’arte della vita” (Editori Laterza), che la correlazione tra crescita economica e aumento della felicità, sbandierata da più parti, in realtà non porta a un vero miglioramento della qualità della vita, al contrario, la strategia di aumentare il reddito delle persone al fine di renderli felici non funziona. “Si può dire che l’era moderna iniziò propriamente con la proclamazione del diritto universale dell’uomo alla ricerca della felicità” con l’invenzione del PNL (prodotto nazionale lordo)che misura tutto tranne quello che rende la vita degna d’essere vissuta.
Il Superuomo di Nietzsche porta in sé i semi della sua stessa sconfitta. Il superuomo guarda con disprezzo al passato, lo nega e se ne sente libero, ma il futuro non è altro che il prodotto dei sedimenti del passato.
Mentre gli uomini del passato riuscivano ad autocontrollarsi sia nel passato che nel futuro, i giovani d’oggi, invece, vivono solo nel presente e non si pongono domande: senza domande non vi è riflessione, senza riflessione non vi è modo di definire obiettivi e pensare ad un miglioramento né tantomeno che il mondo che ci circonda possa essere cambiato.
La nostra vita è un’opera d’arte, dice Bauman, e per viverla bisogna porci delle sfide difficili e porci degli obiettivi che siano ben oltre la nostra portata, “tentare l’impossibile”.
Compito non facile, anche in virtù del fatto che stiamo transitando dalla civiltà della ragione alla civiltà dell’emozione, come scrive Marino Niola in un articoletto su Repubblica, e la prova è il dilagare della cosiddetta post-verità, ovvero la verità nell’epoca della sua riproducibilità tecnologica, con la sostituzione dell’oggettivo con l’opinione, la fonte con la testimonianza, l’autorevolezza con l’incantamento della narrazione. Siamo nel nichilismo digitale, non c’è più verticalità ma orizzontalità della Rete, senza gerarchie e senza filtri. Chiacchiere 2.0.
L’attesa. Attendere, con pazienza che qualcosa, qualsiasi cosa essa sia, nasca, cresca e si completi; attendere il proprio turno, uffici, poste, banche, negozi, fila nel traffico. Non siamo più capaci di attendere, il nostro Pnl viaggia a cifre impossibili, di deficit, ma da qualche parte macina profitto a getto continuo, velocemente e senza attendere.
Compri online e con una apposita app il tempo di attesa di ricevimento del prodotto si accorcia, uno-due giorni massimo, ed è impensabile dover attendere una settimana per l’acquisto e la nostra felicità si sposta dall’atto del fare acquisti alla gioia successiva all’acquisto che, però, deve consumarsi in fretta, senza attese lunghe, per poter ricominciare in una nuova gioia e una nuova supposta felicità.
Così, io mi tengo la mia bella moka, che fa un caffè lento, sale lentamente e profuma l’aria, invece della caffettiera luccicante, immediata, velocissima, che mangia capsule e inquina terribilmente. Ma io sono un masochista, cerco di resistere al Tempo.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/01/11/riepiloghiamo-qui-i-punti-essenziali-del-pensiero-di-zygmunt-bauman-1925-2017-ricordando-quanto-i-concetti-del-sociologo-polacco-abbiano-influenzato-anche-il-pensiero-in-ambito-estetico-lestetic/comment-page-1/#comment-17237
Gli Spazi vuoti, “luoghi che non destano alcun tipo di interesse”, sono anche gli spazi della poesia? Bene, direi allora che questi spazi possono funzionare come osservatorio privilegiato dal quale è possibile distinguere tra reale e irreale: reale è il pianeta, irreale la società degli individui per come stiamo messi. Dunque viviamo nell’irrealtà: un incubo dal quale sembra impossibile uscire. Lo stallo assoluto!
– Le merci hanno cessato di essere la principale ragione di scambio, oggi il primato va riconosciuto al denaro in sé, al denaro e alla sua movimentazione.
– Allo stato attuale delle cose, a me sembra utopica e perfino pericolosa l’idea che incoraggiando gli acquisti si possa risollevare l’economia – idea accettata anche dalla sinistra in disarmo – sarebbe la riproposizione del principio fallace che ci ha portati a questa situazione. La critica va rivolta al superamento del consumismo nella direzione del bene comune.
– Dire che si sta vivendo nella realtà è riconoscere in partenza la propria sconfitta.
– il tempo: la sua accelerazione appartiene all’irrealtà, è una illusione. Se si guardasse al reale il tempo rallenterebbe. Ad esempio, per passare alla produzione di energie alternative potrebbero servire decenni, ma se non si comincia perché non si può, qualcosa lo vieta o perché non conviene, non ci si arriverà mai. Dunque serve una politica del reale, che abbia i tempi del reale. Serve un tempo non moderno. E servono menti capaci di poterlo concepire.
– i poeti non possono essere solo specchi di quel che accade. Poesia c’è se mostra verità, secondariamente se è ricordo o pensiero. Se è espressione del mondo reale, non dell’irreale a cui siamo costretti.
Ma il reale va riconcepito.
Saluto e ringrazio Bauman, per quel che ha scritto e per la generosità di esserci stato fino ai novant’anni.
ERRORE MADORNALE DI NIETZSCHE: “L’ETERNO RITORNO”, quando invece è “IL RITORNO DELL’ETERNO” la chiave…. (C.B.)
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Non restava che la materia in movimento
Il pensiero umano non aveva più significato
Tadeusz Borowski
Come la rana crocefissa di Martin te ne andavi in giro
col femore di Arlecchino e i capelli spaiati di Colombina,
dinoccolato, col capo rivolto indietro, per i campi giocavi
cercando almeno un occhio vivo tra tumuli di orbite senza fine,
ma dalle torrette ti chiamavano: Beta… Beta il dandy!
Accarezzavi allora con un sorriso a brandelli il filo spinato,
col flauto delle tue ossa cantavi le gloriose gesta dei lunatici.
La poesia divenne una cosa banale,
come uno sterminio!
La Morte nemmeno degna di un suo buongiorno girava al largo:
dal patibolo alle camere temeva che la falce tollerasse la sua vanità,
e alzò i tacchi infine, incurvata!
Davanti a una buccia di patata marcescente
s’azzuffavano i grandi scienziati dell’Essere
– per una brodaglia di pus
– per una rimasticatura di marce cotolette.
il pensiero umano non aveva più significato
non restava che la materia in movimento
e il carnefice sbuffa a parlare sempre di questa feriale… mortalità!
antonio sagredo
Vermicino, 23 febbraio 2009
Riporto l’inizio di un articolo ospitato sul’Ombra delle parole nel 2014:
https://lombradelleparole.wordpress.com/2014/12/08/sfere-di-peter-sloterdijk-narrare-in-condizioni-postmoderne-la-campana-a-morto-della-modernita-un-tentativo-postmoderno-di-descrivere-il-mondo-le-tre-fasi-della-globalizzaz/
Narrare in condizioni postmoderne
Nel 1979 il filosofo francese Jean-François Lyotard dà alle stampe un pamphlet di circa un centinaio di pagine, tratto da una ricerca sul “sapere” commissionata in origine dal governo canadese, che diventerà decisivo per la storia delle scienze umane in generale e della filosofia in particolare: La condizione postmoderna.
La tesi di base è nota: Lyotard sancisce la fine della modernità, facendola coincidere con l’impossibilità di porre mano – per il filosofo come per lo storico della cultura e delle civilizzazioni – a una “grande narrazione”, cioè a una storia che possa essere “macrostoria”, vale a dire una storia complessiva e comprensiva della civiltà. Lyotard, con ironia e semplicità, sostiene che, alla luce del “secolo breve” e delle acquisizioni dello strutturalismo, ogni tentativo di ricostruzione che voglia dire la totalità sull’uomo e dell’uomo ricade inevitabilmente nella violenza della totalizzazione, e nell’ingenuità di una descrizione che non può, costitutivamente, rendere giustizia a ciò che è stato detto, fatto, pensato, narrato, costruito, reso arte, immaginato nella sua molteplicità e irriducibilità ad unicum.
Ogni narrazione è una prospettiva, che ha una storia e una geografia concreta e delle premesse (più o meno) inconsce, che la condizionano inevitabilmente dall’origine. Pensare di liberarsene è illusorio e tracotante: siamo consegnati irrimediabilmente e irriducibilmente – condannati – al frammento.
Quest’idea è stata una determinante portante per più di un trentennio all’interno delle scienze umane europee, e un costante avversario teoretico (il che ne attesta la diffusione e, in qualche modo, la legittimità anche se in forma negativa) per quelle di origine, metodologia e “stampo” anglo-americano.
Ho dedicato un mio Ex Libris, pitture e/o grafiche originali che applico a partizioni in bianco del soggetto-libro, al testo di Z. Bauman (con ottima prefazione di Donatella Di Cesare) “Modernità e Olocausto” (edizione del Corriere della Sera) che invierò all’indirizzo-mail del Dott. Giorgio Linguaglossa nel caso volesse pubblicarla a corredo di codesto scritto sofisticato e pregnante. Un saluto
R.M.
ps: mi scuso per eventuale sorta di invadenza che non rientra, assolutamente, nelle mie corde.