Questo Repertorio critico dal titolo: Critica Della Ragione Sufficiente (verso una nuova ontologia estetica), Edizioni Progetto Cultura, gennaio 2018, di Giorgio Lingualossa, nasce come proposta di cambiamento del linguaggio poetico, rispetto alla palus putredinis che ha caratterizzato un lungo periodo di immobilismo estetico, fatta eccezione per le poche alternative sperimentali, che non sono andate mai al di là del loro riscatto formale. In questa situazione di stabilità linguistica, era più che logico ridiscutere sui vecchi parametri senza proporre alternative rivoluzionarie, ma solo il distacco dalla Tradizione massonica del potere editoriale, che ha influito su generazioni intere nell’arco di un secolo: il Novecento.
Questo avanzamento critico lo si attendeva da tempo, a monte della incomprensibile staticità espressiva che ha ridotto al minimo ogni proposta innovativa del linguaggio. Trattasi di un rapporto complesso, ampiamente supportato da parametri ontologici, che introducono una morale estetica rispetto al grande depistaggio informativo rimesso in discussione, grazie a un nuovo tracciamento ermeneutico. Un’opera dagli innumerevoli profili estetici; una chiara riconduzione agli aspetti variabili della transizione e formalizzazione del logos e dei suoi derivati, portati allo scoperto e immessi in un tempo rimodernizzato dopo la crisi della cultura occidentale e della forma poesia.
Linguaglossa ci fornisce le coordinate per la lettura dei testi esaminati, liberando il bendaggio metaforico all’interno della parola. Il critico finisce con l’essere un produttore di materiale merceologico di diversa griffatura e peso specifico. La questione del Soggetto-Forma diventa essenziale per articolare ogni discussione sulla nuova ontologia. Dato l’ampio ventaglio critico non sembra di trovare un paragone di allineamento come le antologie poetiche in Italia, che hanno sempre avuto un ruolo omissivo, sostenuto da una critica militante con le chiamate a correo di altri antologisti come Porta, Berardinelli e Cordelli, Mengaldo, Cucchi e Giovannardi e i tanti rapporti sulla poesia sempre più elitàri e riduttivi, che solo per ristabilire la verità si dovrebbe permettere anche agli altri il diritto di rivelare la parola negata. Cosa che ora avviene con la Critica Della Ragione Sufficiente, in opposizione alle mappe di semplice replay. Quando si parla di antologie, il pensiero corre subito ad un curriculum di opere e di poeti su tutto il territorio nazionale; cosa difficile a realizzare, mentre dovrebbe essere più che accettabile produrre opere innovative, in contrasto con l’atteggiamento critico e poetico, di ieri e di oggi.
[Lucio Mayoor Tosi, acrilico]
Nella Critica Della Ragione Sufficiente, si potrebbe dire che gli spazi dedicati alla nuova ontologia diventano dispense critiche tra Soggetto e Oggetto, Tempo Interno e Tempo Esterno, Quadridimensionalismo, Fugacità dell’Essere, e Messa in opera del Frammento, nonché le varie sezioni relative al “Concetto del reale” all’Evento”, al “Problema del linguaggio”, a “L’esserci del tempo”, al “Concetto di traccia e di metafora” e a tutte le altre categorie inerenti lo Strutturalismo. Se leggiamo questo ampio repertorio, ci si rende subito conto che l’autore innesta un discorso autoptico sulla poesia sclerotizzata. Scrive Linguaglossa:”I tempi sono talmente limacciosi che dobbiamo ritornare a pensare le cose semplici, elementari, dobbiamo raddrizzare il pensiero che è andato disperso, frangere il pensiero dell’impensato, ritornare ad una “ragione sufficiente… per una nuova ontologia estetica della forma poesia, un orientamento verso il futuro, anche se esso ci appare altamente improbabile e nuvoloso, dato che il presente non è affatto certo”.
Qui si saldano insieme ottimismo e pessimismo sulla scorta di come sono andate le cose in letteratura e nel groviglio delle proposizioni antologiche e poetiche. La curvatura tra il vecchio linguaggio e il nuovo è evidente; diventa percezione tattile, testuale nel ricambio estetico. Scriveva Sanguineti che l’antologia “è un genere letterario anfibio, oscillante tra il museo e il manifesto”. Nulla di tutto questo è rilevabile nella nuova ontologia critica di Linguaglossa, nella quale vi si accede attraverso tangenziali di diversa diramazione per le nuove generazioni poetiche, in quanto quelle di vecchia data vivono in un museo a sé. Il progetto linguaglossiano ha la discontinuità col passato, ne traccia il limite elegiaco e alcyonesco, prende atto che l’immobilismo linguistico fa parte di una atmosfera senza ossigeno.
Qui non si tratta di omologare l’extraletterarietà, ma un nuovo punto di sopravvivenza della poesia, e chi ne mette in dubbio ha da rivedere il proprio modo di affiancarsi al passato rispetto alla post-modernità. Questo revisionismo intorno allo stile e alla forma, determina una epoché fenomenologica di singolare novità. Le alternanze linguistiche che si sono susseguite dagli anni Sessanta ad oggi, sono derivate dalla necessità biologica di avere una nuova lingua, e chi ha accettato il ricambio poetico, ha lasciato sempre una traccia dalla quale poi si è venuto a determinare il protocollo del proprio tempo linguistico.
Anche nell’antologia La parola plurale (2005), il prefatore, Andrea Cortellessa, conclude che “la poesia si è confrontata con la sua storia, passata e in corso. Ha sostenuto il governo della nostra lingua in un momento nel quale nel mondo essa si è ridotta, per altri usi… l’ha fatto perché ha mantenuto sempre aperta l’ipotesi, la – speranza – del nuovo”. Che poi le tematiche plurioggettive di ricerca sulla metafisica, sulla ricapitolarizzazione scientifica dell’Universo, sull’uso e abuso dell’oggetto-significante, e delle figure retoriche come l’allegoria, l’anacoluto, l’anafora, l’antitesi e l’anticlimax ecc. siano o meno gli attrezzi d’officina adoperati dal poeta, questo è prerogativa dell’Homo Faber e di come egli si colleghi con la realtà.
Linguaglossa scandaglia il fondo della seconda metà del Novecento, facendone un bilancio volumetrico di opere e di autori diversi per linguaggio e sensibilità. L’operazione tende a mettere in luce un umanesimo culturale volto al ricambio estetico con la NOE (nuova ontologia estetica), come elemento di comunicazione espletato attraverso la coscienza di scrivere per arginare il declino e la democrazia totalitaria del linguaggio tradizionale. Le indicazioni di chi sta operando un cambiamento, sono da intendere come effetto di superficie di ogni autore che ha ritenuto di riprogettare la poesia secondo una propria scala di valori. C’è, infatti, una idea che è Progetto e Forma secondo l’effetto d’urto con il mondo esterno. Ciò non toglie al lettore il diritto di rimanere vincolato alla propria “dipendenza” estetica, di fronte a quello che gli si propone, soprattutto come aggiornamento culturale. Gli autori trattati, e qui ci si riferisce a quelli che hanno una diretta adesione alla NOE, hanno un ritratto esegetico del loro percorso.
“Il concetto di contemporaneità (come il concetto di «nuovo» – scrive Linguaglossa -) è qualcosa che sfugge da tutte le parti, non riesci ad acciuffarlo che già è passato; legato all’attimo, esso è già sfumato non appena lo nominiamo. Questa situazione della condizione post-moderna è la situazione dalla quale ripartire. Ricominciare a pensare in termini di Discorso poetico – scrive Giorgio Linguaglossa – significa adagiarlo stabilmente entro le coordinate della sua collocazione post-moderna”; un discorso poetico che è appunto la costruzione che cementifica la molteplicità dei frammenti e li congloba in un conglomerato”. In questo caso Giorgio Linguaglossa finisce con l’essere un apripista che realizza il senso di una nuova ontologia estetica dai tratti filosofici, metalinguistici, stilistici e analitici, nel segno della vitalità corporea correlata al logos.
Sono considerazioni queste che se metabolizzate dal lettore, portano verso la dimensione intuitiva del pensiero poetante, senza azioni di frenaggio da parte di chi ha altri obiettivi. In altre parole, la poesia non deve mai rinunciare al suo sviluppo cellulare, biologico, semantico ecc. Le istanze innovative del linguaggio sono, a parità di sviluppo mentale della personalità del lettore e del poeta, l’insieme delle loro qualità, che non devono mai retrocedere a comportamenti regressivi o di semplice ideologia ostruttiva. La pietra lanciata da Giorgio Linguaglossa avrà sicuramente onde di ritorno sulla battigia che rimane un approdo sicuro dopo il suo tour critico.
(Mario M. Gabriele)
[Il dado e la clessidra, simboli della omonima Collana di poesia di Progetto Cultura]
Gino Rago
Condivido pienamente la lettura critica di Mario Gabriele la nota psicofilosofica di Giorgio Linguaglossa sulla poesia di Tiziana Antonilli [del precedente post], quest’ultima davvero in grado di introdurre nella stagnazione diffusa dell’epigonismo debole un’autentica novità d’accenti nell’energia espressiva di versi che mi ricordano echi assai prossimi alla voce per me più alta della poesia europea contemporanea: Ewa Lipska, della cui poesia -del ciclo del “cara Signora Schubert” – mi sono irresistibilmente invaghito.
Invito i lettori a leggere ad alta voce le dense composizioni di Tiziana Antonilli tenendo in mente questo capolavoro di
Ewa Lipska
Il protagonista del romanzo
“Cara signora Schubert, il protagonista del mio romanzo
trascina un baule. Nel baule ci sono la madre, le sorelle, la famiglia,
la guerra, la morte. Io non sono in grado di aiutarlo.
Si tira dietro quel baule per duecentocinquanta pagine.
Non si regge più in piedi. E quando finalmente esce dal romanzo,
viene derubato di tutto. Perde la madre,
le sorelle, la famiglia, la guerra, la morte. In un forum
su internet scrivono che gli sta bene.
Forse è un ebreo o un nano? I testimoni
affermano che taceranno su questo argomento.”
Giorgio Linguaglossa
cara Signora Schubert
alla maniera di Ewa Lipska
Cara Signora Schubert, che dire?, la protagonista del mio romanzo
un tempo è stata carne viva, si portava sempre dietro
una borsetta con tutto il necessaire per il trucco
e la cipria per coprire le rughe del viso…
È andata in giro per l’Europa
per inseguire il suo uomo… Amsterdam, Amburgo, Vienna,
Venezia, Budapest… che dire?,
oggi lei non rimpiange nulla, perché nulla è reale,
ha amato Herr Cogito quando amare era diventato problematico,
lui non aveva avuto il tempo per ricambiare il suo amore
e così teneva la sua foto nella tasca interna della giacca,
ogni tanto la tirava fuori per ammirare
i suoi riccioli biondi, mentre viaggiava con la valigetta diplomatica
lì sul treno blindato che trasportava Lenin
verso il fronte russo…
sa, amarsi sul treno blindato non è proprio l’ideale…
così il tempo passò che alla guerra
era stato fissato…
ma poi iniziò subito dopo un’altra guerra,
e riprese ad inseguire il suo amore per le città bombardate dell’Europa…
poi anche quella guerra finì come finiscono tutte le guerre,
i soldati ritornarono alle loro case
e ritornò anche Cogito,
in un telegramma con un indirizzo: via delle ciliegie
4° edificio presso il cimitero Dorotheenstädtischer Friedhof, in Chaussestraße
alla periferia di Berlino est.
Magnolie e margherite.
Traduzione di Adeodato Piazza Nicolai
Ewa Lipska
Protagonist of the Novel
“Dear Misses Schubert, the protagonist of my novel
drags a wardrobe trunk, In it the mother, sisters, the family,
war, death. I am unable to help him.
He’s dragging that trunk for twohundred and fifty pges.
He no longer can stand on his feet. And when he finally exits the novel
they steal all he owns. Looses the mother,
the sisters, the family, the war, death. In an internet
forum they write that he deserved it all.
He’s maybe a hebrew or a midget? Witnesses
declare they will remain mute on this matter.”
Giorgio Linguaglossa
dear Misses Schubert
in the style of Ewa Lipska
Dear Misses Schubert, what can I say?, the protagonist of my noverl
was once living flesh, she always brought with her
a small bag with all necessities for make-up
and the face powder to cover her wrinkles.
She went around in Europe
to follow her man… Amsterdam Hamburg, Vienna,
Venice, Budapest … what is there to say?
today she has no regrets since nothing is real,
she loved Herr Rogito qhen loving had become problematic,
he didn’t have the time to return her love
and so kept her photo in the inside pocke of his jacket,
from time to time he pulled it out to admire
her blond curls while he travelled with his diplomatic bag
on the armoured train taking him to Lenin
toward the Russian front…
you know, loving each other on the armoured train really wasn’t the best…
thus time passed that was fixed
by the war…
but then immediately started another war,
and he began again to chase after his love in the bombed-out cities of Europe…
then also that war ended like all wars come to an end,
soldiers returned to their homes
and even Rogito came back,
in a telegram addressed to : Street of the Cherries
4th Building, next to the cemetery Dorotheenstadtischer Friedhof in Chaussestrasse
at the periphery of East Berlin
Magnolies and marguerites,
© 2018 English transltion by Adeodato Piazza Nicolai 2 poems: one by Ewa Lipska and the other by Giorgio Linguaglossa. All Rights Reserved.
Mario Gabriele da In viaggio con Godot (Progetto Cultura, 2017)
4
La cena fu come la voleva Lilly:
un tavolino con candele e fiori
e profumo Armani.
Le chiesi come stava Guglielmo.
-Di lui- disse, è rimasto un segnalibro
nella notte di San Lorenzo.
Monika, più sobria dopo il lifting,
prese la mano di Beethoven
per un tour Vienna – Berlino.
Declinando il futuro di Essere e Avere
le gote di Miriam si fecero rosse.
Sui muri della U2
splendeva il museo di Auschwitz.
Averna era suggestiva con l’abito blu.
In un angolo giocatori d’azzardo
puntavano sull’eclissi lunare.
-Allora, posso andare, Signora?-
disse la governante.
-Ho chiuso tutte le porte e le finestre.
Può stare tranquilla-.
Raccogliemmo il riverbero di luce
nella stanza con profumo di violetta, e ligustro.
Una serata all’aperto, come clochard
e nessuna chiatta o pagaia alla riva
se non la fuga e il ritorno dopo il check-up.
E’ stata lunga l’attesa nell’Hospital day.
Il truccatore di morte
si è creata una Beautiful House
a pochi passi dal quartiere San Giovanni.
A Bilderberg la povertà si arricchisce di nulla.
Tomasina rivede i conti
con le preghiere del sabato sera.
Un giorno verrà fuori chi ha voluto l’inganno.
Se metti mano all’album vedi solo ologrammi.
Un quadro di Basquiat al Sotheby’s di Londra
ha dato luce all’Africa Art.
Bisogna rimetterla in piedi la statua caduta.
5
Il surrealismo, cara, l’abbiamo riscoperto
una sera d’agosto passando in via Torselli.
Erano i barattoli di Warhol
e le tazzine di Keith Haring
più che di un artista sconosciuto;
né sapevi, chiusa com’eri
nel tuo mondo di griffe ed evergreen,
che quella collezione fosse il meglio dell’Art Now
presentata dai signori Baxster
nella Galleria di Jan Buffett.
Ora solo un colore sopravvive in noi,
ed è autunno, prèt à porter.
Lucy seguiva il pensiero di Dennett e Florenskij.
-Perché fai questo?- le dissi.
C’è una stagione per la frantumazione
e una per la resurrezione!
Suor Angelina aveva in mano
le anime degli ottuagenari.
–La sepoltura dei morti? si chiese.
-Parlatene tra voi se vi va bene-.
E rimanemmo tutto il pomeriggio
in una riva all’altra,
facendo il giro del faubourg,
tra vecchie palme, e cipressi ammutoliti,
leggendo i libri della Biblioteca di Alessandria.
Il brahmano disse di stare alla larga dagli embrici.
Erika invitò i sapienti di Villa Serena
ad un cocktail party con brioche e gin-tonic,
perché parlassero della Vocazione di Samuele
e degli Oracoli di Balaam.
La mia anima è una barca,
senza mare e né sponde.
Ci fermammo sotto i portali.
Una voce si levò dal coro.
Iene e leoni fuggirono dal bosco.
Tacquero i muti e i sordi
e quelli che vennero con amore e afflizione
a seguire il flauto magico di Hamelin,
gli oroscopi di Madame Sorius.
6
Di te non seppi più nulla
se non fosse stata per una lettera
col timbro UK. Cambridge 2016.
– Egregio Signore,
Miss Olson non è più tornata da noi.
Le spediamo una chiave.
Lei saprà a quale porta appartiene-.
Ora ci tocca trovare l’armadio
e la buhardilla, escaneando fotos,
aprendo file e digital cameras.
Caro Adelfio non leggo più le Fetes Galantes.
E’ un peccato lo so.
E’ come dire che la Olson ha una casa a Portogruaro.
Padre Mingus accetta i cadeaux quando viene a Natale.
Osako ha buttato una vita
per togliere le spore di Nagasaki.
La stanza è clemente
quando escono i vermicciattoli dal muro.
Non ti lascerò andare, mia streghetta del Sud
che hai vestito le pagine bianche di perifrasi varie.
Raymond Queneau ha fissato l’istante fatale.
La domestica di turno ha percezioni notturne,
contatti paranormali. Ghosth!
Fu splendida Cathy quando riferì
di aver trovato nei ripostigli schizzi di Walterplatz,
un ritaglio della strage di Ustica
su una pagina londinese del Daily Mirror.
L’estate la passeremo a Pratolungo
ascoltando la voce dell’acqua,
leggendo Samson Agonistes.
7
Il tempo custodisce affreschi,
salva le tue ultime canoe.
Riparte l’archivio degli anni,
non uno che si metta al riparo
dall’onda dello tsunami.
Pure qualche strofa risale dai fondali.
La città si rannicchia nella neve.
Di cosa hai paura Ramous?
Padre Alvarez chiude il sermone
disegnando il TAU dal Libro di Ezechiele.
Ketty ha un velo intorno agli occhi,
non legge più Le Metamorfosi di Kafka.
I fornelli hanno perso lo splendore.
Non c’è accordo tra notte e giorno.
Prima che venga Queen Mary
abbiamo ridato il colore ai muri,
allargata la porte ètroite.
Nel Mosul Park, dopo delitti e pene,
la gente prega ancora.
Scendiamo le scale fino a Wellinton House
senza Eliot e i ragazzi di stand by me.
Oddio, Bessy, hai dimenticato le Sacre Scritture?
Credi proprio che il reverendo John dica le bugie?
Questo è un Gran Paese di vivi e di morti.
I rami di poesia sono rigagnoli di acqua e sabbia,
anche se lo slang è lontano
e le metafore si accendono
come le luci la notte di Natale.
8
Una cover senza schizzi e ideogrammi
come una città del sole nel museo d’arte moderna,
di linguaggio etereo, dice Clara,
abituata a ogni Manifesto.
Il vento agita le primule.
Sembra primavera ma non lo è.
Iris prepara le valigie, torna in Ljubljana.
Mi duole il pianto a venire.
Oggi è il compleanno di Leo.
Good Morning Vietnam!
Lucy ha un ascesso parenchimale.
Difficile che arrivi a Natale.
Esagerato, Golbert!
Tutto questo è prematuro!
La blu Car è ferma al Comune.
Gli altri che fanno? Puntano le fiches.
L’unguento di arnica ha un effetto placebo,
non toglie il male dal mitocondro.
Manderò un Daily Mail a Geltrude
quando la neve scenderà
e sarà più difficile attraversare le strade.
Nella casa che fu di nonno Vincent
e le sue pipe di tabacco cubano,
si accumulano i fumogeni.
Continua a dare un taglio il giorno che viene.
Di questo passo anche la Signora O’Neill
si sente come Lucy sotto il tiro dell’anno.
C’è un silenzio spettrale al di là del ponte.
Penso a Celan: I tuoi capelli d’oro Margarete
I tuoi capelli di cenere Sulamith.
Mario Gabriele, from Voyaging with Godot, Project Cultura,
4
Dinner was as wanted by Lilly:
a small table with candles and flowers
and perfume by Armani.
I asked how was William.
– of him she, said, remained a bookmark
in the nght of Saint Lorenzo.
Monika, more sober after the lifting,
took Beethoven’s hand
for tour Vienna-Berlin.
Conjugating the future of Being and Having
Miriam’s cheeks turned red.
On the wals of U2
shone the museum of Auschwitz.
Averna was suggestive in her blue dress.
Gamblers in a corner
pointed for the eclypse of the moon.
– So Missees, can I leave?-
said the governant.
– I shuttered all windows and doors.
You can stay in peace-.
We gathered the reflex of light
in the room withviolet perfume , and privet.
En evening in the open, like a clochard
and no pontoon or paddle boat on the shore
if not the going and coming after the check-up.
Long was the wait in the Hospital day.
The death make-up artist
built a for mimself Beautiful House
just a few steps from San Giovanni.
In Bilderberg poverty fets rich on nothing.
Tomasina reviews the bills
with the prayers of Saturday night.
One day will come out who wanted the swindle.
A Basquiat painting at Sotherby’s of London
gave light to African Art.
The fallen statue again must be put on its feet.
5
Surrealism, my dear, we discovered
one August night passing by Via Torselli.
It was the cans of Warhol
and the small cups of Keith Haring
more than an artist unknown;
nor did you know, closed as you were
in your world of griffe and evergren,
thatcollection was the best of Art Now
presented by essers Baxsers
in th Gallery of Jan Buffett.
Nw only one color survives in us,
and it is autumn, prèt à porter.
LLucy followed the thinking of Dennett and Florenskij.
-Why are you doing this?- I told her.
There is a season for hattering
and one for resurectio!
Sister Angelina held in her hand
the souls of the octogenareans.-
Burial of the daeahe asked.
-Talk among yourselves if it’s okay-.
And we stayed the entire afternoon
between one shore and the other,
making the round of the fauborg,
three old palms, and mute cypresses,
reading books from the Alexandria Library.
The brahamin said to stay away from the tiles.
Erika invited the wise men of Villa Serena
to a cocktail party with brioche and gin-and-tonic,
so that they might talk of the Vocation of Samuel
and the Oracles of Balaam.
My soul is a barge,
without sea nor shores.
We stopped under the archways.
A voice arose from the choir.
Hyenas and lions fled from the woods.
Deaf and mute were silent
while those who came with love and affliction
followed the magic flute of Hamelin,
the horoscopes of Madame Sorius.
6
Of you I knew nothing more
were it not for a letter
with the postmark UK. Cambridge 2016.
-Egregious Mister,
Miss Olson did not come back to us.
We send you a key.
You will know to what door it belongs-.
Now we have to find the bureau
and the buhardilla, rosting though photos,
opening files and digital cameras.
Dear Adelfio I no longer read the Fetes Galantes.
It is a sin, I know.
It is like saying that Miss Olson has a house in Portogruaro.
Father Mingus accepts the cadeaux when he arrives at Christmas.
Osako threw away a life
to remove spores from Nagasaki.
The room is forgiving
when the sleezy worms come out of the wall.
Iwill not let you go, my small whitch of the South
who dressed a white page with various periphrases.
Raymond Queneau has fixed the fatal moment.
The servant on turn has nightly perceptions,
paranormal contacts. Ghosh!
Cathy was splendid when referreing
she had found the schetches of Walterplatz in hidden places,
a detail of the Ustica massacre
on a page of the London Daily Mirror.
We will pass summer in Pratolungo
listening to the voice of water,
reading Samson Agonistes.
7.
Time maintains mural painings,
saves your ultimate canoes.
The archive of years
takes off again,
no one finds safety
from the wave of the tsunami.
Yet some strofa emerges from the bottom.
The city curles up in snow.
What does Ramus fear?
Father Alvez ends the sermon
tracing the TAU from the Book of Ezechiel.
Ketty has a veil around her eyes,
no longer reads Kafka’s Metamorphosis.
Stoves have lost their luster.
There’s no ryme between night and day.
Before Queen Mary arrives
we tinted the walls,
widened the ètroite door.
In Mosul Park, after crimes and sufferings,
people still pray.
We descend the stairs until Wellington House
without Eliot and the young men of stand by me.
M God, Bessy, did you forget the Holy Scriptures?
Do yo truly believe that Father John tells lies?
This is a Great Country of living and dead.
Poetry’s branches are tiny streams of water and sand,
although the slang is far away
and metaphors light up
as the lights of Christmas Eve.
8.
A cover without schetches and ideograms
like a city of the sun in the museum of modern art,
of heavenly language, says Clara,
used to every Manifesto.
The wind moves the primulae.
Seems like springtime but it is not.
Iris prepares the suitcases, returns to Ljubljana.
The tears that will come make me suffer.
Today is Leo’s birthday.
Good Morning Vietnam!
Exagerated, Goldberg!
All of this is premature!
The blu car is still in Town Hall.
What do the others do? They place the fiches.
Arnica ointment has placebo effect,
it does not remove pain from the mytocondium.
I will send a Daily Mail to Gertrude
when the snow will go down
and it will be harder to cross the streets.
In the house belonging to grandfather Vincent
with his pipes of Cuban tobacco,
fume traces accumulate.
The coming day keeps on giving a slice.
In this way even Misses O’Neill
feels like Lucy under the spear of the year.
On th far side of the bridge there is a ghostly silence.
I think of Celan: your golden hair Margarete
Your ash-colored hair Sulamith
© 2018 English translation by Adeodato Piazza Nicolai of 5 poems by Mario Gabriele
appeared in L’OMBRA DELLE PAROLE. All Rights Reserved
Dunya Mikhail
La tazza
La donna capovolge la tazza tra le lettere
spegne le luci a parte una candela
poggia il dito sulla tazza
ripete parole come formula magica
Spirito… se ci sei rispondi sì
La tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– sei veramente lo spirito di mio marito che è stato ucciso?
la tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– perché mi hai lasciato così presto?
la tazza indica le lettere: n o n d i p e n d e d a m e
– perché non sei scappato?
la tazza indica le lettere: s o n o s c a p p a t o
– e come ti hanno ucciso allora?
la tazza indica le lettere: a l l e s p a l l e
– che faccio di tutta la mia solitudine?
la tazza non si muove
– mi manchi
la tazza non si muove
– mi ami?
la tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– posso farti restare qui?
la tazza si sposta verso sinistra per dire – no –
– vengo con te?
la tazza si sposta verso sinistra
– ci saranno cambiamenti nella nostra vita?
la tazza si sposta verso destra
– quando?
la tazza indica 1996
– stai bene?
la tazza – dopo un attimo di esitazione – si sposta verso destra
– che mi consigli di fare?
s c a p p a
– per andare dove?
la tazza non si muove
– ci sarà un’altra disgrazia?
la tazza non si muove
– che raccomandazione mi lasci?
la tazza indica una successione di lettere senza senso
– ti sei stancato di rispondere?
la tazza si sposta verso sinistra
– posso farti ancora domande?
la tazza non si muove
dopo un attimo di silenzio – la donna balbetta:
Spirito… vai in pace
poi chiama il figlio che è in giardino
a catturare insetti con un elmetto forato.
[ Traduzione di Elena Chiti, tichene@gmail.com da La Guerra lavora duro, San Marco dei Giustiniani, 2011 ]
Anche questa poesia potrebbe essere ascritta alla nuova ontologia estetica.
Dunya Michail
The cup
The woman turns the cup upside down between the letters
she turns off the light except one candle
placing a finger on the cup
she repeats words like a magic tantra
Spirit… if you are there answer me yes
The cup moves to the right to answer – yes –
— are you truly my husband’s spirit who has been killed?
the cup moves to the right to say – yes—
— why did you leave me so soon?
the cup indicates the words: I t d o e s n o t d e p e n d o n m e
— why didn’t you run away?
the cup points to the letters I d i d r u n a w a y
— then how did they kill you?
the cup indicates the letters: o n m y ba c k
— what can I do with all my loneliness?
the cup does not move
— I miss you
the cup does not move
— do you love me?
The cup moves to the right to answer – yes –
– Can I make you stay here?
The cup moves to the left to reply – no –
– can I come with you?
the cup moves to the right
— will there be changes in our life?
the cup moves to the right
– when?
the cup says 1996
— are you well?
the cup – after one moment of hesitation – moves to the right
– what do you suggest that I do?
run away
—to go where?
the cup does not move
– will there be another disgrace?
the cup does not move
– what recommendation do you leave me?
the cup shows a row of senseless letters
– are you tired of answering me?
the cup moves to the left
– can I ask you other things?
the cup does not move
after a moment of silence – the woman stammers:
Spirit … go in peace
then she calls her son who is in the garden
catching insects with a perforated helmet.
© Dunya Mikail, Italian translation by Elena Chiti, from The War Works Hard, Editor San Marco dei Giustiniani, 2011.
© 2018 English translation by Adeodato Piazza Nicolai. All Rights Reserved.
Non credo che sia casuale porre la poesia di Gabriele come emblema di massima risultanza espressiva della linea critica e ideologica rappresentata con ammirevole tenacia e coerenza in tanti anni di lavoro da Linguaglossa: una sorta di trasvalutazione dei codici e valori estetici affermati dopo il simbolismo-ermetismo, che hanno sostanzialmente riprodotto in forme sempre più epigoniche e stremate l’elegia introspettiva di Pascoli o i gesti di trasgressione più fatui e ininfluenti delle avanguardie.
Gabriele opera sulla lingua una mutazione di statuto estetico-ontologico, esaltando l’irreferenzialità del segno e decomponendo e dislocando i frammenti narrativi, come nella pittura cubista accade stravolgendo e frantumando le immagini del reale, destrutturate e deformate per mettere in luce diacronie, poliedricità, indefinizioni e mutazioni prospettiche, tensioni interiori.
Quello che manca, forse, è una tensione emotiva, un colore d’incanto, un profumo di prodigio e sacro – che da Rimbaud ai surrealisti ridefinisce il nuovo confine con la prosa – e consenta, come un richiamo nella tenebra o un sogno in un paesaggio d’esilio, di ritrovare la direzione per un’auspicata rigenerazione di istanze etiche ed estetiche, per ristabilire nuovi confini e relazioni, come avviene in Eliot e Beckett, dove la decomposizione e sconcretizzazione logico-emotiva scaturisce e si armonizza con un impasto formale dinamico, è il silenzio che pausa gli elementi sonori, il vuoto che lascia presagire il pieno, non l’inabissarsi nel deserto della definitiva assenza di voci e significati.
IL GRAN GALA’ DELLE MERAVIGLIE
“…egli ci lasciò la sua tristezza
seduta sull’orlo del cielo come un angelo obeso”
Juan Larrea
In basso era tutto illuminato
Ma la notte restava minacciosa
L’abito della festa era bagnato di lacrime
Fra tante nuvole quale azzurro ci aspettava
Era l’amore l’ospite tanto atteso
Quanti sospiri di ragazze prima che si levi una canzone
Forse perché nessuno crede più all’eterna melodia
Entrando nel giardino bisogna recitare la preghiera
Davanti alla statua infelice ci si prende per mano
La luna restava in attesa
L’oscurità si riempiva di domande e di sorrisi
Una volta entrati la porta si richiude per sempre
Il desiderio ci rendeva leggeri come nuvole
Una macchina solitaria si lasciò sfuggire un gemito
Entrando nel salone celeste si vedeva un coccodrillo
addormentato sotto la grande acquasantiera
Un uomo che aveva rinnegato Dio sedeva in un angolo col mal di testa
Un violino muto scacciava le ombre dell’aldilà
Fra i candelabri era cominciata una battaglia di sguardi
Una timida preghiera era scivolata sul sofà
La ragazza bionda aveva racchiuso nello sguardo
un frammento di Paradiso
Tutti sospiravano vedendola passare
Alcune anime erano così sottili che si potevano vedere tutti i loro peccati
A volte scendeva il silenzio e si sentiva il pianto delle creature impossibili
rinchiuse nelle cantine
Nei corridoi ristagnava un triste odore di orfanotrofio
In fondo al profumo della danza restava una lacrima nascosta
Un ubriaco fece piangere le fanciulle dipinte sopra l’altare
Lo sguardo del signor Delirio lasciava nell’anima una ferita pallida e vacillante
Qualcuno rimasto solo finì per scomparire
La donna vestita di bianco aveva un sorriso fresco come una rosa sotto la rugiada
Lo offriva come un gioiello
In fondo allo specchio apparve la figura turchina che avevo visto in sogno
Un richiamo da un’altra eternità
O era l’ultimo angelo custode
“Potrei restare solo con lei per una notte ? “
“ E’ tutto così antico ma non ricordo quando sono stata già qui “
Qualcuno mi ha sfiorato l’anima coi suoi pensieri ed è scomparso
L’uomo e la donna si sono amati segretamente
Al mattino li hanno trovati addormentati insieme
Per sempre
Gentile Carlo Livia,
la ringrazio della sua analisi critica relativa ai miei testi poetici.Lei è’ andato a fondo della sabbia verbale da cui poi ho tratto un castello con tante direzioni.Dice bene Giorgio Linguaglossa quando nell’esaminare il mio lavoro rileva il distacco da un certo tipo di poesia degli anni Settanta-Ottanta. Le dico subito, che sono pervenuto a questi esiti, operando con il linguaggio di un ventenne, ma con l’esperienza e l’autocontrollo di una persona adulta, che non ha mai rifiutato le letture di altri poeti. Ciò che manca, è la tensione emotiva ed ha ragione. Non le contesto questa emersione dalla lettura delle poesie.Ho già spiegato in un post datato, che dopo Astuccio da Cherubino, in ricordo di mio padre, non ho più articolato testi poetici segnati dall’emozione. Da qui l’uso di tecnicismi vari, con il recupero del Tempo-Soggetto, della rimemorazione delle cose, degli eventi, dello schiaffo alla vita dato da chi non lo so! In questo senso mi rivedo nel verso di Juan Larrea da lei riportato: “Un uomo che aveva rinnegato Dio sedeva in un angolo con il mal di testa”.In un altro intervento critico, Giorgio Linguaglossa si è chiesto da dove mai venga questo modo di fare poesia.Qui entrano in gioco molti fattori plurali e dis-greganti, ma anche la voce dei vivi nell’espressione dei morti, come tanti Ghost dietro le spalle. Non mi dilungo per non annoiarla, ma quello che ho scritto qui è il guscio di una noce che contiene il gheriglio della vita. Grazie.
Il tempo custodisce affreschi,
salva le tue ultime canoe.
Riparte l’archivio degli anni,
non uno che si metta al riparo
dall’onda dello tsunami.
Pure qualche strofa risale dai fondali.
La città si rannicchia nella neve.
Di cosa hai paura Ramous?
Padre Alvarez chiude il sermone
disegnando il TAU dal Libro di Ezechiele.
Non so perché i versi di Gabriele così apparentemente calati nell’oggettività
e come dice Livia mancanti di tensione emotiva riescano a penetrarmi al profondo, a generare un pathos nel mio essere corpo e anima, Certo rileggendo i versi sopra riportati forse la risposta mi arriva. Spesso riesce il poeta a introdurre baluginanti versi,che corrodono la realtà, trasfigurandola in sogno, in avventura, e i suoi personaggi , fantasmi in delirio, assumono una compattezza, una vitalità, che supera ogni nominalismo.Non ho gli strumenti critici per analizzare il suo stile che è suo e di nessun altro, con il ricordo masticato di Eliot e di un confessatissimo Becket, più il primo direi, con quelle ambientazioni familiari e quotidiane che rimandano all’assoluto. Il dispiegamento culturale che in altri potrebbe risultare stucchevole in Gabriele è un altro veicolo di coinvolgimento, e nonostante tutto possa apparire costruzione cerebrale , misteriosamente il dettato poetico si slarga in un fiume che avvolge il lettore e suo malgrado lo spinge a focalizzare i tratti più decisamente poetici ,che corrono nelle trame di un basso profilo quasi volutamente prosastico. Così incontriamo versi memorabile che si incidono. ” In un angolo giocatori d’azzardo/ puntavano sull’eclisse lunare”. Perdonami carissimo Mario se non sono capace di un discorso critico, getto queste mie parole, così come mi vengono suggerite , da una lettura a voce alta, che mi evidenzia il ritmo sonoro di questa frammentazione circolare. E il mosaico alla fine forse davvero ricompone la faccia di te poeta, di te uomo.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/02/19/critica-della-ragione-sufficiente-verso-una-nuova-ontologia-estetica-roma-progetto-cultura-2018-pp-512-e-21-lettura-critica-di-mario-gabriele-oltre-il-limite-elegiaco-e-alcyonesco-della-poes/comment-page-1/#comment-31513
L’ESTRANEAZIONE È LA CATEGORIA BASE DELLA NUOVA POESIA
L’estraneazione è l’introduzione dell’estraneo nel discorso poetico; lo spaesamento è l’introduzione di nuovi luoghi nel luogo già conosciuto; il mixage di iconogrammi e lo shifter, la deviazione improvvisa e a zig zag sono gli altri strumenti in possesso della musa di Mario Gabriele. Queste sono le categorie sulle quali il poeta di Campobasso costruisce le sue colonne di icone in movimento. Il verso è spezzato e interrotto, segnato dal punto e dall’a-capo è uno strumento chirurgico che introduce nei testi le istanze «vuote»; voglio dire che i simboli, le icone, i personaggi sono solo delle figure, dei simulacri di tutto ciò che è stato agitato nell’arte e nella poesia del novecento, non esclusi i film, anche quelli a buon mercato, le long story… sono flashback a cui seguono altri flashback che magari preannunciano icone-flashback… non ci sono né domande, come invece avviene nella poesia ultima di Gino Rago né risposte come avviene, a volte, in alcune mie composizioni.
Altra categoria centrale è il traslato, mediante il quale il pensiero sconnesso o interconnesso a un retro pensiero è ridotto ad una intelaiatura vuota, vuota di emozionalismo e di simbolismo. Questo «metodo» di lavoro introduce nei testi una fibrillazione sintagmatica spaesante, nel senso che il senso non si trova mai contenuto nella risposta ma in altre domande mascherate da fraseologie fintamente assertorie e conviviali. Lo stile è quello della didascalia fredda e falsamente comunicativa che accompagnano i prodotti commerciali e farmacologici, quello delle notifiche degli atti giudiziari e amministrativi; Mario Gabriele scrive alla stregua delle circolari della Agenzia dell’Erario, o delle direttive della Unione Europea, ricche di frastuono interlinguistico con vocaboli freddi e distaccati, dal senso chiaro e distinto. Eppure, proprio in virtù di questa severa concisione referenziale è possibile rinvenire nei testi, di soppiatto e appena visibili, delle fraseologie spaesanti e stranianti.
Ma tutto questo armamentario retorico era già in auge nel lontano novecento, qui, nella poesia di Gabriele non c’è nulla di nuovo, eppure è nuovo, anzi, nuovissimo il modo con cui viene pensata la nuova poesia che abbiamo denominato nuova ontologia estetica. È questo il significato profondo del distacco della poesia di Gabriele dalle fonti novecentiste; quelle fonti si erano da lunghissimo tempo disseccate e producevano foglie secche, pagine immobili, elegie mormoranti, chiacchiere da bar dello spot nel migliore dei casi, tutta quella tradizione (lirica e antilirica, elegia e anti elegia, neoavanguardie e post-avanguardie) non producevano più nulla che non fosse epigonismo, scritture di maniera, manierate e lubrificate.
Mario Gabriele dà uno scossone formidabile all’immobilismo della poesia italiana degli ultimi decenni, e la rimette in moto… È un risultato entusiasmante… che mette in discussione tutto il quadro normativo della poesia italiana…
Ho qui il libro di Linguaglossa, Critica della ragione sufficiente (verso una nuova ontologia estetica), 500 pagine, l’ho sfogliato di qua e di là, ho iniziato a leggerlo… è un po’ una summa e un riepilogo di alcuni scritti che erano comparsi sull’Ombra delle Parole che affrontano una serie di gigantesche problematiche che galleggiano in questi tempi di debolismo e di epigonismo diffusi. Erano molti decenni (quanti non saprei dire, ma credo che bisogna risalire agli anni settanta) che nelle lettere italiane non venivano sollevate tante e tali questioni: il bello, il vuoto, il nulla, l’esistenza, il tempo interno delle parole, il tempo esterno, lo spazio, la spazializzazione e la temporalizzazione, l’Evento (Ereignis) in arte e tante altre questioni apparentemente slegate e fortuite come il selfie, l’autoritratto, il problema dell’inconscio nella “nuova poesia”… insomma, tali e tante questioni che messe assieme in un libro-zibaldone non si erano mai viste in un libro di critica (militante) in Italia.
E c’è da dire che molte cose sono chiare e lampanti, chiare e distinte direbbe Cartesio, ad esempio la questione dell’essere e dell’essere delle parole, la questione del linguaggio e quella del linguaggio poetico, la questione mandel’stamiana del discorso poetico. Un incredibile excursus su tutte le principali questioni oggi sul tappeto del fare poesia. Perché è bene dirlo con chiarezza: senza affrontare queste questioni non si può scrivere oggi poesia di una qualche serietà, perché è bene che un poeta sia anche un intellettuale e non soltanto un chiacchierone ciarlante, una cicala parlante e scrivente che scrive sulle margheritine e sui broccoli del proprio orto botanico.
Caro Martino,
mi chiedo come si possa scrivere poesia alla nostra età? Quali sono i punti di raccordo? Che cosa ci allontana da questo mondo di sfrenato Capitalismo, senza trascurare le azioni del Male? Siamo, forse, come dice De Palchi ancora degli antropomorfi? La mancata tensione emotiva, fatta rilevare da Carlo Livia, viene da me sostituita con l’uso delle frammentazioni del tempo, attraverso le tecniche del laboratorio linguistico, per far riaffiorare il ricordo, che per me suscita emozioni, e credo anche per chi vi ricorra all’imbrunire della sera, dove l’archivio degli anni non ci salva dallo tsunami,ossia dall’oblio. Ecco il motivo perché scriviamo e che in un certo senso cerco di rispondere alla prima domanda sopra riportata. Ringraziandoti sinceramente del tuo commento, ti invio cordiali saluti.
Sono passati sei minuti del nuovo giorno e questa antologia linguaglossiana segna l’inizio di una critica sufficiente a illuminare la condizione della poesia italiana della fine del secolo scorso e dell’inizio del nuovo secolo. Ho dato dapprima uno scorrimento veloce per avere una idea strutturale e compositiva di questa opera che resterà negli annali della storiografia italiana.
Linguaglossa ha il suo destino nel significato del suo cognome che viene continuamente onorato.
Mi ha sorpreso il coraggio e la sfrontatezza delle sue dichiarazioni: ambedue “sufficienti” per stabilire le posizioni dei poeti: perizia e acume si avvicendano.
Coraggio, molto e tanto, che testimonia il non aver paura e timore di sbagliare il giudizio. Questo lo può fare soltanto un non accademico che la sa lunga come deve essere trattata la Poesia, e non col timore di errare che pregiudicherebbe la carriera…accademica.
Libero e sciolto dal vincolo di non appartenere a nessuna accademia (o se volete cricca da quattro soldi) egli svolge e segna una operazione critica puntigliosa e precisa col bisturi delle sue conoscenze. Non ha bisogna di uno stile singolare: va diritto allo scopo e sentenzia.
Scopritore di grandi talenti, emarginati dai poteri editoriali e delle varie critiche ufficiali, li beffeggia mostrando loro chi ha merito e chi ha demerito senza attenuanti, senza dubbi, e va il suo battello diritto, o a destra o a manca come richiede appunto il puntuale artificio della sua arte critica.
E certo che dà fastidio il Linguaglossa a tanti luminari critici incollati alle loro schifose poltrone con la loro stessa m…a!
Domani, se ne ho voglia, continuo e se mi va farò anche i nomi!
as
un timbro un verso.
una tazzina di caffè
lungo, grazie.
un discorso diversivo in un solo verso.
in direzione del bar, forse.
ci saranno cambiamenti nella nostra vita?
la mia anima è una barca
senza mare né sponde.
rispondere non serve. l’input innescato.
la rivoluzione in un sol giorno,
com’è cambiata la nostra vita dopo il
1996? si sporgono alla finestra lievi bandiere.
sventolano pure.
un vento irriverente non scopre il logo.
la poesia ha un sol giorno.
l’enfasi del tempo. l’antologia odierna.
Grazie, Ombra.
Gino Rago, A proposito della «Poetica del Vuoto» – Brano tratti da Giorgio Linguaglossa, Critica della ragione sufficiente. Verso una nuova ontologia estetica – Progetto Cultura, 2018, pp. 512, € 21.00, pp. 16-17
https://wordpress.com/comments/all/lombradelleparole.wordpress.com
Dal retro di copertina di questa ponderosa opera di critica psicofilosofica si apprende:
“Critica della ragione sufficiente, è un titolo esplicito. Con il sotto titolo: «verso una nuova ontologia estetica». Uno spettro di riflessione sulla poesia contemporanea che punta ad una nuova ontologia, con ciò volendo dire che ormai la poesia italiana è giunta ad una situazione di stallo permanente dopo il quale non è in vista alcuna via di uscita da un epigonismo epocale che sembra non aver fine. I tempi sono talmente limacciosi che dobbiamo ritornare a pensare le cose semplici, elementari, dobbiamo raddrizzare il pensiero che è andato disperso, frangere il pensiero dell’impensato, ritornare ad una «ragione sufficiente». Non dobbiamo farci illusioni però, occorre approvvigionarsi di un programma minimo dal quale ripartire, una ragione critica sufficiente, dell’oggi per l’oggi, dell’oggi per ieri e dell’oggi per domani, un nuovo empirismo critico. Ecco la ragione sufficiente per una «nuova ontologia estetica» della forma-poesia: un orientamento verso il futuro, anche se esso ci appare altamente improbabile e nuvoloso, dato che il presente non è affatto certo.”
Giorgio Linguaglossa tocca in questo saggio psicofilosofico nodi importanti del fare poesia oggi e si muove da «Le Fondamenta Ontologiche per una poetica ontologica» al concetto di «reale»; da «L’Evento» al «Perché il nulla piuttosto che l’ente?», «Perché c’è X anziché Y?».
Così come affronta il tema dei temi, «La poesia e il tempo», attraverso «Il problema del linguaggio come l’esserci del tempo». Né il saggio psicofilosofico linguaglossiano trascura le problematiche connesse al “Nulla” e al “Vuoto” in «Per una poetica del vuoto», per giungere alla trattazione della poetica degli oggetti in “Gli «oggetti profondi»”: “«Le posate d’argento» di Tomas Tranströmer”.
E apre verso Il «frammento» che si dà soltanto all’interno di un orizzonte temporalizzato attraverso « La crisi dei fondamenti» [ Il «punctum», il «fuoco», il «peso specifico» dei «particolari» nella composizione in «frammenti»].
Passa poi alla trattazione del tema estetico del “Bello”, avvalendosi dei “CENNI Sul CONCETTO DI «BELLO»”, rispondendo alle domande: «Il Bello è produzione?», «il Bello è un oggetto (Gegenstand)», attraversando un «un sistema di significazione che rimanda ad un mondo di relazione» e il «Bello» nel pensiero di Giacomo Leopardi, per poi approfondire, fra le tante questioni ancora aperte, quella del «Reale e del Realismo», attraverso il concetto di «sottostante» di una lingua […]
“[…] Se da un lato questa ponderosa (e ponderata) opera psicofilosofica di Giorgio Linguaglossa, Critica della ragione sufficiente. Verso una nuova ontologia estetica – Progetto Cultura, 2018, pp. 512, € 21.00, avvince per l’ eleganza, la precisione, l’ energia del linguaggio dell’autore, dall’altro convince per la finezza esegetica con la quale l’opera scandaglia uno ad uno i singoli testi presi in considerazione, senza far passare in secondo ordine l’agile capacità dell’autore di sintetizzare in poche, icastiche pennellate anche fenomeni culturali complessi.
Non si esagera nel sostenere che questo recentissimo libro di Giorgio Linguaglossa si pone tra i migliori e più illuminanti lavori di critica letteraria militante, volto com’è a individuare e definire in pochi, chiari tratti le essenziali linee di tendenza agenti nel turbinio della galassia di voci pronte a risuonare sul dorso di tutta la nostra penisola […]
Vasta com’è, questa opera potrebbe dare le vertigini…
Ma il rischio si azzera per la sapiente regia di Linguaglossa di sorreggere le numerose parti del libro con efficaci e resistenti appigli gnoseologici e linguistici che consentono all’autore di sviluppare, dalle prime alle ultime pagine, un discorso coeso, coerente, chiaro nella cui economia generale giocano un ruolo decisivo la pars destruens e la pars construens lungo le quali il libro si muove […]”
Ma correremmo un serio rischio nell’«Invito alla lettura» dell’opera psicofilosofica di Giorgio Linguaglossa se non dedicassimo il giusto rilievo a un’altra tematica di stringente lacerazione del nostro tempo: il “Vuoto e la poetica del vuoto”.
Per questa ragione, ci soffermiamo sul colloquio a distanza Giacomo Marramo-Giorgio Linguaglossa dando loro la parola senza interferenze.
Colloquio a distanza Giacomo Marramao-Giorgio Linguaglossa, Critica della Ragione Sufficiente. Verso una nuova ontologia estetica, Per una poetica del vuoto, pagg 16-17
Per una poetica del «vuoto»
Scrive Giacomo Marramao in Minima temporalia (Luca Sossella, 2005):
«Il venire-ad-esistenza del nostro universo, in quanto differenza originaria tra “universo materiale” e “universo vuoto”,in quanto instabilità tale da dar luogo a una freccia temporale irreversibile, può essere compreso soltanto a partire dall’assunto di una creazione simultanea della materia e dell’entropia. occorre allora fissarsi su questa origine, per afferrare il vero volto del “divenire” di cui Prigogine ci parla spesso e volentieri con tonalità euforiche. Questo divenire fa, certo, irruzione proprio là dove il sogno di Einstein aveva trovato la sua “espressione più grandiosa”, producendo una “lacerazione del tessuto uniforme dello spazio-tempo”. Ma il suo tratto originario e differenziante non è dato dall’energia, bensì dall’entropia. L’universo puramente geometrico, spazio-temporale vuoto, corrisponde a uno “stato coerente che viene distrutto dalla creazione entropica della materia”. Di qui il “terribile” apoftegma: la“morte termica” si colloca all’origine–non al temine – del cammino indicato dalla freccia temporale». È’ interessante questo concetto di rottura della simmetria come alterazione di uno “stato coerente” costituito dallo spazio-tempo omogeneo e vuoto. E qui si porrebbe l’altra domanda del rapporto che si istituisce tra tempo ed eternità. Ma fermiamoci un momento su questo concetto di “spazio tempo omogeneo e vuoto” che sarebbe inficiato dalla rottura della simmetria dello“stato coerente”. Il «vuoto» sarebbe quindi uno“stato coerente” cui sarebbe possibile accedere soltanto mediante un salto ontologico.
Precisa Giorgio Linguaglossa
La dimensione artistica, l’opera d’arte è appunto ciò che ci permette di operare questo «salto ontologico», di operare una «rottura» della freccia del tempo e dell’universo spazio-temporale. La dimensione artistica è quella che consente di attingere quello «stato coerente» prodotto dallo spazio-tempo «vuoto». Si è sempre parlato della atemporalità dell’arte, della sua qualitàdi oltrepassare le delimitazioni spazio-temporali, ed io penso che questo salto nello «stato coerente» del «vuoto» sia la chiave di volta per impostare un discorso filosoficamente corretto sulla dimensione artistica che tenga conto delle più accreditate ipotesi scientifiche sull’origine del nostro universo. Il«vuoto» sarebbe, dunque, uno «stato coerente» perché ignora lo spazio e il tempo, la dimensione spazio-temporale. Ma il «vuoto» è altra cosa rispetto al concetto teologico di«eternità» secondo la definizione che ne ha dato Ireneo come «aeternitas est merum hodie, est immediata et lucida fruitio rerum infinitarum», nella cui definizione si coglie una visione antropocentrica del mondo.
Nel concetto di «vuoto» sarebbe in opera il paradosso plotiniano di «potenza senza durata», con il che siamo ancora una volta all’interno di una visione antropomorfizzante del mondo se intendiamo la «durata» (concetto temporale) connessa con il concetto di«potenza» (concetto anch’esso che può valere all’interno di una visione antropomorfizzante del mondo). Sarebbe più conveniente pensare il «vuoto» al di fuori di concetti come «potenza» e «durata» (concetti ancora antropomorfizzanti), come ciò che non- è- potenza e che non ha-durata.
Conclude Linguaglossa
Poniamoci la domanda: perché esiste il vuoto e perché esiste la materia? Ecco, ritengo che dalla risposta a questa domanda potremo capire qualcosa di più circa la costituzione ontologica dell’uomo, sulla necessarietà e sulla superfluità della sua presenza nell’universo. La domanda, ripresa nel 1953 da Heidegger, nella Einfuhrung in die Metaphysik: «Perché in generale l’ente piuttosto che il nulla?», ripropone al centro del pensiero filosofico la questione delle questioni. Essa, per il suo rango, è la domanda principe della metafisica. Essa «è la domanda – insieme – più vasta, più profonda e più originaria: i) la più vasta poiché la sua estensione non riconosce alcun limite al di fuori del nulla (in questo senso essa è inoltrepassabile); ii) la più profonda: in quanto chiedersi «perché» vuol dire interrogarsi sulla ragione ultima, sul “fondamento” (Grund) dell’ente; iii) la più originaria: in quanto non investe questo o quell’ente singolo ma «l’essente nella sua totalità, senza alcuna preferenza particolare»[…]
GR
Tornato dall’aver fatto la spesa giornaliera – i poeti campano anche di cibo, contrariamente a quanto si crede, e non stanno solo nell’empireo e nell’Olimpo o nelle visioni, ecc. – mi sono ritrovato ad ascoltare le registrazioni telefoniche di personaggi noti e meno noti: critici, scrittori… poeti nemmeno a parlarne: non ce ne sono che una quantità esigua e di qualità al 99% scadente… dunque tutte le registrazioni erano delle critiche nei miei riguardi: l’avere eseguito una sviolinata a Linguaglossa (ma il violino non lo so suonare pur avendone uno in casa del 1911, comprato da studente di slavistica ad Olomouc – per chi non lo sapesse è una città boema – nel 1971.
Dunque queste critiche riguardavano me e il critico Linguaglossa.
Me: colpevole di aver lodato l’opera “sufficiente” (posso dichiarare che sono stato sempre molto severo col Linguaglossa, e posso una volta prendermi il lusso di eseguire una sinfoniade).
E poi direttamente lo storico-critico colpevole di atteggiarsi a giudice supremo delle lettere “italiche”.
Questi che mi hanno telefonato sono di tutti i colori e schieramenti politici possibili e “impossibili”: a questi ho risposto che si leggessero la Divina Commedia che di divino non ha nulla, ma ha tutto di umano, altrimenti sarebbe una beffa. Ho aggiunto che non mi seccassero mai più, anche perché, ho detto senza giri di parole, che non valgono nulla.
e come il poeta dice (indovinate il poeta):
———————–
Ho scritto tutto questo per voi,
poveri topi.
Mi stuzzicate?
Meno delle copeche di un pitocco,
sono gli smeraldi delle vostre follie.
Ricordate!
Perì Pompei
quando stuzzicarono il Vesuvio!
Ehi!
Signori!
Amatori
di sacrilegi,
di delitti,
di macelli
ma ciò che è più terribile
l’avete visto:
il mio viso,
quando
io
sono assolutamente tranquillo?
———————————————————————————————————
Come il polso di un defunto!
LA POLITICA EDITORIALE DEGLI EDITORI A MAGGIORE DIFFUSIONE NAZIONALE
caro Antonio Sagredo, Gino Rago e Costantina, Mario etc.,
https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/02/19/critica-della-ragione-sufficiente-verso-una-nuova-ontologia-estetica-roma-progetto-cultura-2018-pp-512-e-21-lettura-critica-di-mario-gabriele-oltre-il-limite-elegiaco-e-alcyonesco-della-poes/comment-page-1/#comment-31545
Già negli anni settanta un poeta come Franco Fortini stigmatizzava che ormai in poesia le scelte editoriali le facevano gli «uffici stampa dei grandi editori» e che la critica di poesia era un arnese obsoleto che non aveva più alcuna influenza sulle scelte editoriali e sulla politica editoriale del comparto poesia. Oggi, a distanza di cinquanta anni appare sempre più evidente il carattere obsoleto della critica di poesia, chi la fa fa una critica di accompagnamento, di cerimoniale che nulla ha davvero in comune con un pensiero critico. Perché una critica ha senso se la si esercita come intermediario con un pubblico libero e intellettualmente preparato. Oggi che non c’è più un pubblico della poesia è del tutto fuorviante parlare di critica della poesia, ed io stesso non sono un critico né aspiro ad esserlo, io mi dipingo molto più semplicemente come un contemporaneista, con tutti i limiti e i pregi, se ce ne sono, che una tale definizione comporta.
Il problema da mettere a fuoco è che in questi ultimi, diciamo, cinquanta anni, la poesia italiana è rimasta priva di una classe dirigente. Per classe dirigente intendo una classe di letterati (aspiranti poeti, diciamo così, perché “poeta” è una parola grossa, che addossa sul malcapitato ernormi responsabilità). Voglio dire che in un paese dove la classe dirigente del comparto poesia è inamovibile, dove i medesimi personaggi occupano da decenni i posti chiave delle grandi case editrici, il risultato più probabile è che in quel comparto non ci saranno, diciamo, novità, non si avranno rinnovamenti, insomma, voglio dire che quei poeti alla lunga perderanno il contatto con la storicità del divenire, con le nuove tendenze poetiche, con i nuovi poeti, insomma, l’effetto che si avrà è che si avrà un sostanziale immobilismo nelle scelte degli autori e nelle politiche che, necessariamente, diventeranno sempre più clientelari e personalizzate.
E poi il fatto che nessuno dei poeti attualmente ai vertici degli uffici stampa degli editori a maggiore diffusione nazionale sia anche un critico, questo è un deficit che produce ripercussioni gravi sul comparto poesia, perché è inevitabile che ciascun poeta che occupa quegli uffici tenderà a creare una politica editoriale personale (anche involontariamente e in buona fede) che sia una prosecuzione della propria attività di poeta. E questo elemento di criticità alla lunga, con il corso dei decenni, introduce delle distorsioni sempre più vaste e profonde, diventa un elemento di cecità verso il «nuovo». Oggi chiunque apra un catalogo di Einaudi poesia o Mondadori poesia si troverà davanti a decine di nomi che non si capisce bene come abbiano fatto ad approdare in collane un tempo prestigiose, perché è chiaro nel leggere le loro opere che sono persone che scrivono in un linguaggio politicamente stereotipato e telefonato (nel migliore dei casi), che insomma non sono dei letterati e neanche degli intellettuali, che fanno poesia come hobby, come interludio, come svago…
A questo punto il risultato finale è che viene meno anche la credibilità di un intero comparto culturale. Oggi, in effetti, è l’intero comparto culturale della poesia ad essere del tutto inutile ed esornativo, decorativo e nulla più.
Caro Giorgio,
ci troviamo di fronte al capitalismo editoriale del Nord che ha alzato un muro contro le piccole imprese in rotta di fallimento con le pubblicazioni di poesia, sempre in stato di colliquazione dopo il 69, con la fine dell’esperienza del Gruppo 63. Dopo tale data si sono avvicendate forme e linguaggi poetici diversi tra loro, ischeletriti da muffe e ragnatele, che hanno reso impossibile parlare di nuova ontologia. Parliamo di editoria senza qualità, che per assenza di voci nuove, ha insistito nel riproporre vecchi standard di letteratura. So che la nostra situazione è difficile. Non ci sono grandi autori e grandi editori .Si naviga senza punti di riferimento. E” il marketing a dominare questa nostra piccola Italy, pur di raggiungere uno stock di libri per superare o equiparare le spese sostenute dagli editori per la pubblicazione. I vari Saviano, Ken Follett, Raffaele Donnarumma ed altri, sono i più esposti nelle vetrine della Mondadori o di Giunti.In una di queste , pochi giorni fa, mi sono presentato con alcune copie di In viaggio con Godot e con la tua Critica Della Ragione Sufficiente, per chiedere se potevano accettarle nel settore Autori molisani e di altre regioni. La risposta è stata: qui vendiamo solo libri della Mondadori.Per la poesia poi il discorso diventa più complicato.Basti pensare alle nuove strategie poetiche di Aldo Nove e Nicolò Ammanniti i quali hanno addirittura rinunciato alla poesia lasciando il trash e il noir per altre tematiche relative all’Italia storica, come ad esempio Mi chiamo Roberta di Aldo Nove. Visto che le cose stanno sempre di più indirizzandosi verso una pubblicistica editoriale, che predilige i testi accademici,i saggi di economia aziendale e i manuali operativi e universitari, oltre ai classici storici,associati ai grandi giornali come L’Espresso o La repubblica che allegano volumi di 200 pagine a un euro e novanta, allora viene da domandare se anche noi, nel nostro piccolo, e con prospettive diverse, proponendo buone opere e ottimi autori, creassimo qui nel Sud un Capitalismo editoriale, in opposizione a quello del Nord, con tutte le strategie di diffusione pubblicitaria, cambierebbero le sorti della poesia. So che è una utopia, Ma è con l’utopia che nascono le rivoluzioni.
…controcorrente, via col vento.via dalla corrente e via dal vento….
(sostituite ai termini corrente e vento, il termine critica)
… queste problematiche scopro non essere contemporanee, e se lo sono lo sono nel senso che ad ogni epoca si sono puntualmente riproposte tali da apparire, come dice il poeta (quello stesso di prima) “masticature di vecchie cotolette”… insomma già durante la rivoluzione russa quando vi erano poeti, critici artisti di primaria importanza in Russia, e poi nel mondo letterario mondiale, (o durante il new criticism) queste problematiche editoriali esistevano e in più dovevano combattere con la censura (c’è da noi la censura? io affermo di si – poi si penserà ad analizzare).
Colpevole è l’epoca, non i poeti che lo sono per altri motivi, tra cui la mediocrità imperante. Colpevole è l’assenza del nuovo, che vuol dire mancanza di fantasia e immaginazione, quindi non l’epoca è colpevole, ma il poeta che non sa più inventarsi una epoca!
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Linguaglossa non vuole essere definito “critico”, ma lo è comunque, nel momento che emette un giudizio qualsiasi, lo è.
Allo stesso modo il Poeta che è Poeta nel momento che si sottrae al Tutto e sottrarsi al Tutto vuole dire sottrarsi al Nulla, poiché il Tutto oggi perdendo le sue caratteristiche storico-filosofiche coincide con Nulla.
Coincide, non dico si identifica; è soltanto una convergenza che fa esplodere i concetti e i princìpi, li macina riducendoli a polvere, ecc.
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Più volte ho tentato di definire la Poesia, o almeno la mia.
Più volte ho dichiarato che non bisogna illudersi d’essere un poeta: non ne vale la pena, ma quando nell’intimo si è consapevoli della propria missione e possanza allora si è poeti; ma non basta affermare questo: ho letto centinaia di poeti (mi riferisco per limitarmi al secolo trascorso) di tutte le lingue: svettano soltanto quelli che quando leggi soltanto un verso ti abbattono con un pugno!
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Sono tornato dalla spesa,/ nella mia borsa ho trovato dei versi/ma il conto non tornava/ci mancavano il pane e il vino/come dire tutto quello di cui non avevo bisogno.
a.s.
Caro Sagredo,
trovo il tuo intervento molto significativo nell’esporre lo stato di cose in cui vive oggi il poeta. Se ci consideriamo degli esclusi, non esiste fionda da lanciare contro Golia. Colpevole è l’Epoca in cui viviamo, ossia questo nostro Tempo,che ha relegato l’umanità in un cantiere distinguendola in numeri, nonché la politica, che sta studiando di eliminare anche la pensione di reversibilità alle vedove, come ho potuto leggere su FB. Qui c’è la manina di Bruxelles che ci sta guidando verso un nazismo economico. ARBEIT MACHT FREI!
“…la voce dei vivi nell’espressione dei morti, come tanti Ghost dietro le spalle”.
In questa frase di Mario Gabriele colgo il senso tragico che accompagna le poesie e la critica poste in atto dalla nuova ontologia estetica. E’ “la Fin du monde”, che è tra l’altro anche il nome di una famosa birra. Ma di questo si parlerà più avanti, almeno spero, quando si vorrà storicizzare l’avvento della scrittura per stracci e frammenti. Intanto, con “Critica della ragione sufficiente”, Giorgio Linguaglossa pone le premesse che serviranno a nuovi poeti per smetterla di rovistare tra le rimanenze del passato. E’ un nuovo inizio, con questo libro, il “grande progetto” ha preso forma. E speriamo si tratti della punta di un iceberg. Più avanti si capirà che non c’è nulla di allegro nel tramonto culturale di quest’epoca, malgrado ci si forzi nell’alleggerire – persino Gabriele, che agisce nello sconforto in modo da renderlo pop, o la tanta ironia di chi scrive consapevole di stare nella post modernità –. Ma ontologicamente siamo morti, parliamo di morti ai morti, e tutto questo è, per me, entusiasmante. Tanto che a dovere ancora dire dell’io fa sorridere.
La scrittura critica di Giorgio Linguaglossa è letteraria, abbastanza densa di tecnicismi da poter affascinare la nascente macchina mentale e far ruotare le pupille dei poeti tra scienza e filosofia; in apparenza coi piedi per terra, in realtà proiettato nella giungla stellare dei versi-immagine.
In un post di giorni fa, Mario Gabriele scriveva : “Ogni testo ha una sua ministoria. Ma la cosa a cui non so rispondere è come abbia potuto formalizzare tutto questo con un sound quasi come un vibrafono alla Lionell Hampton” (è il pop di cui parlavo) “ Ma se la poesia non ha tutti questi riflessi, dimmi caro Tallia, c’è proprio bisogno di scrivere poesia in questo mondo in frantumazione?”
Lo dico a te
in via estemporanea
davvero senza che nulla mi fosse stato chiesto
ma la bellezza sta
nella busta della spesa,
questa poesia nascosta a malapena
è un bruco sulla credenza
nella sua mela.
A quanti dicono del tempo
rispondo che la visuale è tonda
e quando striscio
non è per compassione
è fame atavica. Resurrezione.
Un morso unico.Quotidiano
Il cielo si scurì per neri ombrelli
Dai confessionali cinguettava una condanna ambigua senz’appello,
sinistro era il calvo battito di un giudice in gramaglie nere.
Non avevo più i conforti estremi di un’anima eretica, la carne arsa
e quella fede irregolare che un celeste trono nega a malincuore.
Mi tallonava l’inutile urlo della croce e la sua smorfia stercoraria
che dal capezzale mi pianse la perdita di astragali e aliossi.
Come uno stendardo si levò la beffa simile a una profezia teatrale!
E io vidi, non so, patiboli in stiffelius e quinte martoriate come golgotha
e coi reggicalze ben in vista alati putti e sacerdoti celebrare beati,
sotto i portici del granchio, sanguinanti spine, lombi e glutei!
Ah, Dante, non avevi più urina e saliva, ma la tua lingua era ancora toscana,
cordigliera e velenosa… perfino gli uccelli scansano questa croce! – gridò.
Il cielo si scurì per neri ombrelli… tuniche codarde e orbite di livide veroniche
oltraggiarono i tramonti – chiodato dai suoi miracoli l’Incarnato pulsava
per un coito dismesso a malincuore – per un altro sesso, come un velo mestruato,
depose il divino Verbo nel postribolo – fu l’inizio della nostra croce, e la sua gloria!
I giorni che trascorsi nello specchio gelano epoche e finte apocalissi.
Promise al suo sosia e gemello le meraviglie della Terra e degli Universi
tutti, ma quel bosco fu avvelenato dalle bacche del tasso: miserie del martirio!
finzioni! resurrezione dei vivi! fede dei misteri!… compassione, per loro… ecc… ecc….
antonio sagredo
Roma, 29 settembre 2011
A proposito dei critici accademici… che hanno timore pubblico, ma in privato (ti) tessono elogi a non finire; ed io mi stancai dei suoi elogi sempre eguali, e mi dissi: basta con questo, gli ho dato troppo retta!
(parlo Di G. B. Squarotti)
Quando gli inviai questi versi (ma tanti ne furono), come si dice, gridò al miracolo! Una corrispondenza di tredici lettere per ciascuno testimonia la sua esultanza non contenuta… e già questo mi mise in allarme. E allora gli chiesi (ma per curiosità lo misi alla prova) un piccolo aiuto per una pubblicazione con una sua prefazione: rifiutò due volta, adducendo futili motivi.
a.s.
Secondo me, oggi funziona così: prima vendi, poi arriva l’editore. Insomma, vendi! Che cosa? Qualsiasi cosa si possa vendere. Se vende va bene. Punto.
E’ capitato anche a me avendogli chiesto una volta la prefazione alle mie poesie. Mi rispose che era troppo impegnato con la UTET.
cari Mario e Antonio,
che Nicolò Ammanniti e Aldo Nove abbiano abbandonato la scrittura in versi la considero una autentica fortuna, quanto a Barberi Squarotti, dai, siamo seri, uno che scriveva migliaia di lettere ogni anno piene di elogi a chiunque gli inviasse pseudo poesie, a mio modesto avviso non è una persona attendibile e seria, magari sarà stato serio in altri campi, ma in poesia no, era uno dei tantissimi che voleva accaparrarsi il benvolere di tutti. Ridicolo. Intendo questa acquiescenza alla massa di aspiranti poeti sempre alla ricerca di riconoscimenti e approvvigionamenti. Penso che sia ora di finirla con i complimenti rivolti a tutti, e bene fa l’Ombra che non risparmia critiche a nessuno quando lo ritiene opportuno…
Bisogna ritornare ad essere seri in questo Paese e a non diramare complimenti a nessuno, anche a costo di attirarsi antipatie… la stagione degli scampoli è finita.
Gino Rago
L’atto poetico nel vuoto*
«Ci interessa la forma del limone
non il limone».*
*[Questo scrissero sul manifesto formalista quegli artisti
Nell’ammutinamento sui battelli del figurativismo
E del narrativismo.
Ma fu sera e mattina sulla Forma].
I
[…]
Un reziario nell’arena
Con un altro reziario un po’ più antico
Ma nella stessa arena, verso chi tridenti e reti?
Chi o cosa vogliono irretire, senza corazza ed elmo?
Il Vuoto? Vogliono imprigionare il Vuoto
con un balzo estetico.
Perché la bellezza è nel vuoto?
[…]
I due reziari all’unisono: «Perché se sei nel vuoto,
se davvero ti senti nel vuoto, devi agire prima che il vuoto ti risucchi…
È il gesto che salva. È l’urto tra l’atto poetico e il vuoto
che genera lo spazio e il tempo,
perché il vuoto e il nulla non coincidono affatto.
La forma-poesia non è l’inizio
ma il risultato dell’urto dell’atto nel vuoto che fluttua.
Perché il vuoto si può costruire, come al silenzio si può insegnare a parlare,
ma occorrono le parole-stringhe a cinque dimensioni».
II
Roma. Due reziari seduti a un tavolino.
Il bar di via Gaspare Gozzi [la linea B della Metro sferraglia].
A una parete gli occhi e le rughe di Samuel Beckett.
Il barista si avvicina con due tazze fumanti, sorride.
L’uomo somiglia a José Saramago, dice: «Vi ammiro,
voi conoscete la doppiezza delle parole, nelle vostre poesie una parola
tira l’altra e con la stessa parola si può dire la verità».
[…]
– «Una parola davvero scomoda», pensa l’interlocutore non visibile
che siede qui accanto nel bar –
[La verità fa rima con varietà], questo lo affermava il Signor K. nella omonima
poesia di Linguaglossa, dove il Signor K. fuma
un sigaro italiano e cincischia con il revolver…
[…]
«Ma voi non siete ciò che dite, siete dei truffatori, siete…
il credito che le vostre parole vi danno».
* L’atto poetico nel vuoto è stato costruito come dialogo fra due amici poeti
(Gino Rago e Giorgio Linguaglossa) alla maniera della Nuova Ontologia Estetica) nel quale il parlato fra i due gioca un ruolo estetico decisivo.
Gino Rago
VUOTI
Nel castello meteore psichiche
lune martellanti, vuoti sibillini
*
Note orfane
vagano
tra aculei metropolitani
Percorsi tra i detriti dei senzaletto
rombano senza rumore
Simboli nei rifiuti
treni in fuga nella notte
ombre ruotano senza ragione
Un vuoto irreale vortica, lancia fiamme
e nessuna metafora
©Luigina Bigon
19 febbraio 2018 h. 0,11
“Un vuoto irreale … / e nessuna metafora”… tutta questa poesia bigoniana mastica metafore e altre immagini che nel vuoto diventano “non-metafore”.
Tutto dipende dal lettore?
Ringrazio Adeodato per aver sottolineato il mio “mastica(re) metafore e altre immagini”… Speriamo che non mi restino nello stomaco!