.
Domanda: Può contestualizzare per noi la sua composizione poetica ‘Try to remember’, che qui presentiamo?
Risposta: Con l’età sento una crescente riluttanza a ogni genere di puntualizzazione generalizzante. Non esiste una formula per la comprensione della vita, che sia nel tempo o nello spazio. Vale a dire: a partire da un certo punto, è meglio lasciare che le cose fluiscano liberamente, seguendo il proprio percorso. Meglio se con lo sguardo silenzioso verso il mondo che ci circonda, in modo che si possa sviluppare un flusso stratificato di idee, impressioni e associazioni, con le quali il nostro mutevole io cerca di entrare in contatto con la storia del suo tempo. Determinare o precisare quanto l’uomo si trovi fuori chiave. In questo senso, questi avvenimenti di giorni andati e dimenticati possono essere visti come un tentativo dell’autore di far rivivere il profondo sentimento di smarrimento e dissociazione vissuto nel mezzo di una piccola città dove si trasferì nel 1990 e dove trascorse alcuni anni successivi. Forse si tratta della denominazione della “tendenziosità”, sopravvissuta in noi, e sulla quale si può ancora contare, nonostante la realtà fangosa e impersonale. Con nostalgia per ciò che va allontanandosi …
*
La rivista ha pubblicato, sempre su l’Ombra, una intervista con Ladislav Fanta a cura di Antonio Parente:
Ladislav Fanta, Try to Remember
(In memoria di Jiří Havlíček*)
… the kind of September
Harry Belafonte ft.Tom Jones
Amico, tempora mutantur et nos in illis – i tempi cambiano in modo imperativo – e noi con loro
Quando tutti vogliono avere il proprio idolo una figura amata senza spigoli
Che spuntano direttamente da noi o da qualcuno a noi vicino
La propria pietra tombale su un nobile piedistallo pieno di profondi inchini tiepidi
sul quale crescono grandi rivelazioni di granito solidificato nella flora
come un turista sperduto
Nella paglietta di spiacenti imbarazzi sopra il nastro strappato
Di Dio solo sa quanti piani quinquennali
I feticci del vecchiume nostalgico ma dove sono finiti
Sembra che siano stati bevuti come una limonata stantia e il supervisore si copre d’ortica
Piantare nuovi declamatori e attendere con curiosità che li impolverino di cenere di interiezioni indistruttibili
È una necessità alla quale alla fine in qualche modo prima o poi arrivano tutti coloro che demolirono il Muro di Berlino facendone pezzi che inviarono come ricordo di tempi passati – con magnifiche scritte e pitture – ai loro parenti
O anche li vendettero in cambio di valuta pregiata agli stranieri portati dal vento sulla vasta pianura tedesca
Sculture fantastiche che sono ormai un pezzo di folklore già passé
Come la moda fuori dal carcere
Nel tuo caso metà totem o stenogrammi di sculture animali e nel frattempo (senza sentimento) anche un pezzo di villaggio slovacco
Non li si può separare l’uno dall’altro i tuoi falò ironici ne sono prova sufficiente
Una quantità infinita di ieri smarriti – lo spazio che continua a crollare
Quando si risvegliò in te il sangue degli antenati da tempo indurito e la scultura fu solo un ritorno istintivo ai luoghi dell’antica origine
Ceppi-radici senza doversi preoccupare di come vivere
Ma anche espressioni africane di gioia dolore e degli altri stati emotivi espressi con lo scalpello intagliati in linee morbide sfumate selvagge e che si abbattono nuovamente l’uno sull’altro e l’uno contro l’altro nella schiacciante brutalità animalesca della protocreatura
Sono io stesso un primitivo che gode per la trillante tensione dei massi erratici molto più che per l’adunata di tutti i tahitiani di Gauguin
Non affrettarti rallenta ciò che in ogni caso non può sfuggire
In questo gioco all’idea della più grande comodità e utilità di ogni secondo si gioca in effetti ininterrottamente al domani
Ecco perché il tempo scorre infallibilmente a margine
E ogni poco come se nulla fosse dal caos emergono le forme del mondo originale nuovamente crollate
*
Non resta che continuare a piedi percorrere i paragrafi prolissi fino alle ultime bozze
che stridono nel dormiveglia
Voler carpire i fremiti fittizzi nelle punte dei rimbombi onirici
E cercare di tradurli in fonemi simili al volapük
Sfregare l’accendino e squadrare il presente
Col peso refrigerante del silenzio notturno
Il mondo imbevuto di fumo cinereo di un bar mal ventilato e di esalazioni
Poco inebriante come i suoi bozzetti che in questo momento nella penombra del mattino tendono l’agguato nel cassetto della cucina
Con una scorta di algen radepur e altre delizie candidi regalini tondeggianti capaci di presunti collegamenti con l’aldilà
(ammettilo, Jenda di Kozlowski, così sei convinto o almeno credi)
Al piano di sotto
Invano frughi nei tubetti vuoti dove è rimasta soltanto la fine polverina bianca delle pasticche
La tarda estate di san martino sul viso dove passano le fugaci ragnatele della stanchezza
In assenza di cristalli insaporenti degli scaramucciatori rauchi del confine
Di chimere
Il meprobamato si apre il varco con le briciole di morfina
Dal cervello una polvere infernale
A malapena riesci a tenere aperti gli occhi dai quali in perenni rivoli densi scorrono i nervi come dalla grondaia
Sui parati cancerogeni in giallo canarino
Nel caf’ conc’ con la mano volta ancora in direzione della grafica colorata dell’Associazione per la Repubblica-Partito Repubblicano della Cecoslovacchia
Quando l’oscurità ha cominciato a lacerala.
*
Sulla tela solcata da sentieri di sabbia e profumata di morbide stradine c’è quasi silenzio
Solo occasionalmente si sente un colpo cupo
Risuona il clic del bidone dell’immondizia o l’impugnatura sonante della secchia
Honza Vaidner inforna nella stufa una sfilza di mattoni di ecrasite
I colpi assordanti del silenzio assoluto
Il meriggio a Šternberk è capace di riecheggiare cavo e vuoto
Sia in vicinanza che a tiro
Tutto ciò che è stato diverso e sarebbe potuto essere il contrario
Un’estate leggermente sbiadita al chiosco con la nebulosa di vini rossi
Dalla vela sporge solo la parte superiore del manganello alleggerito dal risciò
Dagmar Močičková-Pospíšilová Ngern Kratúnek-Cambogia
Entrambi presi in custodia dopo una festa di sette ore al ristorante bangkochiano Brehmen dalla radice di ginseng come ospiti non paganti
È un’opera musicale che si compone dei diversi suoni prodotti durante la spillatura e la mescita della birra scura
Con riferimento alla testimonianza bibliografica dei randelli di bambù
Sulla spilla da balia agganciata alle labbra truccate
Sopra il cavaletto da pittore di forma insolita ma piacevole
Somiglia alle fette di torta simili ad un dolce a più piani o alla fisarmonica dei Picasso Kryvošej Pospíšil j-a-Havlíček
Abbattere le circonvoluzioni cerebrali col rum frettolosamente spruzzato sull’antichissima regione boscosa del cortile
Lasciarsi cullare dalla serenità della domenica non ancora appensantita dall’arrivo dei cambiamenti sgraditi della tinta dei capelli
Ricordare le inondazioni di formule chimiche con le quali in età adulta abbiamo imparato a dire amore
Capire perché tutto cade a pezzi sotto le mani al calore che concilia il sonno del silenzio dei fischietti di osso
Errare con lo sguardo nervoso sulle pareti vuote passare rapidamente per la stanza buia e attendere
Predestinare alla decrepitezza fisica agguindolarsi tra le cose completamente fuori campo
Poi di nuovo a sinistra qua e là scalcinare a poco a poco i muri incollare e di nuovo staccare un paio di sguardi del tutto irrilevanti
Sentire l’alcool e qualcosa che ricorda i funerali e i cimiteri che con un delicato crepitio si scioglie lentamente nelle nostre bocche
Quelle cose che vengono alla mente di quasi tutti noi solo che nessuno vuole dirle ad alta voce
L’infrangersi di cristalli ironici tra decine di isolette traslucide
Catturare l’attimo del contatto spesso appena riconoscibile che molte volte ignoriamo con una breve occhiata che non dice nulla che si attacca ai lati di un annuncio funebre appena incollato
Quelle pungenti battute ad esempio sui morenti che sfogliano sul letto di morte il catalogo delle bare o sull’impiccato ad un albero accanto al quale un’altra persona controlla se l’orologio gli funziona ancora
Poi inutilmente essere alle prese con un manoscritto spesso illeggibile dare il benvenuto allo sbandieramento
Continuare la litania in proprio tirando il fiato in solitudine e nel vuoto
Inevitabili ed anche aneddotici
Andare sempre negli stessi bar insieme a Vlad’a Mazoch sapere che Eisestein finì come un buddista
Consumare l’alloggio dell’immaginazione fino a svuotare l’appartamento
Al piano avanzato dove gli sniffatori di toluene condirono le narici con il rapporto forse incomprensibile ma comunque esistente tra l’uomo e la sostanza volatile
Come se ora mi scricchiolassero ancora tra i denti dei minuscoli granelli di sabbia penetrata anche dalle finestre ermeticamente sigillate della stanza e che in mezz’ora ha coperto l’intero pavimento con uno strato spesso
*
Dall’apertura di una tendina di perline colorate entrano i cercatori di funghi
Risolversi per un reciproco discorso emotivo e carezzare la testa arruffata
La pioggia battente
Abbiamo bisogno del polo opposto – gli ioni positivi
Crepe crostali che attraversano la calda lieve brezza notturna le dita sul corpo
Lunghe strisce di polvere e sabbia
L’impressione di pochi minuti di confidenziale sincerità cancella la rotazione con l’interruttore elettrico
Ancora una volta guardare l’eccesso di luce scintillante d’argento
Formazioni fantastiche di macchie esplose come se venissero da una bottega di arte astratta
Una voce fumosa lentamente e con chiarezza esagerata spiega come dove si calcolano i prezzi di pasti caffè tè
I nostri cuori con la loro magia
Per noi è rimasta a lungo indecifrabile come una discarica di ossa di mammut
Già di per sé in qualche modo ci avvicinava a voi e voi ancora a noi
Un gustoso ricordo – le schegge dei fiammiferi tagliate molto sottilmente
La naivité perfidamente raffinata del maestro Vojkůvka l’articolo sicuramente voluto sul mercato interno ed estero
“I flagelli semi stagionali” dello scultore Kuba che dovrebbero piuttosto essere notati dai venditori di souvenir
“I nostri semi comuni, le fiamme dalle pigne” – sono qui di nuovo come prima
“La proteina della pesantezza che scorre nel mio sangue blu con l’idea dello sfondo di Magritte”
— certo certo
Un certo signor Šabo cala sulle ginocchia dei quadrati di cartone imbrattati legati con la morfina allucinazioni ricalcate con precisione
Uno di noi o qualcun altro che conosciamo seduto nella sala al tavolino
Ai disegnini nascenti spesso dedicano un ghigno e ai loro autori assegnano gangli atrofizzati
Non è solo tirare linee geometriche e spostare strani numeri
Ciò che è sfugge o si avvicina
Scivola sulla rètina
e infine senza lasciare traccia
languisce
*
In lontananza luccica ancora il pelo di una gatta silenziosa che fa le fusa
Qui tra la penuria e le spese impreviste da qualche parte inizia un posto desolato nell’universo
‘Lay by’ come dicono gli Inglesi
È tornato il tempo – il tempo zero
Afferrò la mano con un fiammifero bruciato e la dimezzò
Le unghie con lo smalto rosso sbrecciato
È interessante come si rievochino delle linee ondeggianti che avanzano inesorabilmente nell’acqua della teiera gorgogliante
Sono tornate le acque stagnanti
Il tempo morto alienato imbiettato sotto i coni arrotolati
di altre 24 ore su questo pianeta
Tempo zero zero nulla
Riceviamo il suo presente dai programmi televisivi
Quell’armonia incorniciata della giornata umana
Tutti i luoghi li proiettiamo nel microscopio dei ricordi
Quando come in uno stato di trance
(senza esercizi di concentrazione yoga)
premiamo le dita sulle corde dure
*
Albeggia
Negli angoli di molti luoghi scintilla ancora l’emisfero opale
delle lampade sul soffitto
E forse anche per l’ultima volta la nostra isola mitica
ricoperta dal tappeto di “cigli” d’aneto
Correr fuori per dieci minuti a comprare il giornale al chiosco
Imbucare nella cassetta postale cartoline colorate
In breve le rughe che disegnano l’estate
Prima che entri in gioco l’estremità della consunzione
Intanto tocca la liscia ringhiera lisa la cui vernice negli anni è svanita per gli innumerevoli tocchi
Risuonano i passi ma poi scende di nuovo il silenzio
Nei tubi scroscia l’acqua non potabile
*
Il giorno è iniziato
Il tempo della siesta permanente con una sensazione di fame
Fuori c’era il rifugio per il fuoco la facciata che si sfalda
La vita uguale ad oggi
Con le chiavi della porta d’ingresso e i tramonti ambrati
Abbiamo ascoltato le invocazioni dei profeti locali
grati per ogni espressione di benevolenza e comprensione
Papà dei demoni e fratelli dei rasoi elettrici
Ota Nuc circondato da un alone di stato di aggregazione solido
I quanti di esprit le materie di rum
(“Vivere l’inferno”)
Tozzo bruno la Cambogia con il volto corroso dall’acido
Con il potere e la ricchezza cresce anche il suo ego
E la paranoia
Enormi case galleggianti di mondi assenti
Giornate tristi quando ci imbeviamo di acqua che imbratta il vetro in strisce opache
Spazzatura scarabocchi sui muri
Il riverbero delle posate e dei bicchieri
non lavati
Che veleggiano verso distanze illimitate
Il kung-fu di questo recidivo ci spinge all’angolo: l’apertura di appartamenti devastati
Dove perdiamo il collegamento con noi stessi
La pompa – avvio manuale ed elevazione – un calcio o un pugno
Con la macchia di fumo di sigaretta
Quando il profumo dell’autunno si spande nella pineta
Girandola e terminale elettrico
Il flusso di molecole la fusione continua degli incastri
Ma vuoi di più
Un trattamento incerto goffo fuori dalla vita
Dove ogni anno fa ritorno
Lungo un sentiero di conifere
Dietro muri spessi incisi di ornamenti tratteggiati
E con l’intonaco imbevuto di meditazioni di molte generazioni di muffa
*
Mandala è un rimedio per la psiche e per il corpo
L’effetto alone dei riflessi insonorizzanti
dei vetri delle finestre
Quando si permette loro di diffondersi per l’intera anima
Come un’euforia pervasiva
È facile lasciare tutto e andare in lungo e in largo
Sento la tua voce dire che gli yogin a Lhasa sono in grado di distruggere e formare intere galassie
Mentre per strada corrono gli ultimi suoni senza senso
Sono quasi sul punto di andarmene quando improvvisamente dalle finestre della cucina si alza
La pelle di un flauto latteo
Da qualche recesso emerge un ricordo
Sul piano luminoso della vecchia credenza sfregiata con i calciatori della Bundesliga
incollati
Camminiamo lungo la scala e il corridoio
Senti il fruscio della carta sotto i piedi
Ma tutto è improvvisamente indifferente
Già si dovrebbe sviluppare in qualche modo
Sul lato opposto si spalanca
La porta della foresta
Rivelando che oltre non c’è nulla
Ládík, vecchio drago
La via polverosa non esiste più
Passo di là e penso chissà cosa stai facendo
I terreni di quelle case si restringono dopo la scarificazione
Vi germina l’erba sudanese
Vi passa il vapore invetriante degli sguardi con l’eyeliner pronunciato
Del mare affinché suoni come un vecchio
Com’è davvero l’attimo
In cui si passa ad altri pensieri?
L’ingiallimento del bianco degli occhi del fibroso fungo erubescente
*
Sì, era allora – allora …
Con ogni secondo che passa si ricopre in oscillazioni di angoli dentellati
E tutto ciò che è mio è vostro vicini e fratelli e tutto ciò che è vostro è mio
Si è trasferita la tomba indiana
Si è trasferito il circo della musica concreta
Una sovrapposizione ritmica di periodi sensibili
Ricordo come al servizio militare i nonni appiccicavano negli armadietti le pompe di benzina
I remi immersi in vernici di sale
La piazza d’armi dei turni del mattino
Ricordo
Sulle spalle Security
Lo chiamavamo Victor ugò in polvere
Il direttore del cimitero nel Tibet centrale tutto impettito in un metro quadro e mezzo di concentrato di morfina
Le lunghe ombre dei castani si diramavano sui lati
Le scioline spray Skare e Klister nell’impermeabile
In quel momento come se il nervosismo di qualcuno cospargesse questo luogo di impulsi elettrici
Con gli scapi cerati taglienti
delle antenne satellitari
Si è trasferito il frastuono dei bambini
Le stuoie naturali sulle sedie di plastica da giardino ingrigite del bistrò fuori sotto l’ombrellone
Dove l’aria si muove solamente in moto ondulato o deformandosi in pozzette
Proprio attraverso dei fori rinforzati per appendere gli anelli per evitare eventuali strappi delle tende
L’urto improvviso dell’angolo smussato di sbieco
Quando nei bicchieri scorreva da qualche parte il profumo di mentolo
E la presa era rilassata
*
Ci si sedeva negli angoli polverosi delle taverne
(è ancora possibile scorgerne l’acquoso contorno verde scuro)
Magari durante una piacevole domenica autunnale con le foglie ingiallite e il cielo azzurro
Nel sottoscala la corrente giocava con la porta di casa mal chiusa
Nell’arido deserto di fessure e crepe
Lentamente si zittiva il ronzio metallico
Nei raggi ultravioletti dell’energia solare ogni volta ti accoglieva l’oste Voska
anche con la corona
Di boccali spillati
Come una vibrazione appena percettibile del flusso d’aria
Gli inizi di incendio nelle pattumiere del palazzo comunale ad affitto modico
La scarica di adrenalina nel sangue
Ci si sedeva sotto un sottile e scintillante strato di polvere
Le particelle corpuscolari che spiovevano dall’abbaino ci investivano caldamente
col respiro di vecchie macchie stirate via
Il tempo dei vecchi tappi di sughero
Si trattava di fumo non ispirato
(come quando si esce sulla radura illuminata dal sole)
Nel mucchio di pietre gettate sotto la finestra
Dove i ciclisti raspano i loro cerchioni arrugginiti
Di rado parlava normalmente il più delle volte sbocconcellando come se
solo in quel momento concludesse il suo pensiero e cercasse di chiarire più a se stesso
che al suo interlocutore ciò che occupa tutto il suo tempo
Come a voler allontanare qualcosa senza senso inutile qualcosa che non c’entra
La vernice violacea sulle pareti dell’entrata
Ed era sempre così
*
Il dinner al rum di Honza V.
Toník Mangéra che leccava i sacchi da box
Fatti di sacchetti
Di sale
Mete esotiche:
Tankiš
Pálava
E con l’inizio della stagione del riscaldamento
La fine dei momenti di gioia
La vita è composta di opposti altrimenti non sarebbe
Come lo strobilo intatto delle suture craniche
Nella sala il calore del riscaldamento centralizzato col termostato
La vaccinazione antitubercolare 1 o 2 volte
I “reps” di Šternberk
Riempiti di ossigeno
Volenti o nolenti assumono la funzione simbolica del piccolo allevamento
Di votanti del partito di destra
Destinati ad una carriera in parte coperta in parte oltre
Il tetto di casa
Le bombole di nuvole di propano-butano
*
Ti vedo col ramoscello di maggio in mano che passi per la piazza superiore
Lo scorso anno vidi le tue opere nel catalogo della ditta Magnet-Camif SPA
Allora uno scoppio nella memoria
(quella un pochino consumata e coperta di terriccio)
Proprio sotto gli alberi sulle foglie cadute
Tenere sempre a disposizione una riserva di almeno due o tre soluzioni finali
In qualche momento ingarbugliato
Lavare la faccia con sverniciatori di smalti invecchiati
Tirar fuori dalla manica in compagnia di amici delle storielle e sul doppio foglio del giornale
Discutere su come eliminare la disoccupazione così come di Hegel seguire le relazioni nelle aziende apistiche determinare non so per quante volte ancora dove siamo diretti
Saper dislocare la creazione della Terra ancora più in là nel passato
Prima che il mondo si rovesci dalla curva a destra
Se si vuole col tempo abbassarsi e carezzare la sabbia lacustre finemente stratificata
nelle creme lenitive e protettive
E attraversare con lo sguardo la boscaglia bassa della rigogliosa vegetazione su entrambi i lati
delle marce tavole tarlate
Le ultime assolate ma già tristi giornate dell’estate di san martino
Che per un attimo scompare per poi subito riemergere
E perciò non resta che aspettare
Queste linee visibili come la schiuma omogenea di lunghe coperture dense di elevata stabilità
Oppure come strisce interrotte che scompaiono
veloci
Che si formano non lontano nel vapore di bicchieri con bevande calde
Il freddo inizia a irrigidirsi
La cenere si ingrigisce e si polverizza in zollette che poi si sbriciolano
Per alcune di queste cose non si può tornare indietro e io lo so bene
In principio questo bosco non aveva fine solo un santuario aperto e arioso
Su terreni di lieve calcare
Soltanto graffiare la superficie sotto la quale intendiamo penetrare
Giravamo per il nascondiglio dietro gli scuri vetri a tenuta stagna dei vuoti a rendere
Oli K. in bocca la sigaretta che dondola noncurante
Il respiro degli atleti sottoforma di pulviscolo acquoso
Si precipita lungo le calde pareti di questa preistoria
Il flusso di segnali intermittenti tra le ere glaciali ricorda ancora quelli che ci raggiungevano a nuoto
nelle rimesse abbandonate
Il twist di Popokatépetl delle conoscenze più basilari conservate nei codici genetici
Il corpo fusiforme di Tonda Ailaviù che si arrangiava nei saltuari periodi morti con i ballottini
con l’antigelo
Dietro le pareti del bianco accecante della vernice nitro
Il buio dal quale spuntano corpi variamente contorti e ritorti
Le labbra violacee che scaricano nastrini stretti di veleni azzurri
Le lunghe ore serali si trasformavano in deserti fruscianti in polvere
Míla Kučerák con i suoi indimenticabili Allora, eh?
Any evening, any day…
Lo sgorgare di bolle d’aria ad ogni passaggio degli aerei supersonici
Malakov – la torta di biscotti farciti alla crema
Allora d’estate bevemmo insieme una bottiglia di vino e la sera stessa da te esalano
descredenda di rammarico per il tuo ultimo bicchiere svuotato come nei “Cavalieri della Tavola rotonda” di Cocteau
Nel brindisi in bicchierini con scene di caccia dipinte l’hallalì
Leggermente acido sufficientemente umido diffuso orizzontalmente nella corrente gelata
Le lunghe ore serali che si trasformavano
In buchi tonchiosi
Con i loro viticci vegetativi e graticci divisori
Dei bei tempi andati dei riflessi bagnati.
*
Tutti ormai commerciano in tessuti svizzeri di seconda mano
In fusti speciali mescolati a palline di naftalina
a ritmo sostenuto fa ritorno il primo tocco del metallo freddo
Altre volte apri la portiera della macchina
Ti togli l’uniforme la getti sulla bastionata
Tutto è mimetizzato dai seni acuminati dei cespugli
Una grande crosta tutto ciò che non è possibile scansare né dimenticare
Qualcosa che comprenderai in una frazione di secondo
E il seguito continua a rimanere sconosciuto
È durato a lungo la muffa rodeva adagio la temperatura corporea
I Lebensborn manageriali nei locali di uffici di granito lucidato
Descredenda di rammarico
La vaga consapevolezza dell’infiammabilità del legno dal quale aleggia un fumo
leggermente tiepido
Piuttosto che lasciarla per principio senza risposta
Stop
Il Mahatma Gandhi lentamente si dilegua per via Sokolská
Toni – Musica – Buddha
E la gelatina per alimenti che non si rafferma altrimenti se lo facesse tutto il lavoro precedente andrebbe a farsi friggere
Fuori continua a piovere
Potrei raccontare a lungo di queste cose ma finirei solo per ripetermi
Fin dall’inizio ho la sensazione che sia un “testo – verità” o che almeno
con notevole successo cerca di farlo credere
Sì qualcosa del genere è dovuta realmente accadere
Quelli di domani difficilmente si lasceranno scappare qualcosa
Nemmeno se adesso ad un tratto si alza e dice che è tutto un nonsense che non è affatto
morto e non morirà che ha fatto soltanto uno scherzo stupido perché voleva verificare
come si parlerà di lui dopo la sua dipartita
Non possiamo mica fermarci dopo un inizio così ben riuscito, scemi
I fluidi contorni di poltrone pronte a gettare le impronte di altri sederi
Come Robert Graves nei Miti greci
Una formidabile opportunità di scorgere un’ultima volta il cielo
Ancor prima dell’importo annuale della luce solare
*
Come è strano che una decisione cambia tutto
La linea di vita: qualcuno è venuto e sei qui
Sei tu
Agente segreto Lemmy Caution alias Eddie Constantin
Che in un vecchio film di Godard insegna ai residenti dell’irreale Alphaville a spremere da se stessi la vitalità umana
Un ultimo sguardo alla brasserie e ai buffet degli agglomerati urbani
Dove nel fruscio della pioggia molto oltre la mezzanotte in qualche modo tutto cominciava a ingrigirsi
I volti di piombo ma gli sguardi del tutto normali nessuna pupilla dilatata come dopo aver ingerito oppiacei
Prendi per la maniglia ciò che solleva col gancio
La casa anche con i cavi dell’alta tensione
Un groviglio di corridoi comuni e spazi abitati per la dipendenza di molti di noi alla quotidiana
scatola di dolci sigarette cubane
Abitudini molli come frutta
Da qualche parte risuona la tipica tosse da fumatore
Il prezzo del dettaglio risiede in ciò che erige di continuo sotto gli occhi
Come rinvenimento della prova qui ci sono stato
Nelle stie separate dei cubicoli dei caffè
E dei loro grembi imbottiti
*
Ora già non più forse ma certamente
Dici tutto si è vissuto profondamente
Dal rinfrescante crepuscolo primaverile affluiva un viluppo di felci e equiseti
Come se qualcuno miracolosamente lo ravvivasse e gli infondesse una memoria prodigiosa per il viaggio di ritorno
Il tempo era più caldo brillante e speciale
Un movimento nelle crepe dei muri
Quando nella stanza si diffonde la penombra che gradualmente poi sprofonda nel buio e invano svanisce per la scala a chiocciola
I muretti serpeggianti che si estendono dal giardino verso il basso
Dove un venticello fonde la superficie dei mattoni
Come il bucato che si appende da solo sui fili
Diritto alle radici delle piante
Quando crescono tutto è cambiato
(1996, 2014)
.
* Nota dell’autore: Jiří Havlíček (30. 3. 1948 – 2. 5. 1997), creatore di encausti, decalchi, mandala … Ma anche, come si legge in un articolo su di lui: “… Ribelle e stolto in Cristo. mistico e profeta traviato”, descrizione certamente calzante. Così l’ho conosciuto io. Amico-iniziatore più anziano con un senso dell’assurdità della vita e del tempo. Curato come schizofrenico sempre trimestralmente, quando apparivano episodi di questa malattia. Sembra fosse originario di Příbram. In seguito si spostò permanentemente a Olomouc. Non si sa molto degli ultimi suoi anni di vita, a quanto pare viveva nei boschi, e scendeva tra i comuni mortali alla maniera dello Zarathustra di Nietzsche … circondato da un branco di cani randagi (“Quest’albero è solitario sul monte; esso crebbe alto sopra gli uomini e gli animali”). Morì di appendicite perforata quando, nonostante le sue gravi condizioni, chiese ai medici curanti di firmare la lettera di dimissioni…
.
SETTE POESIE di Petr Král da “Tutto sul crepuscolo” Mimesis, 2014 – traduzione di Antonio Parente con un commento di Giorgio Linguaglossa
petr kral prague foto di joseph-koudelka
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Petr Král “Tutto sul crepuscolo” Mimesis Hebenon, 2014 pp. 76, € 9 – traduzione di Antonio Parente
Francesca Tuscano che firma la prefazione del libro, cita Roberto Bertoldo a proposito del suo concetto di «surrazionalismo»: «La poesia resta una creazione oltre la ragione e la realtà, però passa nel corpo dell’autore, attraverso di esse. La ragione che va oltre la ragione assume in sé quegli “integratori emotivi” che la qualificano. Il surrazionalismo è questa ragione che ‘risolve’ la contraddizione nell’emozione» (R.B. Nullismo e letteratura p. 251 Mimesis).
«Nella nota introduttiva, Král afferma che “di sicuro la mia poesia è necessariamente un po’ lontana dalla tradizione poetica italiana […] laddove nella poesia italiana direi che prevale la fluidità del canto, i miei sguardi alla realtà, spesso piuttosto perfidamente obliqui possono anche suscitare un minimo di disturbo”».
È indubbio che la poesia di Král, da quanto risulta dalla traduzione del bravo Antonio Parente, suoni un po’ ostica all’orecchio della tradizione poetica italiana così incardinata nel discorso diretto e nella sua fedeltà al referente, inteso come qualcosa di oggettivo e di insindacabile e non come una icona che deve essere aggirata, incontrata in tralice, evitata semmai o circumnavigata. Insomma, ciò che dal punto di vista della tradizione italiana è lo sguardo frontale, troppo detto, nella poesia di Král, invece, risulta obliquo, in tralice, frutto di uno sguardo distratto. Si tratta di due modi di concepire la visione ottica di un oggetto. Nella poesia dell’autore ceco invece è proprio l’angolo visuale dal quale si osservano le cose che è “spostato” rispetto all’angolo visuale a cui siamo abituati nella tradizione poetica italiana, spostato in quanto ogni tradizione elegge un proprio punto di vista piuttosto che un altro. Si tratta di un fatto quasi inconsapevole per chi fa e legge poesia in italiano che lo lega e lo determina ad un modo di fare poesia all’interno della tradizione italiana che potremmo definire «frontale». La poesia di un Montale e di un Sanguineti da questo punto di vista non differiscono affatto, entrambe stanno davanti all’autore e al lettore in modo frontale, diretto; ne consegue che lo sviluppo metrico e sintattico non può non seguire questa impostazione di fondo. Nella tradizione poetica italiana del novecento, non c’è una indirezione sintattica, non c’è uno sviluppo prospettico o scopico del punto di vista dell’agente poetico. Direi invece che nel poeta ceco questo “spostamento” del punto di osservazione determina anche uno spostamento-slogamento sia dell’ordine logico-sintattico che dell’ordine musicale, ovvero, del pentagramma tonale e fonosimbolico. Da questo nucleo problematico ne deriva un nodo che non può essere sciolto dal traduttore (comunque sempre attento a trasportare nell’ordine logico-sintattico dell’italiano quanto vi può essere traslocato). Direi che l’utilità della lettura di questo poeta ceco sta proprio qui, nella sua capacità di mostrare al lettore italiano un diverso modo di considerare gli oggetti e le relazioni che ci legano al mondo degli oggetti, giacché sono gli oggetti ad essere determinati dal mondo e non viceversa, come crede il senso comune.
(Giorgio Linguaglossa)
Petr Král, con Jana Bokova
Petr Král (1942) è uno scrittore e poeta ceco, è un classico vivente della letteratura ceca. Poeta, saggista e traduttore studia drammaturgia all’Accademia cinematografica FAMU di Praga e nel 1968, dopo l’invasione russa, emigra a Parigi. Nel 1986 riceve il premio Claude Sernet per la raccolta di poesie Pour une Europe bleue (Per un’Europa blu, 1985). Tra le numerose sue raccolte possiamo ricordare Dritto al grigio (Právo na šedivou, 1991), Continente rinnovato (Staronový kontinent, 1997), Per l’angelo (Pro Anděla, 2000) e Accogliere il lunedì (Přivítat pondělí, 2013). È anche autore di prosa e curatore di varie antologie di poesia ceca e francese e nel 2002 ha curato e tradotto per Gallimard Anthologie de la poésie tcheque contemporaine 1945-2002 (2002). Importante è anche la sua attività di critico letterario, cinematografico e d’arte; è autore di saggi e articoli sul cinema, contributore alla famosa rivista Positif ed ha pubblicato due volumi sulle comiche mute.
Petr Kral
Caduta
E in ogni bottiglia vuota
c’è ancora una goccia. Col tuo pettine e il sapone
dalla valigia rovesciata cadono anche le spille nere
della forcina, che vedi per la prima volta. Da quale tasca persino segreta
dl cosmo deserto – L’esile forcina non toglie
o aggiunge nulla, appena un trattino di ferro tra il giorno e la notte,
tra la pelle morbida e la pelliccia minacciosa
del mondo. Senza di essa però qui manca
una virgola per la redenzione. Pace con lei e con te.
Tu e la forcina nella stessa giornata vuota
(Per l’angelo, 2000)
primavera di Praga, 1968
Evo moderno
ad Yves
Gli eroi sono andati via;
al loro posto infila il corridoio
soltanto il sospiro di spettri di flanella,
nel cassetto a ricordo dell’antica gloria del corpo
soltanto un ciuffo di peli dimenticato.
Niente allori, maschere dorate di collera o benevolenze divine:
solo un busto stinto senza faccia all’angolo della mensola,
scarabocchiato rapidamente dal gesso della paura.
La breccia del fulmine passa senza fretta
per la grigia pietra del cielo.
I lampioni sono comunque tornati all’imbrunire,
per continuare a vegliare le stoffe nel silenzio dei negozi.
(La vacuità del mondo, 1981)
Ian Palach si dà fuoco Primavera di Praga
praga ponte carlo
Paese di naufragi
Siamo qui entrambi, ma allo scorcio; per metà in ciò che c’è qui,
per metà in ciò che manca,
senza pressione: condividiamo un dormiveglia, la completezza
del vuoto incagliato tra i rami sulle nostre teste,
la gloria, che ci evita con discrezione,
finché non si riversa, intera e senza macchia,
anche attraverso l’orizzonte dei corpi.
Ancora all’ombra della costruzione orfana cadiamo soltanto a lungo
verso il bordo delle nostre convinzioni, ai piedi del silenzio
fiammeggiante dall’alto nello sguardo opposto, nel volto nudo
colto dal crepuscolo serale
nell’imbarazzo dell’incompletezza.
A tratti un libro riposto o un pettine si freddano nella polvere.
Sull’erba del terrapieno bruciato, sulla sella della collinetta vicina
il vuoto intanto si accresce – di cicatrice in cicatrice –
nella nuova casa chiara.
(Vita privata)
casinò a Praga foto pubblicitaria
Caduta in giugno
Del giorno restano brandelli
Nulla se non cenere
L’odore di benzina sussurra basso di bruciature lontane
I segnali degli uccelli già pieni della notte
sfregano nel rivolo
I lampadari vanno accendendo nelle finestre le nostre visioni nascoste
I testimoni si disperdono per le stradine Qua e là la massa bianca
della luna o della schiena
si accinge ad illuminare nel grigiore orfano
I lampi scivolano nell’oblio vellutato Tiriamo fuori con un sorriso
subdolo i coltelli e le forchette
Il naufragio dell’uccello La bancarotta del lampadario
La crepa della schiena impigliata nella polvere dei ficus
La mano terrorizzata nella cenere del corpo
Le gonne nel mormorio al limite del crepuscolo sfiorano
le ortiche
Le fresche bellezze sul balcone splendente erette sotto una sottile
pioggia di fuliggine
pazientemente aspettano che le vengano a prendere
(Lampi radenti, 1981)
Praga
Tutto sul crepuscolo
a Jiří Kolář
l
Il giorno va spegnendosi malinconico sul duomo lontano,
i motociclisti con un unico movimento s’incurvano sotto gli alberi
verso la notte, ricotti dall’antica fiaccola –
e la prima stella è una lacrima, diamante grippato
nel velluto azzurro dell’attimo e del suo rovescio, della tomba
interiore e del silenzio sui dispersi,
che ancora indugia sul bosco bruciato.
2
Il giorno va spegnendosi sul duomo lontano,
i motociclisti con un unico movimento s’incurvano verso la notte,
la prima stella è una lacrima.
Sul duomo in lontananza, dolce, malinconica,
con un unico movimento s’incurva sotto gli alberi come verso
il fondo della grotta,
lacrima amara ma ossessiva nel velluto azzurro dell’attimo
e del suo rovescio.
Il giorno si spegne, va spegnendosi sulla cupola lontana, come se
l’ora più luminosa
avesse lontana all’orizzonte, sul fondo rosato della gola un sapore
dolce, la visione della Roma mancante,
che la malinconica estende dietro se stessa.
Con un’unica incurvatura sotto gli alberi del boulevard, con un
unico nitrito animalesco,
che sale dalla sella oscurante; come rovinano qui su di noi,
ricotti dall’antica fiaccola,
ci uniscono nonostante l’estraneità delle sue macchine solo con
la grotta familiare della notte
sul fondo di noi stessi. La prima stella è una lacrima, diamante
grippato
nel velluto azzurro dell’attimo e del suo rovescio, tomba interiore a
silenzio dei dispersi
che indugia sul bosco bruciato. Sotto gli alberi nell’esilio del
boulevard la notte che va spandendosi non è
più di un sollievo temporaneo dall’abbraccio dell’ombra meridiana.
(Lampi radenti)
primavera di Praga, 1968
Avanguardia
ai Rubeš
Il leggero trotterellare di uno scroscio di pioggia solo a volte portò
sollievo al bosco,
finché quello riaprì le sale al sole e nel suo fulgore
dietro di noi s’impietrì glorioso, trattenne il suo respiro pastello
in ogni albero e siepe, grigiastro, rosato, vellutatamente ingiallito,
finché ci guidò con lo sguardo l’intera
massa iridescente, la folla leggermente serrata.
Di nuovo ci veniva chiesto
solo un lontano stupore, le gesta di testimoni, coi quali come su un
antico dipinto
per un attimo ci ritirammo sorpresi a margine del percorso
davanti al tronco di un albero rovesciato, sepolta metropoli spiantata
con la terra tra le radici;
null’altro che immemorabile pesantezza e sopra qua e là già
l’ignota leggerezza
della luce che sale attraverso la verde spuma, la lieve punteggiatura
delle foglie nuove –
Camminavo per ultimo, eravate davanti a me
solo le fresche silhouette, vicine, presentite, le vostre graffiature
oscure nella pioggerella d’oro ignoto
facevano strada, celavano il traguardo, io riconoscente
dietro di voi, avrei voluto procedere così in eterno, lame d’oro,
d’umido, la verdeggiante notte
oltre gli alberi, oltre la tempesta, sorseggiare la vostra risata col
mio silenzio,
leggere nella lucentezza d’un tratto il nero spoglio
dei vostri tratti, vicino, deserto come io stesso, già in eterno in
quell’attimo
lì sotto gli alberi e in nessuno dei luoghi
(Il continente rinnovato)
Primavera-di-Praga
Quello che sta pagando
ed uscendo dal locale
dove non lascia nulla solo con niente in tasca
senza cicatrici con anticipo
o con ritardo
esce in orario non tiene nulla nella cornice
della porta mentre la pulisce lievemente
con la spalla languida
Senza grassi appena orlato
dal resto della luce
è soltanto una risata ciò che manca
nella sala alle spalle
Bisbiglii ai tavoli calcoli semplici
sono dietro di lui flaccido strascico Esce tutti i problemi
ancora in sua attesa
Irradiato dal buio desertico
che gli sbadiglia accomodante vi aggiunge già la firma
la scava arruffa
con la testa Dapprima vi sveglia le piazze nude
quello che sta uscendo
per bere dalle cantine dell’attimo
(Massiccio e crepacci)
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