![Gif firmamento](https://lombradelleparole.wordpress.com/wp-content/uploads/2017/09/gif-firmamento.gif?w=450&h=559)
Adeodato Piazza Nicolai è nato nel 1944 a Vigo di Cadore (BL). Poeta, traduttore e saggista,nel ’59 è emigrato negli Stati Univi, vicino a Chicago dove ha frequentato il liceo e si è laureato nel ’69 dal Wabash College (Indiana). Ha lavorato per la “Inland Steel Company” per 30 anni. Nel 1989 ha ottenuto il Master of Arts dall’Università di Chicago in lingua e letteratura italiana. Ha iniziato a scrivere poesie nella sua lingua ladina nel ’59 per non perdere le radici linguistiche e culturali. Ha pubblicato 4 volumi di poesie in inglese, ladino e italiano. Del Piazza Nicolai il prof. Glauco Cambon ha presentato alcune poesie ladine su Forum Italicum. (1987). Rebecca West ha scritto l’introduzione al volume La doppia finzione (1988) e la poetessa Giulia Niccolai ha scritto la prefazione al volume Diario Ladin (2000). Le sue traduzioni di poeti “dialettali” sono apparsi sulle antologie Via Terra: An Anthology of Contemporary Italian Dialect Poetry (Legas, 2000) e Dialect Poetry of Northern and Central Italy (Legas, 2001). In inglese ha tradotto vari poeti italiani, Donatella Bisutti, Eugenio Montale, Silvio Ramat, Cesare Ruffato, Milo de Angelis, Arnold de Voss, Mia Lecomte, Luigina Bigon, Marilla Battilana etc. e dall’inglese all’italiano Adrienne Rich, Erica Jong, Luigi Ballerini, Luigi Fontanella, Peter Carravetta, Liz Waldner, W. S. Merwin, Mark Strand, ecc. Finaziariamente assistito dalla N.I.A.F, (The National Italian American Foundation) ha tradotto e curato l’antologia Nove poetesse afro-americane (Vanilia Editrice, 2012). Nel 2014 è apparso sulla antologia Poets of the Italian Diaspora (“Poeti italiani della diaspora”) pubblicata dalla Fordham University Press di New York – insieme ad Alfredo de Palchi il Piazza Nicolai è il secondo poeta della regione veneta inserito in quella prestigiosa antologia. È membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Culturale della Comunità dei Ladini Storici delle Dolomiti Bellunesi e nell’autunno del 2017 sarà direttore della “Accademiuta Ladina de l’Oltrepiave”. Di prossima pubblicazione L’Apocalisse e altre stagioni e Quatro àne de poesie ladine.
![Strilli Linguaglossa](https://lombradelleparole.wordpress.com/wp-content/uploads/2017/09/strilli-linguaglossa.jpg?w=500)
Alcuni pensieri di Giorgio Linguaglossa
L’«Evento» è quella «Presenza»
che non si confonde mai con l’essere-presente,
con un darsi in carne ed ossa.
È un manifestarsi che letteralmente sorprende, scuote l’io,
o, sarebbe forse meglio dire, lo coglie a tergo, a tradimento
Il soggetto è scomparso, ma non l’io poetico che non se ne è accorto,
e continua a dirigere il traffico segnaletico del discorso poetico
La parola è una entità che ha la stessa tessitura che ha la «stoffa» del tempo
La costellazione di una serie di eventi significativi costituisce lo spazio-mondo
Con il primo piano si dilata lo spazio,
con il rallentatore si dilata e si rallenta il tempo
Con la metafora si riscalda la materia linguistica,
con la metonimia la si raffredda
Nell’era della mediocrazia ciò che assume forma di messaggio viene riconvertito in informazione, la quale per sua essenza è precaria, dura in vita fin quando non viene sostituita da un’altra informazione. Il messaggio diventa informazionale e ogni forma di scrittura assume lo status dell’informazione quale suo modello e regolo unico e totale. Anche i discorsi artistici, normalizzati in messaggi, vengono silenziati e sostituiti con «nuovi» messaggi informazionali. Oggi si ricevono le notizie in quella sorta di videocitofono qual è diventato internet a misura del televisore. Il pensiero viene chirurgicamente estromesso dai luoghi dove si fabbrica l’informazione della post-massa mediatica. L’informazione abolisce il tempo e lo sostituisce con se stessa.
È proprio questo uno dei punti nevralgici di distinguibilità della «nuova ontologia estetica»: il tempo non si azzera mai e la storia non può mai ricominciare dal principio, questa è una visione «estatica» e normalizzata; bisogna invece spezzare il tempo, introdurre delle rotture, delle distanze, sostare nella Jetztzeit, il «tempo-ora», spostare, lateralizzare i tempi, moltiplicare i registri linguistici, diversificare i piani del discorso poetico, temporalizzare lo spazio e spazializzare il tempo…
Ovviamente, ciascuno ha il diritto di pensare l’ordine unidirezionale del discorso poetico come l’unico ordine e il migliore, obietto soltanto che la nostra (della nuova ontologia estetica) visione del fare poetico implica il principio opposto: una poesia incentrata sulla molteplicità dei «tempi», sul «tempo interno» delle parole, delle «linee interne» delle parole, del soggetto e dell’oggetto, sul «tempo» del metro a-metrico, delle temporalità non-lineari ma curve, confliggenti, degli spazi temporalizzati, delle temporalisation, delle spazializzazioni temporali; una poesia incentrata sulle lateralizzazioni del discorso poetico. Ma qui siamo in una diversa ontologia estetica, in un altro sistema solare che obbedisce ad altre leggi. Leggi forse precarie, instabili, deboli, che non sono più in correlazione con alcuna «verità», ormai disabitata e resa «precaria».
La verità, diceva Nietzsche, è diventata «precaria».
L’uomo, ha detto una volta Nietzsche, rotola via dal centro verso la X. Si allontana dal proprio luogo certo, verso un luogo incerto, un’incognita. Possiamo tentare di indicare, descrivere, raccontare questa incognita? Forse sì, Adeodato Piazza Nicolai percorre il sentiero contrario: ritorna indietro alla sua lingua primigenia, il ladino. E con essa disegna la cornice del «centro». Ascoltiamolo.
![Adeodato Piazza Nicolai VIGO NOTTURNA, SULLA TERRAZZA 19-8-2017](https://lombradelleparole.wordpress.com/wp-content/uploads/2017/09/adeodato-piazza-nicolai-vigo-notturna-sulla-terrazza-19-8-2017.jpg?w=500)
Adeodato Piazza Nicolai, Vigo notturna, agosto 2017
Adeodato Piazza Nicolai
Toche de segne sognade
L cianpanil bate le cuatro de nuote,
su par la Riva dela Madona
tre lanpioi somea navi spathiali
sorprese sora la tera a fei da spia.
La fontana sul fianco de la piatha
cianta le vecie litanie
de pì de thento àne fa. Sospesa
tel tenpo-spathio na pena se bete a scrive
come n robot.
Chi ese che sporca la pagina bianca,
na testa piena de malinconia
e de memorie? No sei neanche
l motivo che pende la mente a bete do segne,
probabilmente toche de sogne che vien a gala:
la prima morosa, na stela alpina,
le poesie de Luigina
Vito che camina con Birba tel Bosco dei Sogne
me mare che sea
me pare che giusta na roda del careto
la luna che sbraita fin a bonora, na thuìta
ancora ndormenthada, na man
che masena parole tel nuia …
(Vigo di Cadore, 8 agosto, ore 5,05)
Pezzi di segni sognati
Il campanile batte le quattro di notte,
su verso la Riva della Madonna
tre lampioni sembrano navi spaziali
sorprese sopra la terra a fare le spie.
La fontana sul fianco della piazza
canta le vecchie litanie
di oltre cento anni fa. Sospesa
nel tempo-spazio una penna si mette a scrivere
come un robot.
Chi è che sfora la pagina bianca,
una testa piena di malinconia
e di memorie? Non so neppure
il motivo che spinge la mente e buttare giù segni
probabilmente pezzi di sogni che vengono a galla:
la prima morosa, una stella alpina
Vito che cammina con Birba nel Parco dei Sogni
mia madre che sfalcia
mio padre che aggiusta la ruota del carretto
la luna che sbraita fino al mattino
una civetta mezzo addormentata, la mano
che macina parole nel nulla …
(Adeodato Piazza Nicolai)
A dialogà con l’autro ego
“Se l parla dighe che l tase.”
François Villon.
I, Prima parte
1.
I vecie ciapaa l’alloro par sbrigà
scartofie sula Via dele Colline
come i so pare assasine. I corea
davoi ale parole come fumo te la
testa, i vuore che sonaa la chitrarra
col vento. Daspò i se desmenteaa
de quasi duto chel che restaa; i se
perdea via a dugà ala briscola te
calche bar e i ruaa cioche a ciasa
par fei barufa co le so femene, èle
senpre davoi a fei sarvise, laurà
tei cianpe e te le vare. Cassù
i omis laoraa puoco e beea tanto.
2.
Camino dò verso la Piave che brontolea
come ncathada fora de ogni mesura.
La core verso la pianura par portà aga
ai contadin che à tanto bisuoi. Vado te le onde
tra le père, vardo calche ramo seco e spacou
n medo ala Piave. Nessun cà pesca na trota.
Se vede massa scoathe biciade te l’aga
e, porca miseria, no son neanche bon de noà.
3.
Adés vado a ciasa, é ora de dì a magnà
par medodì. Daspò dute laora tei bosche
i cianpe, le vare: se thapa par giavà su
patate, se sea par parecià fien par le vacie
e le fede. De sera dugòn al balon ntorno
al cianpanil e daspò ntin se va a dormì.
Doman bonora se va a scola par inparà
a scrive ‘talian e anche parlà ladin cadorin.
‘Nparon anche aritmetica e caligrafia;
se torna a ciasa de nuou par fei le solite
robe: lethion e dì a laurà come senpre.
Se à puoco tenpo par ciatàse morose …
4.
Paès de montagna sentha cultura,
ben puoca arte e puoca storia; chela
locale l’é te le ciese sui quatro mure
dipinte dai nostre artiste spethiali.
La dente li vede qualche i va a messa
durante la domenia e daspò basta.
I vilegiante se ‘nteressa n’tin de pì de
de le robe prethiose cassù tel Cadore.
L nostro pioan predica despès de fei
i brae durante la stemana, de no bestemià
o fei àte ‘npure senò bisogna di subito
a confesàse …
5.
Ca da noi solo i none e le none fa i
babysitter, ‘nsegna ai pupe i vecie
ideali, calche proverbio e modo de dì
come che i vuore disea alora. Bisogna
scoltà chel che i disea senò se
perdea le nostre radis e le tradithion.
Na pianta sentha radìs no l’é bona de stà
su dreta, e prima o dopo la toma par tera.
Me recordo che cuanche i bocie ciapàa
na malatia era le none che savea curai.
Deone puoco a vede l dotor: bisognàa
sta tanto mal prima de di te farmacia
e l farmacista pì o manco savea come
bètene a posto de nuou.
6.
Ca massa dovin de l’Oltrepiave
va a l’estero par laurà—tel Belgio
Olanda, Francia Germania o te
le Americhe e lassà a ciasa le
soe fameie. Se i é fortunade i manda
i schei a ciasa ma tante torna davoi
pì puarete de cuanche i era partide
parché l destin l’é conpai pardute:
sea i bone che i cative …
7.
Anche iò ei fato l migrante visin
a Chicago, a Hammond, adotou
da barba Tonin che fardel de me
mare Marcela. Partiu da Vigo tel ’59
son stou lavia par pì de 40 ane.
Ei patiu rathismo e l’anti-italianismo
par tante àne in America.
Me son maridou tel ’66 e avon fato
doi fioi, cressude par ben. Tel 2000
son tornou a Vigo par podè scoltà
le nostre cianpane, la nostra dente
e caminà tei nostre bosche incantade.
Ala fin vuoi ése sepolto tel thimitero
sul Col Baiùs.
Dialogare con l’alter ego
“Se parla, digli che chiuda il becco.”
François Villon
• Parte prima
1.
I vecchi portavano l’alloro per scartare
rifiuti sulla Via delle Colline come
i loro padri/padroni assassini. Seguivano
parole come fumo nel cervello,
loro che suonavano la chitarra
insieme al vento. Dopo dimenticavano
quasi tutto il resto; si distraevano
col gioco della briscola in qualche bar,
arrivavano a casa ubriachi e barruffavano
con le mogli quando loro facevano tutti
i lavori in casa e fuori: nei campi e nei prati.
Da noi gli uomini lavoravano poco e
bevevano tanto.
2.
Cammino verso il Piave che brontola
come fosse incazzato fuori misura.
Corre verso la pianura per dare acqua
ai contadini bisognosi. Vado a sguazzare
fra i sassi, vedo dei rami secchi spaccati
in mezzo alle onde. Nessuno qui pesca
le trote. Troppe immondizie nel fiume
e, porca miseria, non so neppure nuotare.
3.
Adesso vado a casa, ora di mangiare,
è mezzodì. Dopo, tutti lavorano nei boschi
campi, e prati: falciano erba per vacche
e capre. Di sera giochiamo al pallone intorno
al campanile e poco dopo andiamo a dormire.
Domani presto andremo a scuola per dis-
imparare italiano e non parlare ladin-cadorino.
Memorizziamo aritmetica e calligrafia
ritornando a casa di nuovo per fare i soliti
mestieri: lezioni e lavoro come sempre.
C’è poco tempo per ricordare la fidanzata …
4.
Paesi di montagna senza cultura,
scarsa l’arte, poca la storia; quella
sul posto stà nelle chiese sui muri
dipinti da qualche artista locale.
La gente li vede quando va a messa
per la domenica e dopo basta.
I villeggianti s’interessano più
delle cose preziose del Cadore.
Il nostro pievano predica spesso
di fare i bravi durante la settimana
e non bestemmiare altrimenti
bisogna andare subito a sconfessare …
5.
Da noi soltanto i nonni e le nonne fanno
i babysitter, insegnano ai piccoli gli antichi
ideali, qualche proverbio e modo di dire
come allora sapevano fare. Bisognava
ascoltarli quando parlavano altrimenti
si perdono radici e tradizioni. Un albero
senza rizomi non è capace di stare
dritto e prima o dopo cadrà per terra.
Ricordo che quando noi bocie prendevamo
una malattia i nonni sapevano come curarci.
Correvamo poco dal dottore: dovevamo sentire
tanto dolore prima di visitare la farmacia
dove il farmacista sapeva più o meno come
metterci a posto di nuovo.
6.
Qui troppi giovani dell’Oltrepiave emigrano
all’estero per lavorare: in belgio, olanda
francia, germania, australia, le americhe
lasciando indietro le loro famiglie.
Se fortunati spedivano dei soldi a casa
ma tanti ritornavano più poveri di quando
erano partiti dal paese poiché il destino
è spesso uguale per tutti: buoni e cattivi …
7.
Anch’io sono stato emigrante vicino
a Chicago, a Hammond, adottato da
barba Toni, fratello di mia madre.
Lasciato Vigo nel ’59 sono rimasto
in America per 40 anni. Sofferto
razzismo e anti-italianismo per tanto
tempo. Sposato nel ’66 sono nati due
figli cresciuti bene. Nel 2000 ritornai
a Vigo di Cadore per risentire
le campane, la nostra gente
e passeggiare nwei boschi quasi
addormentati e dimenticati.
Alla fine vorrei essere sepolto nel cimitero
sul Col Baiùs.