
grafica di Lucio Mayoor Tosi
Donatella Costantina Giancaspero
Una Poesia (letta al Castello di Sorci il 26 agosto 2017)
Una febbre lieve mantiene sospeso l’oggi
Una febbre lieve mantiene sospeso l’oggi.
I minuti oscillano sul medesimo punto interrogativo.
Di scorcio, una parete a quadri spalanca la finestra,
che dà ormai sul giorno fatto. Il punto cade giù, nel vuoto.
Tutto è rimandato, compresa la perturbazione da Nord-Ovest
e chi ascolta da un’altra direzione. Ma non sa la stanza
come si trascina fino alla porta, se la mano traccia il segno della resa.
Alle spalle, una campitura di rosso pompeiano
vigila il corpo contratto dentro un quadrante senza numeri.
La lancetta spezzata.
Un ritmo cieco batte a tentoni negli angoli.
Commento di Lucio Mayoor Tosi
Queste io le chiamo poesie della percezione. Sono rare, sono un avvertimento anche per chi ne scrive, sono il modo in cui avviene la comprensione delle cose. Procedendo con questa comprensione, senza sostare troppo nell’intellettualità, le cose ci arriverebbero dentro con il loro particolare “essere” e ci toglierebbero dall’angoscia. Complimenti a Donatella, è una bellissima poesia.
Commento di Mariella Colonna
è una poesia esemplare per la NOE… gli oggetti diventano “cose”, eventi, diventano te, DONATELLA, per quello di te che riesci a riversare sulle cose, sulla quotidianità: e poi quel punto interrogativo che cade nel vuoto! Immagini molto nuove, originali.
Commento di Giorgio Linguaglossa
Acutamente Lucio Mayoor Tosi definisce la poesia di Costantina «poesie della percezione». Le poesie sono la prosecuzione degli occhi, sono delle sonde gettate nel mondo di cui avvertono i minimi trasalimenti, le minime fenditure… in tale accezione sono poesie psicologiche in senso moderno, che avvertono il lettore e l’autore di un agguato imminente, di «un punto interrogativo» sospeso «nel vuoto»; è anche una poesia ontologica, che scandaglia l’essere dell’esserci… una sorta di periscopio che osserva e vigila… dal di sotto, ciò che appare e accade sopra l’orizzonte del mare aperto…
Quello che noi scorgiamo al di sopra dell’orizzonte, non è la «realtà» ma è il «reale» che noi abbiamo costruito con il nostro immaginario e il nostro simbolico e in base al quale distinguiamo e interpretiamo la «realtà». La cosiddetta «realtà» la vediamo sempre «di scorcio», non è possibile la percezione frontale della «realtà». La poesia ci consente di girare attorno all’oggetto, di investigare sulla natura della «realtà» e di tradurla in «reale», di comprenderla:
Di scorcio, una parete a quadri spalanca la finestra…
Ma questa comprensione è opera dello «sguardo», della posizione di chi guarda che è posta di sbieco, a latere rispetto alla «realtà»; ma, è paradossale, è proprio grazie a questa postazione s-centrata che è possibile avere uno «sguardo». Il «reale» che noi vediamo è quindi il prodotto di uno «sguardo» s-centrato. Non potrebbe essere diversamente, e la s-centratura interviene nel momento in cui agisce il significante: la metafora. Infatti, nella poesia non è detto che è «la finestra [che] spalanca una parete», ma il contrario. Il contrario appunto in quanto l’atto dello «sguardo» è s-centrato. Il «reale» ricoperto dall’immaginario dà il senso di realtà alla «realtà» ed Essa è precisamente l’effetto di questo ricoprimento immaginario del reale. La castrazione originaria rende possibile il significante originario, il significante del Padre, e quindi l’accesso alla realtà. La «realtà» non è il «reale» per Lacan. La realtà è il «reale» coperto dall’immaginario e dal simbolico. La freccia che va dall’Immaginario al Simbolico è la freccia del senso. La dimensione della verità implica il rapporto tra immaginario e simbolico. La verità si dà come simbolizzazione dell’immaginario. Ogni volta che accade la simbolizzazione dell’Immaginario c’è effetto di verità, c’è processo di disidentificazione. Ogni volta che mettiamo in evidenza le identificazioni inconsce che governano la vita di un soggetto l’effetto di questa interpretazione è un effetto di disidentificazione. In tal senso le poesie di Donatella Costantina Giancaspero sono una rete fittissima di segnali semaforici, segnali che lampeggiano e danno evidenza agli ordini semantici dei significanti; ordini di Alt, Verde, Giallo; ordini di divieti e di permesso. Ordini minacciosi, intimidatori che angosciano. Il simbolico di questa poesia è costellato di ordini, di divieti e di censure, sono le metafore che zampillano in fibrillazione continua…
Gino Rago
31 agosto 2017 alle 19.22
Sei dipinti numerati. Da uno a sei.
(Sembrano moti di un passo di danza).
La prima figura è protesa verso l’esterno.
La seconda verso l’interno.
Una si schiaccia si può dire a terra.
L’altra si libra senza peso verso l’alto.
La quinta si rilassa. La sesta si erge in piedi.
(Il gaio corpo. Intersezione fra coscienza e sangue)
(…)
Per anni l’arte ha tentato la stasi.
Ora cerca di mettere tutto in movimento.
I sei dipinti ornano i sei pilastri
della sala da pranzo d’una azienda.
Figure fluttuanti. Distesa di cielo
visibile appena dalle finestre alte della sala.
(Il mondo. La carne. O la Parola che comprende entrambi).
(…)
«Siamo tutti coscienti del fatto che…»
L’amministratore delegato non risponde.
Ignora l’artista. Che insiste: «Siamo tutti coscienti del fatto
che se la polpa cade la conchiglia si svuota?
Chi o cosa riempirà questo vuoto…»
Emilio, Edoardo, Armando.
(Rondine. Rendici eguali al tuo giugno).
(…)
Da un angolo della mensa aziendale rispondono:
«Se la polpa fugge la conchiglia resta vuota.
Il vuoto lo riempie la parola nuova del poeta».
L’amministratore delegato non si scompone.
Pensa da solo soltanto al profitto.
La conchiglia senza polpa resta vuota.
(Le immagini sono il silenzio inquinato).
Giorgio Linguaglossa
C’è una «logica» delle metafore e delle metonimie. Un linguaggio poetico privo di logica è un linguaggio poetico scombiccherato, claudicante, incomprensibile. Per questo un poeta come Valéry parlava della poesia che ha la precisione di una «matematica applicata». Anche nel linguaggio poetico c’è una «logica».
La logica è la grammatica profonda del linguaggio, al di là della sua grammatica concettuale che ne è la sintassi. È Essa che pone in evidenza le relazioni di senso (che non si dicono in quel che si dice ma che si mostrano, e che ciascuno è in grado di comprendere in quanto semplice utilizzatore di lingua naturale).
Il linguaggio poetico è la tematizzazione esplicita di ciò che è contenuto nel linguaggio naturale; per cui il secondo viene prima del primo. È un linguaggio in quanto scritto, decontestualizzato, in cui tutto è chiaro, univoco, intelligibile da subito perché costruito per questo scopo. Il prodotto della riflessione del linguaggio su se stesso, l’esplicitazione delle sue strutture di senso soggiacenti alle relazioni dei parlanti immersi nel linguaggio naturale.
Dal linguaggio relazionale del linguaggio naturale al linguaggio poetico c’è una frattura e un abisso, un salto e un ponte.
La problematizzazione del linguaggio poetico si esprime (quale suo luogo naturale) in metafore e immagini. Tutto il resto appartiene al demanio discorsivo-assertorio che ha la funzione politica di convincere un uditorio. A rigore, si può sostenere che un linguaggio poetico privo di metafore e immagini non è un linguaggio poetico. E con questo scopriamo l’acqua calda, ma è indispensabile ripeterlo, anche adesso in tempi di semplicismo filosofico-poetico.
Lo scetticismo – che data da Satura (1971) in giù nella poesia italiana, ha dato i suoi frutti avvelenati: ha ridotto la poesia italiana ad ancella dei mezzi di comunicazione di massa, ad un surrogato di essi; l’ha resa sostanzialmente un linguaggio non differenziato da quello della «comunicazione».
Rammento che circa alla metà degli anni novanta a Milano venne redatto un «manifesto», stilato, mi sembra da un certo Italo Testa e sottoscritto da personaggi noti, che sollecitava la rivalutazione della «comunicazione» in poesia. All’epoca, ci restai di princisbecco, adesso non mi meraviglio più di nulla.
Di fatto, da Satura in poi fino ai giorni nostri, non c’è stato nessun poeta italiano degno di stare allo stesso livello di un Tranströmer, questo è un nodo che finora non è stato sciolto dell’Istituzione poesia così come si è solidificata oggi in Italia.
La poesia che si fa oggi in Italia è un linguaggio ingessato (nel migliore dei casi) e un linguaggio comunicazionale (nel peggiore).

pop art, Twiggy, Andy Warhol
Giorgio Linguaglossa
31 agosto 2017 alle 9:34
posto qui una poesia di una poetessa molto diversa da Villa Dominica Balbinot, Luigina Bigon, con una sua poesia paesaggistica, en plein air. Non siamo certo all’interno della «nuova ontologia estetica», Luigina è impegnata in una poesia di stampo tradizionale nel migliore senso della parola:
Luigina Bigon nasce a Padova, dove risiede. Ha svolto attività nell’ambito della progettazione dell’ornato artistico dell’Alta Moda della calzatura femminile. Sue creazioni sono esposte nella Saletta Egizia del Museo della Calzatura d’Autore di Villa Foscarini Rossi di Stra (VE). Ha pubblicato le raccolte “Barattare Sogni”, Clessidra 1989; “Lucenenèra”, Maseratense 1995. “Cercando O”, Panda 2001 e “Diacronicità, ponte Sottomarina / Cina”, Cleup 2009, entrambe tradotte in inglese da Adeodato Piazza Nicolai. Ha ideato e curato “Vajont, Padova e i suoi artisti”, Imprimenda 2003, e altre antologie. È membro direttivo del “Gruppo letterario Formica Nera” e del “Gruppo poeti Ucai” di Padova, di cui è stata fondatrice nel 1989.
Notturno londinese
Questa notte Londra è più lugubre del solito
con quei suoi angeli neri,
li ho visti volare dappertutto
poi scendere con il paracadute.
Le sirene gridano lungo le corsie di sinistra
le auto saltano sui corpi morti degli sbirri,
un ton-ton che sferra l’asfalto
e lo ingrigisce più delle catene.
È un labbro opaco che si sporge
una carezza di corvo l’ala
un gracchio di rana il canto.
Le auto roteano incurvandosi
insieme alle bow windows vittoriane
un barocco quasi quasi cimiteriale
con i giardinetti pieni di sterpi
e cose vecchie. Londra dei gentelmen
riposa sontuosa intorno a Piccadilly Circus
là dove tutto è massimo fulgore, ma qui
in questo quartiere riposa il terzo mondo
che ancora sorride e fa pena.
Chissà dov’è la verità, forse a Brixton
insieme agli afro così poveri, ricchi di dignità.
Anche la mano si è fatta nera, fa paura.
La testa si sgretola come un vaso di cotto
il corpo si ritrae istintivamente.
La notte è lunga.
Francesca Dono
1 settembre 2017
siamo davanti al fiorista. Le auto vergano chilometri di bitume
al quinto secondo di un anno mancato. Così folto il vivaio irrigato.
Addirittura una cartomante vicino al bouquet di rose.
Ho infilato la mano tra le foglie di cordalyn black .
Pure gli Angeli nel poster del rimpasto.
Il Matto in fila è nudo. Intanto un vaso muta . Oggi la prima ora
di nuovo ripetuta. Sul banchetto il presagio
dei tarocchi secondo l’atterraggio delle carte. Mi sono
ferita con le spine congelate che volavano dall’insidia naturale
dei lunghi steli. Scimmie cosmopolite a pezzi.
(Prendi i migliori colori appassiti. Fai una smorfia per la borsa difettosa.)
La papessa rovesciata milioni di volte.
Poi tu dici in un minuto : abracadabra e lei sparisce.
Serenella Menichetti
La regina è nuda
Niente gabbiani né tramonti adamantini
nel plumbeo cielo.
Sospesi sopra un mare di pece
spelacchiati corvi neri.
Dal ventre sterile della terra
s’alzano flebili lamenti.
Tutto ammorbato e infetto intorno.
Tronchi d’ulivo cupi e anchilosati, piegati
su se stessi come vecchi artritici.
Con il gelo nel cuore:
ascolti i rantoli delle stremate palme.
Mentre coaguli d’angoscia ti ostruiscono le vene
Il lugubre rintocco della campana del silenzio
batte i suoi colpi.
-La morte si è infiltrata ovunque- mi racconti.
-La senti, è lei che ulula.
Adesso la fa da padrona –
-Vecchio, tu stai delirando-rispondo
-Non voglio ascoltare le tue fandonie-
Concludo.
Mi copro le orecchie con le mani e fuggo.
Mi fermo, quando la tua sagoma rimane
ai miei occhi, solo un minuscolo bruscolo nero
che non c’è verso di scacciare.
Vado alla ricerca di farfalle,
e gabbiani.
Niente, non riesco a trovare più niente
di ciò che c’era prima.
I lunghi tentacoli della piovra che avviluppano
la vita, cercano di spegnere il mio canto.
La campana del silenzio continua a muovere
il suo batacchio con sordi rintocchi di morte.
Sfinita, delusa mi addormento.
Un risveglio senza gabbiani,
un foglio accartocciato.
Una poesia
scabra.
Né trucchi
né orpelli.
La regina è nuda.
*
The Queen is naked
No seagulls nor adamantin sunsets
in the steelgrey sky.
Hanging above a sea of tar
black featherless crows.
From the sterile belly of the earth
Rise up feeble moans.
All around is pestiferous and infected.
Dark and twisted olive trunks, bent
on themselves like artritic old men
with ice in their heart:
You hear the rantle of exhausted palm trees.
As knots of anguish obstruct your veins
the funereal sund of the bell of silence
beats its notes.
-Death has filtered in everywhere- you tell me
-Do you hear it, it is she who moans.
Now she is the boss .
-Old man, you stand in delirium- I answer
-I don’t want to hear your lies
I conclude.
I plug closed my ears with my hands and run off.
I stop, when your shape remains
in my eyes, only a tiny black mole,
there is no way to trow it away.
I go searching for butterflies,
and seagulls.
Nothing, I can no longer find anything
that was there like before.
Long octopus arms are wrapping up
life, trying to put out my song.
The bell of silence keeps on moving
the striker with stupid sounds of death.
Exhausted, deluded, I fall asleep.
(traduzione di Adeodato Piazza Nicolai)
Commento di Giorgio Linguaglossa
cara Serenella, ma questa è la poesia che un poeta colto e raffinato come Gino Rago definisce “adamitica”!, si avverte la tensione verso un nuovo linguaggio, la sintassi franta, la paratassi, lo stile nominale…
l’idea di tutti i poeti adamitici è scrivere nel linguaggio delle api «in cui un linguista non può vedere altro che una semplice segnalazione della posizione dell’oggetto, in altre parole una funzione immaginaria più differenziata delle altre» «Ma una tale comunicazione non è mai trasmissibile in forma simbolica» (Lacan, Scritti, I Einaudi, 1970, p. 15)
A proposito del guardare di sbieco:
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/05/antologia-n-3-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-donatella-costantina-giancaspero-francesca-dono-gino-rago-luigina-bigon-serenella-menichetti-commenti-di-lucio-mayoor-tosi-mariella-colonna/comment-page-1/#comment-23419
Ho notato che nei sogni non esiste prospettiva, o meglio non esiste la nostra partecipazione alla profondità prospettica. Se ad esempio in un sogno ci trovassimo nel mezzo di una strada trafficata, non vedremmo le cose mutare camminando ma assisteremmo solo al cambio di immagini, cose e persone. Qualsiasi azione vorremmo compiere ci metterebbe a disagio, anche parlare. Al primo gesto cosciente che vorremmo compiere è assai probabile che ci sveglieremmo.
In effetti, anche nella realtà di tutti i giorni noi non percepiamo altro che la mutazione delle immagini; è come se non avessimo una percezione naturale della prospettiva, tantomeno della profondità e della lontananza.
Va ricordato che la prospettiva geometrica è stata inventata agli inizi del Rinascimento, quando ancora poche persone sapevano cosa fosse. Per molti si trattò di una specie di risveglio, un vero cambio di mentalità. Ma anche oggi, se viaggiando in automobile lungo l’autostrada fossimo coscienti di percorrere lo spazio in prospettiva, è probabile che andremmo a sbattere: sarebbe come assistere a quelle riprese televisive nelle gare di motociclismo o di Formula 1, dove la telecamera è montata sul veicolo. Tanto emozionanti.
Quello ho scritto era nelle mie note di qualche giorno fa. Penso inoltre che ci sia un collegamento tra prospettiva (rinascimentale) e scrittura lineare. La scrittura lineare svolge lo stesso artifizio: è prospettica. Quindi sul piano della pura percezione, falsa. Il Rinascimento, al pari con il Barocco, è la base fondante della cultura e della mentalità italiana.
NOE stabilisce altri criteri di percezione, spesso simili agli stacchi cinematografici. Trovo che questa modalità sia vicina alla percezione naturale di tutte le persone.
Caro Lucio,
sono d’accordo con te sui nuovi criteri di percezione stabiliti dalla NOE: sono più vicini (e più lontani) alla percezione della realtà materiale, concreta, che si misura in laboratorio. C’è poi la percezione-intuizione di altre realtà e dimensioni che si raggiunge grazie al tentativo di “andare oltre” il visibile e percepibile con in cinque sensi: e anche da questo punto di vista la NOE ci introduce ad un linguaggio che, proprio attraverso la trasgressione della visione e scrittura lineare della realtà, ci fa attingere all’essere (ontologia) delle “cose” ricollegandole all’Essere”, sempre inattingibile direttamente, che a tutte si collega. E’ interessante questo tuo discorso perché ci da’ la possibilità di accedere ad una nuova prospettiva sul mondo interiore e al “fenomeno” approfondendo la consapevolezza che, attraverso la trasgressione del linguaggio, si trasgredisce anche la visione Rinascimentale- lineare della realtà quindi si dovrebbe accedere ad un nuovo rapporto con il mondo e con gli altri, direi “pluridimensionale”. Nel Barocco (soprattutto in Spagna) abbiamo già una visione e scrittura meno “lineare” del mondo perché viene introdotta e trionfa, nell’Architettura, nell’Arte (e nella Poesia la metafora, allegoria e tutte le forme retoriche) la LIINEA CURVA ISPIRATA ALLA NATURA (la conchiglia, da cui la spirale, campanile di San Bellarmino a Roma). Grazie per lo spunto che ci hai offerto con queste considerazioni.
Mariella
ho preso una topica, forse ero giù di zuccheri: al posto di San Bellarmino leggere Sant’Ivo alla Sapienza di Francesco Borromini. Grazie
E’ partita, Inside Arte, la TypeArt di Lorenzo Marini. Eccone alcuni punti
del Manifesto
MOVIMENTO PER LA LIBERAZIONE DELLE LETTERE
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/05/antologia-n-3-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-donatella-costantina-giancaspero-francesca-dono-gino-rago-luigina-bigon-serenella-menichetti-commenti-di-lucio-mayoor-tosi-mariella-colonna/comment-page-1/#comment-23421
1. Le lettere sono nate libere e come gli uomini sono creature sociali ma anche individuali. E’ tempo di celebrare la bellezza della geometria che le
compone e lasciare il gregge della tipologia alfabetica.
(…)
4. Le lettere possiedono una loro bellezza intrinseca, che va celebrata,
evidenziata, resa manufatto artistico. Ogni lettera deve diventare un’opera
d’arte, coniugando design e istinto, tecnica e ironia, cartoon e associazioni
spontanee.
5. Le lettere sono frammenti di un caleidoscopio immaginifico e rutilante.
Il sempre eterno movimento, che solo gli occhi capaci di stupirsi possono cogliere. Esse sono la nostra rivincita sul grigio della malinconia, sul nero
della logica, sula nebbia delle percezioni…
(…)
8. Le lettere sono il nostro mondo regressivo, il nostro primo contatto con il sapere codificato e il disegno associativo è il ponte che ci ha accompagnato nella costruzione della comunicazione
(Seguono altri punti )
Liberando le lettere, liberiamo le parole. Liberando le parole libereremo
la poesia “nuova”. ..
E quando Giorgio Linguaglossa nel suo commento precedente, nella pagina de L’Ombra delle Parole di ieri, sostiene che
“Il problema della poesia di oggi è che abbiamo a disposizione, gratis e disponibile a tutti, un medio linguaggio poetico che è diventato un linguaggio artificiale, conformistico, clericale, creato da clerici per altri clerici, non idoneo ad esprimere i grandi conflitti del nostro tempo; ci si accontenta di translitterare le piccole tematiche, i tematismi, i trucioli, i reumatismi dell’io, le tematiche edulcorate del cuore, il paesaggismo trito e triviale, il quotidiano più becero, la corporalità. E a tutto ciò si dà il nome di poesia.”
tocca il midollo della crisi della nostra poesia.
Segnalo a me stesso con gioia che Mary Colonna nei suoi nuovissimi versi
su Evelyn in fuga sta prendendo coscienza del fatto che le lettere e di riflesso le parole non sono più delle “semplici api operaie” destinate a restar per sempre tali, ma possono farsi tutte api regine per un miele poetico nuovo.
Su questo stesso sentiero si stanno muovendo in tanti/tante della NOE,
in particolare Edith D. nel poema LORO; Francesca Dono, il cui osare linguistico spinge i suoi versi in miracolosi intrecci fra parola ben ponderata e immagini metaforiche della migliore eredità poetica scandinava; Donatella Costantina Giancaspero la quale, nel corso della lettura della sua poesia
“Una febbre lieve mantiene sospeso l’oggi” al Castello di Anghiari, nell’ambito della Rassegna poetica “Poesia nel cassetto” magistralmente curata da Vito Taverna, seppe addolcire i nostri sguardi, aprendoli e spingendoli verso un mondo “nuovo”.
Un fare poetico da seguire con attenzione è quello de “La regina è nuda”
di Serenella Menichetti, un componimento nel quale accanto a un’atmosfera
riconducibile all’adamismo acmeista, come con acutezza coglie Giorgio Linguaglossa nel suo commento, si registra anche il coraggio nella Menichetti dell’introduzione del “parlato” anch’esso di derivazione acmeistica.
Mentre nei versi di Luigina Bigon vibrano parole quotidiane elevate a pura ars poetica, le quali, efficacemente, (l’ala del corvo, il gracchio della rana) vengono trasformate o sublimate in correlativi oggettivi, secondo la lezione di T. S. Eliot.
Gino Rago
Caro Gino,
se non ci fossi tu a ricordare tutto ciò che è più importante nell’oceano vibrante delle parole che si rincorrono, si accavallano si intrecciano esplodono improvvisamente in “fuochi di allegrezza” o in drammatiche riflessioni…se non ci fossi tu, dicevo, saremmo , o per lo meno io, naufragati travolti dalle onde del “nuovo”. Grazie perché coordini e guidi i nostri passi e i nostri sforzi insieme a Giorgio, …e grazie alla tua poderosa memoria che ti permette di ricordare tutti i poeti del passato e i tuoi compagni di NOE DEL PRESENTE. Anche io tendo a ricordare tutti, ma non ho la tua meravigliosa memoria che, unita all’ingegno e alla creatività sparge fiori e frutti nel nostro giardino poetico.
Mariella
Grazie Gino per il prezioso commento che ricevo con vera gioia.
Il testo di cui parli è di 12 anni fa…
È arrivato senza cercarlo nel 2005. Mi trovavo a Londra nel quartiere di villette Elisabettiane a Hern Ills.
Verso sera guardavo il cielo da un finestrone tipico di quell’epoca e le immagini hanno cominciato a scorrere nella mia mente…
Quegli angeli neri, la mano nera ….
Ora mi portano ai seguaci dell’Isis e le loro stragi, quasi una premonizione…. che ne pensi.?
Grata anche per il credito che dai alle poesie di Adeodato…
Un caro saluto
Luigina (Bigon)
(copio e incollo dalla mia e-mail la densa risposta di Luigina Bigon al
mio breve commento sui suoi versi: Mi sembra giusto condividerla con il competente e sempre più vasto pubblico della poesia proposta da Giorgio
Linguaglossa e dalla Redazione de L’Ombra delle Parole)
Gino Rago
Carissimo Giorgio, sono fortemente sorpresa ed emozionata per avermi onorata nell’antologia n.3, insieme ai voi grandi. Per cui ti invio un affettuosissimo grazie a tutti i livelli; per tutti i giorni della tua generosa disponibilità su fcb e per la grande apertura data ad Adeodato. E ringrazio pure tutti i poeti del-L’ombra delle Parole per avermi accolta pure loro, in particolare Mariella Colonna, Anna Ventura, Donatella Costantina.Un caro saluto a te e Donatella Luigina PS: se ritieni di inserire quanto sopra in risposta, fallo tu o fammelo sapere. E’ troppo chiederti il tuo numero telefonico? Tanto io che Adeodato dovremmo chiederti una informazione che solo tu ci puoi fornire. Ti passo il mio numero soltanto per conoscenza. 049.615386
Cara Luigina, dolce amica , non smentisci mai te stessa! Sempre gentile, affettuosa e pronta a riconoscere i meriti degli altri!.
A me sembra che la tua poesia abbia raggiunto un alto livello di maturità espressiva. le tue parole sorprendono per la freschezza e forza nel comunicare mondi emozioni, momenti di vita afferrati a volo nei viaggi
Vai avanti insieme ad Adeodato, siete una magnifica coppia e ci meravigliate per la giovinezza del vostro cuore…e dei vostri versi.
Mariella
un caro saluto a tutti e grazie mille per la piacevole compagnia.
Anche a te, Francesca. Ormai sei bravissima anche a farti capire, cioè quasi “plastica” nella tue intuizioni poetiche. Scolpisci visioni con le parole!
Mariella
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/05/antologia-n-3-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-donatella-costantina-giancaspero-francesca-dono-gino-rago-luigina-bigon-serenella-menichetti-commenti-di-lucio-mayoor-tosi-mariella-colonna/comment-page-1/#comment-23432
Mi trovo in perfetto accordo con quanto dice Lucio Mayoor Tosi su Costantina Giancaspero. La sua poesia suggerisce e permette di percepire: tra i suoi versi, il lettore è un cieco del mondo, che si fa raggiungere dalle cose attraverso i sensi-parole, i sensi-poesia. Allora la realtà è, di volta in volta, percezione al di là dell’interpretazione (prospettica, mi vien da dire dopo gli interessanti interventi a riguardo). A volte poi pare di coglierla in musicalità trasfuse, essenze musicali.
Credo di aver sottolineato anche io altre volte, certo non bene come Chiara, l’impressione di leggerezza e di musica significante-significato nelle poesia di Donatella Costantina che riesce a dare luce soffusa e diffusa all’oscurità delle “cose” (raccolte nel mistero dell’essere) presenti nei suoi versi. Si sente la musica che ha nelle vene e nel respiro e nelle parole.
Mariella
con me la musica abita una regione liminare come i sogni, dove una cosa è e non è ancora,,ed è anche un’altra cosa.
Salvatore Sciarrino
perfetta citazione: ma nei sogni ad occhi aperti, come quelli che facciamo scrivendo poesie!
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/05/antologia-n-3-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-donatella-costantina-giancaspero-francesca-dono-gino-rago-luigina-bigon-serenella-menichetti-commenti-di-lucio-mayoor-tosi-mariella-colonna/comment-page-1/#comment-23452
Amiche e amici carissimi, compagni di poesia, sono lieta per il vostro apprezzamento dei miei ultimi versi. Sto percorrendo con fiducia la via indicata dalla NOE, perché, passo dopo passo, grazie ad essa, vedo migliorare sempre di più la mia scrittura. Se, a un certo punto della vita, avessi tirato dritto, ignorando l’indicazione, l’avvertimento di un’alternativa poetica reale e costruttiva (nell’attuale panorama di povertà espressiva), avrei impedito a me stessa la svolta, il salto necessario, quella crescita che è dovere di tutti coloro che guardano alla poesia (e all’arte in generale) con amore per la ricerca, per lo studio, e con provata autenticità.
A tutti voi e ai numerosi lettori della nostra Rivista, dedico un brano di Franco Donatoni, un compositore che si è formato con rigore intellettuale alla scuola di grandi Maestri e, per tutta la vita, ha portato avanti una ricerca musicale intensa, ricca di molti, complessi interrogativi…
Franco Donatoni (1927-2000)
Lied (1972), per 13 strumenti: due violini, due viole, due flauti, due clarinetti in Sib, celesta, pianoforte, arpa e vibrafono
Gruppo Musica Insieme di Cremona, diretto da Andrea Molino
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/05/antologia-n-3-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-donatella-costantina-giancaspero-francesca-dono-gino-rago-luigina-bigon-serenella-menichetti-commenti-di-lucio-mayoor-tosi-mariella-colonna/comment-page-1/#comment-23441
Mirkka Rekola, nata nel 1931 a Tampere, poetessa di fama internazionale, pluritradotta e pluripremiata (ha esordito nel 1954 con il libro di poesie Nell’acqua il fuoco –
Vedessä palaa), al quale sono seguite una ventina di pubblicazioni come ad esempio Gioia e asimmetria (Ho ja epasymmetria, 1965) e L’orbita della quasi luna (Valekuun reitti, 2004) ha pubblicato anche diversi libri di aforismi che le hanno valso il prestigioso “Premio Samuli Paronen” alla carriera nel 2007.
La sua produzione aforistica comincia nel lontano 1969 con la raccolta Taccuino – Muistikirja che segna un punto di svolta nell’aforistica finlandese contemporanea. Seguiranno Maailmat lumen vesistöissä (1978), Silmänkantama (1984), Tuoreessa muistissa kevät e infine aforistiset kokoelmat (1987). Ha anche pubblicato nel 1987 un libro dal titolo Maskuja che è a metà tra la prosa, la poesia e l’aforisma e che contiene facezie, motti di spirito e detti umoristici.
Gli aforismi di Mirkka Rekola sono sapientemente concisi, con un uso davvero concentrato delle parole per esprimere significati complessi. Le singole immagini sono spesso ambigue e rivelano più significati di quanti il lettore potrebbe immaginare a prima vista. Come scrive molto bene anche Markku Envall nella sua antologia sull’aforisma finlandese Suomalainen aforismi (1987), ciascuno degli aforismi di Mirkka Rekola si presta a un sorprendente numero di interpretazioni, a differenza dell’aforisma tradizionale che – nella sua pointe paradossale e nel suo congegno ironico – si presta quasi sempre a una sola interpretazione.
L’effetto che deriva dalla lettura degli aforismi di Mirkka Rekola non è quello solito della battuta – il riso o il sorriso – ma piuttosto quello di uno spaesamento logico all’interno del fluire consueto del linguaggio quotidiano.
Presento qui di seguito al lettore italiano una scelta di poesie e aforismi di Mirkka Rekola. La traduzione è di Antonio Parente, che ha già tradotto in italiano presso alcune riviste letterarie una scelta di poesie di Mirkka Rekola. Poesie tratte da Poeti e aforisti in Finlandia Edizioni del Foglio Clandestino, 2012
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Mirkka Rekola, poesie e aforismi scelti, traduzione Antonio Parente
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Abbasso la visiera del berretto smetto di guardare
i pensieri pronti alla partenza
siedo in questo treno lungo un viaggio.
(1065)
Al vento
Non c’è di che preoccuparsi. L’ombra
non può cadere. Si muove come l’albero
e ne segue ogni scatto.
Come fuoco è trascinata via nel vento
e scivola con leggerezza sopra ogni cosa.
Non c’è di che preoccuparsi. L’ombra non
può cadere. Si muove soltanto.
e quando si stacca un ramo dal tronco
lei lo sente e lo accoglie.
(1954)
Il salice
Sulla sponda
di una fresca corrente
ricordi
quel salice piccolissimo?
Quando andasti
la mia nuvola un tutto.
Adesso la cima resuscitata
la santità delle nubi
ferisce.
Non così
Non così. Non fune di aghi di pino,
se vuoi uno scabro cammino
attraverso fuoco, acqua e verso l’inespugnato.
Il sentiero si ammansisce nel fiacco remoto.
Attraversa la marcita
e ascolta il beccaccino,
vai attraverso la boscaglia verso l’ignoto.
(1954)
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Fiori di melo fiori di melo
e l’autunno passato ritorna:
sui rami si dondolano i rami.
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Ogni giorno un foglio bianco davanti a me, io scrivo
e lo lascio aperto.
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Guarda com’è alto l’autunno e com’è basso il gatto.
Il frutteto qui è una mezza luna.
Vorresti cogliere una mela da sola,
ti alzo oppure abbasso il ramo?
(1965)
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Le notti non sono più calde,
il ribes nero sa di freddo,
il topo muschiato nuota più veloce,
in città le luci si infittiscono.
la cima dell’abete oscillava sul tetto,
non riesco a liberarmi dal pensiero
che si sia dimenticato qualcosa.
Si sente un treno da est, da sud il grido di una civetta.
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Dormo alla luce con la notte negli occhi.
(1968)
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Gli occhi socchiusi
un quarto alle tre,
i battenti della finestra spalancati, nell’aria le rondini.
Una vespa entra nella stanza
e subito tu cominci a gesticolare.
(1974)
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Fu l’anno scorso. In campagna.
Il cuculo cantò le sei, l’orologio batté le dodici.
Ne fermai il pendolo
e aspettai fino al mattino.
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Guarda com’è alto l’autunno e com’è basso il gatto.
Il frutteto qui è una mezza luna.
Vorresti cogliere una mela da sola,
ti alzo oppure abbasso il ramo?
(1965)
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Il sole azzurro del mare.
Le tendine gialle oscillanti
si asciugavano al vento,
e lì lei che aspettava, sulla panchina lungo la riva,
guardava i passanti e il mare.
«Per me è come se le persone
avessero iniziato a venire qui
una seconda volta», disse.
«Hanno lo stesso aspetto di prima».
Qualcuno passeggiava ancora lì, il blu si scurì sul mare.
Prendemmo quelle tendine e le piegammo,
ognuna ne afferrò un capo.
Mi ricordai di come i bambini
ogni volta che stiracchiavamo i panni
saltassero sotto il lenzuolo
(1974)
Una nuova casa nel bosco
Il bosco guarda dalla finestra, lì c’è
una casa amica.
È una casa nuova,
tirata su per trecento anni
con la legna di vecchi pini.
Il bosco si allontana, molti alberi giovani
finiranno per farsi da parte per non intralciarlo.
Il bosco lo sa.
Guarda dentro.
Dove crescono, quei pini perenni?
(2011)
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Non creare un’immagine. Tutto lo è.
Tu la chiami morte e lei ti chiama.
Più piedi a terra, dici. Vuoi seppellirmi.
Il mondo è una tavola imbandita. Lì vedi la tua fame.
Se l’arbitrio è libero, può forse essere tuo?
Il tempo si ferma dovunque ci sono quelli che non ne sono vincolati.
La felicità è una buona guida, è stata già lì dove stai andando.
Il segreto della longevità dell’eremita: non vedere morire nessuno.
Vuoto è il sepolcro e aperto fino in cielo.
Ciò di cui si tace diventa parola.
Da piccola dicevo: faccio quello che voglio. Ora voglio quello che faccio.
La vecchietta cammina lì come se proteggesse il sentiero dalla pioggia.
La simmetria la si può sempre dividere in due, non è integrità
Hai ormai lasciato qualcosa alle tue spalle, è davanti a te.
Le grida non cercano più di raggiungere l’orecchio ma la bocca. E le trombe soffiano nelle trombe.
Quando lasciò che a provvedere fosse il suo destino, trovò la provvidenza.
Noi guardiamo ciò che posa il suo sguardo su di noi.
Gli occhi, tedofori del monte a oriente.
Lascia che gli occhi si muovano nello sguardo del giorno e della notte.
Il margine del ghiaccio si scioglie: il suono delle gocce di pioggia. Sulla pietra una lucertola una striscia di sole sotto la zampa.
Il bimbo disse alla vecchietta: sei curva perché sono piccolino.
Volgi pure il tuo sguardo altrove: le immagini ti ricorderanno il tuo passato.
Il ricordo è toccante, ma la freddezza non ci dimentica.
Parlano di te alle tue spalle, ed lì che sono.
Lascialo gridare, anche lui ha le orecchie.
Quanta gente vive per vendicare la propria nascita.
Ma perché giunge insonne, il mattino?
Molti vogliono continuare a parlare di quelli che si sono zittiti per gli altri.
Quando non ti accorgevi di me, io me ne accorgevo. Quando non ricordavi, io lo ricordavo.
Dai alle parole i tuoi occhi, irradiano.
Sperava, una volta diventato adulto, di poter essere bambino, indisturbato.
La transitorietà accorda la lingua su un ampio presente.
Nota già ora la presenza e l’assenza in modo da non ritrovarti a dire, una volta che non c’è più: solo ora capisco.
Ancora ieri ti chiamavano a tavola urlando quello stesso nome che ora i bambini gridano per invitarti a uscire.
Avete bisogno di un capro espiatorio, lo create e quello vi prende a calci.
Con la luce con cui Lui creò la sua immagine non è possibile vedere altro.
Il Creatore diventa bambino nell’uomo.
Caro Giorgio quando stamani ho letto il mio nome accanto a voi grandi, sono arrossita, è un grande onore per me essere in questa pagine, che seguo sempre con enorme interesse e tanta voglia di imparare. Un grande ringraziamento al poeta Adeodato Piazza Nicolai per la traduzione dei miei testi ed a voi tutti.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/05/antologia-n-3-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-donatella-costantina-giancaspero-francesca-dono-gino-rago-luigina-bigon-serenella-menichetti-commenti-di-lucio-mayoor-tosi-mariella-colonna/comment-page-1/#comment-23467
cara Serenella, ti ringrazio per l’epiteto “grandi”, qui, tra di noi non c’è nessun “grande”, noi siamo l’Avanguardia senile, come qualcuno ci ha chiamato, visto che i giovani sono tutti omologati è toccato a noi, persone mature fare la poesia nuova. Tutto qui.
Il libro… oggi
Il libro aprì le mie mani per segnarmi come un monatto irriverente,
nella mia mente avvilita i misteri della metonimia antica,
e quella malattia che traverso il nome si chiama, se volete, Poesia.
Sorrise il lucido dorsale per mostrarmi la sua identità cartacea.
E mi sfogliò le epoche come uno stregone distilla il suo veleno cortigiano.
Mi accecò come un bardo la parola per cantare la mia corteccia irrazionale.
Il furore dell’infanzia esondò come la bellezza di Rosalia!
Come la beatitudine di Smeralda inquisì lo spasimo della materia!
Per coprire d’oscurità i triviali segreti celebrò le distinzioni delle pagine
con le affilate misture di Salafia, e gli spettri delle sue formule
per vincere d’immortalità i suoi sembianti. Per il trionfo della maschera
il trucco di una pelle si ritirò sdegnoso dietro la propria inconsistenza.
Il libro… oggi, è un cavaliere insopportabile e vincente.
La macchina non ha piedi, né cammini tracciati dai sentieri,
e passi tardi e lenti per stampare i tempi e gli ignobili pensieri.
Come un geniale attore che alle scene assegna gli atti, i gesti, e i fallimenti.
Antonio Sagredo
Roma, 5/12 novembre 2011
copio e incollo da FB, La scialuppa di Pegaso, questa poesia di Lucio Mayoor Tosi che trovo esilarante:
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/05/antologia-n-3-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-donatella-costantina-giancaspero-francesca-dono-gino-rago-luigina-bigon-serenella-menichetti-commenti-di-lucio-mayoor-tosi-mariella-colonna/comment-page-1/#comment-23464
Frasi d’amore.
by Mayoor – 4 set 2017
Chi per una partita a due?
Chi per scambiarci il cane?
Chi per due tazze di yogurt con banana?
Chi per mille lire?
Chi per l’andata e due ritorni?
Chi per stonare cantando insieme?
Chi per misurarci la pressione?
Chi per alzare insieme le tapparelle?
Chi per stare fuori dalla Disco?
Chi per non andare in Indonesia?
Chi per un week-end sul lago Washoe in Nevada?
Chi per un solo gelato alla menta?
Chi per due donne che si baciano?
Chi per stare all’ombra di una torpediniera?
Dai, ditemi!
Chi per contare le baionette?
Chi per “non avere paura”?
Chi per metterci le bombe?
Chi per (non) morire abbracciati?
A quando le emoticon in poesia?
M A I ! ! !
Sì, ma a quando le emoticon?
Il punto di domanda è piuttosto raro in poesia. In poesia le domande sono sempre assertive, e non vi è dubbio che si preferisca la grazia delle risposte. Ma è altrettanto vero che gran parte del mistero – e il fascino – di tante poesie sta nell’apertura che si crea con la domanda; è in quella inguaribile sospensione che si affaccia il vuoto, quindi l’attesa: per una risposta che il più delle volte è già implicita nella domanda. Questo strano dialogo, tra futuro e passato, non “cade” ma solleva il vuoto rendendo visibile la sua polverosa sostanza. Nel nulla delle pause non vi è spazio per l’angoscia, la quale deriva nel passato, vale a dire da dove giungono le risposte. Così è nella maggioranza dei casi. Pochi al mondo sanno dare risposte mettendoci il punto di domanda.
la tua, caro Lucio, è una poesia di enunciati. La peculiarità della tua poesia è che è difficoltoso distinguere gli enunciati assertivi da quelli interrogativi. Di frequente nella tua poesia, l’assertorio si traveste da interrogatorio, è una forma interrogativa mascherata; la risposta, di frequente, è una domanda capovolta. E viceversa. Questa è una caratteristica peculiarissima della tua scrittura poetica, che pochissimi sono in grado di seguire e apprezzare, in specie chi continua a pensare e a fare una poesia unilineare. La tua poesia ricomincia sempre daccappo, gli enunciati sono aforismi con il collo spezzato, contengono una differenziazione problematologica (H. Meyer).
Gli enunciati aforistici lasciano intravvedere, tra le commessure della sintassi, il vuoto e l’angoscia che trapela e filtra tra le parole compattate e formattate…
Francesca Dono
– L’ODORE DEL BOLLITO –
Dividiamo l’odore del bollito
In parti uguali I compiti
Dei bambini giacciono sotto una lampada
Annegata Di fronte alla casa
hanno messo macigni
Di eliotropo ben schiacciato
Ci somigliamo tutti
Mentre la cena si serve dalla pentola annerita sopra ogni piatto Ora
Lalie è ferma in penombra Da qualche minuto
Il verso della civetta ai lati diunafreddaustione
De Chirico scivola dal suo ritratto
Per lavarsi le mani Dopo il sonno
un botro acquoso in grembo.
Fritz Hertz
attraversiamo la sosta
grande come un calendario da muro.
I semi dell’anguria costruiti
nel bicchiere di carta .
Nulla sulla pista. C’era nebbia vegetale in
ventotto gradi di mood turbolento.
Ho girato l’orologio sotto il polso.
La gente qui aveva ormai partorito
il lusso notturno da un movimento all’altro.
Quasi una sciocchezza l’ora.
-Si vive a lungo poco_ spiega un vecchio al giovane hippy
bucato di erbe e di tabacco.
Uccelli senza uccelli.
Giù per la pietra gli edifici-sciamani.
Ti sei distratto con il display lampeggiante.
Un uomo con le cinture allacciate.
La fine della fusoliera.
I guanti radioattivi più avanti
del buio.
da ilgrovigliodeirampicanti.wordpress.com
Metto Francesca Dono, e adesso anche Fritz Hertz, nella cartella dei miei non commentabili preferiti.
Adeodato Piazza Nicolai
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variante di una poesia
di Yves Bonnefoy
Così calpesteremo il deserto
del futuro sconosciuto, maledetto
mascherati dalle code di lucertola.
Il cielo più bello sarà un arcobaleno
smunto, lontano, miscela di pietrisco.
Dirai, guarda, non esiste alcun traguardo,
rechi in te l’ardore della sorte: fontana
della notte la luna che mangia le nostre pupille
così rosicchieremo il domani domani e domani.
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 6 settembre, ore 05:30
(traduzione dell’originale di Diana Grange Fiori, da Movimento
e immoboilità di Douve, Yves Bonnefoy, Einaudi 1969)