Boris Pasternak (1890-1960) QUATTORDICI POESIE tradotte da Paolo Statuti

 

Boris Pasternak Pasternak Boris Leonidovič (Mosca 1890 – Peredelkino, Mosca, 1960). Vicino ai futuristi, esordì con le poesie Bliznec v tučach (“Il gemello nelle nuvole”, 1914), imponendosi presto come il più interessante lirico russo della sua generazione. Il suo primo racconto pubblicato fu Detstvo Ljuvers (1922; trad. it. L’infanzia di Ženja Ljuvers, 1960), lavorò poi segretamente al celebre romanzo Doktor Živago (pubbl. in trad. it., Il dottor Živago, nel 1957, e nell’originale russo negli Stati Uniti nel 1961), affresco della storia russa vista attraverso le tormentate vicende di un intellettuale.

 pasternak 9Figlio di un noto pittore e di una pianista di talento, dopo studî di musica, diritto e filosofia (seguì i corsi di H. Cohen a Marburgo) si avvicinò al gruppo futurista “Centrifuga”, esordendo come poeta sotto il segno dello sperimentalismo linguistico nella già citata raccolta Bliznec v tučach. Dopo la raccolta Poverch barerov (“Oltre le barriere”, 1917) s’impose con i versi di Sestra moja žizn′ (“Mia sorella la vita”, 1922). La sua vocazione di poeta denso ed ermetico, originalissimo nella descrizione della natura, fu confermata da Temy i variacii (“Temi e variazioni”, 1923), mentre meno felici sono i poemi di carattere narrativo ed epico (Devjatsot pjatyj god “L’anno 1905”, 1927; Spektorskij, 1931), nei quali P. tentò la via di un impegno ideologico estraneo alla sua più autentica ispirazione. Nel frattempo aveva pubblicato il primo racconto, il già citato Detstvo Ljuvers, poi compreso nella raccolta Rasskazy (“Racconti”, 1925). In Ochrannaja gramota (1931; trad. it. Il salvacondotto), insolita autobiografia ricca di riflessioni teoriche e filosofiche, rievocò gli incontri con gli scrittori e gli artisti che più influirono sulla sua formazione (Rilke, Skrjabin, Majakovskij).

Pasternak 10A disagio nel clima di sempre più rigido controllo ideologico, dopo il volume di liriche Vtoroe roždenie (“Seconda nascita”, 1932) P. si dedicò per alcuni anni alla traduzione (da Shakespeare, Goethe, von Kleist, poeti georgiani), tornando a pubblicare proprî versi durante la guerra (Na rannich poezdach “Sui treni del mattino”, 1943; Zemnoj prostor “La vastità terrestre”, 1945). Negli anni successivi lavorò segretamente al romanzo Doktor Živago. Scritto in una prosa lirica di grande suggestione, il romanzo valse a P. un’immediata notorietà in Occidente, ma le polemiche e gli attacchi cui fu sottoposto in URSS costrinsero lo scrittore a rifiutare il premio Nobel assegnatogli nel 1958. Nello stesso anno comparvero in Occidente Avtobiografičeskij očerk (“Saggio autobiografico”) e le poesie di Kogda razguljaetsja (“Quando rasserena”), entrambi tradotti in it. in Autobiografia e nuovi versi (1958). Oltre a numerose edizioni dei suoi versi (Poesie, 1957; Tutti i poemi, 1969), in  Italia sono comparse varie raccolte di suoi racconti (Disamore e altri racconti, 1976), saggi (La reazione di Wassermann, 1970; Quintessenza, 1990) e lettere (Lettere agli amici georgiani, 1976; Lettere, 1983); è del 2009 La nostra vita, antologia a cura di L. Avirovic degli scritti di Boris, del fratello minore Aleksandr e del figlio dello scrittore, Evgenij (questi ultimi inediti), in cui è magistralmente tratteggiata la storia di una  famiglia aristocratica sullo sfondo della Russia prebolscevica.

 da Boris Pasternak 30 Poesie testo russo a fronte traduzione di Paolo Statuti CFR, Piateda 2014 € 10

“Dov’è colui che fino in fondo ha capito Pasternak?…  Egli è segretezza, allegoria, cifrario…” (Marina Cvetaeva)

“La poesia è quell’altezza che supera tutte le gloriose Alpi, e che si trova nell’erba, sotto i piedi, cosicché occorre soltanto chinarsi per vederla e coglierla.” (Boris Pasternak)

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Definizione della poesia

E’ il fischio sparso all’improvviso,
Il crepitìo dei ghiaccioli,
La notte che gela la foglia,
Il duello di due usignoli.

E’ il pisello inselvatichito,
Il pianto del cielo nei baccelli,
Figaro dai leggii e dai flauti
Che sulle aiole cade a granelli.

E’ tutto ciò che alla notte importa
Trovare nei fondali profondi,
E una stella portare nel vivaio
Sui palmi bagnati e tremebondi.

Più piatta d’una tavola è l’afa,
Il firmamento è sommerso di ontano,
Alle stelle si addice ridere,
Ma l’universo è sordo e lontano.

(1917)

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Tu sei nel vento che con un rametto
Prova – il coro degli uccelli canterà?
E’ inzuppato come un passerotto
Il frutice di lillà!

Le gocce hanno il peso dei fermagli,
E il giardino abbaglia sempre più,
Spruzzato, grondante
Un milione di lacrime blu.

Dalla mia ansia nutrito
E da parte tua spinato,
Con mormorii e profumi,
Questa notte il giardino è rinato.

Tutta la notte un tictac alla finestra,
Sulle persiane un battito accanito.
Ad un tratto un rancido alito
E’ corso attraverso il vestito.
Destato dal magico elenco
Di quei tempi e pseudonimi,
Il giardino abbraccia questo giorno
Con gli occhi degli anemoni.

(1917)

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Amleto

Cessa il brusìo. Sono sulla scena.
Alla porta appoggiato,
Colgo in un’eco lontana
Ciò che mi sarà dato.

Su di me l’oscurità è stesa
Con mille binocoli a fuoco.
Allontana da me, Abba Padre,
Questo calice, ti invoco.

Amo il tuo proposito ostinato
E accetto di fare questa parte.
Ma ora va in scena un altro dramma,
E questa volta mettimi in disparte.

Ma sono state decise le azioni,
E finirà il cammino, non c’è scampo.
Sono solo, tutto è nell’ipocrisia.
Vivere non è attraversare un campo.

(1946) (da: Il Dottor Zhivago)

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Primavera

Io dalla strada, dove i pioppi sono sorpresi,
Dove la distanza teme e una casa è insicura,
Dove l’aria è azzurra, come l’involto dei panni
Di chi è uscito da una casa di cura.

Dove la sera è vuota, come un racconto sospeso,
Lasciato da una stella senza prosecuzione
Per lo stupore di mille occhi chiassosi,
Senza fondo e privi di espressione.

(1918)

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In ogni cosa io voglio arrivare
Alla parte essenziale.
Nel lavoro, nella strada da fare,
Nel cruccio che il cuore assale.

All’essenza dei passati momenti,
Alle ragioni primiere,
Al midollo, fino ai fondamenti,
Alle radici più vere.

Senza sosta il filo percepire
Degli eventi e dei fati,
Vivere, pensare, amare, sentire,
Gioire d’incontri svelati.

Oh, se io soltanto potessi,
Anche se solo per metà,
Scriverei almeno otto versi
Sulla passione, in profondità.

Sui peccati, sulle violazioni,
Corse, inseguimenti vani,
Sorprese e impreviste azioni,
Sui gomiti, sulle mani.

Tutte le sue leggi stabilirei,
I suoi principi capitali,
E dei suoi nomi ripeterei
Le loro iniziali.

Pianterei i versi come giardini.
Con ansia e tremore
In fila e tra loro vicini –
In essi i tigli in fiore.

Nei versi metterei respiri di rose,
E respiri di ginestra,
Prati, fieno, notti rugiadose,
E i rombi della tempesta.

Così Chopin una volta ha messo
Nei suoi studi-portento
Di boschi e tombe l’alito sommesso,
I sospiri del vento.
Della vittoria così conquistata
Gioco e tormento indifeso –
La corda fortemente tirata
Dell’arco teso.

(1956)

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Nessuno sarà in casa,
Tranne la fioca luce,
Un giorno d’inverno,
Dalle tende socchiuse.
Soltanto delle zolle bianche
Rapido balenò il volano.
Soltanto tetti, neve e
Qualcuno cercherai invano.
E di nuovo la brina farà ricami,
E mi prenderà lo sconforto
Dei fatti di un altro inverno
E dell’anno trascorso.
E di nuovo mi crucceranno
Per una colpa ancora non tolta,
E la fame del legno attanaglierà
La finestra fino alla volta.
Ma all’improvviso con un brivido
Dalla porta irruzione farai.
Coi passi il silenzio misurando,
Tu, come il futuro, entrerai.
Ti vedrò sulla soglia,
Senza fronzoli vestita di bianco,
Di qualcosa proprio dei tessuti
Da cui i fiocchi si fanno.

(1931)

Pasternak

Febbraio

Febbraio. Trovare l’inchiostro e piangere!
Scrivere di febbraio a bufera,
Finché il tempaccio tonante
Arderà di cupa primavera.
Trovare una carrozza. Per pochi soldi,
Tra campane e ruote cigolanti,
Portarsi là, dove l’acquazzone
E’ più rumoroso di inchiostro e pianti.
Dove, come pere carbonizzate,
Dagli alberi migliaia di cornacchie
Si lanciano nelle pozze e gettano
Una secca tristezza in fondo agli occhi.
Sotto di essa i neri punti disgelati,
E il vento dai gridi è percorso,
E quanto più casuali, tanto più veraci,
Sono i versi composti a dirotto.

(1912)

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I rondoni

Non hanno forza i rondoni serali
Per fermare l’azzurra frescura,
Che ha lasciato i petti chiassosi
E si versa, senza traccia che dura.
E non hanno i rondoni alcunché,
Perché sia trattenuto lassù
Il loro grido eloquente: vittoria,
Guardate, la terra non c’è più!
E bollendo come bianca sorgente,
Si allontana l’umido iracondo, –
Guardate, non c’è posto per la terra
Dai lembi dei cieli al dirupo più fondo.

(1915)

Pasternak e Mayakovsky

Anche oggi mia sorella la vita in piena
S’è infranta su tutti come pioggia di primavera,
Ma la gente coi ciondolini è assai burbera
E con grazia morde, come serpe nell’avena.
I più anziani in questo hanno i loro argomenti.
Senz’altro, la tua argomentazione è strana,
Che nel temporale gli occhi e le zolle siano lilla
E l’orizzonte profumi d’umida genziana.
Che a maggio, quando l’orario dei treni,
Passando per Kamyshin, leggi nel coupé,
Esso sia più grandioso della sacra scrittura
E dei neri di polvere e tempeste canapè.
Che appena il freno s’imbatterà, latrando,
In pacifici coloni in una remota vigna,
Dai giacigli guardino se sia la mia stazione,
E il sole, tramontando, mi compatisca.
E con incessanti scuse: mi dispiace, non è qui,
Sciabordata nella terza, prende il largo la campanella.
Sotto la tendina si sente la notte che brucia
E si frange la steppa dai gradini a una stella.
Ammiccando, ma dormono chissà dove placidi,
E come fata morgana dorme anche la diletta,
Mentre il cuore, guazzando qua e là,
Gli sportelli del vagone nella steppa getta.

(1917)

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Bosco autunnale

Il bosco autunnale s’è chiomato.
In esso ombra, sonno e quiete.
Scoiattolo, picchio e civetta,
Dal suo sonno non lo desterete.
E il sole per i viottoli autunnali
Entrando in esso a fine giornata,
Intorno sbircia con apprensione,
Se non ci sia una tagliola celata.
In esso pantani, tremule e gibbosità,
E muschi e macchie d’ontano,
E là, oltre il terreno fangoso,
Cantano i galli da lontano.
Un gallo il suo grido strombazzerà,
Poi di nuovo una lunga interruzione,
Come fosse intento a meditare
Che senso abbia quella intonazione.
Ma in un cantuccio remoto
Un vicino prenderà a chicchiriare.
Come sentinella nella garitta,
Il gallo la sua risposta vuole dare.
Essa risonerà come un’eco,
Ed ecco che insieme tutti i galli,
Segneranno con la gola come biffa,
I quattro punti cardinali.
Dopo l’appello del gallo
Si aprirà il bosco alle estremità,
E i campi, la distanza e il blu dei cieli
Come fossero cosa nuova esso rivedrà.

(1956)

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Come cenere bronzea di braciere,
Il giardino assonnato sparge calabroni.
Al livello mio e della mia candela
I mondi fiorenti penzoloni.

E, come in una fede inaudita,
In questa notte poter passare,
Dove la betulla tarlata-grigia
Ha coperto il confine lunare,
Dove lo stagno è un segreto svelato,
Dove sussurra la risacca del melo,
Dove il giardino su palafitte è posato
E regge davanti a sé il cielo.

(1912)

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Essere famosi non è bello.
Non questo può sollevare.
Non serve tenere archivi,
Sui manoscritti sospirare.
Scopo del comporre è la dedizione,
Non il clamore, non il vanto.
E’ indegno, non significa niente,
Che di noi, tutti parlino tanto.
Ma vivere senza impostura,
Vivere per trarre a sé infine
Tutto l’amore dello spazio,
Sentire l’appello dell’avvenire.
E lasciare i punti in bianco
Nella sorte, non tra le carte,
Luoghi e capitoli della vita
Sottolineare a parte.

E immergersi nell’incognito,
Celare i propri passi in esso,
Come fa un luogo nella nebbia,
Quand’è immerso in un buio pesto.

Altri dietro le vive impronte
Seguiranno la via da te seguita,
Ma non tu devi distinguere
La vittoria dalla sconfitta subita.
E non devi neanche di un’inezia
Rinunciare al tuo onore,
Ma essere vivo, vivo sempre
E soltanto, fino alle ultime ore.

(1956)

 

Achmatova e Gumilev

Achmatova e Gumilev

Musica

La casa si ergeva come torre.
Su per la stretta scala
Portavano il pianoforte due forzuti,
Come sul campanile una campana.
Trascinavano in alto il pianoforte
Sulla vastità del mare urbano,
Come le tavole dei comandamenti
Su un pietroso altipiano.
Ed ecco nel salotto lo strumento,
E la città nel sibilo, nel chiasso,
Come sott’acqua al fondo dei miti,
E’ rimasta sotto i piedi in basso.
L’inquilino del sesto piano
Guardò la terra dal balcone,
Come reggendola sulle mani
E dominandola a buon ragione.
Tornato dentro egli attaccò
Non un pezzo di chiunque altro,
Ma un’idea propria, un corale,
Un brusìo di messa, un boschivo canto.
Lo scroscio degli improvvisi portava
La notte, la fiamma, le botti rombanti,
La vita della strada, le ruote stridenti,
La sorte di chi vive lungi dagli altri.
Così di notte, al lume di candela, in cambio
Del semplice candore del passato,
Il suo sogno annotava Chopin
Sul nero leggìo di legno intagliato.
Oppure, oltrepassato il mondo
Di quattro generazioni, era
Sui tetti delle case cittadine –
Il volo delle valchirie come bufera.
O la sala del conservatorio
In una baraonda pazzesca
Fino al pianto Čajkovskij agitava
Col destino di Paolo e Francesca.

(1956)

*

Negli anni un giorno o l’altro in un concerto
Mi soneranno Brahms, – proverò la nostalgia.
Trasalirò, ricorderò l’unione di sei cuori,
I passeggi, i bagni, l’aiola di casa mia.
La fronte dritta della pittrice, timida come sogno,
Con un sorriso mite, un beato sorriso,
Un sorriso immenso e chiaro, come globo,
Il sorriso della pittrice, la fronte e il viso.
Mi soneranno Brahms, – mi abbandonerò,
Ricorderò l’acquisto di provviste e grano,
I gradini del terrazzo e l’arredo delle stanze,
Mio fratello, mio figlio, l’aiola, l’ontano.
La pittrice macchiava l’erba coi colori,
Le cadeva la tavolozza, metteva nelle tasche
Gli arnesi da disegno e i pacchetti di veleno,
Che si chiamano «Basma» e promettono l’asma.
Mi soneranno Brahms, – mi abbandonerò,
Ricorderò l’ostinata sterpaglia, l’ingresso e il tetto,
Il balcone semioscuro e il vivaio delle stanze,
Il sorriso, le ciglia, la bocca e l’aspetto.
E di colpo avrò gli occhi umidi di pianto
E sarò zuppo prima ancora d’essermi sfogato.
Dalle fessure usciranno i dintorni, i volti,
Gli amici, la famiglia, l’amaro passato.
E cinto il canto, come si cinge un albero,
Formeranno un cerchio sul prato intermezzo,
Come ombre, quattro famiglie gireranno
Con un puro, come l’infanzia, motivo tedesco.

(1931)

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Poesia

Poesia, io giurerò su di te
E finirò dopo aver perso la voce.
Non sei un portamento eloquente e bello
Ma sei l’estate in un posto di terza classe,
Tu sei un sobborgo e non un ritornello.
Tu – afosa come via Jamskaja a maggio,
La ridotta a Shevardino di notte,
Dove le nuvole emettono lamenti
E separatamente vanno a frotte.
E nell’intreccio dei binari duplicandosi, –
Un sobborgo e non un ritornello –
Strisciano dalle stazioni verso casa
Non con un canto, ma con sconcerto.
Le gemme della pioggia affondano in grappoli
E a lungo a lungo fino a prima mattina
Abborracciano dai tetti il loro acrostico,
Mettendo le bollicine in rima.
Poesia, quando sotto il rubinetto c’è un truismo,
Vuoto come lo zinco del secchio, nulla più,
Anche allora il getto è lo stesso,
Il quaderno è aperto, – scorri giù!

(1922)

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