immagine a computer del pelandrùn Salvini nelle vesti del barbaro Odoacre, il generale dei barbari che sconfisse Oreste, generale romano, e pose fine all’impero romano d’Occidente nel 476 d.C. Un magnifico esempio di come le sorti delle democrazie parlamentari d’Europa siano in pericolo e di poter naufragare in una confusa ideologia sovranista e antieuropea fatta di filo putinismo e anti atlantismo. Il pelandrùn ha detto che intende andare a Mosca a incontrare Putin, che ci vada pure magari con la maglietta quella con stampato il busto dell’autocrate russo in divisa militare. Il pelandrùn si comporta come il barbaro Odoacre, vuole mettere fine alle democrazie parlamentari perché hanno fatto il loro tempo, ma le democrazie parlamentari, pur con tutti i loro difetti, fanno paura alle autocrazie del globo… i dittatori temono le democrazie, le demonizzano, vogliono sanificarle, denazificarle, deucrainizzarle, saponificarle, derattizzarle… ma le democrazie sono più forti delle autocrazie e delle loro menzogne, e vinceranno con la forza stessa della debole e contraddittoria istituzione chiamata democrazia.
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caro Gino Rago,
Il modernismo europeo in poesia come nel romanzo finisce negli anni Novanta. Zbigniew Herbert, uno dei massimi rappresentanti del modernismo europeo ha scritto negli anni Novanta:
«La poesia è figlia della memoria». Herbert scrive questi versi significativi: «stammi vicino fragile memoria/ concedimi la tua infinità».
Brodskij scrive in una poesia del 1988: «il trionfo della memoria sulla realtà».
La memoria, strettamente connessa alla tradizione, è vissuta dai poeti modernisti come la più grande alleata per situarsi entro l’orizzonte della tradizione, e quindi della storia. I poeti e i narratori dell’età del modernismo percepiscono la storia come tradizione e la tradizione come storia, in un nesso indissolubile; e nell’ambito della tradizione introducono il «nuovo», di qui le avanguardie del primo Novecento e le post-avanguardie del secondo Novecento. Con la fine del Novecento, con la caduta del muro di Berlino e del comunismo e la rivoluzione mediatica, le cose sono cambiate: la storia è diventata storialità e la tradizione è diventata museo, museo di ombre e di fantasmi, da difendere e da coltivare perché produce profitti.
La nuova ontologia estetica invece con la sua ultima produzione: la poetry kitchen assume: «La poesia non è figlia della memoria» perché la storia si è mutata in storialità. L’oblio della memoria (da cui i celebri versi di Brodskij: «La guerra di Troia è finita / chi l’ha vinta non ricordo»), segna l’inizio di una nuova poesia, di una nuova narrativa e di una nuova arte: una poiesis incentrata sulla dimenticanza della memoria e sull’oblio della tradizione.
Qui, in nuce, c’è il punto nevralgico della nuova poesia europea.
Un poeta del Dopo il Novecento non potrà più fruire dell’ausilio della memoria, dovrà imparare a farne a meno. La condizione dell’uomo nell’epoca del neoliberalismo è contrassegnata da questa duplice petitio principii: l’oblio della memoria (e della tradizione) e l’oblio della libertà (convertita in scelta tra più prodotti). Il primo motto di Microsoft recitava: «Where do you want to go today?», lasciando presagire la prossima ventura libertà assoluta della navigazione senza limiti nel web. Ma è la locazione dell’opera di poiesis, che ha dis-messo la memoria, l’ha derubricata in storialità, in storia minore. La parola della poesia nel tempo della storialità non fonda né stabilisce nulla tranne la propria interrogazione; un tempo forse la sua finalità era quella di dare un senso più puro alle parole della tribù, oggi questa è una domanda derubricata ad atto di fede. L’interrogazione poetica abita il traslato, il discorso spostato, indiretto, il discorso implicito, il meta discorso. La poesia abita la meta poesia. Dopo Giorgia Stecher (1929-1996) la sfiducia si è impossessata delle capacità discorsive della forma-poesia: i segni si proiettano su un fondale bianco da cui si diramano una molteplicità di significati possibili, altri segni sembrano indicare altri e diversi significati possibili. Il significato di questi segni non può essere conosciuto a priori, i segni sono enigmi che viaggiano nel tempo, o meglio, si diramano in più temporalità, e l’interpretazione di ciò che il tempo dice diventa sempre più problematico. Il tempo dice: nulla. Dunque, nichilismo.
La «secolarizzazione» ha investito il discorso poetico, lo ha privato, da un lato, del radicamento ad uno sfondo metafisico-simbolico, dall’altro, lo ha reso, nelle sue versioni epigoniche, sempre più riconoscibile, lo ha sproblematizzato. La topologia ci dice che tutti i luoghi sono simili, si assomigliano, gli aeroporti, i cavalcavia, le stazioni ferroviarie, i cinema, gli interni ammobiliati delle nostre abitazioni, le carlinghe degli aerei, i portabagagli delle nostre automobili, le nostre valigette ventiquattro ore… tutti i luoghi della nostra vita quotidiana si assomigliano, viviamo in non-luoghi, siamo noi stessi il precipitato dei non-luoghi, di non-eventi, viviamo noi tutti in temporalità terribilmente somiglianti. Il nostro modo di esistenza ha prodotto la moltiplicazione degli istanti, la moltiplicazione delle temporalità, la moltiplicazione delle immagini. Che cos’è l’immagine? L’immagine è l’istante. Che cos’è l’istante? Per Parmenide l’istante, o meglio l’istantaneo è: «L’istante. Pare che l’istante significhi(…) ciò da cui qualche cosa muove verso l’una o l’altra delle due condizioni opposte [del Passato e del Futuro]. Non vi è mutamento infatti che si inizi dalla quiete ancora immobile né dal movimento ancora in moto, ma questa natura dell’istante è qualche cosa di assurdo [atopos] che giace fra la quiete e il moto, al di fuori di ogni tempo…». (Parm., 156d-e).
Questa natura è una finzione, una petizione, una involontaria allegoria della nostra prigionia. Questa finzione narra la nostra condizione ontologica: siamo davanti al video e ci reputiamo presuntivamente liberi. Tutto il resto, ovvero, il reale, ci appare come degli epifenomeni laterali, periferici, consideriamo libertà la non-libertà.
Nell’oblio della libertà c’è tutta l’impossibilità per un poeta di oggi di scrivere come i poeti del modernismo europeo che erano guidati dalla stella polare del valore assiologico della parola «libertà». Tuttavia, come scrive Agamben, il naufragio «apre il luogo della parola, come quello in cui si può soltanto parlare e non sapere».
La dizione «poesia da frigobar», usata da Marie Laure Colasson, contrassegna la poesia del Dopo il Moderno, la crisi ormai ha assunto dimensioni planetarie…
(Giorgio Linguaglossa)
Antonio Sagredo
Mi portava via il Ponte dei Tormenti un non so che di me dal mio canto,
e ogni pietra della mia voce era il viatico per una discreta eternità – d’argilla
era la letania della notte che beffava con le note i miei capricci e il riso,
e conteggiava sul selciato i furori e i singulti – Viole d’amore dei miei occhi!
Tutti i passi erano meno di un’epoca e più di un mosaico greco!
E la caduta dei volti e delle maschere come petali dai balconi, i saluti recitati,
gli addii dai treni di confino, le gonfie glandole dell’infanzia di Pietroburgo.
I poeti sono martiri del futuro, e la loro parola è già oltre torture imprevedibili.
Applausi, e sul palco il can-can di despoti –
spettri ossuti del Moulin Rouge!
Torbidi tempi io vi sento… sipario!… ciak! –
siete pronti al trionfo delle apocalissi?
Giuseppe Gallo
28 aprile 2022 alle 9:25
Omaggio alla “Pallottola” di Gino Rago
Il proiettile, dopo aver sorvolato la Muraglia cinese,
gli era entrato nell’occhio sinistro,
ma né Vic, né Mary se ne erano accorti.
-Mamy…
-Sì…
-Ho una pupilla ballerina!
-No! No! Ha l’occhio pigro! Sentenziò l’oftalmico.
-No, ribatté la madre, è un tentativo di suicidio.
-A quest’età? Si oppose il padre.
-Sì, perché mio figlio è molto precoce!
Jerry, comunque, gironzolava per casa come se niente fosse.
L’occhio pigro continuava a essere pigro
e non si curava di inseguire le farfalle
o le nuvole che si accoccolavano sulle sue spalle
invece che sulle antenne della città.
-Come farai a vivere
se non guardi sopra e sotto, sia a destra che a sinistra?
Si preoccupò la sorella.
-Non so… Perché non me la togli tu questa pallottola?
-Io?
-Tu, sì!
Allora Terry gli strinse il viso tra le mani,
afferrò il proiettile con gli incisivi e gli diede uno strattone.
E fu guerra tra Russia e Ucraina.
Mauro Pierno
2 Maggio 2022 alle 13:33
Scappa di mano persino il sale. Da un buffet all’altro viaggia la fragranza dei cingoli. (F.P. Intini)
Ma poi non si ferma, da vero canto di disperazione. (Lucio Mayoor Tosy,)
una Bomba H, quella al neutrone che lascia le cose intatte e uccide gli esseri viventi (G. Linguaglossa)
Chi dovrebbe provvedere è in vacanza e non ha nessuna intenzione di tornare. (F.P. Intini)
lavatrici che si pensano libere dal giogo della centrifuga. (F.P. Intini)
la guerra di invasione di uno stato sovrano come l’Ucraina ha reso tutto ciò assolutamente evidente. (M.L. Colasson)
due cosmonauti russi i quali hanno issato a bordo della navicella spaziale la bandiera con la Z impressa. (M.L. Colasson)
aumentano i segnali che il regime si sta trasformando da autoritario a totalitario.( Greg Yudin )
leading from behind (Barack Obama)
L’America sarà l’Arsenale della democrazia». (Franklin Delano Roosevelt)
Ogni anno, il genere umano produce più di un trilione di immagini.(Linguaglossa)
E poi c’è questo gerundio che è sospettoso, perché indica una azione in atto (Sagredo)
Chissà che caldo fa in Africa! “ (A.Cechov).
E l’assassinio della Anna Politkovskaja non fu forse una regalo che si fece nel giorno di compleanno (Antonio Sagredo)
Le sue dita grasse sono pingui come vermi,
le sue parole sicure come pesi.(Osip Mandel’stam)
Scipione da grande generale aveva vinto ma si guardò dalla ambizione di voler stravincere.(Linguaglossa)
I cannoni della pandemia sono rimasti per qualche istanti vuoti.(F.P. Intini)
Una nuova genia d’animali viene fuori dai boschi di Chernobyl. (F.P. Intini)
Dvorský Petr Král a un certo punto della sua ermeneutica parla di poetica come “costellazione di parole” :(Gino Rago)
i cavoli da 81 a 99 rubli al kg
le patate da 50 a 53 rubli al kg. (Giorgio Linguaglossa)
TUTTO SI GENERA NEL CREMLINO E TUTTO DEGENERA NEL CREMLINO .(Sagredo)
Pacchi di odio legati con lo sputo.
-Tutto in ordine però-, rassicura l’airbag.”
(Francesco Paolo Intini)
le parole iperbariche, quelle stordite e istupidite da una immissione di ossigeno ad altissima densità (Marie Laure Colasson)
Sulla entalpia, cito la Treccani (Giorgio Linguaglossa)
partendo da James Joyce e Virginia Woolf, per il romanzo, da Ezra Pound e T. S. Eliot, per la poesia, (Rago)
E ci sovvennero i geroglifici incisi,
e le parole non identificate,
(Giuseppina De Palo)
Poi sono giunti dei presunti sacerdoti o qualcosa del genere a confondere i più le acque.(Sagredo)
Con la fine del Novecento, con la caduta del muro di Berlino e del comunismo(Linguaglossa)
o canto di disperazione. (Lucio M. Tosy)
Tra un po’ tolgo gli orpelli…
Mauro Pierno
2 Maggio 2022 alle 13:40
Scappa di mano persino il sale. Da un buffet all’altro viaggia la fragranza dei cingoli.
Ma poi non si ferma, da vero canto di disperazione.
una Bomba H, quella al neutrone che lascia le cose intatte e uccide gli esseri viventi.
Chi dovrebbe provvedere è in vacanza e non ha nessuna intenzione di tornare.
lavatrici che si pensano libere dal giogo della centrifuga.
la guerra di invasione di uno stato sovrano come l’Ucraina ha reso tutto ciò assolutamente evidente.
due cosmonauti russi i quali hanno issato a bordo della navicella spaziale la bandiera con la Z impressa.
aumentano i segnali che il regime si sta trasformando da autoritario a totalitario.
Leading from behind
L’America sarà l’Arsenale della democrazia
Ogni anno, il genere umano produce più di un trilione di immagini.
E poi c’è questo gerundio che è sospettoso, perché indica una azione in atto
Chissà che caldo fa in Africa!
E l’assassinio della Anna Politkovskaja non fu forse una regalo che si fece nel giorno di compleanno?
Le sue dita grasse sono pingui come vermi,
le sue parole sicure come pesi.
Scipione da grande generale aveva vinto ma si guardò dalla ambizione di voler stravincere.
I cannoni della pandemia sono rimasti per qualche istanti vuoti.
Una nuova genia d’animali viene fuori dai boschi di Chernobyl.
Dvorský Petr Král a un certo punto della sua ermeneutica parla di poetica come “costellazione di parole”
i cavoli da 81 a 99 rubli al kg
le patate da 50 a 53 rubli al kg. (Linguaglossa)
TUTTO SI GENERA NEL CREMLINO E TUTTO DEGENERA NEL CREMLINO.
Pacchi di odio legati con lo sputo.
-Tutto in ordine però-, rassicura l’airbag.
le parole iperbariche, quelle stordite e istupidite da una immissione di ossigeno ad altissima densità.
Sulla entalpia, cito la Treccani
partendo da James Joyce e Virginia Woolf, per il romanzo, da Ezra Pound e T. S. Eliot, per la poesia
E ci sovvennero i geroglifici incisi,
e le parole non identificate,
Poi sono giunti dei presunti sacerdoti o qualcosa del genere a confondere i più le acque.
Con la fine del Novecento, con la caduta del muro di Berlino e del comunismo
o canto di disperazione.
(Lucio Mayoor Tosi)
1 Maggio 2022 alle 19:16
caro Gino,
ci restano le parole iperbariche, quelle stordite e istupidite da una immissione di ossigeno ad altissima densità. Oggi abbiamo le parole ossigenate, ibrididatizzate, ibridizzate. La poesia di Intini fa incetta in grande quantità di queste parole mitridatizzate e addomesticate e le fa cozzare le une contro le altre come avviene con i fotoni all’interno del Large Hadron Collider di Ginevra che generano una energia miliardi di volte superiore a quelle immessa nel circuito.
In medicina: terapia iperbarica, tecnica terapeutica che prevede la somministrazione di miscele gassose costituite in prevalenza da ossigeno a pressione superiore a quella atmosferica, utilizzata per aumentare l’ossigenazione del sangue in pazienti colpiti da embolia gassosa. Camera iperbarica, speciale ambiente con pareti a chiusura ermetica, in cui si applica questo tipo di terapia.
Leggo con apprensione che è stato ferito il capo di stato maggiore delle forze armate russe il gen.le Gerasimov, l’inventore della guerra ibrida, ma il generale russo non poteva supporre che anche gli ucraini dispongono di un LHC di altissima qualità e precisione in grado di colpire i fotoni avversari con indubbia efficacia.
(Marie Laure Colasson)
2 Maggio 2022 alle 7:57
cara Marie Laure,
in quanto alla guerra dei fotoni dell’HLC e alla guerra teorizzata da Gerasimov, la guerra ibrida, mi permetto di notare che anche la NOe ha teorizzato e praticato la iperbarizzazione delle parole ottenuta in una camera stagna mediante la ipermitridatizzazione e la iperibridazione delle parole, che è quella cosa lì che sta facendo in maniera encomiabile Francesco Paolo Intini.
Sulla entalpia, cito Francesco Intini:
«Il conto è fatto in entalpia ma bisognerà convertirlo in entropia. Ce la mettono tutta i ragazzi prodigi per la relazione semestrale. Tecnezio e Piombo seguiti da Titanio e Ferro lavorano sodo per tutta la notte ma il risultato finale è sempre lì che sfugge. Un po’ di massa non si converte al nichilismo.»
Sulla entalpia, cito la Treccani:
«[ἐνϑάλπω «riscaldare»]. – In termodinamica, funzione (detta anche impropriam. contenuto termico o calore totale) definita come somma tra l’energia interna e il prodotto della pressione per il volume di un fluido termodinamico; ha le dimensioni di un’energia e sua unità di misura SI è quindi il joule (J).»
Siamo entrati in quella dimensione fotosferica e fotogrammatica dove le cose (e le parole) che accadono sembrano accadere in vitro, in virtuale, all’interno della superficie di un monitor. Il reale è scomparso, ma non per far luogo all’Iperreale come asseriva Baudrillard ma per far luogo al minus quantum, al meno di reale. Siamo nella dimensione teorizzata da Zizek del «soggetto scabroso» di cui la poesia di Intini è il risultato ribaltato, un soggetto de-realizzato.
(Giorgio Linguaglossa)
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Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014), Compostaggi (2020). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”.
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Giuseppe Gallo, nato a San Pietro a Maida (Cz) il 28 luglio 1950 e vive a Roma. È stato docente di Storia e Filosofia nei licei romani. Negli anni ottanta, collabora con il gruppo di ricerca poetica “Fòsfenesi”, di Roma. Delle varie Egofonie, elaborate dal gruppo, da segnalare Metropolis, dialogo tra la parola e le altre espressioni artistiche, rappresentata al Teatro “L’orologio” di Roma. Sue poesie sono presenti in varie pubblicazioni, tra cui Alla luce di una candela, in riva all’oceano, a cura di Letizia Leone (2018.); Di fossato in fossato, Roma (1983); Trasiti ca vi cuntu, P.S. Edizioni, Roma, 2016, con la giornalista Rai, Marinaro Manduca Giuseppina, storia e antropologia del paese d’origine. Ha pubblicato Arringheide, Na vota quandu tutti sti paisi…, poema di 32 canti in dialetto calabrese (2018). È redattore della rivista di poesia “Il Mangiaparole”. È pittore ed ha esposto in varie gallerie italiane.
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Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014), Compostaggi (2020). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”.
Antonio Sagredo è nato a Brindisi il 29 novembre 1945 (pseudonimo Alberto Di Paola) e ha vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza. La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, 2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile.Come articoli o saggi in La Zagaglia: Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984,(pseud. Baio della Porta): Leone Tolstoj le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A. Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale).Ha curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema: Tumuli di Josef Kostohryz , pubblicato in «L ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e KateYina Zoufalová; i poemi: Edison (in Lozio,& ., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L ozio», 1988) di Vitzlav Nezval; (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rud enkova, di Zbynk Hejda, Ladislav Novák, di JiYí KolaY, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar BYezina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo), trad. A. Di Paola e K. Zoufalová.
Qualche considerazione sul soggetto-polittico e sull’io, La Mega Crisi quale causa efficiente della nuova ontologia estetica, Poesie di Giuseppe Talìa, Gino Rago, Giorgio Stella, Commenti di Adorno, Mario Perniola, Giorgio Linguaglossa, Paolo Carnevali,
Digital art
Giuseppe Talia
Caro Germanico,
oggi il sicomoro ha fatto frutti: cachi belli e rotondi.
Teofrasto, stupito, ne ha salvato l’immagine
in uno screenshot da pubblicare su facebook.
“Una simile piantaccia polverosa ha fatto frutti?”
Immediatamente la cia, la cei, il cicap
hanno rilasciato tutti un’agenzia.
Per la cia il fenomeno è probabilmente dovuto
alla velocità dei dati delle reti 5G, all’efficienza spettrale
della velocità di trasmissione della banda larga per cui
tra la radice del sicomoro, i rami in fibra convergente
si è creato un cloud e quindi Parmenide aveva ragione:
“una che “è” e che non è possibile che non sia…”
La cei ci va cauta. Per caso i frutti sanguinano?
Qualche cachi, in verità, presenta una maturazione
precoce: gli acidi, gli zuccheri e gli aromi rilasciano
una poltiglia dall’esocarpo crepato.
Non si registrano volti wanted dell’iconografia globale
se non per quel cachi in alto a destra che pare
assomigliare a San Carpoforo.
Comunque, nel dubbio, i fedeli hanno acceso alcune candele
sotto l’albero e l’industria dei gadget è già in opera.
Il cicap sguazza nella melma scivolosa della polpa.
Ne acquisisce campioni. Il Diospyros kaki desta sospetti.
Teofrasto continua a dire: “una simile piantaccia polverosa?”
Giorgio Linguaglossa
Qualche considerazione sul «soggetto-polittico»
Quando penso all’io, mi chiedo: «io sono io»? – È questa l’interrogazione principiale. È da qui che può prendere le mosse tutto il resto. Ma la domanda permette anche una risposta: «io non sono io». E questo cambia tutto. Adesso sappiamo che io e non-io sono equivalenti, che l’uno è la negazione dell’altro, che l’uno è l’affermazione dell’altro. E impariamo che la negazione e l’affermazione si equivalgono, sono sovrapponibili, e che l’io è forse Altro.
La nuova poesia, la nuova ontologia estetica, non prende per pacifica la questione dell’io così com’è, come faceva la poesia che designiamo solitamente come novecentesca, che procede di lì con una colonna sonora unidirezionale e unispaziale, ma sa che ciò che designiamo con la parola io è una convenzione. Questa consapevolezza, questa problematizzazione cambia tutto, cambia il rapporto dell’io con il linguaggio. Cambia il linguaggio. Cambia il linguaggio poetico.
Ciò che mi costituisce come soggetto, ecco la questione centrale. Non è dal soggetto che dobbiamo partire, ma dall’esterno, da ciò che ci rende soggetto, che sono gli Altri e l’Altro. È da qui che dobbiamo ripartire per una perlustrazione del cosa è il soggetto.
Questo esercizio di porre da parte il soggetto è una vera e propria «iniziazione» come dice Rovatti. Il soggetto è veramente soggetto soltanto quando si sdoppia, si triplica, si quadruplica; quando il soggetto abbandona se stesso, prende le distanze dal se stesso, quando è impegnato a costruire una nuova soggettività, quando lateralizza se stesso, si decentra, quando subentra un altro soggetto che prende il posto del primo e lo mette tra parentesi, lo spiazza, lo decentralizza.
Quando tutto ciò accade, allora il soggetto diventa pienamente se stesso in quanto è Altro e di Altri.
Allora, da questa molteplicità di soggetti, da questo indebolimento del soggetto, proprio da qui può nascere un soggetto fortificato, un soggetto invincibile. Un soggetto nuovo. Un «soggetto-polittico».
Il soggetto che si riappropria del soggetto non finisce mai di essere soggetto ma lo diventa sempre di nuovo. E qui il problema della «identità» sa di calcolo combinatorio, calcolo stocastico. Gli enunciati analitici non li si può ridurre alla formula A è B. Ogni volta il soggetto ricomincia daccapo, riapre lo scarto con il proprio mondo pulsionale e rappresentativo.
Con le parole di Giorgio Agamben, diremo che il soggetto della attuale fase della civiltà occidentale è a-musaicamente costituito, cioè dal punto di vista musicale è eminentemente cacofonico, la cacofonia è la legge segreta che muove il «soggetto-polittico».
Paolo Carnevali
Un interessante articolo che ho condiviso, Giorgio Linguaglossa. C’è una verità profonda in quello che hai scritto e mi auguro di cuore che venga letto da molti in rete. Aggiungo una mia modesta interpretazione sociologica, forse non condivisa: credo che la nostra sospensione nel tempo trovi attraverso il narcisismo, l’espressione esasperata dell«io», la certezza di esserci, di non essere dimenticati. Dunque l’interminabile ossessione di non essere dimenticati. Ecco che molti si rifugiano nella poesia o almeno quello che credono essere per loro “poesia”. Speriamo veramente che cambi il linguaggio dell’«io»…..
Aforismi da Minima moralia, Einaudi, 1954
L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità.
L’intelligenza è una categoria morale.
L’umano è nell’imitazione; un uomo diventa uomo solo imitando altri uomini.
La decadenza del dono si esprime nella penosa invenzione degli articoli da regalo, che presuppongono già che non si sappia che cosa regalare, perché, in realtà, non si ha nessuna voglia di farlo.
La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta.
La vera felicità del dono è tutta nell’immaginazione della felicità del destinatario.
Non c’è correzione per quanto marginale o insignificante che non valga la pena di effettuare. Di cento correzioni ognuna può sembrare meschina o pedante; insieme, possono determinare un nuovo livello del testo.
Ogni satira è cieca verso le forze che si liberano nello sfacelo.
Veri sono solo i pensieri che non comprendono se stessi.
Giorgio Stella
Portato via in una clinica più idonea al suo caso.
La cuccia per criceti fatta a mano non ha il criceto quello è a parte ma è
[scontato.
[…]
Zagor Tex Mister.NO poi Dylan Dog rovinò tutto.
La clinica è fuori città per evitare i rumori… vanta una piscina ma gli ospiti [non ne vogliono sapere.
[…]
Se ha bussato qualcuno avrebbe prima citofonato; la cassetta della posta è vuota quindi non si aspetta nessuno.
[…]
ci sono distributori automatici al primo piano della clinica ma la caffetteria è decaffeinata per ovvi motivi e le merendine dietetiche perché chi è pazzo
[in genere ha pure il diabete.
[…]
Le trote pescate al laghetto pesate valgono più dell’ingresso ma le mangeranno colleghi o amici facendo finta che il dono sia per loro.
Bussano prima di citofonare sono Zagor Tex Mister.No Dylan Dog li vede dallo spioncino.
[…]
La caposala della clinica ha una piccola gabbietta con dentro un criceto.
Dice che il paziente ripete in continuazione che il paese della morte ha [l’ampiezza del cuore. Continua a leggere →
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