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POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELL’ADDIO (Parte IV) Sabino Caronia, Gabriella Sica,Paolo Polvani, Lidia Are Caverni, Marzia Spinelli, Cristina Sparagana, Stelvio Di Spigno

Albrecht Durer ex-libris 1516

Albrecht Durer ex-libris 1516

«Il tema dell’addio. L’addio è una piccola morte. Ogni addio ci avvicina alla morte, si lascia dietro la vita e ci accorcia la vita che ci sta davanti. Forse il senso della vita è una sommatoria di addii. E forse il senso ultimo dell’esistenza è un grande, lungo, interminabile addio».

 

sabino caronia

 

 

 

 

 

 

Sabino Caronia

Adieu

Altera ti ricordo, altera e bella
passare, così passano le stelle.
Sì, ti ricordo, lo ricordo ancora
quel tuo strano, dolcissimo sorriso.

Ma a che serve un ricordo, a cosa giova
la lontana memoria di un sorriso?
Anche i ricordi non sono che mani
che non si toccano, e ogni cosa muore.

 

a Luca Canali

E se pure di noi resta qualcosa,
oltre un nome ed un’ombra senza peso,
tu Catullo, dottissimo poeta,
d’edera cinto il giovinetto crine,
nella valle d’Eliso sorridente
vienigli incontro e tendigli la mano.

 

Gabriella Sica

Gabriella Sica

gabriella sica Le lacrime delle cose

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gabriella Sica

2
Non altro che il tuo lento sparire
alla mia mente, polvere d’amore
al volgere pacificato delle stagioni
come verso l’Ade scivola il tempo
e al prato degli asfodeli quieti
al soffrire dei morti per la morte.

3
Separarsi è l’aprirsi di una crepa
nel terribile sentiero dei morti
è lo spirito che sporca i bei giorni
e rompe come ascia il cielo vasto
è spiluccare i dolci chicchi rubini
dischiusi nel lungo solco nero.

aprile 2004

Da Le lacrime delle cose (2009)

 

Paolo Polvani, 2013 Murge

Paolo Polvani, 2013 Murge

Patrizio Dimitri 3

 

 

 

 

 

Paolo Polvani

Assaggiare il vuoto

Accade che un giorno spalanchi la finestra e senza
consultare l’orizzonte, decidi
di assaggiare il vuoto, di sperimentare
le conseguenze delle leggi gravitazionali.

E io che cosa avrei dovuto più inventare, non basta
saper sorridere, ascoltare non è una condizione sufficiente.
Ci sono congiunture e adesso la cosa mi appare nella sua evidenza.

Spalancare la finestra e dire sì al vuoto, alla sua bocca aperta,
alla fame di te che manifesta. Erano già in riserva le lacrime
e il muro bianco d’ospedale esaurita ogni possibilità.

La bellezza non è un lasciapassare. Volevi essere accolta
hai scelto il vuoto di un cortile, lo spazio
bianco di un lenzuolo.

.

A Pino che se ne va

Così sei morto. Sul pavimento il cacciavite
aspetta le tue mani sporche di grasso e i colpi di tosse
del motore.

E’ nella stanza accanto, dice qualcuno.

Se fosse vero ci daresti un segno: una pinza
che cade, uno sportello che si chiude, una valvola
col minimo rotolio che l’accompagna.
Un colpo sulla scocca.

Ma tu sei morto e tutti ti voltano le spalle, anche i tuoi figli
non ti riconoscono, non riconoscono il tuo silenzio.

Tu continui a guardarli rigirando un sorriso
stranito tra le mani, impacciato
davanti a tanta incomprensione.

La vita ti ha condotto fin qui e adesso
non sta bene che continuiamo a parlarti

sei sceso senza domandare
sei sceso con la faccia buona
quasi chiedendo scusa

e non c’è niente da ridere
niente da ridere.

 

lidia are caverni l'anno del lupo

lidia are caverni

lidia are caverni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lidia Are Caverni

Avresti voluto un bacile per detergere
mani dopo l’abbandono si era consumato
il sacrificio del sole la spada tratta che toglie
via la luce del giorno aprendosi alla sera
al fresco bagliore che confonde voli il lieto
sconfinare della finestra dove non penetri
ombra proveniente dai sogni dall’esalazione
incerta di notti chine per i miei respiri
lo snodarsi lento delle attese a dipanare
gli intrighi dei capelli meduse ormai relitte
sulle spiagge di mari dove i corpi si confondono
persi di ebbrezza.

*

Per non smarrire il pezzetto di cielo
vuoto ormai di voli andranno presto
altrove i rondoni nella continua ricerca
nel mirto ti confondi nascosto nell’ultimo
fiore il cuore si stringe che non vedi
gabbiano altero che cacci pulcini fra
le tegole del tetto come fossi aquila
roteante sulle cime che tutte attendono
a sovrastare il mare il guizzare lieto
dei pesci nei fondali trasparenti dove
le ghiaie si consumano per non tacere
le parole masticate a metà già colorate
d’ombra dove non mi trovi.

(inediti, da Brividi di tempo 2007)

 

 

Marzia Spinelli

Marzia Spinelli

marzia spinelli cop

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Marzia Spinelli

Come addii

Non hanno fine le parole degli addii,
le vorremmo perfette come sembravano le cose.
Parlavano ai giorni,
sapendo quanto imperfetto l’avvenire.
Parlano ancora
sciupate in un via vai frenetico,
teso l’orecchio all’oblio. Continua a leggere

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Antologia L’amore ai tempi della collera a cura di Roberto Raieli letto da Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

Antologia L’amore ai tempi della collera a cura di Roberto Raieli Lietocolle, pp. 239 € 15

Ha scritto Salvatore Martino in un recentissimo commento nel blog lombradelleparole.wordpress.com a proposito di una Antologia della poesia contemporanea proposta dal blog : “Dai libri che ricevo molto spesso, dalle infinite presentazioni, dal fiume che naviga su internet sono arrivato alla conclusione quasi imbarazzante e forse pericolosa che il discorso poetico sia diventato un prodotto di massa. Chissà! In un tempo quasi per me archeologico pensavo che la poesia fosse una rara avis, un gioiello posseduto da una elite, tanto difficile, impervio, angoscioso mi pareva il percorso per arrivare ad un risultato di livello frutto del talento innato e della techné, della lettura, dello studio, della bottega dove frequentare uno o più maestri. Arrivato ad una età dove chiamarsi vecchio è obbligatorio mi avverto spiazzato, incapace di comprendere questa nuova realtà. Una cosa so di certo: rarissimamente leggo poesie fatte di immagini, in qualche modo emozionanti, di musica e di pensiero. Molta approssimazione e il più delle volte un andare a capo fatto solo per dissimulare una scadente prosa. Ma allora perché questo prodotto fluviale di massa non diventa anche una fruizione di massa”.

OLYMPUS DIGITAL CAMERASempre sul blog,  ho replicato: “Rispetto la posizione di Salvatore Martino, che coglie alcuni aspetti emblematici come quello dell’a capo… ma non mi sento di condividerla… oggi la poesia contemporanea sembra aver smarrito qualsiasi regola certa dell’a capo, è vero, ma questo, secondo me, invece di essere un difetto, rischia di diventare un elemento positivo; voglio dire che la poesia contemporanea sembra essersi liberata di questo problema, voglio dire che il problema sembra essersi dissolto come neve al sole… Per la verità anche ai tempi di Leopardi e nel Settecento in piena arcadia si contavano migliaia e decine di migliaia di poetanti, e così anche ai tempi di Catullo, certo oggi il fenomeno si è diffuso, è diventato un fenomeno di massa, ma non può certo dirsi che poeti di lunghissima esperienza e cultura come Renato Minore o Laura Canciani (tanto per fare due nomi a caso) non sappiano come e quando andare a capo… il fatto è che presso altri più giovani autori è mutato il concetto di poesia, Ivan Pozzoni dichiara di fare anti-poesia, di voler mettere della dinamite nella poesia, quindi rimproverargli di non avere una regola aurea per la sua versificazione è un rimprovero che non centra il bersaglio, perché quel bersaglio Pozzoni non lo vuole proprio colpire, lui cerca un altro bersaglio: quello della poesia che fa finta di dire qualcosa, che si affida alle aure, alle atmosfere sentimentali, alle dorature, alle stuccature pseudo sperimentali di tanta altra poesia. E poi, se si legge con attenzione e senza pregiudizi, mi sembra che gli autori di questa puntata dell’Antologia abbiano delle qualità.
Contrariamente al mio pessimismo degli ultimi anni, forse mai come oggi la poesia contemporanea è viva, vitale, effervescente… forse manca il Leopardi, ma, in fin dei conti, chi lo può dire con matematica certezza?”. Continua a leggere

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ANTOLOGIA IV PER IL PARNASO – Roberto Maggiani, Giuseppe Panetta, Chiara Moimas, Sabino Caronia, Giuseppina Di Leo, Marzia Spinelli, Davide Cortese, Stelvio Di Spigno

Parnaso 1

roberto maggiani

roberto maggiani

Roberto Maggiani

La paura

È un qualunque mattino di serenità:
il sole alto sull’orizzonte marino
la nuvola bianchissima nell’azzurro subtropicale
la palma ondeggiante lungomare
il frastuono dell’onda sulle pietre.

Minuti sospesi
sul baratro dell’inesistenza –
ma noi di questo non ci preoccupiamo.
Nell’Universo dal vuoto metastabile
(potrebbe disintegrarsi da un momento all’altro)
qualcuno si spaventa per una sirena

un incendio improvviso nel bosco
un forte vento.

La paura
è solo un momento in cui vediamo
riflessa nel mondo
la precarietà
della rete che ci sostiene.

 

rene_magritte-les_deux_mysteres1966-1300px[1]

Giuseppe Panetta

Il cuore assente per il troppo battito
gli occhi riversi nel bagliore di compassione
e la luce del lavacro torbido di Giove prono nella galassia
antigene del Potere asfittico pronipote di Venere distributrice
di bevande nell’aferesi della prima spremitura di nube con la sorte
della grappetta dei fogli pidocchiosi d’inchiostro dall’alto del satellite cieco
il profilo del malaffare planetario pesca nell’idolatria rinsecchita del dio denaro
in rivoli di melma di una qualsiasi povertà che vìola e recide la protostella al nascere
della galassia del vivere nell’infrarosso interagente nel libertinaggio masturbatore
d’ogni fibra oftalmica avvelenatrice del rimpatrio delle stelle dell’orsa maggiore
che guidano i disperanti nel mare nostrum della sera con diaspore di sconforto
di speranza nei frangiflutti delle luci morte delle supernove che come fari
d’ogive e distruzione di gas e polveri in luogo del seme rifuggono
nel procellarum muto l’oscurità il riassetto del mondo per mano
d’uomo e in questo primo quarto il nulla a-cosmico
come un corno d’Africa porta fortuna

Chiara Moimas

Chiara Moimas

Chiara Moimas

Preziosamente

Zaffiri stemperano il cielo e l’orizzonte,
acquamarina fresca zampilla dalla fonte,
rossi rubini a coprir l’occiduo sole
e d’ ametista i petali delle nascoste viole.

Smeraldi intensi sopra i pendii e sui prati,
coralli e lapislazzuli son fiori profumati,
stille di diamanti paion gocce di rugiada
e sopra le tue palpebre il pallore della giada.

La notte si accende, son topazi le stelle,
ed è d’ambra dorata la tua pelle,
boccioli di corniola i pruni del tuo seno
racchiusi nel cristallo i colori del baleno.

Bisso prezioso e casto a ripararti il pube
e incenso conturbante che avvolge in una nube.
Un’ostrica ho divelto per cullare il tuo riposo;
opalescente perla, che toccar non oso.

untitled

Sabino Caronia

da Diario di un’assenza

È il vuoto che mi lasci la mia vita.
No, non manca la sedia ma il tuo posto
e più manca la voce e più il silenzio
dell’averti qui accanto, di quei grandi
occhi perduti che lasciano il mondo.
Anche la chiara luna su nel cielo
solitaria di te nel buio splende.
Tutto intorno è il diario di un’assenza.

A distanza

A distanza, dai luoghi che traversa
l’ansia d’averti, come sai, ti chiamo
ed una gioia sento in me diversa
a cui m’arrendo come pesce all’amo.

Tutta la vita in fondo è cosa persa,
l’inganno di un inutile richiamo,
la filastrocca bella e un po’ perversa
che ci seduce con il suo “ti amo”.

Pure resta un ricordo: l’usignolo
che cantava nel bosco ed era solo
e l’ombra che scendeva nella sera

dalle ciglia, materna ombra severa,
e gli angoli incurvava della bella
bocca altera e distante come stella.

 FOTO G. DI LEO

Giuseppina Di Leo

Un uomo dai quattro occhi ho guardato
due li aveva nel petto sotto la camicia
ronzavano alla maniera di un animaletto
ali le ciglia sbattevano segretamente
senza esser visti divoravano
l’eccesso del cuore facendolo sterile
gli occhi del viso erano gioiosi
si posavano curiosamente
sui platani dal bordo castano
stimme verde arancio o di morfea
nella morfallassi di un tempo intero
avanzavamo a scoprire genesi e genere
a un’età dove riposto è già ogni sgomento
con altri occhi somiglianze non ve n’erano
mai ne avevo visti di così belli;
ma i due occhi nel petto
non mi fu possibile guardare
né mi preoccupai invero di scoprirli
segreti ammorbavano chiarori in lampi
e, allontanandomi, essi trafissero il dolore.

*
C. M. E.

La cenere nuota nell’acqua
di un bicchiere mezzo vuoto.
Una cicca di primo mattino.
Qualche scatto assestato per bene
tra piccoli fiori coltivati ad arte
nel piccolo giardino davanti
l’alloggio, e se puoi dimmi
al risveglio cosa ricordi
se il bacio sulle labbra
a quale parola associare.

Aria fresca e avvio di un motore
un pensiero anche
apertosi tremando
come noi tremiamo.

Spinelli foto

Marzia Spinelli

Ti ho cercato in ogni deserto
per le strade di questa odorosa
amorosa città
ho scavato nella terra
e abbracciato la carne
disegnando un sorriso
un suono della tua voce
un profumo tuo
nel giorno
che continua il sogno di te
della notte, di notte qualcosa di te
ho immaginato
la tua lucente armatura d’eroe
e il mio abito di fanciulla perduta
per entrambi
in un trasparente corpuscolo
nella grana ruvida delle stelle
nell’aurora una nuova sembianza di noi.

(inedito)

davide corteseDavide Cortese

Vomito boschi dalle erbe odorose,
unicorni dalle storie millenarie.
Con un solo filo dei miei pensieri
giovani marinai dimenticano il mondo
intrecciando con dita di scheletro
gasse degli amanti e nodi dai nomi
che i loro figli mai nati
non smettono ancora di inventare.
Ciò che si muove nel mio ventre
è l’intero mondo,
bagnato fradicio, fino al cuore di fuoco,
dalla pioggia splendente della vita.
Ma sarò solo una gabbia d’ossa
se ora tu non verrai ad amarmi.
Sarò il cimitero dei miei popoli iridati,
degli arcani baciatori,
dei miei incendiari poeti.
Sarò maestoso nubifragio di tristezze
se solo tu ora non verrai.

(da “Anuda” Aletti 2011)

Elvio Di Spigno

Stelvio Di Spigno

Barcarola della fortuna

A Stefania Buonofiglio

Fai brillare i cavalli al tuo treno perché
è soltanto miseria il nostro mondo, anche se
si affaccia a rincuorarti mentre cammini
ai bordi di una foto, su Positano inusitata
di colori e di acacie, e a lungo la faccia che hai
perde il verde del suolo primitivo.

Brevettammo universo e allegria, come a metà
del Novecento i nostri avi, entrambi contadini,
ma su due facce di cielo distanti in fascine,
poi vennero i giorni di caduta, ora ricordo
che fosti incinta di me come una madre,
mi curavi e cercavi, mi adottavi e viravi

la tua barchetta molle delle astuzie marine
verso un’isola dove restasti sola, drammatica,
a morire di sghembo, senza essere chiamata,
più da nessuno da quel giorno, dolcezza,
signora, amore, pietà, larghezza amata.
Restano tra i vivi gli olivi calabresi,

il filmino della casa, l’anno 2006, la mente andata,
e ogni nuovo volto è un dolore che affoga:
popolammo il motore della fine, quando
tutto cominciò, in un giorno di carta, ere fa,
nessuno ancora l’ha scritto o l’ha tradito,
perché a ogni fatica noi affondammo insieme.

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