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Giorgio Linguaglossa: Sulla ventilata chiusura dello “Specchio” Mondadori. “Il Sistema Poesia non è riformabile”, “E adesso non resta da fare altro che ricominciare da zero”

Elsa Martinelli, 1967

Elsa Martinelli, 1967

Faccio copia e incolla dei miei interventi sulla vexata quaestio della paventata chiusura della collana de Lo Specchio Mondadori apparsi su questa Rivista  di inizio agosto 2015

1giorgio linguaglossa
31 luglio 2015 alle 10:42 –

A proposito della ventilata «chiusura» dello «Specchio» mondadoriano, condivido l’argomentazione di Matteo Marchesini, e mi avvalgo della facoltà di integrare, almeno in parte, le sue osservazioni con alcuni distinguo:
La vera questione (che investe anche la poesia in dialetto) non è quella del rapporto fra gli idioletti della comunicazione mediatica e la lingua strumentale della comunicazione quotidiana ma quella del rapporto tra il linguaggio poetico e i linguaggi della comunicazione mediatica. Ma già parlare di linguaggi è un pescare nelle profondità della superficie. Oggi i linguaggi tendono a spostarsi sul piano della superficie (infinita senza limiti) propria della società mediatica. Oggi il problema non è più quello tra lingua nazionale e le massime lingue di cultura, in quanto le lingue di cultura internazionali tendono a superficializzarsi in una lingua della superficie internazionale.
Resta vero ancora oggi quello che scriveva Franco Fortini nel 1976:

«In corrispondenza ad un irrigidimento della società in caste (maschera delle classi), il cosiddetto “italiano” o è una sottospecie dell’inglese che serve alla comunicazione dei potenti, dei sapienti, degli eminenti, dei borsisti, degli specialisti, dei registi, ecc. o è esso stesso un dialetto, la lingua d’uso destinata alla comunicazione pragmatica e affettiva. In questo senso i dialetti tradizionalmente intesi ritrovano tutta la loro legittimità: se consideriamo l’Italia una grande Manhattan, nei dialetti tradizionali vi sono linguaggi delle sottoculture, mentre l’italiano della comunicazione corrente (parlata o letteraria) è il linguaggio della sottocultura complessiva peninsulare e, al di sopra, sta l’italiano ufficiale, amministrativo, scientifico o specialistico, che è l’inglese o russo tradotto o traducibile; non a livello linguistico ma a livello morale e culturale. Per questo i dialetti, in quanto superstiti, sono “figura” dell’italiano, che già fin da ora è una lingua superstite. Non corrisponde a nulla di autonomo. Che Volponi scriva in (ottimo) italiano invece che in castigliano è un puro caso geografico».

M.R.Madonna

M.R.Madonna

Se prendiamo invece in esame i testi di quattro poetesse poco conosciute in quanto laterali al circuito della grande editoria ma di sicuro valore: Roberto Bertoldo con Il popolo che sono (2016), Maria Rosaria Madonna (Stige – 1992), Giorgia Stecher (Altre foto per album– 1996, libro uscito postumo), Anna Ventura (Antologia Tu Quoque (Poesie 1978-2013) del 2014, Steven Grieco-Rathgeb con Entrò in una perla (2016)  e Mario M. Gabriele con l’ultimo libro L’erba di Stonehenge (2016), Luigi Manzi con Fuorivia (2013) e Chiara Moimas (L’Angelo della Morte e altre poesie, – 2005), ci accorgiamo che ciò che frigge, non solo semanticamente, nella loro poesia è una scelta di campo: l’attraversare in diagonale il linguaggio poetico ereditato, una critica autolimitazione, una forte tematizzazione della loro poesia con conseguente esaltazione della comunicazione estetica. In autori più famosi, come Antonella Anedda, si percepisce ancora, a mio avviso, un senso «squisito» della comunicazione poetica, un senso «effabile», «affabile», «estatico», «cromatico», «semantico» della posizione estetica: si percepisce nitidamente il suono di violini e violoncelli che esalta il «sublime» o, come nel caso di Jolanda Insana, l’«antisublime» sottostante.

foto Anonymous 2

1. giorgio linguaglossa
1 agosto 2015 alle 9:08

Cerchiamo di non spostare l’ordine del discorso sul discorso sull’ordine. L’ordine va infranto appunto insufflando nei suoi penetralia nuovo e corposo disordine. Questo è il compito del critico, altrimenti egli si ridurrebbe a suonare il piffero ad ogni incantatore di serpenti. Compito del critico è portare dubbi nel campo dell’argomentazione dell’interlocutore… e poi fare in modo che i dubbi camminino da soli.
Io non pretendo mai di aver ragione, ho sempre tenuto presente l’aforisma di Adorno nei Minima moralia secondo cui «Nulla si addice meno all’intellettuale che vorrebbe esercitare ciò che un tempo si chiamava filosofia, che dar prova, nella discussione, e perfino – oserei dire – nell’argomentazione, della volontà di aver ragione. La volontà di aver ragione, fin nella sua forma logica più sottile, è espressione di quello spirito di autoconservazione che la filosofia ha appunto il compito di dissolvere […] Quando i filosofi, a cui sisa che il silenzio riuscì sempre difficile, si lasciano trascinare in una discussione, dovrebbero parlare in modo da farsi dare sempre torto, ma – nello stesso tempo – di convincere l’avversario della sua non-verità».
Il cerchio spaventa perché la sua inattaccabilità è originaria. Allora, l’argomentazione critica dovrà assumere dal cerchio il concetto dell’ordine del discorso da applicare al disordine del discorso proprio del conformismo.

2. giorgio linguaglossa
1 agosto 2015 alle 19:12 

Posto di nuovo un commento che avevo già inserito in altra occasione:
io la penso come il poeta Flavio Almerighi: «il sistema non è riformabile», almeno in Italia. Il problema è ben più vasto, qui non si tratta di un problema tecnico o specialistico, cioè di tipo letterario, ma è più vasto: per riformare il settore della poesia (produzione, commercializzazione, pubblicizzazione e consumo del prodotto), occorre una riforma non solo di tipo letterario, cambiare un dirigente di collana è appena una goccia nell’acqua, in Italia bisogna cambiare le regole del gioco, le regole di cooptazione, le regole non scritte delle lobbies letteraria e politica, la seconda che sostiene la prima, riscrivere le regole del gioco, spezzare le cinghie di trasmissione che legano i partiti alle lobbies. Quando io parlo di “qualità” che dovrebbe presiedere la valutazione di certe scritture letterarie, cioè quelle che non sono di mero intrattenimento, intendo appunto un universo assiologico istituzionale che adotti quel valore, quel criterio metodologico, non ho in mente un criterio mitico idealistico di delibazione dell’opera bella. Occorre soprattutto una riforma della scuola, delle università, della stampa e della televisione, nonché dei mezzi di comunicazione di massa, è un problema gigantesco che attiene a quelle mancate riforme istituzionali e di struttura di cui si parla tanto oggi ma che nessuno dei partiti dell’arco costituzionale ha la minima intenzione di porre in essere. Il problema del settore poesia e narrativa non va visto quindi come un problema specialistico o di comparto, ma è molto più vasto ed attiene al tipo di società che vogliamo costruire, se vogliamo continuare sulla falsariga feudale e coloniale che la politica italiana ha seguito finora, non c’è scampo, la scrittura letteraria e la produzione artistica ne rimarranno condizionate. Tutto ciò mi sembra ovvio. Quindi, come dice Flavio Almerighi, «il sistema non è riformabile».

3. giorgio linguaglossa
2 agosto 2015 alle 11:29

Posto qui un commento scritto stamane su facebook:
Gli ultimi tre libri di poesia de Lo Specchio, quelli di Roberto Dedier, Stefano Dal Bianco e di Franco Buffoni, sono scritture professionali medie, scritture letterarie che adottano un gergo della medietà linguistica, scritture di professori, professionalmente corrette… ma di questo tipo di scritture ne sono capaci almeno un paio di centinaia di persone in Italia. Ad essere seri quindi dovremmo pubblicare nello Specchio libri di almeno 200 persone, il che è un assurdo oltre che una follia. In realtà, di tratta di libri nati già morti. Sono la dimostrazione che si tratta del decesso de Lo Specchio. A questo punto che Lo Specchio continui a pubblicare gli “Amici” e i “Sodali” di una ritrettissima cerchia di persone di Milano e di Roma, che significato può avere? Nessuno, rispondo io. Quindi, che ben venga la chiusura della collana che un tempo lontano pubblicava libri di poesia.
Caro Gianpaolo Mastropasqua, quello di Cucchi e Riccardi non è stato un «errore di politica editoriale», come tu dici, o, almeno, non solo. È stata una strategia fatta a tavolino: quella di voler imporre alla poesia italiana del secondo Novecento il marchio di fabbrica di Milano con, in posizione sussidiaria, i romani (Patrizia Cavalli, Valentino Zeichen, Valerio Magrelli, etc.) fingendo di dimenticare i romani diversi e di diversa qualità come Luigi Manzi (classe 1944) e Carlo Bordini (classe 1938) oltre che Giovanna Sicari (classe 1954), etc, per non parlare dei poeti che romani non erano, ad esempio Helle BusaccaMario M. Gabriele, Edith Dzieduszycka, Salvatore Martino,  Roberto Bertoldo etc. – L’operazione è culminata con la Antologia curata da Cucchi e Giovanardi (nella quale Giovanardi faceva l’esecutore del mandato critico ricevuto). Però, mi viene un dubbio sempre più assillante, ed è questo: che è la visione che della poesia hanno i Cucchi e i Riccardi che non è stata all’altezza di recepire e comprendere la poesia migliore che si è fatta in Italia negli ultimi 40 anni. Questo, credo e temo, è stato un loro limite.Era ovvio che fosse soltanto una questione di tempo, a lungo andare, la loro “visione” della poesia italiana si è rivelata sempre più asfittica e conformista, sempre più ristretta, fino alla implosione finale fatta senza neanche il minimo dubbio che il 90% degli autori pubblicati ne Lo Specchio fosse di media qualità, intendendo con il termine “medio” che ce ne sono in giro almeno altre 200 persone che scrivono a quel livello. E questo ha portato ad una perdita di credibilità e a un livello sempre più basso delle pubblicazioni. Ed il pubblico è scomparso. A questo punto, ripeto, non ha senso chiudere o no la collana de Lo Specchio e quella della Einaudi, in sostanza queste collane hanno già chiuso (virtualmente) non sono più da tempo in grado di individuare i valori poetici e, secondo me, nemmeno ne hanno intenzione. Ed è finita la funzione di «GUIDA» che queste collane hanno avuto nel lontano passato quando al loro timone c’erano persone come Calvino e Sereni, e anche Raboni (pur con i suoi errori).

4. giorgio linguaglossa
3 agosto 2015 alle 11:22 


Riprendo il filo del discorso:
Caro Gianpaolo, hai messo il dito nella piaga, la poesia viene letta quando è una poesia di livello elevato. Il pubblico della poesia che è andato crescendo a dismisura in questi ultimi 4, 5 decenni, ha fatto sì che ci fosse una enorme quantità di libri di poesia in circolazione, e spesso anche ben scritti (io ne so qualcosa dato che mi occupo da due tre decenni di poesia e la leggo), ma il problema non è che siano ben scritti, per essere pubblicati da una collana prestigiosa occorre qualcosa di più. Bisognava avere l’accortezza di mettere in piedi una rete di lettori di diverso indirizzo stilistico e di diversa provenienza culturale allo scopo di ottenere responsi anche contraddittori e conflittuali dai quali trarre le risultanze definitive. E occorrerebbe oggi più che mai mettere in piedi un sistema di valutazione dei testi, dei lettori di alta qualità che possano esprimere un parere sui testi, tutto un lavoro che si mette in piedi (e si doveva mettere in piedi) nel corso degli anni tentando di interessare le migliori menti in circolazione, lavoro che però non si è fatto o che si è fatto affidando il lavoro di vaglio e di selezione dei testi e degli autori a persone che non avevano i requisiti per svolgere questo lavoro con competenza e super partes. Con la conseguenza che si è pensato ad una “scorciatoia”, quella di restringere il campo dei “beneficiati” ad una ristretta cerchia di “amici” e di “sodali”. Si è trattato di un meccanismo che alla lunga si è dimostrato perverso e che ha determinato risultati perversi e discutibili mentre nel frattempo la crisi del mercato editoriale dei libri si aggravava e la crisi ha prodotto il fall out del sistema, il quale è imploso.

E adesso non resta da fare altro che ricominciare da zero.

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POESIA PER BAMBINI di Valerio Gaio Pedini “Dal cielo alla terra” e “C’era una volta” di Chiara Moimas

Enrico Baj I funerali del'anarchico Pinelli

Enrico Baj I funerali del’anarchico Pinelli

POESIA PER BAMBINI

“C’era una volta” di Chiara Moimas

Chiara Moimas è nata a Ronchi dei Legionari nel1953 e vive a Gorizia ha al suo attivo diverse pubblicazioni a carattere didattico su riviste specializzate. Ha pubblicato i volumi di poesia Metamorfosi: donna (Firenze Libri, Firenze 1989) e L’angelo della morte e altre poesie (Ed. Scettro del Re, Roma 2005) che ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Seguono Curriculum vitae (Joker, 2012), e L’acerbo Pruno (Edizioni Progetto cultura, 2014). Sue poesie sono state pubblicate su riviste di settore e nell’antologia Ragioni e canoni del corpo di Luciano Troisio (Terziaria, Milano 2001). Nel 2012 ha vinto il “Premio speciale M. Stefani” al concorso di poesia erotica di Venezia. Si occupa anche di scrittura per l’infanzia e di poesia dialettale (il “bisiac”).

Chiara moimas_parigi

Chiara Moimas seduta su una panchina di Parigi, 2012

“C’era una volta” di Chiara Moimas

C’era una volta, tanto tempo fa,
un paese nel quale Sua Maestà
teneva nel pugno la sorte
del popolo tutto e della corte,
decidendo incondizionatamente
del destino di tutta la gente.
In un mattino dal cielo cupo e nero
nacque nella mente sua un pensiero:
dare vita a riforme senza spese
per trasformare l’intero paese.
Fu così che si formò la Compagnia
delle opere fatte in allegria
e ridendo e scherzando su che fare,
in primis si decise di tagliare.
Tagliare, venne subito chiarito,
ciò che risultava non gradito
a Sua Maestà ed alla Compagnia,
tipo, ad esempio, la democrazia.
Taglia a destra, taglia a manca,
la Compagnia non era mai stanca,
a terra giacevano avvizziti
quei diritti che parevano acquisiti.
Tra il popolo qualcuno, con coraggio,
tentò di fare un mesto ripescaggio,
ma fu tacciato dalla comunicazione
d’esser fautore di restaurazione
ed i nemici primi individuati
furono gli obsoleti sindacati.
Anche l’antica Costituzione
intralciava la neo rivoluzione;
che il lavoro ne fosse il fondamento
era un’idea smarrita nel tempo.
Il nuovo avanzava a spron battuto,
oramai si licenziava per statuto:
tutti, escluso Sua Maestà,
dovevano provar precarietà.
Ma la riforma vera era una sola:
da cima a fondo rivoltar la scuola!
E la Compagnia con grande impegno
si mise a scrivere di legge il disegno.
Più di cento pagine per la presentazione
e scoppiò il grande caos, la confusione.
Chi ci rientrava, chi restava fuori?
panico tra maestri e professori.
Si lesse fra le righe, fatto strano,
che diventava il preside un sovrano,
del grande potere investito,
di scegliersi il docente più gradito:
docile, mansueto, accondiscendente,
che si accontentasse di poco o quasi niente.
Ed ancora si lesse – incredibile visu –
che un comitato avrebbe deciso
a chi dare il premio di produzione:
questa sì, vera rivoluzione!
Risultavano tra i componenti
genitori ed anche studenti.
Ahimè, tanti ministri di ogni schieramento
per troppe riforme finite nel vento,
ed invece ci voleva così poco
per mettere la scuola a ferro e a fuoco,
annientare la scuola statale
si rivelò una cosa banale.
Un po’ di fondazioni, qualche emendamento
e finì la libertà d’insegnamento.

Per nostra fortuna Sua Maestà
ha governato tanto tempo fa,
fortunatamente una storia così
è accaduta lontano da qui (?!).

Cadavre exquis André Breton, Frédéric Mégret, Suzanne Muzard, Georges Sadoul, gouache sur papier noir daté du 10 janvier 1929.

Cadavre exquis André Breton, Frédéric Mégret, Suzanne Muzard, Georges Sadoul, gouache sur papier noir daté du 10 janvier 1929.

POESIA PER BAMBINI

“Dal cielo alla terra” di Valerio Gaio Pedini             

Valerio Pedini nasce il 16 giugno del 1995, di otto mesi, e viene tempestivamente scambiato nella culla: il misfatto viene subito scoperto. Esattamente 18 anni dopo, Valerio, divenuto Gaio, senza onorificenze, decide di organizzare il suo primo evento culturale ad Artiamo (gastrite e l’epilessia e quasi nessuno ad ascoltare); nell’intermezzo ha iniziato a recitare, preferendo l’espressività del teatro di ricerca rispetto al metodismo popolare e a scrivere, uscendo, in collaborazione col circolo narrativo AVAS – Gaggiano, nelle antologie Tornate a casa se poteteRigagnoli di consapevolezza e Ma tu da dove vieni?. Nell’ottobre del 2013 inizia il progetto Non uno di meno Lampedusa, insieme ad Agnese Coppola, Rossana Bacchella, Savina Speranza e ad Aurelia Mutti. A dicembre conosce Teresa Petrarca, in arte Teresa TP Plath, con cui inizia diversi progetti artistici: La formica e la cicalaEssence e Pan in blues e in jazz. Sta lavorando ad una monografia filosofica: Maggiorminore: la disperazione dei diversi uguali. A Maggio 2014 è uscita la sua prima raccolta poetica, con IrdaEdizioni: Cavolo, non è haiku ed è stato inserito nell’antologia Fondamenta Instabili (deComporre Edizioni) e, successivamente, sempre con deComporre Edizioni, uscirà nelle antologie Forme LiquideScenari ignoti e Glocalizzati.

Valerio Gaio Pedini

Valerio Gaio Pedini

1
Svolazzavan i pesciolin di sera,
luccicava la luna a mezzodì,
miagolava soavemente il cane,
quando nacque dall’uovo un bel bambin
di nome Rosellin.

2
Rosellin saltò su una stella
urlandole: “Quanto sei bella!
La stella splendeva
e il bimbo rideva,
finché la stella fu spazzata dal vento!

E allor che sgomento,
era cattivo quel vento.
Rosellin volò via,
Rosellin cadde giù
gridando: “Stellina, io volo nel blu!

3
Rossellin tutt’a un tratto,
atterrò sull’erbetta
di una ridente, soffice nuvoletta.

Buon dì nuvoletta, posso sulla tua soffice schiena saltellar?”
“Certo ,mio bel Rosellin: sorridi e divertiti,saltella sui fior, e senti del sole il rigenerante calor!

4
Saltò rosellin
sul verde prato
fin quando notò
una cosa rimbalzante
che lo salutò:

Buon dì Rosellin,
io sono la rana gracidin,
Cra cra
“Ciao ,Gracidin CRA CRA!
Cra cra è il mio gracidin
eh eh eh eh eh
mio caro Rosellin”

Si scusò Rosellin,
colla verde bestiola
ed insiem- saltellando-
esploraron l’aiola.

5
Bruchi e farfalle poltrivan nel prato
da fiori splendenti costellato.

Volavan libellule, cavalcate da gnomi
che, coi loro berretti,
infilzavano i pomi.

Rosellin si unì a loro
sull’aerea libellula
mangiò mele,
si saziò;
ed infin sul soffice petalo
insieme a loro
si addormentò.

6
Ma ecco che un ragnetto
dalle zampette nere
calò dal folto in sul visin
del nostro caro amico Rosellin:
si posò sul suo nasino
ancor che fosse un lettino.

Sobbalzò assai e levò il prato
Rosellin spaventato – si da bellissimo

E ancor scosso,
scivolò dalla nuvola
e volò via!

su
le
ali di
un’
aquila
si ritrovò;

e sul suo dorso ad esplorare il cielo stellato iniziò.

Il raggio argenteo di una stella attraversò.

Rosellin sulla stella danzò;
lì una nonnina lo accarezzò
e in una mano qualcosa gli tese:
gli tese un sogno,
un piccolo e fragile desiderio:

visitare quel mondo lontano
che vedeva brillare
e gli pareva sì strano:
questo Rosellin voleva.

7
Ringraziò Rosellin
la vecchietta

“Addio, Rosellin!”
esclamò la vecchietta
“Afferra il tuo sogno
… non farlo scappare
che ti condurrà dove tu vuoi andare”

Ed ecco che d’un tratto
Rosellin si trovò
su una distesa dipinta di sette color;
meravigliosi e sgargianti
i petali dei fior.

Rosellin
Attraversò quel ponte incantato
fino a quando
arrivato sulla Terra
rimase senza fiato.

8
Camminò Rosellin
per boschi e per prati,
per prati e per boschi,
gustando l’odor della libertà:
BRILLANTE UTOPIA
DI UN MONDO DI MAGIA.

Splendeva il sol
– lo fissava Rosellin-
splendeva il sol
– danzava per Rosellin-

MA
Avanzando Rosellin
vide un grigiume
che inghiottiva tutto
del sole il barlume.

9
Arrivò Rosellin
nella brutta città,
dominio sciccoso della lordosa maestà:
tutto pieno di torri, palazzi
e pubblicità.

Rosellin, spventato, voleva andar via:
abbandonare dello smog la scia,
per trovar rifugio nella periferia.

Ma ecco:
qualcuno gli tese una mano…

10
Era un bambino,
un coso assai strano!
che lo invitò ad andare lontano
Insieme

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SETTE POESIE EROTICHE di Chiara Moimas da L’acerbo pruno (2014)

 Helmut Newton sfilata di nudi

Helmut Newton sfilata di nudi

Chiara Moimas è nata a Ronchi dei Legionari nel 1953 e vive a Gorizia ha al suo attivo diverse pubblicazioni a carattere didattico su riviste specializzate. Ha pubblicato i volumi di poesia Metamorfosi: donna (Firenze Libri, Firenze 1989) e L’angelo della morte e altre poesie (Ed. Scettro del Re, Roma 2005) che ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Seguono Curriculum vitae (Joker, 2012), e L’acerbo Pruno (Edizioni Progetto cultura, 2014). Sue poesie sono state pubblicate su riviste di settore e nell’antologia Ragioni e canoni del corpo di Luciano Troisio (Terziaria, Milano 2001). Nel 2012 ha vinto il “Premio speciale M. Stefani” al concorso di poesia erotica di Venezia. Si occupa anche di scrittura per l’infanzia e di poesia dialettale (il “bisiac”).

da Chiara Moimas L’acerbo pruno Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2014 pp. 64 € 10

 chiara moimas l'acerbo prunogambe-delle-donne-indossano-i-tacchi-alti

Aplomb

Sfiorano le tue labbra la mia nuca
e il tuo respiro sento sul mio collo
non creder che lo voglia e che t’induca
a perdere l’aplomb ed il controllo

il bottoncino sfili dalla buca
e scivola la mano nello scollo
dubbio non c’è oramai che mi seduca
il modo tuo di far ed io tracollo.

Sulle mie labbra posi il tuo sorriso
mi stringi forte tanto da far male
del tuo calore il corpo mio s’è intriso

sulle mie guance lacrime di sale.
Dolce dolore mi pervade il viso
di quel ch’è attorno niente più mi cale.

la grande bellezza gambe-e-tacchi-a-spillo

 

 

 

 

 

 

 

Le sei le sette...

Le sei le sette le otto le nove
le ore passano e fuori piove
io qui distesa sul mio divano
ti aspetto e scivola lenta la mano

che in preda al gioco di tentazioni
smuove l’ostacolo dei pantaloni
e trova un lembo di pizzo nero
difesa debole scudo leggero.

L’umida preda la mano cattura
la lotta sarà lunga sarà dura
oramai è passata quasi un’ora

ma non è stanca ne vuole ancora.
La chiave nella toppa si rigira
entri mi vedi e un pensiero ti attira…

le gambe ok

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall’acqua emergo

Dall’acqua emergo quasi un’afrodite
e sulla sabbia calda mi distendo
gocce salate scorrono impunite
al loro refrigerio già mi arrendo,

la lingua tua le trova, intimorite,
ma inerme sono e più non le difendo
dal cavo delle cosce già inghiottite
vanno spegnendo il rogo ed io m’accendo.

Insegui il sale e il mio piacere trovi
che stride come sabbia tra i tuoi denti
la sete non si placa in mezzo ai rovi

ma spegnerla si può tra le sorgenti.
E sgorgano ruscelli freschi e nuovi
che placano il tuo ardor tra le correnti.

le gambe

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Venere

Uscì dal mar che Venere pareva
lunghi capelli sciolti sulla schiena
un perizoma argento solo aveva
che il pube nero nascondeva appena.

Esili gambe pose sulla roccia
la chioma scosse come fresco vento
mosse le braccia quasi un fior che sboccia
e ti fu accanto in un sol momento.

Tra le sue ciglia perle incastonate
e tra i capelli rami di corallo
le labbra fresche morbide salate

volle chinarsi e non vide il vallo
ma solo pietre bianche acuminate
e fu così che mise il piede in fallo.

sfilata di miss italia

sfilata di miss italia

 

 

 

 

 

 

 

 

Immergi

Immergi le tue mani nel mio lago
nuota dentro di me col tuo sapere
vergine sto lottando col tuo drago
non lo vorrei ma grido di piacere.

Veleggia sino a che ti senti pago
quello che vuoi da me tu puoi avere
nei desideri più nascosti indago
immolo la purezza sul braciere.

Quando s’arena stanca la feluca
i fianchi ti riparano dai venti
al tuo volere chino la mia nuca

dolci parole invoco ma non senti.
Non c’è oramai sussurro che t’induca
alla pietà dei miei gravi tormenti.

 La sensualité c'est la mobilisation maximale des sens  on observe l'autre intensément et on écoute ses moindres bruits (M. Kundera)

La sensualité c’est la mobilisation maximale des sens on observe l’autre intensément et on écoute ses moindres bruits (M. Kundera)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Accosta, ti prego

Accosta, ti prego, rallenta e frena
qui dove inizia del bosco la strada
fuori la notte è calma e serena
voglio giocare con la tua spada

già il cuore balza già si dimena
e prima ancora che tutto accada
questo sedile si fa calda rena
e come una duna lento digrada.

Non è del vento la voce che senti
è il mio respiro che si fa affanno
non è la luce di stelle cadenti

sono le lacrime calde che vanno
e mentre temi che il morso si allenti
di sale amaro ti nutriranno.

Laura Antonelli nel film mamma mia come sono caduta in basso

Laura Antonelli nel film mamma mia come sono caduta in basso

 

 

 

 

 

 

 

Depressa e sola

Ti trovo al bar depressa e sola: “Ciao,
posso offrirti qualcosa da bere?”
Lo sguardo che mi lanci mi consola,
scorre dello champagne nel tuo bicchiere.

Togli il cappotto, ti scosti la stola,
slacci un bottone e vedo il cratere
che dai tuoi seni m’infuoca la gola e
al magma mi conduce del piacere.

Accavalli le gambe. E’ un invito
audace per me che non sono di creta.
Lo champagne non è ancora finito

e già la mia mano sfiora la seta.
Il gioco, lo so, rimane impunito,
scendo e raggiungo la morbida meta.

laura antonelli sul set

laura antonelli sul set

 

 

 

 

 

 

 

 

La preda

I
Nuda non svelo le serpi d’Erinni
che il mio cuore aggroviglia
né insaziabile l’odio d’Arpia
che gli artigli incarnisce
lo stupore non scopro
terribile e fermo
di Dafne inviolata.

Non sai
quante foglie di gelso
ho strappato
quanta linfa m’è corsa
nell’alchemico sonno.
Ho nutrito la larva
come morte apparente.
Ho creduto.
Ai miei piedi la bava rappresa
dipana i suoi fili e si mostra
inutile e vuota.

Adesso che le ali distendo
ti spezzo il respiro.

 

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POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DEL VIAGGIO E DELL’ESTRANEITA’ (Parte II) Antonio Sagredo, Lucia Gaddo, Giuseppe Vetromile, Chiara Moimas, Patrizio Dimitri, Alberto Figliolia, Gianmario Lucini, Luciano Troisio

buenos aires

buenos aires

New York bank-of-america-tower

New York bank-of-america-tower

New York bank-of-america-tower

I poeti, come ha scritto Adam Zagajevski, spesso dimorano in una strettoia tra Atene e Gerusalemme, tra la verità mai pienamente raggiungibile e il bello, tra il pensiero e l’ispirazione. «Tale viaggio – continua Zagajevski – può essere descritto nel modo migliore con un concetto preso in prestito da Platone – metaxy: essere “tra”, tra la nostra terra, il nostro ambiente ben noto (tale almeno lo riteniamo), concreto, materiale, e la trascendenza, il mistero. Metaxy definisce la situazione dell’uomo quale essere che si trova irrimediabilmente “a metà strada”». Metaxy, deriva dal platonico métechein, che significa «prender parte», «mezzo dove gli opposti trovano mediazione»

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo

escher

escher

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Antonio Sagredo

Mi sorrise Omero con le dita e squame attiche

Si era offuscato il nitrito delle stelle e sul selciato
battevano i tacchi lugliènghe stramature e ammuffite,
se ne andavano le note avvinazzate per i vicoli sfiancate
dai suoni e dagli amplessi… i pentagrammi avevano registrato

gli osanna per i consumatori del divino e dai miracoli
traboccò un vomito di credenze, e le perline nere dei rosari
dai traini alle soglie intoccabili mostravano il lato B delle Madonne
tutte in celeste antico, le carnali mani pietose, negli occhi

il desiderio di un amore troppo consumato tra i crocicchi
e quelle lanterne in porcellana rosse erano i baci schioccanti
al passo di viandanti mentecatti… e l’Incarnato avanzava
con lei che si portava dietro un nugolo di creature spaventose!

Piangeva Omero quando il cratere eruttò i suoi colori
e i frammenti sparsi di Kostantinos il selciato mutarono
in mosaico, e non sappiamo se la farsa bizantina nascose
sotto la pietra i misteri che se eleusini erano – finzioni!

Brindisi, 29 giugno 2014

Lucia Gaddo Zanovello

Lucia Gaddo Zanovello

C. escher

C. escher

 

 

 

 

 

 

 

Lucia Gaddo

Colomba bianca

Umido porterò il saluto
del cane nero sulla mano,
liquido di lacrima
che insiste l’occhio del rimpianto

le tessere musive allusive
di quel disegno
non vanno
ricomposte
e svariano
sul pentagramma fluttuante
del vento strisciante della rinuncia
come note di concerto mancato.

Anche ignota va la colomba
bianca del martirio
alta e certa,
che accompagno per l’ala
fuori il giardino:
neppure guarda fra l’ordito
della tenda alla finestra
se sotto il lume ancora stai,
giudice latitante
della mia pena
o se invece apri all’addio
col sorriso dell’ebetudine,
lasciandoci andare,
ospiti di insondabile riguardo,
rifiutando di capire.

(Da Solargento, ‘agnusmei’, 2000)

 

Il lungo sonno dell’anima

Corona di nevosi denti
colse l’alba alpe in uscita.
− Rodare necesse, rodare − suggeriva chiuso il motore
lanciato nel bersaglio dell’appuntamento,
− guarire si può, e càpita di solito,
ma spesso mútila il tempo débito
e rútila il sangue sui muri edificati alle città
e tante strade si scrivono nel fango della lotta
per trovarsi ímpari a gemellare slanci
d’anguilla alla vivenza −

Ma l’unico posto vuoto è quello in ombra,
che non asciuga il dolore
e resta nel gorgo dimesso dell’abbandono;
quello il luogo e il rogo
che l’obbedienza cerca,
l’attratta suggestione
che suggeva tutto il sole del grano
dalla bocca dell’estate
e non resta che autunno a diradare incontri
a comandare i risvegli dell’anima
coatta a tentare ritorni nei sogni
a voler morire nel sonno.

Dunque si sdoppia ancora,
ancora làtita sorella verità,
chiara identità. Trafigge, affligge, infigge
effigie laconica,
misura d’astratto cielo
sfogo di fumo grigio

muníta di qualche storta schiarita,
questa flebile vita.

(da Solargento, ‘nel preludio rosso dell’alba’, 2000)

 

cornelius escher la colomba

cornelius escher la colomba

 Giuseppe Vetromile

Giuseppe Vetromile

Un viaggio verso le Indie

Parto. Che il vento mi porti fortuna.

M’affido alla guida d’un bravo nocchiero,
esperto di peripli e di tempeste: il mio cuore.
Ma quel nocchiero non so
se di paghe e di sangue nutre le sue tasche
per l’infinito viaggio che ripete il giro dei giorni
attorno alla boa della sera, e forse sghignazzerà
vedendomi distrutto sul cassero di poppa
disperato di raggiungere eldoradi ormai sbiaditi.
Pure, sarò il suo passeggero paziente,
origlierò di nascosto le sue cianciate
sul ponte intriso di lune raggelate.
Mi lascerò andare al suo comando
come timido piccolo mozzo
piegato sulla tolda a sciorinare.

Che la buona sorte mi assista.

Ora non sono che un fantasma d’aria condensa,
come quel velo guardingo che sfoca la luna
se migra di stella in stella in segreto silenzio.
Ma non sono perso: odo nel cieco navigare
una voce di padre antico, un prolungato richiamo
che si spande miglio per miglio, giorno per giorno,
in tutto il mio peregrinare.

Che Iddio mi aiuti.

Per questo mare, al mattino indosserò navigli,
progettando nuove rotte. Giunto a sera,
raccoglierò pochi relitti, un’oncia di terra sacra,
il diario di bordo mai scritto, la fragranza
dei pini marittimi lungo le spiagge, il ricordo
di tentate avventure…

Di terre emerse sognerò latitudini segrete,
da non dirne in giro se non al termine
di questo lungo navigare verso occidente

Raggiungerò mai le Indie?

 

Verso l’oriente

Ora che è svanito il sogno della terra, il sogno d’atomi
derelitti, nel cuore di cianfrusaglie quotidiane, dimmi:
prenderai anche tu la via di Damasco, per attenderti
un fulmine d’amore che ti sconvolga?… Oh, Saulo Saulo,
quanta pena lascerai sul cumulo di parole a capoletto,
quanti credi reciterai fino a massacrarti l’anima
di certezze irraggiungibili?… Ma sei pronto:

di te termina qui ogni confine, e l’antro della sera
immalinconisce il tuo colore vespertino. Hai preparato
un bagaglio di stoffa bruna, ma nella pasqua non c’è
vestiario, non occorre altro indumento se non la forza
di andare: di morte in morte, di vita in vita.

Lascia quindi la tua roba nell’ufficio, la vestaglia
e le scale per le stelle, il giardino degli aranci
incoltivati e il capitolo di carta appena cominciato.
Ora che la tua terra è un sogno, persa qui tra
mille e mille storie inconcludenti, vedrai luce

alla tua finestra, domani, diritto il viaggio nuovo
verso l’oriente.

Parigi foto di chiara moimas

Parigi foto di chiara moimas

chiara moimas a Parigi

chiara moimas a Parigi

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiara Moimas

Transito

Piedi scorticati
sulla crosta del mondo
in un transito
fugace e doloroso.

Nessuna impronta.

Tracce di sangue
essiccate.
Cellule a brandelli
mescolate a quelle
di intere legioni
di scalzi viandanti.
Unni celti longobardi
turchi francesi
in una ridda di cromosomi
hanno disseminato di vita
questo lembo di terra.
Pellegrini in cerca di fede
vanitosi poeti del grand tour
hanno deposto lo sperma
nelle alcove di queste contrade.
Trovate la polvere
delle loro ossa
nel mio DNA.
Il test del carbonio mette
a dura prova la memoria
della specie.
Le voci in eterno
percuotono
pareti di silenzio
imbrigliate dentro reti
si scindono in spasimi
libere vagano
narrando storie
di ricorrenti illusioni.
Sete nella gola
del risveglio
e per noi
impazienza di andare. Continua a leggere

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CHIARA MOIMAS DIECI POESIE SULLA METRO di PARIGI (Inediti)

Chiara Moimas

Chiara Moimas

parigi metro 4Chiara Moimas è nata e vive a Ronchi dei Legionari, in provincia di Gorizia. E’ stata insegnante ed è attualmente impegnata in un’organizzazione sindacale che si occupa di docenti.
Ha ottenuto il Premio speciale M.Stefani al concorso di poesia erotica di Venezia 2012;l’Attestato di merito ad “Un sonetto per Siena” 2013; Primo premio poesia “La seduzione e l’eros” Roma 2013;
Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: Metamorfosi:donna (1989), L’angelo della morte e altre poesie (Scettro del Re, 2005). CURRICULUM VITAE” (Joker edizioni, 2012); premio della critica concorso “Le nuvole – Peter Russel” 2014. Sue poesie su riviste, antologie e siti web. Scrive su pubblicazioni locali in dialetto bisiac.

parigi metro2

METRO PARIS

IL VENTRE DI PARIGI

Varca le porte
di floreali intrecci,
scendi negli antri grigi
e penetra con il mètro
nel “ventre di Parigi”.
Da un luogo all’altro
viaggia con gran velocità;
avesse potuto farlo Zola!
Avrebbe descritto
con magica penna
la fervida vita
sotto la Senna,
avrebbe ritratto
con grande maestria
la fretta, la paura, la follia.

Cunicoli bui ed accese stazioni
dove ognuno insegue mete e direzioni
ed impilato su scale semoventi
accede al regno del sole e dei venti.

 

parigi biciLINEA 1

La Dèfense (Grande Arche) – Chateau de Vincennes

CHATEAU DE VINCENNES,

maniero medievale,
da qui la 1 (uno) Parigi risale.
Sosta obbligata
al “Train Bleu” de LYON
per la degustazione del bon ton
e per un assaggio di rivoluzione
una ed ancora un’altra stazione.
Libertè si grida alla BASTILLE
e l’eco giunge sino
all’ HOTEL DE VILLE.
La Storia nasconde il volto,
esibisce l’audacia
come a LOUVRE la pietra
di Samotracia,
mentre il pensiero sfida
le regole del volo
e alla DEFENSE s’inarca,
superbo e solo.

parigi metro
LINEA 2

Nation – Porte Dauphine

Quattro passi
senza fretta,
Montmartre è lì
che aspetta.
Al Sacro Cuore
il métro non sale,
la linea 2
ti abbandona alle scale!
Ma PIGALLE non è
come tutte le stazioni
ti getta nelle pale
di mille tentazioni…
…che tu rifuggi
(intellettuale impegnato)
e scendi a BELVILLE
per sentirti appagato;
qui non c’è più niente
così come era prima,
ma il passerotto (piaf) ancora
saluta la mattina. Continua a leggere

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ANTOLOGIA DI POESIA ITALIANA CONTEMPORANEA – Antonio Sagredo, Chiara Moimas, Meeten Nasr, Franco Fresi, Lucia Gaddo Zanovello, Vincenzo Mascolo, Ambra Simeone, Patrizia Pallotta

Parnaso 1

Parnaso1

 

 

 

 

 

 

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo

 

 

 

 

 

 

 

 

Antonio Sagredo

La metamorfosi della finzione

 

Quando il tempo il vuoto dei miei atti scorre umile e inquieto
possa io convertire il passo umano in ambio dislocato,
il ferro equino calzare come una corona non domata la giostra
di un torneo che muterà rogo e croce in volto circense e scespiriano.

La clessidra il vuoto del tempo e dei miei atti mescola con la cenere,
con una figura che abiura il tratto secco, la matita e il disegno non ornato,
ma le dita schizzano scellerato il segno e la visione di un pensiero declinato
per quella fede perduta nel perdono, per il rimorso di un palco non calcato!

Saprò io con ferrigna mente disseccare un salice e le lacrime custodire
io in un ricordo collassato e nello schianto attutito di un’arteria terminale
cedere io a una stella vespertina la struttura di un marcio crocefisso…
ah, vorrei una misericordia non divina, ma umana per Cristo e Giulio!

E un linguaggio cordigliero da un pulpito d’avorio alle navate vorrei
risonare come vessilli tra ostie insanguinate e mitrate angeliche parole,
quando una clessidra vuota inquieta scorre la gerarchia dei miei atti –
libertini se volete condannarmi, ma pietosi, lacrimosi – come Pierrot!

Roma, 28 marzo 2014
(all’ora quarta)

antonio sagredo Teatro Politecnico 1974

antonio sagredo Teatro Politecnico 1974

 

 

 

 

 

 

 

*

Stermini, e ti lasci andare al sogno ovunque e rosicchiano i secoli
il chiavistello della tranquillità, e t’accorgi inerme come la voce assenta
la lingua nei deserti della consapevolezza e il raccapriccio inventa
un mestiere al poeta, la sua parola tu bevi dal calice dell’inconsistenza.

E i suoni non hanno senso sui ghiacciai, liquidi cessano d’essere Maestri
di canto all’uomo… l’ugola non regge l’errata corrige di una volta che ci sovrasta
e marcia è la matematica e i disegni di un linguaggio che non sai… sfacelo
delle laringi, e il cerebro e il vuoto e il pensiero si specchiano in contumacia!

Non puoi dire se giostra è la finzione, se circo e tornei una imitazione,
i versi, le parole e i sensi sono meno di una tavoletta d’argilla che squilla
adesso come una lanterna antelucana – per l’aurora è un azzardo il giorno!
e i tramonti non hanno più una tazza dove affogare la propria morte recidiva.

E il lutto non s’addice più alle nostalgie dei nastri funebri, a quegli angeli
che sui feretri sono marionette… il conforto agli umani avanzi non è più
un dono e i loro occhi e le lacrime e quelle mani… non sappiamo nulla…
non sappiamo nulla… e il riso è solo un ricordo cartapestato… logoramento

delle felicità e delle tristezze ci corrode il futuro… non è il caos, né la rovina,
né gli stermini – e il divino ci disturba, ci ha succhiato la coscienza, ci ha rubato
la storia e la nostra stessa essenza e la natura e quella terra… io la miravo, e non
è più la mia origine, non più la sede di dei che mai furono – e io, interdetto, me ne vado!

Roma, 10 aprile 2014

Chiara Moimas

Chiara Moimas

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiara Moimas

Dafne

Rincorsa da Apollo invaghito
Dafne braccata non sa che fare
inconsapevole d’ essere un mito
vergine e pura vuole restare.

Il dio è vicino stanco e sfinito
già la ghermisce: non può scappare.
– Che il desiderio venga punito.
Che la bellezza possa mutare-.

La chioma fulgida fronda diventa
e già le dita alloro si fanno.
Non è l’ignoto che la spaventa

è l’ansimare d’Apollo, l’affanno.
E’ la sua bocca che il pube rasenta
e trova corteccia. Mirabile inganno. Continua a leggere

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La Grande Bellezza di Roma – Poesie di Salvatore Martino, Annalisa Comes, Chiara Moimas, Gian Piero Stefanoni, Leopoldo Attolico, Loris Maria Marchetti, Franco Fresi, Giuliana Lucchini

Il Mangiaparole rivista n. 1 

Salvatore Martino

Elegia romana

da Commemorazione dei vivi (1979)
La giovane russa fu sconvolta

Aveva la bocca di cenere
un paradiso feroce tra le cosce

un’azzurra cadenza nello sguardo
e un elegante sistema di volute
coronava la testa

Se ti chiedessi di cominciare una storia
o soltanto ferirla nel ricordo?

Tremavano i gesti e le parole
il sesso gonfiava sotto i pantaloni
camminando di notte l’argine fluviale
che penetra come un fallo la città
domestica dal tramonto all’alba
straniera prima che calino le ombre

Confusi da eventi che sorprendono
raggelati da voci che mai ci chiamano

per nome contro occhi di luce minacciosi
e bozze fasciate da intestini che
assumono parvenze d’uomo
traffichiamo la notte
vendendola al prezzo stabilito
sotto glaciali stelle che raccontano
inverosimili storie di fanciulli
e di donne sgozzate
di agonie premature
casuali assassini nelle piazze
spietati suicidi di bambini

Galleggiano tra conati di merda
capelli e braccia gambe spolpate
ingorgano l’ultima pista a Fiumicino
attraccano gli sputi nell’isola sacra alle Vestali

Mia dolce tenera massacrata città!

Barcolli tra obelischi e rottami
in un quotidiano martirio
il pozzo dove anneghi la tua luna
è quello soffocante delle fogne

Ti saluta al mattino l’avvilente metafora
del piatto mostri inquieti s’aggirano tra
oleandri e rovine all’ombra delle cupole
e di torri sotto le pensiline nei bar nelle stazioni
all’angolo di equestri monumenti emergono
tra cespugli e latrine dagli antichi portoni
dai rispettati androni dei partiti

Gli angeli incorrotti ti salutano

Scendi Regina
Che sia dura la notte

Per coloro i cui passi risuonano
troppo nella veglia
viaggiatori del limbo

Che bisogna dormire!
Conformemente uniti nella lotta

Un’altra specie di individui ombra
assesta il culo sopra la poltrona
distrattamente ingrana le leve del comando
fatalmente coincise con la frode
e affiorano carogne di tigri dal letame
macilenti avvoltoi divorano le porte
Sebastiano e Metronia Paolo e Pinciana

Hanno fagocitato tutto il sangue
che mai ti percorreva le arterie
città trasognata
da un sogno irripetibile di gelo

Cominciato al crepuscolo il viaggio non ha fine

Vegliano in armi questa notte gli antichi
Imperatori hanno preso in affitto il lungotevere
dal ponte Palatino a ponte Milvio
e dai carri al galoppo ci guardano passare
in una interminabile sequenza di vittime soltanto
che ormai non c’è bisogno di carnefici

Irreale città
magicamente costruita da bizzarri architetti
distendi le tue case sopra il niente
Quando ti succhieranno le formiche
uscite inesorabili dai loro nascondigli
rompendo argini e finestre in una
tumultuosa metamorfosi di nuclei e di geni?
Lo stadio che le annunzia
è questa vischiosa marmellata?

Si è frantumata la paura l’alfabeto
è un mosaico sfibrato senza incastri
che vomita parole un blocco solo impasta
l’anima il piombo la speranza

pittura parietale romana

pittura parietale romana

La giovane russa fu sconvolta

Aveva tra le mani una guida eterna
e mappe e segni carte strategie itinerari
impossibili una lunga sequenza di divieti

Chiuso per restauro!

Voleva dire per sempre

 

 

 

 

annalisa comes

annalisa comes

 

 

 

 

 

Annalisa Comes

Breve storia di una guarigione per un ospite del Fatebenefratelli

 

Dopo aver osservato le stelle,
posò il bicchiere sul tavolo.

– Domani sarà una bella giornata –
dichiarò soddisfatto
passandosi la lingua sulle labbra.

Tutte le sere guardava dalla finestra,
tirava fuori il muso
dalla cornice bianca
giù,
lungo
le rive,
alla grande prua di marmo,
poi verso i rami contorti dei platani,
e di nuovo ai bastioni, alla piazza S. Bartolomeo –
gli occhiali sulla punta del naso.
Voleva prendere il largo – e navigare.

– La luna non ha alone – il vento è propizio -.
Pensava che avrebbe steso le vele
sul ponte, per prima cosa.

 

Roma_pittura parietale_ impero romano

pittura parietale stile pompeiano

Chiara Moimas

Roma
Ad imperitura memoria
scanalature smussate dai diluvi
e dalle brezze si ergono monche.
Secoli discordi si accalcano
sopra intonaci sgretolati dall’oblio.
Alloro con mirto Ignavia ha intrecciato
e discinta sullo scranno più alto
s’è assisa. Tu quoque
a perpetrare il tradimento sei giunto
da introvabili valli e da esposte riviere
avvinghiato alle ali di metallici sparvieri.
Ombreggia lo sguardo di barbarica
innocenza ma le mani ad immergere
ti appresti nel torbido dei forzieri.
Opaco l’oro e scalfita la corniola.
Eterno a sedurre rimane l’acceso tramonto.

 

Gian Piero Stefanoni

Ponte Cestio

“Non punirti più, non punirti più..”-
ti dici Roma tra l’odore del piscio
e una bellezza che non può più bastare.

Ma risalgono e avanzano, senza più ostacoli
gli animali fiutando la carne.

Nel nostro dare o non dare, il lamento degli stupri,
le voci lasciate a casa, prestate al sangue.

Anime vili, anime prave, ogni tanto qualcuno
non ce la fa e cede: gambe, braccia,
denti consegnate ai giornali.

Come giocare tra le mine e improvvisamente saltare.

 

 

leopoldo attolico

Leopoldo Attolico

Disamore? ( Roma docet )
La mia città indisponente
si difende così bene
che è un piacere attaccarla :
con un ghigno non cattivo
-cattivista
si può provare ad appenderla
-per gioco , al fatidico chiodo
come i guantoni di gran boxeur
grondanti inerzia esplosiva
ed onusta grandeur

Si noterà
-dentro una luce lasca
e un poco impertinente ,
che la nuova emozione
altro non è che la rappresentazione al bacio
di una specie di galateo d’antan rovesciato
dove tutto risplende per l’ultima volta

( e rieccoti ancora l’amore )
(da La realtà sofferta del comico , Aìsara 2009)

 

 

Loris Maria Marchetti_1

Loris Maria Marchetti

Caput mundi
Davvero qualche nume
indigete o acquisito
molto ti deve avere cara, Roma,
se pure tra lo scempio e l’immondizia
in cui ora marcisci
riesci a conservare quasi intatti
il tuo clima stupendo
e l’azzurro del cielo.

(da Le ire inferme, Edizioni dell’Orso, Alessandria 1989)

minotauro

La sera ci bruciavano i piedi...

La sera ci bruciavano i piedi
per le piaghe – quel San Pietro e Paolo
quasi deserto e allucinato
di sole – tanto vagammo per Roma
tutta nostra (e di pochi turisti
fradici di sudore): fu quello il giorno
che l’amammo per la prima volta.

(da Il laccio, il nodo, lo strale, Achille e la Tartaruga, Torino 2012)

Franco Fresi

A Roma

Per troppo amore alla mia terra
ritorno alle tue strade.
Avevamo piedi piccoli e suole pesanti
scomode sui sampietrini.
Delle mie vecchie orme mi farai riappropriare
anche se a lungo il tempo
il marmoreo profilo vulnera e tutto
di te dissimula.

Dovrebbe essere un obbligo venirci
da prìncipi o da mendicanti
da santi o da peccatori
in viaggio di superamento, abitarci
almeno per un poco, protési
i sensi al battito delle tue cento vite,
al canto dell’ape regina.
Quando nasce e quando muore
tra genuflesse operaie
sibilo impercettibile è il canto
di saluto alla vita o l’addio.
Resta in fondo al perfetto
esagono del cenotafio di cera
quel canto o sospiro, dicono,
fino alla terza delle quattro pasque.

Anche il tuo canto è flebile, Roma, accordo
di canute acque in piano alveo
eco d’antica voce
di nume condannato a non morire.

Giuliana lucchini

 

 

 

 

 

 

Giuliana Lucchini

Dall’oltre venire

alla mia bella nipote Marta

Il lutto non è mai finito fiore :
l’ira scolpita a caratteri di fuoco

sulle mura della città
ma in alto sul monumento

dove si posano fra la folla
imperturbati gli uccelli bianchi

in quattro si pettinano tutte insieme
caldamente ridendo accanto al pozzo

(capelli lunghi di vari colori
inclini fluttuano su baci d’aria –

la quadriglia alata se ne va con loro,
tace il terrazzo ai prodromi della sera):

le ragazze che hanno sorvolato l’oceano
per incrociare con ali di sole

l’eterna bellezza di Roma

(inedito)

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ANTOLOGIA DI POESIA CONTEMPORANEA (VII) – Anna Ventura, Alfredo De Palchi, Michele Arcangelo Firinu, Umberto Piersanti, Lucia Gaddo Zanovello, Franco Dionesalvi, Sandra Evangelisti, Eugenio Lucrezi, Maurizio Soldini, Chiara Moimas

Parnaso1

Anna Ventura

 

Anna Ventura

Le case popolari

Qui ci sono ancora
le case popolari. La porta/ingresso
ha le persiane
di metallo dorato, immette
in un interno scuro,
schermato da una tenda. Da lì
viene la voce del televisore.
La proprietaria
è talvolta una vecchia decrepita, che forse
non ha più di settant’anni. Siede fuori
sopra una sedia bassa,
in mezzo ai vasi dei gerani. Saluta
chi passa ,con lo sguardo
rispettoso e acuto. Il figlio ultracinquantenne,
entra ed esce dalla portafinestra,
lo segue il cane lupo. La polvere
della strada copre i gerani,copre
le ampie sottane della vecchia,
copre la ciotola dove beve il cane. La sorte
ce la mette tutta,
per uccidere la povera gente. Ma loro
resistono. E non piangono mai.

alfredo de palchi

alfredo de palchi

 

 

 

 

 

 

 

Alfredo de Palchi

(2008 alla vigilia della mia operazione al cuore)

Il lavoro nobilita la belva alla vita
trascorsa a grattare il salario della paura
in una giungla di lapidi

si legge, qui giace dio il mediocre costruttore
e qui Cleopatra con una serpe in mano––giglio
offerto a Marcantonio

più in là giace un raccolto di ossi
attribuito al farabutto amico François
accanto a quello di Francesco impazzito di Cristo
e della sua Chiara che per boschi giunse a Todi
da Jacopone, il più folle

e laggiù sotto quel rettangolo di letame
l’altro mio amico Arthur
giace con un abbraccio di zanne invendute

amata amica figlia madre sorella
prontamente perfetta per il mio arrivo
allatta al tuo ombelico il mio spartito di terra.

.
Michele Arcangelo Firinu

Michele Arcangelo Firinu

Stari Most – Vecchio ponte
a Franca

I muri delle città sono fatti di carne:
ridono e gemono.
E tu li senti, tutti i ponti del mondo, gemere ululare
perché il più dolce, il più acuto tra i loro fratelli
è stato abbattuto dai sicari.
I fiumi, che si sono formati
per le lacrime di tutte le guerre
sciolgono le loro trecce di prefiche
sui mari neri.
Voglio una musica dolce, sorda e cieca.
Voglio questa carezza sui lungofiumi
di Parigi e di Roma che hanno la pelle d’oca.
Ecco, la luna offre una benda
e avvolge l’arto fantasma di Mostar.
Lì si levava un riso di fanciulli
come se grandinassero chicchi d’argento.
Ai tuffi degli angeli laceri e felici
gli dei gettavano marenghi d’oro.
Ricordi? La tua snella vita si librava,
aureo amore, verso l’oracolo
dei miei futuri giorni.
La stanza delle molli alcove è ancora lì,
madida di desiderio.
Il tuo chiaro viso si abbandona,
raso su raso,
sulla profusione rossa.
Tappeti e cuscini, tappeti e cuscini
e il mio deglutire ilare, a voce roca,
stanno ancora lì e quei tempi quasi
mi si strusciano addosso,
mi sbavano umidori lascivi sulla guancia.
La bionda vetrata si spalanca
su crosci di fiume e di sole
e il ponte di Mostar
è lì, intatto, d’oro:
vi danzano cherubini tra le note
dell’Elisir d’amore.

.
Umberto Piersanti

Umberto Piersanti

*Diario di bordo

presso la foglia fradicia
del tiglio e dentro l’erbe
fatte quasi bianche,
nel suo rosa sempre più pallido
e tenace, un cespo di ciclamini
si rinserra, fragili i gambi
e curvi, inzuppati d’acque,
ma fino a quando arde
dentro la bruma spessa,
la nebbia nera,
quel rosa che settembre
accese con un suo vento
morbido e celeste?

no, la brina non lo stronca
e non lo schianta il vento,
forse l’eterno è nel pallido
colore che mai si spegne
e alla terra eterna
s’annoda e confonde,
ma dicembre viene
e nel gelo lo spezza

c’era lì nell’orto
un lungo ramo
con i passeri in fila
bianchi di neve,
solo il rosso dei cachi
un po’ trapela
tenace, nel chiarore,
che l’avvolge

e non sei mai solo
come quando dalla finestra
d’un albergo nuovo
dentro ogni macchina che passa,
infinite, coi fari,
tra la pioggia,
i volti dei viandanti
tu intravedi

annota nel diario a bordo
vicende e cose,
minute o immense
questo conta poco,
e le stanche domande
non segnare,
perché un vecchio
corre lungo il mare
e tra le tamerici ingiallite
o spoglie, una sola
è rimasta verde?

appunti, solo appunti
sparsi, il veliero continua
l’incerta rotta

cerca le sue Galapagos,
ogni moto e caduta
lì forse ha un senso,
sale una bruma immensa
spegne astri e quadranti,
la rotta che s’è persa
(dicembre 2009)
*cerca le sue Galapagos: in queste isole Darwin cercava la conferma alla sua teoria sulle origini e lo sviluppo della vita

 

 

 

 

Lucia Gaddo Zanovello

Lucia Gaddo Zanovello

Lucia Gaddo Zanovello

Distacco

Improvvisa respira la morte
ogni interrotta gioia è intorno,
in un lampo senza tuono
diviene fatale l’attimo perduto
il timore non scordato dell’agguato
e tutto il sangue della vita
assorbe avida la terra.

Ma una mano
una mano ancora lascia,
che io possa tornare alla carezza
che non ho data
al gesto ovvio e noto
posato per dopo.
Ho i piatti da lavare
là grida in cucina
quel ‘poi farò’ che più non ho.

Sono nella letizia del sì,
nel sole che infinito mi ha preso
ma per i miei
tornare sarà l’inferno del pianto.

Lasciami delle dita un tocco appena
mi basta
a correggere piano la stanza,
a saggiare la fronte
a far passare un bacio alle labbra.

Certo chi resta presto troverà
sopravvivenza
poi il corso di ciascuno
prenderà la svolta necessaria
per una meta alla mia disgiunta
ma ora
è fuoco di sale che consuma
la ferita
di chi mi brucia accanto,
per questa mia inerte, recisa giovinezza
senza avviso
e senza scampo.

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Franco Dionesalvi

Le coperte

Cos’è che cerco sotto le coperte
e mi s’ingola grazie a quel tepore
forse lo sfarfallio
di quando zia chiudeva le persiane
così la notte rimaneva fuori.
O la stufa, o l’odore della cena
o invece le parole
ma in quelle soprattutto era la nenia
o il battito dei suoni lo stridore
forse quel ricettarsi mi soffiava
la casa in cui non posso più tornare.
Sandra Evangelisti

Sandra Evangelisti

L’amore è imperfetto

L’amore è imperfetto,
nasce da creature imperfette
e si alimenta di moti imperfetti.
Ha fame di odori e di sensazioni
naturali nella loro espressione.
Non ha bisogno di censori e di filosofi,
rifugge dalla matematica degli elementi.
L’amore è semplice
come un bambino che si attacca al seno della madre.
Non ama definizioni e non si fa definire.
C’è o non c’è,
è figlio, forse, di antiche divinità pagane.
Non ha legami con la giustizia e con la morale,
e chi lo asserve a regole fittizie
e gli infligge la prigionia
di categorie della retorica
contribuisce in modo insopportabile
alla tristezza del mondo a venire.
Perciò l’amore si vive e basta.
Dico questo perché l’ho incontrato
sul ciglio della strada
vestito da éfebo con occhi verdi.
eugenio lucrezi e paola nasti 13 nov 2011

Eugenio Lucrezi

Il paradiso di cui parli, vuoi …
a Paola Nasti

Il paradiso di cui parli, vuoi,
senza che veda il vento lanciasassi
di ghiaccio, punteruoli che trapassano
angeli inconsistenti che trattengono
bave di carne, se la neve sfrangia
bandiere di nazione paradiso.

Desolazione di cui parli, vuoi,
in questa notte di buio abbagliante.

Inizia la visione dove cessa,
per eccesso ipotermico di luce,
la febbre figurale del racconto.

Non sai che farne, sconfino dello sguardo.

Sai che non puoi tentare una ventura
con animo di volpe che leggera
lascia sul manto passi inapparenti.

Fuggono ad una ad una, le figure,
anche quelle viziate dalla luce
in una posa illogica, di affanno.

Anima su due zampe che saltella,
t’inoltri, bianca lepre senza manto,
sulle coltri sottili.
In fondo, dove
non c’è niente da fingere, ti aspetta,
mite, la dedizione ad una carne
di quelle che non mangi per rifiuto
di chi non ti appartiene, e che non vuoi.
Maurizio Soldini

Maurizio Soldini

Origami di un volo

Aspettare nel solco della piana
tracciato dall’aratro trascinato
nella zolla che si desta supina,

implume come un passero,
venuto da origami e dalle mani,
che ha smesso di planare nel vento.

Subire le passioni dall’esterno
come da grandine, che piove dall’alto
e brucia e colpisce senza bagnare,

la pelle sciupata dal passaggio di nuvole
a scivolare in antefatti di futuro
a gradire la permanenza nell’assenza.

Senza fretta comprendere nel volo
quanto i secondi scendano nel baratro
dell’insolvenza dei significati,

riavvolgere allora bobine di pensieri
a dispianare voli, salti e svolte,
che giungono così al senso della vita.

Roma, 22 febbraio 2014

 

chiara moimas a Parigi

chiara moimas a Parigi

Chiara Moimas

È QUESTO CHE SI NARRA

Da solo non era felice.
Stanco di aggirarsi
nella perfezione
di valli e di radure.
Inutilmente immortale.

Una scheggia
fu tratta
dal costato possente.
E’ questo che si narra.

Quando lenta
le palpebre schiuse
ogni luce oscurò.
Pallida emerse la luna
balenarono fatue le stelle.
La sua voce echeggiò
negli anfratti
e ruggì nelle gole.
Il piacere sopito
nelle spire si disfece.
Lei con i morbidi artigli
più del ghepardo flessuosa
lo trasse in inganno.
La mela che colse
dentro
aveva il turbinio
che sovverte
l’ordine delle cose.
Precipitarono
angeliche legioni
nei crateri roventi.
Un alito nuovo soffiò
a lacerare le fronde
a scavare nel volto.
Impietoso.
Un pensiero distorto
divelse i cancelli
turbato
del suo essere ignudo.

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ANTOLOGIA IV PER IL PARNASO – Roberto Maggiani, Giuseppe Panetta, Chiara Moimas, Sabino Caronia, Giuseppina Di Leo, Marzia Spinelli, Davide Cortese, Stelvio Di Spigno

Parnaso 1

roberto maggiani

roberto maggiani

Roberto Maggiani

La paura

È un qualunque mattino di serenità:
il sole alto sull’orizzonte marino
la nuvola bianchissima nell’azzurro subtropicale
la palma ondeggiante lungomare
il frastuono dell’onda sulle pietre.

Minuti sospesi
sul baratro dell’inesistenza –
ma noi di questo non ci preoccupiamo.
Nell’Universo dal vuoto metastabile
(potrebbe disintegrarsi da un momento all’altro)
qualcuno si spaventa per una sirena

un incendio improvviso nel bosco
un forte vento.

La paura
è solo un momento in cui vediamo
riflessa nel mondo
la precarietà
della rete che ci sostiene.

 

rene_magritte-les_deux_mysteres1966-1300px[1]

Giuseppe Panetta

Il cuore assente per il troppo battito
gli occhi riversi nel bagliore di compassione
e la luce del lavacro torbido di Giove prono nella galassia
antigene del Potere asfittico pronipote di Venere distributrice
di bevande nell’aferesi della prima spremitura di nube con la sorte
della grappetta dei fogli pidocchiosi d’inchiostro dall’alto del satellite cieco
il profilo del malaffare planetario pesca nell’idolatria rinsecchita del dio denaro
in rivoli di melma di una qualsiasi povertà che vìola e recide la protostella al nascere
della galassia del vivere nell’infrarosso interagente nel libertinaggio masturbatore
d’ogni fibra oftalmica avvelenatrice del rimpatrio delle stelle dell’orsa maggiore
che guidano i disperanti nel mare nostrum della sera con diaspore di sconforto
di speranza nei frangiflutti delle luci morte delle supernove che come fari
d’ogive e distruzione di gas e polveri in luogo del seme rifuggono
nel procellarum muto l’oscurità il riassetto del mondo per mano
d’uomo e in questo primo quarto il nulla a-cosmico
come un corno d’Africa porta fortuna

Chiara Moimas

Chiara Moimas

Chiara Moimas

Preziosamente

Zaffiri stemperano il cielo e l’orizzonte,
acquamarina fresca zampilla dalla fonte,
rossi rubini a coprir l’occiduo sole
e d’ ametista i petali delle nascoste viole.

Smeraldi intensi sopra i pendii e sui prati,
coralli e lapislazzuli son fiori profumati,
stille di diamanti paion gocce di rugiada
e sopra le tue palpebre il pallore della giada.

La notte si accende, son topazi le stelle,
ed è d’ambra dorata la tua pelle,
boccioli di corniola i pruni del tuo seno
racchiusi nel cristallo i colori del baleno.

Bisso prezioso e casto a ripararti il pube
e incenso conturbante che avvolge in una nube.
Un’ostrica ho divelto per cullare il tuo riposo;
opalescente perla, che toccar non oso.

untitled

Sabino Caronia

da Diario di un’assenza

È il vuoto che mi lasci la mia vita.
No, non manca la sedia ma il tuo posto
e più manca la voce e più il silenzio
dell’averti qui accanto, di quei grandi
occhi perduti che lasciano il mondo.
Anche la chiara luna su nel cielo
solitaria di te nel buio splende.
Tutto intorno è il diario di un’assenza.

A distanza

A distanza, dai luoghi che traversa
l’ansia d’averti, come sai, ti chiamo
ed una gioia sento in me diversa
a cui m’arrendo come pesce all’amo.

Tutta la vita in fondo è cosa persa,
l’inganno di un inutile richiamo,
la filastrocca bella e un po’ perversa
che ci seduce con il suo “ti amo”.

Pure resta un ricordo: l’usignolo
che cantava nel bosco ed era solo
e l’ombra che scendeva nella sera

dalle ciglia, materna ombra severa,
e gli angoli incurvava della bella
bocca altera e distante come stella.

 FOTO G. DI LEO

Giuseppina Di Leo

Un uomo dai quattro occhi ho guardato
due li aveva nel petto sotto la camicia
ronzavano alla maniera di un animaletto
ali le ciglia sbattevano segretamente
senza esser visti divoravano
l’eccesso del cuore facendolo sterile
gli occhi del viso erano gioiosi
si posavano curiosamente
sui platani dal bordo castano
stimme verde arancio o di morfea
nella morfallassi di un tempo intero
avanzavamo a scoprire genesi e genere
a un’età dove riposto è già ogni sgomento
con altri occhi somiglianze non ve n’erano
mai ne avevo visti di così belli;
ma i due occhi nel petto
non mi fu possibile guardare
né mi preoccupai invero di scoprirli
segreti ammorbavano chiarori in lampi
e, allontanandomi, essi trafissero il dolore.

*
C. M. E.

La cenere nuota nell’acqua
di un bicchiere mezzo vuoto.
Una cicca di primo mattino.
Qualche scatto assestato per bene
tra piccoli fiori coltivati ad arte
nel piccolo giardino davanti
l’alloggio, e se puoi dimmi
al risveglio cosa ricordi
se il bacio sulle labbra
a quale parola associare.

Aria fresca e avvio di un motore
un pensiero anche
apertosi tremando
come noi tremiamo.

Spinelli foto

Marzia Spinelli

Ti ho cercato in ogni deserto
per le strade di questa odorosa
amorosa città
ho scavato nella terra
e abbracciato la carne
disegnando un sorriso
un suono della tua voce
un profumo tuo
nel giorno
che continua il sogno di te
della notte, di notte qualcosa di te
ho immaginato
la tua lucente armatura d’eroe
e il mio abito di fanciulla perduta
per entrambi
in un trasparente corpuscolo
nella grana ruvida delle stelle
nell’aurora una nuova sembianza di noi.

(inedito)

davide corteseDavide Cortese

Vomito boschi dalle erbe odorose,
unicorni dalle storie millenarie.
Con un solo filo dei miei pensieri
giovani marinai dimenticano il mondo
intrecciando con dita di scheletro
gasse degli amanti e nodi dai nomi
che i loro figli mai nati
non smettono ancora di inventare.
Ciò che si muove nel mio ventre
è l’intero mondo,
bagnato fradicio, fino al cuore di fuoco,
dalla pioggia splendente della vita.
Ma sarò solo una gabbia d’ossa
se ora tu non verrai ad amarmi.
Sarò il cimitero dei miei popoli iridati,
degli arcani baciatori,
dei miei incendiari poeti.
Sarò maestoso nubifragio di tristezze
se solo tu ora non verrai.

(da “Anuda” Aletti 2011)

Elvio Di Spigno

Stelvio Di Spigno

Barcarola della fortuna

A Stefania Buonofiglio

Fai brillare i cavalli al tuo treno perché
è soltanto miseria il nostro mondo, anche se
si affaccia a rincuorarti mentre cammini
ai bordi di una foto, su Positano inusitata
di colori e di acacie, e a lungo la faccia che hai
perde il verde del suolo primitivo.

Brevettammo universo e allegria, come a metà
del Novecento i nostri avi, entrambi contadini,
ma su due facce di cielo distanti in fascine,
poi vennero i giorni di caduta, ora ricordo
che fosti incinta di me come una madre,
mi curavi e cercavi, mi adottavi e viravi

la tua barchetta molle delle astuzie marine
verso un’isola dove restasti sola, drammatica,
a morire di sghembo, senza essere chiamata,
più da nessuno da quel giorno, dolcezza,
signora, amore, pietà, larghezza amata.
Restano tra i vivi gli olivi calabresi,

il filmino della casa, l’anno 2006, la mente andata,
e ogni nuovo volto è un dolore che affoga:
popolammo il motore della fine, quando
tutto cominciò, in un giorno di carta, ere fa,
nessuno ancora l’ha scritto o l’ha tradito,
perché a ogni fatica noi affondammo insieme.

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