[Marie Laure Colasson, Fungo atomico, 40×20 acrilico 2020]
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Il gesto di Pollock di scagliare i colori contro una parete innocentemente bianca vuole distruggere il presente e il futuro, ma anche il passato; Burri vuole rendere evidente che «ciò che resta» sono i sacchi di juta, le vernici, le toppe… vuole distruggere il presente e il futuro, ma anche il passato. E fin qui tutto bene. Fare tabula rasa ma in un percorso contrastivo e opposizionale alla propria epoca. Ma oggi?, che cosa resta oggi dell’Oggi? Il gesto vitale di Pollock mi fa sorridere per la sua ingenuità, mi fa addirittura tenerezza. Anche il gesto estetico di Andy Warhol mi fa tenerezza per anticuità, e mi annoia.
Oggi forse non c’è altra risposta che l’azzeramento di ogni linguaggio, sensato e sensorio, di ogni posizione-opposizione estetica che ponga un senso o che vada alla ricerca di un senso o che vada alla ricerca del non-senso. Oggi semmai ha giustificazione soltanto il «fuori-senso» e il «fuori-significato». È che sono gli «oggetti» ad essere destituiti di oggettità, la «merce» è diventata insensata, si è de-fondamentalizzata. Oggi i barattoli di fagioli di Warhol andrebbero a ruba in Africa o nelle bidonville di affamati delle megalopoli di tutto il pianeta, quelle medesime megalopoli che sono diventate spazi de-politicizzati e che magari votano con convinzione Trump, Bolsonaro, Orban, Putin, Salvini, la Meloni e Berlusconi…
In fin dei conti, la pseudo poesia, la pseudo pittura, la pseudo arte del sensorio, del corporeo, del proscenio, con tutti gli addendi di effetti speciali, tatuaggi, arte corporale, effetti fotovoltaici, effetti psichedelici, etc., quel sensorio, quel proscenio che si fabbrica oggi presso le officine delle emittenti linguistiche, degli editori beneducati e delle istituzioni culturali appropriate oltre che farmi tenerezza, mi ingenera soprattutto disgusto, come i taxi del mare che portavano gli immigrati in salvo sulla terraferma. Quel tipo di poltiglia dell’io liofilizzato e bonificato da ideologemi ci parla di presunte esperienze denaturate e liofilizzate del corpo, esperienze-chat, ipo-esperienze, ipo-verità dello pseudo profondo. Si tratta di un mondo in pseudo. Si tratta di auto illusione nel migliore dei casi. E invece è un falso, una fake news. La Colasson raffigurando il fungo atomico con il colore dello spicchio di melone o di limone sul bicchiere del Campari a cospetto della nerità del fondo, disegna la dimensione in cui l’uomo di oggi ammicca alla propria utopia privata. Quella topologia outopica della soglia ci vuole mettere in guardia avverso ogni disquisizione sul bene e sul male, sulla felicità e sui taxi del mare che portano in salvo i clandestini sulla terraferma, tutte cose esautorate e derubricate a logaritmi della ratio e dell’anima bella.
È incredibile come oggi c’è chi prende ancora sul quasi-serio quella poltiglia liofilizzata, de-politicizzata e zuccherata della pseudo arte dei giorni nostri che ammicca alla auto riproduzione del valore.
(Giorgio Linguaglossa)
[Marie Laure Colasson, Promenade nocturne, 50×50, acrilico e collage, 2023]
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Giuseppe Talìa
Lo Stato di sWAp
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Non è previsto alcun censimento della popolazione. Lo Stato di sWAp è l’unico stato al mondo in cui i vivi e i morti coabitano contestualmente.
La lingua ufficiale dello Stato di sWAp è generativa. Si compone. Si scompone. Si frammista. La Buuuu-language è l’unica lingua al mondo i cui lemmi e parole possono essere sostituiti per intero dall’immagine di uno stato d’animo.
Non c’è una vera e propria capitale nello Stato di sWAp. La tecnocrazia è minore del 30 per cento sui circa 82 kg di CO2 per ciascuno degli abitanti prodotti dagli altri Stati.
In sWAp la leggerezza fa rima con lentezza. Il tempo in sWAp è intermittente. Tiene in conto e ingloba i fusi orari terracquei, a partire dall’ora di Greenwich. Collega i quattro angoli del mondo in tempo reale, fin su le stelle.
La sanità è efficientissima. Si possono ricevere consulti medici specialistici, non solo da singoli professionisti, ma da interi gruppi. I gruppi di sWAp -sWAp -sWAp sono tra i più rinomati del mondo per la loro caratteristica esperienziale e la tecno-simbologia emoji utilizzata.
La religione ufficiale dello Stato di sWAp è di difficile definizione -la parola è il francobollo dell’immagine. sWAp riconosce a tutti i cittadini la libertà di manifestare la propria fede e il proprio credo.
L’interconnessione di sWAp permette nell’immediatezza di recuperare reperti, prove, attestazioni, immagini e video.
La memoria nello Stato di sWAp è soggetta a tariffazioni previste dagli operatori economici che forniscono i servizi di appoggio alla rete infrastrutturale in divenire.
Le altre opzioni sWAp sono di norma previste con le funzioni, rispondi, inoltra, elimina, archivia.
Il backup di sWAp avviene una volta a settimana. Nella cartella “salva una vita”, nome e cognome, si possono recuperare tutte le storie del passato.
L’economia dello Stato di sWAp si regge sul principio dell’inseparabilità del capitale e della tecnologia. Il capitale pensa e la tecnologia realizza.
La virtualizzazione della finanza, in associazione al lavoro immateriale, permette allo Stato di d’incamerare i profitti necessari per il mantenimento del benessere collettivo di sWAp.
Le tasse in sWAp sono previste in pochissimi e specifici casi e di norma non superano i centesimi. Sono accettate tutte le valute esistenti e quelle che verranno.
Il Prodotto interno lordo dello Stato di sWAp è correlato al numero della popolazione dei richiedenti la residenza. I flussi in entrata sono illimitati.
La fabbrica del mondo di sWAp utilizza esclusivamente metadati prodotti da nuove dimensioni.
(Tallia, 16 settembre 2023)
Lo Stato di sWAp è una superba allegoria del nostro presente e del prossimo futuro. Una poesia che può scrivere soltanto a chi è capitato di Vivere alla fine dei tempi. Da Le vocali vissute del 1999 a questa composizione passano 24 anni, e bisogna ammettere che Giuseppe Talia ha compiuto passi da gigante, ha messo tra i rifiuti indifferenziati tutta la paccottiglia delle poesie elegiache e post che dir si voglia. Ed è partito. A sua misura, è uno dei capolavori della poetry kitchen. E’ il prodotto del vuoto-sotto-vuoto. Il prodotto del supervuoto. E’ una allegoria della condizione storica della nostra civiltà. Per prima cosa è stato introdotto di nuovo il «discorso» che, come ogni discorso, si basa sul verosimile e sul credibile, ovvero, sulla menzogna e sui sentieri interrotti, ma non verso la «verità» ma verso il non-luogo. Discorso sul non-luogo quindi. Discorso che può essere pronunciato soltanto nel luogo-non-luogo che noi abitiamo.
(Marie Laure Colasson)
Giuseppe Talìa (pseudonimo di Giuseppe Panetta), nasce in Calabria, nel 1964, risiede a Firenze. Pubblica le raccolte di poesie: Le Vocali Vissute, Ibiskos Editrice, Empoli, 1999; Thalìa, Lepisma, Roma, 2008; Salumida, Paideia, Firenze, 2010. Presente in diverse antologie e riviste letterarie tra le quali si ricordano: Florilegio, Lepisma, Roma 2008; L’Impoetico Mafioso, CFR Edizioni, Piateda 2011; I sentieri del Tempo Ostinato (Dieci poeti italiani in Polonia), Ed. Lepisma, Roma, 2011; L’Amore ai Tempi della Collera, Lietocolle 2014. Ha pubblicato i seguenti libri sulla formazione del personale scolastico: LʼIntegrazione e la Valorizzazione delle Differenze, M.I.U.R., marzo 2011; Progettazione di Unità di Competenza per il Curricolo Verticale: esperienze di autoformazione in rete, Edizioni La Medicea Firenze, 2013. È presente con dieci poesie nella Antologia Come è finita la guerra di Troia non ricordo a cura di Giorgio Linguaglossa, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2016.; con il medesimo editore nel 2017 esce la raccolta poetica La Musa Last Minute. È uno degli autori presenti nelle Antologie Poetry kitchen 2022, Poetry kitchen 2023, e nella Agenda. Poesie edite e inedite 2023 e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Quando appare una nuova φωνή sorge anche un nuovo λόγος, appare una definita modalità dell’essere-nel-mondo, una definita modalità in cui il mondo incontra la storia, la polis, la politica e l’abitare il mondo, cioè l’etica. Questa modalità è una ontologia modale, sono i «modi» con cui interagiamo con il mondo che determinano il nostro essere-nel-mondo; il che implica una serie di pensieri, di azioni, di retro pensieri, di un fare, di pratiche, di passioni, di reazioni. Ad un certo punto, tutto questo conglomerato si trasforma in un nuovo stile, in un nuovo linguaggio.
Nella riflessione del Wittgenstein maturo, dalle Ricerche filosofiche in poi, è all’opera un tentativo di de-psicologizzazione del linguaggio, vale a dire un’indagine grammaticale relativa al modo in cui parliamo delle nostre esperienze «interne». Centrale, in quest’ultimo tratto del percorso wittgensteiniano, è il termine «atmosfera» (Atmosphäre): attraverso una critica di tale concetto, il filosofo austriaco analizza il nostro modo di parlare dei processi psicologici e, in particolare, della comprensione linguistica, intesa come esperienza mentale «privata». Contro l’idea che il significato accompagni la parola come una sorta di alone di senso, come un sentimento o una tonalità emotiva (Stimmung), Wittgenstein valorizza l’aspetto comunitario e già da sempre condiviso dell’accordo (Übereinstimmung) tra i parlanti. Il richiamo al modello musicale dell’accordo armonico tra le voci consente così di recuperare la dimensione atmosferica, auratica e coloristica dell’esperienza linguistica in cui si assiste a una «sintonizzazione» tra i parlanti coinvolti in un comune sentire, il cui luogo ideale è per eccellenza la forma-poesia.
Dobbiamo forse accettare che oggi il linguaggio poetico è diventato un «luogo» aporetico per eccellenza, che in esso trovano posto come non mai le antinomie del contemporaneo.
Vero è che un certo linguaggio poetico, mettiamo quello di Andrea Zanzotto e di Edoardo Sanguineti, entra in crisi di identità quando il marxfreudismo di Sanguineti e lo sperimentalismo del significante di Zanzotto vengono superati e fatti collassare dal ’68. Sono i sommovimenti sociali epocali che fanno collassare i linguaggi poetici e filosofici.
Oggi che alla crisi è succeduta la post-crisi, è avvenuto che al minimalismo sia succeduto il post-minimalismo. È paradossale dirlo: ma oggi la crisi si è stabilizzata, la crisi governa la crisi; i linguaggi artistici, e quelli poetici in particolare, sono diventati tanto «deboli» da essere invisibili e quindi invulnerabili; questi connotati, tipici del nostro tempo non devono affatto meravigliare, sono i connotati dello Zeit-Raum che è diventato un contenitore vuoto, contenitore di altro vuoto, i linguaggi poetici contengono un linguaggio invisibile, poroso, e quindi non fungibile. È come se la legge di gravità che tiene insieme le parole fosse diminuita; forse dovremmo accettare una filosofia «debole», che accetti di misurarsi con una «ontologia debole», che respinga al mittente le categorie «forti» proprie di un concetto «rotondo» del fare poesia; forse dovremmo accostumarci ad accettare la «debolezza ontologica dei frammenti». Ed è quello che tenta di fare la «nuova ontologia estetica», che sorge quando i linguaggi epigonici collassano sotto il peso della propria insostenibilità, non da un sommovimento sociale ma sì da un sommovimento epocale: dalla consapevolezza della messa in liquidazione dei linguaggi poetici «rotondi».1]