Giuseppe Pedota da DOPO IL MODERNO (CFR, 2012) – A proposito del paradigma maggioritario

delitto tra i libri

delitto tra i libri

giuseppe pedota copertina Dopo il Moderno

Estratti dal libro Giuseppe Pedota Dopo il Moderno Saggi sulla poesia contemporanea (CFR, 2012) pp. 130 € 12

A proposito del paradigma maggioritario

Un noto economista ha scritto: «I falsi sono cloni (imperfetti?) dell’originale perché lo riciclano continuamente durante il processo produttivo… Il successo di libri e film come Il codice da Vinci illustra bene il bisogno di racconti della storia dell’arte e della religione riciclati e accessibili a tutti. In modo analogo, i romanzi bestseller di ambientazione storica soddisfano il desiderio dei lettori di consumare in fretta storia e cultura, come prodotti usa e getta che consentono l’evasione dalla prigione della realtà quotidiana. La cultura diventa un prodotto commerciale e la tecnologia moderna ne offre una versione romanzata, a buon mercato, nelle librerie degli aeroporti o nei supermercati, sui siti web o sul grande schermo. L’autenticità di un prodotto culturale unico e, quindi, non imitabile, tende a scomparire. E poi i prodotti autentici sono unici, quindi scarseggiano. Esattamente al contrario, ogni falso produce altri falsi, attraverso un eterno processo di riciclaggio».

Eugenio Montale

Eugenio Montale

Analogamente, il linguaggio poetico maggioritario assume i caratteri del «falso» in quanto prodotto di «copia (imperfetta?) dell’originale»; al limite, una nuova «copia» viene accettata solo se «imita» l’originale, se si pone come una «copia» dell’originale. Se intendiamo «originale» come quella formula che trova corrispondenza immediata con il pubblico di massa (in tale accezione opere come Le mie poesie non cambieranno il mondo -1974, di Patrizia Cavalli e Ora serrata retinae -1980, di Valerio Magrelli sono  una esemplificazione impareggiabile di quanto andavo dicendo), qual è il migliore «originale» oggi disponibile? È ovvio, sono i poeti del «paradigma maggioritario», ovvero, del minimalismo i quali gradiscono la schiera infinita di «copie imperfette», che assicurano il marchio di fabbrica dell’«originale», e ne sono la riprova sul piano della produzione della cultura di massa. Credo che occorra cominciare a riflettere sul concetto di «copia di massa» di un prodotto culturale. Vorrei essere più preciso: le composizioni di Vivian Lamarque, di un Valerio Magrelli e di Patrizia Cavalli si presentano come «originali» di copie seriali,  di «copie (imperfette?)» di un originale perfetto che giace nelle propaggini subliminali di una cultura massmediatizzata standardizzata: sono dei cloni finti di una finta problematica che la loro poesia espone e teatralizza. Con tutta sincerità, quanta poesia non è altro che una «variante» degli «originali» presenti nel subliminale della cultura di massa? Occorre cominciare a chiederci: quanta poesia contemporanea è attenta al problema dello «stile» o al problema dell’«autenticità»?

Come scrive Vattimo: «Identificare la sfera dei media con l’estetico può certo suscitare qualche obiezione; ma non risulta tanto difficile ammettere una tale identificazione se si tiene conto che, oltre e più profondamente che distribuire informazione, i media producono consenso, instaurazione di un comune linguaggio nel sociale. Non sono mezzi per la massa, al servizio della massa; sono i mezzi della massa, nel senso che la costituiscono come tale, come sfera pubblica del consenso, dei gusti e del sentire comuni. Ora, questa funzione, che si usa chiamare, accentuandola negativamente, di organizzazione del consenso, è una  funzione squisitamente estetica…».[1]

calvino e pasolini

calvino e pasolini

Lo stile da cattiva traduzione

Il dispregio della poesia del paradigma egemone verso ogni problema di «stile» viene a degradarsi in assunzione di una funzione servile: lo stile da cattiva traduzione di un Franco Buffoni o la scrittura di un «quotidiano» calendarizzato e reificato, da parte dei «quotidianisti», ridotto alla misura del cliché dell’intellettuale piccolo borghese in epoca di stagnazione economica: una sorta di spartana economia dei mezzi stilistici e degli strumenti lessicali con uno stile apparentemente democratico, uno stile da esportazione stilistica comune alla piccola borghesia stilistica dell’Unione Europea. Ma qui dovremmo porci il problema seguente: di quale cultura sia il prodotto il minimalismo romano-milanese. È bene dirlo senza impacci: l’esigenza della conservazione di quella cultura che ha rifiutato le «questioni metafisiche» porta inevitabilmente alla mitizzazione del quotidiano (per Wittgenstein è mitologico proprio il linguaggio degli oggetti) e alla instaurazione di una vera e propria ideologia degli oggetti. Personalmente,sono giunto alla drastica conclusione che lo stile è servente in quanto sottoposto alla cogenza di una legislazione immanente: la cultura di massa che, per sua essenza, richiede un paradigma dominante, che altro non è che il mondo delle merci secondo il modello standard della riconoscibilità.

edoardo sanguineti

edoardo sanguineti

Il «bello» stile, è lo stile delle merci, suo paradigma è una merce culturale cosmopolitica, eurotrasportabile

Il «bello» stile, è lo stile delle merci, suo paradigma è una merce culturale cosmopolitica, eurotrasportabile ed esportabile, tanto più leggibile, in quanto prodotto della barbarie della cultura che quel paradigma legittima e finanzia. Chi oggi tra i poeti contemporanei ha una qualche percezione di questo nesso problematico? Sia detto a chiare lettere: ciò che legittima il paradigma è il paradigma stesso. Può sembrare una tautologia ed invece si tratta di un vicolo cieco verso il progresso delle forme estetiche. Ma è anche vero che il paradigma che punta alla «perfezione» (e penso al decorativismo post-penniano della poesia di Elio Pecora o al quotidianismo psicanalitico di Vivian Lamarque) precipita in un buco nero senza fondo, precipita nell’imbuto della decorazione. Piuttosto che una costruzione il paradigma si rivela essere un vero e proprio buco nero, combustione, non più catena di rimandi da segno a segno ma catena di prigioni dorate che  rimandano alla propria riconoscibilità. Ma qui il problema si complica e non vorrei tediare oltre il lettore.

Angelo Maria Ripellino a Praga

Angelo Maria Ripellino a Praga

 Il minimalismo è un discorso che si configura come «copia» dell’«originale»

Che cos’è oggi il minimalismo? Il minimalismo è dunque un discorso che si configura come «copia» dell’«originale» che giace nel subliminale della cultura della massa mediatica. Oggi occorre invece porre con forza la definizione del principiale, senza il quale non si dà logos poetico. L’urgenza che muove oggi i poeti europei più sensibili è individuare una ragione della lirica nel punto cruciale della crisi della cultura da cui quella lirica proviene. Il pensiero borghese ha operato un distinguo pragmatico: alla filosofia il discorso assertorio e alla poesia il discorso suasorio. È stata la trappola del neopositivismo nella quale una grandissima parte della poesia europea è caduta per pigrizia intellettuale e per la mancanza di una filosofia dell’arte che pensasse, in sua vece, le condizioni con le quali l’arte del nostro tempo si è trovata a convivere.

tomas transtromer

tomas transtromer

La poesia del Dopo il Moderno

La poesia del Dopo il Moderno si è venuta così a configurare come interrogazione di un «originale» che essa stessa, implicitamente, porrebbe nell’atto del suo pronunciamento ma senza adeguata coscienza delle conseguenze e della portata che l’atto dell’interrogazione pone. La poesia del minimalismo non si chiede se esista un «originale», gli è sufficiente garanzia l’esistenza di una «copia» della «copia». Molta poesia contemporanea, per il suo essere acriticamente inconsapevole di un tale nesso problematico, perirebbe nel minimalismo acritico, accontentandosi di vivacchiare all’interno di una religione degli oggetti, e del suo contraltare: la religione del nuovo io, di un domandare retorico, vacuo, allusivo, consolatorio.

czeslaw milosz

czeslaw milosz

Il minimalismo è un discorso giustificatorio

Se il minimalismo è parametrato sul modello proposizionalistico di copia della copia e suppone già data la conclusione del modello «giustificatorio» del discorso poetico, la poesia che pensa i propri fondamentali non può non scandagliare la via della interrogazione radicale sulle cause ultime e più remote che governano la ragione stessa del logos poetico.

Il minimalismo è un discorso giustificatorio: si occupa di giustificare come vere un insieme di proposizioni che si reggono sulla semplice giustificabilità che lega le proposizioni le une alle altre, dove ciascuna è principio di un’altra, in una catena virtuale-infinita; si occupa di canonizzare, quale canone invariabile, un impiego «commerciale» dell’«attualità».

 

[1] Gianni Vattimo La fine della modernità Garzanti, Milano, 1985 p. 76

1 Commento

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Una risposta a “Giuseppe Pedota da DOPO IL MODERNO (CFR, 2012) – A proposito del paradigma maggioritario

  1. Ambra Simeone

    interessantissimo questo articolo.
    il linguaggio minimalista è diventato un modo di fare poesia convenzionale con uno stile normativo stabile, specchio di una società stagnante! è difficile chiedere ai poeti minimalisti di fare un passo indietro o uno in avanti, considerando che ancora ci sono molti aspiranti poeti di nuova generazione che ti dicono: “con questo tipo di poesia (non-minimalista) avrai problemi nel farti strada tra gli ambienti poetici!” il consenso è l’obbiettivo primario di questi aspiranti poeti, più che la comunicazione!

    strano a crederlo che anche tra la poesia ci sia quella di “consumo”, ci hanno sempre detto che la poesia non ha mercato, non ha pubblico, qui invece si parla di “poesia di massa”, o meglio di una poesia che rispecchia un “linguaggio di massa” ma oserei dire che più che di massa rimane di “nicchia”, un modo di fare poesia che un piccolo pubblico (quello della poesia, quasi sempre poeti che ascoltano altri poeti) accetta o non accetta come tale, in questo caso il potere di decidere cosa sia o cosa non sia poesia è dato ai pochi che rappresentano la “massa poetica”, pochi in relazione al pubblico del romanzo!

    fatto sta che quella dei poeti minimalisti è “la maggioranza di una minoranza” che ha più potere, potere conferito dalle grandi case editrici asservite alle leggi di mercato, leggi di mercato che contribuiscono a creare e mantenere in un pubblico che distingue ciò che è buono da ciò che non lo è, solo in base alla distribuzione di un prodotto letterario e/o alla fama della casa editrice che lo distribuisce.

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