DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 

locandina antologia 3 JPEGGiorgio Linguaglossa

https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/04/10/salvatore-martino-autoantologia-di-poesia-e-racconto-del-proprio-percorso-di-poesia-dagli-anni-sessanta-ad-oggi-poesie-scelte-relazione-tenuta-al-laboratorio-di-poesia-de-lombra-delle-parole-del/comment-page-1/#comment-19226

Due verità si avvicinano l’una all’altra. Una viene da dentro, una viene da fuori
e là dove si incontrano c’è una possibilità di vedere se stessi
*
Talvolta si spalanca un abisso tra il martedì e il mercoledì ma ventisei anni possono passare in un attimo: il tempo non è un segmento lineare quanto piuttosto un labirinto, e se ci si appoggia alla parete nel punto giusto si possono udire i passi frettolosi e le voci, si può udire se stessi passare di là dall’altro lato.
*
Che cosa sono io? Talvolta molto tempo fa
per qualche secondo mi sono veramente avvicinato
a quello che IO sono, quello che IO sono.
Ma non appena sono riuscito a vedere IO
IO è scomparso e si è aperto un varco
e io ci sono cascato dentro come Alice
*
Lasciare l’abito / dell’io su questa spiaggia, / dove l’onda batte e si ritira, batte // e si ritira.
*
Una fessura / attraverso la quale i morti / passano clandestinamente il confine
*
Ho fatto un giro attorno alla vita e sono ritornato al punto di partenza: una stanza vuota
*
… una mattina di giugno quando è troppo presto per svegliarsi e troppo tardi per riaddormentarsi…
*
… e dopo di ciò scrivo una lunga lettera ai morti
su una macchina che non ha nastro solo una linea
d’orizzonte
sicché la parole battono invano e non resta nulla
*
Io sono attraversato dalla luce
e uno scritto si fa visibile
dentro di me
parole con inchiostro invisibile
che appaiono
quando il foglio è tenuto sopra il fuoco!
*
Leggevo in libri di vetro…
*
Stanco di tutti quelli che si presentano con parole,
parole ma nessuna lingua
sono andato sull’isola coperta di neve
[…]
La natura non ha parole.
Le pagine non scritte si estendono in tutte le direzioni!
*
…la baia si è fatta strana – oggi per la prima volta da anni pullulano le meduse, avanzano respirando quiete e delicate… vanno alla deriva come fiori dopo un funerale sul mare, se le si tirano fuori dall’acqua scompare in loro ogni forma, come quando una verità indescrivibile viene fatta uscire dal silenzio e formulata in morta gelatina, sì sono intraducibili, devono restare nel loro elemento

Sono versi di Tranströmer… il problema è che il «vuoto» c’è, e chi non lo ha mai intravisto non lo metterà mai nella propria arte… il problema è percepirlo e saperlo mettere sulla pagina bianca. Il «vuoto» della civiltà moderna non lo ha inventato la NOE, c’era già prima della NOE.

Salvini Il governo che intendo guidare non farà sbarcare neanche un clandestino o richiedente asilo in Italia Dal primo all'ultimo, tornano da dove sono partiti

quando le parole vengono svuotate del loro significato

Giorgio Linguaglossa

SU ALCUNE QUESTIONI INTORNO ALL’ESSERE E AL NULLA, LA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA

https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/04/05/gino-rago-arte-dello-scrivere-due-frammentisti-vociani-a-confronto-clemente-rebora-aldo-palazzeschi-e-pier-paolo-pasolini-un-contributo-alla-rilettura-del-novecento-poetico-italiano-e-un-c/comment-page-1/#comment-19052

Vorrei tornare ai miei spunti e appunti spersi su questa Rivista intorno alla questione del Nulla, del Vuoto e dell’Essere ai fini di una corretta impostazione metodologica della N.O.E. – Il tratto caratteristico e per me fondante, il tratto di distinguibilità io lo rinvengo nella percezione del Nulla, del concetto filosofico e scientifico che il termine Nulla ha. La N.O.E. recepisce questa gigantesca problematica di oggi, comune anche alla filosofia recentissima.

La questione del Nulla non è stata inventata dai redattori dell’Ombra, ma è da più di un secolo che la filosofia e la scienza pensano questa “Cosa”.

Si dice comunemente che «Il Nulla non è» e che «l’Essere è», ponendo il Nulla come originario e fondante l’essere; ebbene, questa impostazione ha il sapore di vecchia scolastica, oggi noi ipotizziamo l’indistinguibilità del Nulla e dell’Essere come dato di fatto filosoficamente inconcusso. Il Nulla significa e, in quanto positivamente significa è equiparabile alla significazione vuota del non-essere, il suo darsi è «vera e indeterminatissima negazione dell’essere»1] – È paradossale che la negatività assoluta, il Nulla, significhi anche qualcosa, proprio come l’Essere il quale significa anch’esso qualcosa. Ovvero, il positivo significare e il negativo significare sono su un piano di assoluta parità ontologica, nessuno dei due riveste un ruolo di priorità ontologica: «la positività del significato ‘albero’, non è assolutamente più originaria di quella predicabile dal nulla».2] Ovviamente, parlando di positività del nulla noi intendiamo la sua assoluta indeterminazione che non assume alcun ruolo prioritario nella individuazione di un qualunque essere dal punto di vista ontologico.

Questo «è» consiste nella SUA assoluta mancanza di determinazione e dunque costitutivamente connaturato con il Nulla. Così, Prima dell’Inizio, il nulla che è e l’essere che non è, si danno simultaneamente la mano.

Con le parole di Severino: «pensare “quando l’essere non è“, pensare cioè il tempo del suo non essere significa pensare il tempo in cui l’essere è il nulla, il tempo in cui si celebra la tresca notturna dell’essere e del nulla».3]

Lo stesso Severino afferma che il principium firmissimum riesce a strutturarsi «solo in relazione con il negativo, e l’incontrovertibilità può esser posta solo in quanto originariamente implicante una relazione con il nulla». Il Nulla di cui il filosofo italiano parla «non è il non-essere determinato ma il nulla in quanto «nihil absolutum», l’assolutamente altro dall’essere».

Ciò significa che anche l’Originario è auto contraddittorio, esso si dà quando non si dà, cioè quando non è Principio di alcunché: di qui la natura intimamente antinomica e paradossale dell’Originario. L’Originario non è un ente che si costituisce in ente ma è qualcosa connaturata al suo non-essere e, quindi alla sua stessa inconsistenza dal punto di vista dell’ente…

Da quanto precede, è ovvio che leggere la mia poesia Preghiera per un’ombra, presuppone il porsi nella dimensione esistenziale di accoglimento del Nulla e del non-essere (e quindi del tempo) sullo stesso piano ontologico di parità indistinta. La Nuova Ontologia Estetica non poteva sorgere che in questo nuovo orizzonte di pensiero filosofico. Questo mi sembra incontrovertibile.

Il problema in ambito estetico è percepire il nulla aleggiare nelle «cose» e intorno alle «cose», percepire il vibrare del nulla all’interno di una composizione poetica così piena di «cose» e di significati… per scoprire che tutte quelle «cose» e quei «significati» altro non erano che il riverbero del «nulla», il solido nulla del nostro nichilismo…

La positività del nulla è la sua stessa nullità, la sua nullificazione. Credo che questo sia chiaro a chi legga la poesia con la mente sgombra, facendo vuoto sul prima della poesia, leggerla come si respira o si guarda uno scricciolo che trilla, come un semplice accadimento che accade sull’orlo di qualcosa che noi non sappiamo… Ascoltare la progressiva nullificazione del vuoto che avanza e tutto sommerge nella sua progressiva forza nientificante. È questo appunto di cui tratta la Nuova Ontologia Estetica, prima ancora di parlare di metro, di parola e di musica… e quant’altro…

1]Massimo Donà, L’aporia del fondamento, Milano-Udine 2008 p. 183
2] Ivi, p.199
3] Emanuele Severino “Ritornare a Parmenide”, in Essenza del nichilismo, Milano 1982, p.22
4] Emanuele Severino, La struttura originaria, Milano 1981, pp.181-182 e p. 209

Mario Gabriele Maurizio Ferraris

Scrive Maurizio Ferraris:

«A livello ontologico, il quadridimensionalismo come iscrizione della traccia (perché questo, in ultima istanza, è il quadridimensionalismo: che insieme al lungo, al largo e al profondo ci sia anche il passato) assicura l’evoluzione, ossia lo sviluppo delle interazioni. in secondo luogo, a livello epistemologico, quello in cui la memoria ricorda, il quadridimensionalismo permette la historia, la ricostruzione dello sviluppo temporale degli individui. Se Proust ne avesse avuto il tempo, avrebbe potuto scrivere la storia dell’universo. Provo a spiegare questa affermazione magniloquente.

La domanda ontologica “che cosa c’è?” può allora venire articolata in due domande distinte: da una parte “che cosa c’è per noi, in quanto osservatori interni allo spazio tempo?”; dall’altra “che cosa ci sarebbe per un osservatore privilegiato, che osservasse lo spaziotempo dal di fuori?”.»

Cari amici Claudio Borghi e Mario Gabriele,

io sono profondamente convinto che la poesia che dobbiamo scrivere è quella che apre degli spiragli sulla quadri dimensionalità. Come farlo sta al talento di ciascun poeta, al proprio bagaglio di esperienze storiche, la NOE non pone alcuna recinzione a questo compito, tutte le strade sono possibili e percorribili, quello che a noi della NOE sembra indiscutibile è che in questo modo si aprono per la poesia possibilità ed esiti inattesi e potenzialmente ampi per l’espressione poetica. Io penso (ma è solo un mio pensiero) che per far questo sia indispensabile costruirsi un proprio metro, il cosiddetto «libero», che poi non è libero affatto, l’importante è abbandonare la visione monoculare della poesia pentagrammatica e fonetica che dà luogo ad un verso unilineare e temporalmente condizionato da una mimesi filosoficamente ingenua. In questo modo si mette in archivio la impostazione unilineare del tempo e dello spazio. Quel tipo di poesia lì si è fatta per secoli e per tutto il novecento, adesso è venuto il momento di cambiare registro.

Annamaria De Pietro Stefanie Golish

Claudio Borghi 

9 aprile 2017 alle 13:54 

Questo è il punto critico, Giorgio. Tu sostieni (coerentemente parli di un tuo libero pensiero, che non pretendi imporre) che “l’importante è abbandonare la visione monoculare della poesia pentagrammatica e fonetica che dà luogo ad un verso unilineare e temporalmente condizionato da una mimesi filosoficamente ingenua”, ecc. Ma in che senso la poesia novecentesca è monoculare? In quanto interpreta il tempo come unilineare e non lo sente appartenere a una struttura quadridimensionale? L’esperienza del tempo psicologico, in quanto prolunga la mente nella memoria, è per tutti quella di una quarta dimensione vissuta dall’interno: ritenere di fondare su questa consapevolezza una rivoluzione estetica è a mio avviso ingenuo, soprattutto laddove si ritiene di caratterizzarla sul verso libero, sul metro vario in antagonismo con la presunta statica “unilinearità” dell’endecasillabo. Il novecento è stato il secolo delle sperimentazioni linguistiche, il verso libero e la poesia in prosa sono, come sai, un portato ottocentesco, del simbolismo francese in particolare (Aloysius Bertrand, Baudelaire, Rimbaud…), ma il problema non è tanto questo. Tu ribadisci la necessità di andare oltre, lasciarsi indietro Bertolucci, Bacchini, ecc., come si trattasse di esponenti di una poesia che ha esaurito le sue potenzialità in quanto legata a una concezione ingenua del tempo lineare. In che senso il tempo interiore è non lineare? Forse che si ritiene psicologicamente di poter sperimentare il tempo come legato a una struttura quadridimensionale? Non è chiaro questo aspetto (lo stesso Ferraris in sostanza non ha risposto laddove la Giancaspero l’ha sollecitato su questo punto, ha fornito un’analisi impeccabilmente fenomenologica in quanto, credo, ha sentito il pericolo del possibile anomalo legame tra ontologia ed estetica, che dovrebbero restare sempre separate), sembra una volontà e una dichiarazione di intenti confusamente quanto suggestivamente legata alla scienza. La relatività è costruita su una varietà quadridimensionale, lo spaziotempo, ma il tempo relativistico nulla ha a che fare col tempo della coscienza o con la memoria. Dal mio punto di vista, e a questo è orientata la mia ricerca sia in fisica che in poesia, il problema è come avvicinare la scienza e l’arte o la scienza e la filosofia, dopo che le rivoluzioni della fisica teorica hanno stravolto la rappresentazione che del mondo gli uomini si sono fatta fino all’ottocento. E’ questo che, in particolare nelle sezioni in prosa di Dentro la sfera, ho cercato di fare, e mi sono sentito dire (incredibile, vista una realtà che a me pare piuttosto oggettiva) di essere legato all’unilinearità novecentesca, quindi, in un certo senso, a una percezione ingenua del reale. L’arte, Giorgio, è il portato di un’esperienza spirituale profonda: non si supera l’arte del novecento, in ispecie quella dei suoi esponenti più ricchi di forma immaginativa e di pensiero, sostenendo che hanno indagato il mondo alla luce di una “mimesi filosoficamente ingenua”, in quanto nessuna visione del mondo è ingenua se nasce da un’esperienza di vita spiritualmente autentica. Per far dialogare arte e scienza occorre conoscerle entrambe, non lasciarsi guidare da suggestioni teoretiche tentando esperimenti di quadridimensionalità di cui, almeno così a me pare, non è chiaro lo scopo, a parte l’intenzione esplicita di “cambiare registro”. Oltre allo spazio in cui nuotano i nostri sensi c’è il tempo in cui nuota la memoria e più in generale la mente, di cui la memoria è una componente necessaria. L’arte è grande se riesce a sondare questa profondità non spaziale, a innescare luce in un baratro scuro in cui l’io, cerino acceso, riesce a vedere ben poco con le sue povere forze, ma ugualmente tenta sintesi, cerca contatti, indaga forme, inventa armonie, elabora teorie.

Osip Mandel’stam Georg Trakl

Giuseppe Talìa

9 aprile 2017 alle 19:54 

Il maestro Hoyko riversò per terra un sacchetto pieno di monete d’oro e disse agli allievi: “prendetele e usatele”. E gli allievi, come scalmanati, si accapigliarono fra di loro per procurarsene il più gran numero.
Quando non rimase più alcuna moneta il maestro Hoyko disse: “C’è tra di esse una moneta falsa ma non la riconoscerete dal tinnire del metallo, né dal suono fesso, né dal modesto brillio, né dal peso in sé, né dalla grandezza della moneta, né dall’effige del re”.
“Oh, maestro” chiese il migliore tra gli allievi “come potremo allora noi discernere il grano dal loglio se non c’é differenza alcuna?”

G. Linguaglossa, La Filosofia del Tè, 2015

Steven Grieco Rathgeb Donatella Costantina Giancaspero

Donatella Costantina Giancaspero

 13 aprile 2017 alle 20:54

gentile Inchierchia,

le rispondo semplicemente trascrivendo due poesie di Transtromer che hanno tutti i requisiti di una nuova ontologia estetica (e non “estetica ontologica” come da lei erroneamente riportato). Come vede la nuova ontologia è abbastanza vecchia considerando che queste poesie sono state scritte diversi decenni or sono.

SULLA STORIA (PARTE V)

Fuori, sul terreno non lontano dall’abitato
giace da mesi un quotidiano dimenticato, pieno di avvenimenti.
Invecchia con i giorni e con le notti, con il sole e con la pioggia,
sta per farsi pianta, per farsi cavolo, sta per unirsi al suolo.
Come un ricordo lentamente si trasforma diventando te.

MOTIVO MEDIEVALE

Sotto le nostre espressioni stupefatte
c’è sempre il cranio, il volto impenetrabile. Mentre
il sole lento ruota nel cielo.
La partita a scacchi prosegue.
Un rumore di forbici da parrucchiere nei cespugli.
Il sole ruota lento nel cielo.
La partita a scacchi si interrompe sul pari.
Nel silenzio di un arcobaleno.

Cesare Pavese Gino Rago

Lucio Mayoor Tosi

13 aprile 2017 alle 21:31

A proposito di realtà percepita nella realtà stessa:
«Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: – Salve, ragazzi. Com’è l’acqua? – I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: – Che cavolo è l’acqua?».

Tratto da un articolo di Andrea Cortellessa.

Alfredo de Palchi W.H. Auden

Giorgio Linguaglossa

NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA 

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Non la poesia è in crisi ma la crisi è in poesia. Il mondo è andato in frantumi. È andato in frantumi il principio di identità, quella identità si è poi scoperto che era una contraddizione e il soggetto non può che percepire gli oggetti in frantumi come altamente contraddittori e conflittuali. Lo stesso Severino, il filosofo per eccellenza della identità, ha rilevato che porre A=A è ammettere che A sia diverso da A. che cioè l’identità implica in sé la diversità e la non-identità. Anche Derridà invocava a pensare l’orizzonte della rimozione come dell’accadere di un evento, secondo «una nuova logica del rimosso». L’epoca in cui la crisi è in crisi, richiede alla poesia risposte nuove, che si affranchino dalle risposte che sono già state date, pensare l’orizzonte della parola come un orizzonte del rimosso, una parola che anche quando la riusciamo a profferire, risulta in sé divisa in schisi, solcata dalla scissione…

Gli oggetti esterni sono percepiti frantumati, al pari degli oggetti interni. Anche il metro della poesia ne è uscito frantumato, il metro della nuova ontologia estetica, per eccellenza. Per il fatto di avere questa relazione doppia con se stesso, il soggetto è sempre intorno all’ombra errante del proprio «io», ci gira intorno dall’esterno, lo circumnaviga, sospettoso e distratto. Quello che nella nuova poesia ontologica si presenta è l’allestimento di una scena, di varie scene nelle quali il soggetto e l’oggetto sono irrimediabilmente separati da se stessi come in preda di una diplopia, figura essi stessi della loro schisi, della loro deiscenza all’interno del mondo – quell’oggetto che per essenza distrugge l’«io» del soggetto, che lo angoscia, che non può raggiungere, in cui non può trovare alcuna riconciliazione, alcuna aderenza al mondo, alcuna complementarità. Tra «oggetto» ed «io» si è instaurata una scissione, una Spaltung.

La poesia della Nuova ontologia estetica eredita tutta questa frantumazione del frammento, questa polverizzazione dell’«oggetto», e non potrebbe essere altrimenti. E questa è la sua forza, la forza percussiva delle sue icone semantiche ridotte ai minimi termini dell’azione semantica.

alcuni poeti della NOE

Donatella Costantina Giancaspero

5 aprile 2017 alle 20:36 

NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA 

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Grazie a Gino Rago per questo suo excursus critico sull”ars poetica” di autori che ritengo fortemente innovativi nel Novecento. L’accostamento che ne fa mi pare senz’altro appropriato: Clemente Rèbora, l’ “espressionista” Rèbora, annoverato tra i cosiddetti “vociani”, anche loro (come noi oggi) spinti verso la ricerca di un nuovo linguaggio (una Nuova Ontologia Estetica diremmo noi) dall’esigenza di abbandonare gli schemi tradizionali del secolo precedente; Aldo Palazzeschi, confluito nella rivista La Voce dopo l’esperienza futurista: uno scrittore e poeta controcorrente, nei cui versi Marinetti leggeva «un odio formidabile per tutti i sentieri battuti, e uno sforzo, talora riuscitissimo, per rivelare in un modo assolutamente nuovo un’anima indubbiamente nuova». Intellettuale fervido e lungimirante, mi pare giustamente accostabile a Pier Paolo Pasolini: «insoddisfatto del linguaggio e della forma-poesia del suo tempo – così analizza Gino Rago – già avvertiva in sé l’aspirazione di far muovere i suoi versi in un’area espressiva più vasta di quella fino ad allora esplorata e attraversata». Dopo di lui (e dopo il Montale di Satura), “la crisi nella poesia”, il “mondo in frantumi”, come scrive Giorgio Linguaglossa: quarto e ultimo autore citato, col quale Gino Rago ci conduce alla contemporaneità. La sua «febbrile ricerca poetica» lo pone senz’altro un passo in avanti, oltre la linea consunta di tanta poesia letta e riletta. È il passo in avanti richiesto dai tempi, dall’epoca in cui viviamo. Lo ripeto con le parole stesse di Giorgio Linguaglossa: «l’epoca in cui la crisi è in crisi, richiede dalla poesia risposte nuove, che si affranchino dalle risposte che sono già state date, pensare l’orizzonte della parola come un orizzonte del rimosso, una parola che anche quando la riusciamo a profferire, risulta in sé divisa in schisi, solcata dalla scissione…».
Per questo e per molto altro ancora, la nostra poesia deve procedere con i tempi verso una Nuova ontologia estetica: “Nuova” perché in grado di accogliere tutta la “frantumazione del frammento”, la “polverizzazione dell’«oggetto»”. Ancorché indebolirsi, di questo la poesia si fa forte: «questa è la sua forza, la forza percussiva delle sue icone semantiche ridotte ai minimi termini dell’azione semantica».

Helle Busaccca Roberto Bertoldo

giorgio linguaglossa

7 aprile 2017 alle 8:57 

NOI NON SIAMO SACERDOTI DELLA POESIA, SIAMO DEI POETI CHE VOGLIONO RICOMINCIARE A SCRIVERE POESIA. (LA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA).

https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/04/05/gino-rago-arte-dello-scrivere-due-frammentisti-vociani-a-confronto-clemente-rebora-aldo-palazzeschi-e-pier-paolo-pasolini-un-contributo-alla-rilettura-del-novecento-poetico-italiano-e-un-c/comment-page-1/#comment-19072

Quanto scrive Gabriella Cinti mi conforta e mi spinge ad andare avanti nella riflessione sulla Nuova poesia, giacché la poesia deve rinnovarsi altrimenti rimane prigioniera e subalterna di impostazioni concettuali che appartengono ad altre stagioni spirituali e stilistiche.

Quello che tento e tentiamo di fare è costruire una base (anche) filosofica per la nuova poesia, dimostrare che c’è già in atto una nuova filosofia. Citare i filosofi contemporanei, quelli che si occupano dei problemi di cui, su un altro versante, si occupano i poeti di oggi, significa esplicitare che qualcosa di essenziale è cambiata rispetto alle impostazioni di cento anni fa, quelle reboriane e anche quella di Pasolini, il quale non ha potuto portare a compimento il suo progetto di riforma radicale del linguaggio poetico per intervenuta cessazione della sua vita ad opera di assassini di cui ancora oggi sconosciamo nomi e identità. E mi sia consentito dire una cosa molto semplice, anche Montale, con la poesia “Lettera a Malvolio” si è reso corresponsabile del linciaggio di Pasolini. Diciamolo con schiettezza: Montale non avrebbe mai dovuto scadere così in basso e additare l’equazione Pasolini=Malvolio. Era vero il contrario: Montale=Malvolio.

Lo dico e lo ripeto ancora una volta: Montale con Satura (1971) e poi con il Quaderno dei quattro anni del 1971 e del 1972 (1973), mette la poesia italiana in discesa, apre il rubinetto della falsa poesia in discesa, apre alla demagogia di una forma-poesia che si adatta e si arrende alla nuova barbarie mediatica. Si trattava di una resa intellettuale, di una smobilitazione generale, di un rompete le righe e di un si salvi chi può. Quella poesia era una poesia in minore, una pseudo poesia. E questo sia sempre detto con la massima chiarezza e sia ripetuto per i più giovani. Era una falsa sirena ammaliatrice perché Montale metteva in circolo i virus della disintegrazione della poesia a fronte della civiltà mediatica. Montale chiudeva la poesia non in una nicchia ma nel passato remoto. E questo atto di resa intellettuale risulta ormai chiarissimo a circa 50 anni di distanza da Satura.

Mariella Colonna Edith Dzieduszycka

Montale pubblica il Diario del ’71 e del ’72 due anni dopo Satura, mentre le raccolte precedenti avevano visto passare tredici-quattordici anni di pausa tra l’una e l’altra. Nel febbraio del 1971 Montale aveva dichiarato: “Non si tratta di intervalli programmati […]. Non credo sia possibile che appaia un mio quinto libro. Ciò dovrebbe avvenire nel 1985. Non è augurabile né a me né agli altri”[1].

Quanto dichiarato in questa auto intervista, all’uscita di Satura, non è un depistaggio perché in effetti l’autore, che spesso aveva espresso dubbi sulla prolificità della propria ispirazione, compose il Diario, tranne otto poesie, a partire dalla primavera del ’71 e già a fine luglio la prima metà della raccolta (45 poesie), l’intero Diario del ’71, era pronta, tanto che Scheiwiller la pubblicò in occasione del Natale dello stesso anno. Anche il Diario del ’72 ha una genesi breve, divisa in due tempi: il primo da gennaio a marzo; il secondo, dopo una malattia, da settembre a fine ottobre.

Nel Diario del ’71 e del ’72, Montale si allontana dal tono polemico che aveva trovato posto già nelle prose degli anni ’50 e ’60 per poi mostrarsi a pieno in Satura. I temi di cui si compone l’opera spaziano da riflessioni dell’autore sulla poesia stessa (A Leone Traverso, L’arte povera, La mia musa, Il poeta, Per una nona strofa, Le Figure, Asor, A caccia), alla polemica contro l’opportunismo dei suoi tempi, espressa nel genere della lettera in versi (dalle Botta e risposta di Satura a, soprattutto, la Lettera a Malvolio, uno dei componimenti fondamentali dell’opera, polemicamente indirizzato a Pier Paolo Pasolini), i testi che Montale popola di piccoli eventi quotidiani osservati dalla finestra del suo appartamento milanese e quelli di argomento metafisico-teologico. Esistono anche precisi luoghi del Diario che richiamano Satura e la restante produzione del poeta, come dimostra chiaramente soprattutto Annetta, per esempio con la citazione, tra le altre, de La casa dei doganieri.

«La mia voce di un tempo – si può sempre paragonare la poesia a una voce – era una voce, per quanto nessuno l’abbia detto, un po’ ancora ore rotundo diciamo così; anzi dissero che era addirittura molto prosastica, ma non è vero, riletta ora credo che non risulti tale. La nuova invece si arricchisce molto di armoniche e le distribuisce nel corpo della composizione. Questo è stato fatto in gran parte inconsciamente; poi, quando ho avuto alcuni esempi, diciamo, di me stesso, allora può darsi che io abbia seguìto degli insegnamenti che io mi ero dato. Ma all’inizio no, è stata veramente una cosa spontanea»[1].

Nelle prime tre raccolte Montale aveva utilizzato un linguaggio a volte criptico, con molte allusioni. A partire da Satura, le sue poesie diventano più facilmente comprensibili anche per un lettore che non conosca l’evento biografico che sta dietro il testo poetico.

Angelo Jacomuzzi ha parlato di “elogio della balbuzie”[2], in riferimento alla fase della poesia montaliana iniziata con Satura. Da allora tutta la restante poesia italiana ha parlato il linguaggio della balbuzie. Dobbiamo dirlo con franchezza: tutta la poesia posteriore a Satura parlerà un linguaggio dimidiato, balbuziente, affetto da impotenza. Non credo che c’entri nulla la questione della perdita di fiducia di Montale nei confronti della poesia, forse nessuno come noialtri della Nuova Ontologia Estetica ha più s-fiducia di Montale, io personalmente non ho alcuna fiducia nella poesia, molto meno di quella di Montale, ma la sfiducia, come anche la fiducia, sono atti di fede e io non sono un credente: non devo fare nessun atto di fede verso nessuna deità, tanto meno verso la Musa. Montale è ancora un poeta legato ad una cultura che vedeva nella poesia un luogo «sacro» in cui inginocchiarsi e pregare, io e i miei compagni di strada pensiamo che il «sacro» della poesia non ha nulla a che fare né con i miei (NOSTRI) atti di fede né con la fede purchessia. Io (NOI) non faccio (FACCIAMO) poesia perché sono (SIAMO) dei sacerdoti della poesia. Dio ce ne scampi e liberi dai sacerdoti della poesia! Questo era ancora il concetto che aveva Montale della poesia. Che non è il nostro. Noi non abbiamo alcuna fiducia verso alcuna cosa, tanto meno verso quella cosa chiamata poesia. Non scriviamo poesia per un atto di fiducia o di s-fiducia ma per un disegno intellettuale preciso.

Gezim Hajdari  Kjelll Espmark

SIAMO DEI POETI CHE VOGLIONO RICOMINCIARE A SCRIVERE POESIA

Montale scrive: «Incespicare, incepparsi / è necessario / per destare la lingua / dal suo torpore. / Ma la balbuzie non basta / e se anche fa meno rumore / è guasta lei pure. Così / bisogna rassegnarsi / a un mezzo parlare»[3]

Montale scrive una «poesia del dormiveglia» come è stata battezzata ma con l’animus di chi ha perduto la fede nel suo dio:

La mia Musa è lontana: si direbbe
(è il pensiero dei più) che mai sia esistita.
Se pure una ne fu, indossa i panni dello spaventacchio
alzato a malapena su una scacchiera di viti.
Sventola come può; ha resistito a monsoni
restando ritta, solo un po’ ingobbita.
Se il vento cala sa agitarsi ancora
quasi a dirmi cammina non temere,
finché potrò vederti ti darò vita.
La mia Musa ha lasciato da tempo un ripostiglio
di sartoria teatrale; ed era d’alto bordo
chi di lei si vestiva. Un giorno fu riempita
di me e ne andò fiera. Ora ha ancora una manica
e con quella dirige un suo quartetto
di cannucce. È la sola musica che sopporto.[5]

Io (NOI) invece scrivo (SCRIVIAMO) una «Preghiera per un’ombra», nella quale, e voglio dirlo, con un «pieno parlare» rimetto (RIMETTIAMO) in piedi la poesia italiana del dopo SaturaLa Nuova Ontologia Estetica è questo: per chi non l’abbia ancora compreso: rimettere in piedi la poesia italiana, Noi non siamo i sacerdoti della sacra Musa, fare i sacerdoti non è il nostro mestiere,

E su questo punto sarei curioso di conoscere i punti di vista degli interlocutori della rivista (Mario Gabriele, Steven Grieco-Rathgeb, Giuseppe Talia, Lucio Mayoor Tosi, Donatella Costantina Giancaspero, Gino Rago, Letizia Leone, etc.) e dei lettori tutti.
Grazie.

[1] Montale, Il secondo mestiere: arte, musica, società, p. 169.
[2] a b c Jacomuzzi, La poesia di Montale. Dagli “Ossi” ai “Diari”, pp. 146-73.
[3] a b c d e f Montale, Diario del ’71 e del ’72, p. 194.
[4]. Montale, Satura, 1962-1970.
[5] Montale, Diario del ’71 e del ’72, pp. 75-6.

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137 risposte a “DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 

  1. Claudio Borghi

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Mi fa piacere l’intenzione di un dibattito a più voci intorno a temi che sono stati recentemente discussi, senza generare, purtroppo, un effettivo confronto dialettico. Mi riferisco in particolare al mio intervento del 9 aprile, qui riportato da Giorgio, nel post con l’intervista di Donatella Giancaspero a Maurizio Ferraris. Le mie osservazioni critiche circa la possibilità di costruire una nuova poetica nei termini di una esperienza estetica-ontologica di natura quadridimensionale non erano state in pratica raccolte da nessuno fino a ieri sera, quando il filosofo Davide Inchierchia (il cui intervento consiglio di leggere attentamente) ha ribadito, con innegabile pertinenza e competenza, i punti deboli di una ontologia che si vuole anche estetica (il cavillo terminologico su cui gioca la Giancaspero nella sua replica, tra ontologia estetica ed estetica ontologica, mi sembra pretestuoso, visto che il concetto di fondo rimane lo stesso), a cui avevo fatto in precedenza esplicito riferimento io nell’intervento citato. Ora Giorgio, che ringrazio, fornisce l’occasione di discutere intorno a temi precisi. Mi auguro, essendo fissato l’oggetto in modo chiaro, che non ci si debba sentire membri di schieramenti contrapposti, il che rischia di generare conflitti e tensioni che non avrebbero alcun senso. Se c’è un problema, lo si analizza in più possibile in modo scientifico, pensando che non c’è una verità a priori ma che è possibile raggiungere una sintesi dialettica mettendo in campo conoscenze, competenze, sensibilità e personalità che, seppur diverse, devono riuscire serenamente a confrontarsi.

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    • Mariella Colonna

      L’ONTOLOGIA ESTETICA OLTRE A ESSERE UN PROGETTO BEN PRECISO È ANCHE UN CAMPO APERTO DI GRANDI POSSIBILITà

      DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


      Caro Borghi, sono d’accordo con te quando sostieni le opere di autori del ‘900 del livello di Rebora Palazzeschi e Pasolini,che non sono “unidirezionali”, anzi, anticipano l’esplosione di novità che caratterizza “La nuova ontologia estetica”; però, diversamente da come credo di aver compreso dalle tue parole, l’Ontologia estetica, oltre ad essere un progetto ben preciso (vedi ripetute affermazioni di Giorgio Linguaglossa,) esprime anche la sintesi poderosa tra il pensiero poetico tridimensionale e la dimensione del tempo da intendersi come “memoria”. Memoria che conferisce profondità interiore all'”evento” collocandolo in un momento qualsiasi delle storia del soggetto o dell’oggetto poetico: e qui vale la libertà del poeta che, rompendo la continuità temporale e passando (o volando) da un tempo all’altro, crea un tessuto quadrimensionale e, in tal modo, dilata anche lo “spazio interno” in cui si pone la ricerca poetica: non ho mai sentito Linguaglossa parlare di “Relatività di Einstein” alludendo alla quadrimensionalità della NOE! Io comunque credo che, da tutelare e proteggere, nel nostro gruppo o in altri, sia soprattutto LA LIBERTA’ del poeta. Non mi sono mai sentita una traditrice dei sacri principi enunciati da Giorgio L. quando ho creato un verso di sospetta “unidirezionalità” e nessuno me lo ha contestato: magari, nel verso successivo, mi è servito per innescare un rapido salto nel tempo o inserire un imprevedibile rivoluzionario frammento. Perciò io non riesco proprio a capire tutta questo timore di accettare una sigla, peraltro significativa e aperta a novità ulteriori, che oltretutto introduce il tema dell’ “essere” nella poesia accostandolo all’estetica (è un grosso passo avanti!).
      Penso però che “LA CRISI NELLA POESIA” NON DEBBA SOFFOCARE LA POESIA, imprigionarla negli schemi di un mondo in disfacimento! Oltretutto il fatto che “il nulla è” , clamorosa contraddizione, non deve allontanarci dal “tutto” che è altrettanto compreso nell’essere e in cui la ricerca dell’ Essere misterioso o Deus Absconditus non può non essere compresa (mi si perdoni la ripetizione, anche se con significati diversi!). Perciò mi sembra la polemica, utile perché accende gli interessi e appassiona, non debba fermarci sulla via della ricerca.
      VI FACCIO UNA DOMANDA: QUALCUNO HA MAI PENSATO CHE IL NOME DI CUBISMO POTESSE FRENARE I TRE GRANDI ARTISTI CHE LO HANNO RAPPRESENTATO?
      Io non credo proprio, tanto è vero che il suo esponente più illustre, Picasso, ha abbandonato la sintassi cubista per il suo personalissimo nuovo linguaggio della disintegrazione della forma. Perciò, andiamo avanti, io per lo meno lo desidero perché mi è congeniale, con la Nuova ontologia estetica che non ci impedirà di trovare, col tempo e l’esperienza, nuovissime forme di linguaggio.

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      • LA PRECARIETA DEL MODERNO LA PERDITA DELLA MEMORIA E IL GRANDE PROGETTO PER LA POESIA ITALIANA

        DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


        Cara Mariella Colonna,

        quello che tu hai scritto è importantissimo, perché mostra con chiarezza auto evidente la nostra piattaforma concettuale del Grande Progetto. In proposito, informo che ho sulla mia scrivania un mio lavoro psico-filosofico dal titolo eloquente: La precarietà del Moderno, nel quale inizio la mia investigazione filosofica dal 1972, dalla data di pubblicazione della poesia di Iosif Brodskij Lettera a Telemaco, il primo documento poetico su quel fenomeno abissale che va sotto il nome di “Perdita della memoria”. Concetto che considero importantissimo per la Nuova Ontologia Estetica, perno centrale della nuova piattaforma. Voglio anticiparvi quanto ho scritto su questa poesia, perché la considero non soltanto una delle più belle del 900 ma anche un documento della crisi spirituale che ha inizio nel secondo Novecento. Buona lettura.

        L’oblio della memoria

        Nella poesia Odisseo a Telemaco del 1972 di Iosif Brodskij abbiamo il primo esempio di una poesia che abita la distanza inabitabile e inarrivabile. Una poesia sulla distanza. Non più una poesia su un luogo, un personaggio, un oggetto, vari oggetti; direi non più una poesia linguistica fatta di polinomi frastici che si organizzano attorno ad un nucleo tematico o intorno ad un «io» ingenuamente supposto effettivo ed effettuale come ci ha insegnato un certo novecento, qui siamo davanti ad una poesia argomentante che medita da una distanza fitta di temporalità e di spazi temporalizzati. Ormai nel nostro mondo gli spazi sono diventati troppo grandi, le temporalità si sono moltiplicate in modo vertiginoso e l’uomo si accorge che tutto ciò ha nuociuto alla sua memoria, e la memoria si è indebolita e poi dissolta. Il poeta russo si accorge che l’uomo della fine del novecento non può più abitare la distanza, alcun luogo della distanza, perché questa distanza è diventata abissale, vertiginosa e l’uomo non può che perdersi in essa e perdere la memoria, e con essa perdere la propria identità; la sua stessa ragione di vita non è più nel viaggio o nella ricerca dell’ignoto, come ancora era possibile da Odisseo fino a Brodskij, adesso tutto ciò non è più possibile. Anche il turista più irresponsabile può ingenuamente credere di abitare i luoghi che ha visto e conosciuto; alla fine del viaggio egli si scopre un estraneo a se stesso e a tutti i luoghi che ha frequentato, il viaggio è stato un allontanamento da se stesso e il protagonista di esso si scopre un estraneo, uno straniero. L’uomo del nostro mondo non può che prenderne atto, la sua condotta lo ha portato in prossimità di un pensiero nichilistico, in prossimità di un abisso, in prossimità di un orizzonte degli eventi. Forse mai nessun pensiero è stato così totalmente nichilistico come questo che Brodskij ci ha lasciato in eredità: l’uomo contemporaneo non può più abitare alcuna distanza, anzi, la distanza ha annientato la sua volontà di potenza, gli mostra il nulla di cui è fatta la sua esistenza. È questa la straordinaria scoperta di Brodskij. D’ora in avanti l’uomo dovrà fare i conti con se stesso, abituarsi all’idea di non poter più abitare alcuna distanza, il mondo è diventato troppo vasto e incomprensibile e inabitabile e la memoria, quel fragile vascello con i suoi marinai sperduti nel gurgite vasto, si è inabissata nel fondo del mare.

        La guerra di Troia è finita ormai da tanto tempo che il protagonista, Odisseo, non ricorda più chi l’abbia vinta. Il mondo è diventato ampio, talmente ampio che l’uomo ha perduto la concreta esperienza dello spazio («Dilatava lo spazio Poseidone») e del tempo («mentre laggiù noi perdevamo il tempo»), il ritorno è diventato problematico («la strada / di casa è risultata troppo lunga»). Non c’è più un «ritorno» poiché esso è possibile soltanto in un orizzonte dove il tempo e lo spazio possono essere conteggiati e vissuti, ma in un mondo debordante e ampio non è più possibile alcuna esperienza del tempo e dello spazio, e quindi della storia. La storia si è allontanata così tanto che la memoria vaga alla rinfusa alla vana ricerca di un appiglio, di un ricordo. Nel mondo di Brodskij la memoria ha perduto il contatto con la storia, e anche con la propria storia personale. Nel mondo vasto e globale tutti abbiamo perduto la memoria, è un accadimento che ci riguarda tutti, e il periscopio della poesia di Brodskij lo ha avvistato per tempo.

        L’oblio della memoria è una dimenticanza intesa non come fenomeno temporaneo ma duraturo, non dovuto a distrazione o perdita temporanea di memoria ma come stato stabile e duraturo, come scomparsa o sospensione irreversibile del ricordo e dei ricordi, da non confondersi con il concetto di amnesia in quanto non condivide con questo la durata del fenomeno tipicamente temporanea nell’amnesia. L’oblio è dunque un nuovo modo di essere dell’esserci non più modificabile o revocabile.

        La poesia di Brodskij è scritta in forma di epistola, una lettera che il padre Odisseo scrive al figlio Telemaco. Una semplice missiva, che Odisseo scrive al figlio Telemaco. La convenzione poetica, la validità letteraria del genere missiva, permettono di accettare la retorizzazione di una lettera che probabilmente non raggiungerà mai il suo destinatario. Chi scrive è Odisseo, il primo verso è formato dal normale inizio di una lettera, con quell’aggettivo possessivo che da subito introduce alla affabilità di un affetto chiuso nel pudore di un padre sconsiderato: «Mio Telemaco»; il secondo verso rispetta la composizione di una lettera sul foglio bianco, inizia alla riga successiva dopo uno spazio lasciato bianco, esattamente dopo la virgola: «la guerra di Troia è finita. Chi ha vinto non ricordo». Odisseo, l’astuto, colui che ha escogitato lo stratagemma che ha posto fine alla guerra di Troia, è diventato talmente debole di mente che non ricorda chi sia stato il vinto e chi il vincitore. Questi versi, apparentemente assurdi, sottolineano il lunghissimo lasso di tempo già intercorso dalla fine della guerra, da quando la nave di Odisseo ha lasciato le coste di quella Tracia dove la tradizione colloca l’antica città di Troia. Il viaggio durerà dieci lunghissimi anni, una lunghezza davvero inverosimile se consideriamo la distanza relativamente breve che separava la città di Troia dall’isola di Itaca.

        In questa lettera il padre dice al figlio delle cose importanti, a propria giustificazione lo dichiara libero da Edipo; è un’autodifesa e una autocritica della propria posizione nel mondo. Odisseo tenta di scagionare se stesso dall’accusa di aver trascurato i doveri di un padre di famiglia, tenta di giustificare la propria «assenza». Avrebbe potuto dire qualcosa a propria discolpa circa la guerra giusta e doverosa per il tradimento e l’oltraggio subito per il rapimento di Elena, ma non lo fa; è palese che ai suoi occhi non sarebbe quella una buona ragione che lo possa scagionare dalle sue responsabilità, e comunque non ritiene di dover far ricorso a quella giustificazione. La poesia va esaminata in questo quadro giuridico psicologico e filosofico, e solo entro questo contesto. È una poesia ragionamento, una poesia di riflessione nell’orbita della più grande poesia europea da Leopardi in poi. Una poesia che ci riguarda tutti, o almeno chi è stato padre e chi ha intrapreso un viaggio di allontanamento. Il perché della lunga assenza del padre dal tetto familiare, il perché il padre sia stato costretto (magari contro la propria volontà) a vagare per il mondo, andare in guerra (quale guerra? Tutte le guerre?). E qui il senso della poesia si dilata fino a diventare cosmico, universale. La poesia si rivolge a tutti i padri che hanno abbandonato il figlio in tenera età per andare in guerra, parla di loro, parla di noi. Di qui il tono lievemente nostalgico dell’ «epistola», un messaggio in bottiglia che il padre invia al figlio. E poi quell’incipit dichiarativo (il tono di una persona che vuole nominare le cose), quell’andante largo che introduce il tema universale dei tanti morti che è costata la guerra.

        C’è anche un’altra poesia sulla guerra, di Bertolt Brecht, anche lì si dice che nell’ultima guerra ci sono stati dei vincitori e dei vinti che il tempo della Storia li confonde; anche lì il poeta non ricorda bene chi siano stati i vincitori e i vinti, ma nella poesia di Brecht siamo ancora all’interno di una visione del mondo duale e dualistica, oppositiva, nel mondo della guerra fredda… nella poesia brodskijana invece siamo dentro una visione monistica, il mondo è diventato uno, interamente freddo, ogni angolo della terra è simile all’altro e tutte le guerre sono il duplicato di quella antica guerra, e tutti gli uomini sono condannati a navigare su un mare periglioso senza poter illudersi che vi possa essere un «ritorno» all’isola beata di Itaca. È il grande tema della riflessione sul proprio auto esilio, sulla propria auto alienazione, sulla storia degli uomini condannati all’auto esilio, sul significato profondo della guerra, di tutte le guerre e su quell’intimo collegamento tra le stragi e l’oblio della memoria. È una poesia che ha del sacro, che tocca profondamente il «sacro», qui si trovano i centri nevralgici e problematici della nostra civiltà, della civiltà occidentale.

        L’evento che ha sconvolto le vite dei greci e dei troiani, che ha distrutto una civiltà e una città florida, l’evento da cui inizia la civiltà occidentale, è stato dimenticato, forse rimosso dalla coscienza dell’eroe; inutilmente la memoria fluttua alla ricerca di quell’evento: in essa non c’è nulla, il ricordo di quella guerra si è affievolito e spento.

        Telemaco mio,
        la guerra di Troia è finita.
        Chi ha vinto non ricordo.
        Probabilmente i greci: tanti morti
        fuori di casa sanno spargere
        i greci solamente. Ma la strada
        di casa è risultata troppo lunga.
        Dilatava lo spazio Poseidone
        mentre laggiù noi perdevamo il tempo.
        Non so dove mi trovo, ho innanzi un’isola
        brutta, baracche, arbusti, porci e un parco
        trasandato e dei sassi e una regina.
        Le isole, se viaggi tanto a lungo,
        si somigliano tutte, mio Telemaco:
        si svia il cervello, contando le onde,
        lacrima l’occhio – l’orizzonte è un bruscolo -,
        la carne acquatica tura l’udito.
        Com’è finita la guerra di Troia
        io non so più e non so più la tua età.
        Cresci Telemaco. Solo gli Dei
        sanno se mai ci rivedremo ancora.
        Ma certo non sei più quel pargoletto
        davanti al quale io trattenni i buoi.
        Vivremmo insieme, senza Palamede.
        Ma forse ha fatto bene: senza me
        dai tormenti di Edipo tu sei libero,
        e sono puri i tuoi sogni, Telemaco.

        Che cos’è la memoria? Forse è un luogo? Un punto infinitesimale? Una zona del nostro cervello? Forse è un evento immaginario che noi rimodelliamo di continuo? O è una forma del tempo interno? Chissà. La memoria è l’essenza del nostro tempo interno. Questo fenomeno lo si potrebbe definire anche all’incontrario: il tempo interno è l’essenza della memoria. Non c’è l’uno senza l’altro, sono due lati della stessa medaglia. Se perdiamo la memoria perdiamo con essa anche il tempo interno, vivremmo interamente in un tempo esterno, cosa orribile a dirsi e anche a pensarsi, come sarebbe impossibile vivere interamente in un tempo esterno, sarebbe come una parete che al di qua non contiene nulla: impossibile a dirsi e a pensarsi. Un incubo. La memoria è il nostro vero luogo perché è un senza-luogo, è il luogo dell’Altrove realizzato, che un tempo è accaduto. Con il pensiero dell’«Io» possiamo soltanto circumnavigare quel luogo senza-luogo ma non potremo mai entrare in esso perché lì dentro non c’è nulla, null’altro che fantasmi e traveggole, pulsioni cieche, rappresentazioni mute. Così, la memoria ha bisogno del pensiero dell’«Io» per potersi muovere, vivere, respirare.

        Enrico Castelli Gattinara scrive: «Già Bergson aveva parlato della memoria come di un vero e proprio non-luogo, un altrove che avvolge costantemente il presente ma che appartiene come a un’altra dimensione. Perché, diceva, non sono le cellule nervose ad essere la sede dei ricordi, ma solo ciò che permette di attivarli o meno. Così, allo stesso modo, un neurone o una delle sue numerose terminazioni non vengono “riempiti” o “svuotati” quando c’è o scompare un ricordo: di cosa sarebbero riempiti o svuotati nel processo di memorizzazione e di oblio? Di cosa è fatto un ricordo?».1

        1 http://www.aperture-rivista.it/public/upload/Castelli10-2.pdf

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  2. DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    caro Claudio Borghi,

    il linguaggio di Celan sorge quando il linguaggio di Heidegger muore,
    volendo dire che il linguaggio della poesia – della ‘nuova’ poesia –
    può sorgere soltanto con il morire del linguaggio tradizionale
    che la filosofia ha fatto suo, o – forse – che si è impadronito della filosofia
    (Vincenzo Vitiello)

    tu sai bene che intorno a questioni filosofiche non c’è una disciplina, come tu ti esprimi,, “scientifica” che possa dirimere le anitinomie e le contraddizioni. Quanto alla ontologia estetica, tu ti ostini a negare in toto che vi possa essere una nuova ontologia (estetica), scusami ma ritengo questa tua posizione apofantica e irragionevole, tu neghi la stessa possibilità di pensare una diversa e altra ontologia (estetica), semplicemente, tu in questo modo ti tagli fuori dal dibattito e dalla ricerca teorica e pratica (praxis poetica).

    Non c’è nessun «schieramento contrapposto» tra di noi, perché la tua posizione è una non-posizione, una posizione apofantica, è di negazione radicale che vi possa essere un pensiero diverso e altro intorno alla ontologia (estetica), e questo è un aut aut che rivela la tua opposizione (politica) al progetto che si può esprimere, con una parola: oscurantismo, tu vuoi calare un velo di oscurità sulla NOE, senza peraltro riuscirci perché i risultati estetici della NOE sono sotto gli occhi di chi vuol vedere.
    Quanto alle indicazioni di Inchierchia, le ritengo intrise di genericismo e di errori concettuali che non è il caso di trattare qui perché non ho interesse a correggere gli errori concettuali e filosofici altrui (ognuno si tiene i propri).
    E poi credo che la contro prova di quello che andiamo dicendo e facendo te l’abbia fornita Donatella Costantina Giancaspero pubblicando due poesie di Tranströmer di alcuni decenni fa che sembrerebbero scritte dalla NOE.

    Guarda qui questi versi della NOE scritti 40 anni fa:

    Ho sognato che avevo disegnato tasti di pianoforte
    sul tavolo da cucina. Io ci suonavo sopra, erano muti.
    I vicini venivano ad ascoltare.

    *

    Le posate d’argento sopravvivono in grandi sciami
    giù nel profondo dove l’Atlantico è nero.

    *

    […]

    La gondola è vestita a lutto. Carica di morti. Affonda.
    Nella picea onda del Canal Grande.
    Ponte degli Scalzi.
    L’appartamento di Anonymous sul Canal Regio.
    Uno spartito aperto sul leggio: “La lontananza nostalgica”.
    Il vento sfoglia le pagine dello spartito.

    […]

    Tre finestre. Lesene bianche. Canal Regio.
    Due leoni all’ingresso divaricano le mandibole.
    [Se ti sporgi dalla finestra puoi quasi toccare
    il filo dell’acqua verdastra]
    Madame Hanska si spoglia lentamente nel boudoir.
    Ufficiali austriaci giocano a whist.

    […]

    Sulla parete a sinistra del soggiorno e in alto sul soffitto
    è ritratta la Peste.
    La Signora Morte impugna una pertica
    che termina con una falce.
    Ammassa i morti e taglia loro la testa.
    E ride.
    Ritto sulla prua il gondoliere afferra il remo.
    E canta.
    Lassù, in alto, strillano gli uccelli e brindano le stelle.

    […]

    Wagner e List giocano a dadi
    in un bar nel sotoportego del Canal Grande.
    Tiziano beve un’ombra con la modella
    dell’«Amor sacro e l’amor profano».

    […]

    Madame Hanska al Torcello riceve gli ospiti
    nel salotto color fucsia.
    I clienti della locanda del buio.
    Siberia.
    Evgenia Arbugaeva osserva la distesa di neve.
    La Torre del faro in mezzo alla neve.
    «Il bacio è la tomba di Dio», c’erano scritte queste parole
    sopra l’ingresso della torre.

    […]

    Una grande vetrata si affaccia sul mare veneziano.
    Non c’è anima più viva.
    Una sirena canta dalla spiaggia dei morti:
    «Non c’è più lutto tra i morti».
    «Non c’è più lutto tra i morti».

    […]

    Due città

    Ciascuna sul suo lato di uno stretto, due città
    l’una oscurata, occupata dal nemico.
    Nell’altra brillano le luci.
    La spiaggia luminosa ipnotizza quella scura.

    Io nuoto verso il largo in trance
    sulle acque scure luccicanti.
    Un sordo suono di tromba irrompe.
    È la voce di un amico, prendi la tua tomba e vai.

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  3. Claudio Borghi

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Sarebbe interessante conoscere il parere di qualche filosofo circa la tua affermazione: “intorno a questioni filosofiche non c’è una disciplina, come tu ti esprimi, “scientifica” che possa dirimere le anitinomie e le contraddizioni.” In filosofia vige quindi l’anarchia del pensiero e ognuno può dire quello che vuole? In che senso non si possono dirimere le contraddizioni? Esiste una logica di matrice quantistica, quindi non aristotelica, in cui è concepibile anche la sovrapposizione tra il vero e il falso, come nel caso del gatto si Schrödinger? Forse questo lo pensi tu, non credo davvero sia un parere condiviso, ma sarebbe interessante conoscere l’opinione di qualche filosofo, ad esempio Maurizio Ferraris, visto che secondo te Inchierchia “scrive genericismi”: dove, in qualche parte del suo serratissimo discorso teorico? Non ti sembra, scrivendo questo, di essere generico tu stesso, visto che non lo confuti su passaggi espliciti della sua argomentazione? Ma lasciamo la risposta a lui, eventualmente.

    No, evidentemente mi sono sbagliato. Mi sono illuso che ci si potesse confrontare. La sola idea di mettere in discussione l’ontologia estetica crea contrapposizioni feroci ed evidente mancanza di serenità. Subito si genera quello che ho sperato si potesse evitare: sentirsi membri di schieramenti contrapposti, quindi generare conflitti e tensioni che non hanno alcun senso. Stando così le cose, il dibattito si chiude all’interno di un gruppo in cui non emergono pareri dialettici, in quanto tutti condividono la stessa idea. Pensaci bene, Giorgio, te lo dico al solito con amicizia e stima, state correndo altissimo il rischio dell’autoreferenzialità.

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    • I FILOSOFI DELL’IDENTITà E LA PRATICA ARTISTICA DELLA MOLTEPLICITà

      DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


      caro Claudio Borghi,

      quanto al paventato «rischio dell’autoreferenzialità» che tu intravedi nell’Ombra delle Parole, lo vedi solo tu… tanto è vero che abbiamo pubblicato centinaia di poeti italiani e stranieri certo non tutti ascrivibili alla Nuova Ontologia Estetica… forse mai una rivista letteraria negli ultimi 70 anni è stata così aperta…

      E poi con il termine «ontologia» si indica il discorso sull’essere e sull’ente chiamato uomo. Tutto quindi rientra nel campo dell’ontologia, non occorre essere dei filosofi per capire questo punto. Quanto alle «contraddizioni», lascia che ti dica che NOI non abbiamo paura delle contraddizioni… te l’ho già scritto da qualche parte, soltanto i filosofi assolutistici riconducono tutto al pensiero dell’identità, loro sì vogliono cancellare il diverso, il distinto e la contraddizione. La contraddittorietà alberga nell’essere e nell’ente uomo, non sono un filosofo così ingenuo da voler cancellare le contraddizioni che albergano nell’uomo e nella sua ontologia con un colpo di bacchetta magica, Soltanto i teologi dell’assolutismo teologico si ritengono esenti dalla impurità della contraddizione, loro sì prodotto dell’auto contraddittorietà del loro assolutismo pseudo filosofico…

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      • Davide Inchierchia

        DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


        Se è così gentile, Giorgio Linguaglossa, di precisare dove sarebbero gli «errori concettuali» che avrei disseminato nel mio precedente intervento relativo all’intervista di Donatella Costantina Giancaspero a Maurizio Ferraris, e soprattutto se avesse la cortesia di spiegarmi in che senso il mio discorso peccherebbe di «genericismo», gliene sarei grato.
        Del resto, fin dalla sua origine socratica, il dialogo filosofico è tale se condotto attraverso il procedere dell’argomentazione fondata sulla pratica della “confutazione” chiara ed esplicita. Altrimenti, resta non altro che la vacua chiacchiera sofistica retoricamente connotata.

        Solo una piccola precisazione preliminare.
        Lei afferma – citando Vattimo – che col termine ontologia «si indica il discorso sull’essere e sull’ente chiamato uomo». Mi permetta di dire che questa è un’indebita semplificazione della domanda ontologica, che Vattimo crede di mutuare dalla filosofia heideggeriana, dimenticandosi che fu lo stesso Heidegger, nella celebre «Lettera sull’umanismo» del 1947, a tacciare Sartre di un analogo riduzionismo, laddove la questione dell’essere viene fraintesa e scambiata dal pensatore francese proprio per una questione meramente “esistenzialistica”, antropologicamente riferita.
        Per tacere poi della evidente confusione che – nel suo richiamo tanto enfatico quanto impreciso ad una non meglio identificata “post-metafisica” – accomuna ente ed essere: come lei dovrebbe sapere, Linguaglossa, proprio sulla radicale “differenza ontologica” tra i due termini dell’endiadi si fonda l’intera disamina heideggeriana sulla storia dell’Essere…

        Ma su tutto ciò e altro ancora, se lei vorrà, sarò lieto di conferire ulteriormente.

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  4. letizia leone

    LA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA LA NUOVA POESIA DI MARIO GABRIELE E GIORGIO LINGUAGLOSSA

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Parlare di nuova ontologia estetica significa conferire alla poesia portata ontologica, se concordiamo con Vattimo nel pensare che ontologia altro non è che interpretazione della nostra condizione o situazione, giacché “L’essere non è nulla al di fuori del suo “evento”, che accade nel suo e nostro storicizzarsi”. Ma al nostro orizzonte pertiene anche la fine di una idea di Storia come processo unitario, là dove ogni ideale di progresso si svuota dall’interno, non “C’è una storia unitaria portante, ma disseminazione delle Storie, i “centri” si sono moltiplicati, così come insufficiente risulta l’idea di tempo lineare e progressivo. Inoltre sono convinta che l’esperienza post-metafisica della Verità è una esperienza estetica e retorica, come afferma Heidegger, per questo le categorie sulle quali una nuova ontologia estetica deve muoversi e riflettere sono molte, sempre in riferimento a quella che è l’esperienza poetica e magari partendo da testi esemplificativi. Così come avviene sulle pagine dell’”Ombra”.
    A questo proposito propongo questa mia parziale lettura di due testi esemplari che offrono l’opportunità di fissare alcune considerazioni sul frammento e l’estraneità: La notte celò i morsi delle murene di Mario Gabriele e Il corvo è entrato dalla finestra di Giorgio Linguaglossa.
    Mario Gabriele
    (da L’erba di Stonehenge, Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2016)

    La notte celò i morsi delle murene.
    Tornarono le metafore e gli epistemi
    E una folla “che mai avremmo creduto
    Che morte tanta ne avesse disfatta”:
    Wolfang, borgomastro di Dusseldorf,
    Erich, falegname in Hamburg,
    Ruth, vedova e madre di Ehud e di Sael,
    Lothar e Hans, liutai.

    Questa è la casa: -Guten Morgen Mein Herr,
    Guten Morgen -, disse Albert.
    Qui curiamo le piante e le orchidee,
    offriamo sandali e narghilè ai pellegrini
    in cammino verso Santiago di Compostela.
    Sui gradini dell’Iperfamila,
    tra stampe di Kandinskij e barattoli di Warhol,
    Moko Kainda sognava l’Africa di Mandela.
    “Doveva essere migliore degli altri
    Il nostro XX secolo” scriveva Szymborska,
    tanto che neppure Mss. Dorothy,
    chiromante e astrologa,
    riuscì a svelare le carte del futuro,
    né Daisy si dolse del sole africano,
    ma dei muri che chiudevano
    le terre di Samuele e Giuseppe.
    E non era passato molto tempo
    da quando Margaret e Jennifer
    (che pure in vita dovevano essere
    due anime perfette e pie)
    volarono in cielo.

    L’alba illuminava gli angoli bui, gli slums.
    Era ottobre di canti e heineken
    con la foto della Dietrich sul Der Spiegel.
    Riapparve la luce,
    ed era tuo il lampo sulle colline
    bruciate dall’autunno.

    Ma è malinconia, mammy,
    quella che ha preso posto nella casa
    dove neanche le preghiere ci danno più speranza.
    Fuori ci sono il drugstore e il giardino degli anziani,
    l’eucaliptus e il parco delle rimembranze,
    la guardia medica per il tuo tremore Alzheimer.

    Fra poco la neve coprirà il poggetto.
    Ci sarà poco da raccontare
    a chi rimane nella veglia,
    dove c’è sempre qualcuno
    che parla della lunga barba di Dio
    come una cometa
    nella notte più silente dell’anno,
    quando il gufo da sopra il ramo
    sbircia il futuro e vola via.

    Giorgio Linguaglossa
    (da Risposta al Signor Cogito di Zbigniew Herbert, 2014)

    Il corvo è entrato dalla finestra

    Il corvo è entrato dalla finestra.
    Una stanza. Atelier del pittore.
    Un cavalletto e una tela bianca.
    Il pittore dipinge il mare e un sole livido.
    Il sole prende vita dal quadro e se ne va.
    Nel quadro è rimasto solo il mare.
    Anche il mare se ne va.
    E resta un abito gessato bianco in una barca
    Che rema verso una proda.

    Il Campari rosso è nel calice di cristallo
    Che il Signor K. Sorseggia.
    Osservo il suo pomo di Adamo. Che va su e giù.
    Un’ombra bianca si guarda il volto nello specchio.
    Nello specchio il calice del Campari. E l’ombra.
    Ombre bianche escono dalla tomba, nascono dal cimitero
    E vanno verso il mare, i spogliano nude,
    entrano nel mare. Bevono il sonno a sazietà.
    Le ombre nere bevono il sonno bianco.
    Le ombre bianche bevono il sonno nero.
    Il direttore d’orchestra ripiega le sue ali
    Nere dietro le spalle, e chiede al musicista:
    “Suonate qualcosa, Signore?”.
    “Non c’è nessuno qui, sono tutti
    Morti.”. “Non posso suonare”.

    Finestre buie, finestre nere. Porte buie, porte nere.
    Non c’è musica. Brusio di fondo.
    Il musicista imbraccia l’archetto.
    Il violino si avvicina al fuoco. Tra poco entrerà il ghiaccio.
    Bussano a una porta. La maniglia di ottone
    Gira con un flebile stridio: è il signor K.

    “Vostra Grazia…”. Il Campari va verso le labbra del Signor K.
    L’archetto cammina verso il violino
    Le mie dita corrono verso l’archetto.
    Il fuoco incespica, s’impenna, li insegue,
    tra poco li raggiungerà.

    “Quale “capriccio”, “Vostra Grazia?”.
    “Paganini, l’ultimo, il ventriquattresimo”.

    In poeti della statura di Mario Gabriele e Giorgio Linguaglossa, diversi per stile ed esperienze ma accomunati da una sorta di gioia sperimentale, la valorizzazione del frammento è calata nella complessità di una progettualità filosofica, anzi per meglio dire “fenomenologica” della Poiesis. Una fenomenologia qui intesa come concetto di metodo, come procedimento basato sul distanziamento psicologico.
    In linea generale L’io lirico emozionale, categoria obsoleta, ha abdicato a favore di un congegno ottico neutrale fluttuante e decentrato: da qui la configurazione di modalità espressive nuove. Il sentiero è quello di una poesia che parta da una posizione di neutralità rispetto ai concetti di “oggetto” e “soggetto”, una poesia che non risulti affatto consolatoria ma tendente ad inasprire la relazione di estraneità con il mondo. Scrive a proposito Linguaglossa: “Partecipe di un movimento animato da un’assenza, il poeta non solo si troverà così a scrivere in un’assenza, ma a diventare soggetto all’assenza”.
    Ecco prefigurata l’epoché filosofica, la “sospensione del giudizio” insieme alla sospensione sentimentale ed emozionale quale motivo ispiratore della modernità:
    “Negli anni, la fenomenologia si appropria anche delle immagini in movimento (…) agli universi interiori della rappresentazione (e) ben presto si accorge anche della permanente creazione cinematografica da parte della coscienza e trarrà la conclusione che ciò richieda una specifica analisi filmica, la quale si presenta come teoria della coscienza interna del tempo. Le immagini di cui parliamo vengono catturate con una fotocamera noetica. Quando le pellicole sono impressionate e tolte dagli acidi della contemplazione interiore, le fotografie ottengono uno status filosofico rilevante anche dal punto di vista archivistico e museale: nell’esercizio più importante di tutti, quel che conta è sviluppare le immagini tratte dall’esistenza in quanto fenomeni.” (Peter Sloterdijk)

    Ecco le immagini come fenomeni nei testi di Gabriele e Linguaglossa.
    E se è vero che la poesia tende a mediare la coscienza complessa del proprio tempo, questa in particolare è poesia speculativa, marchiata dalla fine di ogni pensiero antropocentrico, unitario e sistemico; è poesia aperta, in movimento dove i frammenti lirici disseminati nel flusso caotico dei materiali testuali articolano una mappa di stimoli, straniamenti, atti a far emergere una Stimmug, un Mood, uno stato d’animo.
    Uno stato d’animo addirittura molto vicino a quello che Heidegger in “Che cos’è la metafisica” ridefinisce come Angst (Angoscia), la condizione emotiva che apre la comprensione del niente: “angoscia è sempre angoscia di…, ma non di questo o di quello. L’angoscia di… è sempre angoscia per…, ma non per questo o per quello. Tuttavia, l’indeterminatezza di ciò di cui e per cui noi ci angosciamo non è un mero difetto di determinatezza, bensì l’essenziale impossibilità della determinatezza”.
    «Tutte le cose e noi stessi affondiamo in una sorta di indifferenza»;
    «Nel dileguarsi dell’ente, rimane soltanto e ci soprassale questo “nessuno”. L’angoscia ci rivela il niente»;
    «Nello stato d’animo fondamentale dell’angoscia noi abbiamo raggiunto quell’accadere dell’esserci nel quale il niente è manifesto, e dal quale si deve partire per interrogarlo»;
    Il mondo dilegua nel non-senso, nella non-significatività e allora l’angoscia si rivela in quanto “emergenza” del niente. Si può allora affermare che per certi versi, i due testi in esame, parlano di Spettri? I resti spettrali di una tradizione umanistica andata in frantumi?
    La storia delle cose comincia dai loro spettri. La morte garantisce loro un tempo che va oltre la storia: esso inizia nelle necropoli preistoriche, tra i miseri resti di utensili, armi, attrezzi, vasellame, sparpagliati intorno ai fantasmi di uomini e donne che fluttuano leggeri su mucchietti di ossa polverose. Là dove s’intravedono evanescenti larve, gli oggetti continuano implacabili a narrare, nel loro linguaggio segreto, vicende che si perdono nella profondità del tempo…
    Intorno ad essi aleggiano ancora gli spettri di coloro che li usarono nel corso di una vita, alla quale essi sopravvissero con l’indifferente invincibilità delle cose…Le energie tipicamente umane del bisogno e del desiderio aleggiano intorno a loro, ma come instabile memoria, segno indecifrabile di una storia che essi hanno interpretato da protagonisti, prima di svanire nell’ambiguità di un’apparenza, sempre pronta però a offrire a chiunque i propri servigi. (Maurizio Vitta, le voci delle cose, Einaudi 2016)
    Queste considerazioni riferite agli oggetti d’uso, possono essere riferite anche agli oggetti spirituali, (tracce spettrali, Ombre bianche, Ombre nere, inserzioni citazionistiche, larve di memoria, “apparenze sempre pronte ad offrire i loro servigi”) che emergono nottetempo dai sepolcri umanistici…Ad esempio il patrimonio dei classici, mera merce artistica e culturale alla quale ormai è riservato un destino museale. L’ “Inverno della cultura” è l’impossibilità della trasmissione e dell’assimilazione, è la fruizione pubblicitaria, collezionistica, superficiale, sepolcrale, citazionistica.
    Così nella poesia di Mario Gabriele una sorta di metrica cinematografica configura il testo come una concentrazione di citazioni implicite e frammentate. L’articolazione intemporale e incantatoria snoda una sorta di recitativo di allusioni eliotiane, o per meglio dire interferenze, nell’accelerazione anonima ed incoerente degli eventi. Finita l’ispirazione e gli stimoli alla creazione di una grande letteratura, al “poeta dell’assenza” restano le apparenze, le ombre spettrali, il cabaret dei lustrini e dei detriti letterari.
    Mentre Linguaglossa aggancia il lettore con la torsione surrealista dell’Ekphrasis.
    “Il corvo è entrato dalla finestra” in un gioco di specchi, rifrazioni e allusioni effimere: i canoni estetici della rappresentazione tradizionale falliscono e anche “il mare se ne va” esce dal quadro, abbandona la scena. L’arte era truccata…il Campari, il“Capriccio”, l’ultimo…il ventiquattresimo. Creare una Stimmung come sottofondo musicale, l’Angoscia, per un dialogo “autentico” con gli spettri…

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    • Claudio Borghi

      DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


      Se, d’accordo con Vattimo, “ontologia altro non è che interpretazione della nostra condizione o situazione, giacché l’essere non è nulla al di fuori del suo evento, che accade nel suo e nostro storicizzarsi”, il problema che inizialmente era stato posto non è tanto se Mario Gabriele e Giorgio Linguaglossa, di cui Letizia Leone riporta due esempi di “poesia ontologica”, abbiano scritto o meno testi espressivamente significativi, quanto cosa significhi teorizzare una ontologia estetica, se non intendendola, come sembra fare la Leone, come un accogliere il brivido dell’estraneità della percezione e della dissoluzione dell’identità all’interno di un particolare orizzonte di scrittura, stilisticamente connotato in forma di sequenze frammentistiche, che si vuole contrapporre a un approccio di tipo individualistico-emozionale. I testi di Gabriele e Linguaglossa mi sembrano interessanti espressioni di un disagio esistenziale, di un inappagamento radicale, di un malessere incolmabile nei confronti di un mondo sempre più ostile alla poesia, alla creatività, alla possibilità di scavo, di leggere oltre la cortina buia che avvolge l’essere e impedisce alle esistenze individuali di essere autentiche. Il fatto che Linguaglossa e Gabriele siano accomunati da una “gioia sperimentale”, per cui “la valorizzazione del frammento è calata nella complessità di una progettualità filosofica”, mi sembra assolutamente positivo: lo sento dinamico, produttivo, fertile. Quello che mi turba è la volontà di rendere programmatico un sentimento della vita e della poesia: questo va oltre la gioia della progettualità filosofica, sembra piuttosto un voler trovare a tutti i costi nella filosofia, o nella scienza, un fondamento teorico che renda quella che, in ogni esperienza poetica, è un’emozione, una teoresi riconducibile a una forma di nuova, addirittura rivoluzionaria poetica. Ripeto: laddove percepisco l’angoscia dei fotogrammi dispersi come foglie al vento (questo spesso provo leggendo sia Mario che Giorgio) mi sento trasportare dentro i loro testi, mentre, quando li sento ergersi a teorici della propria emozione, che a me sembra vogliano tenere forzatamente quanto disperatamente compressa, quasi avessero paura di percepirla, provo un moto istintivo di rifiuto. Non siamo esseri solo razionali o solo emotivi, essere o nulla, siamo sintesi in divenire, provvisorie e sfuggenti anche a noi stessi. Non accettarci come tali ci rende innaturali, con il rischio di scrivere senza comunicare. Il che significa snaturare la poesia dalla sua più profonda radice: lo smarrimento di fronte al nonsenso della vita, che siamo costretti a vivere in forme di tempo.

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    • DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


      Mi ero ripromesso di dare un taglio alle repliche, anche per non apparire inconciliabile con l’avversario di turno. In questa sede ho citato Tommaso d’Aquino che trovò una mediazione tra l’insostenibilità tra Fede e Ragione. Ma qui con l’estremismo culturale di Borghi ogni faccenda di casa poetica diventa una sorta di prodotti culturali da masterchef, con tutti gli ingredienti a portata di mano, quando, al contrario, bisognerebbe usare nella minestra un po’ di SALE. A meno che le bombe concettuali, usate dal Borghi, non siano finalizzate a mettere sotto i ponti della NOE bombe americane di ultima invenzione, col solo scopo di MINARE la credibilità di questo Blog, pur di stabilizzare la sua poesia e quella di qualche altro Autore a lui compiacente, nel tentativo di fare battaglia e creare adepti come fecero quelli della scienza creazionista e Intelligent Design, che si ispiravano a una particolare dottrina cristiana chiamata creazionismo speciale, che non soltanto sostiene l’idea che Dio creò, ma ha anche una precisa idea di come Dio creò. Elemento centrale di tale dottrina è che Dio creò tutto nella sua forma attuale. Galassie sistemi planetari, piante, animali, esseri umani, tutto è stato creato esattamente come lo vediamo oggi. Questa teoria ammette che ci possa essere evoluzione all’interno di una specie, ma non il passaggio da una specie all’altra. E’, insomma, un po’ il discorso centralista di Borghi sulla sua poesia e quella dei poeti della NOE, ritenuti autentici vandali del linguaggio e bestemmiatori della Tradizione. Borghi protegge la spiritualità da ogni attacco razionalistico, cercando nella grotta del suo subconscio il lumino di Diogene, che non troverà mai, perché non esiste, non facendo altro che perdersi nel monopolio delle credenze. Infatti, se gli chiedete se esse siano vere, non esiterà a dire di si. Qui sarebbe necessario chiamare in causa Carl Stumpf, con il suo studio sulla Psicologia e Edmund Husserl, col suo trattato la Fenomenologia che scandaglia il rapporto tra filosofia e psicologia. Quanto alla lettura critica fatta dalla Leone, è una vera “LETIZIA”, che lascia le porte aperte a più venticelli primaverili di interpretazione sull’esempio poetico di Linguaglossa e il mio. Per finire voglio portare a tutti, atei e credenti, un rametto di palma per la prossima Pasqua, affinché si apra la porte étroite per le prossime ondate cerebrali.

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      • Claudio Borghi

        Ah, Gabriele, se solo lei leggesse una volta quello che scrivo e ci pensasse su senza presumere di sapere già in partenza cosa voglio dire, senza attribuirmi aprioristici intendimenti, come sarebbe potenzialmente interessante discutere! Ma proprio non ce la fa, lei di me si è fatto un’iconcina di comodo, mi fa parlare e pensare come vuole lei, senza rendersi conto di quello che penso e dico davvero. Così è, se le pare.

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      • Mariella Colonna

        https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/04/14/dibattito-a-piu-voci-non-la-poesia-e-in-crisi-ma-la-crisi-e-in-poesia-alcune-questioni-di-ontologia-estetica-la-questione-montale-pasolini-alla-ricerca-di-una-lingua-poetica-tomas-transtromer/comment-page-1/#comment-19378 Sei grande, Mario Gabriele, quando, con sarcasmo e raffinata ironia che rendono la tua ipotesi più realistica e meno polemica, accenni ad un’ipotesi tra fantascienza e il commissario Poirot. Ti cito:
        “A meno che le bombe concettuali, usate dal Borghi, non siano finalizzate a mettere sotto i ponti della NOE bombe americane di ultima invenzione, col solo scopo di MINARE la credibilità di questo Blog, pur di stabilizzare la sua poesia e quella di qualche altro Autore a lui compiacente, nel tentativo di fare battaglia e creare adepti come fecero quelli della scienza creazionista e Intelligent Design, che si ispiravano a una particolare dottrina cristiana chiamata creazionismo speciale…”. Mi hai messo un dubbio nella mente: ma non trovo , semmai fosse vero, che sia un’azione scorretta quella di Borghi…è un modo per convincere altri sulla credibilità delle proprie idee e creare un gruppo concorrenziale rispetto alla NOE: il che avrebbe come conseguenza (e già succede) un forte stimolo alla creatività e all’approfondamento del “Grande progetto”, sempre che si stia attenti a non cadere nelle parole parole parole che ci fanno entrare in una sorta di labirinto in cui si torna sempre inevitabilmente da dove si è partiti!
        Abbiamo scoperto in Mario Gabriele una nuova dote: quella del detective!
        Io trovo che tutto questo sia stimolante e quasi divertente sul piano intellettuale. Non capisco perché Borghi si senta quasi estraniato dal gruppo. La risposta e la risposta alla risposta dovrebbero essere brevi e nitide, così si arriverebbe, spero, ad una maggiore chiarezza.

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    • Mariella Colonna

      DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


      Ottimo intervento che ha alternato teoria e poesie…bellissime e molto attuali quelle citate. Gabriele e Giorgio Linguaglossa hanno una preziosa critica e commentatrice! Mi ha molto colpito questo pensiero completo e complesso sulla poesia “mitteleuropea” e internazionale di Mario Gabriele che non sempre riesco a recepire ad una lettura immediata perché sottilmente penetrante ed enigmatica, e a volte quasi disinvolta e ironica nella citazione del “dejà vu” nella memoria e di un divenire inafferrabile messo in risalto dai “lustrini” citati da Letizia Leone. Ma lasciamo parlare l’autrice dell’intervento che mi piace sottolineare:
      “Così nella poesia di Mario Gabriele una sorta di metrica cinematografica configura il testo come una concentrazione di citazioni implicite e frammentate. L’articolazione intemporale e incantatoria snoda una sorta di recitativo di allusioni eliotiane, o per meglio dire interferenze, nell’accelerazione anonima ed incoerente degli eventi. Finita l’ispirazione e gli stimoli alla creazione di una grande letteratura, al “poeta dell’assenza” restano le apparenze, le ombre spettrali, il cabaret dei lustrini e dei detriti letterari.” Vorrei capire il senso dell’espressione “detriti letterari” nel contesto della poesia di Gabriele che, comunque, mi affascina.

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      • letizia leone

        DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


        Grazie gent.ma Mariella Colonna per la sua lettura “attiva”, coinvolgente e dialogante…La parola “detrito” qui utilizzata in riferimento ai lacerti di una tradizione letteraria, ha lo spessore ontico di inutilizzabilità, (scoria, rifiuto) in contrasto alle famose rovine eliotiane: “Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine”. La rovina è colma di “aura”, potrebbe anche essere ricettacolo di spiriti maligni come ci informa una lunga tradizione popolare, ma il detrito e la scoria appartengono già ad un’altra epoca, ad un’altra stimmung, all’epoca che ha vissuto Hiroshima e Nagasaki, all’epoca dell’oblio della memoria (come dimostra ampiamente l’articolo di oggi sull’Ombra). Naturalmente il portato implicito della poesia di Gabriele ( e Linguaglossa) è anche una presa di responsabilità linguistica di fronte a questo oblio, a questa rottamazione veloce e insensata della civiltà umanistica. Qui non tratta di espedienti stilistici ma di una resa espressiva al disorientamento epocale…Un caro saluto

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    • Mariella Colonna

      DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


      Gentile Letizia Leone,
      ho scritto un piccolo commento al suo intervento che è finito sotto quelli di Borghi, Gabriele e Talia, non so come. Volevo aggiungere che mi complimento per la scelta delle poesie di Gabriele e Linguaglossa: sia “La notte celò i morsi delle murene ” di Gabriele sia “Il corvo è entrato dalla finestra” di Linguaglossa sono di altissimo livello e adatte ad esemplificare l’assunto del suo intervento. Ho già accennato a Gabriele. Volevo adesso dire due parole su “Il corvo è entrato dalla finestra” di Linguaglossa. Mi limito alla prima strofe per esigenze di tempo:

      Il corvo è entrato dalla finestra.

      Una stanza. Atelier del pittore.
      Un cavalletto e una tela bianca.
      Il pittore dipinge il mare e un sole livido.
      Il sole prende vita dal quadro e se ne va.
      Nel quadro è rimasto solo il mare.
      Anche il mare se ne va.
      E resta un abito gessato bianco in una barca
      Che rema verso una proda.”

      L’evento iniziale (titolo) è il corvo che entra dalla finestra e potrebbe essere anche un personaggio: attraverso i suoi occhi e quelli del poeta si delinea una sequenza di immagini, l’una legata all’altra da un invisibile nodo drammatico: nella stanza dove entra il corvo un pittore dipinge un quadro con il mare e un sole livido. Avviene il “miracolo” della “ontogenesi”: Il sole livido “prende vita” dal quadro e se ne va. “Nel quadro è rimasto solo il mare./ Anche il mare se ne va./ E resta un abito gessato bianco in una barca / Che rema verso una proda.” Il dinamismo delle immagini è di una libertà sorprendente che però non sconfina nel paradosso inaccettabile, ma plana nella surrealtà alla Savinio. L’inanimato si anima attraverso l’arte: e la poesia completa l’opera di trasformazione della realtà attraverso un gioco creativo e rivoluzionario che avviene senza suoni di trombe o accenti eroici. La poesia continua intrecciando le immagini al “nulla che è”, lo trasforma in “dato ontologico”. Un vero capolavoro! Grazie infinite, Letizia Leone, per aver scelto le due poesie di Gabriele e Linguaglossa!

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  5. Donatella Costantina Giancaspero

    IL NULLA NON ESISTE COME NULLA (il suono del silenzio) La NOE (Nuova Ontologia Estetica)

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 

    Ho piacere di unirmi al dibattito e introdurre una mia riflessione sul Nulla, con queste parole di Gillo Dorfles, al quale ieri abbiamo augurato buon compleanno per i suoi formidabili 107 anni!

    “Malauguratamente solo pochissimi intendono questa fisiologica necessità del vuoto e della pausa. La maggior parte degli uomini è ancora profondamente ancorata all’errore del pieno e non all’orrore dello stesso. Carichi di troppi elementi che s’accavallano nella nostra mente – spesso subliminarmente – finiamo per confonderli e annegarli in un lattiginoso e amorfo amalgama”

    Credo che finché continueremo a dare una connotazione negativa al Nulla, pensandolo come Nulla, non potremo mai coglierne la vera essenza: non potremo sentirlo necessario, riconoscendolo nella realtà che ci circonda; non potremo percepirlo “aleggiare nelle «cose» e intorno alle «cose»”, come scrive Giorgio Linguaglossa. Perché il Nulla, ciò che diciamo “Non Essere”, esiste al pari dell'”Essere”. Non è difficile intendere questo. Occorre soltanto guardare alle cose semplici con la stessa semplicità di “uno scricciolo che trilla”…
    Il Nulla, lungi dall’essere “vuoto”, è, al contrario, “pieno” di cose, di sottilissimi, sofisticati elementi. Il Nulla è il Silenzio di tanta musica contemporanea, che poi, in realtà, tanto contemporanea non è più… Il pensiero va a John Cage, a quel suo “vuoto apparente”, ovvero un silenzio nel quale si riverbera il suono: ossimoricamente parlando, lo diremmo un “silenzio sonoro”, carico di linguaggio.
    Ne sia di esempio la sua celebre composizione “4’3” (“Quattro minuti, trentatré secondi”), in tre movimenti, composta ed eseguita nel 1952: questa, insieme ai White Paintings del suo amico Robert Rauschenberg, rappresenta una delle opere più importanti del Novecento. L’incontro fra Cage e Rauschenberg, infatti, avvenuto negli anni Cinquanta, darà luogo un nuovo concetto positivo di vuoto tra musica e pittura.
    Il pianista David Tudor si sedette al pianoforte e per poco più di quattro minuti e mezzo suonò tre lunghe pause, senza produrre alcun suono, limitandosi ad aprire e chiudere la tastiera per segnare i tre movimenti della composizione. Lo spartito infatti riportava un tacet per qualsiasi strumento o ensamble.
    In seguito, ripensando alla prima esecuzione (nella Maverick Concert Hall, una sala da concerto a tre chilometri da Woodstock), John Cage disse così:

    “Il silenzio non esiste. (…) Durante il primo movimento si sentì il vento che soffiava fuori dalla sala. Durante il secondo, qualche goccia di pioggia cominciò a picchiettare sul tetto, e durante il terzo la gente stessa produsse i più vari rumori mentre parlava o usciva.”

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  6. gino rago

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/04/14/dibattito-a-piu-voci-non-la-poesia-e-in-crisi-ma-la-crisi-e-in-poesia-alcune-questioni-di-ontologia-estetica-la-questione-montale-pasolini-alla-ricerca-di-una-lingua-poetica-tomas-transtromer/comment-page-1/#comment-19311 Antefatti estetici a Laboratorio Poesia Gratuito Roma, 30 marzo 2017
    Il poeta della NOE medita da anni sulla “Teoria estetica” di T. W. Adorno. Fa suo l’assioma adorniano secondo cui: “I segni dello sfacelo sono il sigillo di autenticità dell’arte moderna”. Per tale via maestra egli adotta la poetica del “frammento” come elemento costitutivo d’una sua personale ontologia estetica. La quale, partendo dalla “morte di Dio”, assume in sé la constatazione della fine della visione platonico-cristiana del mondo e della conseguente scomparsa del “centro dell’uomo nel mondo”. La sua ricerca d’arte ne prende atto e si muove nella persuasione della decadenza della “verità assoluta”, della impossibilità di ricondurre la frammentarietà ad una unità di senso. Entrando nella filosofia del frammentismo, il poeta della NOE assume il “frammento” come la cifra caratteristica della modernità poiché alla sua personalissima lettura il mondo moderno si pone sotto il segno della deflagrazione del “senso”, della dispersione, dell’astigmatismo scenografico, della moltiplicazione delle prospettive, della crisi e della inadeguatezza espressiva di un “unico”linguaggio. Nella teoria estetica dell’opera moderna il poeta della NOE interpreta il prospettivismo di Nietzsche come una promozione della “frammentarietà” contro le tesi di quell’ordine metafisico incentrato sulla verità dogmatica, sulla verità indiscutibile.
    La poetica del frammentismo tende a esiti estetici del tutto nuovi poiché la “filosofia del frammento” è in grado di restituire “dignità estetica” a quelle irriducibili singolarità che caratterizzano l’esperienza concreta di ciascuno perché il frammento è l’”intervento della morte nell’opera d’arte”. Rifondando l’opera, o distruggendola, la morte da essa elimina la macchia dell’apparenza. Ma ciò che conta è che per il poeta della Nuova Ontologia Estetica e dello Spazio Espressivo Integrale***, il “frammentismo” va oltre il significato di “poetica”, va oltre le intenzioni d’arte. Il frammentismo in lui è una Weltanshauung. E’ uno stato d’animo. E’ il suo modo di sentire il mondo, di sentirsi egli stesso “frammento” di questo mondo poiché risiede in lui stesso l’unico punto di convergenza e di fusione di quella che Harold Bloom ha definito “la cartografia psichica” dell’artista: l’agonismo perenne tra l’ “Io me stesso – l’anima – l’Io reale”.
    Il poeta della NOE, nel suo fare poetico all’ interno dello Spazio Espressivo Integrale, sa che:
    – il vuoto non è assenza di materia;
    – l’assenza di musica non è l’affermarsi del silenzio;
    – il ” Campo Espressivo Integrale ” è l’unica regione in cui la poesia può inglobare spazio e tempo, filosofia e mito, musica e silenzio, metafisica e scienza, memoria e armonia delle sfere, meraviglia e sapienza, in una unità di linguaggio di numerosi linguaggi differenti…
    – ciò che è perduto può essere ritrovato soltanto in forma di “frammento”, che non indica il Tutto, nella dialettica fra le parole e le cose di Michel Foucault, ma un tutto frantumato e disperso da cui deriva il “dolore” della poesia;
    – esiste un “tempo assolutamente creativo”. Un tempo che crea la vita poiché (secondo Prigogine) è il tempo delle infinite metamorfosi della vita nella biologia ed è il tempo delle infinite creazioni delle opere d’arte. Un tempo despazializzato, un tempo ” qualitativo ” e non ” quantitativo ” e che come tale non sa che farsene degli orologi;
    – l’ Estetica non può ignorare questi nuovi orizzonti delle scienze ed è
    chiamata anzi ad orientarsi essa stessa verso una “forma” scientifica per essere in grado di tener conto delle strutture dissipative nelle quali trionfa
    l’infinita possibilità delle equazioni non lineari ( Prigogine ), equazioni con
    all’interno il “tempo creativo” e, dunque, la cosiddetta possibilità progettuale
    della esperienza artistica;
    – il mondo non è più “ciò che è” ma è “ciò che diviene” ed è “il possibile”
    il nuovo strato della cultura contemporanea;
    – la nuova Estetica non può che appropriarsi di tali indicazioni.

    Gino Rago
    Roma, 7/13 aprile 2017

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    • Mariella Colonna

      https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/04/14/dibattito-a-piu-voci-non-la-poesia-e-in-crisi-ma-la-crisi-e-in-poesia-alcune-questioni-di-ontologia-estetica-la-questione-montale-pasolini-alla-ricerca-di-una-lingua-poetica-tomas-transtromer/comment-page-1/#comment-19366 Caro Gino Rago, se non avessi avuto già e idee abbastanza chiare il tuo intervento ha chirito in me ogni dubbio, nella misura in cui noi umani posiamo credere di aver afferrato con l’ESSERE gli elementi che fondano la realtà e anche la verità “in divenire”! E quello che hai detto del tempo? Adoro il “tempo assolutamente creativo! Un tempo che crea la vita poiché (secondo Prigogine) è il tempo delle infinite metamorfosi della vita nella biologia ed è il tempo delle infinite creazioni delle opere d’arte. Un tempo despazializzato, un tempo ” qualitativo ” e non ” quantitativo ” e che come tale non sa che farsene degli orologi;” Nella mia poesia l’orologio ha uno spazio particolare, forse è una specie di “ODI ET AMO” per il tempo che regola e limita(spesso arbitrariamente) le nostre azioni più significative: lasciamo all’orologio il compito di farci da guida nella vita quotidiana, ma buttiamolo via in poesia: non dico nel senso del “soggetto-oggetto” della poesia, ma nel senso della libertà espressiva che ha il poeta di spostarsi nello spazio della memoria! Hai fatto bene, Gino, a citare Prigogine, uno degli scienziati che amo di più, hai fatto bene a dire che non è possibile che una poetica, oggi, ignori gli orizzonti aperti dalla scienza! Ma questo non deve e non può imprigionare la LIBERTA’ DEL POETA!
      PERCHE’ AVERE PAURA DELLA PAROLA “PROGETTO”? Nel mio intervento di prima ho fatto una domanda a cui nessuno ha risposto, la ripeto: QUALCUNO HA MAI PENSATO CHE IL NOME DI CUBISMO POTESSE FRENARE I TRE GRANDI ARTISTI CHE LO HANNO RAPPRESENTATO? ( In previsione che non avrei avuto risposta, me la sono data da sola): Io non credo proprio, tanto è vero che il suo esponente più illustre, Picasso, ha abbandonato la sintassi cubista per il suo personalissimo nuovo linguaggio della disintegrazione della forma. Tutti i movimenti d’avanguardia hanno un nome, a cominciare dal “Futurismo, fino al “Sequenzialismo” degli ultimissimi tempi…mi sembra anche ridicolo continuare… “Simbolismo”, “Decadentismo” etc etc…, senza contare l'”Illuminismo” e il “Romanticismo” e tutti i movimenti filosofici etc., da che mondo è mondo, nati e cresciuti l’uno contro l’altro, si sono contraddetti appassionatamente e altrettanto appassionatamente amati (come accade a Borghi e Gabriele etc…, secondo me…riconoscetelo almeno oggi: è Pasqua!). Quando mai un nome, una sigla che ha riunito gli entusiasmi di molti esseri creanti e pensanti, ha impedito ai contemporanei di creare e pensare e alle generazioni successive di tentare il Nuovo? Allora mi sembra che si possa andare avanti, pur con opinioni diverse (è meglio, vuol dire che siamo vivi!) senza drammatizzare e separarci con astio. E’ davvero un peccato che persone intelligenti come voi non sappiano sopportare di essere in parte contraddette!

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    • Mariella Colonna

      DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


      Caro Gino,
      ti ho già risposto nel commento successivo: voglio però aggiungere che le tue considerazioni non soltanto aggiungono chiarezza alle mie idee precedenti sulla NOE ma sembra che contenganoL’ANTICIPAZIONE di nuove poetiche emergenti: ne indico due:
      1) “Il tempo assolutamente creativo” (che mi ricorda quello dell'”Universo sognante” degli aborigeni australiani) “un tempo che crea la vita”(Prigogine);
      2)– il mondo non è più “ciò che è” ma è “ciò che diviene” ed è “il possibile”
      il nuovo strato della cultura contemporanea;
      Questo sì è importante, più che l’obbiezione che ontologia ed estetica non vanno d’accordo! Eil Principio di indeterminazione di Heisemberg:
      “« Nell’ambito della realtà le cui condizioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere (all’interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso al gioco del caso. ». Noi poeti dobbiamo e possiamo tentar di afferrare “il gioco del caso?”…oppure c’è altro, rispetto al caso, che determinaciò che accade nello spazio e nel tempo?
      I nostri interlocutori non convinti hanno un buon materiale che è difficile confutare in ciò che tu hai affermato e che trova ampia accoglienza in tutti i convinti poeti e lettori dell'”Ombra”, me per seconda (lasciamo il primo posto a Linguaglossa). Già penso a come rendere in poesia il TEMPO “assolutamente creativo”e il TEMA DEL POSSIBILE: sono una vera chicca culturale per la poesia, il primo vorrei collegarlo al tempo circolare degli aborigeni australiani! Per il secondo argomento devo pensare… Adesso vado a sistemare due poesie già scritte che sono dedicate ai nostri temi preferiti.
      Ho letto che alcuni studiosi sostengono che il romanzo derivi dall’epos omerico. Anche qui ci sarebbe da indagare , ma adesso non mi è possibile!

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  7. Caro Gino,

    sei stato esaustivo. Hai scritto un decalogo delle immense possibilità stilistiche che la Nuova Ontologia Estetica può offrire ad un poeta degno di questo nome..

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  8. Giuseppe Talìa

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Appare, in definitiva, chiaro come il dottor Borghi e il dottor Inchierchia stiano cercando, attraverso una confutazione circostanziale, di dimostrare l’infondatezza e l’inconsistenza, parziale (Borghi) o totale (Inchierchia) della Nuova Ontologia Estetica, così come si è venuta, gradualmente, a delineare sull’Ombra delle Parole. Appare chiaro, ancora, che l’attacco sullo scacchiere si stia sempre più orientando sulla validità del termine stesso di NOE, nonché sulla sua fondatezza “ontologica” ed “estetica”. E’ l’aggettivo “nuova”, in definitiva, quello che spaventa di più. Con un detto, terra-terra, chi lascia il vecchio per il nuovo sa che quello che lascia e non sa quello che trova. Ritornano, allora, alcune affermazioni di Mario M. Gabriele, che poi sono il pensiero di tanti altri attanti che hanno capito, fin troppo bene, quali posizioni difendere e quali lasciare al contradditorio.
    Punto 1. A chi insinua che il sottoscritto abbia dapprima osteggiato e poi sostenuto il Nuovo Progetto, dico che:
    • Ho una capacità di giudizio propria e indipendente
    • Ho ammesso in molti scritti sull’Ombra cosa sia per me il Grande Progetto (NOE);
    • Non mi spaventa il NUOVO, anzi lo perseguo.

    Se uno degli attacchi, tra i tanti, portati verso il “NUOVO”, (non dico di ontologia ed estetica, per non cadere nel tranello dei dottori di cui sopra), è rivolto al così detto “Frammento”, riporto quanto scritto e pubblicato in queste pagine, ma sempre, e dico e ribadisco sempre, partendo dall’analisi dei testi, in questo caso Linguaglossa ed Espmark (non certo su operazioni shopenhaueriane dell’arte dell’ottener ragione):
    “La scelta del frammento è conseguenza di una visione della vita confusa, parziale e soggettiva. Al soggettivo si contrappongono immagini in cui l’oggetto percepito dal soggetto si ferma (Silenzio. La pioggia infuria lassù. Espmark) (Notte. Pioggia. Nebbia. Ho aperto la finestra. Linguaglossa) come quadri impressionisti, in un realismo en plen-air che nega l’importanza del soggetto a scapito del colore più che del disegno, dovuto, quest’ultimo a una forma tradizionale, mentre il frammento (come l’impressionismo) privilegia la libertà del verso.”

    “Leggiamo ancora che il frammento si avvicina all’espressionismo, al lato emotivo della realtà (Abitavo presso una stella sul canale nero. Linguaglossa) ;(Ricordo in un brivido una carreggiata zuppa. Espmark).

    Sulla differenza sostanziale tra frammento vociano e frammento NOE (Linguaglossa e Mario M. Gabriele ndr): “Ho come l’impressione che si voglia percepire la discussione intorno alla poetica del frammento come a una diatriba fra sostenitori e oppositori, tra chi ne rileva la portata rivoluzionaria e chi si abbarbica su posizioni tradizionali.”

    “Il frammentismo vociano, che ha radici pascoliane e post-d’annunziane, rappresenta nella poesia italiana dei primi del novecento, l’inizio della “forma costruita e oggettiva”. Soffici, Papini, Sbarbaro, Boine, inaugurarono una nuova forma poetica in cui l’oggettivo si muove tra discussione filosofica e interpretazione critica.
    Della fatidica data del 1971 si è parlato a lungo. Il 1971 , nella poesia maggioritaria italiana si registra uno scompiglio, un rimescolamento, alcune rotture definitive e alcune ricostruzioni o restaurazioni che hanno ulteriormente frammentato stili e poetiche. Si è già detto, in un precedente commento, che tra i maggiori del tempo, Montale, Pasolini e Luzi, il 1971 rappresenta un giro di vite: Montale e Pasolini perdono la memoria storica e tradizionale (la sacrificano), Luzi, invece, la recupera, fuoriuscendo definitivamente dall’ermetismo. “

    NUOVA. Chiedo. Avete mai letto poesie come quelle ultime di Mario M. Gabriele e di Linguaglossa? Portatemi esempi e ne parliamo. E non si cada nella facile retorica del citazionismo. Entrambi gli autori citano, anzi il citazionismo è una costante che rimanda a una complessità, frammentaria, della memoria, collettiva, e della conoscenza. Non si cada nemmeno nel facile e prevenuto giudizio di cosa dovrebbe essere e di come dovrebbe essere scritta la poesia. Del bello e del brutto. Terreno scivolosissimo. Al dottor Inchierchia, a questo proposito, chiediamo di parlarci di poesia, di testi. E non importa di quali, scelga pure tra i tanti, innumerevoli che tracciano “l’ontologia estetica” universale.

    Punto 2. Affermavo, sempre su queste pagine:

    E veniamo al Grande Progetto. Ho capito cosa intendi, Giorgio. Non è una scuola, è un sommovimento d’anime, un gruppo di ricerca capace di restaurare la poesia italiana dopo la crisi, riportarla a trattare temi alti, della complessità, dell’ambiente, della conservazione, dei mutamenti, delle migrazioni, contro ogni barriera, muro, confine, contro ogni mafia, per una nuova ecologia della forma-poesia. E questo lavoro va fatto individualmente, come è giusto che sia, avendo in comunione principi alti che, partendo da De Palchi, ultimo grande in ordine di apparizione, riformuli la nuova poesia.

    Dicevo in precedenza della confutazione parziale di Borghi. In effetti, alcune note di lettura su una autrice frammentista pubblicata in rivista ce la dice lunga sul suo parziale, appunto, riconoscimento del frammentismo come anche, implicitamente, della NUOVA (il nuovo spaventa) ontologia estetica.

    Da una nota a cui sto lavorando sulla poesia di Giorgio Linguaglossa, Preghiera per un’Ombra.

    Perché Giorgio Linguaglossa decide di dedicare una “preghiera ad un’ombra? Perché una preghiera rivolta a una delle zone più ambigue del simbolismo umano, spesso collegata com’è al male? L’ombra, zona che si frappone tra la superficie e la sorgente di luce. Non esposta alla luce diretta, quanto piuttosto figura di un oggetto che si proietta su una superficie in forma alterata. Iperpolizzazione. L’ombra, da Plinio il Vecchio, che ci racconta di come la pittura sia nata da un procedimento “in negativo”, si presenta come presenza/assenza. L’ombra è coma l’ambra, una resina fossile che imprigiona la vita e la conserva pressoché intatta per milioni d’anni. L’ombra è la memoria. Fidiamoci del ricordo. Conscio e subconscio. L’ombra è una maschera (Jung), rappresenta la perfetta unione di introverso ed estroverso (intro-verso, estro-verso): l’uno è l’opposto e nel contempo complementare dell’altro; l’uno è, reciprocamente, l’ombra dell’altro. Ancora Jung paragona l’ombra alla nigredo, la nerezza, che appartiene di per sé alla prima materia. In “L’Io e l’Inconscio” (1916-1928) scrive che l’Ombra simboleggia “l’altro lato” nostro, “il fratello oscuro”. L’Ombra archetipica, legata ontologicamente all’essere umano, getta una luce insolita alla consapevolezza del proprio sé. Riconoscere la propria Ombra rende “l’uomo corporeo” (Jung). Essere o apparire come un eroe-ombra, primitivo ma non certo inferiore all’eroe-eroe. L’Ombra “gioca a fare l’Omero” e racconta una “personale Odissea.” L’ombra si traveste da “teatro dei pupi”. Il teatro delle Ombre maschera il significato segreto in una zona umbratile in cui spettri, spiriti inconsistenti narrano di adombramenti e di offuscamenti. Memoria procedurale, “le cifre pari e le dispari tendono all’equilibrio” (Borges) e memora dichiarativa, “l’illusorietà delle illusioni” (Leopardi). La memoria. Un proverbio siciliano recita: U ciriveddu è comu un filu i capiddu (Il cervello è spesso come un filo di capello). L’abitudine alla tenebra. L’accecamento. La luce illumina la caverna e fuga le ombre. Nel momento in cui la realtà appare nelle forme intellegibili della ragione chiunque potrà certamente “battersi sulla interpretazione” rispetto a “chi non ha mai veduto la giustizia in sé” (Platone, La Repubblica). Asterione, invece, vive una esistenza solitaria in una casa labirinto lamentandosi della solitudine, auspicando che qualcuno venga a salvarlo: “Entri chi vuole”. “La verità è che sono unico” (Borges).
    Si chiama Asterione, ma lo chiameremo Minotauro.

    La NUOVA ontologia (estetica) è capace, a partire dai testi, di fare “parafrasi”. Cosa che difficilmente si può fare per tanta, tantissima, poesia contemporanea.

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    • Mariella Colonna

      Bellissimo intervento, pieno di citazioni di potenziali temi poetici, di ombre e luci di soprassalti e e impennate, di visioni e di accecamenti, di serie importanti affermazioni e di ironia, c’è tanto, tantissimo che mi verrebbe la tentazione di trovare spunto per una mia creazione poetica. Un ottimo interprete della Nuova Poesia e dei Frammenti! Bravo…

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      • Giuseppe Talìa

        Grazie, Mariella (possiamo darci del tu?).
        Giorgio fa tanto, per tutti, e anche noi dobbiamo fare per Lui ciò che le sue intuizioni e la sua cultura meritano.

        L’ombra è come l’ambra. Iperpolizzazione.

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        • Mariella Colonna

          DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


          Certo, Giuseppe: non diamo del tu” anche al Padreterno? Mi fa piacere che tu sia aperto, apertissimo al “Nuovo” di Linguaglossa che, come tutte le vere novità, trova opposizioni anche valide ma non inoppugnabili. Vorrei sapere da te che cosa pensi sull’argomento che segue: è proprio necessario questo sconfinamento continuo, quasi ossessivo nella filosofia (che pure amo) quando stiamo parlando di Poesia, di “Linguaggio poetico”? Da sempre è stata necessaria una suddivisione tra le varie discipline umane…altrimenti o si impazzisce o si diventa “tuttologi” ed è quanto di peggio possa accadere. Secondo me qui stiamo perdendo di vista la Poesia per correre dietro alla teorizzazione più o meno filosofica (che ci porta in un labirinto senza uscita) di tutto quello che circonda accarezza la poesia e , talvolta la infilza come un pollo da arrostire e fagocitare con fiumi, oceani di parole spesso autoreferenziali. Questo non accade spesso, mi sembra, nella NOE, perché ognuno di noi ritorna con passione al testo poetico di riferimento, magari soltanto con le citazioni “frammentarie”, ma accade! Restiamo nella Poesia che si fonda sul linguaggio e, con la NOE, sta tentando uno sprofondamento nell’essere o talvolta nell'”ente” (penso non sia necessario dire che differenza c’è tra “Essere” e “ente”, anche se qualcuno insinua che altri di questo blog non ne siano a conoscenza.) I versi, le parole, il rapporto tra parola e immagine, la vecchia “stilistica”… bisognerebbe trovare un equilibrio tra lo strutturalismo dei russi nel primo ‘900 (fa eccezione Bachtin, secondo il quale il linguaggio deve diventare “una scienza dello spirito”) e le semiotiche inglesi e americane che hanno sviluppato successivamente il senso filosofico generale della nozione di segno, associandolo poi al concetto di “arte” (e poi Susanne Langer, sulle orme di Cassier e della sua Filosofia delle forme simboliche”). Ma noi siamo già su un’altra spiaggia, più aperta e libera, mi sembra che le implicazioni e sottigliezze filosofiche siano suggestive ma ci allontanino dall’argomento-base che ci sta a cuore: scrivere poesie che possano testimoniare le nostre personalità e il nostro tempo. Vorrei sapere il tuo punto di vista, Giuseppe Talia.

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          • Giuseppe Talìa

            DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


            Cara Mariella Colonna

            I Sentieri Interrotti di Martin Heidegger (1950) non è un libro facile. Con la scoperta della grecità e in generale la riscoperta delle problematiche originarie riguardo al tema dell’”essere”, il secondo Heidegger entra nella disciplina della “fenomenologia” tracciandone una visione assai diversa rispetto a quella indicata da Hegel (fenomenologia dialettica) oppure da Max Scheler (Ordo Amoris, o sfera passiva e/o ricettiva rispetto al mondo, al suo manifestarsi). Heidegger, invece, ci parla della comprensione dell’essere che sta dietro a tutti gli “enti”. E cosa è l’Ente? L’Ente è tutto ciò che ci circonda, noi stessi e gli oggetti, il mondo intero conosciuto. E cosa è l’Essere secondo Heidegger? L’essere è l’apertura per mezzo della quale e dalla quale gli enti sorgono e possono apparire. Heidegger ha usato la metafora dei colori per spiegare cosa è l’essere: vediamo le stelle di notte solo perché non c’è luce e il fondo è scuro. E’ una metafora, come molte altre metafore costellano il pensiero del secondo Heidegger, ad esempio quella che permea lo scritto Holzwege “i sentieri nel bosco… ognuno di essi procede per suo conto, ma nel medesimo bosco. L’uno sembra l’altro…legnaioli e guardaboschi sanno cosa significa “trovarsi in un sentiero che, interrompendosi, svia”.

            Se la filosofia si è da sempre interessata alla poesia, perché la poesia non dovrebbe interessarsi di filosofia? Leopardi ha cercato una sinossi, tanto che ancora oggi si discute se egli sia più filosofo o più poeta. Vasi comunicanti, certo, anche se a onor del vero la Poesia nasce molto prima della filosofia. La stessa parola mythos significa sia parola sia verità e la parola poesia (poésis) deriva dal verbo greco poiéin che significa inventare, produrre, comporre, fare; Theorìa che indica lo specifico approccio del sapere greco alla realtà rispetto alle altre culture antiche.

            “È mia convinzione” – dice Giorgio Agamben – “che la filosofia non sia una disciplina, di cui sia possibile definire l’oggetto e i confini (come provò a fare Deleuze) o, come avviene nelle università, pretendere di tracciare la storia lineare e magari progressiva. La filosofia non è una sostanza, ma un’intensità che può di colpo animare qualunque ambito: l’arte, la religione, l’economia, la poesia, il desiderio, l’amore, persino la noia. Assomiglia più a qualcosa come il vento o le nuvole o una tempesta: come queste, si produce all’improvviso, scuote, trasforma e perfino distrugge il luogo in cui si è prodotta, ma altrettanto imprevedibilmente passa e scompare”.

            “Ho sempre pensato che filosofia e poesia non siano due sostanze separate, ma due intensità che tendono l’unico campo del linguaggio in due direzioni opposte: il puro senso e il puro suono. Non c’è poesia senza pensiero, così come non c’è pensiero senza un momento poetico. In questo senso, Hölderlin e Caproni sono filosofi, così come certe prose di Platone o di Benjamin sono pura poesia. Se si dividono drasticamente i due campi, io stesso non saprei da che parte mettermi”.

            (Da La Repubblica, Cultura, 15 maggio 2016)

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  9. Giuseppe Talìa

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Oggi mi sono preso una giornata di relax in una SPA: acqua, bollicine, saune. Ne avevo proprio bisogno. Da osservatore del “reale” come della “realtà” guardavo l’umanità “ontologica”, “nuova” ed “estetica”, affaticarsi tra macchine (infernali), pesi (micidiali) e tanta fatica e sudore. Così mi sono chiesto, ma se chiedessi di ontologia ai tanti abbonati del club, cosa riceverei come risposta? E se chiedessi di estetica? Così mi sono ricordato di un testo che ho scritto e che voglio dedicare a Borghi e Inchierchia:

    Gymnasium

    Morirò su questa cyclette
    lo sento dal battito del cuore
    e da questa gronda di sudore
    che mi cola dalla fronte
    come il sangue del Cristo.
    “Slam into the fitness! Don’t stop!”
    Il grafico a via crucis intermittente
    -multi-machine-systems-
    l’Acheronte del wellness
    in un incedere mefisto
    non cede il passo
    e supera l’orlo del collasso.

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  10. Francesca Dono

    spesso il termine nuovo/a incute paura. Del resto piccolo aggettivo va a significare un cambiamento. Cio’ che è nuovo è anche sconosciuto quindi imprevedibile, ma paradigma di una certa creatività. Io credo che, a prescindere da tutto, possa appartenere solo a tuttti quei poeti che hanno ancora voglia di esplorare. Ben venga la senilità se quest’ultima ha valore di giovinezza luminosa per la poesia.

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  11. Francesca Dono

    SULLA RETROGUARDIA DELL’AVANGUARDIA RIDIVENTATA POST-GUARDIA. LA POESIA?

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    l’oscillatore
    con le ombre sul muro girevole.
    Lo stesso ErgoSum ci passa
    con l’alito del sidro patogeno. Dal mio sistro
    lunare. Nell’incrocio scorza-buco-licantropo.
    Nullamsolubitum.
    ___ L’ascia genetica.
    Prendi l’usignolo senza rossiccio.
    Alza quei pochi steliflorus verso gli amanti castigati .
    Sotto il nostro fossile subanemico.
    L’ultima spremitura delle vespe.
    Alture d’autunno.
    Fuhrergendarmen nel frantoio-ossidana.
    Geyser.
    Da qualche parte il nostro braccio metallurgico.
    Di nuovo un altro fotonEleusino.
    La zavorra di vetro.
    >…>
    Per gli Alberi-Mango.
    Seimicentodiciassette bombole d’ossigeno.
    Abiti-vetiver per farsi glutine
    nel silenzio.
    Mama Barack.
    L’oboe dentro un tamburo.
    Il taglio.
    Lo shampo e il rimasuglio della lozione
    sulla mensola- specchio.
    Millesimicentenari.
    La mia bottiglia d’acqua affollata
    di biglie.
    Calze vuote.
    Ti guardavo per ricadere.

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  12. Claudio Borghi

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Per quanto mi riguarda, caro Talìa, non ho mai avuto a priori l’intenzione di “dimostrare l’infondatezza e l’inconsistenza” di alcunché, né sono prevenuto nei confronti di alcuna forma espressiva (frammento o meno), né men che meno temo di confrontarmi col nuovo. Sto cercando, con fatica enorme, visto che lo scambio dialettico è pressoché impossibile, di proporre idee e osservazioni critiche nell’ottica di una evoluzione costruttiva del dibattito. La mia serena disponibilità non è mai venuta meno, anche quando ho ricevuto risposte assolutamente non pertinenti e non in tema con quello che avevo scritto. Se sono ancora qui un po’ è perché sono masochista, un po’ perché confido nella possibilità di una accoglienza non solo formale del pensiero altrui, ma anche e soprattutto sostanziale. Se vengono poste circostanziate obiezioni critiche a quelle si deve rispondere, non girarci genericamente intorno sostenendo che comunque le antinomie sono insanabili. Altro il discorso sul valore estetico dei testi: da quando ho iniziato ad offrire miei contributi, mi sono confrontato con tanti autori cosiddetti frammentisti. Il problema non è il frammento o l’endecasillabo, la dissonanza o l’armonia, ma se un testo contiene o meno poesia. La poesia è la sostanza: c’è o non c’è, come dice Alfredo de Palchi, il resto è forma, alveo più o meno occasionale in cui un’idea, che può essere potente o debole, significativa o insignificante, trova modo di esprimersi. Tra parentesi, sono d’accordo in linea di principio con la quasi totalità dei punti del decalogo che ha scritto Gino Rago, a cui riconosco grande competenza e correttezza, oltre che una raffinata cultura e una notevole capacità di scrittura. Se la sostanza poetica c’è va oltre qualsiasi decalogo, per quanto interessanti e condivisibili siano i punti in cui si struttura. Si può scrivere grande o scadente poesia in qualsiasi forma, senza dover rispettare alcun dettame di poetica condivisa.

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    • DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


      Caro Talìa,
      ho letto con attenzione il suo intervento, che come un microscopio analizza il DNA della NOE, del frammento, del plurisenso dell’Ombra, dell’apertura verso spazi profondi e occulti del subconscio, dove emergono i depositi sulfurei di una poetica che è lo specchio di rifrazione di più elementi germinativi.Con queste segnaletiche il percorso verso un Nuovo Progetto non è difficile a comprendere. Si è aperta una tangenziale a cui io, Linguaglossa, Tosi, Steven Grieco, Sagredo ed altri, stanno percorrendo e verso la quale il punto di arrivo è un campo illuminato dalle Ombre, che sono i veri codici di accesso verso il testo poetico. Avere questo passepartout non è da molti.Forse per questo motivo la NOE può sembrare una proposta atipica da chi si è espresso fino ad oggi dentro quadranti verbali e poetici corazzati da staticismo novecentesco. In breve, si tratta di rifare, o meglio di ritoccare quadri di un museo poetico, esterno e interno, e lo si fa con i dovuti pennelli, che non sono mai attrezzi in mano ad apprendisti,ma ad operatori che sanno come rimuovere le contaminazioni del passato. Gli altri, possono fare le loro poesie con il cliché con il quale meglio si ritrovano, ma non presentarsi come “guardie del corpo” di una poesia che ormai appartiene ad un periodo storico immobilizzato come exemplum estetico. Di tutto ciò che hai saputo puntualizzare, Caro Talìa, non posso che ringraziarla per l’ottima tesi qui esposta,come guida ai lettori che chiedono maggiori chiarimenti.

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    • gino rago

      Caro Claudio Borghi,
      in quest’ultimo commento (15 aprile, ore 8:22)
      è impossibile darti torto per il semplice motivo che hai ragione, specialmente nella “chiusa” del tuo intervento (“Si può scrivere grande
      o scadente poesia in qualsiasi forma…”).
      Il punto però è “chi decide che questa è poesia grande o scadente?”
      Anche da qui l’idea, cara a Giorgio Linguaglossa – che ringrazio per l’apprezzamento rivolto al “decalogo” da me abbozzato – e anche a me, e da tempo, che la filosofia torni scientificamente a occuparsi di ESTETICA.

      Gino Rago

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      • Mariella Colonna

        https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/04/14/dibattito-a-piu-voci-non-la-poesia-e-in-crisi-ma-la-crisi-e-in-poesia-alcune-questioni-di-ontologia-estetica-la-questione-montale-pasolini-alla-ricerca-di-una-lingua-poetica-tomas-transtromer/comment-page-1/#comment-19367Caro Gino, sono perfettamente d’accordo con te. la filosofia deve tornare ad occuparsi di estetica. Però credo che, oggi come oggi, dovremmo approfondire e mettere immediatamente in pratica, (cioè sperimentalmente), quello che stiamo (meglio state) dibattendo teoricamente: è ora che i poeti facciano i poeti e che, se vogliono fare i critici, bene, prendano sempre la poesia parola per parola, verso per verso, come oggetto della “sperimentazione”. Secondo me citare tutta una poesia e poi commentarla fa correre il rischio che, commentando, si perda di vista la poesia: e questo non è bene! Poi, se i poeti vogliono approfondire tutte le possibili discipline, dalla filosofia alla psicanalisi alle scienze (fisica, matematica, informatica etc.) lo facciano, è cultura, ma lasciando sempre il primo posto alla poesia come organismo vitale che ha bisogno del poeta per prendere vita e durare nel tempo! L’esame del linguaggio, dello stile, delle parole nei loro etimi e nella varie lingue, il delicato lavoro di limaggio e oreficeria intorno alle parole, senza orpelli o graficismi inutili, è FONDAMENTALE. Gino Rago, tu hai trovato un grande equilibrio nella tua raffinata formazione culturale: equilibrio che ti rende chiaro e comprensibile nelle tue prese di posizione. Complimenti! Adesso aspettiamo tante Nuove poesie ontologiche e per frammenti o come vuoi tu! Alla prossima, con entusiasmo!

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      • Salvatore Martino

        https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/04/14/dibattito-a-piu-voci-non-la-poesia-e-in-crisi-ma-la-crisi-e-in-poesia-alcune-questioni-di-ontologia-estetica-la-questione-montale-pasolini-alla-ricerca-di-una-lingua-poetica-tomas-transtromer/comment-page-1/#comment-19370 Leggo soltanto adesso carissimo GIno questo lungo dibattito teoretico e teorico, troppo complicato per i miei modesti guizzi intellettivi. Concordo con te e con Borghi ,vi ammiro entrambi soprattutto per la vostra chiarezza e onestà intellettuale. Certo quando leggo la necessità di cancellare l’io emozionale, l’ispirazione, e tutto quello che non ricade nella sfera intellettualistica e razionale mi vengono i brividi. Sarebbe come cancellare la vita stessa alla poesia. Da mesi leggo, devo dire con una certa noia, se non fastidio, lunghissime, dottissime, elucubrazioni filosofiche e di fisica quantisttica e tradizionale, che a mio avviso, certo quello di un vecchio rincoglionito, appaiono un tantino fuorvianti, quasi a rendere confuso il discorso sulla poesia che è davvero più semplice. Sia tu che Borghi lo avete in maniera eccellente esplicitato. Io mi domando: ma che cos’è la poesia, se non trasmette emozione, e me lo diceva il grande James Hilmann, se non c’è il dialogo tra l’io e se stesso, il dialogo con L’Altro o con L0mbra, il dialogo col mondo umano e sovraumano, l’immagine folgorante, la cadenza. il ritmo la musica (so di averlo ripetuto troppe volte),…e le proprie esperienze che scendono nell’archetipo divenendo esperienze per gli altri…un esempio per tutti il tanto amato da NOE T.S. Eliot quattro quartetti Little Gidding. Quel grande mistero, veramente questo sì ontologico, che è la poesia non può, e non deve essere inglobato, catturato, circoscritto, da stilemi e convinzioni teorico- razionali, sfugge da ogni parte, cerca la sua strada, emerge là dove non pensi ci sia,per regalare al poeta ricercatore di una impossibile verità, nella sua sospetta religione, pochi versi memorabili, che poi la sabbia cancellerà con il vento o preserverà come un reperto egizio. Nel tempo passato ho letto versi di Gabriele straordinari, che mi ricordavano appunto la frequentazione del reverendo Eliot .Adesso queste ultime prove mi appaiono sempre più epigoniche del maestro anglo-americano, con un citazionismo abusato e una numerazione di nomi che appaiono ignoti, e poco aggiungono al discorso poetico, che affiora qua e là in pochi versi all’altezza dei precedenti. Forse tutto questo dipende dalla mia incapacità di accostarmi al nuovo, visto che nella mia stolida vecchiaia sono quasi incapace di intendere. Comunque è ancora da dimostrare che l’uso del frammento sia il solo modo di affrontare un discorso sul mondo che stiamo vivendo, sulla sua cultura e disastro, follia e disperazione, l’unico modo vincente per proiettarsi verso un futuro inconoscibile e irredimibile come il passato e il presente. Già dal tempo in cui frequentavo i “Novissimi”, e persino nei colloqui che talvolta avevo con Pasolini in casa di Corrado Cagli al 10 di Fonte di Fauno, ho sempre diffidato di questi tentativi di demolizione di quanto ci aveva preceduto, e nel caso del Gruppo ’63 anche di certa carboneria esclusiva che pretendeva di possedere il verbo. E mi sembra che po’ stia accadendo anche ai proseliti del NOE, Guardate che Giovanni forse si è fermato a Pathmos. Per quanto riguarda il nuovo corso intrapreso da Linguaglossa sono andato a rileggermi alcuni testi di “Belligeranza” :”Il Panegirico di Erostato”, per esempio,” Leggenda della città trasparente””,Il volo di Icaro”, “Nostra Signora dei morti”, quale profondità di pensiero, in un dettato squisitamente, epicamente gnomico,personaggi storici che ci parlano della nostra attualità, uno stile sobrio, senza concessioni, sorvegliatissimo, poesia che ingenerava nel lettore una partecipazione emotiva, come se i protagonisti di quel mondo vicino alla grande Roma fossero ancora vivo e palpitante, in una atemporalità, che sapeva quasi di magia.Mi spiace non ritrovare nei versi che seguono la conversione al NOE la stessa potenza, e anche una sorveglianza stilistica un tantino scaduta. Come nella poesia qui postata dove nella prima strofa si declina uno stilema leggermente stucchevole : Soggetto, predicato, complemento nella identica sequenza.
        Non credo che serva uno svecchiamento alla poesia italiano servono soltanto dei poeti, che magari conoscano Heiddeger, Adorno, Lacan, Vattimo, Ferraris, Bohr, Plank, Leibnitz e la destra e la sinistra hegeliana, Tommaso d’Aquino e i presocratici, Bruno e Galilei, Newton e eEinstein ma che li ricordino come in un risveglio, quasi prima dell’alba.

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        • Caro Martino,
          con molta probabilità l’analisi critica fatta da Letizia Leone e di altri illustri critici sul mio testo, ti ha fatto muovere il cervello, per dire che la mia poesia è epigonica, con nomi poco decifrabili ecc. Il tuo è il classico modo di esporre invidia e acredine. Forse da bambino non ti sono state trasmesse le emozioni, quelle che tu vai cercando come le blubell di notte. Caro Martin, preferisco chiamarti così, se vuoi il mio posto te lo devi guadagnare, altrimenti stai alla finestra a guardare il sole che nasce e che tramonta. Se hai tempo, ti invito a entrare nell’Isola dei poeti dove c’è una canzone di Marilyn Monroe: Bye Bye Baby che ti invito ad ascoltare, la cui traduzione te la riporto qui di seguito e scusami se sono stato tanto educato da non mandarti all’inferno:

          Ciao Ciao Tesoro
          Sarò nella mia stanza da sola
          ogni pomeriggio
          e leggerò il mio diario
          e quel libro del Signor Gideon

          Ciao ciao tesoro
          ricordati che tu sei il mio tesoro
          quando ti guarderanno, anche se solo
          per dimostrarti che mi interessa di te,
          io scriverò e dichiarerò
          che sono libera
          ma che continuo ad essere inquadrata

          sono stata sola
          ma sebbene io sia sola
          non ci sarà mai nessun altro ragazzo
          anche se me ne andrò per un po’
          so che sorriderò sempre
          con il mio tesoro
          con il mio tesoro

          sarò malinconica
          ma mandami quell’arcobaleno e
          le mie ombre voleranno via
          anche se te ne andrai per un pò
          so che sorriderò sempre
          con il mio tesoro

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        • Mariella Colonna

          Salvatore Martino, trovo molto convincenti le tue argomentazioni, e aperta, libera la tua cultura, però non mi convince il giudizio positivo prima negativo poi che dai di Mario Gabriele e Giorgio Linguaglossa: forse non ti senti in sintonia con il Nuovo corso della Poesia ontologica o dei Frammenti, in alcuni casi puoi anche aver ragione, ma ci sono momenti altissimi anche nelle poesie più recenti dei due poeti citati: e poi tieni conto che siamo all’inizio di una nuova fase, siamo, nonostante l’età, come bambini che imparano una lingua nuova…o addirittura che imparano a parlare: è possibile che proprio le tue osservazioni riescano a migliorare lo stile dei NeoNOEANI, nessuno qui pensa di essere perfetto e, se lo pensa, prima o poi dovrà ricredersi. Ognuno di noi deve cercare di migliorare se stesso prendendo esempio dal “buono” che c’è nell’ “altro”. Quello che deve essere moderato è l’istinto a ferire l’altro con frecciatine magari solo un po’…velenose. E non parlo di te in particolare, ma di un atteggiamento che ho notato in alcuni da un po’ di tempo a questa parte. Questo ci danneggia tutti. Spero che presto lei ci allieti con una delle sue poesie. Naturalmente alla sua maniera, ma inserendo qualche smagliante frammento (cosa che, ne sono sicuro, lei già ha fatto o sta facendo) o voli pindarici temporali che movimentino il clima culturale… sorprendendoci.

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  13. antonio sagredo

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    “NOI NON SIAMO SACERDOTI DELLA POESIA…” così Linguaglossa, a cui rispondo con tre componimenti che tratta… il “sacerdozio” e il mio atteggiamento personale verso la Poesia, che devo dir la verità non è stato mai conflittuale: ci siamo resi docili reciprocamente… e ho scoperto che è stata la “parola” a darmi dei seri fastidi: difficile a farsi domare, mentre la Poesia era dalla mia parte, e allora buona lettura:

    Girellava per la marina la futura reliquia di un tempo spoglio a più dimensioni
    e quell’afa della misericordia che s’ombrava, in stiffèlius, di un trascorso divenire.
    L’inganno e il miraggio di marosi mentecatti assoldavano una lanterna irriverente
    perché il molo, flaccido, come un eremita si ritirasse nel suo asettico cantuccio.

    Non avevi che uno spinoso urlare contro le muraglie senza il conforto di labbra tumefatte!
    Non avevi che una vana istanza: un viatico per condannare la tua nascita annunciata!
    Una tragedia dallo sguardo equino scivolò via da un oracolo meridionale… lo zoccolo
    svanì nel sangue della consolare, il selciato nei brandelli di specchi e di narcisi.

    Un fauno scrollava coi monconi il seno rugginoso di una petrosa Colombina,
    un metallico valzer spacciava gli applausi di migliaia di Lazzari appestati –
    ferrigni e accigliati i loro vortici mortali brindavano compassati su sparati
    di gesso, costruivano indiavolate saldature dai volti di maschere fuse.

    Bandiere di funesti pensieri schioccavano lingue di cartapesta su tramonti avviliti,
    i gorghi tentacolari delle raffiche squassavano alberi maestri da fondali di legno.
    Tracimavano da cantine e labirinti sonate di Čurljonis, mosti fermentati, incenso e vischio
    perché sugli altari solo io – non sacerdote, non profeta – celebrassi il pane raffermo della vita.

    Vermicino, 29/05 – 2/06 2008
    —————————————————————
    quel tema del “sacerdote” specie in questo >>>>>>>>>>>>>>>

    >>>>> Tentativo di definizione

    Portami sulle mani la dissonanza delle ceneri
    e dei viventi il lutto dei canti che non è per noi,
    ma tu coi tuoi stessi sogni ti raggiri il giorno
    per mutare del senso i numeri e non i tuoi notturni versi.

    Ho contro di me gli occhi che cantavano i miei poemi!
    Il sesso e la visione contro la parola, come su un murato specchio!
    Poesia, sii più spietata dei carnefici e avrai il tuo Potere!
    La lingua del poeta non è persuasiva, non dà consigli umani!

    Tu, verso, inventa che io penso agli strumenti dell’armonia,
    al verme che è digiuno di immortalità e di grida serpentine
    e non gradisce del mio canto il suono che non sa la nota!
    Poesia, ti tradirò altrove dove la ragione dal gallo è esiliata

    per la sua banderuola che impazza ai cardini per divorare Leuco!
    Poesia, non ti amare troppo, non sono un martire vanesio!
    Al tuo capezzale, Poesia, ti volterò le spalle e me ne andrò, e
    di nuovo canterò fuori, un’arietta canterò e un… ritornello.

    Tu conosci tutti i canti e i trionfi, più eterno che immortale
    è il tuo cammino, e sarai mortale finché gli dei vivranno.
    Ed è per te, non per una donna, che la rovina mi tallona!
    Non mi fare ombra, togliti di mezzo, fingi di esser finta, almeno!

    Poesia, tu vuoi esser letta, essere sulla bocca di tutti,
    come i nomi di tutte le puttane ad ogni trivio mestruato!
    Togliti la maschera, fammi vedere il vuoto che ti fa viva!
    Al poeta devi la tua fama, è per la tua storia che t’accendo di visioni!

    E le chiacchiere che racconti sono per i Cesari, non per i miei trionfi!
    Con altra voce ormai… ritornerò poeta! E mi toglierò il cappello,
    alzerò i tacchi, e via dall’inferno! E nell’inferno almeno, fingi almeno
    di avere il volto di un poeta! Dimmi almeno di essere umile e superba!

    Poesia, tu hai coraggio, perché ti sostengo e spingo.
    Mistico apostolo, io? Se mai, inutile! Io consacrato a Te?
    Mai! Non sono un sacerdote, né un grafomane… Ti detesto:
    più sei assente, più mi fai compagnia: sei amica, amante, diavoleria!

    Roma, 13 marzo 2011
    —————————————–

    Epifania macabra

    Mi è indifferente la Tua presenza, assenza e mancanza,
    quello stesso ascoltare del mio orecchio la Tua – o Mia voce?
    Non hai nulla che prova la Tua o Mia consistenza e sostanza
    se non quel nostro o Tuo timore e tremore che ci fa esistenti,
    e dunque insieme siamo una finzione finta nel nostro speculare.

    La rosa non è più la rosa se conserva il proprio nome,
    il suo autore in negativo cosparge di lodi il ciarlatano
    che il segno del suo giudizio ignora e la gialla filologia…
    ucciso ha il sacerdote che deborda e si assenta al suo capezzale:
    tutta la posta ora gli appartiene, ma la sua gola è ancora vuota!

    a. s.
    Roma, inizio 2012

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  14. Su alcune questioni intorno alla nuova ontologia estetica

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Gentili interlocutori tutti, compreso Inchierchia,

    chiedo a tutti voi di fare un piccolo sforzo, tentare di afferrare il concetto che qui si sta costruendo, tutti insieme, un Grande Progetto, quel Progetto che io negli anni Novanta con la rivista “Poiesis” tentavo di avviare di “uscita dal Novecento”… in quegli anni anche un altro poeta, Giuseppe Conte, scriveva con le mie stesse parole di Uscire dal Novecento e uscire “dall’arco costituzionale della poesia italiana“. Poi è avvenuto che anche lui era entrato a far parte, con pieno diritto, dell’arco costituzionale della poesia italiana, era diventato una istituzione, e di quel progetto “anti-novecentista” non se ne parlò più. Ormai quel progetto era diventato scomodo, obsoleto, politicamente non più conveniente, inopportuno, occorrevano altre parole d’ordine…

    E veniamo ai giorni nostri. Quel progetto di Riforma della Poesia italiana di Pasolini che il poeta friulano aveva confidato a Franco Di Carlo il 15 gennaio 1975,, purtroppo è rimasto nell’aria di quegli anni di piombo e la poesia italiana ha continuato a vivacchiare tra piccoli cobordismi e piccoli epigonismi e con scritture di facciata… Adesso c’è di nuovo in campo un Progetto di uscita dalle secche dei questi ultimi cinque decenni, e che lo attuino dei poeti avanti con l’età è senz’altro un fatto che deve far pensare. “L’avanguardia senile” come ironicamente e auto ironicamente l’ha battezzata Antonio Sagredo, è qui, è diventata realtà. Stiamo scrivendo tutti insieme una nuova pagina della poesia italiana. Siamo arrivati presto? Tardi? Non lo so, so solo che erano cinque decenni che la poesia italiana aspettava questo rivolgimento… È ovvio che i poeti di Palazzo e dei piccoli cortili condominiali tenteranno di opporsi con il silenzio e con manovre di cabotaggio e carotaggio, ma di queste miserie noi non ci occupiamo…

    Vorrei tornare ai miei spunti intorno alla questione del Nulla, del Vuoto e dell’Essere

    ai fini di una corretta impostazione metodologica della Nuova Ontologia Estetica – Il tratto caratteristico e per me fondante, il tratto di distinguibilità io lo rinvengo nella percezione del Nulla, del concetto filosofico e scientifico che il termine Nulla ha. La N.O.E. recepisce questa gigantesca problematica di oggi, comune anche alla filosofia recentissima.
    La questione del Nulla non è stata inventata da noi redattori dell’Ombra, ma è da più di un secolo che la filosofia e la scienza pensano questa “Cosa”.
    Si dice comunemente che «Il Nulla non è» e che «l’Essere è», ponendo il Nulla come originario e fondante l’essere; ebbene, questa impostazione ha il sapore di vecchia scolastica, oggi noi ipotizziamo l’indistinguibilità del Nulla e dell’Essere come dato di fatto filosoficamente inconcusso. Il Nulla significa e, in quanto positivamente significa è equiparabile alla significazione vuota del non-essere, il suo darsi è «vera e indeterminatissima negazione dell’essere»1] –

    È paradossale che la negatività assoluta, il Nulla, significhi anche qualcosa, proprio come l’Essere il quale significa anch’esso qualcosa. Ovvero, il positivo significare e il negativo significare sono su un piano di assoluta parità ontologica, nessuno dei due riveste un ruolo di priorità ontologica: «la positività del significato ‘albero’, non è assolutamente più originaria di quella predicabile dal nulla».2] Ovviamente, parlando di positività del nulla noi intendiamo la sua assoluta indeterminazione che non assume alcun ruolo prioritario nella individuazione di un qualunque essere dal punto di vista ontologico.

    Questo «è» consiste nella SUA assoluta mancanza di determinazione e dunque costitutivamente connaturato con il Nulla. Così, prima dell’Inizio, il nulla che è e l’essere che non è, si danno amichevolmente la mano.
    Con le parole di Severino: «Pensare “quando l’essere non è“, pensare cioè il tempo del suo non essere significa pensare il tempo in cui l’essere è il nulla, il tempo in cui si celebra la tresca notturna dell’essere e del nulla».3]
    Lo stesso Severino afferma che il principium firmissimum riesce a strutturarsi «solo in relazione con il negativo, e l’incontrovertibilità può esser posta solo in quanto originariamente implicante una relazione con il nulla». Il Nulla di cui il filosofo italiano parla «non è il non-essere determinato ma il nulla in quanto «nihil absolutum», l’assolutamente altro dall’essere».

    Ciò significa che anche l’Originario è auto contraddittorio, esso si dà quando non si dà, cioè quando non è Principio di alcunché: di qui la natura intimamente antinomica e paradossale dell’Originario. L’Originario non è un ente che si costituisce in ente ma è qualcosa connaturata al suo non-essere e, quindi alla sua stessa inconsistenza dal punto di vista dell’ente.
    Da quanto precede, è ovvio che leggere la mia poesia Preghiera per un’ombra, presuppone il porsi nella dimensione esistenziale di accoglimento del Nulla e del non-essere (e quindi del tempo) sullo stesso piano ontologico di parità indistinta. La Nuova Ontologia Estetica non poteva sorgere che in questo nuovo orizzonte di pensiero filosofico. Questo mi sembra incontrovertibile.

    Il problema in ambito estetico è percepire il nulla aleggiare nelle «cose» e intorno alle «cose», percepire il vibrare del nulla all’interno di una composizione poetica così piena di «cose» e di significati… per scoprire che tutte quelle «cose» e quei «significati» altro non erano che il riverbero del «nulla», il solido nulla del nostro nichilismo…
    La positività del nulla è la sua stessa nullità, la sua nullificazione. Credo che questo sia chiaro a chi legga la poesia con la mente sgombra, facendo vuoto sul prima della poesia, leggerla come si respira o si guarda uno scricciolo che trilla, come un semplice accadimento che accade sull’orlo di qualcosa che noi non sappiamo… Ascoltare la progressiva nullificazione del vuoto che avanza e tutto sommerge nella sua progressiva forza nientificante. È questo appunto di cui tratta la Nuova Ontologia Estetica, prima ancora di parlare di metro, di parola e di musica… e quant’altro…

    1]Massimo Donà, L’aporia del fondamento, Milano-Udine 2008 p. 183
    2] Ivi, p.199
    3] Emanuele Severino “Ritornare a Parmenide”, in Essenza del nichilismo, Milano 1982, p.22
    4] Emanuele Severino, La struttura originaria, Milano 1981, pp.181-182 e p. 209

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  15. Donatella Costantina Giancaspero

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    3. IL SILENZIO È UN MURO CON FESSURE

    con un fruscìo perenne
    il vuoto manifesta la sua esistenza
    sono le apparizioni folgoranti
    di tutti i possibili. Di essi
    il vuoto quantico è serbatoio infinito.
    In principio erano due serbatoi infiniti:
    quello dei possibili e il serbatoio di energia
    che costituisce la curvatura dello spazio-tempo.

    (SALVATORE SCIARRINO)

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  16. DELLA ONESTA E SCADENTE LETTERATURA COME I VERSI DI FILIPPO STRUMIA PUBBLICATI DA EINAUDI
    caro Clcaudio Borghi,

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    tu scrivi: «Il problema non è il frammento o l’endecasillabo, la dissonanza o l’armonia, ma se un testo contiene o meno poesia. La poesia è la sostanza: c’è o non c’è».

    Vedi, Claudio, ridotto in questi termini il discorso perde quota, viene riprodotta la formula del Croce: la poesia c’è o non c’è, e il critico deve andare con la lanterna di Diogene e con la lanterna magica a scoprire il quantum di poesia che un testo contiene (con le tue parole: «c’è»). Un discorso del vecchio Croce che mi illudevo fosse stato seppellito da un autore della tua cultura e sensibilità. Cosa dire del buon Croce? Non ho da dire nulla perché io ritengo che la critica e il giudizio estetico siano differenti da un atto di introspezione magica e numinosa. Il giudizio estetico si deve basare su altri concetti. la scuola formalista di Mosca e quella di Praga, lo strutturalismo, il decostruzionismo, la scuola l’ermeneutica gadameriana e post-gadameriana… l’ermeneutica che proviene da Vattimo e Agamben… insomma, tutto questo va a farsi benedire?…

    Non credo che questa sia la strada giusta, la riproposizione della formula del Croce.

    Ascoltiamo questo pezzo geniale di Salvatore Sciarrino. Ascoltiamo queste voci singhiozzate. Questi singhiozzi ci parlano molto da vicino, sono dei punteruoli nelle nostre carni… chi non riesce ad apprezzare questi singhiozzi sciarriniani non può neanche apprezzare una poesia della scuola della nuova ontologia estetica. Io percepisco la musica di Sciarrino molto ma molto vicina alla poesia che andiamo facendo noi, e bene ha fatto Costantina Donatella Giancaspero a darcene un assaggio. Quei silenzi, o meglio, quei vuoti tra una parola e un singhiozzo ci parlano in modo eloquente della nostra condizione spirituale ed esistenziale, sono i nostri singhiozzi, le nostre parole, quelle che dobbiamo cercare di tradurre in poesia. Chi non è capace di percepire la forza dirompente del «vuoto» che aleggia tra un singhiozzo e l’altro, non potrà che fare della letteratura, della onesta e scadente letteratura come i versetti di Filippo Strumia che oggi ho letto distrattamente mentre bevevo un tè, scritti in pessimo italiano, con una scadente sintassi e uno scadente senso dell’udito…

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  17. Donatella Costantina Giancaspero

    DAVVERO, DAI SINGHIOZZI VOCALI DELLA MUSICA DI SCIARRINO ALLA POESIA SCADENTE E BANALE DI FILIPPO STRUMIA

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Grazie, Giorgio Linguaglossa! Ricopio qui un articolo su Sciarrino firmato da Sandro Cappelletto e pubblicato su La Stampa il 26/08/2016.

    SALVATORE SCIARRINO: INDAGO IL CONFINE TRA SUONO E SILENZIO
    Il compositore lavora alla nuova opera Ti vedo, ti sento, mi perdo: “La musica è seduttiva come nessun’altra arte”

    «Salvatore Sciarrino si vanta di essere nato libero e non in una scuola di musica». Così le prime righe del sito del compositore palermitano che a ottobre riceverà alla Biennale Musica di Venezia il Leone d’oro alla carriera. Lo scorso giugno al Teatro Comunale di Bologna è andata in scena una delle sue opere più riuscite, Luci mie traditrici , ora la Scala e la Staatsoper di Berlino gli hanno commissionato una nuova produzione: Ti vedo, ti sento, mi perdo . Sua la musica, suo anche il libretto. Il debutto sarà nel 2017, per la regia di Jürgen Flimm, drammaturgo e uomo di teatro mai banale, mai gratuito.

    Il sottotitolo recita: «In attesa di Stradella». Ma non è un omaggio al compositore barocco dalla vita melodrammatica, pugnalato da due sicari a Genova dopo troppe storie d’amore, d’amanti, di fughe e coltello. «No», dice secco Sciarrino. «Ho già consegnato il testo, ma lo asciugherò ancora, per renderlo più essenziale. Il tema dell’opera è il potere di seduzione della musica. La musica è seduttiva come nessun’altra arte. Lo era al tempo di Stradella, lo è ancora. Molti, ascoltando musica, non sanno trattenersi dal chiudere gli occhi: la dimensione visiva reale viene a disturbare la dimensione visiva suscitata dalla musica. Le sue immagini interiori, compiute e invisibili».

    «IMITAVO BURRI»
    Il maestro risiede da diversi anni nella quiete di Città di Castello. Lentamente, ora che è a un passo dai settanta, sta cedendo alla modernità: per comunicare non usa più il fax della cartoleria sotto casa, ha un cellulare con tanto di WhatsApp. L’immagine scelta per il profilo è quella di Gaspare, il Re Mago: anziano, con barba e capelli bianchi, lunghi, arricciati: «Particolare di un’adorazione vista a Berlino, così ben caratterizzato che sembra un ritratto».

    L’arte visiva rimane una sua grande passione; quand’era ragazzo dipingeva: «La frequentazione con il contemporaneo è cominciata lì, prima ancora che con la musica: imitavo la pittura di Alberto Burri. Le passioni dell’infanzia poi si mitizzano, ma non potevo immaginare che gli sarei diventato amico, qui a Città di Castello dove lui era nato. Burri aveva una coscienza difensiva della propria arte. Per anni ha fatto la fame, poi quando ha potuto ha ricomprato i suoi stessi quadri, quelli che lo convincevano di meno, dagli amici a cui li aveva regalati».

    Sciarrino ha passato il mese di luglio a Siena, insegnando composizione all’Accademia Chigiana: «Per 21 giorni. Di meno non è serio e a me non interessa. Il rapporto con i miei allievi continua negli anni». Goffredo Petrassi diceva: «Dai miei allievi ho imparato tantissimo». Lui concorda: «Insegnando ricevo stimoli enormi, mi trasformo. Si può insegnare solo se si è generosi». Lui insegna a cercare sé stessi e quella libertà che ha sempre rivendicato, a partire dalla Berceuse per orchestra del 1969, che stupì fino allo scandalo. Ma come, questo ragazzino si richiama a Chopin e al romanticismo, mentre in tutta Europa (solo in Europa, però) i compositori seri studiano la tecnica dodecafonica? Ed erano pronte le scomuniche, per chi sgarrava.

    Sul tavolo dello studio, la nuova, recente traduzione italiana del Doctor Faustus. «Comporre è difficile», scriveva Thomas Mann, alla metà del secolo scorso. «È sempre stato difficile e lo sarà sempre», riflette Sciarrino. «Se la musica è un gioco, a me non interessa. Il compositore appartiene alla categoria degli esploratori: superare sé stessi, correre dei rischi, inventare, proiettarsi in altre dimensioni».

    IL GRADO ZERO DELL’ASCOLTO
    Lui ha trovato la sua dimensione indagando il confine tra suono e silenzio, tra azione e staticità. La musica di Sciarrino sta sulla soglia, possiede una propria ecologia, invita noi contemporanei, sommersi da tempeste di suoni e rumori subiti spesso involontariamente, a recuperare un grado zero dell’ascolto, da dove ripartire. Molti suoi lavori strumentali sfidano i suoni della natura: come se la stessimo ascoltando immobili nel silenzio di una notte, con le orecchie tese, con l’anima pronta a stupirsi: «Ho sempre voluto occuparmi della fisicità, della corporeità del suono».

    «Poco succede, quasi niente nella sua musica», è scritto nella laudatio con cui nel 2006 è stato insignito del prestigioso Salzburger Musikpreis. Ma dal nulla si può schiudere l’infinito. Anche l’infinito delle nostre ossessioni, come accade in Infinito nero, ispirato da tre lettere di Torquato Tasso e attraversato da bisbigli, sussurri, fantasmi, visioni. Tasso impazzito, Borromini che si uccide a fil di spada, Gesualdo da Venosa, il principe assassino della moglie e dell’amante di lei: spesso Sciarrino prende ispirazione da personaggi «neri» del periodo barocco, che ama oltremisura – talvolta, in particolare nella vocalità, rischiando un certo barocco manierismo. Ma questo è il problema dei problemi della musica contemporanea: dopo il recitar cantando del ’600, dopo il belcanto, dopo il verismo, dopo l’espressionismo, dopo la sillabazione che frantuma la parola di tanti contemporanei, come scrivere per la voce comunicando con il pubblico ma senza apparire neo, post, ex? Come obbedendo alla strategica indicazione di Giuseppe Verdi – «Torniamo all’antico, sarà un progresso» – spesso Sciarrino si rivolge al passato, lo cita, lo trasforma. Lo ha fatto con Mozart, con Domenico Scarlatti, con Gesualdo, con le antiche canzoni da battello veneziane.

    LA LEZIONE DI VERDI
    «Tutto quello che è diverso da me mi interessa. La tradizione è identità, è bagaglio. Non si impara dal niente. Mi misuro sempre con i classici, che non perdono mai la contemporaneità. Il moderno di per sé non mi interessa, dopo due mesi è già vecchio». Da Verdi ha imparato qualcosa? «Amo molto il suo aspetto irrazionale ed emozionale, così prorompente. Il grande insegnamento è la sua drammaturgia, in certi casi senz’altro pre-cinematografica: totale e dettagli, esterno e interno, ricchezza di immagini. Non si può dire di molti altri autori».

    Da Verdi però Sciarrino, come la maggior parte degli artisti italiani contemporanei, non ha preso l’aspetto che una volta si diceva dell’impegno, della partecipazione civile: «È così. Bisogna esserne coscienti e anche prendersi una parte di colpa. La nostra civiltà europea ha perso parte della sua forza, è indubbio». E che cosa le rimane? «E se la sua vera nuova forza fosse la creatività, una rinnovata passione estetica da proporre al mondo contemporaneo? Oltre il culto ossessivo della tecnologia. Internet non porta alla comunicazione, ma all’isolamento: finiamo tutti col fare sempre le stesse cose. È una perdita del piacere vero della vita, in questo senso confermando una tendenza antica della nostra società, che rimuove il piacere non superficiale, lo censura».

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    • Mariella Colonna

      Cara Costantina, la tua citazione su Sciarrino: ” Indago il confine tra suono e Silenzio” ci ha generosamente fornito una pausa di serena contemplazione sul tema della musica e del silenzio, di cui avevamo bisogno per le troppe parole ascoltate e dette. Grazie per questo dono inaspettato e singolare che mi ha rasserenato. Il tema del silenzio dovrebbe interessare e coinvolgere noi poeti…perché è dal silenzio che nascono le parole più alte della poesia, dalle pause che emergono i suoni ed entrano magicamente nell’anima e corpo dell’ascoltatore. E poi la poesia è musica di significati. Vorrei ascoltarti però anche come poetessa perchè le tue parole poetiche spesso hanno la lievità della musica che fa bene all’anima, soprattutto in questi tempi di clamore mediatico.

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  18. Claudio Borghi

    Caro Giorgio,

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    devo chiarire, in quanto credo tu abbia travisato il mio pensiero. Croce pretendeva discriminare tra poesia e non poesia, al punto da escludere dal novero dei poeti autori che anno segnato la storia della letteratura degli ultimi 150 anni, come Rimbaud, in quanto non rientravano nel suo canone estetico. Io credo che la poesia debba nascere quando la materia interiore, logico-immaginativa, preme, è densa, necessaria, luminosa al punto da potersi risolvere in stili o metri o forme diverse. Laddove Croce riduce la poesia a formalismo e canone, la mia idea procede in direzione esattamente contraria: “La poesia è la sostanza: c’è o non c’è, come dice Alfredo de Palchi, il resto è forma, alveo più o meno occasionale in cui un’idea, che può essere potente o debole, significativa o insignificante, trova modo di esprimersi.”

    Io concepisco la poesia come sintesi tra energia visionaria e forza del pensiero: il pensiero fine a se stesso rischia di ridursi a sterile didascalia filosofica, mentre l’immaginazione sfrenata rischia di deragliare in anarchia verbale o visiva. Ricordi il ragionato dérèglement (deragliamento? sregolamento?) dei sensi di cui parla Rimbaud? Ebbene, in quella sintesi della veggenza c’era tutta la sua poesia futura e il rischio altissimo e la paura di non saperla esprimere: pensiero, quindi capacità di penetrazione, di lacerazione del velo del mistero, e immaginazione come luce che si innesca improvvisa e imprevedibile e ci consente, in rapidi fugaci lampi di invenzione, di lacerare e irraggiare l’ombra. Pensiero che si fa immagine mentre si scrive, questo sento essere la poesia, un andare oltre la linea del presente, la coscienza, la forma logica dell’intelligenza.

    Il mio pensiero è stato condiviso da Gino Rago, che ha commentato: “Caro Claudio Borghi, in quest’ultimo commento (15 aprile, ore 8:22) è impossibile darti torto per il semplice motivo che hai ragione, specialmente nella “chiusa” del tuo intervento (“Si può scrivere grande o scadente poesia in qualsiasi forma…”)”. Il suo successivo interrogativo: “chi decide che questa è poesia grande o scadente?” apre questioni potenzialmente problematiche circa l’acquisizione e la valorizzazione critica di un’opera. Io sono convinto che la forza espressiva di una poesia come di un quadro o di un brano musicale, trascenda la forma in cui si è risolta, che risente di tante variabili, in particolare il periodo storico in cui è stata concepita, l’etnia culturale entro la quale l’autore si è trovato immerso e, soprattutto, la sua sensibilità, che può portarlo a fare scelte stilistiche controcorrente rispetto al gusto dominante, anche in senso tradizionalista. E’ proprio qui che il critico deve saper cogliere la forza interiore del testo e non lasciarsi condizionare dalla forma esteriore in cui è stato confezionato.

    Scrivevo in Dentro la sfera:

    Nella sostanza quasi beata di un cerchio di coscienza
    rimane impressa una visione definitiva. Piena conoscenza
    che passa per gli occhi e si adagia sul fondo, l’arte –
    pensiero colato nello stampo della forma imprevista –
    si chiude in un battito di ciglia.

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  19. Claudio Borghi

    errata corrige
    che anno segnato: che hanno segnato

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  20. POESIA COME TENSIOSTRUTTURA AEREA CHE SI REGGE IN EQUILIBRIO DINAMICO GRAZIE AD UN DISEQUILIBRIO STATICO

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    A proposito della poesia poco sopra effigiata di Francesca Dono, riporto una osservazione di George Steiner:

    «ritengo supremamente difficile parlare sensatamente di un dipinto di Jackson Pollock o di una composizione di Stockhausen […] Il mondo delle parole si è contratto. Non si può parlare dei numeri transfiniti se non in termini matematici; non si dovrebbe, propone Wittgenstein, parlare di etica o di estetica nell’ambito delle categorie attualmente disponibili del discorso […] Vasti settori del significato e della prassi appartengono oggi a linguaggi non verbali quali la matematica, la logica simbolica e le formule della chimica o della relazione elettronica. Altri settori appartengono ai sottolinguaggi o antilinguaggi dell’arte non oggettiva e della musique concrète. Il mondo delle parole si è contratto. Non si può parlare dei numeri transfiniti se non in termini matematici…».1]

    Ecco, ritengo che non possiamo avvicinarci alla poesia di Francesca Dono se non abbiamo in mente che lei scrive poesia come Pollock faceva pittura, cioè mediante una sorta di action paintings, di parole in azione o azioni di parole… quello che noi pensiamo sia il linguaggio verbale deve essere messo da parte, il suo linguaggio non segue la struttura lineare causale della sintassi ma segue una struttura dettata dal pensiero dell’inconscio, se così mi è lecito dire, e nel linguaggio dell’inconscio avvengono cose del tutto incomprensibili al linguaggio strutturato in sintassi logico-causale. Dobbiamo quindi liberarci dal concetto di voler comprendere questa tensio-struttura di parole ricorrendo al linguaggio logico-causale della sintassi delle lingue moderne, dobbiamo piuttosto cercare di entrare nei gangli di questo linguaggio con l’equipaggiamento del sommozzatore se non del palombaro, lasciandoci trasportare docilmente dalle sue tensiostrutture come noi ci abbandoniamo alle onde del mare quando facciamo il bagno negli stabilimenti balneari a nostra disposizione;. quella di Francesca Dono è una tensiostruttura di parole immagazzinate in una stanza abbandonata della nostra psiche, una tensiostruttura del tutto inutile e inidonea ai fini dell’orientamento nella vita quotidiana e inidonea a qualsiasi rappresentazione pur anche multi prospettica… è semplicemente una ruota gigantesca da luna park che gira e gira… in un movimento frastico privo di senso, privo di scopo…privo di alcuna utilità…

    George Steiner Linguaggio e silenzio 1958 trad. it. 1972, Rizzoli, p. 40

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  21. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/04/14/dibattito-a-piu-voci-non-la-poesia-e-in-crisi-ma-la-crisi-e-in-poesia-alcune-questioni-di-ontologia-estetica-la-questione-montale-pasolini-alla-ricerca-di-una-lingua-poetica-tomas-transtromer/comment-page-1/#comment-19369 Cara Mariella Colonna,

    Tynianov si opponeva a una concezione evolutiva della letteratura, che secondo lui procede per salti e per spostamenti piuttosto che secondo uno sviluppo uniforme. In ogni genere, osservato a un dato momento, si distinguono tratti fondamentali e tratti secondari. E sono proprio i tratti secondari, i risultati e le deviazioni «casuali», anche gli errori che producono nella storia dei generi mutamenti più cospicui da annullarne in certa misura la continuità. Si può parlare di continuità per la nozione di «estensione», che oppone le «grandi forme» (romanzo, poema, racconto lungo) alle piccole (racconto breve, poesia), e di continuità per i «fattori costruttivi» (per esempio, il ritmo nella poesia e la coerenza semantica – trama – nella prosa) o per i materiali; ciò che cambia è ben più importante per la individualità del genere: è il principio costruttivo che fa utilizzare in modi sempre nuovi i fattori costitutivi e i materiali.

    Gli spostamenti e le mutazioni all’interno di uno stesso genere, mettiamo la poesia, sono molto importanti per comprendere come a volte delle piccole novità conseguite in periferia o presso delle riviste sconosciute (“Officina” di Pasolini, Leonetti e Roversi) possano avere ripercussioni, per vie sotterranee, sulle linee maggioritarie della poesia del secondo Novecento, espressioni delle due più grandi città italiane: Roma e Milano. Ecco allora che la spinta al rinnovamento avviene spesso, anzi, quasi sempre, per il concorso di circostanze anche fortuite tipo una rivista (oggi telematica) che riunisce intelligenze di varia provenienza come L’Ombra delle Parole.

    Nulla di strano quindi, cara Mariella, le nuove idee troveranno sempre degli oppositori, tutto ciò è normale, io lo do per scontato, non sono così ingenuo da pensare che gli altri letterati stenderanno tappeti rossi al nostro passaggio…

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    • Mariella Colonna

      Molto forte la tua poesia citata da Letizia Leone: parlerei di ontogenesi delle parole e immagini, di suggestioni pluridimensionali, di nuovo animismo ontologico, di NUOVA SURREALTA’, di grande libertà espressiva e “molto altro ancora” ! Ma devi scrivere nuove poesie, non dimenticare mai che sei un formidabile POETA!

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      • Mariella Colonna

        Dimenticavo: nel precedente breve intervento mi rivolgo a te, Giorgio Linguaglossa!

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        • GRAZIE MARIELLA per il complimento, LO SAI CHE MI CONSIDERO UN SEMPLICE CALZOLAIO DELLA POESIA, COME è SCRITTO NEL MIO PROFILO fb,
          AD ALTRI GLI ALLORI DELLA METEMPSICOSI POIETICA!

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          • Mariella Colonna

            Lo so, tutti qui siamo però consapevoli dell’importanza della spinta immensa che hai dato alla Poesia e ai poeti (anche a me!) per riprendere fiato e andare avanti: l’avresti fatto se non fossi stato anche tu Poeta alla grande e quindi appassionato a tutto quello che nutre e circonda la Poesia? Per questo devi scrivere scrivere scrivere anche in versi dedicando i tuoi scritti alla divina Calliope! 🙂

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  22. Pingback: LA PRECARIETA DEL MODERNO, LA PERDITA DELLA MEMORIA, E IL GRANDE PROGETTO PER LA POESIA ITALIANA – DIBATTITO A PIÙ VOCI INTORNO ALLA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA Mariella Colonna, Giorgio Linguaglossa, Gino Rago, Donatella Costantina Giancaspero –

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  40. La vispa Teresa coglieva l’erbetta…

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  42. antonio sagredo

    se mai signor Albino è il contrario: la vispa erbetta coglieva Teresa…
    ———————-
    riguardo Heidegger consiglio, a chi ancora non ha letto, i suoi “DIARI NERI”: forse qualcuno degli “interventisti” cambierà/coglierà l’idea come la vispa Teresa o erbetta del signor Alvino
    ——————————————————————————————–
    riguardo Scarrino, prego di studiare il rapporto artistico che intercosse fra il musicista e Carmelo Bene.
    ———————————————————————————————-
    riguardo a Gesualdo da Venosa – citato dalla Giancaspero – ecco i versi che gli dedicai:

    Autunno, Acheronte, e Gesualdo

    Quel tumulo di suoni rococò
    raccolse le palpebre come briciole del pianto –
    un cipresso, stupito fino alle radici,
    sbirciava la Signora, e in penombra
    la sua risurrezione, a malincuore.

    Implorava, torturata da visioni,
    la lettura di un osceno necrologio
    sui vessilli di marmo del rincrescimento:
    le sue stesse labbra baciare la nera rosa!

    Per cosa? – urlò

    risposi: sono già stato a Zaragoza!
    e lì che ho lasciato i miei manoscritti!
    Non mi è concesso di sognare l’Acheronte
    quando una commedia non sa d’essere divina!

    e lei, in falsetto: ma i due Cesari giocano col fuoco dei pugnali!

    Il Requiem con passo equino, rotando la battuta
    di un tamburo vuoto e gravido d’epitaffi come Marta
    o come la puttana di Lot esclusa da tutte le tragedie,
    ricusò lo specchio, e del miracolo il rinato oblio
    o la morbida vanità dei letti muliebri tradita da Mefisto.

    La geometria del silenzio ci traduce alla torre ottagonale
    dove la corona attende l’orgia o l’algebra ottomana,
    ma il volo del falco disegna una bianca cattedrale –
    il leggìo si ribella alla tastiera! – la mente
    del suono è un tugurio da celebrare con orrore.

    Datemi un dò e vi muterò in nera rosa,
    in muraglie, anfratti e gole prodigiose!
    Noi viviamo delle briciole del pianto
    quando l’amplesso misura i nostri frutti
    tra quei cardini che sono i mostri insonni,
    dove incedono scheletrici gli spasmi – di Palermo!

    Orizzonti, Autunni, Acheronti… io e voi
    non sappiamo più in quali finzioni – vivere!

    antonio sagredo
    Vermicino, 4-5 gennaio 2007
    ————————— ———————————————————– [ languisce al fin chi da la vita parte
    mercé grido piangendo
    o tenebroso giorno
    moro, lasso, al mio duolo

    gesualdo da venosa]


    madrigale ve (le) noso

    Il capezzale di una donna non amai fittizia alcova o reale
    solo l’insana malattia di una melancholia carnale mi sedusse.
    Liberai commosso i carnefici esiliati dai rastrelli della mente.
    Il castello dei merli fu più di una malattia ascetica: una quinta!

    La fuga generò una kermesse di cinque voci e semitoni,
    una carezza della nemesi celebra ossessa atti indicibili,
    il procardio vomitò esausto il cromo di straziate note:
    vola -su –seno-doge … vola-su-seno-doge… vola-su…

    Con gli occhi dei liuti ho cantato i carmi di un Orazio esterrefatto,
    le mie labbra normanne gonfie come nere vele dal favonio,
    pentagrammi di artigli e ombre assolate sul leggio infame.
    La mia vita fu santa, sublimata dall’inchiostro, e dai delitti!

    antonio sagredo

    Vermicino, 3 ottobre 2008

    —————–

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  43. Mariella Colonna

    nooooooooooo! Non è così! “La Vispa Teresa cogliea tra l’erbetta,/ dal cielo discesa, gentil farfalletta/ e tutta giuliva, stringendola viva/ gridava a distesa: “L’ho presa, l’ho presa!” Visto, come sono colta?

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  44. DOPO LE 17 POESIE DI TRANSTRÖMER (1954) E LA LETTERA A TELEMACO DI IOSIF BRODSKIJ (1972), QUEL GENERE DI POESIA NON HA PIÙ RAGIONI STORICHE PER SOPRAVVIVERE

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Claudio Borghi scrive:

    «Ma in che senso la poesia novecentesca è monoculare? In quanto interpreta il tempo come unilineare e non lo sente appartenere a una struttura quadridimensionale? L’esperienza del tempo psicologico, in quanto prolunga la mente nella memoria, è per tutti quella di una quarta dimensione vissuta dall’interno: ritenere di fondare su questa consapevolezza una rivoluzione estetica è a mio avviso ingenuo, soprattutto laddove si ritiene di caratterizzarla sul verso libero, sul metro vario in antagonismo con la presunta statica “unilinearità” dell’endecasillabo»

    Che cosa vuoi che ti dica, caro Borghi?, all’eccezione che tu hai sollevato, sul dubbio recondito che il «tempo interno» non abiti il mondo quadri dimensionale e che la poesia del secondo novecento italiano tutta fondata da un concetto «monoculare e unilineare» abbia delle possibilità di sviluppo, io non posso risponderti altro che ribadendo il mio (nostro) concetto.

    Ovvio che se tu ritieni che ci siano degli spazi di sviluppo per la poesia fatta di polinomi frastici unilineari e monoculari, quella che va da Pascoli di Myricae a Bacchini, per intenderci, allora va bene, tu ovviamente sei libero di percorrere quella strada e fai bene a percorrerla… Noi invece pensiamo che dopo le 17 poesie di Tranströmer (1954) e la Lettera a Telemaco di Iosif Brodskij (1972), quel genere di poesia non ha più ragioni storiche per sopravvivere se non in qualche orticello di poeti di secondo rango che continuano a scrivere poesie epigoniche e gastronomiche come quella dello psicologo Filippo Strumia ripubblicato recentemente da Einaudi.

    ALLA FIN FINE, UN LINGUAGGIO SI DISTINGUE DA un ALTRO PER IL MODO CON CUI METTE IN ATTO UNA ORGANIZZAZIONE DELL’ ESPERIENZA. Tutto qui

    Il divario tra di noi purtroppo è netto e non è possibile in alcun modo colmarlo perché coincide con il diverso modo di concepire un linguaggio che organizza una esperienza. Ma io non affermo che così farei una poesia più bella di quella tua o di quella di Salvatore Martino, io dico una cosa diversa: che il mio linguaggio organizza l’esperienza in modo diverso e che la NOE può aiutare un poeta ad organizzare l’esperienza extra linguistica in una esperienza linguistica in modo diverso da quanto si è fatto finora.

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  45. Claudio Borghi

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Al solito devo chiarire, laddove mi sembra di essere stato chiarissimo. Io ho sollevato un’obiezione critica circa il fatto che la poetica che qui si propone pretenda essere nuova nel senso di poter sperimentare il tempo interiore in una sorta di quadridimensionalità. Non colgo, forse per limiti miei, visto che in diversi interventi sento entusiasmo e condivisione, il significato di questa prospettiva estetica, ho semplicemente chiesto di chiarirmelo, in quanto mi sembra che si cerchino fondamenti in dimensioni pseudoscientifiche di cui proprio mi sfugge il senso, a parte la latente suggestione. La memoria è una dimensione soggettiva del tempo, una spazialità altra rispetto a quella in cui è immersa la materia. Confonderla con questa significa a mio avviso ingenuamente dare una valenza interiore alla variabile matematica che compare nelle equazioni newtoniane o relativistiche. Qui si citano Einstein e Rovelli e mi fa piacere, ma occorre conoscerne al fondo il pensiero per pretendere di servirsene come strumenti per fondare una nuova estetica. E’ nella dialettica tragica e conflittuale tra il tempo della coscienza di matrice bergsoniana e il tempo spazializzato, senza profondità memoriale della scienza che si è giocata la partita più interessante dell’arte del Novecento. Prima di scalzare in modo riduttivo e semplicistico un sentimento della poesia e del tempo, che nel Novecento è stato tanto variegato e complesso, occorre produrre analisi e riflessioni quanto mai attente. Il rischio è banalizzare, arginare esperienze di straordinaria ricchezza intellettuale e creativa senza coglierne la profondità.

    La sensazione è che si voglia attribuirmi a tutti i costi un pensiero antagonista nei termini di generica difesa della “poesia del Novecento”, come se il Novecento, da Pascoli a Bacchini, fosse un blocco unitario di poetica riconducibile a una visione percepita come statica, monoculare e unilineare che, scrivi, non ha sviluppi, avendo esaurito la sua forza espressiva. A me sembra che ridurre il mio pensiero in questi termini sia un volerlo arbitrariamente impoverire per renderlo oggetto di facile confutazione: io ho mosso obiezioni critiche rimaste in buona parte inascoltate, ho cercato di fare sintesi tra la visione della letteratura che questa nuova poetica propone e altri modi di sentire l’arte e la scrittura. Voler continuamente isolare il presunto nemico senza averne metabolizzato la vitalità dialettica del pensiero è un’operazione di comodo, un gioco che sempre meno mi diverto a giocare. Se poi ritieni che il divario sia incolmabile, significa palesemente che hai espresso un giudizio definitivo quanto semplificatorio in modo da interrompere lo scambio, che io ritenevo, nella mia ormai evidente ingenuità, potenzialmente produttivo.

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  46. Grande Progetto, NOE, Riforma del linguaggio poetico con tutti i corollari di tempo interno, tempo esterno, frammento e chi più ne ha più ne metta

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Caro Claudio,

    io ti devo ringraziare, perché è grazie ai tuoi interventi che io e gli amici dell’Ombra abbiamo potuto mettere a fuoco meglio i lineamenti di un nuovo modo di concepire l’organizzazione linguistica di una esperienza, quella Cosa che noi abbiamo chiamato Grande Progetto, NOE, Riforma del linguaggio poetico con tutti i corollari di tempo interno, tempo esterno, frammento e chi più ne ha più ne metta… Il problema… si può ridurre al seguente:

    Hic Rodhus, hic facit saltus.

    Qui o si salta in avanti o si salta all’indietro. Io e altri compagni di viaggio abbiamo deciso di saltare in avanti, altri, tra i quali tu e una sterminata schiera di autori, hanno deciso di saltare all’indietro, o meglio, di restare fermi in attesa che la «tradizione» possa ungerVi con il suo manto stellato. Certo, io continuerò a dialogare con te e con tutti coloro che hanno delle idee da mettere in campo, ma prendo atto che qui c’è un «punto», una «linea di demarcazione» che ci divide, che poi è quella cui ha alluso Gino Rago citando alcuni versi di alcuni poeti milanesi mettendoli implicitamente a confronto con alcuni versi della NOE. Non c’è che prendere atto di un fatto. Non c’è che prendere atto che di lì non si va da nessuna parte, per quella via le possibilità di sviluppo stilistico sono eguali a zero. Di qua, invece, le possibilità di dare uno sviluppo stilistico e linguistico alla nuova poesia sono enormi… Il reale si sta sottraendo alle possibilità espressive delle parole, di quelle parole…

    George Steiner ha scritto: «il fatto che l’immagine del mondo si stia sottraendo alla presa comunicativa della parola – ha avuto la sua influenza sulla qualità del linguaggio. A mano a mano che la coscienza occidentale si è resa più indipendente dalle risorse del linguaggio per ordinare l’esperienza e dirigere il lavoro della mente, le parole stesse sembrano aver perso in parte la propria precisione e vitalità. So bene che questo è un concetto controverso. Presume che il linguaggio abbia una “vita” sua in un senso che va oltre la metafora…».1] La poesia deve albergare nei sobborghi della «zona oscura», dell’impronunciabile, avendo cura di mantenere la distanza, abitare la distanza e la lontananza, custodirle come il più intimo dei segreti.

    Steiner vuole dire un concetto molto importante: l’immagine del mondo nel linguaggio si è indebolita, il mondo si sta sottraendo al linguaggio, il linguaggio non rappresenta e non può più rappresentare tutta la complessità e variabilità del mondo…di qui all’oblio della memoria che il linguaggio avrebbe di sé il passo non è poi molto lungo… ma il discorso poetico, proprio perché libero dall’utile, ha la capacità di mantenersi a giusta distanza dei sobborghi del «segreto» dell’ente, quel «segreto» che non può essere avvicinato dalla lingua di relazione ma che la lingua di relazione contiene in sé come possibilità inespressa, che diventa espressa nell’evento della forma-poesia, in quell’atto di compromissione senza compromessi che contraddistingue la dizione poetica.

    Potremmo dire così, che la dizione poetica è quel tipo di linguaggio che ci avvicina di più all’extra linguistico, al non tematizzabile linguisticamente, a ciò che resta di una esperienza che sta fuori dall’ambito linguistico. Con le parole di Derrida: «Perché io condivida qualcosa, perché comunichi, oggettivi, tematizzi, la condizione è che ci sia del non-tematizzabile, del non-oggettivabile. Ed è un segreto assoluto, è l’absolutum stesso nel senso etimologico del termine, ossia ciò che è rescisso dal legame,, staccato, e che non si può legare; è la condizione del legame sociale, ma non lo si può legare: se c’è dell’assoluto, è segreto».2]

    1] George Steiner Linguaggio e silenzio (1958), Rizzoli, 1972 p. 41
    2] Jacques Derrida, Ho il gusto del segreto, in Jacques Derrida e Maurizio Ferraris, Il gusto del segreto, Laterza, Bari, 1977 p. 51

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    • Claudio Borghi

      Io non ho deciso di fare nessun salto all’indietro né di stare in attesa che mi unga la tradizione: cosa significa? Forse tra venti o trent’anni si capirà meglio quale poesia che si scrive oggi aveva più forza propulsiva, non adesso, quale scrittura poetica contenesse più novità e invenzione. Non adesso. Adesso ci possono essere facili infatuazioni, illusioni condivise di novità che non vengono lette in modo obiettivo. Una poesia può contenere pensiero rivoluzionario ed essere scritta in forme tradizionaliste. Qui si confonde, temo, la sostanza con la forma. Non temo il confronto, Giorgio, sulla profondità e il pensiero: è su questo che si misura una ricerca poetica, non sul frammento o l’endecasillabo. E se questa nuova ontologia non produce originalità di idee, visto che finora mi pare si stia nutrendo quasi esclusivamente di pensiero altrui, scientifico o filosofico, per darsi forma e sostanza, rischia di rimanere arenata nelle sabbie mobili di una delle tante avanguardie che hanno seminato di intenzioni rivoluzionarie il novecento. Io, come sai, leggo e apprezzo diversi autori che scrivono nell’ottica di questa nuova ontologia, non perché siano espressioni di nuova poetica, ma perché ci sento dentro una vitalità espressiva autentica. E’ intorno a questa che ci deve essere scambio, quello scambio che dovrebbe essere reciproco e invece sento ancorato a una visione unilaterale, che tende a isolare che tenta di costruire un dialogo dialettico, unico metodo per far evolvere qualsiasi idea, scientifica, filosofica o poetica.

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  47. Mariella Colonna

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Caro Claudio Borghi, ho parlato anche io di “quadrimensionalità” nella Nuova Poesia ontologica, o NOE: PER QUANTO MI RIGUARDA VOGLIO CHIARIRE CHE, TRATTANDOSI QI QUALCOSA DI NUOVO, il termine quadrimensionalità non deve essere associato a nessuna teoria scientifica, tantomeno di Einstein: è un modo per far capire, o meglio “intuire” (e Linguaglossa lo ha spiegato benissimo, tant’è che io l’ho capito subito), che non si parla più di tempo lineare, ma di tempo della memoria che non è affatto lineare ma semmai, dico io, circolare perché la memoria è capace di movimenti fulminei che spostano il pensiero da una parte all’altra del cerchio, forse meglio ancora dire “sferico” (l’Aleph di Borges?) e, ancora, DISCONTINUO (frammenti), e quindi non si lascia più suddividere in PASSATO-PRESENTE-FUTURO l’uno dopo o prima dell’altro: caro Borghi, non è forse un gran respiro per l’anima della poesia muoversi in un tempo così???? Pe me lo è e sono felice di ESSERE PARTE DI QUESTO GRUPPO CHE RISPONDE SEMPRE PIù ALLE MIE ESIGENZE IN MATERIA DI LINGUAGGIO POETICO COMUNICAZIONE E LIBERTA’ ESPRESSIVA!!! SONO SICURA CHE SIA NECESSARIO UN ULTERIORE APPROFONDIMENTO SU QUESTO PARTICOLARE TEMA-EVENTO DEL TEMPO! Chiedo perdono per le maiuscole, ma per l’entusiasmo di scrivere non me ne sono accorta e adesso non ho tempo per modificare in minuscole. Comunque ho saputo che il 16 la Rivista è stata letta da più di 5.000 persone e questo fa capire che i dibattiti sono coinvolgenti e chiarificatori e che le persone sono interessate alla Poesia e all’Ombra delle parole. Restiamo uniti integrando e valorizzando le differenze, ripeto, in piena LIBERTA’, senza fini egoistiici! Claudio Borghi, secondo me, devi soltanto avere più serenità e fiducia nell’accoglienza di quanti si sono imbarcati nell’Arca della NOE! (strana coincidenza, non ti pare?)

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    • IL LINGUAGGIO POETICO DEI CHIERICI E QUELLO DELLA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA

      DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


      cara Mariella Colonna,

      il tuo scritto dimostra che hai compreso molto bene (senza fare riferimento a preamboli filosofici e scientifici) il significato dei termini che abbiamo messo in campo: «tempo interno», «memoria», «quadri dimensionalismo», «tempo non lineare» «verso non unilineare» etc., e lo hai fatto con una capacità di esporre cose complesse in parole semplici che io non ho. Grazie, dunque, per il tuo intervento riassuntivo che chiarisce molte cose. La NOE ha aperto una strada per la riforma del linguaggio poetico italiano fermo da molti decenni e immobilizzato dalla mancata circolazione delle idee.
      La differenza tra la proposta della NOE e la poesia che si fa oggi, quella dei «chierici», può essere semplificata con questo testo di Antonio Sagredo, postato tra i commenti che qui ripropongo, e metterlo a confronto con la filastrocca di Filippo Strumia tratta da Marciapiede con vista, pubblicata da Einaudi nel 2016:

      Antonio Sagredo

      Cesare nacque in un borgo salentino, poco dietro Lecce e finì arso in Tolosa, terra gigliesca, dicono dell’innocenza, ma l’innocenza cela sempre un assassinio, e questo invece non conosce ambiguità… ma tutto ciò s’addice alla mortalità più che alla rassegnazione… il fuoco purifica i carnefici e i boia e rende immortali gli arsi vivi… in cielo e in terra
      a chi dunque la palma del miglior martirio?
      Ma tutto ciò, se mi sposto su uno degli anelli di Saturno e da qui osservo quel puntolino, che si chiama Terra… ebbene quel tutto ciò non significa nulla.

      Filippo Strumia

      Sono solo come un cane
      sono solo e mangio il pane
      qui ci sono solo io
      sono solo come un dio.

      *
      Il difetto della NOE è che pretende di unire due punti con una linea retta. Un atto che ha del temerario.

      Ennio Flaiano

      «In Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco»

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  48. Claudio Borghi

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Cara Mariella, ti ringrazio per i tuoi modi e la tua discrezione: il tuo essere umilmente nella poesia è uno dei motivi per cui continuo a scrivere qui. Sia chiaro, l’antagonismo di Giorgio e anche di Mario (che quando scrive su di me è davvero divertente in quanto lo trovo surreale, avendo preso di mira aspetti della mia personalità e del mio pensiero che legge in modo del tutto personale quanto, a mio avviso, fuori luogo) è comunque uno stimolo, lo sento come un’occasione di crescita e, se rileggi attentamente sia quello che ho scritto sia come l’ho scritto, non troverai mai l’intenzione di creare polemiche fini a se stesse. Ho sempre cercato un confronto, in quanto sia le riflessioni sulla poetica che i testi poetici sono per me esperienze di interazione espressiva con la materia vivente, per cui le sento sempre come qualcosa di fragile, per quanto potente sia la forma in cui si risolvono. Serenità e fiducia le ho ancora, ma servono da entrambe le parti, occorre accogliere l’interlocutore non per isolarlo nel suo essere tradizionalista o incapace di accogliere il nuovo, ma nel suo essere un riferimento necessario per mettere in discussione qualsiasi certezza. E’ questo che credo manchi, Mariella: paradossalmente, la serenità in chi si rivolge a me, non in me, visto il tono e il contenuto delle repliche.

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    • Mariella Colonna

      FINO A QUANDO ABUSERETE DELLA NOSTRA SEVERA PAZIENZA? VOI POETI MENEGHINI E PARIOLINI INUTILI E TRASCURABILI?

      DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


      Caro Claudio, se ti chiedo serenità, credimi, è perché vorrei che tu restassi nel gruppo della NOE per i tuoi validi contributi che aiutano a tenere in vita una sana dialettica di punti di vista diversi. Invece di scoraggiarci, cerchiamo di comprendere anche sul piano umano gli atteggiamenti dei nostri interlocutori: ognuno di noi ha i suoi problemi che non viene a descrivere e “reclamizzare” nei dibattiti. L’atteggiamento polemico che qualche poeta può avere apparentemente contro di te può nascere da qualche nodo antico che dentro la sua mente e la sua psiche crea e proietta sull’altro inconsciamente un’ombra. (è accaduto a me!). Ci sono poi posizioni inconciliabili che si possono conciliare grazie ad una superiorità “umile”non tanto intellettuale, quanto psicosomatica (se mi permetti l’espressione ardita) e affettiva: a vote si “litiga”, riversando parole che feriscono l’ “altro”, con le persone che si amano di più. ODI et AMO non è una stupidaggine romantica, è la geniale intuizione di un grande poeta latino, il Catullo di “Passer meae puellae”, poesia deliziosa nella lingua che ha dato origine all’italiano, forse meno accettabile se tradotta. Perciò voglio invitarti a restare (vuoi che te lo dica con una famosa canzone napoletana?) e ad accogliere con più distacco le frecce nemiche, perché sono soltanto freccette innocue e perfino divertenti se le vediamo con ironia…e non uccidono né te né la poesia. Sarà il tempo a decidere chi è degno di essere ricordato e chi no. Sempre che le bombe minacciate dai due pazzi che si contendono il pianeta non ci cancellino tutti in pochi attimi. Anche questo (non ridere di me) è il pensiero che mi fa voler bene a tutti voi, che condividiate o no le mie idee. Giorgio Linguaglossa poi (almeno questa è la mia impressione) vi ama tutti alla follia (poetica): le sue critiche fanno male quanto la punizione della mamma che nega al bambino il gelato perché ha preso una nota a scuola!

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      • Cara Colonna, ti prego di definire il soggetto individuabile nel profilo psicopatologico che hai delineato. Siccome io sono l’unico poeta in contrasto con Borghi ti prego di chiarire le tue esternazioni. La mia psiche è sana, non ha ombre né autosuggestioni poetiche.

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        • Mariella Colonna

          Caro Gabriele, la mia stima per te non mi permetterbbe mai una simile esternazione nei tuoi confronti:non ho fatto di te un profilo psicopatologico!!!!L’ODI ET AMO è, semmai,un classico da riferire alla passione amorosa e non è offensivo: io per prima vivo in me l'”ODI ET AMO” di catulliana memoria! E ti faccio una confidenza: nei confronti di mio marito che amo ( e lui idem nei miei confronti): certe volte, nelle discussioni vengono fuori cose inaudite anche per chi le dice, altro che le vostre battute polemiche!. Accade a tutti: ti assicuro che non ho pensato soltanto a te e tantomeno in termini di patologia, ma a tutti quelli che non accolgono favorevolmente le critiche: per quanto mi riguarda non posso proferir parola perché mi è stato proibito di parlarne anche anonimamente, cosa che sto facendo a mio rischio e pericolo. Per esempio Mario, mio marito, non ama le critiche…però poi le accetta perché mi accetta così come sono e perché…glie ne faccio poche. Preferisco che i fatti parlino al posto mio!
          Tu non sei l’unico poeta in contrasto con Borghi, c’è anche Giorgio. Poi c’è Salvatore Martino che a volte si amareggia nei confronti di te e Giorgio perché dice che preferiva come scrivevate prima. Comunque, se hai avuto l’impressione che io mi sia espressa in modo offensivo nei tuoi riguardi,mi scuso con te: ti stimo profondamente e apprezzo molto la tua poesia: purtroppo non ho avuto modo di contattarti perché tu non frequenti Facebook. L’ho fatto varie volte all’inizio, sempre su F.B. e non mi hai risposto perché non ti è arrivato il messaggio. Ti saluto con grande stima e simpatia. Rispondimi, per favore, perché io non debba pensare che c’è un’ombra tra noi!

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      • Mariella Colonna

        SPECIFICO: l’allocuzione iniziale in stile catilinario non è mia! Non mi permetterei… data lascarsa confidenza che ho con alcuni poeti qui presenti!

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        • Nessun’ombra, Gentile, Mariella Colonna. Rispondere alle mie delucidazioni è segno di buona educazione. Il fatto è che il discorso deve essere sempre impostato sulla massima chiarezza espressiva, in modo tale da mettere l’interlocutore di fronte alla leggibilità del testo. Il dibattito sulla NOE si sta troppo arroventando, per colpa di alcuni “bombaroli” che minano il PROGETTO, a tutto danno di chi lo sta praticando. Ho esortato Linguaglossa a prendere le dovute misure, anche per rispetto del Comitato di Redazione. Se niente cambia non ha senso rimanere nell’Ombra. Qui si stanno solo facendo lezioni universitarie sulla filosofia, che a detta di Deleuze, è un vano parlare di concetti. Cordialità.

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      • Mariella Colonna

        Errata corrige: “Passer delicia meae puellae”, non “Passer meae puellae”,

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  49. antonio sagredo

    DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA – ALCUNE QUESTIONI DI ONTOLOGIA ESTETICA – LA QUESTIONE MONTALE-PASOLINI – ALLA RICERCA DI UNA LINGUA POETICA: TOMAS TRANSTRÖMER 


    Cesare nacque in un borgo salentino, poco dietro Lecce e finì arso in Tolosa, terra gigliesca, dicono dell’innocenza, ma l’innocenza cela sempre un assassinio, e questo invece non conosce ambiguità… ma tutto ciò s’addice alla mortalità più che alla rassegnazione… il fuoco purifica i carnefici e i boia e rende immortali gli arsi vivi… in cielo e in terra
    a chi dunque la palma del miglior martirio?
    Ma tutto ciò, se mi sposto su uno degli anelli di Saturno e da qui osservo quel puntolino, che si chiama Terra… ebbene quel tutto ciò non significa nulla.

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