INTERVISTA A DEREK WALCOTT (1930-2017) di Franco Romanò su Tradizione, le Avanguardie e il Modernismo – TRE POESIE – La poesia è più difficile da corrompere perché tende a espellere il poeta corrotto; La condizione in cui mi trovo è quella dell’innocenza; non ho amato mai troppo il verso lungo, o diciamo troppo lungo, alla Whitman per intenderci, o anche alla Ginsberg; Il ruolo del poeta è proprio quello di rendere consapevoli del destino tragico.

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derek walcott

ERA IL POETA dei confini, dei versi meticci. Diceva di stare “tra la Grecia e il pantheon africano”. Derek Walcott è morto all’età di 87 anni , il 17 marzo 2017, nella sua abitazione sull’isola caraibica di Santa Lucia, dove era nato il 23 gennaio 1930, nella città di Castries. Era cresciuto in quella piccola isola vulcanica, sentendosi sempre un essere di frontiera, un meticcio dagli occhi verdi, “né abbastanza nero, né abbastanza povero”.

 Fino al 1992, quando gli venne conferito il Nobel per la letteratura, il nome di Derek Walcott circolava in Italia soltanto tra uno sparuto e ristretto gruppo di specialisti di letteratura caraibica. Strano destino per un poeta il cui esordio risaliva al 1948, con 25 Poems, e che per più di vent’anni è stato al centro di un profondo rinnovamento della scena teatrale di lingua inglese, in primo luogo come autore di numerose pièce (su tutte Ti-Jean e i suoi fratelli, Sogno sul monte della Scimmia o la giovanile Henri Christophe, dedicata all’omonimo leader rivoluzionario haitiano) e poi come fondatore e direttore del Trinidad Theatre Workshop. Nato nell’isola di Santa Lucia nel gennaio 1930, docente a Harvard, Walcott è oggi un nome meglio conosciuto al grande pubblico, che in questi anni ne ha apprezzato sia l’opera poetica – dall’antologia Mappa del nuovo mondo, fino all’epico Omeros o Prima luce, tutti da Adelphi – sia la sua inesausta vena di lettore-viaggiatore e la presenza costante che lo ha visto spesso impegnato in reading e letture.

Pubblicata la prima volta sulla rivista Poiesis nel 2002 e di recente su diepicanuova.blogspot.it

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Franco Romanò:

Signor Walcott, in un’intervista rilasciata al quotidiano ‘II sole 24 ore’ lei affermava che solo gli artisti mediocri hanno paura di avere dei maestri. Vorrei cominciare da questo perché il Novecento europeo è stato il secolo dell’originalità a tutti i costi…

DEREK WALCOTT:

Può precisare meglio a quale periodo e a quali autori si riferisce?

FR

Penso a tutto ciò che è avvenuto negli ultimi dieci anni dell’800 e i primi venti del ‘900 in Francia, in Italia, in Gran Bretagna e poi penso a movimenti come ‘Dada’ e a quello che ne seguì anche in termini di imitazione…

Iosif Brodskij

Iosif Brodskij

DW

Sì, capisco… Vorrei cominciare da una frase di Joseph Brodskji, quando disse: “Perché è necessario avere un ventesimo secolo quando c’è già stato il diciannovesimo?”

E’ un’osservazione molto brillante perché in termini di intelligenza dei tempi e di arguzia gli scrittori del diciannovesimo secolo che avevano concepito l’idea dell’emergere della città (nel senso mercantile, borghese o artigiano del termine) come soggetto in sé, avevano raggiunto una scala di valore molto elevata; parlo dello spirito cittadino che esiste in Balzac o in Dickens. Questa consapevolezza della città raggiunse le sue punte più elevate con la fine del secolo e questo ci dà la misura della solidità del diciannovesimo secolo. Forse quanto sto dicendo potrà sembrare il discorso di un uomo anziano, ma io credo che molti dei movimenti venuti dopo siano stati vittime di una certa petulanza, dell’invidia e dell’ambizione rispetto a questa grandezza. Si può anche comprendere perché se si è coscienti del valore degli autori che ho citato in precedenza, oppure della forza dell’architettura compositiva di un Baudelaire, uno scrittore o un gruppo di scrittori che danno vita a un movimento capiranno che è un po’ arduo competere con lui, avranno la tentazione di dire non facciamo questo non è importante, facciamo altro…E’ cosi che cominciano le avanguardie. Prendiamo ‘dada’ per esempio. Se io li accusassi di essere un movimento ingenuo, infantile e naif, che crede nel senso del nonsenso, loro sarebbero stati i primi a darmi ragione; ma anche ammettendolo questo non fa venire meno il fatto che infantili erano e restano.

Nel dire ciò, però, non intendo affermare che l’artista sia un essere sublime; anzi, sono questi movimenti che pure affermando esattamente l’opposto portano alla stessa conclusione perché anche l’idiozia in un certo senso è sublime. C’è una bella differenza fra l’idiozia di una certa avanguardia e la semplicità, prendiamo, di un Blake, oppure la semplicità e persino la chiarezza di un Verlaine.

boris pasternak

boris pasternak

Insomma l’avanguardia ha tutti i difetti di qualcosa di giovanile, di non maturo, un esperimento, anche se va detto che parole come sperimentare o esperimento non si possono circoscrivere a quei movimenti. Perciò quello che dico è che molti dei grandi poeti del novecento hanno un’eredità, guai a non riconoscere l’eredità dei grandi maestri, essa esiste eccome se esiste! Ma questo è stato ritenuto ridicolo, fuori moda, vecchio.

A questo proposito vorrei parlarle della mia esperienza di docente. Io insegno negli Stati Uniti e il concetto di insegnare la tradizione negli Usa non è un vero concetto e le assicuro che è molto complicato insegnare in una cultura che pensa che tutto ciò che esiste sia stato fatto ieri o l’altro ieri. Non hanno un’idea della storia… L’idea che bisogna avere cura dei maestri nel processo di apprendimento nelle arti, è stato molto minacciato durante il secolo scorso da molti fattori, anche molto lontani fra loro, incluso il cinema che insieme ad altro ha contribuito a trasformare l’artista in un performer, poesia inclusa. Insieme all’idea della performance è venuta avanti anche quella della competizione.

alfredo de Palchi

alfredo de Palchi

FR

A questo proposito le chiedo: il poeta a fronte di queste trasformazioni e insidie deve cercare di assecondarle o di resistervi secondo lei?

DW

Resistere? Vede è difficile farlo, gli scrittori, i romanzieri in particolare negli USA seguono quest’idea, si comportano come le star del cinema, lo scrittore è una persona pubblica. Si tratta di un’idea molto forte che però ha un’influenza negativa sul talento individuale dell’artista. Di buono c’è che, sebbene alcuni poeti siano inclini a seguire questo modello, la poesia è più difficile da corrompere perché tende a espellere il poeta corrotto.

Mandel'stam e la Achmatova

Mandel’stam e la Achmatova

FR

Ciò che trovo sorprendente nella sua poesia è la mescolanza fra uno scenario tipicamente caraibico e il continuo riferimento alla tradizione classica europea, greca, latina e non: Lucrezio, Dante, John Donne, tanto per fare alcuni nomi. Ho notato però che quanto più ci avviciniamo al secolo precedente, al ‘900, i vostri riferimenti sono quasi esclusivamente concentrati sui grandi russi: Achmatova, MandeI’stam. Come mai questa scelta e più in generale cosa rappresenta per lei il patrimonio classico della letteratura europea?

Grattacieli di New York

Grattacieli di New York

DW

Se leggo un libro di Pastemak, oppure, poniamo una traduzione dell’Odissea, la domanda terribile per me è: dove sono mentre leggo questo libro? Sono ai Caraibi, su una piccola isola, non c’è nulla intorno a me che possa evocare la storia: non ci sono rovine, non ci sono castelli, acquedotti ecc. Perciò, in quanto lettore, io mi trovo in una condizione molto elementare perché ho a che fare con gli elementi primari: il mare, l’aria, la natura, il vento. Questo è il mio contesto. La stampa non ha nulla a che vedere con il paesaggio che mi sta intorno.

Ma il senso della lettura è fortemente rafforzato dal fatto che mi trovo in una situazione dove dominano gli elementi. Per questa ragione non posso leggere con un senso della temporalità. Se si legge la stessa cosa in Italia, o a New York, essa entra immediatamente in un contesto, è un po’ come la parte di un ampio dizionario.

La condizione in cui mi trovo è quella dell’innocenza, che non è naturalmente ignoranza. Mi dico che sono fortunato per questo, perché ritengo che la lettura innocente, anche per un uomo della mia età, sia importante. In un certo senso leggere in questo modo porta molto vicino al processo stesso di formazione della poesia. In questo senso per innocenza non intendo il vuoto, il nulla, ma una disposizione a lasciarsi rinfrescare da ciò che si legge. Venendo più direttamente alla sua domanda, essere debitori verso i grandi autori del passato è per me naturale, mentre penso che per un artista europeo significhi anche portarsi sulle spalle un grande fardello; essere un pittore in Italia, per esempio, vuole dire portarsi un gran peso sulle spalle.

derek walcott sul mareFR

Ciò che mi sorprese quando mi avvicinai le prime volte alla sua poesia era una certa mancanza di riferimenti ad altri autori del continente americano, sia del Nord sia del Sud. Per esempio, trovo che la natura sia molto importante nella vostra poesia e mi sono domandato spesso quale sia il suo rapporto, come lettore e anche come poeta, con Neruda, per esempio.

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walcott mappa-del-nuovo-mondoDW

Ovviamente quello che lei dice ha a che fare con la lingua. Se io fossi nato in una parte dei Caraibi di lingua spagnola, avrei certamente avuto un rapporto con quella letteratura. Il problema dei Caraibi è che le origini coloniali sono differenti; danesi, francesi, inglesi, spagnoli… Il temperamento delle diverse zone è molto diverso e questo è un valore grande; le Barbados sono molto inglesi, Guadalupe è molto francese. Quando sono entrato in contatto con scrittori latino-americani come Neruda oppure Gallego e altri ho riscontrato subito un’identità per quanto riguarda la storia, nel senso che abbiamo condiviso alcune esperienze: le grandi piantagioni, la schiavitù, per esempio. Per un certo periodo di tempo io sono passato attraverso la loro esperienza, posso dire di essere stato anche influenzato da Neruda, ma poi ho abbandonato quella strada perché c’era qualcosa di temperamentale che non mi si addice… Neruda per esempio può essere molto eccitante in un modo sbagliato per chi scrive in inglese perché l’enfasi nella pronuncia delle vocali spagnole non si addice alla lingua che uso come scrittore. Ci sono aspetti dello spagnolo che non mi piacciono: non amo per esempio il Lorca surrealista, così come il Gallego surrealista. Ecco, quando sento troppo la ridondanza dello spagnolo io divento molto inglese, non mi piace una certa pomposità. E’ una tipica reazione coloniale allo spagnolo e all’italiano. Naturalmente gli aspetti più duri di Lorca o di un Montale sono formidabili.                                                    ‘ .

walcott 4Per quanto riguarda il perché manchino riferimenti anche ai nord americani nella mia poesia, diciamo che non ho amato mai troppo il verso lungo, o diciamo troppo lungo, alla Whitman per intenderci, o anche alla Ginsberg; il metro è troppo spinto. Anche le teorie di coloro che sostengono l’espansione del verso facendola dipendere dal respiro, incluso lo stesso William Carlos Williams, mi sembra introducano una forzatura. C’è troppa teoria in questo modo di fare e non mi piace neppure l’opposto e cioè la contrazione eccessiva: volere a tutti i costi evitare il pentametro, coscientemente, mi sembra un esperimento: credo che i due estremi del verso troppo lungo o troppo corto vadano evitati.

walcott 1FR:

Il poeta deve stare bene attento a non lasciarsi invadere e deviare da teorie, da giudizi competitivi, da invidie e ambizioni, ma deve piuttosto cercare di pensare sempre che ciò che sta facendo non è per se stesso, ma per cercare qualcosa che il poeta crede esista e che si chiama poesia. E’ una strada lunga e bisogna stare attenti a non lasciarsi corrompere, vuol dire che bisogna credere nella moralità che il poema esprime direttamente in sé. In questo senso si può dire che vi è una forte approssimazione con l’umiltà del sentimento religioso, in altre parole in un certo modo il poeta è vicino al sacerdote, al prete, al monaco; in un altro senso il poeta deve rifiutare la pura conoscenza, l’eccessiva confidenza con le persone e le teorie sulla poesia. In ultima analisi quello che il poeta fa è creare il poema, questo è il suo compito ed è un compito arduo, prima di riuscire ad arrivare a questo occorre superare molti ostacoli terrificanti. Fare i conti con l’ibrido, con il maturare lento dell’opera nella testa… bisogna tornare al non sapere, all’ignoranza e questo è molto difficile da fare nel contesto contemporaneo dove ci sono molte teorie, molte reputazioni… vede quello che sta succedendo alla letteratura francese, per esempio…lì danno troppo ascolto ai critici, ai dibattiti universitari, alle parole dei dotti. Bisogna tornare a dire che la poesia è una sorta di miracolo cui si deve una devozione quasi religiosa. Probabilmente per lei Whitman è stato importante per il tono epico ed epico lirico della sua poesia….

walcott omeros copertinaDW

Sì, questo sì, mentre sono sospettoso della deliberata espansione del verso.

FR

L’attenzione per la metrica è costante nella sua poesia. Significa che siete riluttante e sospettoso nei confronti del verso libero?

DW

Ho scritto anche versi sillabici… In generale penso sia un problema che riguarda la personalità del poeta, però credo che ci debba essere il rispetto per certi limiti. Pensare, come le dicevo, di potere espandere o contrarre il verso artificialmente è un po’ egocentrico. Credo che occorra essere umili nei riguardi del verso. Quello che le dico può sembrare molto personale e persino privato ma proprio perché so di essere una persona ambiziosa, allora cerco di essere molto rispettoso dei limiti.

derek walcott pagina manoscritta

derek walcott pagina manoscritta

FR

Leggendo i suoi versi non vi è traccia, almeno superficialmente, di un’attenzione per la filosofia o la psicanalisi che per la cultura europea del secolo scorso sono stati due riferimenti quasi obbligati, anche per i poeti, insieme alle nuove scienze del linguaggio. Quale è il vostro atteggiamento nei confronti di queste discipline.

DW

Bene, lei mi scuserà se farò un paragone osceno nel rispondere a questa domanda. Fare poesia vuole dire entrare volontariamente in una prigione. In questa prigione si aggirano un sacco di teorie accademiche, c’è la semiotica e altro, la prima cosa da fare è preoccuparsi di non farsi inculare. Lei mi perdonerà, ma quello che voglio dire è che se uno sceglie di spendere la propria vita da

quaderno manoscritto di derek walcott

quaderno manoscritto di derek walcott

FR

Voi avete usato le parole sacerdote, religione; ma si possono sostituire queste parole con altre, tipo sciamano, divinità, sacro ecc?

DW

Vede, la parola sacerdote va per me usata in riferimento a William Wordsworth; a me piace dire sacerdote della natura perciò la devozione nei confronti della natura è ciò che io intendo quando uso la parola sacerdote e mi riferisco in primo luogo alla natura organica perché senza di essa nulla potrebbe esistere, l’ossigeno l’abbiamo dalla natura organica. Non importa quanto siano abili o famosi, ma ci sono scrittori che tendono a diventare cinici, è questo che rischiano quando si siedono alla scrivania e cominciano a scrivere poesie. Invece bisogna tornare a una innocenza radicale. Molti poeti sono complicati e sofisticati, ma proviamo ad andare al nocciolo della loro opera… Donne, Rimbaud, Auden, Eliot, Montale, quando arrivo al nucleo radiante della loro poesia io un po’ mi preoccupo.

walcott 2

derek walcott

FR

Voi avete detto sacerdote della natura e nella vostra poesia il rapporto con la natura è davvero essenziale. Ecco, cosa ne pensate di questo continuo forzare, da parte della scienza, i limiti naturali e di creare sempre più una seconda natura artificiale. Mi riferisco a tutto il problema delle biotecnologie, del transgenico ecc.

DW

Penso che si tratti di un’attitudine faustiana. Credo che occorra ritornare a provare la paura primordiale. Dobbiamo in un certo senso ritornare al rapporto con la divinità, con dio, accettare che vi sono dei limiti alla conoscenza umana. Le idee prometeiche o ulissiche, ciò che spinge a ripartire ancora una volta da casa per raggiungere altre mete… tutto questo è stato vero, fa parte della nostra storia, non può essere negato ma occorre avere la consapevolezza che quanto più si prosegue su questa strada tanto più tutto diventa più pericoloso. Si può andare avanti solo accettando il compiersi di un tragico destino…Tornando alla paura, tutto questo che le dico è vecchio quanto il mondo, l’ammonimento a non superare certi limiti è antico, ma si tratta di un atteggiamento opposto a quello della ricerca scientifica che richiede di andare sempre avanti, di superare le barriere. Andare avanti significa scoprire che nulla è intimo.

L’esplorazione della scienza in sé va bene, ma solo se si ha un’idea tragica di questo destino. Quello che voglio dire, in sostanza, è che se decido di compiere un certo passo devo assumermi la responsabilità di sapere che cosi facendo qualcosa di tragico potrebbe accadermi; se invece si va avanti senza assunzione di responsabilità, neppure nei confronti di se stessi, allora non va bene. E’ un atteggiamento antico anche questo… si dovrebbe sapere che non si diventa dio grazie a quella conoscenza: questo è un concetto basilare del mondo greco, ma anche del Medio Evo. Purtroppo siamo andati così avanti che stiamo perdendo quest’idea fondamentale e il potere dei poeti sta nella capacità di indicare questo destino tragico cui si va incontro. Questo non significa bloccare la ricerca scientifica ma fornire o tornare a fornire quel pensiero fondamentale che le dicevo, che l’idea di hybris, che è parte dell’idea di tragedia, dovrebbe essere investigata essa stessa.

Walcott 3FR

Mi sembra che piuttosto che la ricerca scientifica in sé voi siete preoccupato dell’ideologia di tipo ottimistico che si accompagna alla ricerca. E’ cosi?

DW

 Quello che voi dite è forse un po’ forzato. L’esperimento scientifico in sé non può essere giudicato in termini di moralità esterna a esso: da questo però scaturisce anche l’idea di potere fare qualsiasi cosa in nome della scienza. Quello che io affermo è che bisogna ritornare a una specie di formula medioevale che sappia contemplare la conservazione di certi aspetti dell’umanità. Il ruolo del poeta è proprio quello di rendere consapevoli del destino tragico. Quello che mi stupisce è che non c’è scrittura tragica intorno a questi temi, ciò che abbiamo è una specie di esaltazione superficiale, specialmente in opere teatrali o cinematogratìche: ciò che ci manca è la dimensione del tragico nel suo senso più alto. La scienza non può avere nessuna idea del tragico. E’ chiaro che se tutto viene misurato come esperimento diventa un bene clonare le pecore o addirittura gli esseri umani, ma io non sono affatto sicuro che la direzione della scienza debba essere questa… Capisco che dire ciò possa suonare ingenuo e persino stupido, ma è quel genere di stupidità che ci può salvare, quella paura che ti fa dire no, là non andarci, non fare questo ecc. I grandi poeti tragici in fondo hanno fatto ciò e io sono stupito che nonostante tutti gli orrori del ventesimo secolo noi abbiamo una mancanza di grandi scrittori tragici, non è forse strano questo?

walcott in occasione del premio nobel

derek walcott

FR

Sì, è strano, questo ha a che fare con il positivismo… con questa idea del progresso indefinito che è tipico della cultura occidentale…Torniamo a quello che lei diceva sul ritorno a una attitudine medioevale… A quei tempi era il sacerdote, uso anch’io questa parola nel senso in cui lei l’ha usata, a rappresentare questa idea del tragico, insieme ai grandi poeti. Il problema nostro è di domandarci chi possa farlo oggi: ancora i poeti voi dite, diciamo gli artisti in generale…

DW

Sulla parola arte e artisti non saprei, prenda la musica, è ottimistica in sé… Vediamo, le propongo un gioco accademico. Chi pensa lei abbia convogliato su di sé il senso del tragico nel 900; non dell’assurdo, non sto pensando a Beckett che trasforma il tragico in assurdo, così come altri del pensiero negativo, lonescu… Forse qualcuno c’è, Mandel’stam… e poi?

FR

Celan forse…

DW

 Sì però per Celan bisogna considerare che il suo punto di vista tragico dipende strettamente dalla sua esperienza… Domandiamoci per esempio perché non ci sono grandi tragici negli Stati Uniti: secondo me dipende dalla tecnica. Quando si pensa a un grande poeta americano si pensa subito a Whitman, che era un grande ottimista. Venendo a tempi più vicini, anche un Frost a me non pare rappresenti una forte idea del tragico. Questa del tragico è una questione che ossessionava anche Yeats. Il tragico, fra l’altro, ha a che fare con il suo opposto: nei grandi poeti tragici, al fondo c’è un nucleo di gioia. Bene, forse in questo senso la letteratura dei Caraibi ha qualcosa da dire, perché il senso del tragico ha al fondo qualcosa di gioioso, solo che questo si è trasformato spesso in una sorta di protesta nera e non stiamo parlando di questo ma di qualcosa che sa elevarsi a livello del terrifico e del sublime.

FR

E Kafka?

DW

Credo ci sia una differenza con quello che davvero raggiunge la sublimità della tragedia. Kafka, almeno quello che ho letto io, si è fermato anche lui a un certo punto.

FR

Nella Grecia antica la tragedia fu abolita, fu Pericle a farlo perché la tragedia non aveva soluzione, la catarsi, infatti, non lo è. Pericle disse che bisognava mettere fuori dalla polis un genere che non suggeriva soluzioni e lo disse in nome del governo della città e della sua stabilità. In un certo senso nella Grecia antica furono la politica e il controllo politico ad abolire la tragedia. Forse sta accadendo o è accaduto qualcosa di simile anche nel mondo contemporaneo occidentale.

DW

Sì, nei sistemi dittatoriali il cosiddetto bene comune detta delle regole molto restrittive, dice alle persone cosa è bene e cosa è male, mentre nella tragedia tutto fluttua, non c’è stasi. Sì forse c’è qualcosa di tragico nella legge dello stato, nella regola statuale. Il problema è che la legge dello stato viene obbedita, mentre non esiste più un potere diverso. Fra un dittatore e un buon papa scelgo quest’ultimo, sempre che non diventi un dittatore anche lui, perché se una religione diventa a sua volta autoritaria allora non va…

FR

Voi state dicendo che fra sentimento religioso e governo laico dello stato ci deve essere un certo bilanciamento di poteri… questo ai nostri tempi avviene forse soltanto nel mondo islamico, forse è in quel mondo che troviamo oggi un senso del tragico che qui manca.

DW

Sì, quello che lei tocca è un punto molto interessante.

Derek Walcott: tre poesie

Lontano dall’Africa

Un vento scompiglia la fulva pelliccia
Dell’Africa. Kikuyu, veloci come mosche,
Si saziano ai fiumi di sangue del veld.
Cadaveri giacciono sparsi in un paradiso.
Solo il verme colonnello del carcame, grida:
«Non sprecate compassione su questi morti separati!».
Le statistiche giustificano e gli studiosi colgono
I fondamenti della politica coloniale.
Che senso ha questo per il bimbo bianco squartato
nel suo letto?
Per selvaggi sacrificabili come Ebrei?

Trebbiati da battitori, i lunghi giunchi erompono
In una bianca polvere di ibis le cui grida
Hanno vorticato fin dall’alba della civiltà
Dal fiume riarso o dalla pianura brulicante di animali.
La violenza della bestia sulla bestia è intensa
Come legge naturale, ma l’uomo eretto
Cerca la propria divinità infliggendo dolore.
Deliranti come queste bestie turbate, le sue guerre
Danzano al suolo della tesa carcassa di un tamburo,
Mentre egli chiama coraggio persino quel nativo terrore
Della bianca pace contratta dai morti.

Di nuovo la brutale necessità si terge le mani
Sul tovagliolo di una causa sporca, di nuovo
Uno spreco della nostra compassione, come per la Spagna,
Il gorilla lotta con il superuomo.
Io, che sono avvelenato dal sangue di entrambi,
Dove mi volgerò, diviso fin dentro le vene?
Io che ho maledetto
L’ufficiale ubriaco del governo britannico, come
sceglierò Tra quest’Africa e la lingua inglese che amo?
Tradirle entrambe, o restituire ciò che danno?
Come guardare a un simile massacro e rimanere freddo?
Come voltare le spalle all’Africa e vivere?

A wind is ruffling the tawny pelt
Of Africa. Kikuyu, quick as flies,
Batten upon the bloodstreams of the veldt.
Corposes are scattered through a paradise.
Only the worm, colonel of carrion, cries:
«Waste no conpassion on these separate dead!».
Statistics justify and scholars seize
The salients of colonial policy.
What is that to the white child hacked in bed?
To savages, expendable as Jews?

Threshed out by beaters, the long rushes break
In a white dust of ibises whose cries
Have wheeled since civilization’s dawn
From the parched river or beast-teeming plain.
The violence of best on beast is read
As natural law, but upright man
Seeks his divinity by inflicting pain.
Delirious as these worried beasts, his wars
Dance to the tightened carcass of a drum,
While he calls courage still that native dread
Of the white peace contracted by the dead.

Again brutish necessity wipes its hands
Upon the napkin of a dirty cause, again
A waste of our compassion, as with Spain,
The gorilla wrestles with the superman.
I who am poisoned with the blood of both,
Where shall I turn, divided to the vein?
I who have cursed
The drunken officer of British rule, how choose
Between this Africa and the English tongue I love?
Betray them both, or give back what they give?
How can I face such slaughter and be cool?
How can I turn from Africa and live?

[da Mappa del nuovo mondo, Adelphi, Milano 1992; Traduzione di Barbara Bianchi]
A far cry from Africa

***

Il naufrago

L’occhio affamato divora la marina per un tozzo
di vela.

L’orizzonte la percorre all’infinito.

L’azione nutre la frenesia. Io giaccio,
veleggiando l’ombra nervata di una palma,
temendo il moltiplicarsi delle mie impronte.

Sabbia che vola, esile come fumo,
annoiata, sposta le sue dune.
La risacca si stanca dei suoi castelli come un bambino.

La verde vite salata con gialle bignonie,
una rete, attraversa lenta il nulla.
Nulla: la rabbia di cui è piena la testa del flebotomo.

Piaceri di un vecchio:
mattino: contemplativa evacuazione, rimirando
la foglia secca, progetto di natura.

Al sole, le feci del cane
s’incrostano, sbiancano come corallo.
Finiamo nella terra, dalla terra siamo cominciati.
Nelle nostre viscere, genesi.

Se ascolto posso udire il polipo al lavoro,
il silenzio infranto da due onde del mare.
Schiacciando un pidocchio marino, faccio schiantare il tuono.

Come un Dio, annullando la divinità, l’arte
e l’Io, abbandono
morte metafore: il cuore simile a foglia di mandorlo,

il cervello maturo che marcisce come una noce gialla
covando
la sua babele di pidocchi marini, flebotomi e bruchi,

quel vangelo della bottiglia verde, soffocato di sabbia,
con l’etichetta, una nave affondata,
serranti legni marini inchiodati e bianchi come la mano di un uomo.

The Castaway

The starved eye devours the seascape for the morsel
of a sail.

The horizon threads it infinitely.

Action breeds frenzy. I lie,
sailing the ribbed shadow of a palm,
afraid lest my own footprints multiply.

Blowing sand, thin as smoke,
bored, shifts its dunes.
The surf tires of its castles like a child.

The salt green vine with yellow trumpet-flower,
a net, inches across nothing.
Nothing: the rage with which the sandfly’s head is filled.

Pleasures of an old man:
morning: contemplative evacuation, considering
the dried leaf, nature’s plan.

In the sun, the dog’s feces
crusts, whitens like coral.
We end in earth, from earth began.
In our own entrails, genesis.

If I listen I can hear the polyp build,
the silence thwanged by two waves of the sea.
Cracking a sea-louse, I make thunder split.
Godlike, annihilating godhead, art
and self, I abandon
dead metaphors: the almond’s leaf-like heart,

the ripe brain rotting like a yellow nut
hatching
its babel of sea-lice, sandfly, and maggot,

that green wine bottle’s gospel choked with sand,
labelled, a wrecked ship,
clenched sea-wood nailed and white as a man’s hand.

[da Mappa del nuovo mondo, Adelphi, Milano 1992; Traduzione di Barbara Bianchi]

***

Il negro rosso che ama il mare

Io sono solamente un negro rosso che ama il mare,
ho avuto una buona istruzione coloniale,
ho in me dell’olandese, del negro e dell’inglese,
sono nessuno, o sono una nazione.

I’m just a red nigger who love the sea,
I had a sound colonial education,
I have Dutch, nigger, and English in me,
and either I’m nobody, or I’m a nation

[da Mappa del nuovo mondo, Adelphi, Milano 1992; Traduzione di Barbara Bianchi]

***

Mappa del nuovo Mondo

Alla fine di questa frase, comincerà la pioggia.
All’orlo della pioggia, un vela.

Lenta la vela perderà di vista le isole;
in una foschia se ne andrà la fede nei porti
di un’intera razza.

La guerra dei dieci anni è finita.
La chioma di Elena, una nuvola grigia.
Troia, un bianco accumulo di cenere
vicino al gocciolar del mare.

Il gocciolio si tende come le corde di un’arpa.
Un uomo con occhi annuvolati raccoglie la pioggia
e pizzica il primo verso dell’Odissea.

[da Mappa del nuovo Mondo]

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12 risposte a “INTERVISTA A DEREK WALCOTT (1930-2017) di Franco Romanò su Tradizione, le Avanguardie e il Modernismo – TRE POESIE – La poesia è più difficile da corrompere perché tende a espellere il poeta corrotto; La condizione in cui mi trovo è quella dell’innocenza; non ho amato mai troppo il verso lungo, o diciamo troppo lungo, alla Whitman per intenderci, o anche alla Ginsberg; Il ruolo del poeta è proprio quello di rendere consapevoli del destino tragico.

  1. Cito perché condivido profondamente:

    Di buono c’è che, sebbene alcuni poeti siano inclini a seguire questo modello, la poesia è più difficile da corrompere perché tende a espellere il poeta corrotto.

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  2. Dice Walcott: «Fare poesia vuole dire entrare volontariamente in una prigione».
    Rammento a memoria una frase di Brodskij: «La poesia è una terribile scuola di incertezza e di insicurezza».
    Il Novecento europeo, afferma Walcott, segna l’eclisse del «tragico», e fa un nome solo che si è sottratto a questo destino infausto: Mandel’stam.
    L’intervista traccia delle linee molto ampie. Walcott ha una idea fondamentale, centrale, tramite la quale osserva le vicende del mondo e le sottopone a un riesame radicale. Tornare al una sorta di «innocenza» non significa che il poeta debba essere ingenuo, anzi, al contrario, implica la presa di distanza dalla cultura da cui egli è venuto.
    Dunque, riepilogando, la poesia è, nello stesso tempo una «prigione» e «una terribile scuola di insicurezza e di incertezza». Soltanto avendo in mente ben chiari questi concetti oggi un poeta degno di questo nome può mettere delle parole sulla carta.

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  3. sante Camo

    A me ritornare all’ innocenza sembra un equivoco. Ormai lo conosciamo l’albero della sapienza del bene e del male. Questo è nostalgia verso le poesie del passato. E non c’è nulla di bello o di buono ritornale all’ingenuità. Anche questo è un paradigma predestinato all’ubbidienza dei padroni dell’arte. E’ disingenuo (in malafede) scegliere questa strada.

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  4. Giuseppina Di Leo

    Interessante quanto dice Walcott in merito al concetto di innocenza inteso come presa di coscienza della precarietà delle vicende della storia e dell’uomo. L’invocato ritorno al “senso del tragico”, che “ha al fondo qualcosa di gioioso”, è un modo niente affatto semplice per ritrovare i propri limiti o prigione che dir si voglia. Condivido senz’altro.

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  7. L’ha ribloggato su lingvo-vojoe ha commentato:
    Un articolo molto interessante

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  8. antonio sagredo

    Walcott influenzato da Brodskij, riguardo Mandel’štam? Certamente.

    INTERVISTA A DEREK WALCOTT (1930-2017) di Franco Romanò su Tradizione, le Avanguardie e il Modernismo – TRE POESIE – La poesia è più difficile da corrompere perché tende a espellere il poeta corrotto; La condizione in cui mi trovo è quella dell’innocenza; non ho amato mai troppo il verso lungo, o diciamo troppo lungo, alla Whitman per intenderci, o anche alla Ginsberg; Il ruolo del poeta è proprio quello di rendere consapevoli del destino tragico.


    Se il secondo non gliene avesse parlato, il primo non avrebbe mai saputo nulla del terzo, o pochissimo della sua esistenza. E così via. Il secondo che afferma che la E. Bishop è stata “la Callas della poesia del Novecento” (una stronzata!) testimonia che è stato fortemente contaminato dalla maniera di far critica letteraria del/dal critico fittizio Harold Bloom. (fuori della sua non più Russia ha scordato come si scrive di/la critica letteraria come la scrissero i grandi teorici della critica russi). Resto convinto che Brodskij è grande come saggista, ma come poeta è molto al di sotto di quegli otto grandi poeti russi del ‘900.(perché fare i nomi? dovresti conoscerli a memoria!)
    Quello del raffronto della Bishop con altre poetesse è solo uno degli innumerevoli esempi squallidi di come si esprime – ma scrive davvero? – la critica letteraria americana.
    La triade Walcott, Brodskij, Seamus Heaney era una banda di poeti altamente critica: andava avanti per comparazioni, gerarchie (questo poeta più grande di quello,e così via), raffronti arbitrari senza capo né coda: provate a leggere le pagine critiche del Bloom: c’è da sbellicarsi dalle risa: una superficialità dozzinale a tutto spiano.
    Walcott, a parte le atmosfere esoticheggianti descritte con perizia, il suo pensiero frana nell’immediatezza del senso poetico che si evolve ( non come le onde cicliche dei suoi mari tropicali, che ripetono senza requie concetti-canti)… si frange dunque il suo pensiero come le spume del suo oceano in evanescenze estatiche e misticheggianti (di derivazione sciamanica più o meno)… quando dice dei misteri dei mari e degli abissi e altro sulle coste lussureggianti o desertiche limitrofe, ebbene, preferisco visitare il “Cimitero Marino” del francese Valery, almeno qui ci trovo la profondità di concetti e pochissima descrizione: siamo all’opposto! –
    Leggete bene le sue parole – critica? – nell’intervista: solo banalità che potrebbe dire qualsiasi persona, dunque senso scipito del quotidiano, nulla di metafisico candore che invece troviamo nelle brughiere e torbiere di Seamus Heaney – metafisica che assenta il Brodskij che cade spesso nelle romanticherie, presente una epica cantata nei saggi, assente invece nei versi” americani; Heaney invece, come versificatore di nostalgiche cristallografie delle “pietre erranti” alla Joyce, di questi ne diviene quasi l’erede: cantastorie del catrame e delle vanghe che battono i terreni!
    Ma Walcott è fermo ai suoi marosi e tenta l’impossibile “oceano” col suo Omero-Odisseus-Ulysses: poema che dovrebbe essere tempestoso come i flagellanti marosi orridi dello stretto di Magellano, e invece è statico: mi sono rotto davvero le scatole: iterazioni a non finire che avrebbero avuto secondo l’autore imitare o rappresentare i ritmi ciclici dei canti e delle danze sciamaniche e altro… e pure riesce monumentalmente statico….
    ah, quanto preferisco gli oceani terribilmente impossibili di Isidore Ducasse, Comte di Lautreamont!- Il respiro alato e micidiale della crudeltà linguistica di questi è assente totalmente nel poema di W., che non ha nulla dei grandi spiriti ultramondani: tu leggi, leggi e già pensi di buttare il libro in pasto agli squali tropicali: dunque come se non avesse stile: meglio alloraq che io fissi la mia “accidia di lagune”!
    Antonio Sagredo

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  9. antonio sagredo

    La risposta a una domanda inaccessibile è una risposta.

    (dal poema OXFORD, 2010)
    ———————
    Nella RISPOSTA DI CUI NON ABBIAMO MAI SAPUTO se c’è QUALCOSA
    o il Nulla, Né mai SAPREMO, è la SUA DOMANDA!

    Quella RISPOSTA CHE NON RITORNA è LA STESSA DOMANDA
    CHE NON è MAI PARTITA!

    (dal poema LEMURIA, 2009)
    ——————————
    Io sono esente per grazia umana, e nella mia parola non c’è risposta!
    E non ho l’acrimonia del vivere, solo voglio esserci quando accadrà.

    (da Me ne fotto!, 2011)

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  10. Pingback: INTERVISTA A DEREK WALCOTT (1930-2017) di Franco Romanò su Tradizione, le Avanguardie e il Modernismo – TRE POESIE – | lingvo-vojo

  11. Cercavo dei commenti sull’opera di Walcott che mi indicassero qualche sentiero, rifferimento pur di iniziare le mie letture.
    Eccone uno che oltrepassa le mie aspettative.
    Vi ringrazio, vi saluto!

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