Gino Rago e Mario M. Gabriele sull’Antologia di Poesia dell’Epoca della stagnazione spirituale, Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Roma, Progetto Cultura, 2016 pp.352 € 18) a cura di Giorgio Linguaglossa VERSO UNA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA – I poeti del Presente ablativo – con Nove poesie di Maria Rosaria Madonna. PRESENTAZIONE DELLA ANTOLOGIA Venerdì, 21 ottobre h 17.30, All’ALEPH, Vicolo del Bologna, 72 ROMA

Antologia cop come è finita la guerra di Troia non ricordo

Gino Rago

VERSO UN NUOVO PARADIGMA POETICO

La Introduzione di Giorgio Linguaglossa non lascia margini ad ulteriori dubbi: si è chiusa in modo definitivo la stagione del post-sperimentalismo novecentesco, si sono esaurite le proposte di mini canoni e di mini progetti lanciati da sponde poetiche le più diverse ma per motivi, diciamo, elettoralistici e auto pubblicitari, si sono esaurite la questione e la stagione dei «linguaggi poetici», anche di quelli finiti nel buco dell’ozono del nulla; la poesia italiana sembra essere arrivata ad un punto di gassosità e di rarefazione ultime dalle quali non sembra esservi più ritorno. Questo è il panorama se guardiamo alle pubblicazioni delle collane a diffusione nazionale, come eufemisticamente si diceva una volta nel lontano Novecento. Se invece gettiamo uno sguardo retrospettivo libero da pregiudizi sul contemporaneo al di fuori delle proposte editoriali maggioritarie, ci accorgiamo di una grande vivacità della poesia contemporanea. È questo l’aspetto più importante, credo, del rilevamento del “polso” della poesia contemporanea. Restano sul terreno  voci poetiche totalmente dissimili ma tutte portatrici di linee di ricerca originali e innovative.

Molte delle voci di poesia antologizzate vibrano, con rara consapevolezza dei propri strumenti linguistici, in quell’area denominata L’Epoca della stagnazione estetica e spirituale, che non significa riduttivamente stagnazione della poesia ma auto consapevolezza da parte dei poeti più intelligenti della necessità di intraprendere strade nuove di indagine poetica riallacciandosi alle poetiche del modernismo europeo per una «forma-poesia» sufficientemente ampia che sappia farsi portavoce delle nuove esigenze espressive della nostra epoca. Innanzitutto, il decano della nuova poesia è espressamente indicato nella persona di Alfredo de Palchi, il poeta che con Sessioni per l’analista del 1967, inaugura una poesia frammentata e proto sperimentale, una linea che, purtroppo, rimarrà priva di sviluppo nella poesia italiana del tardo Novecento ma che è bene, in questa sede, rimarcare per riallacciare un discorso interrotto. Un percorso che riprenderà Maria Rosaria Madonna con il suo libro del 1992, Stige, forse il discorso più frammentato del Novecento, dove il «frammento è l’intervento della morte dell’opera. Col distruggere l’opera, la morte ne elimina la macchia dell’apparenza»(T.W. Adorno Teoria estetica, 1970 Einaudi).

Un discorso sul «frammento» in poesia ci porterebbe lontano ma ci aiuterebbe a collocare certe opere del Novecento, come quella citata di de Palchi con l’altra di Maria Rosaria Madonna.

In un certo senso, questa Antologia vuole riallacciare un «discorso interrotto», collegare i «membra disiecta», capire le ragioni che lo hanno «interrotto» per ripartire con maggiore consapevolezza da un nuovo discorso critico della poesia del secondo Novecento. Forse adesso i tempi sono maturi per rimettere al centro della poesia italiana del secondo Novecento poeti come Alfredo de Palchi, Angelo Maria Ripellino ed Helle Busacca, ma anche Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher ingiustamente dimenticati. Ne uscirebbe una nuova mappa della poesia italiana. In fin dei conti, questa Antologia vuole essere un contributo per la rilettura della poesia del secondo Novecento.

Se c’è una unica chiave di lettura della poesia del Presente essa sta, a mio avviso, nello spartiacque rispetto alle Antologie storiche come Il pubblico della poesia del 1975 a cura di Alfonso Berardinelli e Franco Cordelli che apriva ad un’epoca della «poesia-massa» e ai poeti «uomini di fede», non più «intellettuali» a tutto tondo come quelli della precedente generazione poetica. I poeti dell’epoca della stagnazione sono dei solisti e degli isolati, sanno di essere fuori mercato e fuori moda, sanno di essere dei reperti post-massa e ne accettano le conseguenze: Annamaria De Pietro, Carlo Bordini, Renato Minore, Lucio Mayoor Tosi, Alfredo Rienzi, Anna Ventura, Antonio Sagredo, Giorgio Linguaglossa, Letizia Leone, Steven Grieco-Ratgheb,  Edith Dzieduszycka, Mario M. Gabriele, Stefanie Golisch, Ubaldo De Robertis, Guglielmo Aprile, Flavio Almerighi, Gino Rago, Giuseppina Di Leo, Giuseppe Talìa (ex Panetta)sono autori non legati da rapporti amicali o di gruppo, personalità indipendenti che si sono mosse da tempo e si muovono ciascuna per proprio conto ma in direzione d’un eurocentrismo «critico » e dunque proiettate oltre la crisi, oltre Il postmoderno, oltre il problema dei linguaggi poetici epigonici.

Alcuni autori fanno una poesia del presente ablativo (Flavio Almerighi, Giulia Perroni, Luigi Celi, Adam Vaccaro, Antonella Zagaroli), altri adottano lo scandaglio mitico del “modernismo” europeo:  si  guarda a  narratori come Joyce con l’Ulisse, a Salman Rushdie con Versetti satanici (1998), a T.S. Eliot con La Terra Desolata, ma anche a Mandel’stam, Pasternak, Cvetaeva, agli svedesi Tomas Tranströmer , Lars Gustafsson, Kjell Espmark, ai polacchi Milosz, Herbert, Rozewicz, Szymborska, Zagajewskij, si rivisitano alcuni miti da traslare nello spirito del contemporaneo. Poesia che adotta il  metodo mitico come allegoria del tempo presente (Rossella Cerniglia, Francesca Diano, Giorgio Linguaglossa, Gino Rago) con esiti notevoli. Si tratta di autori nuovi ma non più giovanissimi né nuovissimi, l’aspetto più appariscente è l’assenza dei poeti delle nuove generazioni, e questo è un elemento degno di essere sottolineato e approfondito che consegno alla riflessione dei lettori.

C’è una diffusa consapevolezza della Crisi dei linguaggi e della rappresentazione poetica quale dato di fatto da cui prendere atto e ripartire; sono i poeti «abilitati dalla consapevolezza della frammentazione dei  linguaggi e della dis-locazione del soggetto poetante» – come giustamente segnala Giorgio Linguaglossa in Prefazione – sono i poeti antologizzati che spingono il metodo mitico nella forma del «frammento», accelerando la crisi di quell’ «Io» non più centro unificante delle esperienze, né più unità di misura del reale, ma ente frantumato, disgregato della realtà nella quale una certa «coscienza» di ciò che è da considerarsi «poetico» è tramontata forse irrimediabilmente ed ha smesso d’essere luogo della sintesi. L’«io» è stato de-territorializzato definitivamente, e di questo bisogna, credo, prenderne atto e tirarne le conseguenze.

Direi che la nuova poesia guarda con interesse ai nuovi indirizzi della fisica teorica, della cosmologia, della biogenetica, in una parola pensa ad una nuova ontologia del poetico

Roma, agosto 2016

Ulteriori, importantissime notizie  possono essere attinte dalle preziose meditazioni critiche di Luigi Celi intorno a Come è finita la guerra di Troia non ricordo  su altre voci poetiche di rilievo presenti  nell’Antologia di Poesia Italiana Contemporanea, postate su L’Ombra delle Parole del 18 luglio 2016.

https://lombradelleparole.wordpress.com/?s=luigi+celi

Postilla di Giorgio Linguaglossa  VERSO UN NUOVO PARADIGMA POETICO

Cambiamento di paradigma (dizione con cui si indica un cambiamento rivoluzionario di visione nell’ambito della scienza), è l’espressione coniata da Thomas S. Kuhn nella sua importante opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) per descrivere un cambiamento nelle assunzioni basilari all’interno di una teoria scientifica dominante.

L’espressione cambiamento di paradigma, intesa come un cambiamento nella modellizzazione fondamentale degli eventi, è stata da allora applicata a molti altri campi dell’esperienza umana, per quanto lo stesso Kuhn abbia ristretto il suo uso alle scienze esatte. Secondo Kuhn «un paradigma è ciò che i membri della comunità scientifica, e soltanto loro, condividono” (La tensione essenziale, 1977). A differenza degli scienziati normali, sostiene Kuhn, «lo studioso umanista ha sempre davanti una quantità di soluzioni incommensurabili e in competizione fra di loro, soluzioni che in ultima istanza deve esaminare da sé” (La struttura delle rivoluzioni scientifiche). Quando il cambio di paradigma è completo, uno scienziato non può, ad esempio, postulare che il miasma causi le malattie o che l’etere porti la luce. Invece, un critico letterario deve scegliere fra un vasto assortimento di posizioni (es. critica marxista, decostruzionismo, critica in stile ottocentesco) più o meno di moda in un dato periodo, ma sempre riconosciute come legittime. Sessioni con l’analista, invece, invitava a cambiare il modo con cui si considerava il modo di impiego della poesia, ma i tempi non erano maturi, De Palchi era arrivato fuori tempo, in anticipo o in ritardo, ma comunque fuori tempo, e fu rimosso dalla poesia italiana. Fu ignorato in quanto fu equivocato.

Dagli anni ’60 l’espressione è stata ritenuta utile dai pensatori di numerosi contesti non scientifici nei paragoni con le forme strutturate di Zeitgeist. Dice Kuhn citando Max Planck: «Una nuova verità scientifica non trionfa quando convince e illumina i suoi avversari, ma piuttosto quando essi muoiono e arriva una nuova generazione, familiare con essa.”

Quando una disciplina completa il suo mutamento di paradigma, si definisce l’evento, nella terminologia di Kuhn, rivoluzione scientifica o cambiamento di paradigma. Nell’uso colloquiale, l’espressione cambiamento di paradigma intende la conclusione di un lungo processo che porta a un cambiamento (spesso radicale) nella visione del mondo, senza fare riferimento alle specificità dell’argomento storico di Kuhn.

Secondo Kuhn, quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato contro un paradigma corrente, la disciplina scientifica si trova in uno stato di crisi. Durante queste crisi nuove idee, a volte scartate in precedenza, sono messe alla prova. Infine si forma un nuovo paradigma, che conquista un suo seguito, e una battaglia intellettuale ha luogo tra i seguaci del nuovo paradigma e quelli del vecchio. Ancora a proposito della fisica del primo ‘900, la transizione tra la visione di James Clerk Maxwell dell’elettromagnetismo e le teorie relativistiche di Albert Einstein non fu istantanea e serena, ma comportò una lunga serie di attacchi da entrambi i lati. Gli attacchi erano basati su dati empirici e argomenti retorici o filosofici, e la teoria einsteiniana vinse solo nel lungo termine. Il peso delle prove e l’importanza dei nuovi dati dovette infatti passare dal setaccio della mente umana: alcuni scienziati trovarono molto convincente la semplicità delle equazioni di Einstein, mentre altri le ritennero più complicate della nozione di etere di Maxwell. Alcuni ritennero convincenti le fotografie della piegature della luce attorno al sole realizzate da Arthur Eddington, altri ne contestarono accuratezza e significato.

Possiamo dire che quell’epoca che va da L’opera aperta di Umberto Eco (1962) a Midnight’s children (1981) e Versetti satanici di Salman Rushdie (1988) si è concluso il Post-moderno e siamo entrati in una nuova dimensione. Nel romanzo di Rushdie il favoloso, il fantastico, il mitico, il reale diventano un tutt’uno, diventano lo spazio della narrazione dove non ci sono separazioni ma fluidità. Il nuovo romanzo prende tutto da tutto. Oserei dire che con la poesia di Tomas Tranströmer finisce l’epoca di una poesia lineare (lessematica e fonetica) ed  inizia una poesia topologica che integra il fattore Tempo (da intendere nel senso delle moderne teorie matematiche topologiche secondo le quali il quadrato e il cerchio sono perfettamente compatibili e scambiabili) ed il fattore Spazio. Chi non si è accorto di questo fatto, continuerà a scrivere romanzi tradizionali (del tutto rispettabili) o poesie tradizionali (basate ancora su un concetto di reale e di finzione separati), ovviamente anch’esse rispettabili; ma si tratta di opere di letteratura che non hanno l’acuta percezione, la consapevolezza che siamo entrati in un nuovo «dominio” (per dirla con un termine nuovo).

Giorgio Linguaglossa Gino Rago

G. Linguaglossa e G. Rago

Appunto di Mario M. Gabriele

La recente antologia di Giorgio Linguaglossa: Come è finita la guerra di Troia non ricordo. Poesia italiana contemporanea, Edizioni Progetto Cultura, 2016, non appartiene a nessuna di quelle pubblicate nel Secondo Novecento, in quanto ha una sua specifica particolarità, che è quella della diversità progettuale, al di là dei consueti sistemi linguistici omologati. Questa antologia ha il pregio di essere un ventaglio poetico aperto a tutto campo, rispetto alle antologie generazionali e sperimentali degli anni Settanta-Ottanta. Essa si collega, senza preclusione alcuna, nelle diverse proposte poetiche, mai ferite dal pregiudizio, e da qualsiasi altra interferenza. Il curatore ha operato un proprio sistema di “guida” per immettere la poesia nel giusto raccordo anulare. Nel Postmoderno la poesia ha cambiato il proprio cromosoma. Il locus preferito è un fondo senza fondo, dal quale risalgono  in superficie  i detriti fossili e linguistici. È forse questo il vero senso di appartenenza della poesia: essere per non essere. In questo repertorio vengono alla luce modelli diversi fra loro, per sensibilità, stile e provenienza culturale, come un laboratorio fenomenologico di spezzoni del nostro vivere quotidiano, distanziato da qualsiasi affiancamento all’emozione, fatta evaporare dalle attuali condizioni di crisi economica e mondiale, che si riflettono poi sulla poesia. Allora si può ben dire che l’operazione antologica di Linguaglossa non ha nulla a che vedere con le periodizzazioni dei vari Cortellessa e nipotini universitari, e con qualsiasi procedimento di repressione e omissione di nomi e opere, in quanto trattasi di autentico disvelamento di voci e opere poetiche che hanno ridato dignità e fiato alla parola, con un nuovo rinascimento linguistico, che non esclude l’acquisizione delle figure grammaticali percepite for its own sake and interest, (al di là e al di fuori del significato delle parole”. (Hopkins). I poeti presenti sono: Flavio Almerighi, Guglielmo Aprile, Carlo Bordini, Luigi Celi, Rossella Cerniglia, Alfredo de Palchi, Annamaria De Pietro, Ubaldo De Robertis, Francesca Diano, Giuseppina Di Leo, Edith  Dzieduszycka, Mario M.Gabriele, Stefanie Golisch, Steven Grieco-Rathgeb, Letizia Leone, Giorgio Linguaglossa, Maria Rosaria Madonna, Renato Minore, Giuseppe Panetta, Giulia Perroni, Gino Rago, Alfredo Rienzi, Antonio Sagredo, Lucio Mayor Tosi, Adam Vaccaro, Anna Ventura, e Antonella Zagaroli, che formano un mosaico poetico dai molteplici riflessi espressivi.

Infine, una parola sul titolo Come è finita la guerra di Troia non ricordo, ci porta all’interno della problematica dell’oblio dell’Essere e dell’oblio della Memoria, tipica della nostra civiltà tecnologica. L’Epoca della stagnazione stilistica e spirituale diventa in questa antologia l’accettazione e l’esaltazione della pluralità degli stili e dei modelli, riconquistata libertà da ogni ipotesi di forzosa omogeneizzazione stilistica per motivi che con la poesia nulla hanno a che fare. Un ventaglio di proposte poetiche di alto valore estetico che è un grande merito aver valorizzato e riunificato in una Antologia veramente plurale.

Poesie di Maria Rosaria Madonna (1940-2002) comprese nella Antologia

Sono arrivati i barbari

«Sono arrivati i barbari, Imperatore! – dice un messaggero
che è giunto da luoghi lontani – sono già
alle porte della città!».
«Sono arrivati i barbari!», gridano i cittadini nell’agorà.
«Sono arrivati, hanno lunghe barbe e spade acuminate
e sono moltitudini», dicono preoccupati i cittadini nel Foro.
«Nessuno li potrà fermare, né il timore degli dèi
né l’orgoglio del dio dei cristiani, che del resto
essi sconoscono…».
E che farà adesso l’Imperatore che i barbari sono alle porte?
Che farà il gran sacerdote di Osiride?
Che faranno i senatori che discutono in Senato
con la bianca tunica e le dande di porpora?
Che cosa chiedono i cittadini di Costantinopoli?
Chiedono salvezza?
Lo imploreranno di stipulare patti con i barbari?
«Quanto oro c’è nelle casse?»
chiede l’Imperatore al funzionario dell’erario
«E qual è la richiesta dei barbari?».
«Quanto grano c’è nelle giare?»
chiede l’Imperatore al funzionario annonario
«E qual è la richiesta dei barbari?».
«Ma i barbari non avanzano richieste, non formulano pretese»
risponde l’araldo con le insegne inastate.
«E che cosa vogliono da noi questi barbari?»,
si chiedono meravigliati i senatori.
«Chiedono che si aprano le porte della città
senza opporre resistenza»
risponde l’araldo con le insegne inastate.
«Davvero, tutto qui? – si chiedono stupiti i senatori –
e non ci sarà spargimento di sangue? Rispetteranno le nostre leggi?
Che vengano allora questi barbari, che vengano…
Forse è questa la soluzione che attendevamo.
Forse è questa».

Parlano la nostra stessa lingua i Galli?

Si sono riuniti in Senato il Console
con i Tribuni della plebe
e i Legati del Senato… c’è un via vai di toghe
scarlatte, di faccendieri
e di bianche tuniche di lino dalle dande dorate
per le vie del Foro…
Qualcuno ha riaperto il tempio di Giano,
il tempio di Vesta è stato distrutto da un incendio
alimentato dalle candide vestali,
corre voce che gli aruspici abbiano vaticinato infausti presagi
che il volo degli uccelli è volubile e instabile
e un’aquila si sia posata sulla cupola del Pantheon
che sette corvi gracchiano sul frontone del Foro…
corrono voci discordi sulle bighe del vento
trainate da bizzosi cavalli al galoppo…
che il nostro esercito sia stato distrutto.

Caro Kavafis… ma tu li hai visti in faccia i barbari?
Che aspetto hanno? Hanno lunghe barbe?
Parlano una lingua incomprensibile?

E adesso che cosa farà il Console?
Quale editto emanerà il Senato dall’alto lignaggio?
Ci chiederà di onorare i nuovi barbari?
O reclamerà l’uso della forza?
Dovremo adottare una nuova lingua
per le nostre sentenze e gli editti imperiali?
Che cosa dice il Console?
Ci ordinerà la resa o chiamerà a raccolta gli ultimi
armati a presidio delle nostre mura?
Hanno ancora senso le nostre domande?
Ha ancora senso discettare sul da farsi?
C’è, qui e adesso, qualcosa di simile a un futuro?
C’è ancora la speranza di un futuro per i nostri figli?
E le magnifiche sorti e progressive?
Che ne sarà delle magnifiche sorti e progressive?

Sono ancora riuniti in Camera di Consiglio
gli Ottimati e discutono, discutono…
ma su che cosa discutono? Su quale ordine del giorno?
Ah, che sono arrivati i barbari?
Che bussano alla grande porta di ferro della nostra città?
Ah, dice il Console che non sono dissimili da noi?
Non hanno barba alcuna?
Che parlano la nostra stessa lingua


Autodifesa dell’imperatrice Teodora

Procopio? Chi è costui? Un menagramo, un bugiardo,
un calunniatore, un furfante.
Non date retta alle calunnie di Procopio.
È un bugiardo, ama gettare fango sull’imperatrice,
schizza bile su chiunque lo disdegni; è la bile
dell’impotente, del pervertito.
Ma è grazie a lui che passerò alla storia.
Sono la bieca, crudele, dissoluta, astuta Teodora,
moglie dell’imperatore Giustiniano, la padrona
del mondo orientale.
E se anche fosse vero tutto il fango che Procopio
mi ha gettato sul volto?
Se anche tutto ciò corrispondesse al vero? Cambierebbe qualcosa?
È stata mia l’idea di inviare Belisario in Italia!
È stata mia l’idea di un codice delle leggi universali!
E di mettere a ferro e a fuoco l’Africa intera.
Soltanto i morti sono eterni, ma devono essere
morti veramente, e per l’eternità affinché siano tramandati.
Un tradimento deve essere vero e intero perché ci se ne ricordi!
Voi mi chiedete:
«Che cosa penseranno di Teodora nei secoli futuri?».
Ed io rispondo: «Credete veramente che i posteri abbiano
tempo da perdere con le calunnie e le infamie di Procopio?
Che costui ha raccolto nei retrobottega di Costantinopoli
tra i reietti e i delatori della città bassa?».
Ebbene, sì, ho calcato i postriboli di Costantinopoli,
lo confesso. E ciò cambia qualcosa nell’ordito del mondo?
Cambia qualcosa?
Il potere delle parole? Vi dirò: esso è
debole e friabile dinanzi al potere delle immagini.
Per questo ho ordinato di raffigurare l’imperatrice Teodora
nel mosaico di San Vitale a Ravenna,
nell’abside, con tutta la corte al seguito…
E per mezzo dell’arte la mia immagine travalicherà l’immortalità.
Per l’eternità.
«Valuta instabile», direte voi.
«Che dura quanto lo consente la memoria», replico.
«A dispetto delle calunnie e dell’invidia di Procopio».


La reggia che fu di Odisseo

Che cosa vogliono i proci che frequentano
la reggia che fu di Odisseo?
E che ci fa sua moglie Penelope
che di giorno tesse la tela con le sue ancelle
e di notte tradisce il suo sposo
nel letto dei giovani proci?
Sono passati dieci anni dalla guerra di Troia
e poi altri dieci.
I proci dicono che Odisseo non tornerà
e nel frattempo si godono a turno Penelope
la loro sgualdrina.
Si godono la reggia e la donna del loro re
sapendo che mai più tornerà.
Forse, Odisseo è morto in battaglia
o è naufragato in qualche isola deserta
ed è stato accoppato in un agguato.
La storia di Omero non ci convince
non è verosimile che un uomo solo
– e per di più vecchio –
abbia ucciso tutti i proci, giovani e forti.
La storia di Omero non ci convince.
Omero è un bugiardo, ha mentito,
e per la sua menzogna sarà scacciato dalla città
e migrerà in eterno in esilio
e andrà di gente in gente a raccontare
le sue fole…


Il merlo gracchiò sul frontone d’un tempio pagano

Il merlo gracchiò sul frontone d’un tempio pagano
il mare sciabordando entrò nel peristilio spumoso
e le voci fluirono nella carta assorbente
d’una acquaforte. E lì rimasero incastonate.

Due monete d’oro brillavano sul mosaico del pavimento
dove un narciso guardava nello specchio
d’un pozzo la propria immagine riflessa e un satiro
danzante muoveva il nitore degli arabeschi
e degli intarsi.

*

È un nuovo inizio. Freddo feldspato di silenzio.
Il silenzio nuota come una stella
e il mare è un aquilone che un bambino
tiene per una cordicella.
Un antico vento solfeggia per il bosco
e lo puoi afferrare, se vuoi, come una palla di gomma
che rimbalza contro il muro
e torna indietro.


Alle 18 in punto il tram sferraglia

Alle 18 in punto il tram sferraglia
al centro della Marketplatz in mezzo alle aiuole;
barbagli di scintille scendono a paracadute
dal trolley sopra la ghiaia del prato.
Il buio chiede udienza alla notte daltonica.

In primo piano, una bambina corre dietro la sua ombra
col lula hoop, attraversa la strada deserta
che termina in un mare oleoso.

Il colonnato del peristilio assorbe l’ombra delle statue
e la restituisce al tramonto.
Nel fondo, puoi scorgere un folle in marcia al passo dell’oca.
È già sera, si accendono i globi dei lampioni,
la luce si scioglie come pastiglie azzurrine
nel bicchiere vuoto. Ore 18.
Il tram fa ingresso al centro della Marketplatz.
Oscurità.

41 commenti

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41 risposte a “Gino Rago e Mario M. Gabriele sull’Antologia di Poesia dell’Epoca della stagnazione spirituale, Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Roma, Progetto Cultura, 2016 pp.352 € 18) a cura di Giorgio Linguaglossa VERSO UNA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA – I poeti del Presente ablativo – con Nove poesie di Maria Rosaria Madonna. PRESENTAZIONE DELLA ANTOLOGIA Venerdì, 21 ottobre h 17.30, All’ALEPH, Vicolo del Bologna, 72 ROMA

  1. Splendido! Onorata e felice di esserci. Il 18 novembre presenteremo l’Antologia qui a Padova, alla libreria Laformadelibro e chi può venga. Un abbraccio a tutti e grazie come sempre a Giorgio.

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  2. Mario M. Gabriele

    Certamente si tratta di un happening culturale importante, che si verifica in Italia e in altre regioni con la presentazione dell’Antologia: Poesia Italiana Contemporanea. Come è finita la guerra di Troia non ricordo, a cura di Giorgio Linguaglossa, Edizioni Progetto cultura pp. 349, e che documenta la situazione della poesia di oggi, ossia di quella geografia linguistica che coglie verticalmente il suo essere, come costruzione a piramide sopra il documentarismo, a cui molte operazioni antologiche del Novecento, si sono agganciate, più per interessi di corte, che di autentica informazione. Questa Antologia si caratterizza per la sua originalità estetica, senza indirizzi anomali e fuorvianti per il lettore. Ed è già un segno di onestà progettuale e culturale di Linguaglossa che va a colmare il vuoto di tanti anni di miserevole propaganda estetica. Al curatore va il più vivo ringraziamento con gli auguri di buon lavoro.

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    • Caro Mario, spero ci sia anche tu. Un caro saluto

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      • ubaldo de robertis

        Al curatore della preziosa Antologia va la mia gratitudine.
        Ubaldo de Robertis

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        • ubaldo de robertis

          Per primo ho ringraziato Giorgio Linguaglossa perchė mi ha dato “lo spazio” per farmi conoscere. Ma saluto e ringrazio tutti gli altri autori selezionati perché nonostante abbiano letto le mie poesia spesso su l’Ombra delle parole si dichiarano miei amici.
          In bocca al lupo per le presentazioni dell’Antologia.
          Ubaldo de Robertis

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      • Salvatore Martino

        Sono felice che quasi tutti i frequentatori del blog siano presenti nell’Antologia. Nessun rammarico per non essere stato incluso tra gli eletti. Evidentemente Giorgio Linguaglossa, al contrario di moltissimi altri che nei decenni hanno parlato della mia poesia in termini elogiativi, e si trattava di critici illustri, non ritiene i miei versi all’altezza dell’Antologia di Troia e della sua caduta. Eppure Egli ha tra le mani tutta la mia opera, “Cinquantanni di poesia”, della quale ha sempre detto delle cose positive.
        Ma così va il mondo, e passiamo oltre .

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  3. Molti anni fa,pubblicai una antologia di scrittori abruzzesi, viventi; l’eco delle polemiche ancora dura ,almeno per me.Tuttavia, non mi pento di averla fatta,così come non credo che Linguaglossa si pentirà di questo suo recente lavoro,in ogni modo meritevole,sia per aver proposto un’impostazione lucida e libera,sia per aver mosso le acque stagnanti delle patrie lettere,con un criterio di ricerca “militante”,lontano dal pregiudizio del “già detto”,che affligge molte operazioni critiche nostrane.Ogni scelta antologica crea delle esclusioni,inevitabilmente spiacevoli: che, tuttavia potrebbero anche prevedere sviluppi successivi della antologia stessa.

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  4. Mario M. Gabriele

    Sul tema delle Antologie riporto alcuni stralci prelevati dal mio volume: La parola negata. Rapporto sulla poesia a Napoli, in modo da pacificare qualche lettore e poeta non presenti nell’Antologia di Linguaglossa. Eccone alcuni 1) :”Le antologie si fanno (si sono sempre fatte e si faranno), così come si fanno i codici di giustizia, i partiti della libertà, le chiese della fede religiosa, le città perfette dell’utopia sociale: è il segno oggettivo della loro necessità e dunque della loro utilità.(Giuseppe Zagarrio). (2) Le antologie sono state inventate per far litigare la gente. Se sono legate al presente i viventi esclusi (o inclusi in modo secondo loro non congruo) vorrebbero fulminare il curatore (o i curatori). Se sono legate al passato ci pensano i filologi (una categoria litigiosissima, capace di trasmettere l’odio ‘per un collega nemico fino alla terza generazione degli allievi) a rivedere, come si dice, le pulci al malcapitato di turno. (Paolo Mauri) (3) La poesia ha saputo affrontare ardui problemi del pensiero e della vita: tutto questo va documentato. (Cesare Segre).

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    • Al gentile Mario M. Gabriele,
      “Se sono legate al presente i viventi esclusi (o inclusi in modo secondo loro non congruo) vorrebbero fulminare il curatore (o i curatori)”-
      Io non sono Zeus o Poseidone e non fulmino nessuno, nemmeno nei più reconditi pensieri. Semplicemente sorrido (rido?).
      Cordiali saluti
      Giorgina Busca Gernetti

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  5. Salvatore Martino

    Cercando di giustificare il mio disappunto per l’esclusione , per me sorprendente , nell’Antologia. La cosa che certamente mi stupisce è la constatazione che non si tratta di una Antologia che raccoglie univoco pensiero , stilemi simili che obbediscono ad una scuola comune, ma giustamente ci sono molteplici voci che parlano idiomi diversi…e poeti di generazioni diverse. Per questo il mio rammarico, il mio dispiacere da un punto di vista strettamente umano, per non essere stato inserito unico tra gli assidui frequentatori della Rivista. Si parla tanto di metodo mitico riferito al presente, in alcuni poeti antologizzati: ebbene Linguaglossa dovrebbe ricordare benissimo quanto in tutta la mia opera il mito sia stato affrontato ripetutamente.Credetemi amici dell’Ombra mi dispiace molto non essere accostato a voi tutti in un libro che mi auguro rimanga come un punto fermo nel panorama della poesia a cavallo dei due secoli..
    Per quanto riguarda le poesie di Madonna qui pubblicate mi sembrano una scopiazzatura prosastica e in tono minore di “Aspettando i barbari”, delle poesie che si svolgono intorno a Bisanzio e ai suoi Imperatori, e anche di “Itaca” tutto uscito dalla penna del grande Costantino Kavafis…per fortuna la Madonna lo cita e questo almeno la salva in parte.

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  6. antonio sagredo

    CHE SIA CHIARO A TUTTI I POETI>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
    >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>> a proposito della CITAZIONE
    ————————————————–
    “Nelle poesie di Mandel’štam avviene talvolta che non si sa bene se esso sia un russo aulico, trionfale, da ode del ‘700 o un polacco tradotto in russo o un yiddish o qualche cosa di ellenico, di latino. E la rivoluzione è per Mandel’štam, poeta della Rivoluzione, nato nell’ambito sovietico, appunto il risveglio di vari strati culturali in contesti simultanei la fusione di diverse epoche in una.
    Quando dico poesia-citazione, quasi a codificare questo poeta, penso anche all’eclettismo di uno Stravinskij: nella cultura russa è sempre presente questo amalgama di vari filoni culturali. Mandel’štam spesso cita volgendoli a sé pezzi, elementi, brandelli di questi mondi che ha avvicinato. La citazione è un elemento olistico estremamente importante in letteratura, anche se in genere viene considerato bassa imitazione. Il gusto della citazione è in effetti una forma di strategia letteraria.
    Ecco perché Mandel’štam può sembrare ad un orecchio sprovveduto un citatore, egli parla appunto della gioia stupenda della citazione e la sua poesia tutta fondata su brandelli, squarci e residuati, nel senso migliore, della vecchia cultura che tutta confluisce in lui. Sulla vita di Mandel’štam non abbiamo molto materiale; tutto viene ricostruito attraverso brandelli di testimonianze. Adesso la vedova Nadežda Mandel’štam ha pubblicato in occidente, due libri di memorie . Sono due libri pieni di amarezza, di dolore, di disperazione per la scomparsa di questo eccelso poeta, due libri che tra l’altro ci illuminano sulla situazione della Russia negli anni staliniani. Oltre alle memorie della vedova di Mandel’štam. non abbiamo che frantumi tutti contraddittori.”

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  7. Auguri al curatore per questo nuovo punto della situazione circa la poesia contemporanea e complimenti a tutti gli Autori inclusi. Con stima,
    AnGre

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  8. Il tram fa ingresso al centro della Marketplatz.
    Oscurità.

    Come posso spiegare perché questo verso di M.R. Madonna è, dal mio punto di vista, una gemma letteraria? Potrei dire di quel che gli manca, quel che probabilmente in una poesia “lineare” verrebbe detto. Ma qui si focalizza sul frammento, laddove da altre parti lo stesso frammento sarebbe una semplice svolta, l’agile passaggio di una buona narrazione. Si focalizza, cioè se ne trae spunto per una procedura. Un verso che in sé non è nuovo, eppure lo è.
    In realtà l’antologia contiene diverse strade di ricerca, ed è un bene che sia così; per me, perché ne traggo meraviglia: valuto, spesso tardo a capire, a uscire da me stesso in lettura. Sono scritture vive, tracce di percorsi contemporanei destinate a restare sul farsi. E il farsi – che resta tale – sempre dal mio modesto punto di vista, è un principio zen che so riconoscere; il farsi di pensiero e il farsi di accadimenti, come negli esempi opposti di A. Vaccaro e M. Gabriele. E’ tempo rivisto, o vissuto diversamente. Con precisione ma senza lentezze e ripensamenti. Accadimento.

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  9. antonio sagredo

    il mio intervento era una citazione da uno studio su Mandel’stam di A. M. Ripellino 1974-75

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  10. SUL «FRAMMENTO» IN OSIP MANDEL’STAM E MARIA ROSARIA MADONNA

    Gino Rago e Mario M. Gabriele sull’Antologia di Poesia dell’Epoca della stagnazione spirituale, Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Roma, Progetto Cultura, 2016 pp.352 € 18) a cura di Giorgio Linguaglossa VERSO UNA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA – I poeti del Presente ablativo – con Nove poesie di Maria Rosaria Madonna. PRESENTAZIONE DELLA ANTOLOGIA Venerdì, 21 ottobre h 17.30, All’ALEPH, Vicolo del Bologna, 72 ROMA


    Caro Salvatore Martino,
    non spetta a me fare il difensore d’ufficio di un poeta del calibro di Maria Rosaria Madonna (1940-2002). Ho scelto apposta le poesie di una persona che non è più tra noi per non fare torto ad alcuno. Però, tieni presente che Madonna ha scritto queste poesie nei tardi anni Novanta, e quindi sono passati circa venti anni dalla loro stesura, e che a quel tempo nessuno in Italia parlava del «frammento» in poesia. Ma «frammento» non significa banalmente poesia frammentaria, sennò la cosa sarebbe alquanto banale, Madonna adotta qui il «frammento» come simbolo de-simbolizzato, lo assume da Kavafis, dalla storia di Procopio su Teodora e ci ricama sopra un discorso sul Potere e sui barbari, un discorso riadattato e aggiornato ai nostri tempi. Se non si capisce questo punto, davvero, si va fuori strada.

    Il «frammento», come ha bene spiegato Ripellino commentando le poesie di Mandel’stam, è anche «citazione», come ha ripreso Antonio Sagredo, e pensa un po’, lo usava anche Mandel’stam cento anni fa! Quindi, come vedi, quello che si dice su queste colonne, non è niente di nuovo (se è il nuovo che ti spaventa) ma si tratta di questioni che hanno più di cento anni di età, solo che nella nostra piccola Italia letteraria nessuno mai ne ha parlato prima di Ripellino e riprendere quel filo di riflessione sembra una eresia, ma eresia non è, sono questioni vecchie che altre tradizioni letterarie hanno da molto tempo digerite: vedi i poeti svedesi, ad esempio. Chiudersi alla riflessione non porta ad alcunché. Quello che qui stiamo facendo vuole aprire delle porte di riflessione. E le poesie inedite di Madonna pubblicate nella Antologia, sono dei veri e propri capolavori, per chi abbia occhi e orecchi. Non mi meraviglia che tu non riesca a cogliere delle perle di cui è disseminata la poesia di Madonna, non mi meraviglia perché qui in Italia siamo troppo legati ad un certo modo di fare poesia molto ma molto tradizionale, e davanti a questa di Madonna ci si trova davvero spiazzati, lo capisco.

    Rileggiamo queste parole. Sono un grande discorso sul «potere delle parole», una riflessione che attraversa i secoli. Come non comprendere che qui la storia di Procopio e di Teodora è solo un pretesto per affrontare un grande argomento? Come non comprendere che qui si tratta del destino della poesia nella civiltà che si sta affacciando? Che qui si sta parlando dell’immortalità e dell’eternità? – Caro Salvatore, qui non si sta facendo una poesia alla Vivian Lamarque, qui si affrontano le grandi questioni:

    Il potere delle parole? Vi dirò: esso è
    debole e friabile dinanzi al potere delle immagini.
    Per questo ho ordinato di raffigurare l’imperatrice Teodora
    nel mosaico di San Vitale a Ravenna,
    nell’abside, con tutta la corte al seguito…
    E per mezzo dell’arte la mia immagine travalicherà l’immortalità.
    Per l’eternità.
    «Valuta instabile», direte voi.
    «Che dura quanto lo consente la memoria», replico.
    «A dispetto delle calunnie e dell’invidia di Procopio».

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    • Salvatore Martino

      Giorgio carissimo ti ringrazio delle lezioni che mi dai, delle delucidazioni che devono arrivare a un povero di spirito come me che non riesce a capire i capolavori della Madonna. Per quanto riguarda l’ormai annosa quaestio del frammento io per primo in queste colonne ho sempre affermato che poteva essere un indirizzo interessante, ma certamente non nuovo come tu stesso affermi finalmente in codesto tuo scritto. Allora è una novità straordinaria o è qualcosa da tempo presente in poesia.
      Io credo che Madonna sia come altri un tuo innammoramento: io continuo a vedere in codesti testi qui pubblicati uno scopiazzamento di Kavafis senza la sua profondità il suo delirio. le sua cadenze musicali e soprattutto mi sembra stilisticamente una forma prosastica così lontana dalla tua beatificazione poetica. Ma io sono un povero lettore, che talvolta scrive dei versi e quindi non riesce a comprendere i capolavori degli altri. Ho l’impressione che tu negli ultimi tempi abbia sopravvalutato il significato e messa da parte la forma, che per me, e non solo per me, cito uno a caso l’immenso J.L.b Borges è assolutamente fondamentale.Un’ultima notazione. ho letto nel Blog di Gabriele due tuoi testi inediti molto, molto interessanti: ecco spiegami dove io possa rintracciare il frammento. A me sembrano perfettamente e armonicamente circolari sia come pensiero che come struttura delle forma. Anche se spesso sediamo lungo rive opposte con la stima e l’affetto di sempre Salvatore

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  11. antonio sagredo

    spezzare più lance in favore di Giorgio genera questo mio dono in versi:
    —————————————————–
    “Discutendo con Dio d’immortalità
    naturò e snaturò il divino nel dolore,
    ma il trono partorì la Dea…
    ahi, Dio ha un Sosia: l’Altro : una Femmina!”

    antonio sagredo
    Roma, agosto 1985
    ——————————————–
    IMMORTALITA’ RENDEMI MORTALE,
    ALMENO UN VOLTA!

    1965

    A. S.

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  12. gino rago

    Commentando il rapporto Dante/ Virgilio, soprattutto dell’Inferno, qualcuno ha scritto:” Ci sono maestri (pochi, ma ci sono) i quali, quando scrivono
    o parlano loro, è gran festa e guadagno stare zitti, e sentirseli scrivere
    o parlare da dentro…”
    Giorgio Linguaglossa è un maestro.
    Gino Rago

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  13. Caro Gino,
    ti ringrazio, ma io sono, come ho scritto nel mio profilo Facebook, un “calzolaio della poesia”, lasciamo ai tanti vanagloriosi la loro vanagloria e le loro candidature al Nobel, io mi considero un modesto artigiano della tomaia della poesia…
    La proposta di Antonio Sagredo è originale, perché non scriviamo poesie sull’immortalità e sull’eternità in forma di dialogo con dio?
    Sarebbe una bella idea, no?

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  14. Una mia poesia che risale al tempo nel quale incontrai Dio.

    Marco Alvino Getulio

    A Cartagine conversai con i filosofi cirenaici.
    Sostenevano costoro che prolungare la vita
    è un’empia stortura perché prolunga il dolore infinitamente
    e moltiplica il numero dei morti.
    Sostengono questi filosofi che occorre tagliare
    al più presto il filo della vita, non c’è altro modo
    per vivere una vita intensa e bella.
    Per tale ufficio Atropo è la dea scelta da Zeus
    per dare agli uomini l’illusione dell’immortalità.
    La loro tesi però non mi convinse, e cercai altrove.
    Fu lì che decisi di consultare l’oracolo di Delfi,
    ma il responso sibillino non mi piacque
    e mi spinsi a sud del Pactolo sulle cui rive
    vive il popolo dei garamanti che si nutre
    di ecantorchidee e dell’ortica delle radure polverose.
    Ancora più a sud c’è la Città degli Immortali
    – mi dissero quei barbari –
    E così mi inoltrai nel deserto dei gobbi.
    Deformi dalla nascita suscitano in noi, uomini civili,
    ribrezzo e recrudescenza.
    Fu allora che fuggii da quelle lande desolate
    e tornai tra le rive dell’Eufrate, tra i popoli che parlano la nostra lingua.
    Fu allora che incontrai Dio alle porte di Persepolis.
    E gli chiesi notizie intorno all’immortalità…

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  15. Donatella Costantina Giancaspero

    “a sud del Pactolo” … “Ancora più a sud”… E poi di nuovo ” tra le rive dell’Eufrate, tra i popoli che parlano la nostra lingua” … incontrando Dio “alle porte di Persepolis”: il lungo viaggio intrapreso da Marco Alvino Getulio per sapere dell’immortalità.
    Nel mio commento, il “dove” e il “quando” dell’immortalità, ovvero una risposta documentata suggerita dallo storico e filosofo Marco Menicocci

    “Tutto ha origine in Mesopotamia, tra il 3800 e il 3600 a. C., quando gli uomini costruirono le prime città sul modello della c. d. Città templare, una città caratterizzata da un tempio che la identificava, da uno spazio proprio, da un cosmo in linea di principio perfettamente definito e immutabile. Qui, in Mesopotamia, al fine di stabilire l’identità, i confini, il cosmo di una città, si è fatto ricorso (si è immaginato per la prima volta) a una dimensione fissa del reale. Tutto cambiava: le stagioni e le generazioni si susseguivano, ma la città (non le case, ovvio) doveva esser considerata immutabile. Per renderla immutabile si è collegato la città con un dio. Naturalmente per far questo si è dovuto prima inventare un dio e concepirlo come immortale e non a caso proprio in Mesopotamia sono stati concepiti i primi dei e li si è pensati come immortali. Il modello sono state le stelle, che dal punto di vista umano appaiono immutabili. Gli dei-stelle di notte erano nella loro casa celeste e di giorno scendevano nel tempio a prendersi cura della città. Non a caso il dighir, il segno della stella, era usato nella prima scrittura tanto per indicare le stelle, astri, quanto gli dei.
    Per garantire le città, pertanto, gli uomini di quella terra e di quell’epoca, e solo loro, hanno voluto gli dei immortali. Gli dei e non gli uomini. Le cose sono andate bene sino a quando il modello della città templare non ha cominciato ad andare stretto e l’autorità non è passata, tramite una vera rivoluzione, dai sacerdoti del tempio ai re. Una rivoluzione secolare, naturalmente, che ha avuto modi e tempi diversi e che noi riassumiamo per comodità. Abbiamo dunque i primi re. Ma come si diventa re? In Mesopotamia si diventa re, originariamente, sposando la dea. È la dea che, unendosi ad un uomo, lo rende re. In pratica la persona che aveva il potere lo legittimava unendosi alla sacerdotessa della dea. Questo modello ha retto abbastanza: anch’esso poggiava sull’immortalità della dea. Gli uomini, tutti, re compreso, dopo la morte sparivano. Alcune versioni del poema di Gilgamesh esprimono drammaticamente questa consapevolezza: l’eroe, che è proprio alla ricerca dell’immortalità e della regalità, accusa la dea Ishtar di non salvare mai nessuno dei suoi sposi. Anche i re diventano solo polvere. Solo gli dei sono immortali.
    Il modello mesopotamico si è poi spostato in Egitto.”

    E da qui comincia un’altra storia…

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  16. Salvatore Martino

    Carissimo Giorgio capisco che se ti piacciono queste musiche fatte di rumori stridenti, mentre io amo Purcell o Benedetto Marcello, non possiamo trovare un accordo sul piano musicale. Alcuni anni fa andai a sentire un concerto del vate della dodecafonia e dopo venti minuti sarei voluto sparire, giurando a me stesso che mai sarei tornato a ripetere l’esperienza.Miei amici e amici di Salvatore Sciarrino mi convinsero un giorno ad andare ai suoi concerti e devo ammettere che talvolta mi piacquero.Come apprezzo G: Ligeti, quindi anche la musica contemporanea trova spazio nella mia anima.
    La tua poesia di Getulio che rientra nei testi da te dedicati agli antichi di Roma , con un occhio rivolto al presente, mi appare densa di significati, misteriosamente legata alla nostalgia del paese abbandonato alla ricerca di chissà quale,risposta a Delfi o nel paese dei garamanti, o nella Città degli Immortali , per tornare alle rive dell’Eufrate, così care a quel poetucolo che tu conosci S. Martino. Anche qui comunque il frammento mi sfugge, trovo un testo assolutamente ripiegato nella tradizione, con l’occhio intinto nelle tematiche e nel pensiero di Borges, versi che mi fanno riflettere e che mi affascinano, come pronunciati da una voce lontana nel tempo e nello spazio, che stranamente mi parla del presente. Ma forse io, come mi pare che tu affermi, non ho capito nulla del “mistero frammento”. Tra la tua poesia e quella di Madonna non ho dubbi su quale dirigere la mia preferenza, il mio giudizio di Paride.

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  17. caro Salvatore Martino

    il tuo giudizio oltre modo positivo sulla mia poesia mi riempie di soddisfazione, ti ringrazio, sei gentile… però io mi tengo fedele a quanto ho scritto in altre sedi sulla poesia di Maria Rosaria Madonna, che considero una grande poetessa, dimenticata e sotto valutata come è costume in questo universo letterario fatto di dimenticanze e di snobismo ammobiliato.
    Ho trovato una interessante citazione da Adorno (Teoria estetica, 1970) :

    «Il frammento è l’intervento della morte nell’opera. Col distruggere l’opera, la morte ne elimina la macchia dell’apparenza».1 Il «frammento», al pari della «traccia», abitano di preferenza la paratassi.

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  18. antonio sagredo

    Gino Rago e Mario M. Gabriele sull’Antologia di Poesia dell’Epoca della stagnazione spirituale, Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Roma, Progetto Cultura, 2016 pp.352 € 18) a cura di Giorgio Linguaglossa VERSO UNA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA – I poeti del Presente ablativo – con Nove poesie di Maria Rosaria Madonna. PRESENTAZIONE DELLA ANTOLOGIA Venerdì, 21 ottobre h 17.30, All’ALEPH, Vicolo del Bologna, 72 ROMA


    UNA POESIA SUL FRAMMENTO di ANTONIO SAGREDO e COMMENTO DI LUCIO MAYOOR TOSI
    Fragmento significa libertà e verità in tutte le direzioni possibili: il cammino è arduo poi che i nemici del frammento sono dovunque; questi versi li scrissi all’indomani della morte di questo eccelso filosofo-poeta eretico, la cui serenità intellettuale mi fu di conforto.

    a Andrzej Nowicki

    FRAGMENT…AZIONE

    Ti stai avvicinando al più lontano dei pensieri radianti:
    – quello che non esiste ancora e che possiede il tutto
    – quello che sarà in tutti i luoghi ancora sconosciuti
    – quello che rimanda la conoscenza ad altra conoscenza,
    come una risacca senza requie e che sa il mobile infinito.

    Il traguardo è già dietro alle tue spalle ed è un luogo
    conquistato, ma altri luoghi affollano nuovi pensieri
    e molteplici spazi aspettano i soggetti: quante filosofie
    ancora abbiamo da conquistare! Le Muse vogliono baciare
    l’ultimo frammento, invano! Brunite sono le parole nei cieli!
    L’imperfezione giuliana trionfa sul concetto monolitico:
    spazza via l’assoluto indegno, le totalità inutili!

    La parola-ingresso frantuma l’autostrada in milioni di sentieri!
    Rivoli di culture s’intrecciano, si assorbono, si superano…
    Lo specchio degli Artefici s’è rotto! Si spargono dovunque luminose
    scintille di pensieri: volano via le vele dei Saperi – per altre terre!

    (Vermicino, 16 settembre 2010)

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  19. antonio sagredo

    non so chi Ti ha censurato, ma
    —————-

    > La Censura dona alla Lettera quella Soglia
    che il Numero rifiuta per un più alto Oblio
    di quel Bambino Ignoto che ha nome Conoscenza! <

    a.s. – 2004
    ——————————————————————–

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  20. LUCIO MAYOOR TOSI
    Pensieri d’entronauta: sul frammento.

    il frammento è principio visivo. Applicato alle parole è porsi alla fine dell’opera, mentre vita scompare. Praticare il frammento è stare sul finire delle cose, costante morire.
    E’ naturale che questo accada a poeti non tanto giovani in età. Anni di ricerca possono condurre all’abbandono cosciente delle immagini fisse: abbandono del pensiero fotografico ( e cinematografico); cogliere il vuoto che sta tra le immagini ( come tra le note o tra le pause delle parole).
    Perdita di senso nella testimonianza? No, se il ricercatore manca al visivo in frantumi; sì, se il ricercatore sceglie di dare testimonianza del frantumarsi.
    Il frammento è essenzialmente visivo perché riguarda l’osservazione. Ma viene meno chi osserva. Muore il ricercatore, nasce il testimone.
    Al mattino, quando ci destiamo dal sonno, le immagini – non tanto quelle del ricordo ma quelle impresse nella memoria fisica, visiva, sia cosciente che onirica – vanno rapidamente nella mente a comporsi creando realtà (unità, fotografia, quindi polis, abitudini e personalità). E’ seguendo questo breve momento che poesia diventa frantumazione e ricomposizione di spazio tempo.

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  21. Pingback: Aleph, Roma – vicolo del Bologna, 72, venerdì  21 ottobre 2016, h. 17.30 Presentazione della Antologia di poesia contemporanea italiana Come è finita la guerra di Troia non ricordo a cura di Giorgio Linguaglossa, Dialogo tra il curatore, i po

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  24. antonio sagredo

    Cari Mayoor e Anna V.,
    la parola “testimone” ricorre nei miei versi 12 volte (prima non lo sapevo, come di tantissime altre parole) e cito qui alcuni miei versi, e spero di non essere noioso, dal più antico 1969 al 2008 :
    ——————–
    Io, testimone d’accusa,
    gustavo le lordure di una città polare
    e i lamenti di torride balbuzie,
    la nudità delle foglie senza nervature
    le città abbaiare agli sciacalli.
    —-

    Il pianto del boia ha il colore rosa del maiale
    quando il supplizio cede il testimone alla visione.
    Le sue mani hanno il prurito di chi ancora per zelo
    opera secondo i vangeli dell’imbianchino e del baffone
    per emulare gli yankee e gli inquisitori, vincere una medaglia…
    una medaglia al valore, quale?!
    2006
    ——

    Con uno sguardo corazzato da orbite truccate…
    te ne andavi a spasso tallonato dalle tue stesse ossa
    all’inizio della mia rovina da verso in servo

    quando il testimone tradì la mia parola al mattatoio:
    ma non potrei essere io colui che senza più guida naturale
    o divina è un fronte di battaglia o di sangue mai versato?

    Più alto del tuo fu il grido di tua madre – grida di crepaccio raggelato –
    quando non credette più alla tua risurrezione.
    2007
    —–
    A Oxford, in una stupida notte d’inverno,
    io fui testimone d’un obbrobrio, a dir poco malsano,
    quando fu decapitato il fanciullo Miris
    che il grecoro cantò senza rimorsi e afflizioni…
    disputava di Titch Thomas e San Tommaso!
    2007

    Mi negarono i dèmoni una normale storia
    quando il clamore generò l’evento di uno scacco
    che del tempo non era un fidato testimone,
    ma il luogo di un supplizio senza fine.
    2008

    Meglio di voi io so cantare il verme
    perché passo il testimone d’alloro
    da una Morte all’altra col solo sguardo
    di chi un giorno o forse una notte
    fece brillare l’armilla, il colore
    dell’ombra nel tempo antelucano.
    2008
    —-

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  25. “Il colore dell’ombra nel tempo antelucano”:ecco un “frammento”che si regge anche da solo.Chilometri di versi non dicono quello che, talvolta, esprimono poche parole

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  26. Salvatore Martino

    Decisamente affascinanti questi tuoi versi carissimo Antonio, forse utili per passare da una Morte all’altra, nel luogo del supplizio senza fine.

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